Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
IL GOVERNO
TERZA PARTE
LE VOTAZIONI ED IL GOVERNO
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
GLI ANNIVERSARI DEL 2019.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
IL GOVERNO
INDICE PRIMA PARTE
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE. (Ho scritto un saggio dedicato)
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Storia d’Italia.
LA SOLITA ITALIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Per Nome e Cognome.
L’Unione Europea.
Il Piano Marshall.
Fondi Europei: il tafazzismo italiano.
Gli Arraffoni.
Educazione civica e disservizi.
Quello che siamo per gli stranieri.
SOLITA LADRONIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Italioti antifascisti.
Italioti vacanzieri.
Italioti esploratori.
Italioti misteriosi.
Italioti giocatori d’azzardo.
Italioti truffatori.
Italiani Cafoni.
Italioti corrotti e corruttori.
Italioti ladrosi.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’. (Ho scritto un saggio dedicato)
Democrazia: La Dittatura delle minoranze.
Un popolo di Spie.
Nazi-fascismo e Comunismo: Economia pianificata.
Il Capitalismo.
I Liberali.
Il Realismo.
Il Sovranismo - Nazionalismo.
I Conservatori. Cos’è la Destra? Cos’è la Sinistra?
Il Riformismo progressista.
Il Populismo.
Il solito assistenzialismo.
La Globalizzazione.
L’Italia è una Repubblica fondata sul debito pubblico.
Le Politiche Economiche.
Il Finanziamento ai partiti.
Ignoranti.
I voltagabbana.
La chimera della semplificazione nel paese statalista.
Il Voto.
Mafiosi: il voto di scambio.
Il Voto dei Giovani.
Il Voto Ignorante.
Il Tecnicismo.
L’Astensionismo: e la chiamano democrazia…
La Rabbia.
I Brogli.
I Referendum.
Il Draghicidio.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’. (Ho scritto un saggio dedicato)
Elezioni politiche 2022. Ennesima presa per il culo.
La Campagna Elettorale.
INDICE TERZA PARTE
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’. (Ho scritto un saggio dedicato)
Elezioni politiche 2022. Ennesima presa per il culo.
Le Votazioni ed il Governo.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’. (Ho scritto un saggio dedicato)
Una Costituzione fascio-catto-comunista.
Quelli che…La Prima Repubblica.
Le Presidenziali.
Storia delle presidenziali.
La Legge.
Il Potere Assoluto della Casta dei Magistrati.
I Top Manager.
I Politologi.
SOLITA APPALTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La malapianta della Spazzacorrotti.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Impuniti.
Concorsopoli Vigili del Fuoco e Polizia.
Concorso truccato nella sanità.
Concorso scuola truccato.
Concorsi ed esami truccati all’università.
Ignoranti e Magistrati.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Ignoranti ed avvocati.
SOLITO SPRECOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Amministratori pubblici: Troppi sprechi e malagestio.
I Commissari…
Il Cnel ed Aran: Come sprecare un milione all’anno.
Spreco a 5 Stelle.
Le ali italiane.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
Bancopoli.
La Nascita dell’Euro.
Il Costo del Denaro.
Il Debito. Pagherò.
ConTanti Saluti.
Il Leasing.
I Bitcoin.
I Bonus.
Evasori fiscali!
L'Ingiunzione di Pagamento.
Bollette luce e gas, mercato libero o tutelato.
La Telefonia.
Le furbate delle Assicurazioni.
I Ricconi alle nostre spalle.
IL GOVERNO
TERZA PARTE
LE VOTAZIONI ED IL GOVERNO
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’. (Ho scritto un saggio dedicato)
· Elezioni politiche 2022. Ennesima presa per il culo.
Il Sistema elettorale.
Il sistema introdotto con la legge elettorale Rosatellum. Cos’è il tagliando antifrode: il meccanismo valido per le elezioni politiche, polemiche per le code ai seggi. Redazione su Il Riformista il 25 Settembre 2022
Per la seconda volta alle elezioni politiche fa la sua comparsa il tagliando antifrode: è una novità introdotta con la legge elettorale Rosatellum. Si tratta di un meccanismo che ha esordito nel 2018 per evitare distorsioni nelle operazioni di voto, ovvero sostituzioni della scheda elettorale all’atto del voto, valido soltanto per le edizioni politiche. Già la prima volta ci furono rallentamenti ai seggi, con code, che in parte si sono riproposti anche oggi.
La parte inferiore della scheda è perforata, di forma rettangolare e rimovibile. Ha un codice alfanumerico e il presidente o lo scrutatore lo staccano prima di inserire la scheda nell’urna. Gli addetti al seggio, prima di consegnare la scheda all’elettore annotano il relativo codice del tagliando antifrode sulla lista sezionale in corrispondenza all’elettore stesso o nella colonna delle annotazioni.
Quando l’elettore esce dalla cabina e ha espresso il suo voto, il presidente o un delegato del seggio staccano il tagliando antifrode e mettono la scheda nell’urna. L’operazione prevede anche la conservazione in buste distinte dei due tagliandi di colore diverso, e che anche in questo caso può prendere del tempo in più rispetto al passato. L’elettore non mette quindi direttamente la scheda nell’urna, come succedeva prima, ma deve riconsegnarla ripiegata al presidente che controlla tramite il tagliando che il numero riportato sia corrispondente a quello annotato in precedenza sul registro.
Qualora il presidente dovesse notare un codice diverso da quello segnato precedentemente, il voto si considererà annullato e l’elettore non potrà esprimere di nuovo la sua preferenza.
ELEZIONI DEL 25 SETTEMBRE. Come si vota? La guida completa per le elezioni (e per non farsi invalidare il voto). GIULIA MORETTI su Il Domani il 21 settembre 2022
Dalla ripartizione dei seggi alle modalità di voto, dai colori delle schede agli orari, Domani ti accompagna alle urne
Alle sette di domenica 25 settembre si apriranno le porte dei seggi elettorali sparsi per tutta Italia e si chiuderanno alle 23 dello stesso giorno. Alla chiusura del seggio potranno comunque votare le persone che sono già in coda. In quelle quattordici ore gli italiani si recheranno alle urne per eleggere il prossimo parlamento, il primo con un numero di seggi ridotto dopo la riforma costituzionale approvata con il referendum del 2021. Ma non è l’unica novità. Per la prima volta i diciottenni potranno votare non solo per la Camera, ma anche per il Senato, come previsto dalla riforma dell’articolo 58 della Costituzione.
IL ROSATELLUM
La legge elettorale, il Rosatellum (dal nome del suo relatore Ettore Rosato), è in vigore dal 2017 e si basa su un sistema misto di ripartizione dei seggi.
Un terzo del parlamento, infatti, viene eletto con sistema maggioritario, nei collegi uninominali il candidato espressione del partito che prende più voti vince.
I due terzi dei seggi, invece, vengono assegnati con sistema proporzionale, nei collegi plurinominali gli eletti sono divisi in modo proporzionale in base alle preferenze ottenute.
Nei collegi plurinominali sono candidate quattro persone per ogni partito e vengono elette in ordine di lista, calcolando la proporzione di voti che la loro lista ha ottenuto nel collegio in cui sono candidati.
COME SONO FATTE LE SCHEDE E QUANDO IL VOTO È VALIDO
La scheda per l’elezione dei membri della Camera è rosa, mentre quella per i rappresentanti al senato è gialla. Per ogni coalizione o partito, nella parte alta è indicato il nome della candidata o del candidato al collegio uninominale, nella parte bassa la lista dei candidati nei collegi plurinominali con a fianco il simbolo del partito o della lista che li sostiene.
Si può apporre la propria preferenza:
solo sul nome della candidata o del candidato al collegio uninominale
in questo caso il voto si estenderà e sarà ripartito anche tra le liste sotto quel nome in proporzione ai voti ottenuti.
Si può anche scegliere di indicare il simbolo di una lista posizionata nei riquadri del proporzionale
il voto sarà automaticamente assegnato anche alla candidata o al candidato del collegio uninominale sostenuto da quella lista.
Si può, inoltre, segnalare la preferenza sia per il candidato all’uninominale sia per la lista o una delle liste che lo sostengono
Infine, è considerato valido il voto anche qualora si faccia una “x” sia sul simbolo sia sulla lista di nomi candidati ai collegi plurinominali.
In questo caso il voto viene assegnato anche al candidato dell’uninominale.
QUANDO IL VOTO NON È VALIDO
Il Rosatellum non ammette il voto disgiunto, ciò significa che non è possibile esprimere la propria preferenza per un candidato all’uninominale e per una lista diversa da quelle che lo sostengono. Il voto in questo caso non è valido come non lo è se si esprime la propria preferenza per un candidato specifico di una delle liste al collegio plurinominale scrivendo il nome a fianco.
La scheda, inoltre, non è valida se ci si scrive sopra, ci si disegna o si usa una penna o una matita diversa da quella copiativa fornita dai presidenti e gli scrutatori.
COSA SERVE PER POTER VOTARE
Per votare è necessario recarsi al seggio muniti di tessera elettorale e documento d’identità (patente, passaporto o carta d’identità). Nel caso in cui si abbia una carta d’identità scaduta è comunque possibile votare, purché la foto presente sul documento permetta il riconoscimento dell’elettore.
Se, invece, si è in possesso di una tessera elettorale scaduta, deteriorata o piena sarà possibile rinnovarla recandosi presso l’anagrafe del proprio comune che sarà aperto e obbligato a rilasciarla durante tutto il lasso temporale utile per il voto (dalle 7 alle 23). Lo stesso vale anche nel caso in cui la tessera elettorale sia stata persa.
GIULIA MORETTI. Nata e cresciuta in Umbria, dopo una laurea triennale in lettere classiche ha virato verso il giornalismo e si è laureata in Editoria e scrittura con una tesi in comunicazione politica. Scrive per Zeta, la testata del master in giornalismo della Luiss, occupandosi di diritti, attualità e fact-checking
Vademecum per il voto: tutto quello che bisogna sapere. Come sono fatte le schede, come si può esprimere il voto, cosa bisogna portare con sé al seggio e che succede se si sbaglia. Orlando Sacchelli il 20 Settembre 2022 su Il Giornale.
Un breve riepilogo per ricordare a tutti come si esercita il diritto di voto. Prima di tutto ricordiamo che è venuto meno il limite di età e che anche i più giovani (dai 18 ai 25 anni di età) voteranno per il Senato. Pertanto tutti gli elettori riceveranno due schede: una rosa, per la Camera, ed una gialla per il Senato.
L'Italia è suddivisa in 146 collegi uninominali per eleggere i membri della Camera dei deputati e 67 collegi uninominali per l’elezione del Senato della Repubblica. In più abbiamo i collegi plurinominali (49 per la Camera, 26 per il Senato) che servono per l'assegnazione proporzionale dei seggi. Il sistema elettorale, infatti, è misto (maggioritario più proporzionale).
Ricordiamo che a seguito dell'ultima riforma della Costituzione, che ha ridotto il numero dei parlamentari, si eleggono 400 deputati e 200 senatori. I seggi saranno aperti domenica 25 settembre dalle 7.00 alle 23.00.
VADEMECUM PER IL VOTO
Le schede che ciascun elettore riceverà includono i nomi dei candidati nel collegio uninominale e, per il collegio plurinominale, il simbolo di ciascuna lista o i contrassegni delle liste in coalizione ad esso collegate. Accanto ai contrassegni delle liste sono indicati anche i nomi dei relativi candidati nel collegio plurinominale.
COME SI PUO' VOTARE
L'elettore deve tracciare una croce sul rettangolo che contiene il contrassegno della lista e i nominativi dei candidati nel collegio plurinominale. In questo modo il voto vale sia per il candidato nel collegio uninominale che per la lista nel collegio plurinominale. Se il segno è tracciato solo sul nome del candidato nell'uninominale, è comunque valido anche per la lista collegata (se le liste sono più di una il voto è ripartito tra le varie liste). Se la croce viene apposta solo sul simbolo vale anche per il candidato uninominale collegato. Attenzione, il voto disgiunto non è ammesso: in altre parole non si può scegliere un candidato nel collegio uninominale e una lista che non sia ad esso collegato. Qualora dovesse optare per questa soluzione il voto sarà nullo.
COSA OCCORRE PORTARE AL SEGGIO
Come sempre per andare a votare bisogna portare con sé il documento di identità (va bene anche se scaduto) e la tessera elettorale del proprio comune di residenza. Se gli spazi dei timbri sono esauriti occorre farsi dare dal Comune una nuova tessera. Si raccomanda di farlo per tempo senza aspettare l'ultimo momento, anche se gli uffici comunali preposti a tale scopo rimarranno aperti dalle ore 9 alle ore 18 il 23 e il 24 settembre e, nel giorno della votazione, per tutta la durata delle operazioni di votazione, e quindi dalle ore 7 alle ore 23.
CHI SI TROVA FUORI DAL PROPRIO COMUNE
Il voto in un Comune diverso da quello della propria residenza è consentito solo ad alcune persone: i ricoverati in ospedale e/o case di cura, militari, naviganti, componenti dell'Ufficio elettorale di sezione e le forze dell'ordine, rappresentanti di lista designati dai partiti. Tutti gli altri dovranno raggiungere la propria residenza.
COME SI VOTA ALL'ESTERO
Chi per motivi di studio o di lavoro si trovi all'estero può chiedere la scheda elettorale e votare per corrispondenza. Ma in questo caso oltre alle schede bisognerà spedire al Consolato competente il tagliando staccato dal certificato elettorale, il tutto in buste diverse.
IL VOTO ASSISTITO
Gli elettori che abbiano disabilità gravi e non possano votare da soli potranno farsi aiutare da un assistente, ma in questi casi occorre un codice speciale apposto sulla tessera elettorale che attesti la particolare condizione in cui si trovano.
CHE SUCCEDE SE SI SBAGLIA A VOTARE?
Chi dovesse rendersi conto di aver sbagliato nell'esprimere il proprio voto può farlo presente al presidente di seggio e avere una nuova scheda, con cui esprimere nuovamente il proprio voto. Il presidente gli consegnerà una nuova scheda inserendo quella sostituita tra le schede deteriorate. Il tutto, ovviamente, verrà messo a verbale.
SABINO CASSESE per il Corriere della Sera il 18 settembre 2022.
Ultimi giorni di lavoro per il Parlamento eletto nel 2018. Si chiude la diciottesima legislatura dell'Italia repubblicana.
Con quale bilancio?
I parlamentari uscenti furono eletti con la legge Rosato del 2017, la stessa con la quale si voterà il 25 settembre prossimo. Una legge che ha introdotto una formula elettorale sbagliata, che costringe le forze politiche sia a competere, sia a cooperare, con i risultati schizofrenici che sono sotto gli occhi di tutti. Una legge che ha prodotto una legislatura con tre governi diversi, maggioranze diverse, orientamenti politici diversi.
Ma c'è di peggio. Il Parlamento-legislatore, in questo quinquennio, è stato pressoché assente: solo un quinto della legislazione è stato di iniziativa parlamentare e la metà degli atti con forza di legge è stata costituita da decreti - legge, cioè da provvedimenti governativi, che il Parlamento deve esaminare in tempi ristretti, perché dettati da necessità e urgenza. I numeri dell'attività legislativa del Parlamento diminuiscono ulteriormente se si considera che una buona parte delle altre leggi è costituita da atti «dovuti», quali le leggi di bilancio e quelle di ratifica di trattati internazionali. Inoltre, i governi hanno posto la questione di fiducia su decreti-legge 107 volte. A un governo la fiducia basterebbe, secondo la Costituzione, una volta sola, subito dopo la nomina.
Quindi, sei volte nei cinque anni passati, nei due rami del Parlamento, per i tre governi che si sono succeduti. Ma se il governo pone la questione di fiducia su una norma e ottiene un voto favorevole, il testo è approvato e tutti gli emendamenti parlamentari respinti. La questione di fiducia viene usata per compattare la maggioranza di governo, evitare l'ostruzionismo e i «franchi tiratori», e quindi accelerare l'approvazione delle proposte del governo.
Un numero così alto di questioni di fiducia è il sintomo di una disfunzione del sistema parlamentare: il governo funziona sempre meno come comitato direttivo della maggioranza parlamentare o non sa «negoziare» con la sua maggioranza, e deve quindi ricorrere alla questione di fiducia per far cessare le voci dissenzienti.
Dunque, il governo è diventato legislatore e strozza sempre più la discussione parlamentare, nel corso della conversione in legge dei decreti-legge, con il ricorso alla questione di fiducia.
Questo non vuol dire, però, che il Parlamento resti afono. Bisogna pagare un costo di questo vistoso spostamento dei poteri dalle assemblee all'esecutivo: i decreti-legge crescono di due terzi durante il tragitto parlamentare.
Se le leggi le fa il governo, bisogna pur dare un contentino al Parlamento, lasciando che i parlamentari, ridotti a fare un mestiere diverso, gonfino i decreti-legge con disposizioni settoriali o microsettoriali, che rispondono alle richieste delle loro «constituencies» e preservano il loro potere negoziale.
Il quadro delle disfunzioni non termina qui. Si aggiungono altri protagonisti, i gabinetti ministeriali e le amministrazioni pubbliche. Questi si muovono in due diverse direzioni. Da un lato, cercano di spostare alla sede parlamentare decisioni che dovrebbero essere prese dalle burocrazie. Queste sono intimorite dalle originali e spesso eccessive iniziative di procure, penali e contabili, e mirano a trovare uno scudo nella legge (di conversione di decreti-legge). Dall'altro, anche le amministrazioni pubbliche sono composte da donne e uomini con le loro debolezze, aspirazioni, esigenze, e non è difficile per esse trovare una voce in uno o più parlamentari ben disposti.
L'ultimo tratto di questo circolo vizioso è stato segnalato dal senatore Andrea Cangini in un documentato ed appassionato discorso parlamentare, in occasione della conversione del decreto-legge 36 del 2022 per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ha osservato: l'interlocutore del Parlamento sono le strutture tecnico-amministrative che appoggiano o dovrebbero appoggiare le azioni del governo, gli «apparati burocratici e le alte burocrazie che rappresentano un potere in sé». «L'impressione è che l'interlocutore del Parlamento sia, per esempio, la Ragioneria generale dello Stato». Cangini ha aggiunto: è vero che la politica è in crisi, ma l'autocefalia amministrativa è «un limite enorme all'esercizio democratico del potere da parte del Parlamento della Repubblica», uno squilibrio costituzionale, una «intollerabile umiliazione al potere legislativo».
Dunque, governo legislatore, Parlamento-legislatore interstiziale (in sede di conversione dei decreti-legge), ricorso alla fiducia per strozzare i tempi e i poteri parlamentari, registi fuori del Parlamento.
È un gioco in cui tutti perdono. Il governo che legifera, invece di indirizzare. Il Parlamento-legislatore interstiziale. L'amministrazione sempre più vincolata da troppe norme. I guardiani dello Stato distolti dalla loro autentica funzione. La collettività che paga un costo complessivo altissimo in termini di conoscibilità delle norme, di vincoli da esse disposti, di costi. I guasti che ho cercato di descrivere non sono cominciati dal 2018, ma si sono accentuati nell'ultima legislatura.
Dipendono da incuria per le istituzioni. Anche queste richiedono manutenzione. I governi dovrebbero rafforzare i loro legami con le maggioranze parlamentari che li sostengono. I parlamentari dovrebbero pianificare la loro attività legislativa, ridurre invece di aumentare il numero delle norme (se ogni nuova legge ne abrogasse almeno cinquanta, si potrebbe forse uscire dal labirinto legislativo), scoprire la codificazione a diritto costante, che tanto successo ha avuto in Francia, su iniziativa del Consiglio di Stato, che in Italia rema invece nella direzione opposta. Le procure dovrebbero applicare le leggi, non riscriverle con interpretazioni creative. I guardiani dell'amministrazione ritornare nei ranghi, aiutando una classe politica complessivamente debole a migliorarsi, piuttosto che tenerla sotto il giogo.
Mezze verità sulla legge elettorale. I giallorossi litigano sul Rosatellum. DANIELA PREZIOSI su Il Domani il 07 settembre 2022
A sinistra volano stracci anche sulla riforma, ormai senza padri. Iv nega responsabilità. M5s contro Letta, anche Calenda attribuisce al Pd le scelte di Matteo Renzi.
Gli atti parlamentari diventano un’opinione, e un’occasione di fare volare gli stracci. Nel litigio si perdono le impronte e sul Rosatellum, che ha il nome, questo almeno è incontestabile, di Ettore Rosato, deputato e coordinatore di Italia viva.
Durante il governo Draghi furono gli sherpa del Pd a provare a convincere Lega e Forza Italia alla riforma. In un primo momento gli emissari di Salvini – e cioè il senatore Calderoli – lasciarono intendere una disponibilità. Che poi fu ritirata.
Gli dei accecano quelli che vogliono perdere e nell’area opposta allo schieramento delle destre, dato per favoritissimo dai sondaggi – che per legge dal 10 settembre non potranno essere più pubblicati – siamo ormai al tutti contro tutti. Pd, M5s e terzo polo stavolta litigano sulla legge elettorale. Gli atti parlamentari, che certificano chi ha fatto cosa in parlamento, dunque di chi sono le impronte sul Rosatellum – dal nome, questo almeno è incontestabile, di Ettore Rosato, deputato e coordinatore di Italia viva - diventano un’opinione. E l’occasione per far volare gli stracci.
La polemica nasce dall’«allarme per la democrazia» lanciato da Enrico Letta martedì all’avvio della campagna elettorale Pd. Il segretario ci torna da radio Rtl 102.5: «La democrazia non è a rischio se vince la destra, ovviamente. Il nostro sistema regge, reggerà, vinca la destra o vinca la sinistra», spiega meglio, l’allarme è perché «il sistema elettorale che ha voluto Renzi alcuni anni fa, il Rosatellum, può consentire alla destra un risultato sotto il 50 per cento dei consensi» ma una vittoria «con il 70 per cento della rappresentanza parlamentare».
Per Letta il Rosatellum è una «pessima legge», e su questo è d’accordo con Giorgia Meloni: «Renzi lo impose pensando a se stesso. Pensava di avere il 40 per cento e di prendersi il 70 del parlamento». Letta spinge sul tasto del maggioritario, «vuol dire che nei collegi uninominali chi vota per il terzo Polo o M5S sostanzialmente favorisce la vittoria della destra».
A questo punto prende la parola Giuseppe Brescia, il grillino presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera. «Teatrino ridicolo», quello di Letta, dice, «All’inizio del 2020, d’intesa coi partiti dell’allora maggioranza e dopo un confronto con le opposizioni, ho presentato una riforma semplice, di stampo proporzionale», «un testo aperto alla discussione su cui il Pd ha voluto accelerare durante la campagna referendaria per la riduzione del numero dei parlamentari.
Dopo la vittoria del sì, invece, fu il nulla cosmico». Brescia omette di dire che a fermare quel testo fu Iv, che cambiò il voto dal sì, in commissione, alla minaccia del no in aula.
Si scatena la contraerea del Pd, nella solitamente mite persona di Andrea De Giorgis, responsabile riforme. Ricostruzione «incredibile», Brescia dimentica «con quanta determinazione abbiamo cercato di far maturare le condizioni per una riforma condivisa», il M5s «dimostra un’incomprensibile coazione a ripetere scorrettezza e falsità».
Entra in ballo Iv, il cui fondatore aveva ideato quell’Italicum poi abbattuto dalla Consulta. Parla Maria Elena Boschi, a sua volta indimenticabile madre della riforma costituzionale bocciata dal referendum del 2016 (il padre era l’allora premier Renzi): Letta «mente», attacca, «la legge su cui il governo Renzi ha messo la fiducia era l’Italicum. Il Rosatellum fu frutto di un accordo di Pd, Forza Italia e Lega e la fiducia fu messa dal governo Gentiloni».
A confondere ancora di più le acque ci si mette Carlo Calenda: tutta colpa del Pd che non ha fatto rispettare le condizioni per il sì al taglio dei parlamentari, alla nascita del governo giallorosso: «Il taglio dei parlamentari lo avete votato per sudditanza morale e culturale ai Cinque stelle, e poi non avete fatto nulla. Non prendere in giro gli elettori.
Dopo due anni di giuramenti di fedeltà ai Cinque stelle non ho ancora sentito una parola di scuse per i danni fatti».
Peccato che il primo sì, pubblico, e clamoroso, a fine agosto 2019, nel pieno delle trattative per la nascita del governo giallorosso, fu del suo sodale Renzi.
LE MEZZE VERITÀ DI TUTTI
Basterebbe appunto sfogliarsi gli atti parlamentari, e qualche giornale, per ricostruire com’è davvero andata. Il proporzionale su cui c’era un accordo giallorosso fu stoppato da Iv alla camera. Né di proporzionale parlavano i patti stretti da Pd e M5s e Leu come merce di scambio per l’indigesto sì al taglio dei parlamentari, che Di Maio e Conte misero sul tavolo come condizione irrinunciabile per la nascita del governo. Nel marzo del ‘21 Enrico Letta arrivò alla segreteria Pd e iniziò una lenta conversione al proporzionale: sarebbe stato un cambio radicale per il Pd maggioritarista (e con molti maggioritaristi sommergibili all’interno).
Durante il governo Draghi furono proprio gli sherpa del Pd a provare a convincere Lega e Forza Italia alla riforma. In un primo momento gli emissari di Salvini – e cioè il senatore Roberto Calderoli – lasciarono intendere una disponibilità. Che poi fu ritirata quando si accorsero che la competizione con Fdi, con il proporzionale, sarebbe stata mortale.
Nel novembre del ‘21 i retroscena però riferivano di un asse Letta-Meloni contro il proporzionale. Sul primo non erano precisi. Sulla seconda sì: Lega e Fi erano al governo, e la presidente Fdi fiutava che, senza una coalizione, davanti a lei la porta di palazzo Chigi non si sarebbe mai aperta.
DANIELA PREZIOSI
Cronista politica e poi inviata parlamentare del Manifesto, segue dagli anni Novanta le vicende della politica italiana e della sinistra. È stata conduttrice radiofonica per Radio2, è autrice di documentari, è laureata in Lettere con una tesi sull'editoria femminista degli anni Settanta. Nata a Viterbo, vive a Roma, ha un figlio.
(ANSA il 12 agosto 2022) - Sono il Partito liberale Italiano, il Maie (Movimento associativo italiani all'estero) e il Sacro Romano Impero cattolico "e pacifista" i primi tre a depositare i simboli al Viminale per la tornata elettorale del 25 settembre. Ora entreranno per gruppi di 5.
Emanuela Minucci per “La Stampa” il 12 agosto 2022.
Mentre è il crepitio della fiamma tricolore (che ancora campeggia accanto alla scritta Fratelli d’Italia) ad accendere la querelle sui simboli che finiranno sulla scheda elettorale c’è chi si impegna a fondo per non passare inosservato. E ci riesce, a costo di far parlare di sé, anche solo per lo spazio di una battuta. Insomma, il «famolo strano» anche sulla scheda – almeno il giorno del debutto – funziona.
Oggi, 12 agosto è la giornata in cui parte la presentazione ufficiale dei simboli al Viminale. E cominciano davvero a vedersene di ogni: dai contrari alle armi, a favore della pace e della cristianità al Movimento dei Gilet Arancioni sino al Sacro Romano Impero Cattolico.
Vietato ironizzare: «Siamo un partito per la fratellanza e per la pace. Il nostro riferimento è il Cristo ma ci rivolgiamo anche agli atei e ai laici. Siamo contro l'invio di armi in Ucraina e contro tutte le guerre» spiega la fondatrice del Sacro Romano Impero Cattolico Mirella Cece. E aggiunge: «Il nostro simbolo richiama il fatto che l’Italia è il Paese della pace, la cui capitale - Roma - è il centro della cristianità».
C’è una buona dose di pacifismo anche nel partito dei Gilet arancioni: «Siamo contro ogni guerra e per la pace, non possiamo mandare le armi in Ucraina e vogliamo anzi proclamare Roma città santa» ha detto il leader Antonio Pappalardo. Massima fantasia grafica: nella lista «Free» compare un uomo stilizzato dare un calcio a una testa di Pinocchio, mentre nella lista «Movimento Poeti d'Azione» spiccano una spada e una penna.
In fila per il deposito del simbolo, al Viminale, non solo funzionari ma anche esponenti di partito. Per la Lega, a esempio, il senatore Roberto Calderoli e il deputato Andrea Crippa. Poi Clemente Mastella che presenta il suo contrassegno «Noi di Centro» europeisti. Per Azione e Italia Viva direttamente il vicesegretario del partito di Carlo Calenda.
Poi l’ex M5s Dino Giarrusso con il suo simbolo che ricorda gli speciali tg degli anni 70 «Sud chiama nord». Tra i più audaci «Il partito della follia», con il leader vestito da santone che distribuisce santini inneggianti alla folie au pouvoir.
I primi a depositare il simbolo sono stati i Liberali del Pli guidati da Stefano De Luca, seguiti da Maie e lista Sacro Romano Impero. Fra i maggiori partiti, la Lega si è piazzata nona: l’uomo delle questioni elettorali del Carroccio, Roberto Calderoli si è messo in coda un po’ prima delle 8 quando l’Ufficio elettorale ha aperto le porte.
Niente di nuovo sotto la scritta Pd, rassicurante e uguale a se stessa da decenni, mentre la Lega ha scelto di mettere nel cerchiolino magico, scritto bello grosso, il nome del suo «special one» Matteo Salvini.
Da ansa.it il 14 agosto 2022.
Sono in tutto 101 i contrassegni depositati al Viminale per concorrere alle elezioni politiche in programma il 25 settembre.
Il tempo utile per presentare i simboli è terminato alle ore 16 di oggi.
I simboli sono stati presentati da 98 soggetti politici.
Per la scorsa tornata elettorale del 2018 il ministero dell'Interno esaminò 103 contrassegni depositati e ne ammise 75.
Ora parte l'attività istruttoria del Viminale. Entro 48 ore, ovvero entro la mezzanotte del 16 agosto, verranno notificati gli ammessi e i ricusati, poi saranno concesse altre 48 ore per presentare le eventuali integrazioni, modifiche richieste, o ricorsi. La partita dei simboli al Viminale dunque si chiuderà definitivamente il 18 agosto. Poi la Cassazione avrà quindi altri due giorni per decidere sugli eventuali ricorsi: dunque il ministero dell'Interno entro il 20 agosto comunicherà alle Corti di Appello i nomi dei rappresentati per le liste. Dopodiché i partiti promossi dovranno presentare, il 21 e 22 agosto, la lista dei candidati nei tribunali e nelle Corti d'appello dei capoluoghi.
Tra gli ultimi simboli depositati arriva anche Italiani con Draghi - Rinascimento, unico logo con il nome del presidente del consiglio: oltre alla scritta Italiani con Draghi il simbolo è corredato da una striscia tricolore.
Il premier Mario Draghi non era al corrente del simbolo Italiani con Draghi, fa sapere Palazzo Chigi in riferimento ai requisiti di trasparenza del simbolo che, a questo punto, potrebbero non essere soddisfatti portando anche all'annullamento.
L'ultimo contrassegno presentato è il simbolo di Italia dei Diritti, mentre stamani il primo simbolo affisso in bacheca è stato quello della lista 'Peretti-Democrazia Cattolica liberale', sempre con lo scudo crociato. Il secondo contrassegno depositato oggi è invece quello dell'ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, 'Unione Popolare con de Magistris'. Affisso al Viminale anche un secondo simbolo di de Magistris, 'Up con De Magistris': dentro i loghi di Dema, Manifesta, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo.
Marco Rizzo, Antonio Ingroia ed Emanuele Dessì hanno depositato al Viminale il contrassegno elettorale della lista 'Italia Sovrana e Popolare'. "Vogliamo un'Italia sovrana e popolare, come dice il nostro simbolo. Il capo politico è Giovanna Colone, una lavoratrice della scuola che è stata sospesa per la vicenda del vaccino. Abbiamo voluto impersonificare quello che noi vogliamo rappresentare: una del popolo che ha sofferto", ha detto Rizzo. Toscano ha invece assicurato che completeranno "a breve la raccolta firme.
C'è un entusiasmo incredibile. Possiamo contare sul sostegno di tantissima gente che in tutta Italia ha preso d'assalto i nostri banchetti", annunciando che "tutti e quattro" i presenti al Viminale "saranno candidati". Dessì infatti si presenterà al Senato, mentre Rizzo, Ingroia e Toscano alla Camera. Perché votare Italia Sovrana e Popolare e non Italexit? "Paragone - dice Toscano - ha sempre espresso una posizione atlantista, non ho mai sentito da lui esprimere la necessità di aprire una stagione multipolare. Il nostro nemico comunque è Draghi - ha ribadito il presidente di Italia sovrana - e il sistema che ha chiuso gli italiani in casa".
Depositato oggi anche il simbolo di +Europa, che alle prossime elezioni si vedrà in coalizione con Pd, Alleanza Verdi Sinistra e Impegno civico. Nel contrassegno, come nel 2018, depositato dalla tesoriera Maria Saeli, si legge '+Europa con Emma Bonino', indicata come capo politico del partito.
Se fossero rimasti con Calenda "sarebbe stato simile", con i nomi dei leader dei due partiti. Da quanto si è appreso, tra +Europa e il Pd è rimasto valido l'accordo siglato quando ancora si era in coalizione con Carlo Calenda. "Per quanto riguarda i collegi uninominali di fascia alta, quelli dove l'elezione è più probabile con il Pd resta l'accordo" già siglato, "ovvero il partito di Bonino esprimerà il 30% dei candidati", ha ricordato la tesoriera del partito.
Saeli inoltre ha ribadito che Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi saranno sicuramente candidati. "Abbiamo presentato anche il nostro programma - ha detto Saeli - frutto sia dei nostri tavoli tematici e del lavoro sul territorio, sia del 'programma con l'Italia' fatto da Carlo Cottarelli", ha detto la tesoriera aggiungendo: "Cottarelli ha scritto gran parte del nostro programma si candiderà sicuramente nell'uninominale e forse anche nel proporzionale", ha detto Saeli, che alla domanda se sarà anche lei candidata nella lista, ha risposto: "Vediamo"
Marco Cappato ha depositato e affisso al Viminale il simbolo per le elezioni politiche: Referendum democrazia con Cappato. Il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, leader della lista ha ribadito che intende raccogliere le firme solo con modalità digitale. "Siamo partiti con una marcia dal Quirinale e ci appelliamo al presidente del Consiglio Mario Draghi perchè le elezioni non siano antidemocratiche.
Servono 60mila firme per poter partecipare alle elezioni e chiediamo di poter utilizzare quelle digitali per rivitalizzare la democrazia. Come già accade per i referendum, le firme digitali devono essere valide per partecipare alle elezioni politiche", ha detto Cappato dopo il deposito sottolineando che raccoglierà le firme "solo in modalità digitale", chiedendo a Draghi di "equiparare referendum ed elezioni politiche".
La raccolta firme digitali o con spid potrà essere effettuata sul sito listareferendumedemocrazia.it. "Per togliere ogni dubbio" e far ammettere le firme raccolte Cappato ha poi aggiunto: "Chiediamo al presidente Draghi una interpretazione della norma. Se dovesse accadere che le firme non vengano riconosciute abbiamo già pronti i ricorsi che presenteremo in tutte le sedi nazionali e internazionali", ha annunciato Cappato. "Evidentemente il problema non è raccogliere le firme ma sono le condizioni e gli ostacoli che vanno rimossi all'esercizio della democrazia del nostro paese", ha concluso.
Elezioni politiche, depositati 101 simboli. Spunta anche "Italiani con Draghi". Il Tempo il 14 agosto 2022
Si è chiusa la corsa per la presentazione dei simboli al Viminale: in tutto in vista del voto del 25 settembre sono stati depositati 101 contrassegni. Oggi è stata la giornata di +Europa con Emma Bonino, di Peretti-Democrazia Cattolica liberale (primo a varcare la soglia del ministero dell'Interno in mattinata), a seguire Unione Popolare con De Magistris e Referendum e democrazia di Marco Cappato. È tuttavia il simbolo con Italiani con Draghi-Rinascimento a rendere "interessante" l'ultimo tabellone che espone i contrassegni a chiusura.
Un'iniziativa, filtra da palazzo Chigi, del tutto personale che non ha ricevuto "l'avallo del presidente del Consiglio" il quale "non era stato informato tantomeno ne era a conoscenza". Insomma la popolarità dell'ex capo della Bce - che ora si attesta al 56% secondo solo al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (60%) - si è concretizzata in un simbolo elettorale, ma non avendo l'autorizzazione del diretto interessato, molto probabilmente non sarà ammesso. Il verdetto del ministero, infatti, è atteso per il 16 agosto e ci sarà tempo fino al 17 per presentare ricorso.
Completato il primo adempimento di deposito di simboli, programmi e dichiarazioni di apparentamento, ora i partiti sono concentrati per la formazione delle liste. Domani dovrebbe svolgersi la direzione del Partito democratico, convocata dal segretario Enrico Letta alle 11, ma diverse voci "ipotizzano" uno slittamento di un giorno, forse due. Al Nazareno si starebbe ancora discutendo e il processo dell'assegnazione dei collegi deve riuscire a mettere d'accordo le richieste interne al partito con gli accordi presi con gli alleati di coalizione.
Un clima frizzante che ha registrato la prima porta sbattuta. Dario Stefàno, in un post sui social al vetriolo, ha infatti lasciato i dem accusando il partito di aver commesso una "serie di errori di valutazione che sta continuando ad inanellare". Tra conferme e uscite di scena - più o meno consensuali - (tra i nomi ormai confermati ci sono Elly Schlein, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carlo Cottarelli), sembrerebbe chiusa la partita per il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che correrà nel proporzionale, collegio Lazio 1. Ancora da decidere se alla Camera o al Senato. Sotto l'ala della lista 'Democratici e progressisti', certa ormai la presenza dei big Roberto Speranza, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, mentre fanno discutere le probabili collocazioni di Federico D'Incà (Veneto) e Davide Crippa (Campania).
Nel Terzo polo ormai certa la corsa di Matteo Renzi in Senato (in diversi listini) e Carlo Calenda a Roma per la Camera. Giuseppe Conte invece si è candidato nel collegio Lazio 1 alla Camera. Proprio dalla galassia 5Stelle è stato reso noto il programma, accompagnato da un video sui social del leader pentastellato: "Questo è un momento cruciale, bisogna scegliere da quale parte stare. Se dalla parte dei pochi, pochissimi che comandano l'Italia. Sono i potentati economici, sociali e politici che controllano da tempo il Paese e che non vogliono il cambiamento. Oppure stare dall'altra parte", scandisce l'avvocato pugliese parlando direttamente agli elettori. Di nove punti la proposta del Movimento (gli stessi che erano presenti nel documento della discordia presentato a Mario Draghi).
Si va dalle ricette sul fisco con Cashback fiscale; cancellazione definitiva dell'Irap; il taglio del cuneo fiscale per imprese e lavoratori; la cessione dei crediti fiscali strutturale (stabilizzando l'innovativo meccanismo che ha decretato il successo del Superbonus) alla maxirateazione delle cartelle esattoriali. Tra le misure per i lavoratori e il welfare il salario minimo e lo stop a stage e tirocini gratuiti.
Nel centrodestra, invece, il silenzio è quasi tombale. Le liste sono tutte da completare e si utilizzerà fino all'ultimo giorno utile (il 22 agosto alle 20) per comporre il puzzle. Tra le fila del Carroccio nomi noti come quello di Maria Giovanna Maglie e Annalisa Chirico dovrebbero essere presentati in una conferenza stampa a Roma in settimana, mentre da Fratelli d'Italia non sono ancora confermate le candidature dei due giornalisti Gennaro Sangiuliano e Clemente Mimun, e dell'ex pm Carlo Nordio. E in Forza Italia? Per ora la certezza si ha solo su Adriano Galliani e Renato Schifani, fuori dalla corsa per le prossime elezioni. Berlusconi dirà l'ultima parola sulle liste, come ha sempre fatto, per ora la sua preoccupazione è quella di sfatare qualsiasi malignità che lo vedrebbe architettare le dimissioni di Mattarella per favorire lui stesso. "Io al Quirinale? È assolutamente fuori dalla mia testa", assicura. Almeno fino alla prossima 'pillola' elettorale.
La carica dei 101 contrassegni. In corsa pure un (finto) Draghi. Palazzo Chigi disconosce le formazioni col nome del premier. Sono 98 i soggetti in corsa, 48 ore per i controlli. Lodovica Bulian il 14 agosto 2022 su Il Giornale.
La carica dei 101 simboli e dei 98 soggetti politici aspiranti candidati alle elezioni del 25 settembre. Sono stati depositati tra venerdì e ieri al Viminale che entro 48 ore dovrà vagliare l'elenco e accendere il semaforo verde o rosso per decidere così chi potrà correre alle Politiche. Ci saranno ulteriori due giorni per presentare eventuali integrazioni, modifiche o ricorsi. Dopo l'agenda Draghi, il nome del premier continua a essere protagonista della campagna elettorale, ma più che tirato per a giacchetta, usato come slogan pro o contro. Tra gli ultimi simboli depositati c'è «Italiani con Draghi - Rinascimento», unico logo con il nome del presidente del consiglio, accompagnato da una striscia tricolore. Un'iniziativa che «non ha nessun avallo» da parte di Draghi che «non era al corrente», fanno sapere da Palazzo Chigi. Motivo per cui potrebbe non essere ammesso, dato che le regole non consentono di presentare nel simbolo un nome senza il consenso del diretto interessato. «Il nostro nemico è Draghi e il sistema che ha chiuso gli italiani in casa», dicono invece Marco Rizzo, Antonio Ingroia ed Emanuele Dessì a scanso di equivoci, spiegando il loro simbolo «Italia sovrana e popolare». Sembra essere tornata tanta voglia di Dc al centro: da Libertas allo scudo crociato di «Noi moderati» al «Noi di Centro» di Clemente Mastella che rivendica di essere «l'ultimo erede, ancora presente nelle istituzioni democratiche, dei valori della Democrazia Cristiana».
«Quest'anno ci sono stati meno personaggi curiosi che hanno presentato il simbolo: alcuni di questi sono effettivamente nuovi, altri invece sono già consolidati, come Mirella Cece, depositaria e fondatrice del Sacro Romano Impero Cattolico», spiega all'Adnkronos Gabriele Maestri, giurista ed esperto di simboli, che nota anche una «discreta simbologia della Prima Repubblica che resiste, come il Partito Repubblicano Italiano con il suo simbolo storico, l'edera, o chi la reinterpreta, come il Partito Comunista Italiano o il Partito Liberale Italiano il cui simbolo è presente due volte. Ci sono poi dei simboli ufficiali collettivi - continua Maestri - che correranno alle elezioni legati alla possibilità dell'esenzione dal raccogliere firme o per cercare di raggiungere il 3% come Noi Popolari, ma anche Centro Democratico di Tabacci che ha permesso di non raccogliere firme a Impegno Civico di Di Maio, oppure Azione di Calenda che può presentarsi alle elezioni grazie a Italia Viva».
Molti sono rimasti gli stessi dell'ultima corsa, con piccole variazioni. Più Europa ha il contrassegno uguale a quello del 2018, col nome di Emma Bonino, indicata anche come capo politico. I big invece hanno confermato i simboli tradizionali, con la leader di Fratelli d'Italia che dopo le polemiche si dice fiera di mantenere la fiamma nel logo. Poi ci sono il M5s, con il suo solito «rosso», ma senza il nome di Conte, e il Pd che stavolta aggiunge al simbolo di sempre la scritta «Italia democratica e progressista». Stesso logo delle ultime elezioni anche per la Lega, «con Salvini Premier», a chiarire le ambizioni del leader. Non cambia neanche Forza Italia con Berlusconi presidente, ma aggiunge il riferimento al "partito popolare europeo" nel simbolo: è la prima volta di un rimando alla famiglia europea in una competizione nazionale. Il terzo polo di Calenda e Renzi, porta, come da accordi tra i due, il nome del leader di Azione nel contrassegno.
Ci sono poi i simboli dell'ex magistrato Luca Palamara, che non ha nascosto negli ultimi tempi l'aspirazione politica, e quelli di vecchie conoscenze come Adinolfi e l'ex Casapound Di Stefano. Tra le stravaganze di ogni elezione si registrano il Partito della Follia del sedicente sessuologo dottor Seduction, la Rivoluzione Sanitaria di Panzironi, quello della presunta dieta-curativa, i Gilet Arancioni e i Forconi, Vita della no vax Sara Cunial, il Partito delle Buone Maniere.
Filippo Ceccarelli per “Venerdì – la Repubblica” il 29 agosto 2022.
Eccola di nuovo, la follia: inconfondibilmente italiana, ma stavolta accettata e vidimata. Nel gran teatro dei contrassegni elettorali allestito l'altra settimana davanti al ministero dell'Interno un posticino di riguardo neurovisivo se l'è ritagliato senz' altro il "Partito della follia", scritto in grande, e sotto, minuscolo, "creativa", nel cui simbolo compare la caricatura del fondatore, il dottor Giuseppe Cirillo da Caserta, avvinghiato a una sirena.
Noto ai maniaci della micropolitica fin dal secolo scorso con l'auto-nomignolo di "Dottor Mandrillo", Cirillo è un accorto performer già inventore del "Partito delle buone maniere", poi alla testa di un certo numero di liste di ordinaria sessuomania dedite alla distribuzione gratuita di preservativi poi trasformatesi nel partito degli "Impotenti esistenziali". Fuori dal Viminale ha inscenato una specie di matrimonio con una creatura in abito da sposa, incarnazione della suddetta sirena, che però il cappellaccio e la mascherina rendevano un po' sinistra.
Chi voglia saperne di più, di Cirillo e degli altri eccentrici demiurghi dei più assurdi partitini, può utilmente consultare il ricchissimo blog e le diramazioni social del massimo curioso e studioso dell'effervescente materia, Gabriele Maestri (isimbolidelladiscordia.it), che da anni con spirito di lieto sacrificio partecipa a quel mondo di effervescente eccentricità.
Quest' anno ha contato quattro Dc e sei scudi crociati; ha ritrovato l'estetica cotonata di Mirella Cece e del suo Sacro Romano Impero Liberale e Cattolico, pure beandosi del formidabile acronimo "Pa.pa.ri.n.i" che s' è attribuito una formazione neorisorgimentale, pure notando come nel confuso accumulo di scritte che saturano l'emblema del Movimento per l'Instaurazione del Socialismo Scientifico Cristiano compaia l'appello "Better call Pierluca", inteso come l'avvocato Pierluca Dal Canto, presidente e ideologo.
Ora, tutto ciò può essere etichettato come follia, ma a patto di considerare quest' ultima, specie in politica, come qualcosa che porta alla luce gli umori, i sommovimenti e le fermentazioni dell'inconscio sociale e individuale. Con spirito di rassegnata curiosità e uno sguardo di allegra comprensione per il dottor Cirillo e il suo elogio della pazzia, vale dunque osservare sotto questa luce, oltre alla caduta del governo Draghi sull'inceneritore di Santa Palomba: il bacio di Calenda a Letta, il carteggio Morgan-Meloni, le finte nozze di Berlusconi, le peripezie statutarie e i criptici post di Grillo, il dialogo social tra Salvini e le mucche, l'appoggio del Psdi a Di Maio, la disputa sullo Xanax fra le ministre di Forza Italia. «Nel più pazo laberintho», sosteneva Francesco Guicciardini, ora e sempre sotto quel segno tutto nostro.
Elezioni, 14 partiti esclusi: ecco quali sono. Federico Garau il 16 Agosto 2022 su Il Giornale.
Comunicate i simboli che non potranno partecipare alle elezioni perché non sono ritenuti idonei. Fra queste, il movimento di Palamara e il simbolo in cui veniva menzionato il nome di Mario Draghi.
È corsa alle elezioni politiche del sempre più vicino 25 settembre 2022, ma per alcune compagini l'avventura finisce già qui. Domenica 14 agosto sono state presentate al Ministero dell'Interno gli ultimi simboli dei movimenti politici, ma non tutti potranno partecipare alla competizione politica. Ad oggi si apprende che 14 contrassegni depositati al Viminale non sono stati ritenuti idonei, e per tali ragioni non saranno ammessi alle elezioni di settembre.
Come c'era da aspettarsi, fra i simboli eliminati c'è "Italiani con Draghi-Rinascimento", la lista in cui è stato inserito il nome dell'ex presidente del Consiglio senza però il suo avvallo. La presentazione di un simbolo che riporta un nome senza il consenso del diretto interessato viola la regolamentazione di trasparenza, pertanto la decisione del ministero dell'Interno non giunge inattesa.
Presentati i simboli. E in uno spunta il nome di Draghi...
Eliminata dall'agone politico anche la lista dell'ex presidente dell'Anm Luca Palamara, che aveva il nome di "Palamara Oltre il Sistema". Seguono poi Partito Liberale Italiano, Movimento Politico Libertas, Sud chiama Nord (in questo caso la lista è stata ritirata), Partito Pensionati al Centro, Democrazia Cristiana, Pensiero e Azione Ppa, L'Italia s'è desta, Lega per l'Italia, Partito Federalista Italiano, Movimento per l'instaurazione del socialismo scientifico cristiano - No alla cassa forense, Democrazia Cattolica Liberale e Up con De Magistris.
Sono 14, dunque, le liste eliminate, anche se nel corso di questa settimana sarà comunque possibile presentare dei ricorsi. Entro sabato 20 agosto, in ogni caso, tutti i nomi correlati di firme saranno comunicati alle Corti di Appello e da sabato scatteranno i canonici 30 giorni di campagna elettorale.
Francesco Boezi per “il Giornale” l'11 agosto 2022.
Il cosiddetto effetto flipper è un pensiero in grado di accompagnare le segreterie di partito durante la composizione delle liste. I dirigenti delle formazioni politiche che volessero la certezza di poter controllare la natura blindata di un seggio dovrebbero prendere in considerazione questa possibilità: un rimbalzo imprevisto, una sorta di variabile dipendente che può sconvolgere qualche piano. Certo: qualcosa può sfuggire, magari più di qualcosa, anche ai più preparati.
Il professor Alfonso Celotto, costituzionalista e ordinario di Diritto costituzionale, chiarisce in cosa consista il fenomeno in questione: «L'effetto flipper - spiega al Giornale - è uno degli aspetti di dettaglio del Rosatellum. Come sappiamo, il cuore della legge è l'uninominale. Poi, però, c'è anche il proporzionale, rispetto al quale bisogna tenere conto dei famosi listini, quelli bloccati da due-quattro persone. Cosa può accadere? Che uno di questi listini - annota - non copra il numero di eletti previsti in base al numero di voti ottenuti. Se il listino non è sufficiente a coprire il numero di eletti previsto, i seggi vengono assegnati nei collegi vicini. Un fenomeno che è accaduto con il M5S». E ancora: «E ci furono anche parecchi ricorsi. Al netto di tutto - conclude Celotto - , voglio dire che l'Italia avrebbe bisogno di una legge elettorale semplice, com'era il proporzionale puro».
Il dibattito sulla legge elettorale - come sappiamo ha interessato la fase finale della legislatura, che è tuttavia poi volta al termine con le dimissioni del governo Draghi. La possibilità che l'effetto flipper si inneschi riguarda soprattutto la Camera dei deputati ma può interessare, anche se non allo stesso modo, il Senato, dove - come spiegato da YouTrend - l'effetto flipper può intervenire per le circoscrizioni che prevedono collegi plurinominali.
Non è semplice calcolare quanti e quali effetti avrà l'effetto flipper sulle imminenti elezioni politiche. Salvatore Vassallo, presidente dell'Istituto Cattaneo e professore di Scienza Politica, fa una previsione condita da una premessa: «Va detto che l'effetto flipper - esordisce - non è una carognata di chi ha scritto la legge. È inevitabile per contemperare da un lato la ripartizione proporzionale dei seggi tra le liste su base nazionale (Camera) o regionale (Senato) e dall'altro l'assegnazione di un numero di rappresentanti ad ogni territorio proporzionale alla popolazione». E ancora: «Alla fine, in caso di contrasto, la legge deve dire quale dei due principi deve prevalere e la Rosato fa prevalere il principio della proporzionalità tra le liste».
Poi anche Vassallo spiega il meccanismo, con tanto di ulteriori aspetti: «Se dopo aver distribuito i seggi proporzionalmente tra le liste all'interno di ciascun collegio plurinominale ci sia accorge che, nel totale, un partito ne ha ottenuti più del dovuto, glieli si deve togliere in quei collegi in cui li aveva presi pagandoli con meno voti, per darli ai partiti che, in prima battuta, ne avevano presi meno del dovuto. Se lo scambio non si può fare dentro la stessa circoscrizione - ha fatto presente - , si deve andare in altre, anche alterando il numero dei seggi assegnato a ciascun territorio».
Ma quale sarà il peso effettivo su queste elezioni? «Questo - chiosa - rende imprevedibile e bizzosa l'assegnazione di alcuni seggi, crea comprensibili nevrosi tra i diretti interessati, ma è inevitabile, se si vuole mantenere la proporzionalità del sistema, e gli effetti politici a essere onesti sono marginali». Dunque l'effetto flipper non sconvolgerà il risultato dell'appuntamento elettorale del prossimo 25 settembre ma farà sì che qualche «diretto interessato» debba attendere prima di conoscere il futuro del suo cammino politico
Bocciata la lista di Cappato consegnata su chiavetta. Il Domani il 23 agosto 2022.
Cappato ha già annunciato ricorso e spera che sulla questione intervenga anche il premier Draghi. A favore delle firme raccolte con Spid si sono espressi il responsabile Innovazione di Fratelli d'Italia Federico Mollicone e la senatrice Pd Valeria Valente, capogruppo in commissione Affari Costituzionali
«Le Corti d’Appello dove ieri sono state depositate le firme digitali a sostegno delle candidature della lista Referendum e Democrazia hanno deciso di escludere la nostra presenza alle elezioni del 25 settembre». È quanto afferma Marco Cappato dopo che ieri sera, poco prima della scadenza per la consegna delle liste elettorali, Referendum e democrazia con Cappato si è presentata con una chiavetta in cui erano contenute le centinaia di firme per sostenere le candidature.
È un caso unico, la prima volta nella storia italiana che le firme per la candidatura vengono consegnate in formato elettronico. Quelle raccolte sono firme digitali, «tutte certificate con Spid e quindi più sicure delle altre e già verificate», spiegano gli attivisti. Ma ora la procedura non è stata accettata e Marco Cappato ha già annunciato ricorso.
LE MOTIVAZIONI
«Le motivazioni – si legge nel comunicato – differiscono ma, in tutte le circoscrizioni, non si è tenuto conto delle modificazioni legislative sopravvenute dall’adozione delle legge elettorale e dall’introduzione della firma digitale certificata per sottoscrivere documenti ufficiali». Ora Cappato spera che nelle prossime 48 ore intervenga il governo Draghi con un decreto.
LA BATTAGLIA
Questa mattina, ospite del talk show politico Omnibus su La7 Cappato in attesa del riscontro sulla validità o meno delle firme aveva già annunciato che in caso di opposizione, «ricorreremo anche a livello internazionale contro una discriminazione che privilegia chi già presente in parlamento, esonerato dal raccogliere le firme cartacee, mentre chi non lo è come noi, in nemmeno un mese era chiamato alla raccolta delle sottoscrizioni nelle piazze, da far certificare da comuni, con il coinvolgimento di notai, il tutto nella settimana di Ferragosto». E ha ricordato che «a nostre spese abbiamo raccolto circa 30mila firme digitali».
FDI E PD SOSTENGONO L’INIZIATIVA
Sulla raccolta di firme digitali c’è stata un’approvazione trasversale. Dopo che PiùEuropa aveva dimostrato il suo appoggio a inizio agosto, il responsabile Innovazione di Fratelli d’Italia Federico Mollicone si è detto «totalmente d’accordo sul tema della Spid, perché mai una certificazione digitale unica non debba essere riconosciuta in un contesto in cui l’obiettivo è l’identificazione dell’individuo che sottoscrive una firma? L’attuale metodo è farraginoso».
Anche la senatrice Pd Valeria Valente, capogruppo in commissione Affari Costituzionali si è espressa in questo senso: «Democrazia digitale significa allargare spazi della democrazia, siamo a favore di questa istanza giusta, bisogna affrontare il tema in vista di queste politiche e poi porlo al centro di una necessaria riforma della legge elettorale».
Il costituzionalista Alfonso Celotto ha chiarito le possibilità di intervento del governo Draghi: «È evidente, sul tema, la presenza di un buco nel testo di legge vigente. Solo il governo può intervenire per colmarlo con un decreto ad hoc».
Disobbedire costa. Nessun partito ha candidato Marco Cappato: al Parlamento non interessano questioni di vita e di morte. Andrea Pugiotto su Il Riformista il 23 Agosto 2022
Se la politica è agire trasformando, allora c’è molta più politica nella giusta causa assunta da Marco Cappato che in questo caotico avvio di campagna elettorale: la scelta, cioè, di farsi compagno di strada di Elena, malata oncologica terminale, fino alla città elvetica di Basilea dove ha potuto darsi la morte il 3 agosto scorso. Da questa esperienza umana integrale – di vita e morte, di diritti e divieti, di coraggio e infelicità, vissuta fino alla fine – scaturisce quello che Vladimiro Zagrebelsky (La Stampa, 5 agosto) ha chiamato un «caso Cappato-bis», dagli inediti risvolti giudiziari, costituzionali, normativi, finanche elettorali. Provo a metterli in fila.
Gli sviluppi giudiziari ruotano attorno all’art. 580 c.p. che – dopo la nota sentenza costituzionale n. 242/2019 sorta dal precedente “caso Cappato” – punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio, salvo si tratti di persona 1) affetta da patologia irreversibile, 2) fonte di sofferenze fisiche o psichiche intollerabili, 3) dipendente da trattamenti di sostegno vitale, 4) capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Qui, a mancare, è la terza condizione. Nonostante la diagnosi infausta e senza scampo, la vita di Elena non dipendeva (ancora) da alcun supporto meccanico o terapeutico: il che non consente di scriminare penalmente la condotta di Cappato. È da escludersi l’istigazione. I quattro minuti videoregistrati dove Elena dichiara la sua volontà, le sue ragioni, il suo j’accuse verso l’Italia che la condanna a morire in esilio, attestano un proposito suicidario autonomamente determinato. Elena non viveva una condizione di abbandono terapeutico o affettivo: era curata, amava riamata, ma ha scelto di morire. Sulla sua volontà Cappato non ha influito.
Potrebbe configurarsi, invece, l’agevolazione al suicidio che l’art. 580 c.p. punisce «in qualsiasi modo» sia prestata. Autodenunciandosi, Cappato ha qualificato come «indispensabile» il suo aiuto alla scelta di Elena. Spetterà all’autorità giudiziaria accertare se, davvero, si è trattato di condotta materiale direttamente e strumentalmente connessa all’atto suicidario di una persona autosufficiente e non ancora in punto di morte. E saranno sempre i magistrati a valutare se ricorrano gli estremi per una misura cautelare nei confronti di Cappato, che ha già dichiarato la volontà di aiutare, anche in futuro, altri malati italiani che intendessero recarsi in Svizzera dove ottenere assistenza medica alla loro morte volontaria. Qui e ora questo solo si può ipotizzare: l’imputazione per un reato punito con la reclusione da cinque a dodici anni, e un possibile provvedimento cautelare per evitarne il pericolo di reiterazione.
Autodenunciandosi, Cappato non ha chiesto di chiudere un occhio, semmai di spalancarli su quanto ha fatto. Obbedendo a un diffuso tic linguistico spinto fino all’abuso, Giovanni Maria Flick (Avvenire, 3 agosto) lo definisce un «atto provocatorio», intendendo così ridimensionarlo per meglio accantonarlo, perché le provocazioni – come usa dire – non vanno raccolte, sono ostentazioni fini a sé stesse, non dettano legge. È un’etichetta sbagliata. Non si tratta nemmeno di un gesto sacrificale, deriva estranea a chi possiede una cultura politica liberale e libertaria. Né di una mera testimonianza simbolica, come l’obiezione di coscienza del medico all’aborto: un’esenzione per legge a costo zero è facile; la violazione pubblica della legge, comportando il rischio del carcere, è tutt’altro che una passeggiata.
Quella messa in atto è una pratica nonviolenta di lotta politica che ha un nome proprio, disobbedienza civile, il cui obiettivo non è trasgredire le regole, semmai cambiarle. «Disobbedire (civilmente) è lo strumento indispensabile per chi vuole andare alla radice dei problemi senza sradicare la pianta della democrazia»; è una praxis essenziale «per ogni tipo di società aperta che voglia autocorreggersi e innovare»: così scrive Marco Cappato in un suo libro – titolato come un manifesto politico – Credere, disobbedire, combattere (Rizzoli, 2017). Cappato è un visionario pragmatico, Considero la sua condotta un atto di civismo, non di cinismo. Un’autentica lezione di diritto costituzionale, laddove insegna come ribellarsi a una legge irragionevole che le Camere non intendono cambiare o abrogare: pubblicamente disobbedendo e accettandone le conseguenze, si va a processo per chiederne l’impugnazione davanti al Giudice delle leggi. Così, in nome della legalità costituzionale, sarà possibile per la Consulta annullare o rimodulare la norma impugnata.
Dipendere da trattamenti salvavita – meccanici o terapeutici – per poter accedere al suicidio medicalmente assistito rappresenta, nel panorama comparato, un unicum legislativo e giurisprudenziale. La strada che porta a una nuova questione di legittimità può rivelarsi tutta in salita. A Palazzo della Consulta non si contesterebbe una norma (l’art. 580 c.p.) per il suo anacronismo rispetto all’avanzare del sapere scientifico e allo sviluppo delle nuove tecnologie. Né si chiederebbe di aggiungervi un’ulteriore eccezione alla regola che punisce l’aiuto al suicidio. Ad essere impugnato direttamente sarebbe, semmai, il giudicato costituzionale della sent. n. 242/2019, per aver introdotto la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale tra le quattro condizioni necessarie a “depenalizzare” il reato. Qui sta il problema. «Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione» (art. 137, comma 3, Cost.) mentre la quaestio mira proprio a sindacare la soluzione adottata dalla Consulta.
Ecco perché simili impugnazioni sono dichiarate inammissibili di default, rappresentando – in forma surrettizia – un sindacato di merito di una decisione d’incostituzionalità della quale si cerca di eludere la forza vincolante (art. 136 Cost.). Così, almeno fino ad oggi, hanno ragionato i giudici costituzionali: serviranno argomenti giuridici di segno opposto – che pure non mancano – per rovesciare tale giurisprudenza. A questo ostacolo processuale se ne aggiunge un altro, squisitamente di politica del diritto. La nostra Corte costituzionale – diversamente da altri tribunali costituzionali – tiene a distanza di sicurezza le scelte di fine vita dal principio di autodeterminazione.
La verità (o qualcosa che molto le assomiglia) è che a Palazzo della Consulta, quando sono in gioco i “diritti infelici”, sembra prevalere un riflesso automatico: proteggere le persone da scelte individuali ritenute contrarie al loro bene e guidarle nel loro stesso interesse, anche al prezzo di limitarne l’autonomo volere.
Si chiama paternalismo giuridico: una categoria che dovrebbe essere estranea a una democrazia liberale, di cui contraddice il pluralismo etico e la pari dignità sociale tra le persone. Servirebbe una legge facoltizzante, aperta dunque all’opzione individuale, che guardi all’eutanasia non come a un reato, a un peccato o a una pulsione malata. Si tratta, però, di un’aspettativa tradita da troppo tempo, nonostante i tanti moniti e le tentate iniziative legislative, anche popolari. Per svegliare le nuove Camere da questo letargo servirà un interpello quotidiano e Marco Cappato, da parlamentare, avrebbe potuto incarnarlo al meglio.
La sua sarebbe stata una candidatura indipendente (e non per modo di dire), capace di intercettare un elettorato reattivo che non vota per appartenenza. Avrebbe limitato il danno reputazionale di un Parlamento incapace di affrontare questioni (letteralmente) di vita e di morte, di cui tantissimi elettori hanno fatto o fanno esperienza diretta o per interposta persona. Eppure, nessun partito si è mostrato così generoso e lungimirante da assicurare a Marco Cappato un diritto di tribuna. Per il Parlamento che verrà, è un pessimo abbrivio. Andrea Pugiotto
Luca Palamara non raccoglie le firme: la sua lista “Oltre il sistema” non sarà sulla scheda. Lui: “Questa legge privilegia i grandi partiti”.
"Raccogliere le firme de visu, collegio per collegio, in tempi così stretti e nel periodo estivo, ci ha impedito nei fatti di poter concorrere", lamenta l'ex pm. In questo modo, scrive, è "impedita la rappresentanza di tutto quel consenso e quell'entusiasmo manifestato da tanti cittadini". In realtà anche soggetti di piccole dimensioni o appena formati, come Unione popolare o Italexit di Gianluigi Paragone, hanno completato con successo la raccolta firme. Il Fatto Quotidiano il 22 agosto 2022.
“La lista “Palamara Oltre il sistema” non concorrerà alle elezioni politiche del 25 settembre, ma l’impegno sul grande tema della giustizia ovviamente continua”. Lo rende noto Luca Palamara, l’ex pm radiato dalla magistratura dopo lo scandalo delle nomine pilotate al Csm, comunicando di non aver raggiunto il numero di firme necessarie per presentare il simbolo della sua associazione (depositato nei giorni scorsi al Viminale). “L’enorme entusiasmo e la grande partecipazione che hanno animato i numerosi incontri di questi mesi sono un patrimonio che non andrà assolutamente disperso e rappresentano soltanto l’inizio di un grande progetto che ha preso forma e che continuerà a crescere nei prossimi mesi per far valere la sua voce e portare avanti il suo impegno civile e politico”, afferma Palamara.
“Purtroppo raccogliere le firme de visu, collegio per collegio, in tempi così stretti e nel periodo estivo, senza avere la possibilità di farlo via pec con la firma digitale, ci ha impedito nei fatti di poter concorrere”, lamenta l’ex pm. In questo modo, scrive, è “impedita la rappresentanza di tutto quel consenso e quell’entusiasmo manifestato da tanti cittadini in occasione dei numerosi incontri pubblici che sul tema della giustizia sono stati affrontati negli ultimi due anni e che proseguiranno nei prossimi mesi con tanti incontri pubblici già fissati. È indubbio che il sistema elettorale così come è tenda a privilegiare i partiti grandi e coloro che sono riusciti ad utilizzare un emendamento per assicurarsi la possibilità di non raccogliere le firme, precluso invece alle nuove forze politiche”. In realtà anche soggetti di piccole dimensioni o appena formati, come Unione popolare o Italexit di Gianluigi Paragone, hanno completato con successo la raccolta firme.
Ecco i 14 partiti esclusi dalle elezioni per il simbolo: anche quelli di Giarrusso, Palamara e de Magistris. Dei 101 simboli di partiti depositati presso il ministero dell'Interno, solo 70 saranno presenti con certezza sulle schede elettorali del 25 settembre. Mirko Ledda il 16-08-2022 su notizie.virgilio.it.
Il ministero dell’Interno ha ammesso solo 70 dei 101 simboli depositati da partiti e movimenti per correre alle elezioni anticipate del 25 settembre. Si tratta della prima scrematura prima della presentazione delle liste e delle firme necessarie per presentarsi alle urne.
Quali partiti sono stati esclusi dalle elezioni a causa dei simboli
Dei 101 contrassegni depositati, 14 non hanno passato il vaglio o sono stati ritirati. Per altri 17, invece, sono necessarie delle integrazioni, in quanto “non consentono la presentazione di liste”.
Di seguito i nomi dei simboli non ammessi dopo l’esame ministeriale.
Democrazia Cattolica Liberale.
Democrazia Cristiana.
Italiani con Draghi Rinascimento (presentato all’insaputa dell’ex premier Mario Draghi).
L’italia Sè Desta (scritto in questo modo).
Lega per l’Italia.
Movimento per l’instaurazione del socialismo scientifico cristiano – No alla cassa forense.
Movimento Politico Libertas.
Palamara oltre il Sistema, dell’ex pm Luca Palamara.
Partito Federalista Italiano.
Partito Liberale Italiano.
Partito Pensionati al Centro.
Pensiero e Azione – PPA, Popolo delle Partite Iva.
Sud chiama Nord, di Dino Giarrusso, ex Movimento 5 Stelle (il simbolo è stato ritirato).
Up con de Magistris (si tratta del secondo simbolo di Luigi de Magistris, ex sindaco di Napoli. Il primo, Unione Popolare con de Magistris, è invece passato).
Altri partiti rischiano di rimanere esclusi a causa della raccolta firme
Non saranno gli unici partiti esclusi. Il 21 e il 22 agosto, infatti, presso le cancellerie delle Corti di Appello, andranno presentate le liste. E contestualmente le sottoscrizioni degli elettori.
I prossimi saranno gli ultimi giorni utili per completare la raccolta delle firme e raggiungere il quantum di 56.250 sottoscrizioni, di cui 36.750 per la Camera dei Deputati e 19.500 per il Senato.
Chiaramente basterà intercettare almeno 36.750 elettori e farli firmare per entrambe le Camere.
Il numero è calcolato sui 49 collegi plurinominali della Camera dei Deputati e sui 26 del Senato. Per ognuno vanno raccolte tra le 1.500 e le 2 mila firme. Si arriva così a circa 73.500. Il numero è però dimezzato per lo scioglimento anticipato del Parlamento.
Le sottoscrizioni devono essere autenticate da funzionari pubblici, o notai e avvocati. Ma non tutti i partiti sono tenuti a presentarle.
Quali partiti non sono tenuti a presentare la lista di firme degli elettori.
Sono esentati infatti quelli già presenti in Parlamento, con una platea ulteriormente allargata con l’ultimo decreto Elezioni, varato dal Governo il 5 maggio.
L’articolo 6 bis stabilisce infatti che tutti quelli costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 potranno presentare le liste senza raccogliere le firme. Qua l’elenco completo dei partiti esentati.
Elezioni, alcuni partiti rischiano di essere esclusi a causa della raccolta firme: chi è esentato e perché. Non tutti i partiti sono tenuti a presentare 36 mila firme per candidarsi ufficialmente alle elezioni anticipate del 25 settembre 2022: ecco perché. Mirko Ledda l'8-08-2022 su notizie.virgilio.it.
Non tutti i partiti che hanno già iniziato a fare campagna elettorale riusciranno a presentarsi alle elezioni anticipate del 25 settembre. Per poter presentare le liste dei candidati sarà infatti necessario per ogni formazione raccogliere 36 mila firme tra gli elettori.
Dal 12 al 14 agosto i leader dei partiti depositeranno i contrassegni elettorali, cioè i loghi dei rispettivi schieramenti, presso il ministero dell’Interno.
Successivamente, dalle 8 del 20 agosto alle 20 del 21 agosto, dovranno essere depositate le firme presso le cancellerie delle Corti di Appello, come prevede il decreto del presidente della Repubblica numero 361 del 20 marzo 1957.
Quante firme servono ai partiti: cosa prevede la legge
Prima del 2020, cioè della riforma costituzionale che ha tagliato il numero dei parlamentari, e quindi ridimensionato anche il numero dei collegi, erano necessarie almeno 1.500 e non più di 2.000 sottoscrizioni per ogni collegio plurinominale, per un totale di 94.500 firme per la Camera e 49.500 per il Senato.
In realtà chi firma per la prima firma anche per il secondo, quindi non bisogna incorrere nell’errore di sommare queste due cifre.
Con le nuove leggi i collegi plurinominali per la Camera sono scesi a 49 e quelli per il Senato a 26. In condizioni ordinarie sarebbero dunque necessarie circa 73.500 firme.
Tuttavia le norme prevedono che in caso di scioglimento anticipato delle Camere, come è avvenuto dopo la crisi di governo, il numero delle sottoscrizioni debba essere ridotto della metà.
I partiti dovranno dunque arrivare a circa 36.750 firme, autenticate da funzionari pubblici o da notai e avvocati, degli elettori per poter correre alle elezioni il 25 settembre. Ma non per tutti gli schieramenti valgono le stesse regole.
Quali partiti sono esentati dalla raccolta delle firme
Il decreto elezioni del 5 maggio 2022 prevede infatti delle esenzioni. Viene infatti chiarito che non sono tenuti alla raccolta delle firme i partiti e i gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere entro il 31 dicembre 2022.
Si tratta dunque dei seguenti schieramenti.
Coraggio Italia.
Forza Italia.
Fratelli d’Italia.
Italia Viva.
Lega.
Liberi e uguali.
Movimento 5 Stelle.
Partito Democratico.
Sono esonerati dalla raccolta delle firme anche i partiti che hanno presentato candidature con il proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei Deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo.
A patto che l’abbiano fatto in almeno due terzi delle circoscrizioni, ottenendo almeno un seggio con il proporzionale o concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione con più dell’1% dei voti validi. È il caso dei seguenti partiti.
+Europa.
Centro Democratico.
Noi con l’Italia.
Tra gli esentati c’è anche Impegno Civico di Luigi Di Maio, che si appoggia a Centro Democratico di Bruno Tabacci. Stesso discorso per Azione di Carlo Calenda, in caso di alleanza con +Europa (che sembra essere destinata a non concretizzarsi) o Matteo Renzi.
In base alle norme dovrebbero dunque chiedere le firme, tra gli altri, i seguenti partiti.
Alternativa di Pino Cabras.
Italexit di Gianluigi Paragone.
Unione Popolare di Luigi de Magistris.
Proprio il movimento no vax e anti europeista di Gianluigi Paragone, ex giornalista passato da simpatie leghiste alle fila del Movimento 5 Stelle e poi al Gruppo Misto, sta portando avanti una battaglia per chiedere a Sergio Mattarella di cambiare la norma che prevede la raccolta delle firme.
La nuova legge elettorale. Tutti i trucchi del Rosatellum, la legge semi-autoritaria che decide tutto prima del voto. Massimo Teodori su Il Riformista il 23 Agosto 2022
Che la legge elettorale con cui si vota il 25 settembre sia una autentica porcheria l’hanno detto in molti tra cui alcuni di coloro che la votarono. Il mio giudizio, tuttavia, tenta di andare al di là dell’invettiva per indicare il carattere del meccanismo politico-istituzionale che traduce la volontà dei cittadini in rappresentanza della nazione, la cosiddetta “sovranità popolare”. A me pare che l’attuale sistema non sia solo “una porcheria” ma che abbia un inedito carattere semi-autoritario. Spiego il perché.
Il votante non ha la possibilità di scegliere il suo rappresentante, ma solo il simbolo della lista che preferisce. Nel sistema elettorale a due facce per la Camera (400 membri) e Senato (200 membri), i due terzi dei membri sono eletti in modo proporzionale su listini plurinominali bloccati (circa 4 candidati), e un terzo in collegi uninominali-maggioritari in cui vince il candidato che ha più voti. Il trucco sta nel fatto che non è possibile esercitare il “voto disgiunto” vale a dire votare, per esempio, all’uninominale giallo e al proporzionale verde. Che lo si voglia o no, il voto dato al candidato uninominale si trasferisce alle liste che lo sostengono e, reciprocamente, il voto per una lista in coalizione con altre si trasferisce al candidato uninominale. Esempio: se voto la coalizione di sinistra facendo nel proporzionale una croce sul simbolo di +Europa (Bonino) il voto si trasferisce anche al candidato uninominale che probabilmente non è di +Europa ma della coalizione di cui fa parte. e viceversa.
I listini della parte proporzionale sono bloccati senza preferenze. Sia nei partiti piccoli che in quelli grandi l’unico candidato che ha possibilità di essere eletto è colui/colei che è stato piazzato al n.1. Gli altri fanno tappezzeria. Il dominus dei possibili eletti è il potente capo-partito che ha fatto le liste piazzando in testa ai listini i suoi amici, compagni di corrente e simili. Ogni persona può essere candidata i 6 posizioni diverse, in 1 collegio uninominale e 5 listini proporzionali della stessa regione o di regioni diverse. Ciò significa che dalla lettura delle liste si conosce già in gran parte chi sarà eletto e chi no. La bagarre dentro i partiti per la posizione significa proprio questo: essere candidato/a per essere eletto oppure per fare solo scena.
L’alternanza prevista dalla legge tra i due sessi (40/60) è un inganno del femminismo che ignora come funzionano i sistemi elettorali. Nel caso del “Rosatellum”, anche se in tutti i listini vi sono il 60% di presenze femminili che però occupano il primo posto solo nel 30% di collegi non favorevoli, è probabile che le elette saranno poche. La rivendicazione demagogica femminista è formalmente soddisfatta e sostanzialmente ingannata. Con la pluralità delle candidature della stessa persona – cosa praticata da tutti gli esponenti di primo piano in tutti i partiti – questi non solo si assicurano la propria elezione anche se la lista ha preso pochissimi voti ma condizionano anche la scelta degli eventuali subentranti (amici, parenti, fedeli di corrente etc.) nel caso di una doppia o tripla elezione.
Per questi ed altri marchingegni nascosti nelle pieghe della legge mi pare appropriata la definizione di sistema semi-autoritario.
Cinquestelle, +Europa, e gruppuscoli a destra come a sinistra: l’uso furbesco delle coalizioni. Se una lista prende nazionalmente meno del 3% dei voti non elegge parlamentari. Se, però fa parte di una coalizione che ha raggiunto il 10% elegge comunque deputati e senatori anche con l’1%. Non stupisce perciò che la legge elettorale venga usata come un gioco dell’oca proprio da quei partiti che hanno rivendicato ad alta voce il loro ruolo di “servizio ai cittadini” e di orgogliosa autonomia dalla partitocrazia. Il caso più clamoroso è quello dei Cinquestelle osservanza Conte. Il quale in barba alle proclamazioni, ha decretato dalla sede apostolica M5S che lui, e solo lui, decide chi dovrà essere eletto e chi no. Ed ecco, in fila ordinata, il proprio notaio (a scanso sorprese) e i fedelissimi personali che sono andati a formare i magnifici 15 dall’avvocato con candidature plurime tutte al n.1 dei listini proporzionali. Gli altri fratelli, sorelle e congiunti di Cinquestelle non prescelti dall’avvocato fanno tappezzeria.
Caso diverso ma non meno sorprendente è quello del gruppo di +Europa. Dopo la dichiarazione di Emma Bonino di voler seguire la massima pannelliana secondo cui per un radicale a candidarsi sotto il Pci (e i post-comunisti) si diventa “dipendente” e non “indipendente di sinistra”, è parsa singolare la scelta di restare in coalizione oltre che con Enrico Letta, anche con Fratoianni, Bonelli e gli ex stellati di Di Maio piuttosto che seguire la difficile ma coraggiosa scelta autonoma di Calenda. Tale collocazione, anche se non è stata dettata da un tale spirito, potrebbe apparire come utilitaristica al fine di ottenere una elezione più sicura per la leader di +Europa e il suo gruppetto sotto il largo cappello del Pd che con la coalizione può garantire alcuni posti sicuri in testa ai listini proporzionali e nei buoni collegi maggioritari.
Altre vicende furbesche e strumentali sono quelle dei gruppuscoli che avendo scarse probabilità di superare la soglia del 3% si sono rintanati sotto le coalizioni della mamma di destra (Fratelli d’Italia) o del padre di sinistra (Partito Democratico) in modo tale da avere comunque degli eletti più o meno garantiti. Questo vale per alcuni simboli gruppuscolari: a destra “Noi democratici” comprendente lo scudo crociato di Cesa, e i sotto-simboli di Lupi e Brugnaro, e a sinistra, oltre a +Europa, “Impegno civico”, “Europa verde” e “Sinistra italiana”. A pensare che per mezzo secolo si è seriamente dibattuto di come eliminare la frantumazione proporzionale dei partiti inventati da singoli personaggi. Per tutta la prima repubblica, alla Camera, è rimasta in vigore una legge proporzionale di lista con preferenze in collegi regionali o subregionali.
Nella legge per la Costituente i voti non utilizzati nelle circoscrizioni per un quoziente intero (i resti) andavano al Collegio unico nazionale (Cun) dove si eleggevano i candidati del listino prefissato. Sistema chiaro che, in sostanza, prevedeva una specie di diritto di tribuna in cui anche i piccoli partiti potevano avere alcuni rappresentanti. Il Partito d’Azione ebbe 7 seggi tutti al Cun (tra cui Calamandrei, Valiani e Foa) e i Cristiano-sociali un seggio al Cun (Gerardo Bruni). Dal 1948 i resti non andavano al Cun ma venivano utilizzati nelle circoscrizioni. Nel 1953 i partiti del centrismo degasperiano (Dc, Psdi, Pli, Pri) proposero una legge maggioritaria: la lista o la coalizione delle liste apparentate che ottenevano il 50%+1 dei voti ottenevano il 65% dei seggi. Legge onestissima che indicava agli elettori quali erano le forze che potevano formare un governo stabile e in esse i candidati a cui dare la preferenza.
Ma la sinistra (Pci e Psi) e la destra (Msi) fecero una battaglia forsennata contro la “legge truffa”, come demagogicamente la definirono le sinistre. Si trattava invece di tutt’altro che truffa bensì di una seria proposta per legare il voto dei cittadini alla governabilità oltre che alla rappresentatività. Nel 1993 il referendum abrogativo Segni-radicali pose fine alla proporzionale. Sergio Mattarella inventò il “Mattarellum”, una legge che prevedeva per Camera e Senato il 75% dei seggi da eleggere nei collegi uninominali (chi ha più voti, vince) e il 25% da eleggere in listini proporzionali su scala regionale o subregionale. Una buona legge che conciliava le esigenze di rappresentatività (recupero con i listini proporzionali) e governabilità (collegi uninominali maggioritari). Ma la fantasia partitocratica è sempre in agguato dietro l’angolo. Come fare per distruggere la possibilità di scelta politica e individuale dell’elettore?
Il leghista Calderoli inventò nel 2005 un sistema da lui stesso definito “porcellum”, talmente ingarbugliato (liste proporzionali bloccate, premio di maggioranza, e soglia oscillante tra il 2% e il 4%) che solo pochi maghi elettorali riuscirono a capirne il significato. Dopo un paio di elezioni si capì che l’obiettivo vero era quello rendere impotente l’elettore e consegnare la chiave delle elezioni a chi aveva il potere di fare le liste. Ed ecco nel 2013 arriva” l’Italicum” pudicamente battezzato “Rosatellum” dal suo ideatore on. Ettore Rosato. Quando i Cinquestelle guidati da quel genio costituzionale di Luigi Di Maio si presentarono davanti a Montecitorio con un cartonato di poltrone e di enormi forbici, i Cinquestelle acutamente spiegarono che con la riduzione dei parlamentari (Camera, da 630 a 400 – Senato, da 315 a 200) si stava facendo una rivoluzione che avrebbe fatto risparmiare miliardi agli italiani.
In realtà gli autori pensavano che la proposta non sarebbe passata e quindi che avrebbero potuto fare una campagna contro i malvagi partiti e corrotti dalle poltrone. Accadde inaspettatamente che tutte le forze politiche maggiori, a cominciare dal Pd, votarono prontamente la legge costituzionale sottoponendosi al diktat demagogico dei Cinquestelle pur cercando di alleviare il danno con la promessa di riformare la legge elettorale, i regolamenti parlamentari e una serie di altre norme costituzionali connesse. Nulla di tutto ciò è accaduto.
Ed oggi tutti i partiti – Cinquestelle in testa, Partito democratico, Forza Italia etc – piangono perché non riescono a piazzare in buona posizione tutti gli aspiranti deputati e senatori. L’eterogenesi dei fini si è compiuta. Invece di affrettarsi a proporre una nuova legge elettorale, proporzionale, maggioritaria o mista che fosse, ma onesta e rispettosa delle scelte degli elettori di cui vi sono alcuni esempi nella Repubblica, si sono moltiplicate le risse, gli attacchi tra compagni e amici, gli scandali per bruciare qualcuno e via di seguito. Il declino della Repubblica è davvero inarrestabile? Massimo Teodori
Collegio uninominale o plurinominale: cosa significa e come funziona la legge elettorale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 23 Agosto 2022.
Con le elezioni politiche, i cittadini rinnovano i due rami del Parlamento, la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. Saranno i parlamentari eletti a dover votare successivamente la fiducia al nuovo Presidente del Consiglio dei ministri, che viene scelto dal Presidente della Repubblica sulla base dei risultati elettorali e della maggioranza in Parlamento.
La legge approvata del 2018 chiamata “Rosatellum” è rimasta la stessa, modificata dalla riforma costituzionale del 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari da eleggere, passati da 630 a 400 per la Camera e da 315 a 200 per il Senato, ma sono cambiati i collegi, ovvero le aree geografiche in cui il territorio è diviso. Il 25 settembre gli italiani andranno al voto per le elezioni politiche, per il rinnovo della Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica con la legge elettorale precedentemente usata nel 2018.
Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad un vero e proprio delirio di parole per raccontare gli scontri tra i partiti, i contrasti per i candida nei collegi uninominali e quelli nei collegi plurinominali beneficiari dei posti garantiti dai rispettivi leader . Per molti cittadini però si tratta di un linguaggio “tecnico” poco comprensibile alla stragrande maggioranza degli elettori.
Elezioni Politiche 2022: che cosa si elegge
Con le elezioni politiche, i cittadini rinnovano i due rami del Parlamento, la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. Saranno i parlamentari eletti a dover votare successivamente la fiducia al nuovo Presidente del Consiglio dei ministri, che viene scelto dal Presidente della Repubblica sulla base dei risultati elettorali e della maggioranza in Parlamento. Questo per chiarire i meccanismi elettorali a chi pensa che in Italia il Presidente del Consiglio dei ministri sia eletto direttamente dai cittadini.
La legge elettorale per Camera e Senato è sostanzialmente uguale, quindi per comodità da qui in avanti parliamo solo della Camera, dove i numeri sono più ampi. Allora come scegliamo i nostri 400 deputati?
Legge elettorale: la scheda elettorale
L’Italia viene divisa in 147 zone (chiamati collegi). Uno di questi collegi – per fare un esempio concreto – è la città di Bologna. Nel collegio di Bologna ci sarà un numero ancora non definito di candidati. Qui di seguito vedete com’era una scheda elettorale nel 2018, quando i candidati erano 11. I candidati, indicati con nome e cognome nella parte alta di ogni riquadro, saranno associati ai partiti che li sostengono.
I cittadini di Bologna ad esempio, che andranno a votare dovranno scegliere il candidato e lo potranno fare o mettendo una croce sul nome che scelgono oppure sul simbolo di una delle liste. Agli effetti pratici della scelta del candidato, barrare il nome in alto o il simbolo è la stessa cosa. Sulla scheda facsimile come si vede ci sono anche altri nomi. Quelli sono i candidati del cosiddetto “listino bloccato”: cosa succede loro lo vedremo dopo.
Chi viene eletto? Quello che prende più voti
Viene eletto il candidato che ottiene più voti in questo collegio (esempio: la città di Bologna) . Basta anche un solo voto in più degli avversari per essere eletto deputato. Nel 2018 i circa 145mila elettori che sono andati a votare avevano eletto De Maria con 54mila voti, quattordicimila in più di Scarano. De Maria è stato eletto con il 37.2% dei consensi ma sarebbe bastata qualsiasi percentuale, purché fosse più alta di quella dei suoi avversari.
Questo è il sistema maggioritario, tipico dei Paesi anglosassoni, cioè il primo che arriva viene eletto. La parola “maggioritario” viene sentita spesso associata al termine “uninominale”, perché vanno a braccetto: uninominale vuol dire che ogni partito o ogni coalizione presentano un solo nome, come in questo caso. E vince solo uno (quello che ha la maggioranza relativa).
Questo è il primo motivo per cui esistono le coalizioni: per mettere insieme i voti di più partiti dietro a un singolo candidato.
Si elegge così un deputato per ognuna delle 147 zone in cui è divisa l’Italia. Ma cosa succede per i restanti 253? Otto sono eletti all’estero ma per ora possiamo lasciarli da parte. Restano quindi 245 deputati da eleggere.
Cerchiamo quindi di spiegare ai nostri lettori nella maniera più semplice possibile il significato e la differenza fra collegio “uninominale” e “plurinominale”, e poi come funzionano con la legge “Rosatellum“.
Come funziona il “Rosatellum“
Di seguito vi offriamo una spiegazione completa , adesso concentriamoci sull’aspetto dei collegi.
Il “Rosatellum” è una legge elettorale che non sposa né il sistema maggioritario né il sistema proporzionale, ma li unisce e fonde insieme in una maniera molto particolare.
Ogni collegio plurinominale rappresenta un territorio che è la somma di collegi uninominali più piccoli. I candidati uninominali sono strettamente legati ai partiti che li sostengono. Non esiste la possibilità che di solito viene consentita, di votare per un candidato uninominale e un partito diverso nel proporzionale. cioè il cosiddetto voto disgiunto, che è vietato nel Rosatellum .
Conseguentemente ogni elettore può scegliere ed indicare solo un tandem inscindibile tra partito (con la sua lista bloccata) e candidato uninominale che quel partito e la sua eventuale coalizione sostengono.
Il collegio elettorale è una parte di territorio che racchiude più comuni o più quartieri nelle città più popolose confinanti. E’ la base di riferimento sulla quale la legge agisce per interpretare milioni di voti e “trasformarli” in 200 senatori e 400 deputati.
Collegi elettorali uninominali e plurinominali
I collegi si dividono in due tipi:
Collegio uninominale – In questo genere di collegi si presentano singoli candidati per partito, uno contro l’altro. L’ elezione è sempre associata al concetto di elezione maggioritaria, cioè viene eletto il più votato tra i singoli candidati .
Collegio plurinominale – In questo tipo di collegi si presentano liste di candidati, e viene associato (in parole più semplici) al concetto di elezione proporzionale, ovvero gli eletti vengono scelti in proporzione ai voti ricevuti dalle singole liste.
Facciamo un esempio facile da capire per tutti: nel collegio plurinominale “X” si presentano tre partiti (A, B e C). In questo collegio bisogna eleggere 10 deputati. Ognuno dei tre partiti presenta un “listino” composto da 10 nominativi. Se il partito “A” prende il 50% dei voti conquisterà il 50% dei seggi, cioè 5 candidati eletti. Se il partito “B“ prende il 30%, avrà 3 eletti, e il partito “C“ con il 20% i restanti 2.
L’esempio appena fatto è un sistema proporzionale “puro” e molto semplice. Come è facile dedurre, i numeri non sono mai così esatti e chiari, quindi esistono complesse formule e regole per la sua applicazione, ma il “senso” di applicazione è quello che abbiamo indicato nella maniera più semplice possibile.
Come si eleggono due terzi dei deputati
Qui entra in gioco l’altra parola chiave delle elezioni: proporzionale. Vediamo come. La prima cosa da fare a questo punto è sommare tutti i voti di tutti i partiti in tutta Italia. Nel 2018 la ‘classifica’ appariva così: Movimento 5 Stelle: 10.697.994 voti, Partito Democratico: 6.134.727 voti, Lega: 5.691.921 voti e così via. In percentuale: i 10.697.994 di voti del M5s erano pari al 32,7% di tutti voti. Il Partito Democratico aveva ricevuto il 18,7% e i voti della Lega corrispondevano al 17,4%. “Proporzionale” è autoesplicativo: i 245 deputati restanti vengono eletti in proporzione ai voti ricevuti dai singoli partiti. Con alcune semplificazioni che non inficiano questo ragionamento, con queste percentuali 80 senatori andrebbero al M5s, 45 al Pd e 42 alla Lega.
Dal voto al nazionale, dal nazionale al territorio
Non è finita qui, perché ovviamente vanno scelti i singoli senatori: chi sono quei 45 che si attribuiscono al Pd? Con un complicato sistema di ripartizione territoriale, si torna sul territorio, anche se a un livello superiore a quello delle 147 zone iniziali. Il territorio nazionale a questo scopo è diviso in zone più ampie dei collegi uninominali, che in molti casi corrispondono a intere regioni – quelle con meno abitanti, dalla Calabria in giù – in altre accorpano solo due o più collegi. Anche questi – in quanto ‘parti del territorio’ – si chiamano collegi, ma sono plurinominali.
Come potete immaginare, se “uninominale” vuol dire che si presenta un solo candidato, “plurinominale” vuol dire che si presentano più candidati. E qui torniamo agli altri nomi presenti – accanto al simbolo dei partiti – sulla scheda elettorale. Il cosiddetto “listino bloccato“. Il calcolo complicato di cui sopra arriva a definire in quali collegi plurinominali i 45 senatori del Pd devono essere eletti. Ad esempio: 3 nel collegio che include Bologna, 1 a Milano e zero in Sicilia. La distribuzione è difficile, piena di controlli e correttivi, ma il totale deve fare 22 e rappresentare la distribuzione dei voti nazionali dei partiti.
Legge elettorale: cos’è il listino bloccato e come funziona
Ultimo passaggio. Per scegliere i 3 deputati eletti a Bologna a questo punto si va a guardare la lista dei nomi e si prendono i primi 3. L’ordine del listino definisce l’ordine di elezione: per questo si dice “bloccato”. L’alternativa – che la legge elettorale non prevede – è quella delle preferenze: quando ci sono le preferenze, l’ordine è stabilito dal numero di quelle ricevute, come nelle elezioni comunali.
A questo punto abbiamo anche gli altri 245 deputati eletti, che si sommano ai 147 uninominali e agli 8 eletti all’estero. E la nuova Camera è pronta per essere convocata.
Al Senato il meccanismo è molto simile, con numeri dimezzati: 74 senatori eletti nei collegi uninominali, 122 nei collegi plurinominali e 4 all’estero. In più, al Senato la distribuzione dei seggi non avviene a livello nazionale, perché la Costituzione prevede che il Senato sia eletto su base regionale.
Ne consegue che Camera e Senato sono eletti con una legge elettorale simile, in parte maggioritaria-uninominale (un terzo) e in parte proporzionale-plurinominale (due terzi). L’elettore ha però un solo voto, con cui contribuisce a definire le parti.
Legge elettorale: le soglie di sbarramento
Aggiungiamo un’ultima cosa, di cui non abbiamo parlato finora: le soglie di sbarramento. Per ottenere dei seggi, i partiti devono superare un certo numero di voti minimi, altrimenti avranno zero seggi in Parlamento. Un partito deve avere almeno il 3% dei voti oppure presentarsi in una coalizione di partiti che ottengono insieme il 10%, con delle eccezioni per i partiti forti in singole regioni o per le rappresentanze delle minoranze linguistiche. E’ questo il secondo motivo per cui esistono le coalizioni. In ogni caso, i partiti che non raggiungono l’1% non accedono al riparto dei seggi.
Il sistema elettorale all’estero
Alcune parole su quei 12 seggi (8 alla Camera e 4 al Senato) che saranno eletti dai cittadini italiani nel mondo. I cittadini eletti all’estero vengono divisi in 4 collegi: Europa, America meridionale, America settentrionale e centrale, Africa, Asia, Oceania e Antartide
Come funziona la legge elettorale attuale, il 25 settembre si vota con il Rosatellum. Antonio Lamorte su Il Riformista il 25 Luglio 2022.
Dovevano cambiarla, dicevano in tanti, e in diverse occasioni, ma il prossimo 25 settembre si voterà ancora una volta con la legge elettorale denominata “Rosatellum”. Dopo la crisi di governo, le dimissioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi, le comunicazioni in Senato del premier che hanno portato alla fine definitiva dell’esecutivo di “Unità Nazionale”, la data delle elezioni fissata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si tornerà alle urne con lo stesso sistema che venne usato alle ultime politiche, quelle del 2018.
Il nome della legge elettorale prende il nome dal suo relatore. Ettore Rosato nel 2017, quando la legge fu approvata, era deputato del Partito Democratico. Dopo la scissione e la creazione dell’ex premier ed ex segretario dem Matteo Renzi Rosato è passato a Italia Viva. Il Rosatellum prevede un sistema misto: circa un terzo dei seggi del Parlamento viene eletto con il sistema maggioritario, in scontri diretti nei collegi uninominali, i restanti due terzi con un sistema proporzionale.
Il Rosatellum non prevede il voto disgiunto. La soglia di sbarramento è fissata al 3% per i partiti e al 10% per le coalizioni. Il 37% dei seggi alla Camera e al Senato sarà eletto tramite collegi uninominali: in cui ogni partito o coalizione presenterà un solo candidato, verrà eletto il candidato che prenderà almeno un voto in più degli altri. Il 61% dei seggi viene poi assegnato con il proporzionale dalle liste “bloccate” (non si può esprimere la preferenza per un candidato) compilate dai partiti o dalle coalizioni. Il resto dei seggi (otto alla Camera e quattro al Senato) è assegnato nelle circoscrizioni estere. Alla Camera i seggi sono assegnati a livello nazionale, al Senato a livello regionale.
Le circoscrizioni sono 28 alla Camera e 20 al Senato. La legge prevede un massimo di 5 pluricandidature nei listini proporzionali, che non sono previste nei collegi uninominali. Possibile invece una stessa candidatura in un collegio uninominale e nei plurinominali fino a un massimo di cinque: in caso di elezione, il candidato varrà per il collegio uninominale. Al candidato in più collegi plurinominali che dovesse essere eletto in diversi listini, sarà assegnato il collegio plurinominale in cui la lista a lui collegata ha ottenuto il minor numero di voti. In caso di pareggio tra due candidati, sarà eletto il candidato più giovane.
L’elettore avrà un’unica scheda per il maggioritario e il proporzionale, una per la Camera e una per il Senato. Per le coalizioni non vengono computati i voti dei partiti che non hanno superato la soglia dell’1%. Nessuno dei generi maschio e femmina, sia nei collegi uninominali che in quelli plurinominali, può essere rappresentato in misura superiore al 60%. La novità più rilevante che riguarderà le prossime elezioni consiste nel nuovo Parlamento che il voto andrà ad eleggere: dopo il referendum del 2021 i deputati passeranno da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. La legge elettorale non verrà modificata in virtù di questa novità. Alle due aule saranno applicate le percentuali previste dalla norma.
I numeri delle proporzioni diventeranno quindi 148 collegi uninominali, 244 proporzionali e 8 circoscrizioni estere alla Camera, 74 seggi uninominali, 122 proporzionali e 4 circoscrizioni estere alla Camera. Al Senato saranno ammesse alla ripartizione di seggi anche le liste che otterranno almeno il 20% dei voti su base regionale. Il Rosatellum favorisce la formazione di coalizione e penalizza i partiti che si presentano da soli alle urne. I simboli dovranno essere presentati entro metà agosto.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Come funziona la legge elettorale Rosatellum: come sono ripartiti i collegi e quali sono i “vantaggi” delle coalizioni. Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino su Il Riformista il 30 Luglio 2022.
La breve campagna elettorale che porterà al rinnovo del Parlamento il 25 settembre deve far riflettere su tre aspetti che sono connessi fra di loro. Il primo sono i programmi che i partiti (o i loro leader) devono proporre agli elettori. Questi non dovrebbero ridursi a slogan o a bandierine e non basterà nemmeno prendere vaghe posizioni su questioni di politica internazionale come il rapporto con l’Ue e con gli Stati Uniti. Oggi nessuno (ad eccezione di Paragone) è ostile all’Unione Europea. Ma in Europa ci sono la Germania di Scholz e la Ungheria di Orban che hanno opinioni non solo diverse, ma talvolta opposte sul destino comune del vecchio continente e i partiti politici italiani dovrebbero prendere posizioni esplicite su questa questione.
Il tema del programma Draghi è anch’esso poco più di uno slogan, non solo perché un programma Draghi senza Draghi non può essere la stessa cosa – viste le competenze, oltre che il prestigio e la reputazione internazionale del presidente del consiglio che è stato messo in condizione di non poter più governare. Si tratta, dunque di entrare nel merito delle politiche che i candidati alla guida del paese propongono di perseguire, e questi devono esporle, evitando che si riducano a irresponsabilità fiscale e crescita del debito pubblico, il che ci metterebbe, come è già accaduto in passato, in contrasto con gli impegni sottoscritti con i partners europei. Tanto più che dell’aiuto economico e della loro fiducia nei confronti dell’Italia abbiamo assolutamente bisogno. I nostri politici dicono tutti che lavorano negli interessi degli italiani, ma queste dichiarazioni suonano spesso come retorica vuota, che non dice molto e finisce per allontanare gli elettori dalla politica, cioè dai partiti, senza il cui buon funzionamento e reputazione la democrazia rappresentativa non può essere governante.
Intorno ai programmi dovrebbero articolarsi gli schieramenti. La legge elettorale, di cui fra poco, spinge a coalizioni in competizione fra di loro. La fine del governo Draghi ha intanto destabilizzato il quadro politico. L’alleanza fra il Pd ed i 5S, che negli ultimi mesi sembrava poter rappresentare uno dei poli della competizione, si è spezzata prima di concretizzarsi. Il Movimento creato da Grillo e Casaleggio invece di diventare un partito vero si è trasformato in un pluriversum sfibrato da diaspore. Il suo presidente attuale cerca una collocazione politica che Giuseppe Conte sostiene vi sia, ma quale sia per ora nessun lo sa. I tre partiti che compongono quello che tradizionalmente era chiamato centrodestra hanno problemi legati alla leadership ma anche ai programmi. La crescita esponenziale del partito di Giorgia Meloni, salito dal 4% del 2018 a potenziali intenzioni di voto circa sei volte maggiori, destabilizza i rapporti fra i partner del cartello elettorale di cui per più di 20 anni Silvio Berlusconi è stato il leader indiscusso e più di recente Salvini il socio di maggioranza, mentre ora è decisamente quasi alla metà del sostegno popolare ottenuto in passato, sempre secondo i sondaggi sulle intenzioni di voto. Il problema della leadership è di difficile soluzione e verrà probabilmente sciolto solo dopo il 25 settembre, se questo cartello elettorale dovesse vincere. Intanto c’è da trovare accordi, con fatica sui collegi uninominali, e questa decisione non può essere posposta.
Dall’altra parte, il Pd, rotta al quanto pare l’alleanza con il dimezzato partito di Conte e dopo la scissione di Di Maio, deve cercare alleati nell’aria fra se stesso e la coalizione di centrodestra dove emerge il partito di Calenda, che spera poter accogliere i dissidenti della svolta salviniana di FI. Il tempo è poco e anche in questo caso l’accordo sui candidati nei collegi uninominali è tutt’altro che agevole. Venendo al terzo punto, la legge elettorale che aggregherà le preferenze degli elettori, si possono fare le osservazioni che seguono. Nei sistemi elettorali con formula proporzionale, ogni partito corre da solo cercando di espandere, se può, il numero dei suoi elettori. Il governo si formerà a partire da possibili alleanze dopo il voto. Eccezionalmente questo è accaduto anche con la legge Rosato nel 2018 quando questa non ha prodotto alcun vincitore e i partiti hanno provato alleanze diverse e a priori improbabili, che sono sopravvissute per un breve periodo di tempo. Questa volta, però, è molto probabile che una coalizione riesca ad ottenere una maggioranza sufficiente per provare a governare.
Ciò dipende dal fatto che circa un terzo dei seggi di un Parlamento, ridotto di un terzo dei rappresentanti, viene assegnato ai vincitori dei collegi uninominali, che sono più facili da conquistare da parte di una coalizione piuttosto che di un singolo partito, tenuto conto della grande frammentazione del nostro sistema dei partiti. Quello oggi stimato più popolare è FdI che non raggiunge un quarto del voto potenziale del corpo elettorale. Se andasse da solo rischierebbe di essere superato nei collegi uninominali dal Pd se questo si coalizzasse con il partito di Calenda. Esiste dunque un forte incentivo per i partiti del centrodestra a presentarsi insieme con candidati comuni nei collegi, nonostante i conflitti interni a questo cartello elettorale e le conseguenti difficoltà a trovare un accordo sui nomi e la provenienza partitica dei candidati.
Quanto appena detto ha come conseguenza che il Pd deve cercare a sua volta alleati e costruire un cartello alternativo se vuole provare a vincere le elezioni. La legge elettorale Rosato, al di là di complessi dettagli tecnici (per una piuttosto chiara presentazione della stessa si possono vedere le osservazioni di Stefano Ceccanti) crea un forte incentivo alla formazione di accordi pre-elettorali fra partiti, che non possono o non vogliono aspirare a più di una testimonianza e ad un diritto di tribuna, che la legge Rosato garantisce loro in qualche misura. Il partito di Conte, isolato e in declino, vale oggi meno di un terzo che nel 2018, può sperare in un diritto di tribuna. La competizione sarà fra i tre partiti della destra e il Pd con i suoi alleati.
Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino
Renato Benedetto per il “Corriere della Sera” il 26 agosto 2022.
Tutto è meno che un gioco, anzi, il «flipper» è l'incubo dei candidati. Un effetto nascosto tra le pieghe del Rosatellum, che può scatenare reazioni a catena: un minimo scarto in Piemonte può far saltare un candidato in Calabria o premiarne uno nel Lazio. Come, appunto, una pallina imprevedibile che corre tra i collegi del Paese e sbatte sui listini: tu dentro, tu fuori. Rendendo incerta la sorte dei candidati. Come è possibile?
Per capirlo bisogna soffermarsi sulla legge elettorale. Il Rosatellum prevede che un terzo degli eletti sia scelto in collegi uninominali: qui è facile, chi prende più voti è eletto. Il resto su base proporzionale: alla Camera 252 deputati su 400 sono scelti con questo metodo. Concentriamoci qui: è solo nella parte proporzionale e soprattutto alla Camera che agisce il flipper.
Il Paese è diviso in circoscrizioni (28, estero escluso) a loro volta suddivise in collegi plurinominali (49) che eleggono da uno a otto deputati: è qui che ciascun partito presenta i candidati, in listini bloccati. La ripartizione dei seggi - per chi supera il 3% - avviene su base nazionale.
Qui è semplice: alla lista che ottiene il 20% dei voti va circa il 20% dei seggi (circa, perché il meccanismo, con quozienti e resti, è più complesso). Il difficile arriva quando a questi seggi, conquistati dalle liste a livello nazionale, bisogna assegnare un nome. Perché le liste dei candidati sono a livello locale, nei collegi plurinominali. E quindi i voti nazionali sono «proiettati» a livello di circoscrizione e, poi, di collegio, dove si vede chi ce l'ha fatta e chi no nelle liste.
Il problema è che dal dato nazionale a quelli locali le cose possono non coincidere. E cosa succede se a livello di circoscrizione (locale) il risultato non coincide con il numero di seggi che spetterebbero a quel partito su base nazionale? Si toglie un seggio a quel partito che ne ha uno di troppo e si dà a quello che ne ha uno di meno rispetto al dato nazionale.
Dove? Nella circoscrizione dove quel partito lo ha «pagato» di meno, conquistando il seggio con il numero minore dei voti (con la frazione di quoziente più piccola), e dove l'altro partito ci è «andato più vicino» e non ha spuntato un posto col numero più alto di voti (il «resto» maggiore).
Se lo scambio non è possibile nella stessa circoscrizione, si va a cercare fuori regione: il risultato locale sarà per forza alterato. Di questi aggiustamenti possono essercene diversi, in diversi posti, così inizia il balletto: difficile per chi corre fare previsioni.
Effetto rimbalzo
Spiega Emanuele Bracco, professore di Economia politica: «Guardiamo alle elezioni del 2018 utilizzando i nuovi collegi e proviamo a capire cosa succederebbe se gli elettori milanesi della Lega iniziassero a virare verso FdI - è la sua analisi su Lavoce.info -. Sarebbe ragionevole aspettarsi che FdI veda aumentare i propri eletti a Milano a discapito della Lega». E invece flipper! «Se 15.000 leghisti milanesi cambiassero idea e votassero Fratelli d'Italia, FdI otterrebbe un seggio in più a Cagliari togliendolo a FI (i cui voti sono rimasti invariati). FI guadagnerebbe però un seggio in Basilicata, togliendolo alla Lega».
Insomma, un flusso tutto lombardo strariperebbe colpendo «un povero forzista sardo, che ha dovuto lasciare il posto a un collega lucano senza che i voti del suo partito siano cambiati né in Sardegna, né in Basilicata».
Per Salvatore Vassallo, direttore del Cattaneo «è un tentativo arzigogolato di combinare due esigenze: un proporzionale su base nazionale; e il numero di seggi spettanti a ciascun territorio in rapporto alla popolazione». Due principi che «prima o poi entrano in collisione». Ma per Vassallo non è sempre colpa dei sistemi elettorali, «sui quali i politici tendono spesso a scaricare aspettative non soddisfatte».
Apartheid elettorale. L’ostruzionismo amministrativo che impedisce di candidarsi a chi non è già in Parlamento. Carmelo Palma su L'Inkiesta l'1 agosto 2022.
Come denuncia l’Associazione Coscioni, il Rosatellum impone solo alle nuove forze di raccogliere in due mesi le sottoscrizioni da autenticare in via cartacea e senza firma digitale. E, in più, impedisce di fatto “agli intrusi” di entrare in una coalizione
La cosiddetta galassia radicale, cioè l’insieme di sigle e associazioni di cui si componeva l’universo pannelliano e che la morte di Pannella ha privato del suo centro di unità e gravità politica, a queste elezioni marcerà come non mai in ordine sparso.
La componente radicale di +Europa sarà nel raggruppamento di Calenda. Il partito di Radicali Italiani, che è distinto da +Europa, sta studiando una propria collocazione nella compagine progressista. Il gruppo dirigente del Partito Radicale e della Lista Pannella potrebbe invece continuare a coltivare in senso elettorale il rapporto avviato con la Lega di Matteo Salvini sui referendum sulla giustizia.
Di tutte le componenti della galassia radicale, quella ad avere compiuto la scelta più radicale, in senso proprio e figurato, è però l’Associazione Luca Coscioni, che ha promosso la presentazione di una lista “Democrazia e Referendum” con l’obiettivo di sollevare lo scandalo sul carattere deliberatamente discriminatorio della legge elettorale in ordine all’accesso agli istituti di partecipazione politica e alle elezioni.
In un Paese abituato a urlare a sproposito all’allarme democratico, quella che pone l’associazione di Marco Cappato e Filomena Gallo è davvero la questione democratica per eccellenza, visto che l’attuale legge elettorale distingue figli e figliastri e istituisce un regime di sostanziale apartheid elettorale per le forze politiche non presenti nel Parlamento uscente.
In sintesi il problema è questo: sulla base della regola generale prevista dal Rosatellum e di una deroga particolare (in ogni legislatura si allarga in articulo mortis la platea dei beneficiati) una decina di soggetti politici godono dall’esonero dalla raccolta firme. Sono – regola generale – i partiti che si siano costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le camere dall’inizio della legislatura – Pd, M5s, Lega, FI e FdI – come prevede l’articolo 18-bis, comma 2, del dpR 361/57 (Testo unico per la elezione della Camera dei deputati), nonché – regola particolare, introdotta meno di un mese fa: art. 6-bis del decreto legge 41/2022 – i partiti costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021, nonché quelli che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale, o che abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all’1 per cento del totale.
Come è evidente dalla lettura, anche disattenta, delle cronache politiche, di queste norme non esiste neppure una interpretazione ufficiale e consolidata – il numero delle liste esonerate sembra crescere di giorno in giorno – e c’è da immaginare che in sede di attuazione si proverà a riconoscere molto estensivamente questo beneficio: gli esoneri per partenogenesi. Ma solo per chi, in un modo o nell’altro, è dentro il Parlamento uscente.
Fuori dal recinto del privilegio, c’è una normalità di fatto impossibile. Le forze politiche non titolari dell’esonero devono infatti raccogliere 36.750 firme per i 49 collegi plurinominali della Camera e 19.500 firme per i 26 collegi plurinominali del Senato (cioè almeno 750 a collegio). Questo numero abnorme di firme è già dimezzato rispetto a quello previsto a regime, perché la legislatura si è sciolta anticipatamente. Ciascuna di queste firme va apposta alla presenza di un autenticatore (tipicamente un notaio, un cancelliere o un consigliere comunale, provinciale e regionale) e va certificata richiedendo al comune di residenza del firmatario il suo documento di iscrizione nelle liste elettorali. I punti di raccolta devono essere ovviamente disseminati nei diversi collegi plurinominali. Non è ammessa la firma digitale.
Quale è la ragione di questo sistema complicatissimo, che non prevede modalità diversa da carta penna e calamaio, prescrive la presenza di un autenticatore o disinteressato (i cancellieri, che dovrebbero farlo gratuitamente) o esoso (i notai, che possono essere pagati ma a tariffa notarile) ovvero ostile a qualunque partito non sia il proprio (gli eletti negli enti locali) e obbliga i promotori a richiedere a una pubblica amministrazione un foglio di carta (il certificato elettorale del firmatario) da consegnare a un’altra pubblica amministrazione?
La ragione è proprio la discriminazione elettorale degli “intrusi”, cioè di quelli che, non stando in Parlamento, non ci devono entrare. Gli handicap che la legge elettorale infligge loro non sono la conseguenza di requisiti di rappresentatività particolarmente esigenti, ma l’obiettivo di meccanismi deliberatamente ostruzionistici, che rendono difficilissimo, in condizioni ordinarie, o impossibile, in condizioni straordinarie presentare al voto una nuova forza politica.
Di fatto i partiti già rappresentati nelle istituzioni sono i soli che non devono raccogliere le firme, ma sono anche gli unici a poterlo fare, avendo a disposizione una rete diffusa di consiglieri comunali e provinciali, cioè di autenticatori di partito.
Alle scorse elezioni, nel 2018, riuscirono a presentarsi solo tre forze non presenti in Parlamento, avendo potuto organizzare la presentazione con mesi di anticipo (Potere al popolo, CasaPound e Popolo della famiglia): e le firme richieste erano circa la metà di quelle chieste oggi. Nel 2013 il M5S, per cui di lì a qualche settimana avrebbe votato un italiano su quattro, fece una notevole fatica a raccogliere le firme, tra vibranti polemiche, malgrado vi si fosse preparato con largo anticipo e le firme da raccogliere fossero state ridotte in extremis a circa 30.000.
Oggi ci troviamo in uno scenario decisamente peggiore. Lo scioglimento delle camere è maturato nel giro di una settimana ed è stato decretato un mese prima della data in cui dovrebbero essere consegnate le firme, per raccogliere le quali teoricamente la legge dà ai partiti fino a sei mesi di tempo.
L’anomalia italiana emerge anche nel confronto con altri Paesi europei. In Francia non sono richieste firme, nel Regno Unito ne bastano 6000, in Germania ne servono un numero analogo a quello richiesto in Italia, ma le firme non vanno autenticate e questo cambia tutto.
Di fronte a questo scenario, l’Associazione Coscioni ha chiesto al Governo un provvedimento urgente per autorizzare l’utilizzo della firma digitale nel procedimento pre-elettorale. La stessa firma “non cartacea” che consente al cittadino di perfezionare ogni sorta di atto con la pubblica amministrazione, tranne, non casualmente, la dichiarazione di presentazione delle liste elettorali. Per dare concretezza a questa richiesta, l’Associazione Luca Coscioni ha annunciato la presentazione di una lista elettorale denominata “Democrazia e Referendum”, insieme alla Associazione Eumans, la cui presidente Virginia Fiume è in sciopero della fame da mercoledì scorso “per sostenere la richiesta al Presidente del Consiglio di autorizzare la sottoscrizione telematica delle liste per le elezioni”.
I promotori dell’iniziativa hanno sottolineato anche un altro paradosso della legge elettorale, che oltre a rendere molto difficile la presentazione delle liste che devono raccogliere le firme, rende per loro impossibile allearsi con partiti che godono dell’esonero dalla raccolta firme, perché – come dice Cappato – «le firme andrebbero raccolte non solo sulle liste di candidati al proporzionale, ma anche sui candidati maggioritari di una eventuale coalizione”, che le liste esonerate decidono solo nell’imminenza della presentazione delle candidature».
Il destino di questa iniziativa dell’Associazione Coscioni nell’immediato pare purtroppo segnato. Potrebbe avere un seguito giudiziario e giungere in via incidentale al giudizio della Corte Costituzionale, che su casi analoghi in passato non ha dimostrato una particolare sensibilità. In ogni caso, che l’accesso al diritto di elettorato passivo sia deliberatamente pregiudicato dalla legge elettorale, per la rendita che essa riconosce agli uscenti e gli ostacoli che frappone ai potenziali entranti, manifesta in modo eloquente il degrado della cultura democratica del nostro sistema politico e istituzionale.
Democrazia e presentazione delle liste. Raccolta firme digitali: il governo ha violato la Carta. Filomena Gallo su Il Riformista il 18 Settembre 2022
Non è possibile occuparsi di diritti civili in Italia senza occuparsi del (cattivo) funzionamento della democrazia. Le nostre libertà non possono essere soltanto evocate all’interno di logiche di posizione – di partito, di schieramento – ma vanno difese nel concreto, declinate e affermate nella pratica. Tutto ciò è possibile solo quando la democrazia vive, agevola la partecipazione, è alimentata da una classe politica che non ha paura delle libertà dei cittadini che esercitano la sovranità popolare nelle forme e nei limiti della Costituzione: una classe politica che trae forza dalla condivisione, dal coinvolgimento, dalla partecipazione di coloro ai quali chiede fiducia al momento del voto.
Con gli strumenti che abbiamo, con le persone che hanno dato corpo ai loro diritti e ai loro bisogni di vita, in questi vent’anni dalla costituzione dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, abbiamo lavorato affinché vi fosse una quotidiana dichiarazione di diritti che si oppone alla violenza proibizionista da Stato etico e alla pretesa di far decidere tutto solo dal profitto o in base alle disponibilità economiche. Mettiamo al centro la dignità delle persone, facciamo emergere la libertà come diritto individuale e anche come bene comune, guardiamo a un futuro dove la tecnoscienza sta costruendo una diversa immagine della persona umana ed è dunque fondamentale che sia costruita con metodo democratico.
La nostra Costituzione nasce dal lavoro di una commissione di 75 saggi e, dopo il voto dell’Assemblea costituente, entrò in vigore il primo gennaio 1948. Il lavoro condotto in questi vent’anni dall’Associazione ha fatto vivere i fondamenti della nostra Carta costituzionale con una interpretazione che è al passo dei tempi che cambiano. Abbiamo fatto emergere una nuova idea di cittadinanza, di un patrimonio di diritti che accompagna la persona in ogni momento di vita, dall’inizio alla fine. Rileggere i principi costituzionali è fondamentale per cogliere la connessione tra democrazia e libertà: gli articoli 1, 2, 3, 13, 21, 48, 49, 51, 56, 57 e 58 e 117 della nostra Costituzione infatti riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili della persona umana, in tutte le sue declinazioni, affermandone la pari dignità sociale e giuridica. La Costituzione prevede anche che sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Il diritto alla partecipazione alla vita politica è garantito anche attraverso il diritto alla manifestazione del pensiero e al voto. Il diritto di voto non può essere limitato se non per i casi indicati dalla legge.
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. L’elezione di ciascuna delle Camere avviene a suffragio universale e diretto. Non solo. La Carta Europea dei Diritti dell’Uomo riconosce il diritto di voto (articolo 3 del primo Protocollo alla Cedu) come cardine per due diritti che sono la doppia faccia della stessa medaglia: il diritto di votare e quello di competere per essere eletti. Questo è il parallelismo dell’elettorato attivo e dell’elettorato passivo, che nella dottrina costituzionale italiana è fatto risalire a due diverse norme: l’articolo 48 (diritto di voto) e l’articolo 51 (accesso alle cariche elettive) della Costituzione. Vivere in un paese dove le nostre libertà sono inviolabili e garantite da una Carta fondante significa vivere in un paese democratico. Ma c’è qualcosa che rompe questo schema di garanzie, di esercizio di libertà di diritti ma anche di responsabilità. Cosa? Gli ostacoli che in alcuni casi si trasformano in una vera e propria impossibilità di poter partecipare pienamente alla vita politica del nostro Paese.
Un esempio concreto: manca di fatto la possibilità di votare un partito che non abbia già una rappresentanza in Parlamento, perché quel partito non parte dallo stesso punto di partenza degli altri che hanno un beneficio che si chiama esenzione dalla raccolta firme. Chi non ha già una rappresentanza in Parlamento dovrà raccogliere in breve tempo le firme su liste già completate, le firme in modalità cartacea prevedono tempi più lunghi e maggiori risorse in un’epoca in cui la tecnologia consente l’utilizzo della firma digitale che può essere già usata per numerosi atti importanti. Mentre gli altri partiti, quelli esentati perché hanno già degli eletti, avranno più tempo per comporre le liste con i candidati e per fare anche accordi politici. Denunciare tale discriminazione non significa chiedere sconti o voler violare il principio alla base della raccolta firme, che ha l’obiettivo di verificare il sostegno popolare. Ma tale verifica deve essere praticabile in condizioni di uguaglianza.
Il legislatore nel 2017 ha individuato la necessità dell’introduzione delle sottoscrizioni digitali come strumento necessario del procedimento elettorale, proprio per contribuire a rimuovere gli ostacoli alla partecipazione politica dei cittadini, e ha emanato la legge 165 che all’articolo 3 comma 7 ha conferito una delega al Governo, stabilendo che “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, […] sono definite le modalità per consentire in via sperimentale la raccolta con modalità digitale delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e delle liste in occasione di consultazioni elettorali, anche attraverso l’utilizzo della firma digitale e della firma elettronica qualificata”. Ma la delega non è mai stata esercitata. Pertanto è stata violata la legge del nostro Paese che prevede che il Governo debba emanare un atto idoneo ad attivare tale principio normativo, come abbiamo richiesto nella lettera inviata il 25 luglio scorso al Presidente del Consiglio Mario Draghi da me firmata con Virginia Fiume, Marco Perduca e Marco Cappato. Il 30 agosto la richiesta è stata reiterata al Ministro degli Interni. Nessuna risposta.
È trascorso poco tempo da quando, proprio a seguito dell’intervento del Comitato diritti umani Onu (caso Staderini-De Lucia v/Italia), è stata evidenziata l’esigenza di semplificare la procedura di raccolta, autenticazione e certificazione delle firme per garantire la partecipazione popolare alla vita del paese. Solo un anno fa la firma digitale qualificata era stata riconosciuta come idonea: infatti il Parlamento approvò l’articolo 38 bis della legge 108 del 2021, introducendo misure di semplificazione per la raccolta di firme digitali tramite una piattaforma per la raccolta delle firme degli elettori per indire i referendum, nonché per le proposte di legge di iniziativa popolare. Firma apposta mediante la modalità prevista dal codice dell’amministrazione digitale. Nel 2021 sono state raccolte e depositate circa un milione di firme con Spid, firme ritenute dall’ufficio Referendum della Cassazione valide per indire un referendum.
Il pieno rispetto dei diritti civili e politici, grazie alla transizione digitale e per adempiere agli obblighi internazionali relativi al godimento del progresso scientifico e delle sue applicazioni, oggi passano da un Decreto che dovrebbe riconoscere finalmente la validità alle firme raccolte con Spid, oggi e per il futuro, e riammettere alla competizione elettorale le liste escluse come la lista “Democrazia e Diritti con Cappato”. Escluse non perché non hanno raccolte le firme necessarie e verificato l’interesse dei cittadini alla presentazione di quella lista, ma perché il Governo dal 2017 ha dimenticato di emanare un atto previsto per legge che dia validità alle firme raccolte con Spid. questa omissione è a danno di chi ha firmato e che manifesta il bisogno di esercizio di diritti e di diritto per garantire che la nostra democrazia viva per noi e per le generazioni future. Il Governo ha violato la Carta costituzionale che è tenuto a osservare, perché la battaglia per la raccolta digitale delle firme è in realtà una battaglia per garantire la partecipazione al processo elettorale così come previsto dalle Carte fondamentali.
Abbiamo il dovere di non arrenderci, di proseguire in tutte le forme legali affinché i diritti di noi tutti siano affermati, perché i nostri nonni hanno già conosciuto cosa ha determinato vivere nella restrizione delle libertà. Noi no, abbiamo goduto di diritti fondamentali, che si sono però costantemente erosi e deteriorati, mettendo in pericolo l’assetto complessivo. Perché l’ordinamento democratico dello Stato è un elemento fondamentale ma non è sufficiente a fondare una democrazia compiuta senza un’effettiva partecipazione popolare. Le democrazie imposte dall’alto si svuotano e diventano democrazie di facciata o si disintegrano e si trasformano in dittature e oligarchie.
Filomena Gallo
Marco Zatterin per “la Stampa” il 26 luglio 2022.
Silvio Berlusconi sa sempre regalare un buon titolo. «Pensione minima a mille euro», ha promesso in caso di vittoria a chi voterà Forza Italia e non si porrà tutta una serie di domande, come «ma davvero?», «lordi o netti?», «a tutti, o solo a chi ne ha bisogno?» e, alla fine, «quanti miliardi costa e chi paga?». Un esperto di cose Inps taglia corto e risponde che «occorre un botto di soldi che non ci sono», ma poi si arrende alla consolidata legge della campagna elettorale: l'impegno di spesa prevale sulla copertura. La lotta per il consenso già in queste prime ore di propaganda feroce pare destinata a creare un pericoloso fronte #ForzaDebito. Non che se ne preoccupino molto, soprattutto alcuni. Si vuole il governo e poi si vedrà.
Nell'attesa, annotiamo che la pensione a mille euro - spannometricamente, per carità - riguarda il 32% degli ex lavoratori, ovvero 5-6 milioni di uomini e donne. Il che, in numeri, equivale a una spesa previdenziale aggiuntiva tra i 20 e i 27 miliardi l'anno. Cioè 100 miliardi per un'intera legislatura se il cavaliere si afferma e mantiene la parola.
Non che sia tempo di ampliare la voragine del passivo repubblicano che veleggia oltre il 150% del pil. La congiuntura è sfavorevole, ci sono la guerra e la pandemia, l'inflazione rovente e il gas ristretto, i tassi stanno crescendo e, nonostante il lavoro del Tesoro nell'allungare le scadenze, il servizio del debito è destinato a salire rapidamente e presto.
Oltretutto, qualora finissimo in una tempesta da alto spread, la pur mite linea della Bce per aiutarci richiederebbe il rispetto dello status quo, dunque conti aggiogati e rispetto degli impegni del Pnrr.
Scostamento zero, insomma.
La strada consigliata è questa.
Da Calenda a Salvini Ce l'ha in testa Carlo Calenda quando scrive nel Patto repubblicano che «nessun taglio di tasse può essere fatto ricorrendo a deficit aggiuntivo» e che il bilancio «va tenuto sotto controllo». È un piccolo conforto per chi teme le deviazioni dei conti pubblici e ne immagina gli effetti, una sensibilità che porta il leader di Azione in sintonia con il Pd di Enrico Letta, per il quale la stella polare resta l'agenda virtuosa di Draghi. I dem vogliono il taglio del cuneo fiscale (6,4 miliardi il costo che stimano nel 2023) e lavorano a un salario minimo che combini l'estensione del Tec (Trattamento economico complessivo) e la definizione di soglie minime per le fasce più povere e deboli. A sentire loro, l'equilibrio di cassa è garantito.
Non è la stessa cosa se si scorre il taccuino di Matteo Salvini. Lo sbarbato leghista, che due settimane fa auspicava 50 miliardi di extradeficit da distribuire agli italiani, si vincola a un azzeramento delle cartelle fiscali. Un condono, a dirla col suo nome. Quanti soldi? Il signore del Carroccio si riferisce almeno ai 34 milioni pratiche congelate causa pandemia che, poco alla volta, hanno ripreso a partire da marzo.
Si tratta di atti che, se cancellati, comporterebbero minori entrate per lo Stato e le amministrazioni locali (cioè noi) pari a 75 miliardi l'anno, con un totale che supera i 110 miliardi visto che la prospettiva è di 18 mesi. Denari svaniti e un segnale preciso per chi le cartelle deve onorarle: ora potrà anche valutare di non farlo e aspettare la sospensione dell'onere.
Salvini promette poi la riduzione dell'età pensionabile, ponendo "quota 41" per gli anni di contribuzione e caricando un ulteriore fardello sulle spalle dell'Inps. «Costosissimo», assicura l'esperto dell'Ente. Come il vitalizio alle mamme immaginato da Berlusconi. Per poterselo permettere occorrerebbero maggiori entrate, montagne di entrate. Invece il capitano leghista insegue la leadership da sondaggio di Giorgia Meloni rintavolando la Flat Tax, i cui effetti sul bilancio sono noti. Secondo la stima dell'economista Carlo Cottarelli una vera e propria imposta piatta «costerebbe circa 57 miliardi allo Stato di cui 46 andrebbero a favore del Centro-Nord e solo 11 al Sud». Senza contare che i benefici sarebbero percentualmente più ricchi per i redditi alti. Più Sceriffo di Nottingham che Robin Hood, in breve. E Tesoro coi forzieri più leggeri.
I programmi Giorgia Meloni sta scrivendo un programma di migliori intenzioni. Sul sito c'è il vecchio che andrebbe considerato "ufficiale"; eppure, si capisce che non lo è più così tanto. Quello era per l'opposizione, ora si pensa al governo. «Vogliamo concentrarci sulle cose che si possono fare», ha detto alla Stampa, precisando di voler mantenere gli impegni del Pnrr, salvo provare a convogliare risorse dove l'Italia è più competitiva degli altri, cosa che non le pare stia succedendo. Centrali, per FdI, gli aiuti a chi assume, il taglio del cuneo, l'azzeramento del reddito di cittadinanza, una flat tax incrementale oltre i 100 mila euro di reddito. Si ritroverà con Salvini e azzurri nel garantire tassisti e balneari, il che porta voti, ma costa in benefici allo Stato e ai cittadini. Da vedere sarà l'effetto dell'europeismo sovranista. Una tensione con Bruxelles potrebbe colpire il debito. La grammatica dell'euro non è stata chiarita.
C'è voglia di spesa pure al centro e a sinistra. Inevitabile.
Il Pd si batte fra l'altro per «rafforzare il potere d'acquisto dei salari» con l'estensione dei bonus per le categorie escluse ( 600 milioni annui). Calenda vuole detassare l'assunzione dei giovani sino a 25 anni e cercare gettito nelle transazioni digitali, per alleggerire il fisco da lavoro e produzione: «Ogni euro recuperato dall'evasione deve essere minor tassazione l'anno successivo».
Sul cuneo fiscale converge Giuseppe Conte, guida dei grillini, che però non esclude l'ipotesi di uno scostamento di bilancio. «Valuteremo ogni opzione», ha ammesso "l'avvocato degli Italiani" alla Stampa. Per il resto, i discepoli di Grillo partono dai nove punti proposti a Draghi per restare al governo, collana di auspici tutti piuttosto esosi, come il reddito di cittadinanza, gli aiuti straordinari per famiglie e imprese, il proseguimento del superbonus al 110 per cento e il cashback anche come strumento di lotta all'evasione. Benefici da valutare; spese sicure. In linea con chi lamentava che le promesse elettorali sono come una vendita all'incanto di merce rubata. Non è sempre così, a ben vedere. Ma questa corsa italiana al voto nell'anno rovente del signore 2022, sinora, sembra offrire più conferme che eccezioni alla nefasta regola.
La casta degli esentati. Se Bonino e Tabacci non devono raccogliere le firme, lo stesso esonero vale per Calenda. Carmelo Palma su L'Inkiesta l'8 Agosto 2022
Per fare chiarezza, anche sul piano politico, servirebbe un’interpretazione ufficiale della norma che consente a PiùEuropa e a Tabacci di presentarsi alle elezioni utilizzando la stessa esenzione per due liste
Sullo sfondo della rottura tra Calenda e il Pd si staglia una domanda che non ha direttamente a che fare con la politica, ma che potrebbe condizionare in modo determinante la campagna elettorale.
Azione può presentarsi alle elezioni senza raccogliere le firme? Il partito di Calenda gode dello stesso esonero di cui vengono pacificamente accreditati partiti come +Europa e Centro Democratico, in base all’articolo 6-bis del decreto legge 41/2022 che prevede, tra le altre cose, che questo privilegio, oltre a partiti costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due camere al 31 dicembre 2021, sia riservato anche a partiti o gruppi politici che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri italiani del Parlamento europeo in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale?
Chi abbia seguito, anche distrattamente, le cronache politiche di questi giorni, avrà notato come, praticamente ovunque, la possibile presentazione della lista di Azione fosse considerata subordinata all’abbinamento con +Europa, perché al solo partito di Bonino e Della Vedova era riconosciuto l’esonero dalla raccolta firme. Al contempo, del predetto esonero, per così dire “duplicato”, era considerato titolare anche il Centro Democratico di Bruno Tabacci, dal quale questo privilegio sarà trasferito alla lista Impegno Civico di Di Maio.
Se però si approfondisce la questione, si capisce che la situazione di +Europa, ai fini dell’esonero dalla raccolta firme, è esattamente identica a quella di Azione e che l’interpretazione (discutibile e estensiva) della norma pretesa da +Europa e Centro Democratico beneficerebbe nella stessa misura anche Azione e non impedirebbe ad essa una presentazione autonoma, senza dovere raccogliere le firme.
Vediamo la questione nel dettaglio. Alle elezioni politiche del 2018 la lista +Europa/Centro Democratico ha conseguito un eletto in ragione proporzionale nella circoscrizione Estero – ripartizione Europa.
La doppia denominazione della lista titolare dell’esonero, come ha evidenziato in numerosi interventi pubblici il prof. Giovanni Guzzetta, però non sembra proprio, in base a come è scritto l’articolo 6-bis del decreto legge 41/2022, dare diritto a due esoneri disgiunti, utilizzabili per due liste diverse.
Eppure ciò è proprio quanto +Europa e Centro Democratico hanno annunciato e la stampa registrato come una cosa scontata. Nell’accordo complessivo del campo progressista +Europa avrebbe trasferito l’esonero alla lista comune con Azione e Centro Democratico alla lista dimaiana di Impegno Civico. Un esonero raddoppiato dunque, in ragione della doppia matrice della lista elettorale che ne aveva conseguito il titolo: uno per il genitore politico A, l’altro per il genitore politico B.
Se però questa interpretazione, diciamo così molto “larga”, della norma vale per +Europa e Centro Democratico, perché non dovrebbe valere per Azione? Il partito di Calenda, con la propria precedente denominazione (Siamo Europei), diede vita alla lista PD-Siamo Europei per le elezioni europee del 2019. Di questa lista furono eletti lo stesso Calenda e altri diciotto deputati europei. Allora, se la lista +Europa/Centro Democratico del 2018 produce due esoneri, perché la lista PD/Azione del 2019 dovrebbe produrne solo uno (per il PD), considerato che la norma speciale introdotta un mese fa vale sia per le candidature per la Camera dei deputati che per quelle del Parlamento europeo?
Il fatto stesso che da settimane la politica e l’informazione italiana girino intorno alla questione senza che sia stato possibile ottenere di questa norma di favore una interpretazione ufficiale – assolutamente necessaria per rendere le forze politiche consapevoli dei diritti e degli oneri legati alla presentazione delle candidature – dà la misura del degrado del processo democratico nel nostro Paese, che Marco Cappato, Virginia Fiume e l’associazione Eumans hanno denunciato anche in rapporto alle soglie di accesso ostruzionistiche, opposte a chi debba presentarsi alle elezioni raccogliendo le firme dei cittadini, secondo procedure rese deliberatamente impossibili, e senza possibilità di ricorso alla firma digitale, consentita invece per ogni atto con la pubblica amministrazione.
A ciò si aggiunge l’impressione, francamente sgradevole, che gli esoneri scontati siano stati considerati in tutto questo periodo, per una sorta di indiretto accreditamento, quelli di liste legate al PD e l’unico ad essere stato considerato insussistente o molto dubbio sia stato l’esonero dell’unico partito recalcitrante a un accordo per il PD: Azione.
Il miracolo della moltiplicazione degli esenti, una pratica fuori legge. Altro che rappresentatività, qui siamo ai trucchi e ai giochi di prestigio: così la matrioska di partiti e partitini aggira lo spirito della lettera della norma. Giovanni Guzzetta su Il Dubbio il 3 Agosto 2022
La concitazione della campagna elettorale si arricchisce in queste ore di un nuovo capitolo. Si tratta della questione su quali partiti o movimenti debbano raccogliere le firme per presentare una lista e chi invece sia esentato. Questione, come si comprenderà, fondamentale per almeno due ragioni.
La prima è che la precipitazione degli eventi politici e la caduta di questa fase pre-elettorale in piena estate rende praticamente impossibile la raccolta delle firme per chi non sia “esentato”. Proprio su questo problema si spende in questi giorni Marco Cappato chiedendo che il governo consenta, con un decreto-legge, la raccolta delle firme in forma digitale. Ed è francamente difficile comprendere (comunque la si pensi) per quale motivo tale possibilità, consentita per promuovere un referendum o per presentare una legge di iniziativa popolare, sia invece negata per la presentazione delle candidature al Parlamento. Misteri della (ir-)ragionevolezza del nostro legislatore.
Ma la questione è fondamentale è che gli smottamenti politici avvenuti durante tutta la legislatura (scissioni, trasformismi e transumanze varie) e acceleratisi negli ultimi tempi hanno moltiplicato sigle e partiti, che ovviamente vogliono tentare la sorte nelle prossime elezioni. Evitando possibilmente il bagno di sangue della raccolta delle firme.
E, così, gli aspiranti all’esenzione aumentano. Nell’impossibilità pratica di fare una raccolta in piena estate, aggiudicarsi quel “passi” diventa una questione di vita o di morte. Ma si sa l’Italia è la terra dei miracoli. E allora vediamo che succede.
La questione nasce da lontano, da quando cioè, in tempi, diciamo così, remoti si ritenne di esonerare i grandi partiti che animavano la vita nazionale dalla trafila di dover raccogliere a ogni elezione le firme per la presentazione delle candidature. Si può essere d’accordo o meno, ma quella scelta aveva una sua logica. Raccogliere le firme serve a dimostrare di avere un qualche seguito nel paese, una rappresentatività minima, ed evitare che la competizione elettorale sia inflazionata da centinaia di liste inconsistenti e senza nessun seguito nel paese. Ovviamente per partiti già ampiamente e ripetutamente rappresentati in Parlamento il radicamento nel paese era, per dir così, presunto. Una presunzione di rappresentatività.
Di qui la prima grande esenzione. Come recita lo stesso Rosatellum (l’attuale legge elettorale) “i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura” non devono raccogliere le firme. Alla grande esenzione, però, se ne sono via via aggiunte delle altre, guarda caso proprio nel momento in cui il sistema politico si sfarinava sotto i colpi di scissioni e transumanze. E così, spesso in articulo mortis, cioè verso la fine delle legislature, sono cominciate a fioccare nuove esenzioni. Nel 2008, nel 2018, nel 2022 (tanto per fare qualche esempio). Paradossalmente proprio nel momento in cui quella presunzione di rappresentatività entrava in crisi, sotto i colpi della crisi dei partiti, il sistema politico ha sentito il bisogno di allargare le maglie di quella “presunzione” di rappresentatività (assai più presunta, appunto, che dimostrata). E, come dicevo, anche in questa legislatura l’esenzione ha avuto il suo momento di gloria. Nel convertire il decreto-legge 4 maggio 2022, n. 41, il Parlamento ha, infatti, previsto ulteriori esenzioni. Le ha previste “esclusivamente” per le prossime elezioni. Del resto perché privare il prossimo legislatore di questo passe-part-tout- Al futuro ci penseranno quelli che verranno, a seconda delle circostanze e delle convenienze del momento.
Secondo questa nuova disciplina le esenzioni riguardano non più solo i partiti che abbiano avuto, in entrambe le Camere, un gruppo parlamentare dall’inizio della legislatura, ma adesso anche quelli con un gruppo in un solo ramo del Parlamento e nemmeno all’inizio della legislatura, ma al 31 dicembre 2021. Una consacrazione di scissionismo e trasformismo. Anzi, un vero e proprio premio: se fai un nuovo partito senza esserti mai misurato con il voto degli elettori, ti do anche l’esonero dalla raccolta delle firme. Quella che i giuristi chiamano una presunzione juris et de jure (tradotto: anche se non so se tu rappresenti qualcuno, per legge io presumo che tu sia rappresentativo e quindi ti evito la raccolta).
La seconda esenzione prevista da quell’emendamento di maggio è per chi abbia presentato liste alle scorse elezioni e abbia ottenuto almeno un seggio o addirittura nessuno, se lo hanno comunque votato almeno l’1 % degli aventi diritto. Ma non finisce qui. Anzi, si potrebbe dire, che queste sono scelte politiche, di cui i nostri rappresentanti si assumono la responsabilità. Se vogliono una corsia preferenziale così ampia rispetto al viottolo lasciato agli altri cittadini, questi ultimi hanno tutti gli strumenti per giudicarli. Certo se da un lato si rende la vita più facile a chi è già nelle istituzioni e dall’altro non si interviene per dare una chance dignitosa a chi da fuori voglia legittimamente entrarci (magari anche senza esenzione), non ci si può poi lamentare che il populismo dilaghi, l’astensionismo aumenti e la fiducia nella politica tocchi i minimi storici. La cosa più grave è che a furia di esoneri ed esenzioni, gli interessati ci abbiano preso la mano e stiano tentando di trasformarsi in novelli messia capaci di moltiplicare pani e pesci come fece nostro Signore per sfamare le folle nel deserto dove si era ritirato a seguito della decapitazione di Giovanni il Battista.
Il trucco è semplice. L’esenzione è per il partito o la lista. Ma cosa succede se il partito o la lista sono in realtà un’associazioni di partiti e sigle, che si uniscono per le elezioni, ma rimangono separate giuridicamente? Succede che nel caso in cui alle successive elezioni vadano separati, ciascuna di esse rivendicherà il diritto all’esenzione. Ed ecco fatto il miracolo: la moltiplicazione degli esenti, venuti fuori da una matrioska di partiti e partitini, leader e leaderini, che unendosi e dividendosi dispensano miracoli e creano miracolati.
Fantascienza, si dirà. La scissione dell’atomo. Invece, basta guardarsi intorno, sta accadendo sotto i nostri occhi (ne parla Carmelo Palma su Linkiesta, ad esempio). A meno che le istituzioni preposte al controllo sulla presentazione delle liste non facciano sentire la propria voce. Perché a me sembra una frode bella e buona dello spirito e della lettera della legge. Altro che rappresentatività, qui siamo ai trucchi e ai giochi di prestigio.
Ma la pressione è forte, perché, come dicevo, strappare un’esenzione, di questi tempi, è questione di vita o di morte. Del resto, confessiamolo: chi di noi, nella vita, non ha mai aspirato a una piccola o grande “esenzione”. Che gli evitasse traversie burocratiche, fastidiose lungaggini o la mannaia di un’esclusione imposta dalla legge. Una bella metafora dello spirito nazionale. Che avrebbe meritato una novella di Pirandello. O una urticante battuta di Flaiano. Ma dicono che entrambi, purtroppo, non ci siano più.
Luca Bottura per “La Stampa” il 2 agosto 2022.
Ieri Salvini ha dichiarato a gran voce che la Lega sta con la Nato. Da ora in poi, starei attento a quando beve il tè.
Grillo ha pubblicato sul blog una lista fotografica di zombie a Cinque Stelle.
Quell'uomo non riesce a non parlare di sé.
La lista Di Maio ha un'ape nel simbolo. Slogan consigliato: "Il partito che cera".
Pur di risparmiare sulle tasse, Donald Trump ha fatto seppellire l'ex moglie nel giardino di casa. Alla notizia, Veronica Lario ha lasciato il Paese.
Elenco provvisorio delle principali condizioni poste da Calenda a Letta per allearsi al Pd.
10) Proiezione obbligatoria di tutte le puntate di Cuore entro l'obbligo scolastico.
9) Installazione di un Gps (Global position Sinistra) su tutti i deputati e senatori per evitare che se ne escano con boutade controproducenti come far pagare le tasse ai più ricchi.
8) Sì alle centrali nucleari, la prima delle quali da costruire nel tinello di Conte.
7) No al reddito di cittadinanza, sì alla Lacoste di cittadinanza.
6) Per non essere disturbato da chi contesta l'agenda Draghi, inserire Sinistra Italiana e i Verdi nel registro delle opposizioni.
5) Pronunciare ad alta voce, correndo intorno al Nazareno, la formula "Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglio, 'fammocca e cinche stelle e pure un po' Travaglio".
4) Prendere atto che il nome di battesimo "Enrico" richiama troppo il Pci e cambiare generalità in "Alcide Letta".
3) Tenersi Renzi almeno nei week-end e durante le vacanze.
2) Primo articolo della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica fondata su Twitter".
1)Togliere dalla bandiera del Pd il verde perché troppo ambientalista e il rosso per ovvi motivi. Finalmente, il Pd alzerebbe bandiera bianca.
Alessandra Ghisleri per “la Stampa” il 26 luglio 2022.
La crisi ha un prezzo e il prezzo lo pagano coloro che vengono additati come gli autori della crisi. Questa è la percezione a caldo degli elettori dopo cinque giorni dalla caduta del Governo. Oggi in politica tutto è ciò che appare, e per adesso si addossano solo le colpe non ancora le proposte. Più che una crisi politica appare più come una crisi di sistema. Questo è quanto emerge dall'ultimo report di EuromediaResearch.
Un elettore su tre (27,5%) ha già dichiarato di voler riprendere in considerazione il voto al partito rispetto alle elezioni europee del 2019, tuttavia vedendo gli esiti dei sondaggi degli ultimi anni questo lo sapevamo già. Il 61,8% degli intervistati non si dichiara contento della fine dell'esperienza del governo Draghi, e tra di loro troviamo il 63,2% degli elettori di Forza Italia e il 51,1% di quelli della Lega. E' scontato dire che gli unici appagati siano in maggioranza gli elettori di Fratelli d'Italia e del Movimento Cinque Stelle.
L'immagine rimane scolpita nella memoria, e il desiderio di far ascoltare la propria voce emerge dalla gente in maniera chiara: il 64,6% dei cittadini intervistati dice - a caldo - che terrà conto, nel bene e nel male, di quanto avvenuto nella propria scelta di voto il 25 settembre e tra questi si conferma ben il 60,3% di coloro che si dichiara ancora indeciso se andare a votare e per "chi" votare. E oggi a sessanta giorni dal fatidico richiamo alle urne è necessario comprendere dove sono attribuiti i meriti e le colpe.
Conte (65%), Salvini (58,5%), Grillo (53,5%), Berlusconi (52,9%), Di Maio (46,9%) vengono indicati come i maggiori portatori di "colpe" in questa crisi. Le motivazioni e il grado di responsabilità sono diverse e ognuna con una sua ragione alla base.
Enrico Letta si divide tra l'avere avuto delle colpe e non aver avuto nessun ruolo.
La sua posizione al Governo è stata garantista e riconoscibile dal suo elettorato. La presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, invece, è palese che ha riscosso il suo successo nell'operazione essendo semplicemente testimone di quanto stava accadendo a suo beneficio e che andava incontro al suo desiderio di sempre: andare al voto il prima possibile.
Oggi è prematuro definire i perimetri ufficiali delle alleanze politiche ancora in fase di costruzione, ad eccezione dei principali partiti del centrodestra. Tuttavia, i segnali di quanto è avvenuto si leggono chiari nelle intenzioni di voto registrate "a caldo" nel post crisi di governo. Fratelli d'Italia incassa con successo un +1,5% nel giro di una settimana, mentre i suoi alleati pagano il prezzo del momento con un -0,9% per Forza Italia e un -0,6% per la Lega.
Sull'altro fronte il Partito democratico, guidato dal segretario Enrico Letta, guadagna un punto percentuale (22,8%), Azione di Carlo Calenda lo 0,6% (5,1%), e Italia Viva di Matteo Renzi lo 0,5% (3,1%). La memoria è la capacità di ritrovare e custodire le informazioni e le esperienze del passato e nelle scelte di voto in più occasioni gli elettori hanno dimostrato di far pre-valere altre spinte. Memoria da pesciolino rosso? Siamo a sessanta giorni dalle elezioni politiche, così vicine, con una pausa estiva nel mezzo.
I toni della campagna elettorale iniziano a farsi sentire in tutta la loro pienezza e creatività. Sono impegni generalmente basati su previsioni rosee per il futuro, ma in realtà oggi la situazione presenta delle previsioni basate su scenari molto complicati e difficili da risolvere. Quanta memoria ci sarà per richiedere di mantenere le promesse?
Le elezioni.
Matteo Pucciarelli per repubblica.it il 9 ottobre 2022.
Il verbale della Corte suprema di Cassazione è di ieri mattina: cinque magistrati, un segretario verbalizzante, quattro funzionari esperti in statistica, tutti al lavoro per arrivare a una conclusione, due settimane dopo il voto. Ecco quindi arrivato il responso per chi alla Camera era ancora in bilico, appeso a complicati calcoli, ripartizioni, riconteggi e così via.
Nulla da fare per +Europa
Per +Europa nulla da fare: rimane sotto la soglia del 3 per cento, nessun eletto tranne Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi, passato all'uninominale con il centrosinistra.
In consegna agli eletti i telegrammi ufficiali
In queste ore i carabinieri stanno consegnando il telegramma ufficiale con la proclamazione ai 400 neodeputati e ai 200 neosenatori che da domani potranno presentarsi a Montecitorio e Palazzo Madama per le pratiche di rito, dalle foto alla consegna del badge.
La legge elettorale, il famigerato Rosatellum, permette le pluricandidature e prevede dei meccanismi automatici per decidere dove vada proclamato un candidato eletto in più collegi. In alcuni casi però questa decisione può dipendere da una manciata di voti e in alcune Corti di Appello sono stati commessi errori materiali nelle somme dei voti. Rivisti tutti i verbali si è proceduto ai calcoli visto il gran ricorso alle pluricandidature.
Le sostituzioni
Tra i 245 eletti con il proporzionale alla Camera, 19 entrano in sostituzione di colleghi già proclamati vincitori nei collegi uninominali, 18 in sostituzione degli eletti in più collegi proporzionali, sei erano i casi più particolari e spinosi da risolvere.
Ad esempio Giorgia Meloni è stata proclamata eletta nell'uninominale dell'Aquila, facendo subentrare il secondo nelle cinque liste proporzionali che guidava (Lombardia 1, Lazio 1, Sicilia 1, Sicilia 2, Puglia): Lorenzo Malagola, Federico Mollicone, Gianluca Caramanna, Manlio Messina e Marcello Gemmato. Quest'ultimo era stato eletto anche in un'altra lista proporzionale della Puglia, dove anche la seconda è stata a sua volta eletta altrove, quindi a passare è Luigi Maiorano. Solo che in alcune liste proporzionali si erano esauriti i nomi di candidati, perché eletti altrove.
In Veneto orientale FdI ha ottenuto tre seggi del proporzionale ma i primi due della lista di quattro candidati erano stati eletti altrove. Sono entrati alla Camera gli altri due candidati e in base alla legge il terzo sarebbe dovuto essere recuperato in qualche uninominale perso in Regione, dove però il centrodestra ha fatto il pieno.
Così il seggio veneto è stato recuperato nella circoscrizione dove FdI ha la "maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata", nella circoscrizione Lazio 2. Il fortunato è Paolo Pulciani, solo terzo in lista, ma i primi due erano stati già mandati in Parlamento dagli elettori del Lazio. Stesso meccanismo per la Campania 1 (Napoli): l'eletto mancante è stato recuperato in Lombardia 2, con Alessandra Todde. Il M5S aveva liste "incapienti" anche in Calabria, passa Elisa Scutellà eletta in vece di Federico Cafiero de Raho, a sua volta pluricandidato ma proclamato in Emilia. Per l'Alleanza sinistra verdi scatta il seggio di Elisabetta Piccolotti, sono bastati 15 voti persi e ritrovati per azionare il flipper: entra lei ed esce il compagno di partito Giovanni Paglia.
Antonio Fraschilla per “L’Espresso” il 9 ottobre 2022.
Mettere la polvere sotto il tappeto. E di polvere Giorgia Meloni in casa ne ha talmente tanta che sta faticando non poco a nasconderla. Dal 25 settembre, data del trionfo alle urne per Fratelli d’Italia, Meloni si è chiusa al sesto piano della Camera nell’ufficio di presidenza del gruppo, che sarà il più ampio del Parlamento. E un po’ perché ha avuto un abbassamento di voce, un po’ perché di parlare con alcuni volti del suo partito e dei partiti alleati soprattutto non ne ha proprio voglia, insomma parla pochissimo.
E sta facendo saltare i nervi anche a quelli che fino al giorno del voto sembravano essere i suoi fedelissimi in Fdi, da Ignazio La Russa a Guido Crosetto, da Raffaele Fitto (meno fedelissimo) ad Adolfo Urso, per non parlare degli altri leader della coalizione che non riescono nemmeno a scambiarci due chiacchiere vere se non battute di circostanza, da Matteo Salvini a Licia Ronzulli.
Gli unici che hanno accesso alla stanza, e alle parole della leader, sono Giovambattista Fazzolari, che ha in mano tutti i dossier che scottano, dal caro energia alla crisi economica, e il cognato Francesco Lollobrigida. In queste ore è la polvere la vera ossessione di Giorgia Meloni: dove per polvere si intende nostalgici del fascismo che le farebbero fare brutta figura in Europa già all’indomani della formazione del governo, casinisti che prenderebbero i ministeri per fare campagna elettorale permanente, impreparati al ruolo in un momento storico difficilissimo per il Paese e per l’Europa intera, e volti che hanno palesi conflitti di interesse per i loro ruoli recenti nel privato o in istituzioni pubbliche.
La polvere che Meloni vuole nascondere e non mettere in posti di governo e di visibilità, per evitare di essere impallinata dai giornali e fare brutte figure proprio quando deve accreditarsi in cancellerie europee che già non pensano di accoglierla a braccia aperte.
Così, mentre tutti gli aspiranti ministri parlano con i giornalisti sussurrando che loro sanno qualcosa di quel che pensa Meloni in queste ore, e quindi magari salta fuori il nome di Daniela Santanché per il Turismo (con un lievissimo conflitto di interesse) o quello di Guido Crosetto al Mise o alla Difesa (lui che ha società di consulenza in settori legati a molte aziende di Stato e del settore delle armi) la presidente del Consiglio in pectore cerca di trovare soluzioni non traumatiche per dire a chi ambisce a certi ruoli che no, non è questo il momento.
Si narra in Fratelli d’Italia, a esempio, di una certa tensione di La Russa, uno dei fondatori del partito: prima la storia del fratello che alza il braccio salutando alla fascista con il grido “presente” ai funerali dello storico volto della destra Alberto Stabilini, poi lo stesso ex ministro dei governi Berlusconi che in televisione parla di radici storiche comuni con il fascismo e Mussolini di tutti gli italiani, mentre lei è impegnata a rassicurare il mondo esterno sulla fine della “matrice” nera in Fratelli d’Italia, ribadendo che lei non ha detto nulla quando Gianfranco Fini ha rinnegato il fascismo come «male assoluto».
Fini che, guarda caso, dopo anni di silenzio per gli scandali familiari che lo hanno travolto, è tornato fugacemente sotto i riflettori nella sede della stampa estera per dire che «Giorgia è brava». Per La Russa si deve trovare quindi un altro ruolo, forse la presidenza del Senato se questa non va a Lega o Forza Italia, oppure un dicastero meno influente.
Un altro volto che si agita molto e che non capisce bene dove Meloni lo voglia piazzare è quello di Crosetto: l’altro fondatore del partito, ex democristiano di destra, ma soprattutto lobbista nel campo delle aziende di armi e con portafoglio ampio di clienti, durante la campagna elettorale è stato uno dei frontman mediatici del partito. Sempre in televisione, decine di interviste per spiegare il Meloni pensiero.
Certe volte creando più irritazione che altro proprio alla leader: che dicono si sia molto innervosita per l’ultima intervista rilasciata da Crosetto ad Avvenire. Sul giornale della Conferenza episcopale italiana il fondatore di Fdi si è lanciato nel dire che «siamo in guerra, per salvare l’Italia servono tutte le energie. E tutte vuol dire tutte. Giorgia è libera e non ha paura, sa che deve unire».
Dopo due giorni sullo stesso giornale Meloni rilascia una intervista che smentisce Crosetto e ribadisce: «Stop larghe intese, ora esecutivo con mandato popolare». Ma la vera tensione con Crosetto, come anche con Urso, è dovuta alla linea che la futura presidente del Consiglio (a meno di sorprese clamorose) ha tracciato e che Fazzolari e Lollobrigida ribadiscono ad ogni piè sospinto: «Nel governo non ci devono essere potenziali conflitti di interesse, dobbiamo dimostrare che siamo diversi da chi ci ha governato negli ultimi dieci anni».
Crosetto ha annunciato subito di aver liquidato una delle sue società, Urso ha ribadito da tempo che non ha più partecipazioni nella società, rimasta al figlio, che si occupa di internazionalizzazione delle imprese. Basteranno queste mosse per avere ruoli di peso nel prossimo governo? Meloni è una sfinge, mentre cerca sponde in tecnici che possano rassicurare Europa e mercati che detengono il debito italiano, su tutti Fabio Panetta, ex direttore generale di Banca d’Italia e dal 2019 nel board della Bce, per il ministero dell’Eco- nomia, o Elisabetta Belloni per gli Esteri.
La polvere sotto il tappeto, il mantra di Meloni che teme brutte figure come nessuno in Fratelli d’Italia. Tanto che un altro volto considerato in prima linea per un ruolo nel governo in questo ore vive un po’ di ansia: Raffaele Fitto, uno dei pochi ex centristi e di famiglia democristiana di cui Giorgia si fida, lei che gli ex Dc non li ha mai amati e non li ama. Fitto è il candidato naturale per il ruolo di ministro con la delega agli Affari Europei o al Mezzogiorno. Ma c’è la polvere che rimane: Fitto oggi è copresidente a Bruxelles del gruppo dei conservatori europei.
Un ruolo delicato per gli equilibri nell’Ue di Meloni. Se Fitto va a fare il ministro, chi potrebbe rimpiazzarlo nel partito in questa poltrona chiave nel Parlamento europeo? Non certo Carlo Fidanza, indagato per corruzione a Milano e già finito su tutti i giornali per le sue spa- rate da nostalgico del fascismo. E nemmeno un moderato come l’ex sindaco di Catania Raffaele Stancanelli, con il quale i rapporti sono tesi per le vicende siciliane sulla scelta del candidato governatore.
A proposito: a dimostrazione della tanta polvere che ha in casa Meloni, e di mancanza di classe dirigente adeguata in Fratelli d’Italia, per il ruolo di ministro del Sud potrebbe puntare sul governatore uscente si- ciliano Nello Musumeci. Già candidato ed eletto al Senato e perdonato per certe uscite, come quella nel 2018 quando disse di non voler aderire a Fratelli d’Italia perché non entrava in partiti del tre per cento. Recentemente ha cambiato idea e Giorgia lo ha accolto a braccia aperte: per carità, è un ex missino nostalgico del Ventennio ma all’acqua di rose, diciamo.
Negli anni da governatore, a differenza del collega delle Marche Francesco Acquaroli, non ha mai fatto parlare di sé per pagliacciate fasciste, al massimo ha organizzato mostre sull’architettura degli anni Venti e Trenta, ristrutturato i borghi rurali fascisti, o speso qualche milione di euro per la fiera del cavallo in una tenuta a due passi dal suo paese di origine, Militello. Musumeci è un volto presentabile e potrebbe avere ruoli di peso.
A differenza di molti suoi neo colleghi nel partito. Ma la leader di Fratelli d’Italia non vuole nemmeno casinisti in ruoli di governo: ogni riferimento a Matteo Salvini non è del tutto casuale. Dietro il braccio di ferro sul ministero dell’Interno si nasconde il timore di Meloni di finire tutti i giorni suoi giornali per le piazzate di Salvini e non magari per altri importanti provvedimenti. Uno scenario subito molto dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e che Meloni non vuole assolutamente rivivere. E non vuole persone che considera non adatte al ruolo in poltrone delicate, ogni riferimento all’ex infermiera Licia Ronzulli alla Sanità anche qui non è del tutto casuale.
Il vero problema è che si può provare a nascondere la polvere sotto il tappeto, ma se ne hai talmente tanta, come nella coalizione strampalata di questo centrodestra, il compito è difficile. Se non impossibile. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non vede l’ora di ricevere la prima lista dei ministri: sulla scrivania quirinalizia ha già una scorta di bianchetti. E anche un aspirapolvere.
Gli episodi a Caserta e Modena. Tragedia al seggio elettorale: giovane si toglie la vita, pensionato stroncato da malore dopo voto. Redazione su Il Riformista il 25 Settembre 2022
Tragedia nella scuola seggio elettorale di Mondragone, comune in provincia di Caserta, dove un giovane ragazzo di nazionalità bulgare si è tolto la vita mentre erano in corso le votazioni. L’episodio è avvenuto poco dopo le 13 di oggi, domenica 25 settembre, all’interno della scuola media “Leonardo Da Vinci-Michelangelo Buonarroti” in via Como. Il corpo senza vita del giovane, è stato ritrovato nel cortile dell’edificio dopo essere caduto da una tettoria adiacente.
Dolore e sgomento tra le persone presenti che hanno provato a rianimare il giovane anche prima dell’arrivo del 118. Poi sono stati i sanitari intervenuti poco dopo a constatare il decesso. Sul posto anche i carabinieri del Reparto Territoriale locale, gli agenti della polizia municipale e gli uomini della Digos. Interrotta momentaneamente l’affluenza al seggio per consentire le operazioni del caso.
“Oggi è un giorno di profonda tristezza per la nostra comunità per la morte del giovane ragazzo di nazionalità bulgara nel cortile della scuola media Michelangelo Buonarroti” ha commentato il sindaco di Mondragone Francesco Lavanga. “La mia solidarietà e vicinanza profonda ai familiari della vittima. Al cospetto di una morte non ci sono mai le parole giuste, occorre solo far silenzio e provare a mettersi in discussione poiché ognuno ha il dovere di fare e dare sempre di più”.
In provincia di Modena invece un uomo di 77 anni è stato stroncato da un malore subito dopo aver votato. Il dramma all’apertura dei seggi in una scuola del piccolo comune di Soliera. L’uomo aveva appena inserito le schede nell’urna quando si è accasciato. Così come riporta il Resto del Carlino, i soccorsi sono stati immediati: in attesa dell’arrivo dell’ambulanza, le forze dell’ordine presenti sul luogo e anche un volontario della Croce blu si sono attivati usando il defibrillatore, cercando in tutti i modi di rianimarlo ma per il pensionato non c’è stato nulla da fare. Il seggio è rimasto chiuso per circa un’ora.
Redazione. Le dichiarazioni a urne ancora aperte. Berlusconi fa esplodere il caso nel centrodestra: “Voglio più voti della Lega, Salvini non ha mai lavorato”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 25 Settembre 2022.
A urne ancora aperte già esplode un caso nel centrodestra. Il quotidiano Repubblica ha diffuso un video in cui il leader di Forza Italia ed ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a tavola, per un aperitivo dopo aver votato a Milano, si lascia andare a commenti e considerazioni sull’alleato Matteo Salvini, segretario della Lega.
“Organizziamo una cena da me ad Arcore se superiamo il 10%”, esordisce Berlusconi. “E per dirvi la verità io sono convinto che lo superiamo. Un’altra cosa, di cui sono abbastanza convinto, non come quella di prima ma abbastanza, è che voglio più voti della Lega. Con la lega noi andiamo d’accordissimo perché io ho nutrito un’amicizia fruttuosa con Matteo (Salvini, ndr), che è una brava persona. Ha bisogno di essere un po’ inquadrato. Anche lui non ha lavorato mai, ha bisogno di essere un po’ inquadrato, eccetera. Per cui io cercherò di fare il regista del governo”.
Solo giovedì scorso, dal palco di Piazza del Popolo a Roma, il centrodestra aveva tenuto l’ultimo comizio unito della campagna elettorale garantendo cinque anni di governo coeso. Berlusconi era stato il primo a parlare. A far discutere erano state però le sue frasi pronunciate a Porta a Porta: una nuova versione sull’esplosione della guerra in Ucraina, con il presidente russo Vladimir Putin, amico di vecchia data di Berlusconi, indotto all’invasione dalle richieste dei filorussi e dalle pressioni interne di media e del partito a Mosca. Le dichiarazioni erano diventate virali, avevano fatto esplodere grandi polemiche e portato l’ex premier a una sorta di rettifica.
Le dichiarazioni all’aperitivo a Milano, nel giorno del voto, con al fianco la fidanzata e parlamentare candidata Marta Fascina, rischiano di turbare l’unità del centrodestra che da tutte le ultime proiezioni di voto era dato in netto vantaggio sul centrosinistra per tornare a Palazzo Chigi, questa volta però guidato da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, saldamente in vetta nei sondaggi. A stretto giro, e tramite social, è arrivata comunque la dichiarazione di Salvini sulla vicenda. “Qualunque cosa dica, io a Silvio Berlusconi vorrò sempre bene lo stesso”. Amen, almeno per il momento.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Estratto dell’articolo di Fra. Bec. per “il Messaggero” il 25 settembre 2022.
Chi resta a casa per protesta, chi perché, in fondo, non ha scelta. L'astensione si fa e si subisce anche, spiega Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos.
Saranno urne piene?
«La sensazione è che il partito dell'astensione sia cresciuto. Ma bisogna attendere i dati ufficiali».
Perché le file del non-voto si ingrossano?
«Per diverse ragioni. In questo caso, c'è una quota di elettori che non ha capito fino in fondo il motivo della caduta del governo Draghi».
A cui è seguita una campagna lampo, in piena estate, e una rincorsa su TikTok. Serve a qualcosa?
«La campagna online serve solo ad accendere la passione dei propri elettori. I leader parlano alla loro bolla e provano a mobilitarla. Difficile spingersi oltre».
Cosa spinge gli elettori a stare a casa?
«Ci sono diversi tipi di astensione. Una è fisiologica, anzi fisica. Ci sono circa 2 milioni di italiani anziani o con difficoltà motorie che non riescono a recarsi all'urna».
A cui si aggiungono i fuori-sede.
«Tra i 4 e i 5 milioni. Elettori che vivono a più di 150-200 chilometri di distanza dal comune di residenza e faticano a tornare».
[…] alle prime elezioni politiche nel 1948 gli astenuti erano il 7,8%. L'ondata antipolitica seguita a Tangentopoli ha dato il la. Dal 2013, un'ascesa inesorabile. Fino all'ultimo picco, nel 2018, con il 27,1% di astenuti». […]
Bianche e nulle da includere nell’astensionismo attivo. I dati definitivi del Viminale sugli astenuti: superano gli elettori che hanno voto la coalizione vincitrice. Rec News - Articolo del 29 Settembre 2022 di Redazione
Pubblicato anche il numero di schede bianche.
Il ministero dell’Interno ha pubblicato nel pomeriggio di ieri i nuovi dati relativi alle Elezioni Politiche del 25 settembre. Mentre scriviamo, non sono ancora pervenite 24 sezioni per il Senato e 21 alla Camera ma, come spiegato ieri, la loro inclusione non influisce sui risultati ed è – a questo punto – dato meramente statistico. Avevamo anticipato che il computo delle schede bianche sarebbe arrivato tra ieri e oggi, e infatti sono arrivati a stretto giro rispetto a quanto ci era stato riferito dagli uffici del Viminale, cioè alle 15.30 (Senato) e alle 15.42 (Camera) di ieri.
Stando ai dati che si possono consultare sul portale Eligendo, le schede bianche che sono state registrate sono state 989.439 (492.650 alla Camera e 496.789 al Senato). Il dato potrebbe cambiare di poco nei giorni, quando nel calcolo rientreranno le schede ancora oggetto di contestazione. Le schede nulle sono invece state 806.661 al Senato e 817.251 alla Camera, per un totale di 1.623.912. Al Senato le schede tuttora contestate sono 3.148, alla Camera 2.817.
Ma quello che salta all’occhio è il dato relativo all’Astensione che, non solo è il più alto di sempre, ma è il vero “partito” vincitore delle ultime Politiche. Non è retorica ma un dato di fatto: Al Senato su 45.210.950 potenziali elettori, i votanti sono stati appena 28.795.727. Calcoli alla mano, non si sono recati alle urne 16.415.223 italiani, 4 milioni in più rispetto al numero di elettori che ha votato per la coalizione del centrodestra. In pratica sono state espresse le seguenti preferenze di voto e non voto:
Astensionisti: 16.415.223
Elettori della coalizione di centrodestra: 12.129.547
Elettori della coalizione di centrosinistra: 7.161.688
Elettori Movimento Cinquestelle 2050: 4.285.894
Terzo Polo: 2.131.310
Italexit: 515.294
Unione Popolare: 274.051
ISP: 309.403
De Luca sindaco d’Italia: 271.549
Vita: 196.656
PCI: 70.961
Noi di centro 42.860
APL: 40.371
Partito Animalista: 16.957
Partito Comunista del Lavoratori: 4.484
Destre Unite: 2.412
FDP: 873
Non dissimile il discorso alla Camera:
Astenuti: 16.665.364
Elettori coalizione di centrodestra: 12.300.244
Elettori coalizione di centrosinistra: 7.337.975
Movimento 5 Stelle 2050: 4.333.972
Terzo Polo: 2.186.669
Italexit: 534.579
Unione Popolare: 402.964
Isp: 348.097
De Luca sindaco d’Italia: 212.685
Vita: 201.528
SVP: 117.010
Noi di centro 46.109
PCI: 24.555
Partito animalista: 21.442
APT: 16.882
Partito della follia 1.418
Free: 828
Forza del Popolo: 815
Meloni, già prematuramente battezzata dai media come il nuovo premier, ha poco da festeggiare se si pensa che il numero di italiani che non si è recato alle urne supera il numero di elettori della coalizione vincitrice, con cui deve spartirsi ulteriormente le preferenze. Non serve nominare gli altri partiti, sotterrati dalle scelte impopolari degli ultimi anni che hanno influito sulla libertà di scelta dei cittadini, sulla loro occupazione, sui costi vivi e su quegli energetici. In una parola: sulle loro vite devastate (non migliorate) dall’azione di una politica letteralmente e trasversalmente punita alle urne.
Il nuovo governo che si formerebbe da queste elezioni, dunque, dovrebbe misurarsi con tensioni esterne e con numeri interni davvero risicati. Si tratterebbe in ogni caso di un esecutivo lampo, forse in vita per sei mesi, e a corrente – letteralmente – alternata: sfilati salviniani e berlusconiani, si ridurrebbe subito a un cumulo di macerie, né Meloni potrebbe avere da sola la pretesa di essere sostenuta da chi già sta tentando di salire sul car vincitore (eclatante l’endorsement della Morani – Pd – a ridosso dei primi exit poll).
Una delle strade tuttora considerate è infatti l’intesa innaturale con Enrico Letta, defenestrato dai dem proprio per consentire, nel lungo termine, un avvicinamento alla nemica-amica europeista e atlantista. Forse, di nuovo, nel nome di Mario Draghi o di una figura considerata super partes. Non lo si chiamerebbe, certamente, inciucio, ma unità nazionale”, benedetto dal placet dai colonnelli della Lega che non a caso hanno tentato di giocarsi la carta dell’epurazione di Salvini.
Elezioni. Allarme-astensione: sale al 36%, punte del 50 al Sud (dato definitivo). M.Ias. domenica 25 settembre 2022 su Avvenire
L'affluenza si ferma al 64%, dieci punti meno del 2018. Tutte le Regioni in calo. In Campania Calabria resta a casa un elettore su due.
L'illusione è durata lo spazio di un mattino. Con i dati del Viminale delle 12, era sorta l'illusione che l'astensionismo potesse non dominare le elezioni 2022. E invece, a urne chiuse, la sentenza: ha votato solo il 64% degli italiani, a fronte del 74% delle elezioni per il Parlamento del 2018. In una legislatura, in quattro anni e mezzo, volano via 10 punti di partecipazione. Nessuna Regione regge all'urto, nemmeno quelle del Centro-Nord che in mattinata avevano registrato buone affluenze e code davanti alle sezioni. Il Lazio si ferma al 63%, a 10 punti dal risultato del 2018. La Lombardia arriva al 70, ma cinque anni fa arrivò al 77. Ma a trascinare giù il dato della partecipazione è soprattutto il Sud: la Campania si ferma sotto il 54%, la Calabria e la Sardegna poco sopra il 50, solo Puglia e Sicilia mostrano una qualche tenuta.
L'AFFLUENZA DELLE 19
Con i dati del Viminale riferiti all'affluenza alle 19 già assumeva una forma più sostanziosa il "partito dell'astensione": alle 7 di sera, a sole 4 ore dalla chiusura dei seggi, erano andati a votare il 51% degli aventi diritto, a fronte del 58,40 registrato alle ore 19 del 4 marzo 2018, data delle ultime elezioni per il Parlamento. Una doccia fredda, dato che la rilevazione delle ore 12 aveva aperto a un altro scenario, con una partecipazione stabile a livello nazionale, con picchi di presenze alle urne al Centro-Nord e cali di affluenza concentrati al Sud. Il dato delle 19 fornisce invece un'altra fotografia: tutte le Regioni in calo. Anche Lazio (53-54%, flessione minima rispetto al 2018), Lombardia (58-59%, 4 punti in meno), Emilia Romagna (vicina al 60% ma lontana dalle soglie di cinque anni). Idem Toscana, Veneto, Piemonte, Liguria, che in mattinata avevano fatto registrare una tendenza in aumento rispetto al 2018. Affluenza giù senza eccezioni, dunque. E che assume la forma di una vera e propria diserzione al Sud: in Campania alle 19 ha votato meno del 39% degli aventi diritto rispetto al 54,3 del 2018, in Calabria poco più del 36%, in Sardegna, Sicilia e Puglia il 41-42%. Tengono meglio di altre Regioni le Marche, pur flagellate la settimana scorsa da una tragica alluvione: il dato regionale è quasi al 56% rispetto al 62,2 di cinque anni fa, nella città di Senigallia hanno votato il 54,6% degli aventi diritto, con un calo di quattro punti rispetto alle ultime elezioni parlamentari. Alla luce di questa situazione, in queste ultime ore con le urne aperte fioccano appelli al voto, più o meno ortodossi, di leader e candidati.
L'AFFLUENZA ALLE 12
Alle 12 l'affluenza alle urne è stata del 19,21%, in flessione molto lieve rispetto ad analoga rilevazione svolta per le elezioni del 2018 (19,43% il dato parziale di cinque anni fa). A mezzogiorno la partecipazione era in aumento dall'Emilia Romagna (23,46%) al Lazio (20,81), dalla Toscana (22,33) alla Lombardia (22,40), con il Centro-Nord che in generale aveva dati stabili o in crescita rispetto alle ultime votazioni per il Parlamento. In un quadro generale che sembrava sostanzialmente stabile, ad avere il segno "meno" erano già Regioni del Sud come Campania, Calabria, Molise, Basilicata, con affluenze sul 12-13%. Anche in Sicilia e Sardegna affluenza bassa alle 12, intorno al 15%. In Campania, l'affluenza potrebbe essere stata condizionata da una forte bomba d'acqua che ha reso inaccessibili non pochi seggi per diverse ore della mattinata, con problemi di viabilità che solo in queste ore sono in via di soluzione. La mattinata comunque sembrava promettere bene sul versante della partecipazione alla luce delle code presso le sezioni di Milano, Roma e delle grandi città del Centro e del Nord, con qualche protesta per i tempi delle operazioni allungati dal "tagliando antifrode".
IL VIDEO ALLUSIVO DI MELONI E IL CASO SALVINI-BERLUSCONI: SILENZIO ELUSO
La prassi del silenzio elettorale è stata elusa a più riprese dai leader di centrodestra. Salvini, all'esterno del suo saggio, si è intrattenuto a parlare con i cronisti anche del governo che "ho in testa". Mentre Berlusconi è stato ripreso pare a sua insaputa mentre parlava di Salvini: "Penso che finiremo sopra la Lega. Con Matteo ho nutrito un'amicizia fruttuosa. Ha bisogno di essere un po'
inquadrato, anche lui non ha lavorato mai, per cui cercherò di fare il regista del governo". Ma la trovata-choc è di Giorgia Meloni, che su Tik Tok si lascia andare ad un video allusivo che gioca sul suo cognome e che ha lasciato in tanti sbigottiti, visto i toni che la leader Fdi ha provato a tenere in campagna elettorale.
IL VOTO DI MATTARELLA E DEI BIG
In mattinata quasi tutti i "big" e i vertici istituzionali si sono recati ai seggi. Il primo è stato Sergio Mattarella, che poco dopo le otto e mezzo è andato a votare nel suo seggio di Palermo. Il presidente della Repubblica, dopo avere espresso il proprio voto, ha stretto la mano al presidente di seggio e ha lasciato la scuola media Piazzi, senza rilasciare dichiarazioni. La gente in coda per votare ha rivolto garbatamente un saluto al capo dello Stato. Voto rinviato in serata invece per Giorgia Meloni: la ressa di fotografi e cronisti che la attendevano al seggio romano di via Beata Vergine del Carmelo a Roma ha spinto la leader di Fratelli d'Italia a rimandare il suo voto dopo le 22, rispetto alle 11 previste, per consentire agli elettori del suo seggio un voto sereno.
Ok con il pollice alzato all'uscita dal seggio e foto con alcuni elettori per Enrico Letta. Il segretario Pd è andato a votare stamattina nel suo quartiere a Testaccio a Roma ma non ha rotto il silenzio elettorale. Fuori dalla porta del seggio alcuni elettori lo hanno aspettato e gli hanno chiesto di fare un selfie. "Ciao, buona domenica" ha detto il segretario Pd ai fotografi che lo attendevano. Poi ha postato una foto con la scritta "Buon voto!" sui suoi profili social. Poco dopo le nove, ma a Milano, ha votato Matteo Salvini. Il leader del Carroccio ha risposto a lungo ai giornalisti che lo aspettavano, rompendo di nuovo il silenzio elettorale: "Conto che la Lega sia una forza parlamentare sul podio: prima, seconda o terza al massimo". E a chi gli chiedeva se il quarto posto sarebbe una sconfitta, Salvini ha replicato: "Gioco per vincere, non per partecipare".
Carlo Calenda ha votato al suo seggio di via del Lavatore 38 a Roma. "Votate, votate liberamente, senza condizionamenti e senza paure. L'Italia è sempre più forte di chi la vuole debole" ha poi scritto il leader di Azione e del Terzo polo. "Come vuoi che la passi? Angosciato! No, la passerò con mia moglie Violante e i figli" ha poi risposto ai giornalisti che lo aspettavano davanti al seggio. Voto a Firenze con la moglie Agnese per Matteo Renzi. "Noi abbiamo votato. Fatelo anche voi, qualunque sia la vostra opinione politica. La democrazia si alimenta con l'impegno di tutti", ha poi scritto su Twitter il leader di Italia viva. "Mi sembrava che ci fosse parecchia affluenza. Quindi vuol dire che la democrazia funziona", ha detto Romano Prodi dopo aver votato, in centro a Bologna, al liceo Galvani di via Castiglione.
Elezioni 2022: il partito più forte è quello dell'astensione. Affluenza crollata al 63,9%. Beatrice Offidani su huffingtonpost.it il 26 Settembre 2022.
È avvenuto quello che si temeva, la partecipazione alle urne è andata molto peggio di quella delle scorse elezioni politiche, quasi nove punti in meno.
Il vero vincitore di queste elezioni, sembrerà banale dirlo, è il partito dell'astensione. I numeri alla chiusura dei seggi danno l'affluenza alle urne poco sotto il 64%, nove punti in meno rispetto alla scorsa volta, il minimo storico. Alle scorse elezioni politiche, quelle del 4 marzo 2018, l'affluenza infatti era stata del 72,9%.
La scarsa partecipazione per queste elezioni politiche ha conosciuto un drammatico crollo, certo, ma rispecchia un trend iniziato già da diversi anni.
Elogio dell'astensione. So già chi vince: io. Mauro Suttora su huffingtonpost.it il 24 Settembre 2022.
Storia di un radicale che nella vita ha votato di tutto e stavolta non vuole votare niente, senza sensi di colpa e finalmente in maggioranza. E che propone di tagliare seggi in proporzione al numero di astensionisti
Per la prima volta dopo quasi mezzo secolo vincerò le elezioni. Il mio partito risulterà primo, supererà Meloni e Letta, si installerà ben oltre il 25%. Poi noi astenuti faremo approvare una legge per completare l'opera: il numero degli eletti si ridurrà in proporzione ai votanti. Astensione di un quarto degli elettori? Trecento deputati invece di quattrocento, 150 senatori al posto di 200.
Perché l’astensione da record deve preoccuparci più della destra al governo. Il crollo della partecipazione al voto di dieci punti percentuali è un dato epocale, molto più della vittoria della destra guidata da Giorgia Meloni. Perché racconta di una rabbia e di una disillusione profondissime nei confronti della politica, con cui tutti i partiti politici dovranno fare i conti. A cura di Francesco Cancellato su Fanpage.it il 26 settembre 2022.
Sì ok, ha vinto la destra più destra che si sia mai vista in Italia. E sì ok, con ogni probabilità avrà una maggioranza importante sia alla Camera sia al Senato, seppur non abbastanza per cambiare da sola la Costituzione. E sì ok, con ogni probabilità per la prima volta in Italia avremo un (anzi una) presidente del Consiglio espressione di un partito post-fascista. Sì ok, dobbiamo preoccuparci. Ma rischia di esserci molto peggio, all'orizzonte.
Perché di epocale, nella vittoria della destra, a ben vedere, c'è soprattutto la simbologia. La coalizione, al netto dell’ennesimo travaso di voti tra i partiti che la compongono – dalla Lega e Fratelli d’Italia, dopo essere passati quattro anni fa da Forza Italia alla Lega – è sempre la stessa che ha governato l’Italia tra il 2001 e il 2006 e tra il 2008 e il 2011. Può non piacervi, ma è una minestra che avete già mangiato. E che buona parte degli italiani già mangia nelle quattordici regioni in cui governa il centrodestra.
Peraltro, è una coalizione con una legittimazione elettorale molto inferiore che in passato – meno di 10 milioni di voti, contro i 12,4 milioni del 2018 e i 17 milioni del 2008. Allo stesso modo, l’exploit campano dei Cinque Stelle nei collegi uninominali al Senato e le fibrillazioni interne alla coalizione, rendono molto più fragile di quanto sembri la maggioranza della destra a Palazzo Madama, dove una sparuta decina di parlamentari, complice il taglio dei parlamentari, può cambiare i destini della legislatura e rendere impervio il cammino di un governo Meloni prossimo venturo, non bastasse la situazione politica ed economica che attraversa il nostro Paese.
Il vero dato epocale di queste elezioni è un altro, semmai. Ed è l’astensione al voto di un terzo dell’elettorato, un’astensione che cresce di 10 punti in soli quattro anni. È una diserzione dalle urne che apre un vuoto enorme nella politica italiana, come mai si è visto nel nostro Paese, anche nelle fasi drammatiche degli anni di piombo o nel cupio dissolvi della Prima Repubblica, tra il 1992 e il 1994. È un vuoto che racconta la rabbia la disillusione e la disaffezione profondissima nei confronti della politica che nessun partito è stato in grado di attrarre e rappresentare, a differenza di quanto accadde tra il 2013 e il 2018 con l’exploit del Movimento Cinque Stelle e della Lega, o nel 1994 con la nascita di Forza Italia.
Quel vuoto ci deve spaventare perché racconta lo stato della nostra democrazia più e meglio di qualunque vittoria di qualunque schieramento. Perché racconta quanto capitale politico sia stato dissipato in dieci anni a vellicare la pancia del Paese con promesse impossibili, a chiamare salvatori della patria a prendere decisioni impopolari, a formare grandi coalizioni affinché nessuno se ne prendesse la responsabilità, e a fare la gara a dissociarsene appena s’intravedeva l’inizio di una campagna elettorale.
Con tutto questo, tutti i partiti sono chiamarti a fare i conti, quelli che hanno vinto e quelli che hanno perso. E non c’è sfida più difficile di questa. Perché i vuoti in politica si riempiono in fretta. Ed è da quei vuoti che prendono forma gli incubi peggiori.
L'affluenza alle urne non è mai stata così bassa, alle Politiche. Redazione Online su Il Corriere della Sera il 26 Settembre 2022.
Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, meno del 70 per cento degli aventi diritto è andato a votare.
Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, meno del 70 per cento degli aventi diritto è andato a votare per le elezioni Politiche. L'affluenza, alla fine, si è fermata al 63,91%: circa 4 milioni e mezzo di cittadini hanno deciso di disertare le urne.
I risultati delle elezioni 2022 in diretta
Il dato vede un calo del 9 per cento rispetto al 2018, quando a recarsi alle urne fu il 72,9 per cento degli aventi diritto. Anche allora si trattò di un record negativo.
Cinque anni prima, al voto andarono il 75,2 per cento; prima di quella data, l'affluenza era sempre stata sopra l'80 per cento.
L'ultima volta in cui l'affluenza aveva superato il 90 per cento era stato il 1979.
Quando mancavano poche decine di seggi per avere i dati definitivi, le regioni dove i dati sull'affluenza risultavano superiori alla media nazionale erano Emilia Romagna, Lombardia e Veneto (sopra il 70%). Le regioni in cui l'affluenza risultava, al contrario, più bassa erano Calabria, Campania e Sardegna.
Dagospia il 25 settembre 2022. LA NUOVA PARROCCHIA POLITICA E' IL "PARTITO DEGLI ARTISTI" (MA QUANTI VOTI SPOSTA?) – CANTANTI, INFLUENCER, ATTORI, DIRETTORI DI ORCHESTRA, DA CHIARA FERRAGNI A PAOLA TURCI FINO A FRANCESCA MICHIELIN E NICOLA PIOVANI, SI SONO MOBILITATI SUI SOCIAL APPELLANDOSI AL SENSO CIVICO DEI CITTADINI PER CONVINCERLI AD ANDARE A VOTARE – PERÒ ATTENZIONE: NON E' UN INVITO A FARE IL PROPRIO DOVERE CIVICO MA UNO SPRONE A VOTARE "BENE" (CIOE' PER CHI DICONO LORO)
Federico Capurso per “la Stampa” il 25 settembre 2022.
Il mondo dello spettacolo si muove per invitare gli italiani al voto. Dai toni seri e accorati, come quello di Chiara Ferragni, a quelli più scherzosi di Alessandro Gassman e Francesca Michielin, fioccano sui social gli inviti di artisti e artiste a recarsi alle urne.
Mette al centro i diritti, Ferragni: «Il voto è uno dei pochi strumenti di cui disponiamo per proteggerli, per crearne di nuovi, per estenderli a chi oggi se li vede negati - scrive l'influencer in una storia pubblicata su Instagram -. E per decidere in che direzione debba andare il nostro Paese: se in avanti o indietro di decenni».
Sono stati più rari del solito, in questa tornata elettorale, gli inviti a sostenere un partito, ma anche nei semplici appelli al voto, l'orientamento più o meno velato emerge. Come quando dal mondo della musica, la cantante Paola Turci fa eco a Ferragni augurando su Twitter un «buon voto al nostro Paese, democratico, dei diritti, antifascista».
Si limita a porre l'accento sui diritti il collega Marco Mengoni: «Votare è il più grande atto di libertà, è nostro diritto, è un nostro dovere. Io vado a votare. E tu?», chiede ai suoi follower. Si rivolge a loro anche la cantante Francesca Michielin, ma in modo scherzoso: pubblica una sua foto in primo piano e li avverte, «io che guardo se votate domenica».
Come lei, sceglie l'ironia Alessandro Gassman. Il suo è un meme, ovviamente affidato ai social: «Non votare è come nascondere la testa nella sabbia, ma attenzione... il culo resta fuori». Più mesto, invece, il compositore e direttore d'orchestra Nicola Piovani, che condividendo una vignetta di Altan, si dice «indeciso se dare un voto utile o dilettevole». E aggiunge: «In certi momenti, chissà perché, l'ipotesi del "meno peggio" mi appare come un miraggio di ottimismo e di speranza».
Capisce l'indecisione degli astensionisti, l'attore Giorgio Pasotti, «ma è importante esprimere un voto e mi rivolgo soprattutto ai giovani, perché si sta parlando del loro futuro. Votare è indispensabile».
Elezioni 2022: successo per Giorgia Meloni, male gli alleati Lega e Fi. Crollo Pd e ripresa del M5s. Cresce il Terzo Polo. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 26 Settembre 2022.
La leader di Fratelli d’Italia ha detto che attraverso il voto «dagli italiani è arrivata un’indicazione chiara: un governo di centrodestra a guida di Fratelli d’Italia». E ha proseguito, «la campagna elettorale è stata violenta, abbiamo subito». Ha anche espresso il suo rammarico per l’astensionismo. «Questo è il tempo della responsabilità, il tempo in cui se si vuole far parte della storia si deve capire quale responsabilità abbiamo verso decine di milioni di persone perché l'Italia ha scelto noi e non la tradiremo come non l'abbiamo mai tradita». Lo ha detto la leader di Fdi, Giorgia Meloni aggiungendo che «se saremo chiamati a governare la nazione lo faremo per tutti, per unire un popolo esaltando ciò che unisce piuttosto che ciò che divide».
Oltre 50 milioni gli italiani chiamati al voto: tra loro 2.682.094 neo maggiorenni che hanno messo piede, per la prima volta, in un seggio elettorale. Sulla carta sono 50.869.304 gli elettori, di cui 4.741.790 all’estero; dei 46.127.514 elettori in Italia il 51,74% sono donne e il restante 48.26% uomini. Alle 23, dato non ancora definitivo, hanno votato il 64,39% degli aventi diritto al voto.
L’Italia va a destra e sceglie Giorgia Meloni. I dati delle proiezioni confermano gli exit poll: il centrodestra ha vinto le elezioni politiche, ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato, con Fratelli d’Italia primo partito. La leader di FdI verso le 2.30 ha preso la parola e parla di notte di “riscatto, di lacrime, di abbracci, di sogni e di ricordi”. Si dice “rammaricata” per l’astensionismo – “la sfida ora è tornare a far credere nelle istituzioni” – e rimanda “l’analisi più completa del voto a domani“, ma chiarisce che “dagli italiani è arrivata un’indicazione chiara: un governo di centrodestra a guida FdI”. E noi, assicura, “non li tradiremo”. Alla fine di un discorso emozionale cita San Francesco: ”Tu comincia a fare quello che è necessario, poi il possibile e alla fine ti riscoprirai a fare l’impossibile”. È quello che abbiamo fatto noi“. Se per Meloni è stato un successo come previsto, non è stato lo stesso per gli alleati Lega e Forza Italia. Buono il risultato del Terzo Polo, mentre cala il Pd e sale, rispetto ai pronostici, il M5S. L’affluenza crolla di quasi 10 punti: ha votato il 63,91% degli aventi diritto, il dato più basso di sempre.
Alla chiusura delle urna alle ore 23 ha votato il 64,03% degli aventi diritto per il rinnovo del Senato, (dati relativi a 5.748 Comuni su 7.904), come rende noto Eligendo, il sito del ministero dell’Interno. Per il rinnovo della Camera alla stessa ora ha votato il 64,67% degli aventi diritto (quando i dati sono relativi a 1.457 comuni su 7.904).
Lo spoglio è proseguito nella notte, con i dati delle proiezioni che questa volta hanno confermato gli exit poll: la coalizione guidata da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni ha una netta la maggioranza. Al Senato il centrodestra è oltre il 43% e il centrosinistra al 27. FdI è il primo partito oltre il 26%, la Lega crolla sotto il 9% mentre Forza Italia è poco sotto l’8%. E ancora: il Pd di Enrico Letta è intorno al 20%, Azione-Italia Viva supera il 7%, Alleanza Verdi e Sinistra è oltre il 3%, +Europa 3%, Italexit intorno al 2%, Unione Popolare all’1,5%, Noi Moderati 1,1%. Il Movimento 5 Stelle è intorno al 15%. Alla Camera in testa c’è ancora la coalizione di centrodestra con il 42,7% con FdI 26% (la Lega all’8,6% e Forza Italia sotto al 7,5%,), mentre il centrosinistra è al 27,8% (il Pd al 20%). M5S è al 14,7% e Azione-Italia viva quasi all’8%.
Con una standing ovation il comitato elettorale di Fdi, allestito all’Hotel Parco dei Principi a Roma, ha accolto l’arrivo della leader Giorgia Meloni. La presidente è stata applaudita dai dirigenti del partito posizionati nelle prime file del salone allestito all’interno dell’albergo che si trova a due passi da Villa Borghese.
La vittoria di Giorgia Meloni sui siti della stampa internazionale
La vittoria di Meloni campeggia sui siti internazionali. La rete televisiva inglese Bbc è stata la prima testata internazionale appena passate le ore 23 a dare conto sul proprio sito con una breaking news, e su Twitter, degli exit poll delle legislative in Italia: “Giorgia Meloni di estrema destra si appresta a vincere le elezioni ed è in procinto di diventare la prima donna premier“. “Il partito post-fascista di Giorgia Meloni in testa”, è il take dell’agenzia France Presse. L’ultim’ora dello spagnolo El Pais scrive che “i primi sondaggi delle elezioni italiane indicano una netta vittoria del partito di ultradestra Fratelli d’Italia, della romana Giorgia Meloni, con una forbice compresa tra il 22 e il 26% dei voti”, mentre il quotidiano conservatore El Mundo titola con più equilibrio “la destra vince le elezioni in Italia”. Il francese Le Figaro apre il sito con una foto di Meloni alle urne e il titolo “L’unione delle destre ampiamente in testa“.
Oltreoceano, il New York Times scrive che “con i risultati del voto in Italia, l’Europa si prepara ad un altro spostamento a destra”. “I sondaggi d’opinione suggeriscono che il prossimo premier dell’Italia potrebbe essere Giorgia Meloni, una leader di estrema destra con radici post-fasciste. Sarebbe la prima donna premier del Paese”, sottolinea il prestigioso quotidiano americano.
Le reazioni politiche dall’ estero
Su Twitter è arrivato il messaggio del premier polacco, Mateusz Morawiecki: “Congratulazioni Giorgia Meloni!”. Meloni e Morawiecki fanno entrambi parte del gruppo Ecr all’Europarlamento
Balazs Orban, consigliere politico del premier Viktor Orban e deputato ungherese di Fidesz ha fatto i complimenti a Meloni, su Twitter: “Complimenti Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi per le elezioni di oggi! In questi tempi difficili, abbiamo bisogno più che mai di amici che condividano una visione e un approccio comune alle sfide dell’Europa. Lunga vita all’amicizia italo-ungherese“.
A Taranto Fratelli d’ Italia supera il M5S ed il PD. Sconfitto il reddito cittadinanza e l’effetto Melucci. Eletti Iaia alla Camera e Nocco al Senato. Redazione CdG 1947 e Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno il 26 Settembre 2022.
Un voto che dovrebbe far riflettere, su come vengono scelti i candidati che si illudono di poter prendere in giro tutta la provincia di Taranto, che vede invece elette persone che hanno fatto della coerenza e stile di vita professionale una sua carriera politica, e dell'umiltà e semplicità di una donna-imprenditore il loro successo elettorale
Erano in pochi a prevederlo, ma scusatemi l’autocitazione, tranne il sottoscritto che ha testimoni e prove di quanto vi sto raccontando. E’ stata la città e la provincia di Taranto a sconfiggere le “promesse” al vento del Movimento 5 Stelle (“chiuderemo l’ Ilva“) ed il “campo largo” con il Pd ispirato da Michele Emiliano ed applicato alla lettera da Rinaldo Melucci, con la complicità di Mario Turco.
il Sen. Mario Turco ed il Sindaco Rinaldo Melucci
Nonostante gli errori fatti in occasione delle ultime elezioni amministrative a Taranto dello scorso giugno, che avevano visto il sindaco uscente “sfiduciato” Melucci (Pd) contrapposto ad un’improbabile grande alleanza fra il centrodestra e faccendieri sotto mentite spoglie di movimenti “civici”… che sembrava in realtà una rivisitazione moderna dell’ “Armata Brancaleone”, per sostenere la candidatura a sindaco di Walter Musillo, ex segretario provinciale del PD, spacciato insieme a Forza Italia e Lega, come “civico”, puntualmente trombato dagli elettori, questa volta Fratelli d’ Italia ha indovinato le proprie candidature presentando alla Camera dei Deputati dell’ avv. Dario Iaia, coordinatore provinciale di FdI a Taranto, ed al Senato Maria Vita Nocco, un imprenditrice alla sua prima esperienza elettorale, caratterizzata da umiltà ed educazione unita alla passione politica.
da sinistra Dario Iaia, Maria Vita Nocco e Giovanni Maiorano
Una sconfitta pesante quella del M5S che ridimensiona il ruolo ed il peso politico del sen. Mario Turco che si illudeva di fare il “miracolo bis” a Taranto e provincia, dopo essersi salvato nel listino “bloccato” del M5S (senza del quale non sarebbe stato rieletto) che ha candidato alla Camera dei Deputati la sua addetta stampa Annagrazia Angolano ed al Senato l’ avv. Roberto Fusco staccato di oltre 10 punti (ed oltre 50.000 preferenze) dalla candidata Maria Vita Nocco di Fratelli d’ Italia !
Altra prevedibile “bocciatura” politica quella dell’avv. Giampiero Mancarelli, un “prezzemolino” della politica tarantina, che ha girovagato fra tutte le correnti del Pd jonico, incapace di farsi eleggere in consiglio comunale a San Marzano di San Giuseppe (dove raccolse 70 voti !) candidatosi alla Camera a Taranto per il Pd, che è stato “doppiato” da Iaia (FdI). Adesso potrà tornare ad occuparsi di spazzatura e rifiuti sulla poltrona alla presidenza dell’ AMIU Taranto, dove si è messo in luce sinora per sprechi ed insuccessi aziendali, con il risultato più basso nella raccolta differenziata e la TARI fra le più alte d’ Italia ! Mancarelli, a caldo, ha attaccato i vertici del partito : “Questo significa che i nostri vertici nazionali stanno troppo chiusi nelle loro stanze invece di stare sul territorio. Un’assenza che pesa“. In realtà i vertici del PD hanno fatto un solo errore: candidare Mancarelli !
Giampiero Mancarelli, candidato del PD alla Camera “trombato” dagli elettori
Un voto che dovrebbe far riflettere, su come vengono scelti i candidati che si illudono di poter prendere in giro tutta la provincia di Taranto, che vede invece elette persone che hanno fatto della coerenza e stile di vita professionale una carriera politica (Iaia) e dell’umiltà e semplicità di una donna-imprenditore (Nocco) il loro successo elettorale. Un segnale importante che fa capire che gli elettori di Taranto e provincia sono stanchi dei proclami, dei “nominati” e “prezzemolini” .
La gente sceglie e vota persone che hanno da dare alla politica e non da chiedere. Ed era ora, finalmente !
Elezioni 2022, risultati in tempo reale: le ultime notizie in diretta. Redazione Online su Il Corriere della Sera il 26 Settembre 2022.
I risultati delle elezioni politiche 2022, in diretta: lo spoglio dei voti per Camera e Senato, la vittoria di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, l’uscita dal parlamento di Di Maio, i dati definitivi sui partiti e tutte le ultime notizie, in tempo reale
• Lo spoglio è ancora in corso, ma il risultato delle elezioni è già chiaro: il centrodestra ha vinto e Fratelli d’Italia — intorno al 26 per cento — è nettamente il primo partito. Il centrosinistra non raggiunge il 30% (con il Pd che non supera la soglia del 20%); il M5S sfiora il 15% e raggiunge risultati importanti al Sud.
• Le parole di Giorgia Meloni nella notte: «L'Italia ha scelto noi e non la tradiremo come non l'abbiamo mai tradita».
• Le pagelle ai leader, di Roberto Gressi.
• Da segnalare il dato dell’astensione, il più alto di sempre nella storia repubblicana: ha votato il 64% degli aventi diritto.
Ore 05:22 - L’affluenza definitiva, la più bassa di sempre per le Politiche
L'affluenza, alla fine, si è fermata al 63,91%: circa 4 milioni e mezzo di cittadini hanno deciso di disertare le urne.
Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, meno del 70 per cento degli aventi diritto è andato a votare per le elezioni Politiche.
Ore 05:26 - Il boom del Movimento 5 Stelle al Sud: a Napoli sopra il 40 per cento
(Claudio Bozza) Il Movimento Cinque Stelle ha sì dimezzato i voti rispetto allo storico boom del 2018, quando conquistò il 32,7%.
Ma al termine di una campagna elettorale molto breve e intensa come questa, il leader Giuseppe Conte riesce a conquistare un’ampia fetta di consensi: tra il 15-16%, con il Sud a fare da traino a livello nazionale e affermandosi come terzo partito dietro a Fratelli d’Italia e Partito democratico.
Un particolare non da poco per un partito che era finito nell’occhio del ciclone per avere di fatto innescato il vortice che ha poi provocato la caduta del governo Draghi.
La strategia per il rush finale messa a punto dall’ex presidente del Consiglio ha portato a frutti insperati. La parola chiave è stata «Sud».
Conte, negli ultimi 15 giorni, aveva infatti programmato ben 25 tappe concentrandosi quasi esclusivamente su Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia, cioè i territori che nel 2018 avevano contribuito in maniera decisiva al trionfo elettorale puntando tutto, o quasi, sul reddito di cittadinanza.
A tarda notte, consultando i dettagli dal sito del Viminale, emergono consensi da capogiro in Campania: a Napoli vanno addirittura sopra il 42%. Ma per i Cinque stelle le cose vanno bene anche in Sicilia 1 e 2, rispettivamente con 33 e 29%; mentre in Puglia sono attorno al 30%.
Ore 05:44 - Perché quello del 25 settembre 2022 è un risultato epocale
«Un risultato epocale», destinato a «cambiare profondamente la geografia politica italiana, non solo perché per la prima volta nella storia la destra si proietta a vincere le elezioni e ipotecare Palazzo Chigi con una donna alla guida di un governo di coalizione»: così Francesco Verderami, sul Corriere di oggi, sintetizza il voto del 25 settembre.
Gli italiani e le italiane che si sono recati alle urne hanno determinato, con le loro scelte, «il tramonto dell’era berlusconiana» e «la fine del progetto salviniano della Lega nazionale».
Meloni, «che ha cannibalizzato i consensi di Lega e FI, è consapevole che i nuovi rapporti di forza nel centrodestra potrebbero complicare più che la nascita del governo, la sua navigazione. E non a caso nei colloqui riservati prima del voto aveva fatto capire che si sarebbero dovuti privilegiare gli equilibri di coalizione sugli interessi di partito. Perché un conto è vincere, altra cosa è governare, altra cosa ancora è durare. C’è da affrontare una congiuntura nazionale e internazionale molto delicata: nessun governo potrebbe andare avanti a lungo senza una forte coesione interna. E dopo il terremoto nelle urne Meloni intende stabilizzare il quadro politico del centrodestra: si vedrà come, visto che Salvini durante tutta la campagna elettorale ha rivendicato l’obiettivo di tornare al Viminale e Forza Italia aspira alla Farnesina. Senza dimenticare che sulla formazione della squadra ministeriale l’ultima parola spetterà al capo dello Stato».
Ma i risultati delle politiche fanno anche emergere quella che Verderami chiama «la grave crisi d’identità del Pd», sconfitto dalla sfida con FdI per il primato, ma soprattutto «ridimensionato nel tradizionale ruolo di punto di riferimento del fronte progressista»
«Il compito di Letta era tutt’altro che facile: un anno e mezzo fa aveva ereditato una segreteria che Zingaretti aveva lasciato dicendo di “vergognarsi” del partito. Il resto lo hanno fatto una serie di errori tattici e strategici che lo hanno consegnato “nudo” alla sfida con Meloni. E ora la politica gli presenta il conto, dentro e fuori il Nazareno.
Da una parte si trova il leader del Movimento: nonostante M5S abbia dimezzato i voti rispetto a cinque anni fa, Conte avrà la possibilità di fare sponda con quella parte dei democratici desiderosa di aprire una nuova stagione di rapporti con i grillini sul modello Mélenchon.
Dall’altra i vertici di Azione puntano a diventare il polo riformista per attrarre quella parte dei dem che non è intenzionata ad accettare una deriva radicale. Per Calenda e Renzi il risultato elettorale va letto come il primo atto di un processo che si dispiegherà in Parlamento. Tra Scilla e Cariddi, il Pd rischia invece di spaccarsi».
Ore 05:38 - Ha vinto Giorgia Meloni: che cosa succede adesso?
Giorgia Meloni ha vinto le elezioni del 25 settembre 2022, e potrebbe essere chiamata dal Quirinale per provare a formare un governo con gli altri partiti del centrodestra: sarebbe la prima donna a Palazzo Chigi.
È questo lo scenario più probabile, dati i risultati lusinghieri conseguiti da Fratelli d'Italia.
Ma, come scrive Paola Di Caro sul Corriere di oggi, ora a FdI servirà prima di tutto prudenza. Meloni deve far attenzione a «non far pesare troppo agli alleati il ribaltamento di forze, non prendersi vendette».
Fratelli d’Italia (qui il programma) sembra essere stato premiato per la sua coerenza (in quanto unico partito che è restato fuori dal governo di coalizione guidato da Mario Draghi), ma il voto premia, evidentemente, la leadership di Meloni, che — come ha ricostruito Antonio Polito — nel 2018 alle Politiche aveva ottenuto solo il 4,3%.
Negli ultimi mesi, la leader ha più volte lavorato per trasmettere ai partner europei e dell’Occidente messaggi di rassicurazione sul ruolo e la collocazione dell’Italia in caso di un suo arrivo a Palazzo Chigi.
Con la sua posizione filo atlantica è riuscita a rassicurare le cancellerie, ma il suo sovranismo — e segnatamente la sua volontà di ridiscutere il Pnrr — la potrebbero porre in contrasto con l’Europa.
All’estero, i più sembrano guardare all'affermazione di Meloni con preoccupazione, come dimostra il titolo della Cnn : «Italia verso la premier più a destra dai tempi di Mussolini»
Ore 05:50 - I risultati, ad ora
Lo spoglio non è ancora concluso, ma le proiezioni sono tutte concordi: la coalizione di centrodestra ha vinto le elezioni politiche del 25 settembre 2022, ha conquistato una netta la maggioranza (sopra il 40%) e si avvia ad avere la maggioranza assoluta sia in Senato, sia alla Camera; e, al suo interno, Fratelli d’Italia — il partito di Giorgia Meloni, è saldamente collocato come primo partito, con oltre il 26 per cento dei voti. Meloni potrebbe essere chiamata dal Quirinale, prima donna a Palazzo Chigi, per provare a formare un governo con gli altri partiti del centrodestra.
Crolla la Lega, che scende sotto il 10%; tiene invece — oltre le previsioni — Forza Italia («il Cavaliere e il suo partito sono ancora politicamente vivi e vegeti», sintetizza Marco Galluzzo).
Noi moderati di Maurizio Lupi è allo 0,9% (0-4 senatori). L’accordo fra gli alleati era chiaro: chi prende più preferenze sceglie il candidato premier. Salvini deve ridimensionare le proprie ambizioni, mentre Giorgia Meloni può dunque fare rotta su Palazzo Chigi, anche se i giochi sono aperti e bisognerà capire come intende muoversi il presidente Sergio Mattarella per garantire l’interesse nazionale nel complicato quadro internazionale sia sul piano politico sia su quello economico.
Il Pd oscilla intorno (ma sotto) al 20%, e nel partito, adesso, c'è aria da resa dei conti, come racconta Maria Teresa Meli.
La lista Verdi-Sinistra Italiana ha raccolto il 3,6% al Senato (5-9 seggi) e il 3,7% alla Camera (10-16 deputati), mentre +Europa è sul filo della soglia di sbarramento del 3% al Senato (0-2 senatori) al 2,9% alla Camera e quindi deve i dati ufficiali per il conteggio definitivo. Non pervenuta Impegno civico: la lista di Luigi Di Maio — rimasto fuori dal Parlamento - è allo 0,6%. La somma dei voti del centrosinistra è dunque intorno al 26,6 al Senato e al 26,8 alla Camera.
Azione-Italia viva è al 7,7% (7-11 senatori e 15-25 deputati): il Terzo polo esiste, Maria Elena Boschi ha parlato di «risultato importante», ma non sono i numeri sognati da Calenda e Renzi.
Il Movimento 5 Stelle, invece, si colloca intorno al 15%, affermandosi come terzo partito dietro a FdI e Pd e con percentuali altissime al Sud.«Tutti ci volevano fuori dal Parlamento, ci davano a una cifra in picchiata, la rimonta è stata significativa», ha commentato Conte nella notte, per poi promettere: «Saremo una forza di opposizione che esprimerà tantissimo coraggio e tanta determinazione».
Italexit di Gianluigi Paragone sembrerebbe non essere riuscita a raggiungere lo sbarramento (fissato al 3%).
Ore 06:22 - In Alto Adige lista no vax oltre il 6% dei consensi
In Alto Adige a sorpresa la lista Vita, vicina al mondo no vax, si attesta ben oltre il 6%, con un collegio che sfiora addirittura il 9% dei consensi. Il risultato è comunque in linea con quelli delle ultime tornate elettorali nel mondo di lingua tedesco. Al Senato a Bolzano Hannes Loacker attualmente è al 6,21%, a Merano Susanna Singer al 6,99% e a Bressanone Rudolf Schopf al 5,99%. Alla Camera è andata ancora meglio a Francesco Cesari con il 7,92% a Bressanone e la nota avvocatessa dei no vax Renate Holzeisen che a Bolzano sfiora il 9% (8,94%).
Ore 06:29 - Di Maio sconfitto a Fuorigrotta, è fuori dal parlamento
Gli odiatori da tastiera sono pronti a sfornare vignette feroci contro Luigi Di Maio , il ministro che si sfracellò volando in pizzeria sulle note di Dirty Dancing (vedere video per credere, ndr). «Gigino verso il ritorno al San Paolo», ironizzano sul web quando è ormai notte fonda e per il fondatore di Impegno Civico si profila la disfatta. La sfida testa a testa nel collegio uninominale di Napoli-Fuorigrotta con Sergio Costa e Mariarosaria Rossi è all’ultima scheda, Mara Carfagna è quarta e Di Maio secondo. È lui che ha tutto da perdere, o ha già perso tutto. Con la scissione del M5S voleva salvare il governo Draghi, ma il senno di poi dice che ha contribuito ad affossarlo. Sognava di rendere «irrilevante» Conte e invece, portandogli via mezzo partito, ha fatto la sua parte per resuscitarlo. E adesso, in tandem con Tabacci, rischia di restare fuori dal Parlamento.
Ore 06:42 - Chi è Giorgia Meloni
(Roberto Gressi) Rivoluzione accorta ma non morbida, che qui non si annacqua niente. Presidenzialismo, abiura del fascismo quanto elettoralmente basta, la Fiamma non si tocca. Patria, famiglia e lobby Lgbt da sorvegliare, senza gli eccessi dei comizi in casa Vox. Qualche zampata, dal video sullo stupro alle devianze, che qualche volta la frizione scappa.
Ma in questa campagna elettorale, dopo aver trovato la ricetta della minestra di Riccioli d’Oro, Giorgia è stata soprattutto lì a guardarla bollire, attenta che non si attaccasse, con camicette bianche, toni bassi e pause sapienti, mentre i sondaggi salivano ogni settimana.
Bastava non strafare, e soprattutto impedire che sbrodolassero i due simpatici improvvisatori che si porta dietro, Silvio e Matteo, e con un occhio alla lezione di Mario Draghi, che pure non ha mai votato. È, ora, più che probabile che sarà lei la prima donna in Italia a guidare un governo.
Meloni Giorgia, 45 anni, Capricorno, nata a Roma Nord ma cresciuta alla Garbatella, intorno ai 160 centimetri per poco più di 50 chili, un diploma con Sessanta quando era il voto più alto. Una madre, una sorella, un compagno, una figlia. Un padre, anche, al quale ha fatto ciao ciao quando aveva un anno, mentre lui se ne andava alle Canarie per non tornare più. Nel decennio successivo lei e sua sorella Arianna hanno visto papà Francesco per una, massimo due settimane all’anno. Fino a quando, per Giorgia, anche questi pochi giorni divennero insopportabilmente troppi. Lei gli disse: «Non voglio vederti più». E mantenne la parola. «Quando è morto non sono riuscita davvero a provare un’emozione, è come se fosse stato uno sconosciuto», ha raccontato a Silvia Toffanin, a Verissimo.
Alla mamma Anna dice tutto, unica persona di cui teme il giudizio. Quando aspettava Giorgia il suo matrimonio era già in crisi, aveva una bambina piccola e tanti le consigliavano di interrompere la gravidanza. Ci pensò, andò anche, ovviamente a digiuno, a fare le analisi propedeutiche. Anni dopo lo ha raccontato così a sua figlia: «E poi entrai invece in un bar e dissi: cappuccino e cornetto». Complici da sempre con la sorella Arianna, che le raccontava le favole e la consolava quando a scuola la chiamavano cicciona. Insieme accesero una candela in cameretta, per giocare, e poi uscirono lasciandola lì. Bruciò tutto, addio all’appartamento alla Camilluccia, si va alla Garbatella.
Ore 07:06 - A Bologna Casini batte Sgarbi, Bonino e Calenda beffati a Roma
(Claudia Voltattorni) Un solo voto. Tanto basta per essere dentro o fuori al Senato o alla Camera (salvo poi l’eventuale ripescaggio al proporzionale). La sfida nei collegi uninominali prevede una semplice regola: vince chi prende più voti, anche uno solo.
A Bologna, la sfida dentro-fuori era tra l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini (centrosinistra) e Vittorio Sgarbi (centrodestra), battuto dopo un testa a testa fino all’ultimo voto. A Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia, la battaglia per il Senato la vince Isabella Rauti, figlia del leader Msi Pino, ex moglie di Gianni Alemanno (ex An) e candidata di Fratelli d’Italia, con oltre il 45%, contro circa il 30% di Emanuele Fiano (Pd), figlio del sopravvissuto ad Auschwitz Nedo. Daniela Santanché (FdI) batte Carlo Cottarelli (centrosinistra) per il Senato a Cremona.
Ore 07:14 - Da chi ha preso tutti quei voti, Meloni? E a chi li ha sottratti Calenda?
(Renato Benedetto) Il balzo in avanti, in poco più di quattro anni, è impressionante: Fratelli d’Italia passa dal 4,4 del 2018 a circa il 25% alla Camera di queste elezioni.
Dove li ha presi, questi elettori? Soprattutto li ha sottratti alla Lega.
Secondo l’analisi dei flussi del Consorzio Opinio per la Rai, mostrata da Antonio Noto a Porta a Porta, il 40% di chi adesso ha votato per il partito di Giorgia Meloni era un elettore della Lega.
Il 22% aveva già scelto Fratelli d’Italia (si può desumere quindi che ha confermato buona parte dei suoi appena 1,4 milioni di elettori del 2018). Un poco FdI ha rubato anche a Forza Italia (13%) e Movimento 5 Stelle (9%). Appena il 3% al Pd, il 10% dall’astensione.
Anche Forza Italia ha pescato nell’elettorato leghista (il 17% degli elettori di Berlusconi oggi aveva votato per il Carroccio nel 2018).
Quello di Meloni è il primo partito quasi ovunque, conquista (dati a spoglio in corso) circa il 23% al Nord Ovest, il 26% nel Nord Est, il 27% al Centro. Solo al Sud, con il 20%, è secondo, con il M5S in testa con il 26% delle preferenze.
La Lega fa un tonfo nel Nord Est: in Friuli-Venezia Giulia è intorno all’11 mentre FdI è oltre il 30%; in Veneto si ferma intorno al 14,5% (Zaia aveva stravinto con il 76% delle preferenze), mentre FdI, intorno tra il 32 e il 33%, la doppia.
E il partito di Calenda? Secondo il Consorzio Opinio pesca molto tra gli elettori del Pd: il 37% di chi oggi ha votato per Azione-Iv nel 2018 aveva scelto i democratici.
Prende anche da Lega (11%) e M5S (10%), qualcosa anche da FI (7%) e +Europa (5%). Il Movimento ha pescato anche nell’elettorato dem (11%) e leghista (4%).
Ore 07:31 - La lunga giornata di Giorgia Meloni
(Paola Di Caro) Quel tetto di cristallo che separava una donna, e di destra, dal vertice del potere l’ha rotto, come sperava e credeva. E si gode l’emozione, la gioia — mista ad ansia, ricordi, paure e stanchezza — in famiglia fino a tarda notte, poi tra i suoi fedelissimi, eletti e decine e decine di giornalisti di tutto il mondo che la aspettano al Parco dei Principi da ore.
Con la voce che a tratti trema, commossa, Giorgia Meloni sale sul palco, scherza, ride, si stringe nella sua giacca bianca, scuote i capelli e avverte che sarà solo un saluto, che oggi approfondirà per bene ogni tema, ma emozionata può finalmente dedicare «questa vittoria, questo riscatto» oltre che alla sua famiglia, mamma, sorella, compagno, figlia, a «tutte le persone che non ci sono più e che meritavano di vedere questa nottata».
Ore 07:39 - Il compagno di Meloni, che potrebbe essere il «first gentleman» d’Italia
(Claudio Bozza) Volto Mediaset, cuore a sinistra, quasi sempre un passo indietro dai riflettori della politica. Andrea Giambruno, 41 anni, conduttore di Studio aperto, è il compagno di Giorgia Meloni (4 anni più grande) e potrebbe essere — visti i risultati di queste elezioni politiche — il primo «first gentleman» della Repubblica italiana.
Il giornalista e la leader di Fratelli d’Italia si sono appunto conosciuti dietro le quinte di una trasmissione condotta da Paolo Del Debbio, di cui Giambruno era autore.
Meloni arriva trafelata e fa alla sua portavoce Giovanna: «Non ho mangiato, ho una fame che svengo».... In una pausa pubblicitaria mangia una banana al volo, ma quando si torna in onda, la leader di FdI è ancora lì con il frutto in mano: «Io mi precipito e gliela strappo di mano anche con una certa foga, ci manca la Meloni in diretta con una banana... — ricorda Giambruno dicendo che la leader lo scambiò per un assistente —. Non so dire, i nostri occhi si incrociano in modo strano, è stato un attimo».
Da quel momento il giornalista inizia un serrato corteggiamento. E qualche tempo dopo, il 16 settembre 2016, è arrivata la piccola Ginevra, chiamata così per via di Lancillotto.
Il vecchio detto «dietro ad un grande uomo c’è una grande donna» vale al contrario anche per lei? «Certamente sì — ha raccontato Meloni a Sette—. Andrea è un padre fantastico, presentissimo. Passa a Milano una settimana al mese, ma quando è qui lavora quasi sempre di sera e durante il giorno sta molto con Ginevra. Ci alterniamo, ci aiutiamo, ci completiamo». E poi: al suo compagno chiede consigli, pareri? «Lo coinvolgo, sì, ma non troppo. Quando siamo assieme cerco di lasciare fuori la politica, di staccare. Non è facile: lui segue tutti i talk, io passo davanti: “Ancora co’ la politica? Ti prego, cambia, non ne posso più!”».
Ore 08:15 - Gli ultimi dati alla Camera
In base ai dati del Viminale, quando sono state scrutinate 58.840 sezioni su 61.417, alla Camera è in testa la coalizione di centrodestra con il 44,10% mentre quella di centrosinistra è al 26,32%. Il Movimento 5 Stelle è al 15,10% e il terzo polo al 7,74%. Italexit è all’1,91%, Unione Popolare all’1,43%.
Anche al Senato vince nettamente la coalizione di centrodestra, ottenendo il 44,36% dei consensi, quando mancano i risultati di poche centinaia di sezioni sulle 60.399 allestite. Il centrosinistra ha segnato il 26,11%. Il Movimento 5 Stelle ha raggiunto il 15,31% mentre Azione-Italia viva ha raccolto il 7,7%.
Ore 08:02 - Molise, eletti Lotito e Cesa
Vanno al centrodestra tre dei quattro collegi in palio in Molise: bottino pieno al Senato, con il presidente della Lazio Claudio Lotito che si impone nel collegio uninominale con il 43%, davanti all’avvocato isernino Ottavio Balducci del M5S (23,9%) e alla dirigente scolastica Rossella Gianfagna (23,7%), candidata del centrosinistra, e l’esponente di Fratelli d’Italia Costanzo Della Porta, sindaco di San Giacomo degli Schiavoni, che ottiene il seggio disponibile nel proporzionale, prevalendo su Nicola Cavaliere di Fi, Alberto Tramontano della Lega e Mimmo Izzi di Noi Moderati.
Successo di Lorenzo Cesa nel collegio uninominale della Camera, al 43%, davanti ai rivali Riccardo Di Palma (23,68%), del Movimento 5 Stelle e Alessandra Salvatore (23,55%), consigliere comunale a Campobasso del Pd. Per l’assegnazione del seggio determinato dalla corsa nel proporzionale della Camera occorrerà attendere i conteggi imposti dal sistema elettorale.
Ore 08:19 - Rossi batte Rossi in uninominale Camera in Toscana
In Toscana, nel collegio uninominale UO1 (Grosseto) per la Camera, il vicesindaco di Grosseto Fabrizio Rossi, candidato del centrodestra, è stato eletto con il 98.652 dei voti, pari al 40,73%. Sconfitto Enrico Rossi, l’ex governatore toscano che correva per il centrosinistra: ha avuto 82.096 voti, pari al 33,89. Terzo è risultato il candidato del M5s, Luca Giacomelli col 10,37% dei voti, quarto Stefano Scaramelli di Azione-Iv con il 9,13%. Questi i dati diffusi dal ministero dell’Interno.
Lacrime, abbracci e Rino Gaetano: così FdI festeggia la vittoria. Elezioni 2022, i risultati delle politiche: Meloni porta il centrodestra al governo. Le Pen: "Eletto governo sovranista". Letta parlerà in mattinata. Stefano Baldolini su La Repubblica il 26 settembre 2022.
Trionfo per la leader di Fratelli d'Italia, Forza Italia vicina alla Lega. Male il Pd, attesa per l'intervento di Letta. Bonaccini si complimenta con Meloni. Conte: "Chi tocca il reddito troverà in noi un argine insuperabile".
Il centrodestra vince le elezioni, ma soprattutto vince Giorgia Meloni: a spoglio ancora in corso la coalizione si attesta al 44% con Fratelli d'Italia oltre il 26%, la Lega che crolla al 9% e Forza Italia all'8%. Il centrosinistra non arriva al 27%: il Pd è sotto il 20%, Alleanza Verdi e Sinistra supera la soglia del 3%, obiettivo che non raggiungono +Europa e Impegno Civico di Luigi Di Maio che non arriva neppure all'1%. Bene il MoVimento 5 Stelle che è intorno al 15%. Azione-Italia Viva si ferma sotto l'8%. "Obiettivo fermare la destra non raggiunto", commenta Carlo Calenda. Con questi numeri Meloni non ha timore di essere smentita quando dice che il prossimo governo "sarà a guida FdI". Per Marine Le Pen "il popolo italiano ha eletto un governo sovranista". Fa riflettere il dato dell'affluenza, che crolla di nove punti rispetto al 2018 e scende al 63,95%, nuovo minimo storico.
03:34 Conte: "Il gruppo dirigente del Pd si assuma le responsabilità. Il centrodestra ha vinto"
"Le scelte compiute da questo gruppo dirigente del Pd hanno compromesso un'azione politica che poteva essere competitiva con questo centrodestra che si è presentato unito. Il centrodestra ha vinto, il gruppo dirigente del Pd se ne assuma le responsabilità. Di fatto i cittadini stanno dimostrando, soprattutto al sud, che il voto per contrastare il centrodestra è il voto per il M5S". Lo ha detto il leader del M5S Giuseppe Conte.
04:44 Meloni su Facebook: "Oggi abbiamo scritto la storia"
"Oggi abbiamo scritto la storia. Questa vittoria è dedicata a tutti i militanti, i dirigenti, i simpatizzanti e ad ogni singola persona che - in questi anni - ha contribuito alla realizzazione del nostro sogno, offrendo anima e cuore in modo spontaneo e disinteressato". Lo scrive Giorgia Meloni su Facebook, postando una foto che la ritrae con il cartello mostrato durante il suo intervento di commento al voto ("Grazie Italia"). "A coloro che, nonostante le difficoltà e i momenti più complessi, sono rimasti al loro posto, con convinzione e generosità. Ma, soprattutto, è dedicata a chi crede e ha sempre creduto in noi. Non tradiremo la vostra fiducia. Siamo pronti a risollevare l'Italia. Grazie", conclude la leader di Fratelli d'Italia.
05:36 Del centrosinistra l'unico senatore "italiano" in Alto Adige
Il Pd-centrosinistra difende l'unico senatore di lingua italiana in Alto Adige. L'ex sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli, dopo 143 di 144 sezioni scrutinate, è in testa con il 26,20%. Doveva essere una volta a tre e così è stato: il candidato della Svp Manfred Mayr, che in nottata è stato a lungo in testa, ora è al 25,26% e il candidato leghista del centrodestra Maurizio Bosatra al 24,99%. Spagnolli ha così impedito il 'cappotto' della Svp che conquista tutti gli altri collegi in Provincia di Bolzano, sia al Senato che alla Camera.
05:56 A Roma centro Mennuni (centrodestra) batte Bonino e Calenda
Nel collegio uninominale di Roma centro per il Senato la consigliera comunale Lavinia Mennuni (FdI) ha battuto Emma Bonino e Carlo Calenda con più del 36% dei consensi contro il 33% circa dell'esponente di +Europa e il 14% del leader di Azione.
06:30 In Alto Adige lista no vax oltre il 6% dei consensi
In Alto Adige a sorpresa la lista Vita, vicina al mondo no vax, si attesta ben oltre il 6%, con un collegio che sfiora addirittura il 9% dei consensi. Il risultato è comunque in linea con quelli delle ultime tornate elettorali nel mondo di lingua tedesco. Al Senato a Bolzano Hannes Loacker attualmente è al 6,21%, a Merano Susanna Singer al 6,99% e a Bressanone Rudolf Schopf al 5,99%. Alla Camera è andata ancora meglio a Francesco Cesari con il 7,92% a Bressanone e la nota avvocatessa dei no vax Renate Holzeisen che a Bolzano sfiora il 9% (8,94%).
06:59 Bassa l'affluenza anche per le regionali in Sicilia
Bassa affluenza anche alle Regionali in Sicilia: appena il 48,62%, comunque superiore a quella di cinque anni fa quando era stata del 46,75%. Colpisce la forte differenza rispetto al dato delle Politiche: in questa caso ha votato per Camera e Senato, infatti, il 57,35%: uno scarto di 8,73 punti percentuali, che conferma una disaffezione e una sfiducia per l'istituzione regionale. Lo scrutinio per le regionali inizierà alle 14.
07:07 Lotito eletto senatore in Molise: "Manterrò le promesse"
Claudio Lotito eletto senatore in Molise per il centrodestra. Lotito ha atteso i risultati nell'albergo di Campobasso che nell'ultimo mese è stata la sua residenza molisana poi nel, cuore della notte, ha commentato la vittoria: "Io in questa campagna elettorale ho messo cuore, passione e sentimenti autentici - ha detto - che sono stati recepiti dai molisani. Gli abitanti di questa regione mi sono entrati nel cuore e hanno capito la mia totale disponibilità. Ora porterò lo loro istanze in Parlamento con la stessa determinazione che ho impiegato nella campagna elettorale". Lotito infine ha ribadito che manterrà gli impegni presi nelle ultime settimane: "I molisani non saranno traditi perché lo meritano, questa è una terra fantastica che è stata troppo dimenticata negli ultimi anni e che ha bisogno di una voce in Parlamento".
07:15 Biancofiore vince il testa a testa a Rovereto
La vicepresidente di Coraggio Italia ed deputata uscente Michaela Biancofiore passa al Senato. Nel collegio di Rovereto, in Trentino, con il sostegno di Lega, Fratelli d'Italia, Forza Italia e Noi Moderati si impone in un lungo testa a testa con il 36,79% dei consensi contro la senatrice uscente Donatella Conzatti di Italia Viva (anche lei sostenuta dall'Alleanza democratica per l'autonomia come Patton).
07:26 Casini eletto a Bologna, battuto Sgarbi
Nella sfida nel collegio di Bologna del Senato viene eletto Pierferdinando Casini del centrosinistra con il 40%. Battuto Vittorio Sgarbi, candidato del centrodestra, fermo al 32,3%. Distaccato il candidato M5s, Fabio Selleri, al 10,86%.
07:29 Casellati vince in Basilicata
Maria Elisabetta Casellati vince al collegio uninominale della Basilicata per il Senato. L'attuale presidente di Palazzo Madama, quando sono state scrutinate 671 sezioni su 683, ottiene il 36,10% dei voti, distanziando Antonio Materdomini (M5s) al 24,28% e Ignazio Petrone (Centrosinistra) al 21,83%.
07:33 In Lombardia Rauti batte Fiano, Santanché vince su Cottarelli
Nel collegio per il Senato di Sesto San Giovanni Isabella Rauti batte Emanuele Fiano : la candidata del centrodestra, esponente di FdI, ha ottenuto il 45,4% dei voti contro il 30,8% dell'ex deputato Pd. Sempre in Lombardia, nel collegio di Cremona la coordinatrice regionale Daniela Santanchè ha ottenuto il 52,17% dei voti contro il 27,3% di Carlo Cottarelli.
07:35 Ilaria Cucchi eletta a Firenze
Vittoria per Ilaria Cucchi, candidata di centrosinistra, al collegio uninominale di Firenze al Senato. Cucchi ha ottenuto il 40,8%, superando nettamente Federica Picchi (centrodestra) al 30,03% e Stefania Saccardi (terzo polo) al 12,23%.
07:45 Ex ministro Terzi al 60%, Gelmini terza a Treviglio
L'ex ministro degli Esteri del governo Monti Giulio Terzi di Sant'Agata, candidato di Fdi, è stato eletto con il 60,28% delle preferenze al Senato nel collegio uninominale di Treviglio, in provincia di Bergamo, dove il ministro uscente Mariastella Gelmini, del Terzo polo, è arrivata terza con l'8,12% dei voti.
Si è fermata al 20,65% Cristina Tedaldi, sindaco di Leno ed esponente del Pd.
07:52 Berlusconi vince a Monza e torna in Senato
Silvio Berlusconi vince nel collegio uninominale di Monza per il Senato. Quando le sezioni scrutinate sono 689 su 739 (93,2%), Berlusconi è al 50,32% delle preferenze. Seguono Federica Perelli (centrosinistra) con il 27,17%, Fabio Albanese (Azione-Iv) con il 10,21% e Bruno Marton (M5S) al 7,66%.
07:56 Napoli, al senato il primo uninominale va a M5S
A Giugliano in Campania la candidata del Movimento 5 stelle Maria Domenica Castellone, con il 44,85% delle preferenze, si aggiudica il primo uninominale del Senato tra Napoli e provincia. A seguire Elena Scarlato (centrodestra 29,26%) e Davide Crippa (centrosinistra, 17,89%).
07:58 Bonaccini si complimenta con Meloni
"L'affermazione della destra è chiara. Complimenti a Giorgia Meloni". Lo scrive su Twitter il presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini.
08:04 In Lombardia Misiani sola vittoria al Senato per il Pd
All'uninominale al Senato nella circoscrizione di Milano Buenos Aires con il 39,07% delle preferenze è stato eletto Antonio Misiani, davanti alla leghista Maria Cristina Cantù con il 33,28 e a Ivan Scalfarotto che, con il terzo polo, ha ottenuto il 16,33% dei voti.
Quella del responsabile economico del Pd è l'unica vittoria all'uninominale per Palazzo Madama del centrosinistra in Lombardia dove il centrodestra è arrivata al 50,66% dei voti, il centrosinistra si è fermato al 27,22, il Terzo polo ha sfiorato il 10% (9,96%) e il Movimento 5 stelle ha ottenuto il 7,23.
08:08 Borsa: Milano verso avvio positivo dopo voto
La Borsa di Milano si mostra positiva in pre-apertura, dopo le elezioni politiche. Piazza Affari è sostenuta dalle banche e dall'energia con i principali titoli che appaiono tonici.
08:16 M5S vince tutti gli uninominali a Napoli e provincia
En plein del Movimento 5 Stelle nei collegi uninominali di Napoli e provincia alla Camera e al Senato.
L'ampio risultato ottenuto dal partito di Giuseppe Conte in Campania, e in particolare nel capoluogo Napoli e nella sua provincia, ha comportato la vittoria di ben 11 collegi uninominali, 7 alla Camera e 4 al Senato, a partire dal collegio Napoli-Fuorigrotta alla Camera, dove il candidato pentastellato Sergio Costa (ex ministro dell'Ambiente nei Governi Conte 1 e 2) quando manca il dato di una sola sezione sfiora il 40%, battendo il candidato del centrosinistra Luigi Di Maio, ex M5S oggi leader di Impegno Civico, Mariarosaria Rossi per il centrodestra e Mara Carfagna per Azione-Italia Viva.
Vittorie nette anche a Giugliano (Campania 1-U01) per Antonio Caso (42,58%), a Napoli-San Carlo all'Arena (Campania 1-U03) per Dario Carotenuto (45,49%), a Casoria per Pasqualino Penza (47,20%), ad Acerra per Carmela Auriemma (43,70%), a Somma Vesuviana per Carmela Di Lauro (34,78%) e a Torre del Greco per Gaetano Amato (34,26%).Vittoria pentastellata anche nei 4 collegi uninominali di Napoli e provincia al Senato.
Nel collegio unico di Napoli città viene eletta Ada Lopreiato con il 41,47%, battuti Valeria Valente per il centrosinistra (25,35%) e Stefano Caldoro per il centrodestra (22,25%). Vincono poi a Giugliano Mariolina Castellone (44,85%), ad Acerra Raffaele De Rosa (39,01%) e a Torre del Greco Orfeo Mazzella (35,32%), battendo per circa 2.500 voti la candidata del centrodestra Pina Castiello della Lega.
08:25 Marine Le Pen: "Italiani hanno deciso governo sovranista"
(agf)"Il popolo italiano ha deciso di prendere in mano il proprio destino eleggendo un governo patriottico e sovranista". Marine Le Pen, la leader sovranista di Rassemblement National, ha commentato così i risultati delle elezioni in Italia.
"Bravo a Giorgia Meloni e Matteo Salvini per aver resistito alle minacce di un'Unione Europea antidemocratica e arrogante nell'ottenere questa grande vittoria!", ha scritto Le Pen su Twitter.
08:31 Malpezzi (Pd): "Letta chiarirà, a marzo ci aspetta il congresso"
"Letta stamani chiarirà tutto. Noi abbiamo le nostre discussioni. Il congresso ci aspetta a marzo. Letta ha sempre analizzato i problemi che si affrontano poco per volta man mano che si presentano". Lo dice la capogruppo del Pd al Senato Simona Malpezzi al Tg1.
08:35 La premier francese Borne: saremo attenti a rispetto diritti e aborto
La Francia sarà attenta al "rispetto" dei diritti umani e dell'aborto in Italia. Lo ha dichiarato la premier francese, Elisabeth Borne, dopo la vittoria della coalizione di centro-destra nelle elezioni di ieri.
08:36 Calenda: obiettivo fermare la destra non raggiunto. Maggioranza a destra sovranista, prospettiva pericolosa
"L'obiettivo di fermare la destra e andare avanti con Draghi non è stato raggiunto. Sentiamo in primo luogo il dovere di ringraziare il Presidente Del Consiglio per il lavoro svolto a servizio del paese. Così come ringraziamo i quasi due milioni di cittadini che hanno deciso di votare una lista nata a ridosso delle elezioni. Gli italiani hanno scelto di dare una solida maggioranza alla destra sovranista. Consideriamo questa prospettiva pericolosa e incerta. Vedremo se la Meloni sarà capace di governare; noi faremo un'opposizione dura ma costruttiva". È quanto afferma il leader di Azione e del Terzo polo Carlo Calenda.
"In meno di due mesi abbiamo costruito una casa per i liberali, i riformisti e i popolari. Una casa per gli italiani che non vogliono un paese fondato sui sussidi e le regalie ma che vogliono rimanere a testa alta tra i grandi paesi europei, saldamente ancorati all'Occidente e ai suoi valori. Nei prossimi mesi si consolideranno tre schieramenti: la destra al Governo; una sinistra sempre più populista che nascerà dalla risaldatura tra PD e 5S, e il nostro polo riformista. Abbiamo il compito -aggiunge- di dare una rappresentanza stabile e organizzata all'Italia che cerca una politica seria. Con quasi l'8% dei consensi partiamo da solide basi. Avvieremo subito un cantiere affinché questo processo sia ampio e partecipato".
08:45 Spread Btp-Bund a 231 punti dopo il voto
Spread tra Btp e Bund a 231 punti base vicino ai valori della chiusura di venerdì (230 punti) nel giorno successivo alle elezioni. Il differenziale dopo un calo a 223 punti è poi risalito. Il rendimento del decennale italiano è in aumento al 4,41%.
08:53 Bolsonaro jr celebra vittoria Meloni: "È Dio, patria e famiglia"
Il figlio del presidente del Brasile Jair Bolsonaro, Eduardo, ha celebrato su Twitter la vittoria di Giorgia Meloni. "È un successo", ha scritto, affermando che "la nuova premier italiana è Dio, patria e famiglia". Bolsonaro Jr, che è deputato federale dello Stato di San Paolo, ha quindi sottolineato che Meloni "è la prima donna in questa posizione in Italia".
Elezioni politiche, i risultati: il centrodestra ha la maggioranza. Meloni al 26 per cento, Pd sotto il 20. Il Domani il 26 settembre 2022
Fratelli d’Italia primo partito, seguito dal Pd e da M5s che è vicino a doppiare la Lega. La coalizione di centrodestra maggioranza in entrambe le camere. L'affluenza si è fermata al 63,9 record storico negativo. Entrano in parlamento: Casini, Casellati, Berlusconi, Lotito, Cucchi. Escluso Di Maio
La tornata elettorale per rinnovare il parlamento e per la regione Sicilia si è conclusa con un alto tasso di astensionismo. L’affluenza alle urne è stata del 63,9 per cento, un crollo del 10 per cento rispetto alle ultime elezioni del 2018. Domani segue in diretta sul sito tutti gli aggiornamenti sui risultati con analisi e approfondimenti.
Cosa c’è da sapere:
Il centrodestra ha conquistato la maggioranza in entrambe le Camere. Fratelli d’Italia è il primo partito con circa il 26 per cento dei voti ottenuti.
Pessimi dati per il Pd, secondo partito, ma sotto il 20 per cento. Il Movimento 5 Stelle è la terza e supera il 15 per cento. Male la Lega che crolla al 9 per cento insidiata da Forza Italia intorno all’8 per cento.
Per sapere i risultati delle elezioni regionali in Sicilia bisognerà attendere lo spoglio che inizierà alle 14 di oggi. Secondo i primi exit poll è in testa il candidato del centro destra Renato Schifani.
Luigi Di Maio non tornerà in parlamento. I risultati certificano una sua sconfitta nel collegio uninominale di Napoli Fuorigrotta. Ha perso contro il candidato del Movimento Cinque stelle Costa. Ritorna invece in Senato Silvio Berlusconi, eletto nel collegio uninominale di Monza.
07.34 – Arrivano i complimenti di Marine Le Pen
«Il popolo italiano ha deciso di prendere in mano il proprio destino eleggendo un governo patriottico e sovranista», ha scritto su Twitter Marine Le Pen, leader del Rassemblement National. «Complimenti a Giorgia Meloni e Matteo Salvini per aver resistito alle minacce di un’Unione europea antidemocratica e arrogante ottenendo questa grande vittoria».
07.40 – Eletta nuovamente in Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati
Con il 96,7 per cento dei voti scrutinati nel collegio uninominale Basilicata-Potenza, Maria Elisabetta Alberti Casellati, vince con il 36,01 per cento delle preferenze. Secondo il candidato del Movimento Cinque stelle Antonio Materdomini con il 24,32 per cento e terzo il candidato di centro sinistra Ignazio Petroni con il 21,86 per cento dei voti.
07.48 – A Bologna Casini vince il testa a testa con Sgarbi
Pier Ferdinando Casini (centrosinistra) ha battuto Vittorio Sgarbi (centrodestra) a Bologna, nel collegio uninominale del Senato. Rispettivamente hanno ottenuto il 40,07 per cento delle preferenze e il 32,32 per cento.
07.50 – Il Partito democratico ha ottenuto meno del 20 per cento dei voti. Qui una prima analisi:
07.53 – Il presidente della squadra di calcio della Lazio, Claudio Lotito, è riuscito a entrare in Senato vincendo in Molise dove era candidato con il centro destra in quota Forza Italia.
08.02 – Daniela Santanché batte l’economista Carlo Cottarelli in senato a Cremona
Nel collegio uninominale di Cremona, l’esponente di Fratelli d’Italia Daniela Santanchè batte con il 52,17 per cento delle preferenze Carlo Cottarelli (centrosinistra), fermo al 27,37 per cento. Cottarelli potrà essere ripescato nel proporzionale.
08.08 - I dati sull’affluenza dal 1948 a oggi
08.16 – Nel collegio uninominale di Messina i candidati della lista di Cateno De Luca sono in testa. De Luca è candidato anche per la presidenza della regione Sicilia dove i primi exit poll e sondaggi lo posizionano in seconda posizione dietro Renato Schifani (centro destra) e prima di Caterina Chinnici (centro sinistra). Ecco chi è Cateno De Luca nell’articolo di Attilio Bolzoni pubblicato nei giorni scorsi su Domani:
08.21 – La vittoria con ampio margine di Ilaria Cucchi
Ilaria Cucchi (centrosinistra) è stata eletta al Senato, nel collegio uninominale di Firenze, con il 40,08 per cento delle preferenze. Ha battuto di circa 10 punti percentuali la candidata del centrodestra Federica Picchi.
08.24 – A Volturara Appula, il paese di Conte, il Movimento Cinque stelle ha ottenuto una vittoria schiacciante con oltre l’85 per cento delle preferenze.
08.41 – Rita Dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, è stata eletta a Molfetta con Forza Italia.
08.45 Exploit dei No vax in Alto Adige
La lista Vita, vicina ai no vax, fondata dall’ex deputata del Movimento Cinque stelle Sara Cunial ha ottenuto un importante risultato in Alto Adige con oltre il 6 per cento di voti, mentre a livello nazionale non è andata oltre l’1 per cento delle preferenze.
A Bolzano Hannes Loacker ha ottenuto 5.200 voti, ovvero il 6,21 per cento. In provincia di Bolzano, invece, è da segnalare il 7.92 per cento ottenuto da Francesco Cesari nel collegio nord della Camera, e il 6,61 per cento di Renate Holzeisen nel collegio sud, entrambi davanti a M5S e Terzo Polo. Per il Senato, invece, Susanna Singer a Merano ottiene il 6,99 per cento dei voti, Rudolf Schopf a Bressanone il 5,99 per cento.
08.55 – Le prime parole di Carlo Calenda
«L’obiettivo di fermare la destra e andare avanti con Draghi non è stato raggiunto. Sentiamo in primo luogo il dovere di ringraziare il Presidente Del Consiglio per il lavoro svolto a servizio del paese. Così come ringraziamo i quasi due milioni di cittadini che hanno deciso di votare una lista nata a ridosso delle elezioni», ha detto il leader di Azione.
«Gli italiani hanno scelto di dare una solida maggioranza alla destra sovranista. Consideriamo questa prospettiva pericolosa e incerta. Vedremo se la Meloni sarà capace di governare; noi faremo un’opposizione dura ma costruttiva».
Elezioni politiche 2022, Meloni primo partito: Lega giù e Pd sotto il 20%, M5s al 15%. Di Maio fuori dal parlamento. Redazione su Il Riformista il 26 Settembre 2022
“Sarà un governo a guida Fdi”. Con queste parole Giorgia Meloni dal palco del suo quartier generale ha annunciato la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche 2022. Lo spoglio è ancora in corso ma il risultato è già chiaro. Al Senato il centrodestra è oltre il 43% e il centrosinistra al 27%. FdI è il primo partito con più del 26% dei consensi, la Lega crolla al 9% mentre Forza Italia è intorno all’8%. E ancora: il Pd di Enrico Letta è intorno al 20%, Azione-Italia Viva supera il 7%, Alleanza Verdi e Sinistra è oltre il 3%, +Europa 3%, Italexit intorno al 2%, Unione Popolare intorno all’1,5%, Noi Moderati all’1,1%. Il Movimento 5 Stelle è al 15% con risultati importanti al Sud.
Alla Camera in testa c’è ancora la coalizione di centrodestra con più del 43% con FdI al 26,5%, la Lega quasi al 9% e Forza Italia poco sotto l’8%, mentre il centrosinistra è al 27% (il Pd sotto il 20%). M5S è al 14,7% e Azione-Italia viva quasi all’8%.
Altra protagonista di queste elezioni è stata l’astensione con il dato più basso di sempre per le politiche: ha votato il 64% degli aventi diritto. Si è votato anche per il rinnovo dell’assemblea regionale in Sicilia, ma lo scrutinio, in questo caso, comincerà solo lunedì mattina.
ORE 03.30 – “Le scelte compiute da questo gruppo dirigente del Pd hanno compromesso un’azione politica che poteva essere competitiva con questo centrodestra che si è presentato unito. Il centrodestra ha vinto, il gruppo dirigente del Pd se ne assuma le responsabilità. Di fatto i cittadini stanno dimostrando, soprattutto al sud, che il voto per contrastare il centrodestra è il voto per il M5S”. Lo ha detto il leader del M5S Giuseppe Conte.
ORE 05:00 –“Oggi abbiamo scritto la storia. Questa vittoria è dedicata a tutti i militanti, i dirigenti, i simpatizzanti e ad ogni singola persona che – in questi anni – ha contribuito alla realizzazione del nostro sogno, offrendo anima e cuore in modo spontaneo e disinteressato”. Lo scrive Giorgia Meloni su Facebook, postando una foto che la ritrae con il cartello mostrato durante il suo intervento di commento al voto (“Grazie Italia”). “A coloro che, nonostante le difficoltà e i momenti più complessi, sono rimasti al loro posto, con convinzione e generosità. Ma, soprattutto, è dedicata a chi crede e ha sempre creduto in noi. Non tradiremo la vostra fiducia. Siamo pronti a risollevare l’Italia. Grazie”, conclude la leader di Fratelli d’Italia.
ORE 06:30 – Il ministro degli Esteri e leader di Impegno Civico, Luigi Di Maio, non e’ stato rieletto. Quando mancano ormai poche sezioni al risultato definitivo (403 le sezioni scrutinate su 440) nel collegio di Napoli Fuorigrotta 2 per la Camera, ha ottenuto il 24,3% dei voti. Nettamente primo l’ex ministro dell’Ambiente, in lizza per il Movimento 5 Stelle, Sergio Costa, al 40,5%. Terza Maria Rosaria Rossi, in lizza per il centro destra, col 22,2%. Solo quarta la ministra Mara Carfagna, di Azione, al 6,7
ORE 07:28 – Pier Ferdinando Casini (centrosinistra) batte Vittorio Sgarbi (centrodestra) a Bologna, nel collegio uninominale del Senato. Dopo il testa a testa iniziale, a scrutinio concluso, Casini raggiunge il 40,07% delle preferenze a fronte del 32,32% di Sgarbi.
ORE 07:57 – Berlusconi vince in uninominale Senato a Monza Roma, 26 set. (LaPresse) – Silvio Berlusconi vince nel collegio uninominale di Monza per il Senato. Quando le sezioni scrutinate sono 689 su 739 (93,2%), Belusconi è al 50,32% delle preferenze. Seguono Federica Perelli (centrosinistra) con il 27,17%, Fabio Albanese (Azione-Iv) con il 10,21% e Bruno Marton (M5S) al 7,66%.
ORE 08:08 – Secondo i dati YouTrend, Fratelli d’Italia è la lista più votata in quasi tutti i collegi del Senato nel centro e nord del Paese, mentre il Movimento 5 Stelle è davanti nella maggior parte dei collegi meridionali.
Camera e Senato: ecco tutti i risultati partito per partito. Ampio divario tra le due principali coalizioni in corsa in queste elezioni: Fratelli d'Italia stacca nettamente il Pd, la coalizione di centrodestra al 44.38%. Francesca Galici il 26 Settembre 2022 su Il Giornale.
Il Centrodestra sconfigge in modo netto il centrosinistra, ottenendo la maggioranza dei seggi sia alla Camera (44,15%) dei voti che al Senato (44,37%). Stacca nettamente il centrosinistra fermo al 26.37% alla Camera (26,16% al Senato). Confermata la supremazia di Fratelli d'Italia con il 26,29% (26,26% al Senato), mentre il Pd si ferma al 19,25% (19,10% Senato) e il Movimento 5 stelle recupera fino al 15.04% (15,27% Senato). Affluenza in forte calo, al 63.91% (nel 2018 fu del 73.18%).
Crolla l'affluenza alle 19: in calo di 7,5 punti rispetto al 2018
Sezioni scrutinate
In base ai dati del Viminale, quando sono state scrutinate 58.159 sezioni su 60.399, al Senato è in testa la coalizione di centrodestra con il 44,38% mentre quella di centrosinistra è al 26,15%. Il Movimento 5 Stelle raggiunge il 15,27% e il Terzo Polo il 7,69%. Ben al di sotto della soglia di sbarramento del 3% Italexit, ferma all'1,87%, e Unione Popolare all'1,34%.
I seggi
La sesta stima Tecnè basata sulla settima proiezioni indica che il centrodestra al Senato avrebbe tra 109 e 129 seggi. Il centrosinistra è dato in una forbice tra 30 e 50 seggi. Indietro c'è il Movimento 5 stelle, con un numero di seggi compreso tra 19 e 29. Azione e Italia viva insieme potrebbero averne tra 8 e 10. Italexit al momento dei primi intention poll non supererebbe lo sbarramento. Altri partiti sarebbero tra 3 e 4.
La terza stima Tecnè basata sulla terza proiezione indica che il centrodestra al Senato avrebbe tra 221 e 261 seggi. Il centrosinistra è dato in una forbice tra 61 e 101 seggi. Indietro c'è il Movimento 5 stelle, con un numero di seggi compreso tra 36 e 56. Azione e Italia viva insieme potrebbero averne tra 19 e 21. Italexit al momento dei primi intention poll non supererebbe lo sbarramento. Altri partiti sarebbero tra 3 e 4.
Collegi
Con più della metà delle sezioni emiliano-romagnole del Senato scrutinate, il centrodestra è in testa in 4 collegi su 5. Il centrosinistra conserverebbe solo il collegio di Bologna con Casini.
Con più della metà delle sezioni campane scrutinate, M5s è in testa in 4 collegi uninominali per il Senato su 7, tutti nel napoletano. Nei restanti 3 collegi fuori Napoli è in testa il centrodestra.
Il centrodestra è in testa in 4 collegi uninominali siciliani del Senato su 6. A Palermo è in testa il candidato M5s. A Messina è in testa il candidato della lista De Luca sindaco d'Italia.
Le prime parole di Giorgia Meloni
Al quartier generale di Fratelli d'Italia, instaurato all'hotel Parco dei Principi di Roma, ci sono 400 giornalisti provenienti da tutto il mondo per raccogliere le sensazioni subito dopo il voto. Nella sala conferenze dell'Hotel è stato allestito un palco, con alle spalle il logo del partito di Giorgia Meloni su uno sfondo bianco e blu, dove campeggia un grande nastro tricolore. "Rimandiamo a domani le valutazioni più complete ma dagli italiani è arrivata un’indicazione chiara per un governo di centrodestra a guida di Fratelli d'Italia. È il tempo in cui gli italiani potranno avere un governo che esce da una chiara indicazione dalle urne", ha detto Giorgia Meloni. Il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha telefonato a Giorgia Meloni per complimentarsi per il risultato conseguito alle elezioni.
Le reazioni dopo il voto
"Centrodestra in netto vantaggio sia alla Camera che al Senato! Sarà una lunga notte, ma già ora vi voglio dire grazie", ha commentato su Twitter Matteo Salvini dopo i primi intention poll. "Forza Italia è determinante per la vittoria del centrodestra e sarà determinante per la formazione del nuovo governo. Con i numeri e con i contenuti. Siamo fiduciosi anche per la vittoria in Sicilia del nostro Renato Schifani", ha scritto su Twitter Antonio Tajani. "È un risultato importante. Fino a poco fa ci davano per morti, ricordo sondaggi al 6-8 per cento", ha detto il vicepresidente del M5s Michele Gubitosa. "Adesso potremo realizzare quello che avevamo promesso. I risultati li vedremo alla fine, spero che la vittoria di centrodestra premi tutti. Questo è un punto di partenza", ha dichiarato Francesco Lollobrigida, capogruppo uscente di Fdi alla Camera. "Com'è l'atmosfera? Tranquilla e fiduciosa", dicono gli organizzatori del comitato elettorale del Terzo Polo.
"I dati mi sembrano evidenti. Una parte rilevante degli italiani ha deciso di dare fiducia a Giorgia Meloni", ha detto il cofondatore di Fdi Guido Crosetto, parlando al Parco dei Principi. L'imprenditore ha poi aggiunto: "La preoccupazione per la Meloni è una cosa costruita ad arte dalla stampa italiana a cui non è simpatica e da una parte politica italiana. Giorgia Meloni è affidabile, io sono un sincero democratico, non arrivo da un percorso di destra, non ho mai avuto nulla a che fare col fascismo. Affido il futuro dei miei figli tranquillamente a Giorgia Meloni. È la persona che con più responsabilità può gestire un momento così". Sia Enrico Letta che Matteo Salvini hanno annunciato che parleranno domani mattina e non stanotte, probabilmente attorno alle 11.
"I cittadini si sono espressi e dobbiamo prendere atto che hanno premiato la coalizione di centrodestra che si candida legittimamente a governare il Paese", ha detto Giuseppe Conte.
Le reazioni all'estero
"Gli italiani hanno offerto una lezione di umiltà all'Unione europea che, attraverso la voce della signora von Der Leyen, ha affermato di dettare il proprio voto. Nessuna minaccia di alcun tipo può fermare la democrazia: i popoli d'Europa alzano la testa e prendono in mano il loro destino!", ha scritto in un tweet Jordan Bardella, dirigente del partito francese Rassemblement National di Marine Le Pen.
"Alle elezioni politiche in Italia, l'exit poll mostra la vittoria dell'estrema destra", scrive in apertura The Guardian sui primi exit poll italiani. "Concluso il voto in Italia, mentre l'Europa si prepara alla possibilità di un altro spostamento a destra", scrive il New York Times nella sua diretta sulle elezioni, che cita gli exit poll. "L'estrema destra della Meloni vince in Italia e scuote l'Unione Europea", scrive lo spagnolo El Mundo.
"L'Italia vota in modo deciso per una coalizione di partiti di destra nazionalisti", scrive l'Economist, aggiungendo che queste elezioni porteranno alla nascita del "governo più a destra dalla seconda guerra mondiale".
Meloni, "Domani" in lutto: la clamorosa rosicata di De Benedetti in prima pagina. Libero Quotidiano il 26 settembre 2022
Il giornale Domani è a lutto. Sulla prima pagina del quotidiano edito da Carlo De Benedetti campeggia un disegno realizzato da Marinella Nardi di Giorgia Meloni in una espressione tra il severo e l'antipatico. Un ritratto inquietante sotto il quale c'è il titolo: "Siamo davvero pronti?", "per vincere ha cercato di rassicurare ma non c'è nulla di rassicurante".
L'editoriale di Curzio Maltese è titolato "In attesa del nuovo governo - Ci tocca già rimpiangere l'Italia di Mario Draghi", un articolo di nostalgia pura per l'ex premier. In un passaggio, si legge: "Draghi ha tracciato un sentiero fondamentale per il nostro paese che alcuni leader proveranno a ripercorrere, anche se lui non ci sarà più a guidarli. Per nostra fortuna, continuerà ad avere un ruolo importante in Europa. Giorgia Meloni ha già detto che batterà i pugni sul tavolo e che 'la pacchia è finita'. Con tutte le crisi che attraversano l'Italia e l'Europa, la presidente di Fratelli d'Italia crede di poter fare la voce grossa. La verità è che avrà difficoltà molto serie a governare".
E ancora: "La scuola italiana cade a pezzi; il paese non ha una strategia per contrastare la crisi climatica; l'immigrazione è un problema serio che la destra pensa di affrontare con i blocchi navali. Figurarsi cosa potrà fare Meloni sul gas con i governi europei. Una leader che ha deciso di non togliere la fiamma dal suo simbolo e che fatica a frenare i suoi militanti nel fare il saluto romano, non ha nessuna credibilità per essere forte nel continente". E conclude: "Sarà un ottobre freddo e buio"
Onda Meloni, gli auguri dell’amico Orban e i timori della stampa estera. Orban esulta: «In questi tempi difficili abbiamo bisogno di amici che condividano una visione comune». Il Dubbio il 26 settembre 2022.
Il primo messaggio d’auguri indirizzato all’amica Giorgia arriva a seggi appena chiusi e con la firma del presidente ungherese Orban: «In questi tempi difficili, abbiamo più che mai bisogno di amici che condividano una visione e un approccio comuni alle sfide dell’Europa», ha infatti scritto il premier ungherese, che poi rivolge i suoi «complimenti» a Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini per il risultato nelle elezioni italiane.
Decisamente diverse le parole della stampa internazionale che mettono l’accento sulle radici di destra della colazione: «Meloni – scrive infatti Cnn – sarà la prima leader italiana di estrema destra dai tempi di Mussolini». Stessi toni per Liberation che titola: «I post fascisti alle porte del potere in Italia». Dramamtica anche la pres di posizione di Zdf: L’Eu – dice – guarda con apprensione all’esito delle elezioni in Italia. Secondo «Zdf», l’Ue teme che l’Italia possa provocare una nuova crisi dell’euro e per la tenuta della «posizione comune dell’Europa contro la Russia». Ora, Meloni potrebbe divenire la prima donna nella storia d’Italia a essere nominata presidente del Consiglio. In tal caso, la leader di Fd’I sarebbe tra i più giovani a ricoprire tale incarico. Intanto, Meloni, che «critica l’Ue per eccesso di burocrazia», è accusata di non aver preso chiaramente le distanze dal «passato neofascista del suo partito». Allo stesso tempo, la presidente di Fd’I si presenta come «forte sostenitrice della Nato». Inoltre, a differenza del segretario federale della Lega Matteo Salvini e del presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, la leader di Fratelli d’Italia è favorevole a fornire aiuti militari all’Ucraina, impegnata a respingere l’invasione russa.
"Povera Italia", "Il fascismo non è mai finito". Il delirio della stampa tedesca contro il centrodestra. Alessandra Benignetti su Il Il Giornale il 26 Settembre 2022.
Dopo l’endorsement del presidente della Spd, Lars Klingbeil, nei confronti del leader dem Enrico Letta a Berlino e i titoli offensivi, come quello del settimanale tedesco Stern, che definiva "veleno biondo" la leader di FdI, c’era da aspettarselo. Ma stamattina la reazione della stampa tedesca alla vittoria del centrodestra trainata dal partito di Giorgia Meloni è stata più scomposta del previsto, tra gli allarmi sul ritorno del fascismo e quelli sulla tenuta dei conti pubblici.
I titoli sono eloquenti. "Povera Italia, povera Europa!", si legge su Der Spiegel, che si chiede se l’Ue è ad un passo dalla divisione e parla di "catastrofe annunciata". "Sarà l’apocalisse?", si chiede il settimanale. "Forse no", va avanti l’editoriale. Il motivo, tra gli altri, scrive ancora la rivista, è che "non si sa quanto a lungo reggerà questa truppa". La home page del sito è costellata di articoli sul voto italiano: il ricercatore Jörg Krämer, intervistato da Tim Bartz, sostiene che "la nuova coalizione di destra distribuirà soldi che l’Italia non ha".
Il settimanale di centrosinistra Die Zeit parla senza mezzi termini di ritorno al fascismo. Anzi. Precisano, "questa ideologia non ha mai abbandonato il Paese". Si è solamente trasformata in un "fascismo degli italiani per bene", questo il titolo dell’editoriale firmato da Ulrich Ladurner. "Il fascismo in Italia non è mai andato via", scrive il giornalista parlando del mausoleo di Benito Mussolini a Predappio e dei murales nelle città italiane. "Il fascismo è intessuto nel paesaggio architettonico italiano come una trama senza fine di violenza", descrive ancora Ladurner.
Poi c’è l’immancabile attacco a Silvio Berlusconi. Un cliché evidentemente intramontabile per la sinistra a Berlino. Il giornalista lo accusa di aver "sdoganato" il "post-fascista Fini" e di aver "reso socialmente accettabili i successori di Mussolini". "Sono usciti dai loro angoli bui e sono diventati ministri", continua l’articolo con riferimento proprio a Giorgia Meloni. Il quotidiano di Monaco Süddeutsche Zeitung descrive il "trionfo dei post-fascisti". "La sinistra deve rimproverarsi di aver corso divisa", è l’analisi. E osserva: "Mai nella storia dell'Ue un paese fondatore ha avuto un governo formato dalla destra estrema", sottolineando le "radici fasciste" di Fratelli d'Italia.
La linea del conservatore Die Welt non si distanzia di molto. La vittoria del centrodestra è "un successo dell’antipolitica", sentenzia. Fratelli d’Italia raccoglie i voti degli "insoddisfatti, frustrati e stanchi della politica". La Suddeutsche Zeitung parla del "trionfo dei post-fascisti", mentre il quotidiano di Francoforte, Frankfurter Allgemeine Zeitung, è più cauto. Raccontando la "svolta a destra" del nostro Paese, prevede che non ci sarà uno "smottamento politico". L’invito, però, è a scegliere un ministro dell'Economia all’altezza: "Giorgia Meloni adesso deve trovare personale qualificato per una politica economica e finanziaria degna di fiducia. Finora è qui che la casella è vuota".
I siti stranieri esaltano la Meloni. Ma la Cnn già parla del Duce. Marco Leardi su Il Giornale il 26 Settembre 2022.
Il primato elettorale del centrodestra italiano fa già notizia in Europa e nel mondo. In particolare, in riferimento alla vittoria di Giorgia Meloni. I primi dati sul voto nel nostro Paese hanno avuto immediata eco nelle redazioni dei principali media internazionali, che in questi minuti stanno dedicando spazio a quello che viene definito un vero e proprio "terremoto politico". All'estero tutte le testate hanno segnalato la scelta di campo effettuata dai cittadini italiani e in alcuni casi non sono mancati rosicamenti sull'indirizzo della nuova maggioranza politica.
"L'estrema destra verso la vittoria alle elezioni", ha titolato la breaking news della Bbc. "Giorgia Meloni si avvia essere la prima premier donna in Italia, secondo gli exit poll", ha spiegato l'emittente britannica, sostenendo che - qualora i dati fossero confermati - la leader di Fratelli d'Italia "punterà a formare il governo italiano più di destra dalla seconda guerra mondiale". In Francia, il quotidiano Le Figaro ha informato i propri lettori del fatto che in Italia "la coalizione di destra ampiamente in testa". Tra i già citati rosicamenti stranieri si registra, proprio nel Paese transalpino, quello del quotidiano Le Parisien, che alla vigilia del voto aveva delegittimato il centrodestra e Giorgia Meloni parlando di "ombra di Mussolini" sul voto. "Il partito di estrema destra ha vinto questa domenica, un fatto senza precedenti dal 1945", ha scritto in un articolo il giornale francese, tradendo un certo disappunto per il risultato elettorale italiano.
Ma il leitmotiv stereotipato della destra al governo ha attecchito pure in Spagna. "L'ultradestra vince per la prima volta le elezioni in Italia", apre sul suo sito El Pais, sottolineando "l'astensione storica" nel voto di oggi e parlando di "terremoto politico". La testata tedesca Faz, alla luce dei primi risultati, ha aperto il proprio sito proprio con la notizia dell'affermazione elettorale del centrodestra, parlando di "destra radicale". "Meloni potrebbe guidare il futuro governo come prima donna premier italiana", si legge.
Titolo orientato politicamente per la Cnn. "Giorgia Meloni destinata a essere il primo ministro più a destra dai tempi di Mussolini", ha scritto l'emittente nella sua breaking news.
"Gli italiani non hanno creduto alle menzogne e alle mistificazioni". Meloni trionfa e cita San Francesco: “Ci davano per spacciati, grazie a Salvini e Berlusconi: ora è tempo di responsabilità”. Redazione su Il Riformista il 26 Settembre 2022
“E’ il tempo della responsabilità, ringrazio Berlusconi e Salvini che non si sono risparmiati” ma “ringrazio Fratelli d’Italia che non ha mai mollato, nemmeno quando ci davano per spacciati“. Sono le prime parole di Giorgia Meloni che commenta sul palco del comitato elettorale del partito, all’hotel parco dei Principi, a Roma, la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche.
La presidente di Fratelli d’Italia, che nelle prossime settimane potrebbe diventare la prima premier donna italiana, chiude il suo breve discorso con una citazione di San Francesco d’Assisi: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso, vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Il riferimento è all’ascesa del partito che dopo anni di stenti e percentuali sotto il 10%, è riuscito dopo una legislatura passata all’opposizione di ben tre governi misti, a ottenere quasi il 26% delle preferenze, quasi doppiando Lega e Forza Italia messi insieme e ottenendo più preferenze di tutta la coalizione del centrosinistra.
“Rimandiamo a domani tutte le valutazioni perché i dati non sono ancora definitivi” dichiara Meloni nel suo primo discorso da vincitrice delle elezioni ma “per il momento possiamo dire che dagli italiani è arrivata una indicazione chiara: un governo di centrodestra a guida Fratelli d’Italia. Abbiamo fatto – riconosce – una campagna elettorale oggettivamente non bella, con toni al di sopra delle righe, violenta, aggressiva. Una campagna elettorale che noi abbiamo subito” osserva probabilmente in riferimento al “pericolo fascismo” più volte invocato dal Pd.
Poi l’invito alla responsabilità: “La situazione nella quale l’Italia e l’Unione Europea versano è particolarmente complessa. Serve un clima sereno, un confronto che è alla base di qualsiasi sistema democratico. Sono rammaricata per il dato sull’astensionismo, troppi italiani che hanno deciso di non votare. La nostra sfida sarà quella di far tornare gli italiani a credere nelle Istituzioni”.
“Siamo il primo partito e in Italia significa tanto. E’ una notte di orgoglio, riscatto, lacrime, abbracci, sogni, ricordi. Dedico questa vittoria a tutte le persone che non ci sono più e meritavano di vedere questa nottata. Però – sottolinea – quando questa notte sarà passata dovremo ricordarci che non siamo a un punto d’arrivo ma di partenza: è tempo della responsabilità, si deve capire il dovere che si ha nei confronti di milioni di italiani. Non tradiremo il Paese“.
Meloni ringrazia gli altri leader della coalizione: “E’ importante capire che se saremo chiamati a governare questa nazione lo faremo per tutti, unendo questo popolo. Il grande obiettivo che ci siamo dati come forza politica è quello di far tornare gli italiani a essere orgogliosi del loro Paese. Devo ringraziare Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Maurizio Lupi e tutta la coalizione di centrodestra, perché nessuno si è risparmiato in questa campagna elettorale. Ringrazio gli italiani che non hanno creduto alle menzogne e alle mistificazioni. Ringrazio la mia famiglia, Andrea, mia figlia, mia sorella. Ringrazio il mio staff perché è stato preziosissimo. E voglio ringraziare Fratelli d’Italia. Siamo stati spacciati dal primo giorno in cui siamo nati. Non abbiamo mai mollato, non ci siamo mai abbattuti nonostante le percentuali all’inizio erano basse. Sapevamo che gli italiani prima o poi l’avrebbero capito. Le scommesse non sono impossibili” citando la frase di San Francesco.
Da ansa.it il 26 settembre 2022.
E' una delle frasi citate da Giorgia Meloni questa notte nel discorso dopo i risultati che attestano la sua vittoria alle elezioni. Ma San Francesco non l'ha mai detta. E' quanto si legge in un articolo dello storico francescano, fra Andrea Vaona, postato sul suo blog ad aprile 2022 e rilanciato oggi dall'ex direttore di Tv2000 Lucio Brunelli.
"Nei siti o nei social si propagano 'viralmente' anche frasi attribuite a san Francesco d'Assisi, ma che non risultano assolutamente né tra i suoi scritti né tra i detti che troviamo nelle sue biografie" scriveva lo storico francescano. "Ciò che duole è la difficoltà nel correggere gli errori pubblicati: quando segnalati, spesso la risposta è seccata, perché 'la frase è bella!...'" e "un confratello, saggiamente, per sdrammatizzare dice: 'spiritualità francescana da Baci Perugina'", sottolineava nel suo post fra Andrea Vaona.
"Cominciate a fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile - non è di San Francesco d'Assisi", si legge nel blog del frate docente universitario di Storia ecclesiastica.
Da tg24.sky.it il 26 settembre 2022.
Per protestare contro la vittoria del centrodestra alle elezioni e il futuro governo guidato da Fratelli d'Italia, gli studenti del liceo classico Manzoni di Milano hanno deciso di occupare la scuola. Dopo organizzato un picchetto all'ingresso, gli studenti sono ora riuniti in palestra in assemblea per discutere dell'occupazione, decisa anche per protestare contro l'alternanza scuola-lavoro, dopo la morte di Giuliano De Seta che già li aveva portati a organizzare un corteo interno 10 giorni fa.
La protesta
L'intenzione dei ragazzi è occupare parte delle aule del piano terra per due giorni e quindi di rimanere a dormire stanotte all'interno dell'edificio di via Orazio, per poi riprendere regolarmente le lezioni mercoledì. "Vogliamo dirlo chiaramente, alla Meloni, a Confindustria, a chi ci reprime - hanno scritto in un comunicato gli studenti -: non siamo più disposti a tirarci indietro, far finta di nulla e aspettare che voi cambiate le cose; perché, nonostante tutto, sempre e comunque, la scuola siamo noi.
Questa mattina come studenti e studentesse del Manzoni, abbiamo occupato la nostra scuola per parlare e confrontarci sulla situazione in cui versano le nostre vite: crisi e disastri climatici sono ormai all'ordine del giorno, provano lentamente ad abituarci a un lavoro precario, sfruttato e mortale e, come se non bastasse, ci prepariamo ad entrare in una fase politica pericolosa e repressiva, visti gli ultimi risultati elettorali".
E ancora: "Abbiamo preso coscienza di questa situazione e abbiamo deciso che questa volta non staremo fermi a guardare, non rimarremo passivi davanti a un presente che cerca con ogni mezzo di toglierci il futuro che ci appartiene".
"Fuori i fasci". Gli studenti in piazza bruciano le foto di Meloni e Draghi. Marco Leardi il 7 Ottobre 2022 su Il Giornale.
A Milano sfila il corteo studentesco anti-Meloni e Draghi. Ma la protesta contro l'alternanza scuola lavoro è un pretesto: dal palco, propaganda e slogan politici di sinistra. "Pagherete caro, pagherete tutto"
La solita retorica da centro sociale, con gli slogan strillati a ripetizione. Urlati al megafono. "Siamo una generazione queer e transfemminista, siamo per la pace e il disarmo". La solita contestazione politica, destinata - come spesso accade - a sfociare in manifestazioni antidemocratiche. Violente. Il corteo studentesco avvenuto stamani a Milano per chiedere l'abolizione dell'alternanza scuola-lavoro si è concluso con le foto di Mario Draghi e Giorgia Meloni bruciate in piazza. Date a fuoco come segno di dissenso verso la classe dirigente e il nuovo governo.
Nuove proteste, vecchia propaganda
Gli studenti protagonisti dell'odierna protesta, a quanto pare, avevano grosse lacune in educazione civica. In piazza, nuove proteste ma vecchia propaganda. "Fuori i fasci dalle scuole", si leggeva ad esempio su uno dei cartelli impugnati dai manifestanti. E ancora, lo striscione dispiegato all'apertura del corteo recitava: "L'Italia non è un Paese per giovani". Nel comizio che aveva dato avvio alla contestazione, i promotori dell'iniziativa avevano spiegato: "Siamo una generazione meticcia, antirazzista, ci opponiamo a questo governo che chiude i confini perché vogliamo libertà di migrare e diritti per tutti". Così, i bersagli facili del dissenso studentesco sono diventati Mario Draghi e la premier in pectore Giorgia Meloni.
Il "No Meloni Day"
Il successo elettorale di quest'ultima non dev'essere piaciuto affatto ai giovani della sinistra studentesca, che non a caso hanno colto l'occasione per lanciare la loro prossima adunata: il "No Meloni Day". Appuntamento il 18 novembre prossimo alle 9.30, in largo Cairoli a Milano. Nel frattempo, i ragazzi - circa 300 manifestanti - radunti da Rete Studentesca si sono portati avanti con le contestazioni alla leader del partito più votato in Italia. "Chi non salta la Meloni è...", hanno gridato dal palco. E via, tutti a saltellare. Intanto, tra i cartelloni esibiti c'era anche quello del partito marxista leninista italiano: "Uniamoci contro il governo neofascista Meloni. Per il socialismo e il potere politico del proletariato".
Draghi e Meloni a fuoco
In piazza duomo a Milano, poi, lo sfogo sulle immagini di Mario Draghi e della leader di Fratelli d'Italia, incendiate con dei fumogeni. Tra i simboli bruciati, anche quello di Confindustria. "Saremo in piazza finché questo modello non sarà cancellato", hanno affermato i manifestanti, riferendosi all'alternanza scuola-lavoro. Di seguito, il coro: "Per gli studenti uccisi non basta il lutto, pagherete caro, pagherete tutto". Inquietanti echi del passato, in quel ritornello. Il riferimento iniziale era invece ai giovani purtroppo morti durante le esperienze di alternanza scuola-lavoro: Giuseppe Lenoci, Lorenzo Parelli e Giuliano De Seta.
Tra slogan intrisi di propaganda e gesti antidemocratici, il ricordo di questi ultimi (commemorato con un iniziale minuto di silenzio) è sembrato piuttosto un pretesto per fare agitazione politica.
GOVERNO, MELONI: “SINISTRA IN PIAZZA CONTRO ESECUTIVO CHE NON C’È”. Da lapresse.it l'8 ottobre 2022.
“Stiamo vivendo un paradosso in cui la sinistra – attualmente al Governo – scende in piazza contro ‘le politiche del Governo Meloni‘ non ancora formato“. Lo scrive su Facebook la leader di Fratelli d’Italia. “Comprendo la voglia di protestare dopo anni di Esecutivi inconcludenti che ci hanno condotto nell’attuale disastrosa situazione, ma il nostro obiettivo sarà restituire futuro, visione e grandezza all’Italia. A breve volteremo finalmente pagina”, aggiunge.
Fratelli d’Italia ha poi precisato che “non c’è alcuna relazione tra il post pubblicato questa mattina su Facebook da Giorgia Meloni e la manifestazione della Cgil di oggi a Roma, che a quanto risulta non è stata organizzata per protestare contro Meloni.
ll post del presidente di FdI si riferisce, infatti, alle manifestazioni organizzate nei giorni scorsi in varie città italiane, in cui tra le altre cose sono state bruciate in piazza delle immagini di Meloni”. Lo precisa in una nota l’ufficio stampa di Fratelli d’Italia.
Enrico Paoli per “Libero quotidiano” l'8 ottobre 2022.
E siamo solo all'inizio. Chissà cosa accadrà nelle prossime settimane quando la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, traslocherà a Palazzo Chigi. Perché bruciare in piazza le foto della premier in pectore, assieme a quelle del presidente del Consiglio uscente, Mario Draghi, e inveendo contro tutti, come hanno fatto a Milano i bravi studenti de' sinistra, sentendonsi anche un po' fighi nel fare tutto ciò, non è solo un pessimo segnale per la democrazia, ma è, soprattutto, la dimostrazione di come ci sia chi vuole avvelenare il clima. Innescando una sorta di caccia alle streghe, senza le streghe, ma con i roghi già accesi. E poi parlano di allarme fascismo, loro.
A mettere in scena la barbarie delle foto bruciate, in piazza Duomo, a Milano, gli studenti del capoluogo lombardo, scesi in strada per protestare contro l'alternanza scuola-lavoro e il nuovo governo (che ancora non c'è).
Insomma, una manifestazione preventiva, quella degli studenti lombardi, che arriva a poco più di una settimana dalla breve occupazione del liceo classico Manzoni, sempre a Milano, messa su per contestare l'esito delle elezioni politiche dalle quali Fratelli d'Italia ne è uscito come primo partito del Paese.
Eppure cori e slogan contro la Meloni, con le foto bruciate, hanno caratterizzato la mattinata di protesta. «Chi non salta la Meloni è», hanno intonano gli studenti, soddisfatti e contenti della loro piazzata. Il corteo ha preso forma in Largo Cairoli, di fronte al Castello Sforzesco, e ha marciato fino a piazza Fontana. Il tutto è durato poco più di un paio d'ore, quasi fosse una sorta di prova generale per le prossime settimane.
Sui volantini distribuiti o affissi sulle pensiline dei tram le ragioni della contestazione: «Fascisti al governo; morti e sfruttamento in alternanza; repressione e carovita».
Insomma, di tutto di più, mescolando bene le carte insieme, in modo da creare il solito mix ideologico. E poi l'esortazione: «Non stare a guardare: ribelliamoci!». In altri manifesti, sotto la scritta «colpirne uno, colpirli tutti», sono ritratti i volti di varie personalità e leader politici tra cui Matteo Salvini, Enrico Letta e il sindaco Giuseppe Sala. Perché nel mirino mica c'è solo la Meloni.
In testa al gruppo, con il megafono d'ordinanza, si alternano gli studenti che ribadiscono la necessità di «dire no al governo neofascista di Giorgia Meloni; dire no alle istituzioni politiche che non pensano agli studenti; dire no all'alternanza scuola-lavoro». Poche idee, ma confuse benissimo. Immancabile il flash mob dedicato agli studenti rimasti uccisi durante le ore di alternanza: i ragazzi si siedono a terra e osservano un minuto di silenzio per ricordare Giuseppe Lenoci, Lorenzo Parelli e Giuliano De Seta, l'ultimo morto in provincia di Venezia.
Sono le stesse istanze che, all'indomani della vittoria del centrodestra al voto del 25 settembre, avevano portato i liceali del Manzoni ad occupare l'istituto: «Ci prepariamo ad entrare in una fase politica pericolosa e repressiva», avevano scritto gli studenti in un comunicato in cui spiegavano le ragioni del gesto. L'agitazione si era esaurita nel giro di 24 ore dopo la minaccia della preside del liceo, Milena Mammani, di dare 5 in condotta agli studenti che sarebbero rimasti a dormire nelle aule di via Orazio. «Abbiamo iniziato per non fermarci», si legge su molte delle felpe sfoggiate in Duomo, e uno striscione già annuncia una nuova manifestazione per il 18 novembre: il «No Meloni Day».
«Dirsi dalla parte della democrazia e poi protestare contro al nuovo governo perché il risultato delle elezioni non coincide con ciò che si sarebbe desiderato, non è propriamente coerente», afferma l'onorevole di Fratelli d'Italia, Riccardo De Corato, commentando la protesta degli studenti milanesi di diversi istituti, tra cui Agnesi, Tenca, Tito Livio e Varalli. a Colpire, però, è quel gesto inutile quanto stupido, ovvero «bruciare in piazza le foto di Giorgia Meloni nel silenzio assordante delle istituzioni. È gravissimo che sia stato lasciato fare loro tutto questo», sostiene l'esponente di FdI, «l'ennesima dimostrazione che per alcuni la democrazia va bene solo se le cose vanno come vogliono loro. Come dimostrano gli striscioni si stanno preparando già alla resistenza con il 'no Meloni day' previsto per il 18 novembre. Si mettano tutti l'anima in pace: il nuovo governo è stato eletto democraticamente dagli italiani».
Maurizio Landini, insulti in piazza a FdI: "Fascismo, la cultura della violenza". Libero Quotidiano l'8 ottobre 2022
"Noi dobbiamo combattere il fascismo": Maurizio Landini ha parlato nel corso della manifestazione di questo pomeriggio a Roma, in piazza del Popolo, a un anno dall'assalto neo fascista alla sede del sindacato. Il segretario della Cgil, con tono allarmistico, ha dichiarato: "100 anni fa il fascismo partì proprio attaccando le Camere del lavoro e finì con il mettere in discussione il diritto di votare. Oggi vediamo il risorgere della cultura della violenza". Si tratta forse di un riferimento a Fratelli d'Italia, che ha vinto le ultime elezioni?
Nonostante questo, il segretario della Cgil ha voluto precisare che la manifestazione non è stata organizzata contro qualcuno: "Questa decisione di scendere in piazza l'abbiamo presa prima di sapere come andavano le elezioni, non perché l'abbiamo decisa noi dirigenti ma insieme a voi, e l'abbiamo decisa perché abbiamo visto che in questi mesi, in questi anni, il governo non ha ascoltato le lavoratrici e i lavoratori". Le accuse di Landini sono rivolte a tutti, a chi ha governato ma anche a chi è stato all'opposizione: "In questi mesi e anni il governo e le opposizioni non hanno ascoltato i lavoratori".
Landini, poi, è andato avanti col suo discorso: "La Costituzione l'abbiamo sempre difesa e non abbiamo cambiato idea. La Costituzione del nostro Paese non è né di destra né di sinistra ma antifascista e democratica e si fonda sulla libertà e il lavoro". Infine due appelli. Uno per "una vera riforma fiscale che aumenti i salari e le pensioni più basse". L'altro per evitare che si continui a "morire per il lavoro".
Roma, la Cgil scende in piazza e Meloni risponde: “La sinistra attacca un governo non ancora formato”. Felice Emmanuele e Paolo de Chiara su Notizie.it l'08/10/2022
Giorgia Meloni esprime un suo parere in risposta alla manifestazione della Cgil a Roma. Interviene anche il ministro Orlando.
Un corteo autorizzato della Cgil è sceso in piazza a Roma per chiedere garanzie e perché è preoccupato per il nuovo governo. La Meloni risponde a tono ed è sorpresa di quanto sia accaduto nella Capitale.
Cgil scende in piazza a Roma e fa una richiesta di 10 punti all’Italia e all’Europa
I rappresentanti della Cgil, come si apprende dall’Ansa, hanno presentato all’Italia e all’Europa una lista di dieci proposte che sono: l’aumento di stipendi e pensioni; il superamento della precarietà; l’introduzione del salario minimo legato al trattamento economico complessivo dei contratti nazionali e una legge sulla rappresentanza; la sicurezza nei luoghi di lavoro; la necessità di garantire e migliorare una misura universale di lotta alla povertà, come il Reddito di cittadinanza; rendere il sistema pensionistico più flessibile superando la legge Fornero; fissare un tetto alle bollette; fare investimenti e un piano per l’autonomia energetica fondato sulle rinnovabili e una vera riforma del Fisco (no flat tax).
La risposta di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni, che non è ancora premier in carica, come nessun politico della coalizione del centrodestra, ritiene questa manifestazione paradossale, in quanto, come affermato dalla leader di Fratelli d’Italia su Facebook: “La sinistra, attualmente al Governo, scende in piazza contro “le politiche del Governo Meloni” non ancora formato. Comprendo la voglia di protestare dopo anni di Esecutivi inconcludenti che ci hanno condotto nell’attuale disastrosa situazione, ma il nostro obiettivo sarà restituire futuro, visione e grandezza all’Italia.
A breve volteremo finalmente pagina”.
Il ministro Orlando difende il sindacato
A prendere le parti del sindacato vi è l’attuale ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha partecipato alla manifestazione. Orlando ha dichiarato: “Alla Meloni rispondo che non ha ascoltato la parola d’ordine del sindacato. Oggi la Cgil chiede solo di proseguire un metodo che è quello che caratterizza tutte le democrazie europee, quello del dialogo sociale e del confronto col mondo del lavoro.
È la ragione per cui pensa sia giusto appoggiare questa parola d’ordine”.
Milano, gli studenti di sinistra non accettano l'esito del voto e occupano il Liceo Manzoni. Il Tempo il 26 settembre 2022
Occupazione di protesta contro l’esito delle elezioni politiche del 25 settembre che hanno visto trionfare il centrodestra. È la scelta fatta degli studenti e le studentesse del liceo classico Alessandro Manzoni di Milano. «Abbiamo occupato la nostra scuola - hanno scritto in una nota gli alunni - per parlare e confrontarci sulla situazione in cui versano le nostre vite. Crisi e disastri climatici sono ormai all’ordine del giorno, provano lentamente ad abituarci a un lavoro precario, sfruttato e mortale, e, come se non bastasse, ci prepariamo ad entrare in una fase politica pericolosa e repressiva, visti gli ultimi risultati elettorali».
«Abbiamo preso coscienza - spiegano ancora i ragazzi - di questa situazione e abbiamo deciso che questa volta non staremo fermi a guardare, non rimarremo passivi davanti a un presente che cerca con ogni mezzo di toglierci il futuro che ci appartiene. Ci siamo presi e prese uno spazio che troppe volte si è dimostrato repressivo e inadatto nel tentativo di dimostrare che non solo è possibile che studenti e studentesse decidano autonomamente di prendersi dei loro spazi, ma che è anche giusto e deve diventare una pratica normalizzata; se voi ci toglierete dei nostri spazi noi saremo pronti a riprenderceli e non cederemo più su quelle cose che riteniamo indispensabili per la nostra formazione».
Poi, rivolgendosi direttamente alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni - per distacco primo partito alle urne - e a Confindustria, dichiarano: «Non siamo più disposti a tirarci indietro, far finta di nulla e aspettare che voi cambiate le cose, perché, nonostante tutto, sempre e comunque, la scuola siamo noi».
La protesta al Liceo Manzoni, simbolo dell'anti democrazia. Andrea Soglio su Panorama il 28/09/22.
Ormai è il nuovo fortino della Resistenza Italiana, soprattutto dopo la sconfitta elettorale della sinistra con il Pd al minimo storico e bloccato dopo decenni all’opposizione. Stiamo parlando del Liceo Manzoni di Milano, occupato da una 50ina di studenti contro la vittoria del centrodestra e soprattutto di Giorgia Meloni nelle elezioni di domenica. Un’occupazione da subito raccontata con giubilo dai soliti noti della sinistra e che ovviamente avviene nel luogo più comunista d’Italia: il centro di Milano, dove le case costano almeno 10mila euro al mq.
«Occupiamo contro questo governo e soprattutto contro Giorgia Meloni e le sue idee retrograde che non si adattano con la vita che vogliamo perseguire noi studenti..» ha spiegato una studentessa. A cui però andrebbero spiegate alcune cose, di Educazione generica e di Educazione Civica (dove rischierebbe evidentemente un bel recupero a settembre). Primo: non è democratico che 50 studenti su un istituto da oltre mille condizionino l’attività del resto dei compagni, che sono la stragrande maggioranza. Secondo: non è democratico soprattutto contestare quello che nella nostra Costituzione è in assoluto la cosa più democratica che abbiamo, forse l’unica: il VOTO. Gli italiani, cara ragazza, hanno votato, hanno scelto ed hanno dato la maggioranza ad una coalizione. Questa decisione è sacra e va rispettata, da tutti. Soprattutto in un luogo pubblico, come la scuola (soprattutto se come nel caso vostro è una scuola pubblica). La vostra, sappiatelo, è una protesta antidemocratica. Da sempre settembre ed ottobre sono i mesi delle manifestazioni e delle proteste: si scendeva in piazza ultimamente a favore dell’ambiente, o contro la guerra. Allora fatelo per quello. Fatelo contro l’aggressione Russa, convocando magari a scuola il console ucraino che vi spiegherà cosa sta succedendo nella sua terra. Occupate la scuola per parlare di ambiente, sentendo esperti, facendo proposte, informandovi. Occupatela soprattutto per avere una scuola più moderna, più sicura, con professori preparati e motivati, anche e soprattutto nel pubblico. Ma il voto degli italiani non si contesta. Si rispetta e basta. L’astensionismo è un brutto segnale e quello giovanile è una piaga nella piaga. Quindi ben vengano le discussioni sul tema: si chiedano assemblee, si invitino negli istituti politici di tutti gli schieramenti o costituzionalisti per capire e conoscere; si metta in contatto scuola e politica. Però tutto questo va fatto senza senza fermare le lezioni, senza obbligare la maggioranza ai voleri di una minoranza.
«Quello che ci preoccupa di più - ha spiegato ancora una delle rappresentanti degli occupanti - sono le politiche di odio e xenofobia e ingiustizia che porta avanti Fratelli d’Italia, un partito evidentemente fascista, erede del fascismo di cui ha ancora la fiamma nel logo…». Un perfetto mix di luoghi comuni triti e ritriti e di bugie che da solo spiega la pochezza di questa protesta che di sicuro aprirà per qualcuno le porte della tv, dei giornali e, perché no della politica. Come già successo con Mattia Santori, il leader delle Sardine, preso e usato dalla sinistra ma ricordato negli ultimi mesi solo per alcune fesserie colossali fatte e proposte in Regione Emilia Romagna prima di finire nel dimenticatoio. Noi tutti alla politica abbiamo chiesto serietà dato che i tempi sono difficili, per mille motivi. Cercate di essere un po’ seri anche voi magari andando a scuola domenica armati di pennello a coprire le scritte con cui avete imbrattato i muri. Oppure pagate voi il conto dell'imbianchino: 10 mila euro...
Valentia Lupia per repubblica.it il 29 settembre 2022.
Un'assemblea per discutere dell'avanzata della destra, organizzata dagli studenti del Virgilio, con lo scrittore Paolo Di Paolo, interrotta dai carabinieri che hanno identificato quattro degli studenti presenti. Succede, a due giorni dalle elezioni, nel centralissimo liceo della capitale.
L'assemblea era stata autorizzata giorni fa dalla dirigente Isabella Palagi, ma inizialmente prevedeva un altro ospite, che si è tirato indietro all'ultimo.
A quel punto gli studenti e le studentesse del liceo di via Giulia hanno invitato Paolo di Paolo, ma non avendo i tre giorni burocraticamente richiesti affinché si ottenga il nulla osta del consiglio d'istituto i giovani hanno scelto di spostare l’assemblea esternamente. A piazza de' Ricci, per la precisione, davanti la scuola. Un luogo dove più volte nel corso degli anni si sono riuniti.
Con lo scrittore, i liceali stavano parlando di: "Temi come neofascismo, postfascismo, dei partiti di destra adesso e nella storia, facendo un parallelismo con la situazione italiana, con quella europea e infine mondiale nei partiti di destra al governo", spiegano gli studenti e le studentesse del Virgilio. "A un certo punto - spiega Alessandro L., minorenne, uno dei ragazzi identificati - si ferma una macchina dei carabinieri. Eravamo a metà assemblea. Sono venuti a intimarci di andarcene perché stavamo creando un momento di assemblea non autorizzato e che avremmo dovuto chiedere il permesso alla questura e alla prefettura".
"Uno dei carabinieri", racconta lo scrittore, che non è stato identificato, "si è avvicinato a me dicendomi: 'Capisco che possiamo avere idee diverse, ma c'è una legge da rispettare’".
Tutto giusto, tecnicamente, ma i giovani, che qui di incontri ne hanno fatti a bizzeffe, hanno letto questo inasprimento come direttamente collegato alla vittoria della destra.
A chiamare i carabinieri, infatti, non sarebbe stata la dirigente. "Ne siamo abbastanza convinti, perché lei ci ha sempre avvisati prima". Ma potrebbero essere stati "dei docenti o forse delle persone che passando di là hanno deciso di prendersela con la nostra scuola, notoriamente antifascista". Alla fine i giovani non sono andati via: "Siamo rimasti". Così quattro studenti, anche minorenni come Alessandro L. sono stati identificati e ora rischiano una denuncia penale per assemblea non autorizzata. "Ma non sappiamo se arriverà sul serio o se è stata solo minaccia", dicono i liceali.
Giorgia Meloni? Se gli studenti occupano contro la democrazia. Corrado Ocone su Libero Quotidiano il 28 settembre 2022
Di solito gli studenti occupano le scuole e protestano, con molto coraggio personale, nei Paesi in cui mancano i più elementari diritti e non c'è libertà di opinione. Solo in quel "mondo capovolto" che è l'Italia di oggi può invece succedere che si occupi un liceo importante di Milano come il Manzoni per protestare contro il risultato emerso dalle urne in un voto liberamente espresso da cittadini di un Paese democratico. Sicuramente all'età giovanile è legata una certa dose di ignoranza e arroganza, che poi con gli anni si smussa in una conquistata maturità. Ma in questo caso lo stridore fra ardori giovanili e principio di realtà è tanto forte che non ci si può chiedere se non ci sia qualcosa di più.
Questo quid non è difficile individuarlo, a cominciare da una riflessione su come l'istituzione scolastica sia andata evolvendosi negli ultimi decenni. Un tempo i licei italiani non avevano da invidiare nulla a quelli di nessun'altro Paese del mondo: il fine che si proponevano era un'istruzione di base ampia, soprattutto classica, impartita con criteri tanto rigorosi da sfociare spesso nella severità. A garanzia di tutto c'era il professore, una figura che aveva un ruolo sociale ben individuato e perfettamente integrantesi con quello dei genitori. Scuola e famiglia erano perciò i perni di quel sistema, che fu rapidamente scardinato dal Sessantotto. Due furono i fenomeni che cooperarono a quella dissoluzione: da una parte la critica radicale al "principio di autorità" di genitori e docenti; dall'altra, l'avvento di una cultura vagamente aziendalistica che riponeva il fine della scuola non nell'istruzione classica ma nella creazione di determinate competenze (skills) utilizzabili à la carte nel modo del lavoro. Con l'istruzione, cambiava così anche l'educazione: non si trattava di formare personalità e caratteri, ma tecnici ed esperti con qualche cognizione di "etica applicata". Quali siano queste cognizioni lo stabilisce ancora oggi il pensiero mainstream, dominato in lungo e in largo dalla cultura progressista.
L'educazione civica si è così trasformata che non si ripromette di educare ai valori base del vivere civile, ma a quelli presunti che emergono da tematiche à la page quali i diritti, il gender, la sostenibilità, ecc. In questo brodo di coltura, la soluzione a problemi malamente impostati viene giudicata moralmente più del rispetto che si deve a chi la pensa diversamente da noi. Invece di confrontarsi e dialogare con l'avversario, si preferisce demolirlo moralmente. Certo, poi la realtà imporrà dei compromessi, ma un giovane, nell'idealità che è propria della sua età, li vivrà e giudicherà come cedimenti. In poche parole, se io insegnante ed io genitore dico strumentalmente, o faccio capire, che Giorgia Meloni e alleati sono "fascisti", come posso poi meravigliarmi che un giovane mi prenda tanto sul serio da ritenere illegittima una loro vittoria elettorale? Non è vero che viviamo in un mondo senza maestri, il fatto è che sono i "cattivi maestri" della sinistra a soggiogare le nostre coscienze, e soprattutto quelle dei più giovani. Quello che più di ogni altra cosa preoccupa è che quel valore positivo che è proprio da sempre della gioventù, cioè la ribellione all'esistente, non entrando più in una sana dialettica con il potere costituito dei grandi, generi solo un nuovo conformismo. Convinti di essere ribelli e solo loro veramente antifascisti, certi giovani non si accorgono di andare nella stessa direzione di chi ha il potere sulle loro coscienze e soprattutto di essere loro i veri fascisti. Tanto intolleranti da voler cancellare con un tratto di penna il libero voto degli italiani.
Ginevra Bompiani: "La Meloni ha fatto pestare gli studenti". Libero Quotidiano il 26 ottobre 2022
Gli studenti "antifascisti" tentano di far saltare un convegno organizzato alla Sapienza con esponenti di FdI e la polizia interviene? Secondo Ginevra Bompiani, scrittrice di ultra-sinistra ospite di Giovanni Floris a DiMartedì, su La7, "a ordinare il pestaggio è stata Giorgia Meloni".
"Oggi mi ha fatto impressione vedere quanto danno ha fatto la Meloni premier in mezza giornata", esordisce l'intellettuale. "Cosa ha fatto?", chiede Floris sinceramente stupito. "Beh, ha fatto pestare gli studenti e ha fermato le navi. Non è responsabile lei? Non ha mandato la polizia? Non ha bisogno di mandarla, la polizia ha sempre orecchio e naso molto fino e capisce subito che aria tira, lo capisce un minuto prima". Alessandro Giuli, accanto a lei, scuote il capo sconcertato: "No no, ma no...".
"Il pestaggio - prosegue imperterrita la Bompiani - è stato fatto perché studenti, in casa loro, non volevano che esponenti di Forza Italia (Fratelli d'Italia, ndr) parlassero a casa loro". Il nuovo ministro degli Interni Piantedosi ha preso le difese della polizia, che ha usato (come sempre, in questi casi, e indipendentemente dal governo) metodi spicci per respingere il tentato blitz degli studenti di sinistra in ateneo. La realtà è un po' più complessa e articolata, visto che l'Università non è solo "la casa" degli studenti antifascisti, ma di tutti gli studenti. E chiunque, sulla carta, deve potere avere spazio e tempo per parlare senza che qualcuno si senta in diritto (anzi, dovere) di impedirglielo con la forza. Ma a sinistra questo concetto passa solo a targhe alterne.
Sono questi i veri fascisti. Andrea Indini il 26 Ottobre 2022 su Il Giornale.
Le foto incendiate, i manichini impiccati e ora il bavaglio dei collettivi. La sinistra extraparlamentare mostra il suo volto violento: ecco i veri fascisti che vogliono zittire chi non la pensa come loro.
Prima sono comparse le fiamme. Le immagini di Giorgia Meloni e Mario Draghi incendiate in piazza. Poi, qualche giorno dopo, sono stati fatti pendere giù dal Tevere i manichini di Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Impiccati a una corda, come su una forca. Ieri sono tornati gli slogan carichi d'odio della contestazione studentesca sessantottina. "Fuori i fascisti dall'Università", hanno scandito i collettivi mentre prendevano d'assalto la facoltà di Scienza politiche della Sapienza e cercavano di zittire il convegno organizzato da Azione Universitaria a cui erano stati invitati Daniele Capezzone e il deputato FdI Fabio Roscani. Tre immagini drammatiche che rievocano gli Anni di Piombo e la sanguinosa "caccia al fascista". Qui, però, gli unici fascisti in giro sono proprio quei collettivi che vogliono tappare la bocca (o peggio) a chiunque la pensi diversamente da loro.
Ieri mattina, durante il discorso alla Camera, la Meloni ha rievocato "gli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica". Gli anni in cui, "nel nome dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese. Quella lunga stagione di lutti - ha rimarcato - ha perpetuato l'odio della guerra civile e allontanato una pacificazione nazionale che proprio la destra democratica italiana, più di ogni altro, da sempre auspica". Quarant'anni dopo quell'odio serpeggia ancora nelle piazze, nei centri sociali, nelle frange antagoniste, tra i gruppi della sinistra extra parlamentare. Un odio sempre pronto ad accendersi e a dilagare quando al governo sale il centrodestra. Ne abbiamo avuto un assaggio in campagna elettorale quando sono riapparse le minacce di morte firmate con la stella a cinque punte. E lo abbiamo toccato con mano ieri a Roma.
Un'escalation che dovrebbe destare forti preoccupazioni in tutti. Perché un conto è manifestare il dissenso, un altro è usare la violenza per mettere a tacere l'avversario. Purtroppo, oggi come quarant'anni fa, davanti alle immagini dall'assalto alla Sapienza una certa sinistra (Partito democratico compreso) si è schierata dalla parte dei collettivi accusando i poliziotti di reprimere il "diritto al dissenso" con i manganelli. Senza l'intervento degli agenti, però, gli studenti di sinistra avrebbero fatto irruzione al convegno di Azione Universitaria e, nell'ipotesi "migliore", lo avrebbero fatto saltare, in quella peggiore, avrebbero fatto volare le mani. È forse questo il dissenso che hanno in mente i dem? Aspireranno mai ad "una Nazione veramente democratica" in cui, come auspicato dalla deputata di FdI, Chiara Colosimo, "tutti hanno diritto di essere liberi e di esprimere la loro opinione, compresi quelli di Azione Universitaria"? Purtroppo, per colpa loro, sembra che quel giorno sia ancora lontano.
Nel suo discorso la Meloni ha rivolto un bellissimo appello a tutti i giovani. Ha lodato "l’universo dell'impegno giovanile", lo ha definito "una meravigliosa palestra di vita per i ragazzi e le ragazze, indipendentemente dalle idee politiche che sceglieranno di difendere e promuovere". E ha anche detto che difficilmente non proverà "un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza contro le politiche del governo". A questi, però, ha consegnato un consiglio: al famoso "Siate folli, siate affamati" di Steve Jobs, ha aggiunto "Siate liberi". Liberi di esprimersi, mai di essere violenti. Ecco: i collettivi, che ieri alla Sapienza volevano imbavagliare il convegno di Azione Universitaria, non erano affatto giovani liberi. Erano solo dei violenti, erano solo dei fascisti.
(ANSA il 26 ottobre 2022) - Dalle 8 di questa mattina gli studenti del liceo classico Pilo Albertelli di Roma hanno occupato la scuola e hanno acceso fumogeni da una delle finestre srotolando uno striscione bianco con la scritta rossa e nera "Albertelli occupato". "Questa è la risposta migliore alla repressione poliziesca e alla deriva reazionaria che abbiamo visto ieri alla Sapienza", scrive il movimento studentesco Osa in una nota.
La protesta dei giovani alunni arriva infatti all'indomani degli scontri avvenuti ieri davanti alla facolta' di Scienze politiche dell'università La Sapienza. Le rivendicazioni espresse dell'occupazione sono: "Opposizione alla Scuola dell'Esclusione che produce disagio psicologico e lo spopolamento della scuola, l'abolizione dell'Alternanza Scuola Lavoro, risoluzione dei problemi di edilizia scolastica dando Soldi alle Scuole e non alle spese militari, Difesa del diritto all'Aborto, e anche Stop invio di armi.
"Adesso tocca a noi: raccogliamo il grido di lotta che arriva dall'Albertelli, seguiamone l'esempio e portiamolo in tutte le scuole di Roma per far ripartire la lotta degli studenti. Verso e oltre la Mobilitazione nazionale studentesca del 18 novembre", scrivono gli studenti sottolineando che "ogni scuola sarà una battaglia!". La Rete degli studenti, da quanto si apprende, sta valutando se estendere la mobilitazione e le occupazioni ad altre scuole della capitale.
"Una bella notizia quella che stamattina ci ha raggiunto dal Liceo Pilo Albertelli di Roma: gli studenti tornano ad occupare. E lo fanno contro l'Alternanza scuola lavoro e in difesa della scuola pubblica, contro l'aumento delle spese militari e l'invio di armi nei teatri di guerra.
C'è bisogno di un forte movimento di protesta giovanile e di una forte connessione con il movimento dei lavoratori per ridare speranza a questo Paese", commenta l'Unione sindacale di base che invia "un forte abbraccio ai ragazzi e alle ragazze in lotta dell'Albertelli con l'augurio di vederci presto nelle piazze e nelle prossime mobilitazioni, in vista dello sciopero generale del 2 dicembre".
Da ansa.it il 27 Ottobre 2022.
"Le violente cariche sugli studenti ha spinto gli universitari riuniti in assemblea ad occupare Scienze Politiche".
Lo comunica il movimento studentesco Cambiare. "Le nostre richieste sono chiare: vogliamo le dimissioni immediate della rettrice Polimeni e la garanzia che non verranno mai più fatte entrare le forze dell'ordine nell'ateneo -aggiungono- Richieste semplici, atte a ristabilire livelli minimi di democrazia e vivibilità nell'università, prendendo atto che le massime istituzioni interne alla Sapienza non sono state in grado di garantire la sicurezza degli studenti".
"Fuori le guardie dall'Università" è il coro scandito dagli studenti all'assemblea convocata dai collettivi nel cortile della Facoltà di Scienze Politiche, durante la quale sono state anche invocate le dimissioni della rettrice Polimeni.
I ragazzi hanno letto un comunicato su quanto accaduto in occasione della protesta contro l'incontro organizzato da Azione universitaria, che aveva invitato a parlare il neo deputato Fabio Roscani e Daniele Capezzone: la piazza è stata convocata - dicono gli studenti - perché "il capitalismo buono non esiste" e "nell'ateneo che esige controparti nelle iniziative", in questa occasione "l'imparzialità" non è stato "un valore". "Ci teniamo a dire - ha aggiunto la studentessa che ha letto la ricostruzione - che le nostre aule non devono essere utilizzate dalle loro passerelle politiche". Quindi gli studenti hanno scandito il coro "siamo tutti antifascisti".
"Mai più violenza sugli studenti! Riprendiamoci i nostri spazi" è lo striscione esposto dai collettivi universitari nel cortile di Scienze politiche alla Sapienza. Dopo le tensioni con le forze dell'ordine in occasione della protesta contro il convegno promosso dai movimenti di destra, gli studenti hanno organizzato un'assemblea pubblica, ed è massiccia la partecipazione, con centinaia di persone che affollano il cortile della facoltà. Su un altro striscione, calato da una scala si legge: "Vostro il governo. Nostra la rabbia". Presenti anche bandiere dell'Anpi. Con il microfono sono stati invitati gli agenti della Digos ad allontanarsi.
Estratto dell’articolo di Emiliano Bernardini per “il Messaggero” il 4 novembre 2022.
«Dovrei accoltellarti solo perché sei di Fratelli d'Italia». Una frase con tanto di gesto mimato ha scioccato i ragazzi di Azione universitaria che in quel momento stavano gestendo un banchetto informativo (autorizzato) nel cortile di Scienze politiche. La tensione tra i viali della Sapienza resta alta e le azioni violente, seppur minacciate, continuano a susseguirsi ad una settimana dagli scontri tra studenti e polizia seguiti poi da una occupazione lampo della facoltà di Scienze politiche.
L'ultimo episodio è avvenuto mercoledì pomeriggio. A raccontarlo sono gli stessi ragazzi che hanno subito l'aggressione: «Eravamo seduti al nostro banchetto quando si sono avvicinati alcuni ragazzi molto più grandi di noi. Avranno avuto 35-40 anni e quasi certamente facevano parte dei collettivi dei centri sociali. Uno di loro aveva uno zaino dal quale spuntavano dei bastoni. Sono venuti direttamente da noi e chi hanno chiesto: Siete i fascisti di Azione universitaria? Fate parte delle giovanili di Fratelli d'Italia? Uno dei ragazzi che era lì ha detto io faccio anche parte di Fratelli d'Italia e immediata è scattata la minaccia: Dovrei accoltellarti per questo motivo». […]
Ma c'è di più perché sempre mercoledì i ragazzi che uscivano da scienze politiche con i volantini in mano di Azione universitaria sono stati bersagliati con delle palle fatte con carta bagnata. Intanto il coordinamento dei collettivi di sinistra ha organizzato una serie di assemblee «per immaginare, discutere, insorgere in ogni spazio della nostra università». […]
Venerdì 18 novembre invece, la mobilitazione, partita da Roma, si estenderà a livello nazionale. Mercoledì pomeriggio gli studenti dei Collettivi e di Cambiare Rotta si sono incontrati al pratone dell'ateneo per un momento collettivo assembleare e per costruire le due iniziative. «Il 18 Novembre saremo nelle piazze di tutto il Paese. Serve una mobilitazione grande e plurale; in piazza ci saranno tutte le associazioni e collettivi studenteschi del Paese. Piuttosto che al merito, il Governo pensi a investire sull'istruzione e ad ascoltare chi rappresenta gli studenti», afferma Giovanni Sotgiu, coordinatore nazionale dell'Unione degli Universitari.
I “democratici” studenti di sinistra “okkupano” La Sapienza con slogan da brivido: «Fuori le guardie!». Lucio Meo il 27 Ottobre 2022 su Il Secolo d'Italia.
Gli studenti dei “collettivi” di sinistra, quelli “democratici” che un paio di giorni fa volevano sfondare gli sbarramenti per andare all’attacco di chi aveva organizzato, da destra, un convegno alla Sapienza, si sono organizzati e come rivalsa per essere stati fermati dalle forze dell’ordine hanno deciso di “okkupare” la facoltà di Scienze Politiche. “Le violente cariche sugli studenti ha spinto gli universitari riuniti in assemblea ad occupare Scienze Politiche”, hanno scritto i leader del movimento studentesco Cambiare Rotta, stasera, dopo aver preso possesso di alcuni locali.
“Le nostre richieste sono chiare: vogliamo le dimissioni immediate della rettrice Polimeni e la garanzia che non verranno mai più fatte entrare le forze dell’ordine nell’ateneo -aggiungono- Richieste semplici, atte a ristabilire livelli minimi di democrazia e vivibilità nell’università, prendendo atto che le massime istituzioni interne alla Sapienza non sono state in grado di garantire la sicurezza degli studenti”. Tra gli slogan scanditi, anche alcune frasi che riportano agli Anni di piombo: “Fuori le guardie dall’Università” è il coro scandito dagli studenti all’assemblea convocata dai collettivi nel cortile della Facoltà di Scienze Politiche. Gli stessi che volevano cacciare fuori anche gli studenti di Azione universitaria che assistevano al convegno…
Gli studenti "democratici" occupano la facoltà della Sapienza. Difesi a spada tratta dalla sinistra - che condivide lo stesso pseudo-allarme fascismo - gli studenti hanno stilato un elenco di richieste. Il motto? "Fuori le guardie dall'università". Massimo Balsamo il 28 Ottobre 2022 su Il Giornale.
Dopo la tensione registrata martedì per un convegno di Fratelli d’Italia osteggiato da alcuni collettivi rossi, con tanto di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, importanti sviluppi a La Sapienza di Roma. Il movimento studentesco Cambiare ha annunciato di aver occupato la facoltà di Scienze Politiche. La motivazione è legata alle “violente cariche sugli studenti” di due giorni fa.
Ancora tensione alla Sapienza
“Le nostre richieste sono chiare: vogliamo le dimissioni immediate della rettrice Polimeni e la garanzia che non verranno mai più fatte entrare le forze dell'ordine nell'ateneo”, si legge in una nota diffusa sui social network. Gli studenti parlano di richieste semplici, mirate“a ristabilire livelli minimi di democrazia e vivibilità” all’interno dell’università La Sapienza. Ma non solo: nel comunicato è comparso un nuovo attacco alle istituzioni, ree di non aver garantito“la sicurezza degli studenti”.
Difesi a spada tratta dalla sinistra, nonostante l’ottimo lavoro svolto dalla polizia confermato anche dal Viminale, gli studenti continua la loro battaglia contro il solito presunto allarme fascismo. Come riportato dall’Ansa, dopo l’assemblea nel cortile, gli studenti del movimento Cambiare Rotta si sono radunati nell'Aula A di Scienze Politiche. Affiancati da alcuni docenti, hanno esposto uno striscione con la scritta “Un’altra università”. E ancora: “Mai più violenza sugli studenti, riprendiamoci i nostri spazi”, “Polimeni dimissioni”. Non sono mancati i riferimenti alle forze dell'ordine, tutt'altro che lusinghieri. Uno dei cori scanditi dai rivoltosi è"Fuori le guardie dall'università". Tono spregiativo, dunque.
Gli studenti possono contare anche sul sostegno dei sindacati. In una nota, la Flc-Cgil ha invocato il dialogo, non la repressione e gli sgomberi. “I fatti della Sapienza, con l'entrata della polizia nell'Università e le violenze nei confronti delle studentesse e degli studenti che protestavano, sono un segnale allarmante”, la denuncia in una nota. I sindacati hanno aggiunto di confidare in uno “sforzo comune delle istituzioni per mantenere un clima sereno e dialogante nelle scuole e nelle università e in tutti luoghi di formazione”.
Roberto Bonizzi per “il Giornale” il 30 ottobre 2022.
Occupazione a oltranza. D'accordo, ma magari se ne riparla dopo il Ponte. I duri e puri dei collettivi della Sapienza da martedì avevano fatto sospendere le lezioni nella facoltà di Scienze Politiche. La loro protesta per bloccare il convegno promosso da Azione Universitaria con ospiti Daniele Capezzone e Fabio Roscani, deputato di Fratelli d'Italia, era stata fermata dalla polizia.
Il cordone degli agenti aveva allontanato dall'ingresso delle aule la cinquantina di «resistenti» che, posato lo striscione «Fuori i fascisti dalla Sapienza», avevano cercato di sfondare per impedire il convegno. «Manganellate, cariche e feriti», la denuncia dei collettivi. Da qui la decisione di occupare la facoltà contro la decisione della rettrice Antonella Polimeni di lasciar intervenire gli agenti.
Assemblea permanente, telecamere e giornali a raccogliere le «voci» del dissenso dei giovani di sinistra, proprio nelle stesse ore in cui il Parlamento votava la fiducia al governo di Giorgia Meloni, il primo ministro di destra-destra. E infatti dalle aule dell'ateneo romano è stato tutto un susseguirsi di appelli e richiami all'antifascismo.
Nell'università e nel Paese. La «resistenza a oltranza», però, è durata soltanto fino a venerdì. L'occasione del centenario della Marcia su Roma ha permesso ai collettivi di organizzare un «aperitivo antifascista», nelle aule ancora occupate. L'appuntamento doveva servire a decidere le «prossime mosse della protesta». Ma, non si sa se complice la scarsità di ghiaccio o la carenza di patatine, dall'assemblea non hanno chiarito i passi per il futuro.
Ieri, poi, la polizia era pronta a sgomberare le aule occupate di Scienze Politiche. Ma le ha trovate vuote. «Occupazione sospesa, appuntamento per il 4 novembre, dopo Ognissanti» l'ordine di scuderia.
D'altronde, si sa, il Ponte per le festività è l'unico in grado di unire davvero l'Italia e gli italiani. Fascismo e antifascismo oggi appaiono concetti datati e un po' sbiaditi se messi a confronto con una settimana al mare sfruttando il clima da fine estate di questo autunno 2022.
Che è caldo sì, ma più in riva al mare che nelle università. In attesa che i giovani dei collettivi si chiariscano le idee sui pericoli per la democrazia e le mosse contro la rettrice, magari guardando il tramonto o con la classica indianata intorno al falò, l'occupazione può attendere. Adelante Pedro. Ma con juicio.
"Squadrismo dei collettivi universitari e silenzio della sinistra: è normale?" Accuse di "fascismo" e "foto segnaletiche" contro il giornalista Capezzone, oggi scortato dalla polizia a La Sapienza dove ha partecipato ad un convegno organizzato dai ragazzi di destra: "Non ho ancora letto una parola di solidarietà dalla sinistra". Elena Barlozzari il 25 Ottobre 2022 su Il Giornale.
"Chi dà del fascista al prossimo mentre commette atti da squadrista è in preda a un corto circuito evidente". È la morale del giornalista Daniele Capezzone, reduce da una mattina particolare. Dire che fosse inaspettata forse è troppo. Che a La Sapienza di Roma il clima fosse avvelenato non è una novità. Che i ragazzi di Azione universitaria fatichino a trovare spazi e agibilità idem. E poi l’avvertimento era circolato già la sera prima.
La conferenza di Au alla quale Capezzone era invitato, per qualcuno, non s’aveva da fare. Una conferenza, è bene specificare, che nulla aveva a che vedere con il fascismo e che era stata regolarmente autorizzata dall’ateneo. Eppure lunedì sera è cominciata a rimbalzare sui social network una specie di chiamata alle armi per impedire ai "fascisti" di entrate in facoltà: "Domani alle 9 tutti nel cortile di Scipol (Scienze politiche, ndr): fuori i fascisti dall’università", si legge sulla locandina. Che poi sembra piuttosto una messa all’indice, con tanto di "foto segnaletica" di Capezzone e del neodeputato di Fratelli d’Italia Fabio Roscani (invitato anche lui all’evento). "Fascista io? È una assurdità", ragiona il giornalista. Capezzone nasce radicale, si batte con Pannella per i diritti civili, poi lascia la "casa del padre", senza rinnegarlo, ma sfuggendo dalla sua ombra. È così che nel 2008 si ritrova in Forza Italia, convinto, ma comunque come un’anomalia. È nel suo carattere il fermento, l’esigenza di rimettersi in cammino. Si trova a suo agio con i liberal-conservatori di Fitto, ma non può essere quella la meta. Si inventa così un futuro da opinionista e da anni ormai scrive, elabora, racconta.
Scherzare con il fuoco è un esercizio pericoloso
Una piccola digressione biografica che rende l’idea di quanta surrealtà c’è in quella accusa di fascismo che oggi gli è costata attimi di tensione. "Quando sono arrivato all’università c’erano un centinaio di persone determinate a impedire lo svolgimento dell’evento, sono dovuto entrare ed uscire scortato dalla polizia", racconta il fondatore del centro studi Mercatus. La cronaca ci restituisce le immagini di una contestazione tutt’altro che democratica, sfociata in violenza, tafferugli, corpo a corpo con la polizia, intervenuta per tutelare i relatori e gli organizzatori del convegno. "È il prodotto di una cultura profonda, non dichiarata, forse persino diventata inconsapevole: a mezzogiorno si grida contro i fascisti e due ore dopo ci si comporta da fascisti però rossi. Per alcuni è ormai naturale che il diverso non abbia diritto di parola, amano parlare di inclusività e accoglienza ma se qualcuno non la pensa come loro assaltano l’università". Quando gli chiediamo se ha avuto paura, però, Capezzone si proietta verso l’altro: "La mia unica preoccupazione era che l’evento non fosse sciupato perché ho visto la cura e la serietà che ci hanno messo i ragazzi di Azione universitaria ad organizzarlo".
C’è però qualcosa che non riesce a digerire e che lo fa infiammare: "Non ho ancora letto un politico di sinistra, un commentatore di sinistra, un giornalista di sinistra deplorare il fatto che l’obiettivo dei contestatori fosse impedire lo svolgimento di una libera conferenza, impedire a me di entrare in una sede universitaria". Anzi, nelle ore successive all’accadimento, il silenzio di chi dispensa patenti di democrazia è stato rotto soltanto da qualche esternazione di solidarietà: con i facinorosi ovviamente. È il caso di Luigi De Magistris: "Arrivano Capezzone e Fratelli d’Italia all’università La Sapienza di Roma ed arrivano pure le manganellate agli studenti. Solidarietà a chi lotta", cinguetta l’ex sindaco di Napoli. Il giornalista con un passato in Sel Giulio Cavalli si lamenta per la scarsa reattività dell’opposizione: "Manganellate contro una manifestazione studentesca (…) c’è qualcuno dell’opposizione che dice qualcosa?". Per poi rintuzzare pochi tweet dopo: spera di non essere manganellato anche lui perché preferisce declinare al femminile l’incarico di presidente del Consiglio.
"La domanda è: il free speech e la libertà di parola non interessano più alla sinistra? È normale?", si chiede esterrefatto Capezzone. Si congeda con una riflessione che suona come un avvertimento: "Chiunque deve comprendere che scherzare con il fuoco è un esercizio pericoloso: se si arriva ad un millimetro dalla scontro fisico c’è il rischio che si superi un limite e si perda il controllo della situazione".
Fulvio Abbate per Dagospia il 27 settembre 2022.
Il cuore? Semmai il fegato. Quello ingrossato dal leggere l’articolo di Concita de Gregorio. Scrivere su “Repubblica”, come ha fatto stamattina, che si debba “ricominciare dal cuore” è cosa risibile, penosa, schiuma da educandato della presunta “vocazione maggioritaria”, la stessa di cui Veltroni è mandante, e lei primo interprete garantito assoluto.
La sconfitta del Pd, e per estensione della “sinistra” tutta, da lei attribuita a Enrico Letta, persona che giganteggia sempre e comunque davanti alle sue parole, la sconfitta delle “cose belle”, che le imputa ad altri, a chi le ha comunque consentito spazio d’azione mediatica e narcisistica, la si deve in eguale misura, assai di più, all’amichettismo che Concita De Gregorio, insieme all’intera corte di amichetti della “sua” sinistra di cooptati d'autore, esprime.
Supponenza in nome del presunto “buon gusto” e di un “galateo” ipocrita che da decenni calpesta il cuore d’ogni vero sentimento di rivolta e opposizione all’esistente, compreso quello “di sinistra”, e che rende possibile, sempre per voce di un galateo portatile dei cosiddetti ceti medi riflessivi, che le pulsioni fasciste e plebee incancellabili nella nostra società incerta e ferita si mostrino nelle urne in tutta la loro mostruosa evidenza antropologica, ancor più che politica.
Ancor prima di Enrico Letta, da se stessa si dovrebbe dimettere Concita De Gregorio, e con lei l’intera corte edificante letteraria e cinematografica che la accompagna nella convinzione d’essere nel giusto dell’elegante perfezione “civile”. Mi auguro che Elly Schlein, cui lei affida ufficialmente, pensando di averne titolo sempre in nome dell'eleganza, l'investitura, la mela bio avvelenata dell’amichettismo politico, se ne tenga distante, facendo semmai ritorno a incontrare “l’umile Italia”, a cui la sinistra, come scrive qualcuno, dovrebbe consegnare se stessa, “nella lunga serie di notti in cui marcia, senza bandiere, la vita”.
Da “la Repubblica” il 27 settembre 2022.
Caro Merlo, ho letto l'intervista di Carmelo Lopapa a Pietrangelo Buttafuoco, un intellettuale di destra, ma che tutti conosciamo come libero e spiazzante. Buttafuoco sostiene che Giorgia Meloni è una secchiona che studia, riempie quaderni e che le sue radici più che nel Msi stanno nei ragazzi che si ispiravano a Tolkien.
Giulia Masera - Torino
Risposta di Francesco Merlo
Tolkien al governo? La chiamavano "destra fantasy". Nel 1977 organizzò "i campi Hobbit", raduni giovanili che non piacevano ad Almirante. Si ispiravano a una cultura molto confusa, come allora accadeva anche nell'estrema sinistra. E va detto che si piacevano, gli estremisti opposti ma "rivoluzionari".
Inventarono canzoni che si intitolavano La foiba di San Giuliano, Storia di una SS , La ballata del nero, e con mille balzi di immaginazione misero insieme Tolkien, un grande scrittore britannico che solo in Italia è stato annesso dalla destra (non azzardatevi a dirlo a un inglese), con il Lucio Battisti di "guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è così difficile morire", e con Evola, un astruso filosofo filonazista e antisemita che viene citato soprattutto da chi non l'ha letto.
Sicuramente non l'ha letto Giorgia, anche se Evola finisce nei suoi quaderni, sia in quello bianco dove segna le cose che deve "fare" e sia in quello giallo dove segna le cose che deve "dire".
Tra le frasi che eroicamente le suonano di destra, Giorgia attribuisce ad Almirante "Vivi come se tu dovessi morire subito, pensa come se tu non dovessi morire mai", che nei campi Hobbit attribuivano a Evola e altri attribuirono a Moana Pozzi, ma, secondo Stefano Lorenzetto che ha scritto il Dizionario delle citazioni sbagliate , è di Luigi IX (1214-1270), fatto santo, per altre ragioni, da Bonifacio VIII. In quanto a Tolkien bastano i film, peraltro molto belli, anche se meno dei libri. Pietrangelo Buttafuoco, che ha visto Giorgia nascere, le vuole così bene da regalarle qualche lettura.
Ma, per tagliarla corta, la sottocultura di Giorgia è così illiberale che, ora che avrà davvero il potere, accoglierà i trasformisti (che sono già in fila), mentre gli spiriti liberi come Buttafuoco, anche se di destra, saranno i primi a subirne le conseguenze.
Giampiero Mughini per Dagospia il 27 settembre 2022.
Caro Dago, ti confesso che per tutta la durata della campana elettorale mai un momento ho provato un’emozione pari a un centesimo di quella che ho provato vedendo Federer e Nadal che si tenevano la mano e piangevano. Naturalmente ho votato per Calenda/Renzi e che altro potevo fare?, ma - a differenza del mio amico Francesco Merlo - mai un attimo ho sentito che fosse in gioco chissà che del nostro futuro imminente venturo, pur dopo la vittoria di Giorgia Meloni.
E siccome, a differenza di quegli “artisti” semianalfabeti (mi piacerebbe entrare nelle loro case e vedere quali libri stanno nelle loro biblioteche) che stanno declamando qua e là le loro angosce antifasciste, tengo in gran conto i giudizi di Merlo, confesso di essere un po’ sorpreso dalla perentorietà con cui lui accusa la Giorgia Meloni di essere così profondamente “illiberale”. L’ho avuta di fronte non so quante volte e da quando aveva più o meno vent’anni, non mi pareva che quei tratti la marchiassero se non altro generazionalmente.
Perché questo è il punto decisivo confermato da tutto ciò che è accaduto in campagna elettorale. Che quella storia che per molti di noi è stata a lungo sacra, la storia cui appartiene in modo cruciale l’avversatività tra la destra e la sinistra, è una storia morta e sepolta. Era la storia di quando quelli di sinistra tuonavano dalle pagine dell’Unità, di Rinascita, dei Quaderni piacentini, e non come adesso che vanno a fare i loro predicozzi su Tik-tok.
Era la storia di quando in campagna elettorale si facevano sentire tipini come Giovanni Spadolini, Alfredo Reichlin, Claudio Martelli, Antonio Cirino Pomicino, Gianni De Michelis, Pietro Ingrao, Aldo Moro e potrei continuare a lungo, non adesso che (sia detto con rispetto della persona) la Santanché sommerge elettoralmente un avversario che si chiama Carlo Cottarelli, uno dei pochi che sa quello di cui sta parlando quando parla dell’Italia di oggi.
Tutto quello di cui dicevo è morto e sepolto, non è più il tempo in cui vale la pena citare Antonio Gramsci e bensì il tempo in cui fa storia se non leggenda una qualche sortita della (a mio giudizio geniale) Ferragni.
Detto in parole povere. Siamo entrati da tempo nel terzo millennio e ci siamo entrati zoppicando alla grande, incapaci di legge quel che è divenuta la società post industriale, quando la “sinistra” è rappresentata da un astuto avvocato che gira il meridione promettendo reddito di cittadinanza a palate.
Destra, sinistra? Fascismo, antifascismo? Baggianate quando vai al sodo e affronti i problemi reali. Di sicuro c’è solo che quanto a indizi che caratterizzano una società moderna, quelli che riguardano l’Italia sono fra i peggiori d’Europa sia quanto a libri letti sia quanto a milioni di euro evasi fiscalmente. Illiberale o meno, è con questo che dovrà fare i conti il prossimo governo. Compiti che non augurerei al mio peggiore nemico, e sempre che in questa melma che è divenuto il nostro sistema politico riesca a durare più di un paio di stagioni. Tutto qui.
Da repubblica.it il 26 settembre 2022.
Mentre Giorgia Meloni scendeva dal palco al comitato elettorale allestito all’Hotel Parco dei Principi a Roma, si scatenava la festa tra militanti, parlamentari e volontari sulle note di Ma il cielo è sempre più blu e A mano a mano di Rino Gaetano. Tra abbracci e cori per la presidente del partito i militanti di Fratelli d'Italia si sono commossi cantando a squarciagola, ma perché le canzoni del musicista morto 41 anni fa sono diventate la colonna sonora della vittoria della destra?
Passione personale di Meloni che nell'ottobre scorso ricordava la nascita del cantante con un post sentimentale che diceva: "Il 29 ottobre 1950 nasceva Rino Gaetano, un grande artista italiano che grazie alla sua intramontabile musica continua ancora a regalarci emozioni uniche e indescrivibili. Ci manchi Rino". Appropriazione culturale di un'artista che si era sempre professato apolitico o semplicemente mancanza di un carnet di musicisti e canzoni da utilizzare sul palco?
Raggiunto da Repubblica Alessandro Gaetano, nipote ed erede dell'artista di culto, si è sfogato: "Non se ne può più. Anna, la sorella di Rino, ed io abbiamo detto centinaia di volte che non gradiamo questo tipo di iniziative: Rino è di tutti, e la politica non deve appropriarsene".
Non è la prima volta che i brani più famosi di Rino Gaetano Ma il cielo è sempre più blu, A mano a mano, ma anche Nuntereggae più vengono utilizzate dai partiti per le proprie campagne politiche e in passato la famiglia del musicista aveva protestato. Nel 2018, quando le canzoni erano state utilizzate dalla Lega, avevano detto: "Nel corso degli anni è capitato più volte che le canzoni e l'immagine di Rino venissero usate da parte di diversi schieramenti. Questo è solo stato l'ennesimo episodio che ci viene segnalato in questi anni e di cui siamo stufi. Fosse stato chiunque altro l'avremmo pensata allo stesso modo. Rino non è di destra né di sinistra, non ha colori politici. Perché devono farsi forza usando lui e la sua musica?".
"Non ci è mai piaciuto" avevano aggiunto. "Anzi, ogni volta che ci hanno invitato a parlare o cantare su un palco abbiamo chiesto di togliere le bandiere del partito di turno. Non critichiamo nessun messaggio, semplicemente ci sembra scorretto politicizzare la sua musica. Rino non era d'accordo neanche allora. Ha suonato alcune volte alla Festa dell'Unità, ma lui era solo a favore del popolo e contro chi tradiva i suoi ideali".
A mano a mano in realtà è una canzone di Riccardo Cocciante cantata dal vivo un'unica volta da Rino Gaetano nel 1981 durante una tournée congiunta (con l'accompagnamento di Cocciante e del gruppo New Perigeo; mentre Gaetano faceva cantare a Cocciante la sua Aida, A mano a mano veniva affidata da Cocciante alla voce di Gaetano. Non ci sono versioni in studio della versione cantata da Gaetano, il brano è contenuto nella registrazione del concerto Q disc live Q Concert.
Ma a distanza di anni la sua versione è quella più popolare, nonché una delle canzoni di maggiore successo di Rino Gaetano, essendo la più ascoltata in assoluto su Spotify sorpassando hit come Gianna e Ma il cielo è sempre più blu. Nel 2019, in occasione dell'uscita del cofanetto Ahi Maria 40th, nel giorno del suo compleanno, il 29 ottobre, sul canale YouTube dell'artista è stato pubblicato un videoclip con la versione live della canzone che ha totalizzato oltre 35 milioni di visualizzazioni.
Sui social intanto i fan di Rino Gaetano sono più o meno tutti compatti nel criticare la scelta. C'è chi dice "Rino Gaetano utilizzato per festeggiare la vittoria da Fratelli d'Italia si starà rivoltando nella tomba buon'anima", oppure "Il comizio post elettorale della Poponi con Rino Gaetano? Ma stiamo scherzando?", ancora "Certo che ascoltare Rino Gaetano al bunker di FdI fa tanto, tanto, tanto male". C'è anche chi critica la sinistra: "Sono riusciti a farsi scippare anche Rino Gaetano". E chi sceglie di citare una sua intervista: "'Perché ho amato tutti i sessi ma posso garantirvi che io non ho mai dato troppo peso al sesso mio, oh'. Buongiorno Giorgia a te e a tutto il tuo circo".
Gli eredi di Rino Gaetano: "Fdi non lo sfrutti". Ma le canzoni famose sono patrimonio di tutti. Polemica dopo l'uso durante la festa elettorale dei brani del cantautore. Paolo Giordano il 27 Settembre 2022 su Il Giornale.
Ci risiamo. Stavolta tocca a due brani di Rino Gaetano, A mano a mano e Ma il cielo è sempre più blu che Giorgia Meloni ha accennato, canticchiato, ascoltato domenica in piena notte all'Hotel Parco dei Principi di Roma festeggiando il successo elettorale. «Non se ne può più. Anna, la sorella di Rino, ed io abbiamo detto centinaia di volte che non gradiamo questo tipo di iniziative: Rino è di tutti, e la politica non deve appropriarsene», ha subito commentato Alessandro, nipote ed erede di uno dei cantautori più creativi di sempre e senza dubbio il più sfortunato.
Non è la prima volta che gli eredi Gaetano si lamentano e non è neppure la prima volta che l'utilizzo di un brano in contesti politici crea polemiche, in Italia ma pure all'estero. Per capirci, a ogni giro elettorale, scatta la solita polemica sull'utilizzo di canzoni famose e non si contano gli artisti che, anno dopo anno, se ne sono lamentati. Ci sono pure «pentimenti postumi» come quello di Ivano Fossati che concesse all'Ulivo l'utilizzo de La canzone popolare ma poi se ne pentì: «Prestare una canzone alla politica è una cosa che non consiglio a nessuno».
Qui il problema è più generale. Di chi è una canzone famosa decenni dopo la sua pubblicazione? «È di tutti», come giustamente dice la famiglia Gaetano. Ossia non ha vincolo di mandato: essendo diventata parte della cultura popolare può essere utilizzata liberamente, fatti ovviamente salvi i diritti d'autore. Oltretutto A mano a mano non è neppure un brano di Rino Gaetano, ma è stato scritto (anche) da Riccardo Cocciante che lo ha incluso nel suo album omonimo del 1978. Rino Gaetano non l'ha mai inciso in studio, ma la versione dal vivo registrata in Q Concert del 1981 ha avuto uno strepitoso successo. Quindi, in teoria, anche Riccardo Cocciante ne dovrebbe impedire o circoscriverne l'utilizzo, cosa che, quantomeno al momento, non risulta. Di certo Rino Gaetano è uno dei più «saccheggiati» visto che alcuni suoi titoli come Nuntereggaepiù sono efficaci pure come slogan elettorali (la Lega lo ha sfruttato nel 2018 e la famiglia ha protestato). Le sue canzoni sono diventate titoli di film (Mio fratello è figlio unico del 2007 tratto da Fasciocomunista di Pennacchi) e persino di spot televisivi. Ad esempio la meravigliosa Ma il cielo è sempre più blu (canticchiata dalla Meloni) ha accompagnato una campagna promozionale della Lidl e anche una del Monte dei Paschi di Siena quattro anni prima della drammatica morte del capo della comunicazione David Rossi. Ma nessuno ha eccepito, nonostante di certo quel brano non fosse stato composto da Rino Gaetano per fare pubblicità a una banca.
In conclusione, un brano famoso diventa di proprietà popolare, salvo utilizzi specifici che vengono retribuiti da compensi adeguati e concordati con autore o eredi. Quindi libertà. A meno che fare pubblicità a una banca sepolta dai misteri sia più onorevole di essere canticchiati a una festa elettorale (di destra o sinistra, per carità).
La famiglia dell’artista si sfoga contro l’uso improprio. Meloni vince le elezioni e festeggia sulle note di Rino Gaetano, il nipote: “La politica non deve appropriarsene”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 26 Settembre 2022
Giorgia Meloni era appena scesa dal palco del suo comitato visibilmente emozionata quando è partita la colonna sonora di Rino Gaetano. “Il cielo è sempre più blu” e “A mano a mano” risuonavano nel quartier generale di Fratelli d’Italia mentre la leader abbracciava e ringraziava fan e colleghi. Ma la famiglia dell’artista tragicamente scomparso il 2 giugno 1981, all’età di trent’anni, non ci sta e si sfoga: “La politica non usi la voce, la musica, le canzoni di Rino Gaetano”, ha detto Alessandro Gaetano, nipote ed erede dell’artista intervistato da Repubblica.
Non è la prima volta che succede che le canzoni di Rino Gaetano siano usate in comizi elettorali e non è nemmeno la prima volta che la famiglia chiede di non usare quelle canzoni in un contesto politico. “Con mia madre Anna, la sorella di Rino, abbiamo detto decine di volte, anche nei giorni e negli anni passati, che non gradiamo questo tipo di iniziative e ce ne allontaniamo: preferiamo che la politica non se ne appropri”, dice Alessandro Gaetano.
“Che le sue canzoni siano apprezzate mi lusinga” ma, continua, non si deve strumentalizzare. Il problema è generale: “Non si tratta di destra e sinistra. È un problema di uso strumentale dell’amore che la gente ha per questo straordinario artista”. “A Rino, in fin dei conti, la cosa che interessava era che dalla politica venisse fuori qualcosa di buono per il popolo”. Rino Gaetano in vita non si era mai sbilanciato politicamente né a destra né a sinistra. “Le canzoni non sono testi politici e io non faccio comizi”, diceva.
Ma c’è un precedente: nel 2018 la Lega aveva usato le canzoni durante un comizio. E la famiglia aveva protestato anche allora. “Nel corso degli anni è capitato più volte che le canzoni e l’immagine di Rino venissero usate da parte di diversi schieramenti – dissero all’epoca dei fatti, come riportato da Repubblica – Questo è solo stato l’ennesimo episodio che ci viene segnalato in questi anni e di cui siamo stufi. Fosse stato chiunque altro l’avremmo pensata allo stesso modo. Rino non è di destra né di sinistra, non ha colori politici. Perché devono farsi forza usando lui e la sua musica?”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Lorenzo D'Albergo per roma.repubblica.it il 26 settembre 2022.
Per Damiano, il frontman dei Måneskin, non è stato un bel risveglio. Il cantante della superband romana è deluso dal voto degli italiani e non fa nulla per nasconderlo. Lo sfogo arriva con una stories su Instagram.
L'artista posta la prima pagina di Repubblica con la foto di Giorgia Meloni e la notizia della vittoria del centrodestra. Poi il commento: "Oggi è un giorno triste per il mio Paese". Un messaggio diretto ai fan di tutto il mondo e destinato quindi a fare il giro del globo.
Chissà cosa ne penserà Meloni, che sui social aveva difeso il gruppo dopo la vittoria all'Eurovision e le accuse sulla presunta (e subito smentita) assunzione di stupefacenti in diretta tv proprio da parte di Damiano. "Da giorni leggiamo surreali polemiche contro i Måneskin, colpevoli di aver fatto conquistare l’Eurovision all’Italia. E sono tante le critiche, anche di pessimo gusto, che arrivano in particolare dai francesi.
Finalmente oggi la tv pubblica di Parigi ha fatto sapere che il voto è estremamente chiaro a favore dell’Italia e che non ha alcuna intenzione di sporgere un reclamo. La prossima volta imparino a perdere sportivamente, senza dover gettare fango addosso a dei bravissimi artisti che hanno meritato la vittoria con impegno e passione. Bravi ragazzi per questo straordinario risultato e complimenti anche per aver dichiarato apertamente di non aver fatto uso di droghe: un bel messaggio, soprattutto per i giovani", scriveva la leader di Fratelli d'Italia il 24 maggio 2021.
Parole che a quanto pare non hanno fatto breccia nel cuore di Damiano, in tour all'estero e quindi lontani dalle urne della Capitale. Ma a questo punto c'è da scommetterci: il cantante avrebbe votato tutto tranne che Fratelli d'Italia.
Da repubblica.it il 26 settembre 2022.
Boy George contro Giorgia Meloni. Il musicista inglese ha scritto un duro Tweet, poi rimosso, contro la presidente di Fratelli d'Italia a poche ore dal risultato elettorale che ha visto la vittoria della destra.
"Ehi Giorgia Meloni - ha scritto il musicista - mio padre etero era violento, ma tu lo sosterresti e forse approveresti l'idea di picchiare i bambini in nome del nucleo familiare tradizionale, ma due uomini o donne gay che allevano un bambino con amore incrollabile è sbagliato?".
Sul Tweet del musicista è cominciato un dialogo con i suoi fan (molti italiani) e insieme a chi sostiene la sua posizione c'è anche chi lo critica: "Hey Boy George, il padre di Meloni ha abbandonato la famiglia quando lei era una bambina, lei sa una o due cose su come una famiglia *tradizionale* potrebbe non funzionare, dovresti ascoltare i suoi ragionamenti invece di presumere".
Al quale però il musicista ha ribattuto: "Supponendo? Meloni è contro i diritti e la libertà dei gay. Capisco il vecchio concetto noioso di politica dura, ma abbiamo visto abbastanza attraverso la storia per capire cosa fa all'umanità. Un leader veramente grande non detta cose che le persone non possono capire".
Tra gli utenti c'è anche chi ribatte che l'Italia è "una grande democrazia", che Giorgia Meloni sarà la prima donna a capo del governo nella nostra storia e che il nostro Paese non ha bisogno di lezioni. Il cantante dei Culture Club replica che tutti ne hanno bisogno e cita Mussolini, evidentemente per lui una lezione non imparata dagli italiani. "La storia modellata su Mussolini ha bisogno di lezioni" chiosa.
Dagospia il 26 settembre 2022. E POI SI CHIEDONO PERCHÈ GIORGIA MELONI STRAVINCE - DOPO IL RISULTATO ELETTORALE LA CANTANTE FRANCESCA MICHIELIN SPARA IL SUO TWEET SCOMPOSTO: "OGGI INIZIA LA RESISTENZA. BUONGIORNO A TUTT*" - MA RESISTENZA A COSA? AL VOTO ESPRESSO DAGLI ITALIANI? E CHI DOVREBBE FARE "RESISTENZA", LA CONDUTTRICE DI X-FACTORI? - CON QUESTI SINISTRATI, SEMPRE A EVOCARE IL PERICOLO FASCISMO, LA DESTRA PUO' DORMIRE TRANQUILLA...
Dagospia il 26 settembre 2022. "DA OGGI CAMBIA TUTTO, TRE PONTI SULLO STRETTO E VI PAGHERANNO LE BOLLETTE" – FIORELLO SHOW SULLA VITTORIA DELLA MELONI (CHE IN GIOVENTU' E' STATA LA BABY SITTER DELLA FIGLIA) - ANCHE LA FERILLONA IRONIZZA: "NUOVA ERA. IL TRENO VIAGGIA IN ORARIO”, CHE RICHIAMA IL MITO DELL’EFFICIENZA DELLE INFRASTRUTTURE ITALIANE DURANTE IL REGIME FASCISTA...
Da repubblica.it il 26 settembre 2022.
Gli amici e tanti ospiti speciali, oltre ai tanti fan dei Pooh. All'Auditorium Parco della Musica "Ennio Morricone" di Roma è andato in scena lo spettacolo Stefano!, una serata speciale in memoria di Stefano D'Orazio, a due anni dalla sua scomparsa. A ricordarlo amici e colleghi, a cominciare dai suoi compagni di una vita nei Pooh, da Roby Facchinetti a Red Canzian e Riccardo Fogli. Solo con un messaggio registrato, Dodi Battaglia.
Special guest della serata, presentata da Eleonora Daniele, lo showman Fiorello che ha omaggiato l'artista e manager prima cantando con Facchinetti Uomini soli e Tanta voglia di lei, poi con alcuni momenti che preparano il grande pubblico al suo ritorno su Rai1 e su Radio2."Oggi è una giornata particolare.
Siete andati a votare? Siete contenti di cambiare il destino di questo paese? Non voglio fare satira, perché questa non è la serata giusta. Ma qualcosa bisogna pur dire", ha esordito. "Da domani cambia tutto. Ma non avete sentito tutte le promesse che ci hanno fatto? Da domani non ci saranno più tasse. Da domani vi pagheranno pure le bollette della luce. Faranno i ponti sullo stretto. E mica solo uno: ne avremo tre. Addirittura, ne avremo uno che collegherà la Sicilia e Genova".
Poi un cenno alla performance "dance" di Luigi Di Maio: "L'immagine che ricorderò per sempre? Di Maio che fa Dirty Dancing". Quindi un'imitazione di Bruno Vespa: "Sono usciti i primi exit poll. A Roma i cinghiali hanno superato la soglia di sbarramento del 3 per cento". Tra gli ospiti d'eccezione a ricordare D'Orazio, anche il pianista jazz Danilo Rea, l'attore Pino Quartullo e il violoncellista Piero Salvatori.
Valentina Lupia per repubblica.it il 26 settembre 2022.
Tra le persone che sui social in queste ore commentano la vittoria del centrodestra alle elezioni c'è anche Sabrina Ferilli. L'attrice, sul suo profilo Instagram da quasi un milione di followers, ha condiviso una delle immagini che in queste ore girano maggiormente per ironizzare sui risultati dello spoglio: la foto di uno schermo intero di un treno Italo con su scritto Il treno viaggia in orario", che richiama il mito dell’efficienza delle infrastrutture italiane durante il regime fascista.
"Nuova era!", aggiunge la 58enne romana, già icona della sinistra, che a Roma virò sul Movimento 5 Stelle votando Virginia Raggi per le comunali. Un affondo al centrodestra e a Fratelli d'Italia, il partito guidato da Giorgia Meloni e risultato primo con oltre il 26% dei voti.
Nei giorni scorsi Ferilli, che è anche doppiatrice e conduttrice, si è unita al coro di donne indignate dopo che l'Ungheria di Orban ha lanciato una nuova crociata contro l'aborto: prima di interrompere la gravidanza saranno costrette a sentire il battito del feto.
"La donna continua comunque a essere l’individuo al quale sono rivolte più forzature e umiliazioni - aveva scritto in uno sfogo affidato, ancora una volta, a Instagram - la nostra utilità è solo nel procreare. Come un mammifero qualsiasi. Ma se decidi di prendere in mano la tua vita, di fare scelte autonome che escono fuori dalle direttive della società, che sono ancora ‘ridotte’ a moglie e madre, sono ca…". Oggi, invece, l’attrice ha scelto una sottile ma chiara battuta per dire la sua sui social.
L'esercito dei rosiconi: vip e influencer in lacrime. Francesco Maria Del Vigo il 27 Settembre 2022 su Il Giornale.
Dai comizi social della Ferragni all'indignazione di Damiano: tutto il livore della sinistra sconfitta
Tanto livore per nulla. Alla fine i vip di sinistra si sono riscoperti very irrilevant people. Saranno pure degli influencer da milioni di followers, ma questa volta non hanno influenzato proprio nessuno. Le stories della novella staffetta partigiana Chiara Ferragni e i comizietti del di lei marito, i vaneggiamenti della Murgia, gli attacchi stonati (ma per nulla fuori dal coro) di Elodie, gli abusi da bullo catodico di Damilano, i post indignati per la tenuta democratica del Paese, le Bella ciao cantate fuoriluogo, le articolesse che diventano manifesti (tutti uguali) contro l'inesistente ritorno del fascismo, le dita alzate nel gesto saccente di chi si crede l'unica sentinella della Costituzione e poi quel desiderio, malcelato, di ammansire le plebi recalcitranti che vogliono andare al voto. Tempo perso, odio sparso inutilmente, traffico dati sprecato. Tutto inutile, tutto finito nella spazzatura. La democrazia ha fatto il suo corso, nonostante i piedini battuti e l'isteria collettiva che ha pervaso per mesi la sinistra più chic e di moda.
E adesso, a poche ore dal voto, al livore si è sostituita la bile. In quantità industriali. Le reazioni stizzite del mondo dello spettacolo che denuncia una dittatura che non c'è, sono esse stesse uno spettacolo. Dalle paillettes al basco da partigiano, dai palchi e dalle sfilate ai monti il passo è veloce come un click. Perché non c'è nulla di più irresistibile che credersi protagonisti di una eroica resistenza, anche se in questo caso il nemico è la volontà degli elettori, non un regime. Ma poco conta. Che resistenza sia, innaffiata da champagne e combattuta a colpi di social.
Tra i primi a postare la sua indignazione c'è Damiano dei Maneskin: «Oggi è un giorno triste per il mio Paese», scrive su Instagram pubblicando una foto della Meloni. Per sicurezza lo ribadisce anche in inglese perché, sia chiaro, questa è una battaglia mondiale e lui ne è il novello e fluidissimo Che Guevara. Francesca Michielin - probabilmente già diretta con le altre brigate verso l'appennino - non usa giri di parole: «Inizia la resistenza, buongiorno a tutti», X Factor come ultimo baluardo della libertà.
Roberto Saviano, in preda a manie di persecuzione, vede squadracce nere ovunque e denuncia: «Leggo #Saviano in tendenza perché gli elettori di Meloni mi invitano a lasciare il Paese. Questi sono avvertimenti. Questa è l'Italia che ci aspetta. Stanno già stilando una prima lista nera di nemici della patria, alla faccia di chi diceva che il Fascismo è un'altra cosa». Sono anni che vomita fango sugli elettori di centrodestra, trattandoli come dei subumani, magari qualche sbertucciamento poteva metterlo in conto... E ci sentiamo di poterlo rassicurare: non ci sarà nessuna lista nera, quelle di solito le stila l'intellighentia rossa.
Sabrina Ferilli, per fortuna, la butta sul ridere, e dalla stazione commenta: «Il treno viaggia in orario. Una nuova era». Renato Zero, invece, è incazzato nero: domenica, di ritorno all'Hotel Parco dei Principi a Roma, non riesce a entrare perché l'albergo è anche la sede del comitato elettorale di Fratelli d'Italia e, quindi, è stato preso d'assalto dai giornalisti. Lui la prende benissimo, da sincero democratico: «Neanche più in albergo si va? È un regime questo. Stronzi! Votate la merda che siete». Sorcini in rivolta, è la prima vittima della nuova dittatura, pare si stiano già muovendo l'Onu, Amnesty international e le più importanti organizzazioni in difesa dei diritti umani.
Luciana Littizzetto torna sull'annoso tema delle minacce (mai onorate) di fuga all'estero in caso di vittoria elettorale del centrodestra: «Indecisi se fare il cambio di stagione o il cambio di Nazione». Non cambierà nulla, come al solito. Vanessa Incontrada indossa un bel broncio e posta: «Faccia da lunedì»; Kasia Smutniak punta più sui toni drammatici: «A ottobre indietro di un'ora, oggi di un secolo».
Persino il redivivo Boy George, da Oltremanica, attacca Fdi: «Ehi Giorgia Meloni mio padre etero era violento (...) ma due uomini o donne gay che allevano un bambino con amore incrollabile è sbagliato?» . E siamo solo all'inizio: le urla e gli strepitii si prolungheranno oltre il limite del ridicolo, ne siamo certi. Tra le tante, inutili, giornate celebrative, il 26 settembre potrebbe diventare a pieno titolo la «giornata mondiale dei rosiconi».
Lo spettacolo è assicurato.
Il personaggio della settimana. A sinistra gli artisti invitano alla "Resistenza". Ma resistere a cosa? Incapaci di accettare il volere democratico degli italiani, gli artisti moderni capi-banda politici salgono in cattedra e guidano una fantomatica "Resistenza". Francesca Galici il 4 ottobre 2022 su Il Giornale.
C'è un valore che molti, dopo il 25 settembre, sembrano aver dimenticato: la democrazia. Una parola con la quale in tanti si riempiono la bocca ma che pochi, al momento di dimostrare di sapere cosa sia, sembrano avere reale contezza di cosa sia. Sono stati tanti gli artisti di sinistra che hanno deciso di fare campagna elettorale quest'anno. Impossibile dire chi l'ha fatta credendoci realmente e chi, invece, solo perché schierandosi contro il centrodestra ha guadagnato qualche follower e qualche punto di engagement. Sta di fatto che questa estate in tanti, nei modi più disparati, si sono scagliati contro i leader della coalizione che poi ha vinto le elezioni, in particolar modo contro Giorgia Meloni.
Ora, se la maggior parte di loro ha avuto il buon senso di tacere, come Chiara Ferragni, altri hanno sfruttato l'onda lunga dell'elezione per continuare a stare "sul pezzo" e racimolare quei like che pare siano per loro indispensabili come l'aria. L'hanno fatto, appunto, dimostrando di non sapere cosa sia la democrazia e, soprattutto, calpestando la sua massima espressione, ossia il voto. Tralasciando i simil-influencer che hanno guadagnato un po' di visibilità insultando gli anziani, Francesca Michielin è arrivata a fare un post parlando di "Resistenza". La cantante forse nemmeno sa cosa sia la Resistenza, perché altrimenti non l'avrebbe usata così a sproposito davanti alla decisione democratica degli italiani, che hanno deciso di dare il loro voto a Giorgia Meloni e al centrodestra.
E anche Damiano David che all'indomani del voto ha detto che quello è stato "un giorno triste per il mio Paese", con quale titolo parla a nome del Paese. Magari è stato un giorno triste per lui, e non si capisce nemmeno per quale motivo, visto che trascorre la maggior parte del suo tempo all'estero. Questi artisti che si riempiono la bocca di parole gonfie solo per dimostrare di esistere e, magari, di essere persone politicamente impegnate "dalla parte giusta" come amano sottolineare, dovrebbero prima di tutto studiare per evitare certe castronerie, e poi portare sul tavolo della discussione argomenti tangibili, motivazioni reali che non siano i soliti slogan da centro sociale.
Abbiano la capacità di motivare contro chi o cosa organizzare una fantomatica "Resistenza" e si assumano la responsabilità di dire perché la vittoria del centrodestra avrebbe portato "un giorno triste" all'Italia. Fino a quel momento, fino a quando non saranno capaci di sostenere una discussione reale, non un monologo con la claque social, forse dovrebbero tornare a discutere di politica con gli amici, attorno a un tavolo, o a cantare. Non per altro, solo per evitare brutte figure.
Che tranvata per i vipponi radical chic. Andrea Indini il 26 Settembre 2022 su Il Giornale.
Un conto è la bolla degli influencer, il Paese reale è un'altra cosa. E la democrazia si pesa a suon di voti, anche se a molti questo ancora non piace
Che tranvata. Proprio sul grugno. Sono andati tutti a sbatterlo contro il muro. Chiara Ferragni e consorte, Elodie, Giorgia (l'altra), la Bertè e tutti i vipponi radical chic menagramo, Rula Jebreal, Roberto Saviano e la schiera dei giornalisti impegnati. Che tranvata, appunto. Di quelle che quando le prendi fanno male per un bel po'. Ma qui, oltre al dolore, c'è pure da considerare il fastidio, la rosicata per la sconfitta pesante, il nervoso che monta al solo pensiero di dover sopportare il centrodestra per un lustro.
Chissà come si sono svegliati stamattina i sinistri dopo che per settimane avevano occupato social network, televisioni e radio a berciare contro Giorgia Meloni. Chissà quanto si sono svegliati incazzati. E chissà se qualcuno di loro ha già fatto le valigie da imbarcare sul primo volo fuori dall'Italia. La sardina Jasmine Cristallo lo aveva promesso. "Se Giorgia Meloni diventa presidente, lascio la Nazione". Forse è la volta buona? Mah. Resteranno tutti quanti. Esattamente come i vipponi a stelle e strisce dopo la clamorosa vittoria di Trump nel 2016. Sguardo basso e coda tra le gambe. Un maalox plus e via. Si torna alla vita di sempre. Ai selfie su Instagram, ai post su Facebook, alle dirette su TikTok. Il pericolo fascismo? Le battaglie per i diritti Lgbtq+? E l'aborto? Ciao, ciao.
Il nemico Meloni non ha pagato. Ne sa qualcosa Enrico Letta che adesso rischia seriamente di capitolare e doversene tornare a Parigi (si spera non col pulmino elettrico, che sennò rischia di rimanere a piedi già a Grenoble). Anche il Pd si è preso una bella tranvata. Secondo partito sì, ma otto punti sotto Fratelli d'Italia e appena quattro sopra Conte. Hanno puntato tutto sulla carta "se arrivano le destre..." e hanno perso miseramente. A riprova del fatto che la bolla di influencer e cantanti non vale niente. I consensi non si misurano a suon di pollicioni alzati né di cuoricioni rossi su una foto, ma sulle ics che gli italiani imbustano nelle urne elettorali. E così Elodie può sbraitare quanto vuole, i Ferragnez possono chiamare alle armi i loro follower e la Jebreal può continuare a lanciare strali: quello che conta davvero sono i voti. Quello è il Paese reale. È la democrazia. Con buona pace di Debora Serracchiani che non riesce ancora a spiegarselo.
Il racconto dell’influencer. Comincia la resistenza Instagram contro il patriarcato meloniano e altre questioni epocali. Guia Soncini su L'Inkiesta il 27 Settembre 2022.
Gli attivisti social solidarizzano con chiunque, tranne che coi poveri lavoratori costretti a gestire i loro vanesi capricci durante il voto. Viviamo in un’epoca di intellettuali che ritengono che una battutaccia sia più grave della povertà
«Oggi inizia la resistenza», twitta Francesca Michielin, che di mestiere presenta X Factor, ma è evidentemente pronta non dico a salire sulle montagne col mitra ma almeno ad andare a Cortina con un paio di sci nuovi (spero che gli impianti ampezzani di neve finta siano migliorati rispetto ai miei tempi, quando la rivoluzione volevamo farla, pensa te, contro la Dc, ma almeno non avevamo luoghi pubblici in cui dichiarare la nostra scemenza giovanile).
Il giorno prima, mentre l’Italia votava come ampiamente previsto Giorgia Meloni, la sinistra dell’Instagram s’indignava per le stronzate, come aveva fatto per tutto il resto della campagna elettorale e della vita.
È normale che sia così: siamo una società in cui il benessere è diffuso e i bisogni primari sono soddisfatti, ci resta tempo per occuparci di stronzate e quindi lo facciamo. Il dettaglio grave è l’apparente incapacità di distinguere tra le stronzate e le cose serie, riuscendo ad avere l’approccio sbagliato a entrambe.
L’elettore che s’informava dall’indignatissima militanza di Instagram non sapeva in che modo i candidati a governare questo miserabile paese intendessero affrontare il problema della scuola, che produce analfabeti che da grandi ci spiegheranno il mondo su Instagram; non sapeva in che modo intendessero affrontare la sanità, che la militanza sa solo di volere gratuita salvo poi trasecolare se ci sono attese di mesi per esami che non si pagano e quindi conviene farli; non sapeva che cosa nessuno dei candidati pensasse delle cose rilevanti, ma solo di quelle che la militanza di Instagram aveva deciso essere dirimenti.
E cioè: i temi identitari e quelli da studenti fuori sede. Come si pone il candidato rispetto alla schwa? Come rispetto al far votare il puccettone di mamma sua che a quarant’anni è ancora residente al paesello così mammà se lo detrae dalle tasse? Come, giuro che girava uno schemino con questa fondamentale informazione, rispetto al numero chiuso nelle università?
Fuori dall’Instagram, quelli che si prendevano il disturbo di andare a votare (sempre meno: chissà come mai, con tutto il lavoro che fa per noi la militanza di Instagram, siamo proprio degli ingrati) cercavano un candidato che gli promettesse che scaldare casa non gli sarebbe costato un rene, che quando il medico di base va in pensione fosse possibile trovar posto da un altro, che all’asilo ci fosse posto per puccettone.
Dentro l’Instagram, ci si scandalizzava forte. L’attivista Corinna De Cesare, più o meno quarantenne, indignata perché il presidente di seggio si sarebbe risentito per la di lei maglietta con scritto «Fuck patriarcato», traumatizzando anche la di lei figlia seienne che «assisteva a un abuso», faceva una sleppa di storie di Instagram taggando Beppe Sala, il quale avrà dovuto smettere di fotografarsi leggendo i suoi stessi libri per ascoltare le cronache del tizio che aveva detto alla De Cesare «La segnalo alla Digos» (qualunque cosa questa frase significhi).
Quello che ci meritiamo sono evidentemente attiviste quarantenni che pensano i seggi elettorali siano di competenza del sindaco (d’altra parte anche Chiara Ferragni, nelle sue storie Instagram sulla sicurezza a Milano, taggava il sindaco e non il prefetto; ma lei almeno è multimilionaria).
L’attivista Cathy La Torre, anche lei adulta, dedicava la sua sleppa di storie Instagram allo scandalo d’ogni tornata elettorale o referendaria. Appena la militanza di Instagram entra in un seggio, scopre l’atroce verità che l’elettorato è mammifero epperciò le file sono divise in maschi e femmine, e si costerna, s’indigna, s’impegna a cambiare le cose – sì, insomma: a ricavare da questo scandalo dei cuoricini.
Quindi Cathy La Torre avrebbe detto allo scrutatore che voleva verbalizzare la protesta per la grave discriminazione verso «le persone non binarie (come me)». Prima ancora che La Torre arrivasse alle storie successive, quelli in cui diceva «noi donne» (l’identità è fluida, sciocchi: perché vi stupite), lo scrutatore già l’aveva sfanculata. Cafone. Ma non finisce qui: La Torre promette querela. Lo scrutatore l’avrebbe diffamata dicendole «pazza». Ha quindi diffamato quella della storia «noi donne», non quella non binaria, se ho capito bene come funzionano le lingue romanze.
Spero che prima o poi questa obiezione trovi ascolto e le file vengano formate per ordine alfabetico: non vedo l’ora di leggere post e storie e tweet su come la divisione A-L M-Z discrimini i dislessici che non sono in grado di capire in che gruppo sia il loro cognome, e minacce di denunce di coloro che saranno passati a militare contro questo nuovo sopruso.
(È comunque inspiegabile che negli schemini di Instagram non fosse segnalata la posizione dei partiti rispetto alle lentezze della giustizia da eccesso di fascicoli e di cause a casaccio, un problema che a ogni fisima elettorale mi appare più chiaro).
L’attivista di Twitter Tomaso Montanari – ormai cinquant’anni e quindi più nessun margine di miglioramento – intanto fotografava la protesta che aveva costretto gli scrutatori a mettere a verbale, quella contro la legge elettorale. Gli attivisti social solidarizzano con chiunque, tranne che coi poveri lavoratori dei seggi costretti a gestire i vanesi capricci degli attivisti.
Non sono solo loro, eh. È un contagio di militanza sempre e solo sulle cazzate. Il loro pubblico, pur di piacere al proprio beniamino, è lieto di dire che adesso farà verbalizzare la protesta contro la legge elettorale anche lui (altri scrutatori che bestemmiano), o – ancor meglio – di sentirsi perseguitato. Scrive di temere, ora che ha vinto la Meloni, che il figlio sì e no nato diventi gay e la Meloni corra a portarglielo via. Impegnata come sarà a occupare la Rai e le ferrovie e il resto, cara Vongola75, non ha tempo per la tua prole potenzialmente busona. Il tuo beniamino però non te lo dirà: Vongola75 ha diritto a sentirsi al centro dell’attenzione in quanto potenzialmente perseguitata, e da perseguitata ha il diritto e il dovere di continuare a cuoricinare il suo beniamino.
Magari si trattasse solo di star di Instagram e relativi fan. Il contagio si estende. La scrittrice Chiara Tagliaferri racconta su Instagram che un prete (ve l’ho detto che questo paese l’ha rovinato Fellini) nel suo seggio avrebbe irriso qualche elettore nella fila sbagliata, coi documenti che riportavano un sesso che non corrispondeva a ciò da cui si era travestito (in neolingua: qualche persona in transizione), con le parole «a saperlo andavamo a Casablanca». È un’epoca di intellettuali che ritengono che una battutaccia sia più grave della povertà, più grave delle mancate diagnosi nella sanità pubblica, più grave delle bollette che non puoi permetterti di pagare, più grave del dover aspettare anni per una sentenza perché i tribunali devono smaltire prima tutti gli esibizionisti delle querele.
È anche un’epoca piena di tic lessicali, per cui se glielo dici, che ci sono gerarchie di gravità, vieni accusato di «benaltrismo». I diritti, ti spiegano con la cantilena di chi usa frasi che suonano bene senza interrogarsi sul loro senso, non sono una torta: se dai una fetta a qualcuno non la levi a qualcun altro. Eh, no, pulcino: le risorse sono una quantità finita, e i diritti per tutelare i quali non allochi risorse non sono diritti, sono cuoricini di Instagram. Speriamo capiscano la differenza tra la vita e Instagram prima di salire in montagna: lo sapranno che, mentre sono nascosti da qualche parte a organizzare la resistenza, non devono geolocalizzarsi negli autoscatti?
Promossi e bocciati.
I primi eletti: il ministro degli Esteri è fuori dal Parlamento. Uninominali, eletti Cucchi, Rauti e Santanché: Casini batte Sgarbi, che mazzata per Di Maio e Marcucci. Redazione su Il Riformista il 26 Settembre 2022
Ilaria Cucchi, Daniela Santanché, Claudio Lotito, Sergio Costa sono i primi candidati eletti nei collegi uninominali del Senato. Brutta sconfitta per Luigi Di Maio che rischia di non rientrare in Parlamento.
Il primo a essere scrutinato, secondo i primi dati reali elaborati da Quorum per SkyTg24, è quello di Firenze dove è stata eletta Ilaria Cucchi (Sinistra italiana).
Cucchi ha superato, in un collegio che era considerato blindato per il centrosinistra, Federica Picchi candidata del centrodestra. “Festeggiamo la nostra prima senatrice, Ilaria Cucchi!”. Con questo annuncio scatta il brindisi e l’applauso nel quartier generale dell’alleanza Verdi-Sinistra al Caffè Letterario in via Ostiense a Roma.
La stessa Cucchi commenta sui social: “Era il 3 novembre 2009. Mi trovavo in Senato per ascoltare il Ministro Alfano che era stato chiamato a riferire su come e perchè fosse morto Stefano Cucchi, quando era in stato di arresto, nelle mani dello Stato. Momenti terribili. Ora tornerò lì da Senatrice. Sono consapevole della gravità del momento storico che sta vivendo il mio Paese ma non dovrò avere timore. Stefano sarà con me. So che è fiero di me e che mi sta dicendo che dovrò mantenere le promesse fatte a coloro che hanno avuto fiducia in me. Dovrò continuare ad essere la voce degli ultimi. Siamo Umanità in marcia”.
Vittoria anche per Claudio Lotito, per il centrodestra, in Molise in un collegio che alla vigilia era ritenuto blindato per il centrodestra. Il presidente della Lazio ha superato Ottavio Balducci del M5s, Rossella Gianfagna del centrosinistra.
Elezione certa anche per Daniela Santanché nel collegio senatoriale di Cremona. La candidata di centrodestra avrebbe sconfitto il candidato del centrosinistra Carlo Cottarelli, che potrebbe comunque entrare comunque in Parlamento con il proporzionale.
Emma Bonino batte Carlo Calenda nel maxi collegio uninominale Lazio 2, compreso tra la città metropolitana di Roma Capitale e la provincia di Viterbo ma non riesce ad avere la meglio di Lavinia Mennuni, la candidata della coalizione di centrodestra.
Secondo i dati YouTrend, nel collegio uninominale Napoli Fuorigrotta della Camera Sergio Costa (M5S) è eletto deputato con il 41%. Sconfitti Luigi Di Maio (centrosinistra) con il 21%, Mara Carfagna (Az/IV) e Mariarosaria Rossi (Centrodestra). Impossibile l’elezione di Di Maio nei collegi plurinominali perché Impegno Civico è sotto la soglia dell’1% dei voti, non contribuendo quindi al risultato complessivo della coalizione di centrosinistra. L’ex capo politico del Movimento 5 Stelle è fuori dal Parlamento dopo 10 anni.
Pierferdinando Casini (centrosinistra) è eletto senatore del collegio uninominale di Bologna. L’ex presidente della Camera ha sconfitto Vittorio Sgarbi (centrodestra) dopo un testa a testa avvincente.
Sconfitta anche per l’ex capogruppo del Pd Andrea Marcucci nel collegio uninominale di Livorno: vince Manfredi Potenti del centrodestra. “E’ probabilmente il risultato più basso o uno dei più bassi del centrosinistra nella storia. Con questi dati, prendo atto anche della mia sconfitta nel collegio toscano dove ero candidato. I risultati vanno sempre rispettati, auguro buon lavoro al senatore Manfredi Potenti” commenta su Twitter Marcucci.
E’ statisticamente certa, secondo l’elaborazione di Quorum/Youtrend per SkyTg24, l’elezione di Silvio Berlusconi nel collegio uninominale del Senato di Monza, dove, per il centrosinistra, era candidata Federica Perelli. Nel collegio al Senato di Sesto San Giovanni, ex Stalingrado d’Italia (ma già alla seconda legislatura con un sindaco di centrodestra), Isabella Rauti di FdI sta surclassando il pd Emanuele Fiano (46,49% contro il 29,97%).
Promossi e bocciati. Tutti i candidati eletti alla Camera e al Senato: chi entra e chi esce dal nuovo Parlamento. Redazione su Il Riformista il 27 Settembre 2022
Nel nuovo Parlamento composto da 400 deputati e 200 senatori, il centrodestra avrà dalla sua 115 senatori e 237 deputati. Il centrosinistra 85 deputati a Montecitorio e 44 senatori a Palazzo Madama. Nello specifico il primo partito italiano, Fratelli d’Italia guidato da Giorgia Meloni, potrà contare su 66 senatori e 119 deputati.
La Lega di Matteo Salvini avrà 29 senatori e 67 deputati. Forza Italia di Berlusconi 18 senatori e 44 deputati. Un senatore e un deputato per il Maie, il Movimento associativo italiani all’estero elegge un senatore e un deputato. Bottino magro per la lista Noi Moderati, che ha corso in coalizione col centrodestra: un senatore e 7 deputati. Per Coraggio Italia del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, entra un solo senatore e nessun deputato.
Nel centrosinistra, il Pd di Enrico Letta avrà 40 senatori e 69 deputati. La lista che metteva insieme Sinistra Italiana e i Verdi ha eletto 4 senatori e 12 deputati. Più Europa di Emma Bonino (che non ce l’ha fatta) porta in Parlamento appena due deputati. Un solo deputato, che ha vinto nel collegio uninominale a Milano, per Impegno Civico di Luigi Di Maio: si tratta di Bruno Tabacci, eletto alla Camera. Vallée d’Aoste: per la lista in coalizione con il centrosinistra è stato eletto un solo deputato.
Nel Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte ci saranno 28 senatori e alla Camera 52 deputati. Mentre il Terzo Polo (Azione e Italia Viva) di Carlo Calenda e Matteo Renzi ottiene 9 senatori e 21 deputati.
Infine il partito autonomista Svp porta alla Camera 3 deputati e a Palazzo Madama 2 senatori. Mentre Sud chiama Nord di De Luca ha eletto un deputato e un senatore.
CHI ENTRA E CHI ESCE: TUTTI I DEPUTATI ELETTI
Silvio Berlusconi torna al Senato, Emma Bonino e Luigi Di Maio fuori dal Parlamento. Debutto invece per Ilaria Cucchi, Claudio Lotito, Rita Dalla Chiesa e il virologo Andrea Crisanti.
Il Cav ottiene il seggio Lombardia U06, quello di Monza, conquistando oltre il 50% dei voti espressi nell’intero collegio. Ad uscire di scena c’è invece la ormai ex senatrice Emma Bonino, battuta insieme a Carlo Calenda nel collegio uninominale di Roma centro dall’esponente di FdI Lavinia Mennuni. Tra i grandi esclusi della XIX legislatura che si appresta ad aprirsi il ministro degli Esteri e fondatore di Impegno Civico, Luigi Di Maio, sconfitto nel collegio uninominale di Napoli-Fuorigrotta dall’ex compagno di partito ed ex ministro dell’Ambiente M5S, Sergio Costa. Terza, nello stesso collegio, Maria Rosaria Rossi (centrodestra) e solo quarta la ministra per il Sud, Mara Carfagna, candidata del Terzo polo (eletta però nel collegio proporzionale della Puglia). Fuori dal Parlamento anche tutti gli altri esponenti di Ic, a livello nazionale fermo sotto l’1%, come Vincenzo Spadafora, Lucia Azzolina e Manlio Di Stefano. Unico a spuntarla Bruno Tabacci, politico di lungo corso e sottosegretario uscente alla Presidenza del Consiglio, eletto nel collegio uninominale della Camera Lombardia 1 (Milano).
Tra le forze politiche che non raggiungono la soglia del 3% anche ItalExit e Unione popolare: nessun seggio, dunque, né per Gianluigi Paragone – eletto al Senato nel 2018 con i 5 Stelle e poi espulso dal Movimento – né per l’ex magistrato ed ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Poco sotto il 3% anche +Europa, che però annuncia richiesta di riconteggio. Manca la riconferma il senatore leghista Simone Pillon: “Il mio seggio non è scattato – spiega – ma io non mi arrendo. Resto a disposizione della Lega e del centrodestra e continuerò a difendere la vita, la famiglia e i valori cristiani dove e come Dio vorrà”.
Mentre a Palazzo Madama debutta Ilaria Cucchi, attivista e sorella di Stefano, il giovane ucciso a Roma nel 2009 mentre era in custodia cautelare, eletta con il 40% nel collegio uninominale di Firenze sotto il simbolo Alleanza Verdi Sinistra. La spunta anche il compagno di lista e sindacalista, Aboubakar Soumahoro, fermo in seconda posizione dopo Daniela Dondi (centrodestra) nel collegio uninominale di Modena ma ripescato nel proporzionale. Centra l’obiettivo anche il presidente della Lazio Claudio Lotito, eletto all’uninominale per il Senato in Molise sotto il simbolo di Forza Italia.
Lato centrosinistra, Pier Ferdinando Casini, candidato a Montecitorio, batte all’uninominale Vittorio Sgarbi (centrodestra) nel ‘fortino’ rosso di Bologna. Salvo l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, questa volta in corsa per FdI, battuto dal segretario di +Europa Benedetto Della Vedova nel collegio uninominale di Milano per la Camera ma ‘ripescato’ nel proporzionale. Per +Europa, invece, l’unico altro rieletto è Riccardo Magi a Torino.
Diventa senatore Andrea Crisanti candidato come capolista del centrosinistra nella circoscrizione estero per il Senato. “Non ho mai fatto una campagna elettorale prima d’ora, sono soddisfatto di un risultato elevatissimo che non mi aspettavo”, commenta il virologo a LaPresse, diventato noto durante la pandemia. Tra i big del Pd, perdono il posto in Parlamento Emanuele Fiano – battuto da Isabella Rauti di FdI nel collegio uninominale di Sesto San Giovanni, l’ormai ex Stalingrado d’Italia – Andrea Marcucci, Stefano Ceccanti, Filippo Sensi e Monica Cirinnà. Fuori anche l’ex ministra di Iv, Teresa Bellanova. Resta in Senato, invece, la presidente Maria Elisabetta Casellati. Dalla tv a Montecitorio la conduttrice di Mediaset Rita Dalla Chiesa, candidata azzurra ed eletta deputata in Puglia. Risultato negativo per l’economista Carlo Cottarelli, candidato per il Pd al Senato nel collegio uninominale di Cremona, dove però prevale la pasionaria di Fratelli d’Italia Daniela Santanché. L’ex ‘mr. spending review’ si salva però grazie al proporzionale.
TUTTI I CANDIDATI ELETTI IN PARLAMENTO
SCARICA L’ENCO PROVVISORIO NON ANCORA DEFINITIVO
Gli eletti alla Camera per il centrodestra
Andreuzza Giorgia
Arruzzolo Giovanni
Bagnai Alberto
Bagnasco Roberto
Battilocchio Alessandro
Battistoni Francesco
Bellomo Davide
Benvenuti Gostoli Stefano Maria
Bicchielli Giuseppe
Bisa Ingrid
Bitonci Massimo
Bordonali Simona
Brambilla Michela Vittoria
Buonguerrieri Alice
Caiata Salvatore
Calderone Tommaso
Antonino Calovini
Giangiacomo Candiani
Stefano Cangiano
Gerolamo Cannata
Giovanni Luca
Cannizzaro Francesco
Caparvi Virginio
Cappellacci Ugo
Caretta Maria Cristina
Carloni Mirco
Casasco Maurizio
Cattaneo Alessandro
Cattoi Vanessa
Cavandoli Laura
Cavo Ilaria
Cesa Lorenzo
Ciaburro Monica
Ciancitto Francesco
Maria Salvatore
Ciocchetti Luciano
Coin Dimitri
Colosimo Chiara
Colucci Alessandro
Comaroli Silvana
Congedo Saverio
Coppo Marcello
Crippa Andrea
D’Attis Mauro
Dalla Chiesa Rita
Dara Andrea
De Bertoldi Andrea
De Corato Riccardo
Delmastro Delle Vedove Andrea
Dondi Daniela
Ferro Wanda
Fontana Lorenzo
Foti Tommaso
Frassinetti Paola
Frassini Rebecca
Freni Federico
Furgiuele Domenico
Gardini Elisabetta
Gatta Giacomo
Gava Vannia
Giagoni Dario
Giglio Vigna Alessandro
Giorgetti Giancarlo
Giorgianni Carmen Letizia
Giovine Silvio
Gusmeroli Alberto Luigi
Iaia Dario
Lampis Gianni
Latini Giorgia
Lupi Maurizio
Maccanti Elena
Malaguti Mauro
Mantovani Lucrezia Maria Benedetta
Fascina Marta
Maschio Ciro
Matera Mariangela
Matone Simonetta
Mazzetti Erica
Meloni Giorgia
Minardo Antonino
Molinari Riccardo
Molteni Nicola
Montaruli Augusta
Montemagni Elisa
Morrone Jacopo
Nevi Raffaele
Nisini Tiziana
Nordio Carlo
Osnato Marco
Ottaviani Nicola
Palombi Alessandro
Panizzut Massimiliano
Pella Roberto
Pellicini Andrea
Pierro Attilio
Pisano Calogero
Polo Barbara
Raimondo Carmine Fabio
Rampelli Fabio
Ravetto Laura
Rixi Edoardo
Rizzetto Walter
Romano Francesco Saverio
Rossello Cristina
Rossi Fabrizio
Rotondi Gianfranco
Rotelli Mauro
Rubano Francesco Maria
Ruspandini Massimo
Saccani Gloria
Sasso Rossano
Semenzato Martina
Sorte Alessandro
Stefani Alberto
Sudano Valeria Maria Carmela
Tajani Antonio
Tenerini Chiara
Testa Guerino
Trancassini Paolo
Varchi Maria Carolina
Vietri Maria Immacolata
Ziello Edoardo
Zucconi Riccardo
Gli eletti alla Camera per il centrosinistra
Bonelli Angelo
Ciani Paolo
Della Vedova Benedetto
De Maria Andrea
Fossi Emiliano
Gianassi Federico
Magi Riccardo
Malavasi Ilenia
Merola Virginio
Morassut Roberto
Pastorino Luca
Tabacci Bruno
Gli eletti alla Camera per il Movimento 5 stelle
Aiello Davide
Amato Gaetano
Auriemma Carmela
Carotenuto Dario
Caso Antonio
Costa Sergio
Di Lauro Carmela
Orrico Anna Laura
Pellegrini Marco
Penza Pasqualino
Gli eletti alla Camera per Azione e Italia Viva
Antonio D’Alessio
Daniela Ruffino
Davide Faraone
Elena Bonetti
Enrico Costa
Ettore Rosato
Fabrizio Benzoni
Francesco Bonifazi
Giulia Pastorella
Giulio Cesare Sottanelli
Giuseppe Castiglione
Luigi Marattin
Maria Chiara Gadda
Maria Elena Boschi
Mara Carfagna
Matteo Richetti
Mauro Del Barba
Naike Gruppioni
Roberto Giachetti
Valentina Grippo
Gli eletti alla Camera per De Luca sindaco d’Italia
Gallo Francesco
Gli eletti alla Camera per Südtiroler Volkspartei
Gebhard Renate
Schullian Manfred
Gli eletti alla Camera per Vallée d’Aoste
Franco Manes
Sono 74 i seggi uninominali assegnati al Senato: 59 sono andati al centrodestra, 7 alla coalizione di centrosinistra, 5 al Movimento 5 stelle, 2 al Südtiroler Volkspartei, uno al movimento dell’ex sindaco di Messina Cateno De Luca.
Gli eletti al Senato per il centrodestra
Alberti Casellati Maria Elisabetta
Ambrogio Paola
Balboni Alberto
Bergesio Giorgio Maria
Berlusconi Silvio
Bernini Anna Maria
Berrino Giovanni
Biancofiore Micaela
Bizzotto Mara
Bongiorno Giulia
Borghesi Stefano
Centinaio Gian Marco
Ciriani Luca
Cosenza Giulia
Craxi Stefania
De Carlo Luca
De Poli Antonio
Durigon Claudio
Fallucchi Anna Maria
Farolfi Marta
Fazzone Claudio
Garnero Santanchè Daniela
Iannone Antonio
La Pietra Patrizio Giacomo
La Russa Ignazio Benito Maria
Leonardi Elena
Liris Guido Quintino
Lotito Claudio
Marti Roberto
Melchiorre Filippo
Mennuni Lavinia
Mieli Ester
Minasi Clotilde
Murelli Elena
Musumeci Nello
Nastri Gaetano
Nocco Vita Maria
Pera Marcello
Petrenga Giovanna
Petrucci Simona
Pirovano Daisy
Potenti Manfredi
Pucciarelli Stefania
Rapani Ernesto
Rauti Isabella
Romeo Massimiliano
Ronzulli Licia
Russo Raoul
Sallemi Salvatore
Silvestroni Marco
Sisto Francesco Paolo
Speranzon Raffaele
Spelgatti Nicoletta
Terzi di Sant’Agata Giuliomaria
Testor Elena
Tosato Paolo
Zaffini Francesco
Zangrillo Paolo
Zedda Antonella
Gli eletti al Senato per il centrosinistra
Casini Pier Ferdinando
Cucchi Ilaria
Giorgis Andrea
Misiani Antonio
Patton Pietro
Rando Vincenza
Spagnolli Luigi
Gli eletti al Senato per il Movimento 5 stelle
Bevilacqua Dolores
Castellone Maria Domenica
De Rosa Raffaele
Lopreiato Ada
Mazzella Orfeo
Gli eletti al Senato per Azione e Italia Viva
Barbara Masini
Carlo Calenda
Daniela Sbrollini
Giuseppina Versace
Lisa Noja
Marco Lombardo
Maria Stella Gelmini
Matteo Renzi
Raffaella Paita
Gli eletti al Senato per De Luca sindaco d’Italia
Musolino Dafne
Gli eletti al Senato per Südtiroler Volkspartei
Unterberger Juliane
Durnwalder Meinhard
Gli eletti nel proporzionale alla Camera
Nel proporzionale, i seggi conquistati alla Camera dal centrodestra sono 114: Fratelli d’Italia ha 69 seggi, la Lega 23, Forza Italia 22 e nessuno Noi Moderati. Al centrosinistra vanno 68 seggi: 57 per il Pd, 11 per Alleanza Verdi-Sinistra, nessuno per +Europa e Impegno Civico. Per il M5S 41 seggi, 21 per il Terzo Polo e 1 per Südtiroler Volkspartei.
Gli eletti nel proporzionale al Senato
Al Senato, nel proporzionale per il centrodestra sono stati eletti 56 candidati: 34 di FdI, 13 della Lega, 9 di Fi. Per il centrosinistra, dei 34 eletti nella quota proporzionale ci sono 31 del Pd e 3 dell’Alleanza Verdi-Sinistra. Nel M5S sono 23 gli eletti nel proporzionale. Per Azione-Italia Viva tutti i 9 senatori sono stati eletti nel proporzionale.
Elezioni politiche 2022, non solo Di Maio: i grandi esclusi. Luigi Di Maio non è stato eletto, ma non è l'unico escluso dal prossimo Parlamento: chi sono gli esclusi..Tag24.it il 26 settembre 2022.
Il combinato disposto tra legge Rosato e taglio dei Parlamentari ha reso pericoloso, per alcuni, il gioco delle elezioni politiche 2022. Ne abbiamo avuto un saggio anche nella fase preparatoria all’appuntamento quando tra seggi bloccati e contendibili, alleanze fatte e disfatte, i vari partiti si sono mossi con l’obiettivo di creare terreno favorevole. I rischi erano tanti e questa nottata li ha rivelati tutti quanti: sono diversi, infatti, i politici rimasti esclusi. Alcuni nomi, anche di spicco, non entreranno nel prossimo parlamento. Vediamo di chi si tratta.
Gli esclusi: chi non entra in Parlamento
Luigi Di Maio è il caso più eclatante. L’ex grillino, dopo la fuoriuscita dal Movimento 5 Stelle, ha tentato la strada nel centrosinistra con il contrassegno di Impegno Civico. Il Ministro uscente ha perso, nell’uninominale di Fuorigrotta, contro il pentastellato Costa. Per Di Maio è una condanna: è fuori dal prossimo Parlamento.
In attesa di dati ufficiali, sono con un piede fuori anche Stefano Ceccanti ed Emanuele Fiano. I due del PD sono stati nomi chiacchierati e, addirittura, a rischio taglio da parte di Enrico Letta. Il sacrificio sull’altare della tenuta della coalizione non è avvenuto, ma l’esclusione dal Parlamento (probabilmente) sì. Il primo nel collegio di Pisa, il secondo in quello di Sesto San Giovanni, sono in netto svantaggio sui candidati di centrodestra. Stessa sorte è toccata a Monicà Cirinnà, perdente a Fiumicino contro Ester Mieli.
Vittorio Sgarbi è in svantaggio, a Bologna, contro Casini. Lo sbarramento per Noi Moderati è lontano, e questo preclude al critico d’arte la possibilità di essere ripescato con il proporzionale. Analogo discorso vale per Emma Bonino: la leader di +Europa ha vinto il derby romano con Calenda, ma ad aggiudicarsi il seggio sarà – trend alla mano – Livia Mennuni del centrodestra. Se +Europa non dovesse superare lo sbarramento – allo stato attuale è borderline – Bonino resterebbe fuori dal Parlamento.
Sono già fuori, invece, Gianluigi Paragone e Luigi De Magistris. Le rispettive formazioni politiche, Italexit ed Unione Popolare, non raggiungono la soglia di sbarramento del 3% ed escludono i due leader del Parlamento.
Da corriere.it il 26 settembre 2022.
Un solo voto. Tanto basta per essere dentro o fuori al Senato o alla Camera (salvo poi l’eventuale ripescaggio al proporzionale). La sfida nei collegi uninominali prevede una semplice regola: vince chi prende più voti, anche uno solo. Per Palazzo Madama ci sono 74 seggi a disposizione; alla Camera sono 147. E, come segnala Quorum/Youtrend, la sfida nei collegi uninominali «indica una predominanza del centrodestra con poche aree in cui il centrosinistra è in testa e diversi collegi (in Toscana, Emilia-Romagna e nel Sud) ancora contendibili».
A Bologna, la sfida dentro-fuori era tra l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini (centrosinistra) e Vittorio Sgarbi (centrodestra), battuto dopo un testa a testa fino all’ultimo voto. A Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia, la battaglia per il Senato la vince Isabella Rauti, figlia del leader Msi Pino, ex moglie di Gianni Alemanno (ex An) e candidata di Fratelli d’Italia, con oltre il 45%, contro circa il 30% di Emanuele Fiano (Pd), figlio del sopravvissuto ad Auschwitz Nedo. Daniela Santanché (FdI) batte Carlo Cottarelli (centrosinistra) per il Senato a Cremona.
Sconfitta per Luigi Di Maio che resta fuori dal Parlamento. Era in corsa con il centrosinistra nel collegio Napoli Fuorigrotta contro la collega di governo Mara Carfagna (Azione-Italia viva) e Sergio Costa (ex ministro dell’Ambiente). A Roma lo scontro tra i due ex alleati Emma Bonino-Carlo Calenda vede vittoriosa la leader di +Europa che supera il 33% con il centrosinistra, ma non basta: davanti a lei c’è Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia con oltre il 36%. Per il leader di Azione poco più del 13%. A Milano centro, per la Camera, Benedetto Della Vedova di +Europa guida il centrosinistra contro lo sfidante Giulio Tremonti, ex ministro del governo Berlusconi oggi in corsa con Fratelli d’Italia. Ma in Toscana, l’uninominale al Senato va a Manfredi Potenti (centrodestra) che batte il pd Andrea Marcucci. In Molise, Claudio Lotito viene eletto senatore con il centrodestra. Anche Silvio Berlusconi vince un seggio al Senato nell’uninominale di Monza e torna in Parlamento.
Firenze, Ilaria Cucchi in Senato: «Non deluderò, sarò la voce degli ultimi»
(Marco Gasperetti) Una delle sfide elettorali più interessanti della Toscana, quella del Senato, uninominale 4 di Firenze, che comprende anche l’area metropolitana e la piana fiorentina, se l’è aggiudicata il centrosinistra. Ilaria Cucchi (Sinistra Italiana) già dalla notte era nettamente in testa (oltre il 40,5%) sulla candidata del centrodestra Federica Picchi di Fdi (poco meno del 30%) e sull’attuale vice presidente della Regione Toscana, Stefania Saccardi (Azione Iv) che si attestava intorno al 13%. La campagna elettorale si è giocata su un argomento fortissimo e trasversale: il potenziamento dell’aeroporto di Firenze, sul quale Cucchi si è espressa negativamente per il potenziamento (le altre due candidate, Picchi e Saccardi, erano a favore). «Non deluderò chi mi ha votato, sarò la voce degli ultimi», ha detto la vincitrice.
Rita Dalla Chiesa eletta in Puglia per FI
Dalla tv a Montecitorio, è il salto che farà Rita Dalla Chiesa che ha vinto in Puglia il seggio uninominale. Candidata da Forza Italia nel collegio Bari- Molfetta, ha raccolto 78.920 voti, il 40,52% delle preferenze. La conduttrice ha staccato di circa 15 punti il pentastellato Nicola Grasso (25,87%), costituzionalista, e l’ex sindaco di Bitonto, Michele Abbaticchio (25,13%), «delfino» del sindaco di Bari, Antonio Decaro.
Marta Fascina vince a Marsala (dove non è mai andata)
Marta Fascina, la compagna dell’ex premier Silvio Berlusconi, è vicinissima ad essere rieletta deputata alla Camera nel collegio di Marsala (Trapani), dove era candidata nell’uninominale. Fascina, appoggiata dal centrodestra, ha un vantaggio ormai incolmabile con il 36,22 per cento sul 27,37 di Martinciglio. Al terzo posto Antonio Ferrante, del centrosinistra. Nelle scorse settimane, a Marsala, era stata sollevata una polemica per la mancata presenza di Marta Fascina nel suo collegio.
Sassari, Pera arriva primo a casa di Gavino Manca: un toscano in Sardegna
(Claudia Voltattorni) Un sardo doc contro un toscano doc. Nel collegio Sardegna 02, quasi 700 mila elettori che comprende le province di Sassari, Olbia, Nuoro, Oristano e Ogliastra, c’è stata la sfida per un posto al Senato tra il sassarese già deputato del Pd,il 52enne Gavino Manca in corsa per il centrosinistra, e l’ex presidente del Senato Marcello Pera, 79 anni, lucchese, scelto direttamente da Giorgia Meloni per correre con Fratelli d’Italia e il centrodestra che guida la regione dal 2019 con Christian Solinas. E appena candidato Pera ha messo le mani avanti riconoscendo che «mi rendo conto di essere stato catapultato in Sardegna, ma è colpa della legge elettorale», promettendo però «saprò farmi conoscere dai sardi». E però secondo Manca, «chi l’ha mai visto?». Il risultato finale gli dà torto: la vittoria va all’ex presidente del Senato.
Roma centro, e alla fine nella capitale tra i due grandi rivali spunta Mennuni di FdI
(Claudia Voltattorni) Quella nel collegio uninominale Lazio 02 per il Senato è una sfida tra ex. E forse proprio per questo si è trasformata in una delle battaglie più agguerrite della campagna. Carlo Calenda contro Emma Bonino, su fronti opposti nel collegio di Roma centro, quasi 900 mila elettori.
Meno di due mesi fa erano alleati con i rispettivi partiti, Azione e +Europa, ed erano pronti a correre insieme con il Pd, ma lo strappo di Calenda e la decisione di andare avanti da solo ha creato la frattura e tra i due ex soci è stato tutto un susseguirsi di accuse e veleni. Con oltre il cinquanta per cento dello spoglio, Emma Bonino (con il 33%) aveva quasi il triplo dei voti di Calenda (11,2%). Ma davanti a entrambi c’era la candidata del centrodestra, Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia (36,9%), già consigliera capitolina. Il candidato dei M5S all’11,2%.
(AGI il 26 settembre 2022) - Bis a Bologna: Pier Ferdinando Casini allunga il passo e per la seconda volta - dopo le elezioni politiche del 2018 - sconfigge il suo diretto avversario nel collegio uninominale del Senato. In campo per il centrosinistra con il 40,7% delle preferenze ha prevalso nettamente su Vittorio Sgarbi, candidato del centrodestra (32,32%).
Dopo quasi 40 anni di vita parlamentare alle spalle la corsa continua. Casini si conferma ancora una volta il vero highlander della politica italiana e si appresta ad affrontare la sua undicesima legislatura. Fu eletto a Montecitorio a soli 27 anni. Molti leader politici si sono bruciati nei decenni, invece, per Casini il Parlamento è diventato un habitat naturale.
Tra i suoi maestri nei primi anni romani ci fu Arnaldo Forlani, di cui diventò uno dei più stretti collaboratori per poi approdare nel 1989 alla direzione nazionale della Democrazia cristiana. "E' partito tutto da qui": si era commosso ieri arrivando alle sue ex scuole elementari nel quartiere Savena di Bologna per votare insieme alla madre.
La scelta del Pd di schierare un ex democristiano in uno dei collegi blindati per il centrosinistra è stata criticata dal alcuni circoli dem. Ma l'ex presidente della Camera non si è mai scomposto. "Non capire il valore della diversità in una coalizione significa precludersi delle possibilità", il suo ragionamento porta a non essere più "prigionieri degli stereotipi di Peppone e Don Camillo". Bolognese doc e grande tifoso rossoblù si è giocato tutte le sue carte sul territorio: pantaloni rossi alle feste dell'Unità, "Bella Ciao" cantata a favor di telecamere.
E anche molto fair play su cui spesso hanno rimbalzato, durante la campagna elettorale, i colpi dell'istrionico critico d'arte. "Chiedo a Mattarella - la frecciata di Sgarbi - di nominare Casini senatore a vita perchè al Senato è come una statua o un orologio". "Benvenuto a Sgarbi a Bologna. In più di 40 anni di vita pubblica non ho mai insultato nessuno, cosa che farò anche in futuro", la replica di Casini. Sorriso, buon umore e grande abilità politica le sue armi, tanto che in 40 anni di vita parlamentare molti avversari sono diventati, se non alleati, suoi estimatori.
Lega, Umberto Bossi non è stato eletto alla Camera. Marco Cremonesi su Il Corriere della Sera il 26 settembre 2022.
Un’altra tegola, clamorosa, si abbatte sulla Lega. Umberto Bossi non è stato eletto. E come lui, non è stato eletto il tesoriere del partito Giulio Centemero. È il risultato del sempre cabalistico “flipper” che scatta nella ripartizione dei seggi tra i partiti, in cui giocano un ruolo le percentuali di voto anche in relazione a quanto acquisito dagli altri partiti. Fatto sta che pare ormai certo: dopo 35 anni il fondatore della Lega sarà escluso dal Parlamento italiano. Un’amara parabola che era francamente difficile da prevedere: Bossi era il capolista del plurinominale per la Camera a Varese, la città in cui ha fondato l’allora Carroccio.
I risultati delle elezioni Lo Speciale del Corriere Giorgia Meloni, una lunga corsa partita con l’1,96% Il Senatùr in corsa per un seggio alla Camera Il programma di Fratelli d’Italia Fiorello fa satira su Giorgia Meloni: «Ora cambia tutto, non ci saranno più tasse e pagheranno loro le bollette» Le reazioni del Cremlino ai risultati delle elezioni e alla vittoria di Giorgia Meloni: «Pronti ad accogliere chi ha atteggiamento costruttivo» Giorgia Meloni: «Mio padre in fuga. Mia madre stava per abortire, poi decise di tenermi»
Centemero, uomo chiave della Lega a trazione Salvini, guidava la lista in un’altra roccaforte, Bergamo. È vero che i numeri dei due capoluoghi pedemontani hanno seguito le sorti della Lega, ma è anche vero che in entrambi i collegi il partito ha superato il 13%. Ma non c’è nulla da fare. Non per il fondatore, non per il tesoriere, già capogruppo della Lega in commissione Finanze. Il che apre anche altri problemi: in nessun partito il tesoriere è fuori dal Parlamento. Resta tuttavia un’ultima, remota, ipotesi di ripescaggio.
La rabbia di Bossi: "Mi avevano pregato di candidarmi". Paolo Berizzi su La Repubblica il 27 Settembre 2022.
Il padre nobile fuori dal Parlamento dopo 35 anni. Raccolta firme dopo la deblacle: "Una vergogna nazionale"
Imperturbabile, è la versione ufficiale. Ma la realtà è diversa e ai suoi collaboratori più stretti l'ha fornita lui, nel pomeriggio, prima di scendere da Gemonio a Laveno-Mombello per il solito caffè post siesta: "È molto amareggiato, anzi, è inc...to". Il primo problema per Salvini, a crisi deflagrata, era il "Nord", Lombardia e Veneto in primis.
Paolo Berizzi per repubblica.it il 28 Settembre 2022.
Imperturbabile, è la versione ufficiale. Ma la realtà è diversa e ai suoi collaboratori più stretti l'ha fornita lui, nel pomeriggio, prima di scendere da Gemonio a Laveno-Mombello per il solito caffè post siesta: "È molto amareggiato, anzi, è inc...to". Il primo problema per Salvini, a crisi deflagrata, era il "Nord", Lombardia e Veneto in primis. Adesso nel cahier de doléances della Lega c'è anche la questione Bossi: il fondatore, il patriarca.
Fuori dal Parlamento dopo 35 più o meno gloriosi anni. Un'esclusione che, è evidente, aggrava il peso del tracollo leghista alle elezioni di domenica ed è destinata a diventare una miccia, una in più, sotto la poltrona del segretario federale. Bossi era candidato come capolista al proporzionale per la Camera a Varese, la sua città, nonché culla della Lega e del leghismo. Una posizione buona, sulla carta. Ma che non ha dato il risultato sperato dalla cabina di regia che si è occupata degli "incastri" nelle candidature.
Al proporzionale a Varese la Lega non ha ottenuto nessun seggio: e dunque, per il Senatùr, addio Roma. Quando è arrivata l'ufficialità, come prevedibile, è iniziata la rivolta della vecchia Lega. Sotto accusa, Matteo Salvini. "È una vergogna nazionale", tuona Giuseppe Leoni che con Bossi, il 12 aprile 1984, fondò la Lega lombarda. "La brutta figura non la fa Umberto, la fa il partito. Io l'ho votato ma sono mancati i voti e il partito non ha pensato di salvarlo. Altri - aggiunge Leoni, amico personale di Bossi, sempre vicino anche nei momenti della malattia - sono stati candidati in più collegi e eletti in tutti, lui no".
Al fuoco-amico contro i vertici leghisti si sono uniti altri ex big del Carroccio. Tra quelli che hanno alzato la voce, l'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli. Altro bossiano della prima ora. "La mancata elezione di Bossi è un simbolo della debacle della Lega". La questione, in realtà, sembra più complessa.
A renderla pepata è stato lo stesso Bossi. Che di fronte all'esclusione ha provato a glissare. Allontanando i riflettori da se stesso per indirizzarli sulla madre di tutte le sue battaglie politiche: la questione settentrionale. "Il popolo del Nord esprime un messaggio chiaro e inequivocabile che non può non essere ascoltato", è stato il commento al voto arrivato da Gemonio. Una dichiarazione puramente "politica", che ha acceso il fronte anti-salviniano: un fronte che, da 48 ore, è diventato più compatto e determinato.
Sulla mancata elezione, Bossi - sentito dall'AdnKronos - ha usato parole diplomatiche: "Sono contento poiché avevo deciso di non candidarmi. Mi hanno pregato e solo per il rispetto verso la militanza ho accettato".
È chiaro che al vecchio capo non va giù di fare la figura dell'escluso che ci sperava. Quale migliore via di uscita se non mostrare, almeno di facciata, disincanto e disinteresse? Da volpe della politica, il Senatùr sa benissimo che non c'è bisogno di aggiungere altro: l'assenza sui banchi del Parlamento del fondatore della Lega - conseguenza e allo stesso tempo specchio della batosta del partito doppiato da FdI - , basta e avanza, da sola, per spingere la leadership di Salvini ancora più nell'angolo.
Un'accelerazione nella resa dei conti iniziata ieri in via Bellerio. Per uscire dall'imbarazzo, il Capitano ha avanzato la proposta Bossi-senatore a vita (appoggiata anche dal governatore lombardo Attilio Fontana). "Sarebbe il giusto riconoscimento dopo 35 anni al servizio della Lega e del Paese. Porterò avanti personalmente questa proposta".
Malumori placati? Neanche un po'. Per i leghisti della prima ora Salvini è e resta il responsabile del tracollo della Lega. La svolta nazionalista-sovranista impressa al partito - a scapito del Nord - non è mai stata digerita. E adesso c'è chi presenta il conto a Salvini. Ancora Castelli: "La Lega nazionale e centralista è finita. Salvini si vanta di avere il secondo gruppo parlamentare ma mi chiedo: a cosa serve?, non farai nulla per il Nord. L'autonomia non ha fatto un progresso e la gente non se lo scorda".
Frecciate anche da Paolo Grimoldi, ex segretario del movimento regionale. Che a Salvini chiede "maggior rispetto per le persone, per il territorio e per la nostra storia". Grimoldi ha annunciato una raccolta firme per chiedere il congresso lombardo della Lega ("se chiedere democrazia, confronto e rappresentanza è una colpa, mi dichiaro colpevole"). Lo stesso accade in Veneto. La base è in subbuglio. Sullo sfondo, pare di cogliere il ghigno del Senatùr.
Bossi eletto in Lombardia. Calderoli: "Errore del Viminale, è in Parlamento". Salvini polemico: "Parole al vento". La Repubblica il 28 Settembre 2022.
Bossi sembrava escluso dal Parlamento, dopo 35 anni. Ma sul sito del Viminale il fondatore della Lega risulta eletto nel collegio plurinominale di Varese
Per il militanti della Lega, era stata vissita come la fine di un'epoca. Ma soprattutto il simbolo della crisi del partito, crollato così tanto nei consensi elettorali da travolgere anche il suo fondatore. Proprio nello stesso giorno in cui un altro leghista della prima ora come Roberto Maroni lanciava la sfida: "E' ora di un nuovo segretario". La sorpresa era arrivata in una Lombardia in cui Fratelli d'Italia ha doppiato il Carroccio: Umberto Bossi fuori dal Parlamento dopo 35 anni. Adesso, il nuovo ribaltone. No, il Senatur è stato eletto. Anche se, questa volta, il suo posto sarà alla Camera.
E questa non è l'unica sorpresa. Dopo gli ultimi conteggi del ministero dell'Interno, anche Giulio Centemero, tesoriere della Lega, risulta ora eletto in Lombardia.
Salvini e l'elezione di Bossi: "Tutte parole al vento"
Il segretario della Lega Matteo Salvini, che ieri si era dichiarato pronto a proporre il nome di Bossi come senatore a vita, parte subito all'attacco: "Il Viminale riconta le schede e corregge degli errori: Umberto Bossi è eletto in Lombardia. Quante parole al vento", scrive.
Elezioni, perché Umberto Bossi ora compare tra gli eletti
La conferma arriva da Eligendo, il sito del Viminale dedicato alle elezioni del 25 settembre. Ieri, Umberto Bossi non c'era. Ma oggi il fondatore della Lega risulta eletto nel collegio plurinominale di Lombardia 2 (Varese). L'aggiornamento della ripartizione dei seggi proporzionali della Camera dei deputati in alcuni collegi plurinominali (è il caso di quello di Bossi a Varese, che solo oggi appunto appare tra gli eletti) viene pubblicato sul sito "anche a seguito di indicazioni fornite dall'Ufficio Elettorale Centrale Nazionale presso la Corte di Cassazione".
E' quanto precisa il Dipartimento per gli affari interni e territoriali del ministero dell'Interno. "Resta invariato - spiega il Dipartimento - il dato relativo al totale dei seggi attribuiti, a livello nazionale, a tutte le coalizioni e alle liste della Camera dei deputati, anche per i collegi uninominali, nonché la ripartizione dei seggi relativa al Senato della Repubblica.
Bossi in Parlamento, Calderoli: "Un errore del Viminale"
Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, l'uomo dei numeri della Lega, dice: "Il ministero dell'Interno nell'attribuzione provvisoria dei seggi dei collegi plurinominali ha preso un granchio clamoroso. Non lo dico per contestarli, ma solo perché in autotutela, fino a quando il dato non diviene definitivo, possano ancora correggerlo. In base alla corretta applicazione della legge, se questo errore venisse corretto, allora Umberto Bossi tornerebbe in Parlamento. E comunque questa mia osservazione viene confermata tra l'altro dal verbale di domenica 4 marzo 2018 delle operazioni dell'ufficio elettorale nazionale della Cassazione, basta andare a vederlo".
Calderoli è entrato anche nel dettaglio e ha spiegato che cosa sarebbe successo. "Tutto è corretto fino all'attribuzione dei seggi delle coalizioni a livello nazionale, ovvero sulla base della cifra elettorale nazionale di coalizione dei partiti che abbiano superato l'1%. L'errore nasce dal passaggio successivo dove la cifra elettorale di coalizione nella circoscrizione deve comprendere anche i partiti che hanno superato l'1% anche quando questi non hanno raggiunto il 3% perché questo dice la legge, cosa che loro non hanno fatto sottraendo già a livello circoscrizionale la lista di '+Europa', creando una serie di seggi deficitari che coinvolgono 13 circoscrizioni su 28".
Elezioni, il messaggio di Bossi dopo il crollo della Lega: "Il popolo del Nord va ascoltato"
Lo stesso Bossi aveva fatto sapere di essere contento di non essere stato eletto. Perché lui, in realtà, non avrebbe voluto candidarsi, ma visto che glielo hanno chiesto - "Mi hanno pregato" -, lo ha fatto per "rispetto della militanza". Contento, fino a un certo punto. Certo, Bossi non sarà legato al posto che lascia in Parlamento ma alla Lega sì, e della batosta elettorale non è certo soddisfatto. Anzi. L'avviso lanciato non cambia. Dalle urne, ha detto, è arrivato un messaggio "chiaro e inequivocabile" e "il popolo del Nord" che ha lanciato questo messaggio "va ascoltato". Quello del Nord appunto, non della Lega nazionale progetto di Matteo Salvini.
(ANSA il 26 settembre 2022) - A Sesto San Giovanni, nella ormai ex Stalingrado d'Italia, Isabella Rauti ha vinto la sfida per il Senato al collegio uninominale dove ha ottenuto il 45,4% dei voti contro il 30.80 di Emanuele Fiano. Un successo schiacciante per l'esponente di Fdi, figlia di Pino ex segretario del Msi, fra i fondatori della Fiamma tricolore rispetto all'ormai ex deputato Pd, figlio di Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz. Sempre al Senato in Lombardia un'altra esponente di Fdi ha sconfitto un esponente del Pd: a Cremona la coordinatrice regionale Daniela Santanché ha ottenuto il 52,17% dei voti contro il 27,3% di Carlo Cottarelli.
Elezioni, Viminale aggiorna i seggi dopo gli errori: cos'è cambiato. Il Tempo il 28 settembre 2022
Umberto Bossi non lascia il Parlamento. L'esclusione storica del Senatur, che sembrava certa dopo il primo conteggio dei seggi, viene invece smentita dai riconteggi imposti dall'Ufficio elettorale centrale nazionale della Corte di Cassazione. Il quale fornisce indicazioni al Viminale per procedere a un aggiornamento della ripartizione dei seggi proporzionali della Camera dei deputati in alcuni collegi plurinominali. Invece "Resta invariato il dato relativo al totale dei seggi attribuiti, a livello nazionale, a tutte le coalizioni e alle liste della Camera dei deputati, anche per i collegi uninominali, nonché la ripartizione dei seggi relativa al Senato della Repubblica", spiega il ministero dell'Interno, che pubblica sul proprio sito Eligendo i nomi dei nuovi eletti.
Il caso di Bossi è certamente il più eclatante. L'"errore" nel collegio di Varese viene preannunciato dal senatore leghista Roberto Calderoli e poi confermato dal sito del Viminale. "Quante parole al vento", commenta il leader del Carroccio Matteo Salvini, che incassa anche l'elezione del tesoriere del partito Giulio Centemero nel plurinominale di Bergamo. Ma il rimescolamento dei seggi riguarda molti altri collegi da nord a sud e sconta anche il cosiddetto 'effetto flipper', che fa subentrare nuovi candidati a quelli di una stessa lista eletti in altri collegi.
A farne le spese, tra gli altri, c'è Lucia Annibali, deputata uscente di Italia viva e avvocato divenuta simbolo della lotta alla violenza contro le donne: candidata nel collegio Toscana 03 per il terzo polo, perde il seggio a favore del candidato Pd Marco Simiani. In Molise salta invece l'elezione di Caterina Cerroni del Pd, a cui in un primo momento era stata assegnata la vittoria: la presidente nazionale dei giovani dem, tra i capilista under 35 voluti dal segretario Enrico Letta, cederà lo scranno a Elisabetta Lancellotta, candidata di Fratelli d'Italia. In Campania entra Francesco Emilio Borrelli dellAlleanza Verdi Sinistra al posto di Guido Milanese (FI).
Novità anche nel Lazio 1, dove Marianna Madia, seconda nel listino dopo Nicola Zingaretti risulta adesso eletta. L'ex ministra della Funzione pubblica, però, conquista anche il collegio Lazio 2 dove, da regolamento, scatterà il suo seggio perché il Pd ha preso meno voti. A essere eletto, quindi, dovrebbe essere il segretario del Pd Roma Andrea Casu. Un seggio passa invece dal Pd al Movimento 5 Stelle in Calabria, dove salta l'elezione della deputata dem uscente Enza Bruno Bossio a favore del candidato del M5S Riccardo Tucci.
Cambia il quadro degli eletti anche nel collegio plurinominale in Umbria: Emma Pavanelli del M5S e Catia Polidori di FI entrerebbero al posto rispettivamente di Pierluigi Spinelli (Pd) e Chiara La Porta (FdI). Nella circoscrizione Abruzzo, il candidato di Azione nel plurinominale alla Camera, Giulio Sottanelli, conquista il seggio inizialmente assegnato a Stefania Di Padova, candidata al secondo posto nella lista del Pd. Critica la posizione di +Europa, che già nei giorni scorsi aveva chiesto pubblicamente un riconteggio delle schede: "Le notizie di queste ultime ore, con il balletto di eletti annunciati e poi corretti dal Viminale", osserva il coordinatore della segreteria Giordano Masini, "conferma le nostre riserve e le nostre perplessità su quanto sta avvenendo attorno al conteggio dei voti".
I voti di +Europa rimasta fuori non sono stati redistribuiti: cosa c’è dietro il «pasticcio» dei conteggi sbagliati. Alessandra Arachi su Il Corriere della Sera il 29 Settembre 2022
L’errore? È saltato un passaggio cruciale della procedura. La coalizione riceve i consensi presi da chi, sotto la soglia del 3%, ha superato l’1%
L’errore del Viminale è macroscopico, il caos nell’assegnazione dei seggi è totale. Il meccanismo che ha fatto rientrare Umberto Bossi a Montecitorio coinvolge infatti quasi la metà delle 28 circoscrizioni elettorali della Camera.
Tradotto: c’è in ballo il destino di circa trenta candidati alla Camera, vittime dell’errore di ripartizione dei seggi al proporzionale. Un po’ come in una lotteria. Che a Montecitorio ridisegnerà la mappa degli scranni degli onorevoli. Soltanto alla Camera, però, al Senato c’è un altro meccanismo di assegnazione (è su base regionale).
Attenzione: non c’è qualche partito che guadagna seggi e qualcun altro che ne perde. Il numero dei seggi distribuiti a livello nazionale a ciascun partito è rimasto invariato, in questa prima parte non sono stati fatti errori. La questione riguarda il secondo passaggio della divisione, quello, appunto, che coinvolge il destino dei singoli deputati.
Per capire: Umberto Bossi è rientrato grazie a due seggi riattribuiti alla Lega in Lombardia. Ma questo vuol dire che ci sono due leghisti appena nominati — uno in Emilia e l’altro in Sicilia — che dovranno dire addio alla poltrona di Montecitorio.
Ma come è potuto succedere questo? In sintesi lo abbiamo già detto: è stata sbagliata la ripartizione dei seggi. In termini tecnici funziona così: questa legge elettorale prevede che quando un partito dentro una coalizione prende più dell’1% delle preferenze e meno del 3% (la soglia di ingresso in Parlamento) i suoi voti debbano essere ripartiti dentro la sua coalizione.
Bene: questo secondo passaggio non è stato fatto. L’unico partito che si trovava in questa condizione era +Europa, ma la mancata ripartizione dei suoi voti non è rimasta circoscritta al centrosinistra. Ha innescato una reazione a catena in tutti i partiti.
Adesso è da +Europa che si leva la protesta: non hanno raggiunto il 3%, hanno chiesto il riconteggio rivendicando errori. «Il balletto del Viminale conferma le nostre perplessità, i dati del Viminale sono ufficiosi e il conteggio ufficiale avviene presso le Corti d’Appello», dice Riccardo Magi, presidente del partito.
Ma i «pasticci» non sembrano ancora finiti. Ci sarà da risistemare pure la questione dei subentri ai leader nei collegi plurinominali. Anche qui, un esempio per capire: Silvio Berlusconi ha vinto cinque collegi e ha deciso di cederne quattro ai suoi. Con un dettaglio: questa volta non possono essere i leader a decidere. Ci deve pensare un algoritmo.
Luigi Cesaro va ai domiciliari ma non è mai andato a giudizio: “Sono innocente e lo dimostrerò”. Viviana Lanza su Il Riformista il 13 Ottobre 2022
La XVIII legislatura della Repubblica Italiana è giunta al capolinea. Oggi è la data spartiacque tra il vecchio e il nuovo governo. Per Luigi Cesaro, storico esponente dei berlusconiani in Campania, è una data che significa molto di più. Non rieletto, Cesaro da oggi non ha più lo scudo dell’immunità parlamentare e quindi gli potrà essere applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari che da tempo la Procura Antimafia ha pronta per lui. Il reato? Concorso esterno in associazione mafiosa.
Una fattispecie di reato molto ambigua e fumosa già per sua stessa natura, più volte al centro di riflessioni sulla validità di una contestazione che non ha un’autonoma collocazione nel codice penale ma si presenta come un concorso nel concorso, una sorta di forzatura per dire che una persona è mafiosa anche se non lo è e per ipotizzare che con i suoi comportamenti possa aver aiutato i mafiosi. Insomma, una costruzione accusatoria che compare spesso nelle inchieste a carico di politici ma non altrettanto spesso trova poi conferma in sede processuale. Ad ogni modo, al di là di valutazioni di merito Luigi Cesaro è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e per quest’accusa è destinatario di una misura cautelare agli arresti domiciliari che adesso dovrà essere applicata.
Luigi Cesaro è intenzionato a costituirsi: lo farà tra sabato e lunedì. La misura cautelare in questione risale a circa due anni fa e gli avvocati del collegio di difesa (i penalisti Alfonso Furgiuele e Michele Sanseverino) l’hanno già impugnata sia sul piano della gravità indiziaria sia su quello dell’attualità delle esigenze cautelari, attualità che mancherebbe trattandosi di un provvedimento ormai datato per fatti ancor più datati. Del resto, non sembrerebbe attuale nemmeno il pericolo di fuga o quello di reiterazione del reato dal momento che Cesaro non ricopre incarichi politici come quelli per i quali è finito sotto la lente della Procura. E c’è poi un’altra particolare circostanza della storia giudiziaria di Luigi Cesaro: la Procura ha provato ad arrestarlo più di una volta, forse addirittura in quattro o cinque casi negli ultimi anni, chiedendo ogni volta misure cautelari che il Riesame annullava e di cui la Cassazione confermava l’annullamento con conseguente archiviazione dell’inchiesta.
Risultato? Finora Cesaro non è mai stato rinviato a giudizio, non ha subìto processi se non quelli mediatici e uno per fatti dell’80 conclusosi in Appello con una sentenza di assoluzione. Adesso Luigi Cesaro, per molti Giggino ‘a purpetta, si appresta ad affrontare un nuovo capitolo di vita personale e giudiziaria. Non a caso a giugno scorso annunciò la scelta personale di non ricandidarsi alle ultime elezioni. «Il senatore – spiegano gli avvocati Furgiuele e Sanseverino – intende infatti confrontarsi direttamente ed esclusivamente con l’autorità giudiziaria confidando di poter contribuire all’accertamento dei fatti per i quali è stato accusato, per dimostrare in tempi brevi la propria innocenza».
Viviana Lanza. Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).
Virologi, sportivi e ripescati. Gli esordienti e i veterani del Parlamento "ridotto". Magistrati, sindacalisti, parlamentari al primo mandato e vecchie guardie. Ex ministri del governo Draghi ripescati al proporzionale. Ma anche attori e drammaturghi, campioni dello sport. Virologi. Lodovica Bulian il 28 Settembre 2022 su Il Giornale.
Magistrati, sindacalisti, parlamentari al primo mandato e vecchie guardie. Ex ministri del governo Draghi ripescati al proporzionale. Ma anche attori e drammaturghi, campioni dello sport. Virologi. Eccolo il nuovo Parlamento a dimensione ridotta - 400 deputati e 200 senatori -, dove tra i veterani di palazzo c'è spazio per esponenti della società civile. Su 147 eletti all'uninominale alla Camera, sono 45 le donne, circa il 30%. Al Senato sono 33, il 44%.
Fanno rumore grandi esclusioni ma anche new entry. Tra gli eletti contiamo almeno quattro magistrati. Uno è in lizza, dopo esserlo già stato per il Quirinale, per fare il ministro della Giustizia: Carlo Nordio, ex pm ora in pensione, è stato eletto alla Camera nel collegio uninominale di Treviso. Era già stato il candidato da Fratelli d'Italia nella partita per il Colle. Con il Movimento cinque stelle ci sono i due ex super procuratori antimafia Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato, eletti nel listino bloccato. Nel centrodestra c'è Simonetta Matone, ex magistrato e già capogruppo della Lega in Campidoglio. Dal mondo dello sport e della dirigenza sbarca in Parlamento col centrodestra l'ex presidente della Lazio Claudio Lotito, eletto al Senato nell'uninominale in Molise. C'è anche l'ex commissario tecnico della pallavolo maschile Mauro Berruto, eletto in un collegio plurinominale Piemonte col Partito democratico, dove era già responsabile sport. Eletta al Senato nel collegio uninominale di Varese con Azione - Italia viva, l'atleta paralimpica di atletica leggera Giusy Versace. Eletto alla Camera anche un altro presidente di una federazione sportiva nazionale, quella dei medici sportivi, Maurizio Casasco con Forza Italia. È anche presidente di Confapi.
Tra i virologi che hanno segnato il dibattito degli ultimi due anni di pandemia l'ha spuntata con il Pd Andrea Crisanti, eletto al Senato nella circoscrizione Estero. Ed è Youtrend a ricordare le sconfitte di sei ministri del governo Draghi: «Erano candidati nei collegi uninominali, ma di questi solo Giorgetti ha vinto. Hanno invece perso il proprio collegio uninominale Bonetti, Carfagna, Di Maio, Gelmini e Patuanelli». Sono entrati comunque in Parlamento, perché ripescati col proporzionale, a eccezione di Di Maio che è rimasto fuori.
Il Movimento cinque stelle fa il pienone al Sud. Soprattutto in Campania, da dove arrivano alcune delle nuove leve dopo la tagliola sul secondo mandato che ha lasciato fuori molti big penastellati. In tutto il bottino nella regione è di 16 deputati e 8 senatori, 24 parlamentari su 56. Tra loro il grillino Dario Carotenuto, nuova guardia ma antica conoscenza dei Cinque stelle, come membro dei meetup dal 2005. Diploma da perito informatico, bassista di una rockband americana, videomaker e già consulente per l'ufficio comunicazione del Movimento. A Torre del Greco l'ha spuntata Gaetano Amato, attore, scrittore, drammaturgo e regista teatrale. Ha sconfitto uno dei candidati big del centrosinistra, Sandro Ruotolo. Guida invece i veterani con la sua undicesima legislatura consecutiva Pier Ferdinando Casini, eletto la prima volta nel 1983 alla Camera e ora riconfermato al Senato vincendo nel collegio uninominale di Bologna con il 40 per cento contro il 32,3 ottenuto da Vittorio Sgarbi. Più «anziano» di lui solo il presidente emerito della Repubblica e senatore a vita Giorgio Napolitano. Alla settima legislatura ci sono Maria Elisabetta Alberti Casellati di Forza Italia, Adolfo Urso ed Edmondo Cirielli di Fratelli d'Italia, Giancarlo Giorgetti della Lega e Bruno Tabacci di Impegno civico. Conquistano la loro sesta legislatura Tomaso Foti, Fabio Rampelli, Giulio Tremonti e Gianfranco Rotondi con Fratelli d'Italia. Con loro il segretario del Pd Enrico Letta, con i colleghi di partito Piero Fassino e Dario Franceschini.
Approdano in parlamento col centrosinistra le due ex segretarie nazionali di Cgil e Cisl, Susanna Camusso e Annamaria Furlan.
La spunta grazie al listino proporzionale Abubakar Sounahoro, il sindacalista di origini ivoriane che si batte per i diritti dei braccianti: «Il nostro comune sogno entra in Parlamento. Grazie di cuore», ha esultato via Twitter. Con Ilaria Cucchi era fra i candidati più in vista della lista Verdi-Sinistra italiana. Tra lei, eletta in Senato, e l'ex segretario del Sindacato autonomo di polizia Gianni Tonelli, riconfermato alla Camera con la Lega, dopo che nelle aule giudiziarie ora sarà scontro anche in Parlamento, quanto meno perché in opposti schieramenti.
Elezioni, i promossi. Da Berlusconi a Ilaria Cucchi (e una pattuglia di veterani). Claudia Voltattorni su Il Corriere della Sera il 26 settembre 2022.
C’è chi torna dopo tanti anni e chi entrerà per la prima volta. Nella diciannovesima Legislatura a guida centrodestra che vede una drastica riduzione del numero dei parlamentari, passati da 945 (630 alla Camera, 315 al Senato) agli attuali 600 (400 + 200) sono numerosi però i veterani del Parlamento, soprattutto nel centrodestra. Uno su tutti Silvio Berlusconi, vincitore nella sfida diretta a Monza per un seggio al Senato, che torna per la settima volta e dopo 9 anni di assenza. Molte però anche le riconferme soprattutto tra i big, capolista in diversi collegi. Numerose anche le new entry.
New entry Tra queste la romana Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, picchiato e ucciso poco dopo l’arresto nel 2009. Candidata con Alleanza Verdi-Sinistra al Senato nel collegio uninominale di Firenze batte la candidata del centrodestra Federica Picchi (Fratelli d’Italia). Riesce ad entrare anche il suo compagno di lista Aboubakar Soumahoro, sindacalista ivoriano 42enne naturalizzato italiano. Prima volta anche per Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia, vincitrice a Roma contro gli ex alleati Emma Bonino e Carlo Calenda. Sempre a Roma ottengono il loro primo seggio alla Camera i dem Nicola Zingaretti, governatore della regione Lazio, e Michela Di Biase, consigliera regionale e moglie del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini (che va al Senato).
Per il centrosinistra debuttano al Senato anche le due ex leader di Cgil e Cisl Susanna Camusso e Annamaria Furlan. Prima volta a Montecitorio poi per Rita Dalla Chiesa, vittoriosa in Puglia con Forza Italia. Sconfitta alle ultime comunali a Roma, Simonetta Matone riesce però ad entrare alla Camera con la Lega.
Ex ministri e presidenti In bilico fino all’ultimo momento invece le ministre uscenti del governo Draghi. Elena Bonetti, ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia e candidata di Italia Viva, torna alla Camera. Con lei anche Mara Carfagna, ministra uscente del governo Draghi che rimane in Parlamento grazie al ripescaggio nel plurinominale. Nella sfida diretta nell’uninominale al Senato a Napoli, l’ex ministra di Forza Italia ora in Azione ha perso contro l’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa (M5S), ma anche contro Piero De Luca, figlio del governatore della Campania Vincenzo, che grazie al plurinominale torna a Montecitorio per la seconda volta. Anche Mariastella Gelmini rimane in Parlamento, ma al Senato. Come la sua collega di partito (entrambe hanno corso per Azione), rientra grazie al plurinominale, avendo perso la sfida diretta nell’uninominale al Senato contro Giulio Terzi di Sant’Agata. L’ex ministro degli Esteri del governo Monti, candidato con Fratelli d’Italia, torna a Palazzo Madama grazie al 60,28% dei voti ottenuti nel collegio uninominale di Treviglio (Bergamo), dove Gelmini è arrivata terza.
Un altro ritorno è quello di Marcello Pera, 79 anni, ex presidente del Senato nel governo Berlusconi, ha vinto in Sardegna con Fratelli d’Italia. Vittoria al Senato quasi all’ultimo voto per un altro ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, che a Bologna con il Pd ha sconfitto Vittorio Sgarbi, candidato con il centrodestra e si appresta a cominciare la sua undicesima legislatura consecutiva. Alla Camera torna anche il suo ex collega di partito nell’Udc Lorenzo Cesa, eletto con il centrodestra in Molise.
E alla Camera ritroverà Bruno Tabacci, eletto per la settima volta a Milano con Impegno Civico, e Giulio Tremonti, sconfitto nella sfida diretta con Benedetto Della Vedova ma poi recuperato nel plurinominale, è alla sesta legislatura. A Milano per il Pd vince Antonio Misiani che andrà al Senato. In Molise vince anche il patron della Lazio Claudio Lotito (Forza Italia) che debutterà in Senato.
Riconferme Confermate anche in questa legislatura Daniela Santanché (Fdi), vittoriosa a Cremona contro l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli (Pd) però ripescato al Senato grazie al listino proporzionale, e Michela Vittoria Brambilla, rieletta alla Camera in Sicilia come indipendente nel centrodestra. La figlia dell’ex Msi Pino Rauti, Isabella Rauti (Fdi) vince al Senato nella sfida diretta contro il dem Emanuele Fiano, figlio del deportato ad Auschwitz Nedo, che resta fuori dal Parlamento. Seggio al Senato per l’ex presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati (FI). In Sicilia con Forza Italia vincono anche la compagna di Berlusconi Marta Fascina e Stefania Craxi, mentre il fratello Bobo resta fuori. Per il centrosinistra riconfermati alla Camera, oltre ai big Enrico Letta, Andrea Orlando, Lorenzo Guerini, Roberto Speranza, anche Laura Boldrini e Piero Fassino, alla sua settima legislatura. Passano al Senato Beatrice Lorenzin e Graziano Delrio. Mentre a Torino il più votato nel collegio Piemonte 1 è Riccardo Magi di +Europa.
Elezioni politiche 2022, i risultati: chi entra e chi esce dal nuovo Parlamento. Il Tempo il 26 settembre 2022
Silvio Berlusconi torna al Senato, Luigi Di Maio fuori dalla Camera, Ilaria Cucchi, Claudio Lotito, Rita Dalla Chiesa e Andrea Crisanti al debutto in Parlamento. A scrutinio ormai quasi chiuso si compongono le pagelle dei candidati promossi e bocciati alle elezioni politiche. Si inizia con un grande ritorno, quello del leader di Forza Italia a palazzo Madama. Il Cav ottiene il seggio Lombardia U06, quello di Monza, conquistando oltre il 50% dei voti espressi nell'intero collegio.
Ad uscire di scena c'è invece la ormai ex senatrice Emma Bonino, battuta insieme a Carlo Calenda nel collegio uninominale di Roma centro dall'esponente di FdI Lavinia Mennuni. Tra i grandi esclusi della XIX legislatura che si appresta ad aprirsi il ministro degli Esteri e fondatore di Impegno Civico, Luigi Di Maio, sconfitto nel collegio uninominale di Napoli-Fuorigrotta dall'ex compagno di partito ed ex ministro dell'Ambiente M5S, Sergio Costa. Terza, nello stesso collegio, Maria Rosaria Rossi (centrodestra) e solo quarta la ministra per il Sud, Mara Carfagna, candidata del Terzo polo (eletta però nel collegio proporzionale della Puglia).
Fuori dal Parlamento anche tutti gli altri esponenti di Ic, a livello nazionale fermo sotto l'1%, come Vincenzo Spadafora, Lucia Azzolina e Manlio Di Stefano. Unico a spuntarla Bruno Tabacci, politico di lungo corso e sottosegretario uscente alla Presidenza del Consiglio, eletto nel collegio uninominale della Camera Lombardia 1 (Milano). Forte la delusione per Di Maio: "Non ci sono se, ma o scuse da accampare. Abbiamo perso. Gli Italiani - ammette - non hanno considerato abbastanza maturo e valido il nostro progetto politico. E su questo la nostra comunità dovrà aprire una riflessione".
Tra le forze politiche che non raggiungono la soglia del 3% anche ItalExit e Unione popolare: nessun seggio, dunque, né per Gianluigi Paragone - eletto al Senato nel 2018 con i 5 Stelle e poi espulso dal Movimento - né per l'ex magistrato ed ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Poco sotto il 3% anche +Europa, che però annuncia richiesta di riconteggio. Manca la riconferma il senatore leghista Simone Pillon: "Il mio seggio non è scattato - spiega - ma io non mi arrendo. Resto a disposizione della Lega e del centrodestra e continuerò a difendere la vita, la famiglia e i valori cristiani dove e come Dio vorrà".
Mentre a Palazzo Madama debutta Ilaria Cucchi, attivista e sorella di Stefano, il giovane ucciso a Roma nel 2009 mentre era in custodia cautelare, eletta con il 40% nel collegio uninominale di Firenze sotto il simbolo Alleanza Verdi Sinistra. La spunta anche il compagno di lista e sindacalista, Aboubakar Soumahoro, fermo in seconda posizione dopo Daniela Dondi (centrodestra) nel collegio uninominale di Modena ma ripescato nel proporzionale.
Centra l'obiettivo anche il presidente della Lazio Claudio Lotito, eletto all'uninominale per il Senato in Molise sotto il simbolo di Forza Italia. Lato centrosinistra, Pier Ferdinando Casini, candidato a Montecitorio, batte all'uninominale Vittorio Sgarbi (centrodestra) nel 'fortino' rosso di Bologna. Salvo l'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, questa volta in corsa per FdI, battuto dal segretario di +Europa Benedetto Della Vedova nel collegio uninominale di Milano per la Camera ma 'ripescato' nel proporzionale. Per +Europa, invece, l'unico altro rieletto è Riccardo Magi a Torino.
Diventa senatore Andrea Crisanti candidato come capolista del centrosinistra nella circoscrizione estero per il Senato. "Non ho mai fatto una campagna elettorale prima d'ora, sono soddisfatto di un risultato elevatissimo che non mi aspettavo", commenta il virologo a LaPresse, diventato noto durante la pandemia.
Tra i big del Pd, perdono il posto in Parlamento Emanuele Fiano - battuto da Isabella Rauti di FdI nel collegio uninominale di Sesto San Giovanni, l'ormai ex Stalingrado d'Italia - Andrea Marcucci, Stefano Ceccanti, Filippo Sensi e Monica Cirinnà. Fuori anche l'ex ministra di Iv, Teresa Bellanova. Resta in Senato, invece, la presidente Maria Elisabetta Casellati. Dalla tv a Montecitorio la conduttrice di Mediaset Rita Dalla Chiesa, candidata azzurra ed eletta deputata in Puglia.
Risultato negativo per l'economista Carlo Cottarelli, candidato per il Pd al Senato nel collegio uninominale di Cremona, dove però prevale la pasionaria di Fratelli d'Italia Daniela Santanché. L'ex 'mr. spending review' si salva però grazie al proporzionale.
Elezioni 2022, Umberto Bossi fuori dal Parlamento: il Senatùr non è stato rieletto. Il Tempo il 27 settembre 2022
Dopo nove legislature consecutive, a partire dal 1987, lascia il Parlamento Umberto Bossi. Nell'elenco pubblicato sul sito del ministero dell'Interno il nome non c'è: nel primo collegio plurinominale della Circoscrizione Lombardia 2, dove il Senatùr era candidato come capolista, il Carroccio non ha infatti ottenuto alcun seggio e uno solo è andato alla coalizione, attribuito a Fratelli d'Italia, sempre secondo quanto risulta dal sito del Viminale. Sono 23 i candidati della Lega eletti nella quota proporzionale dei 114 che spettano al centrodestra
Al centrodestra 235 deputati, 80 al centrosinistra: chi entra e chi esce dal nuovo Parlamento
Elezioni, +Europa resta fuori dal Parlamento. Bonino furibonda: “Ricontare i voti”. Luigi Frasca su Il Tempo il 27 settembre 2022
«Rispetto all'esito delle urne non ci sono dubbi, la nostra sarà un'opposizione netta, senza sconti e senza illusioni di eventuali moderazioni verso la destra di Salvini e Meloni». Così Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, nel corso della conferenza stampa per commentare i risultati elettorali. Sulla percentuale vicina al 3%, Della Vedova ha espresso non poche perplessità e, di concerto con Emma Bonino, ha chiesto un riconteggio dei voti. «Siamo sicuri si tratti di un errore statistico. A raggiungimento del quorum mancano circa 15.000 voti, un margine da errore statistico. Il nostro partito ha intrapreso una via precisa in una campagna politica complicata, con l'idea di fare un patto con il Pd di Letta, in concomitanza con Azione». «Nel momento in cui Azione ha deciso, incomprensibilmente, di allearsi con Renzi, abbiamo dovuto rapidamente cambiare rotta. Siamo ripartiti grazie all'energia e al carisma di Emma Bonino, oltre che di tanti giovani militanti, riconquistando giornalmente lo spazio per la nostra proposta politica», ha spiegato Della Vedova.
Per Emma Bonino «la richiesta di riconteggio è necessaria e dovuta. Piaccia o meno, in questa campagna elettorale le leggi non rispettate sono state diverse. Mi preoccupa sempre quando le leggi ci sono e chi è incaricato di attuarle semplicemente le viola. C'è chi si dispiace per il risultato, ma è tardi, e forse è anche una visione un po' ipocrita considerando quanto queste votazioni fossero scontate. Dedico tutto il lavoro che è stato fatto a Gianfranco Spadacci, un vero appassionato di Europa che, finché ha potuto, ha dato tutto il suo supporto». Chiosa finale per il presidente del partito Riccardo Magi, anche lui estremamente perplesso di fronte alla vittoria del centrodestra guidato da Giorgia Meloni: «Nel prossimo Parlamento vigileremo sui temi dello stato di diritto, sulle questioni delle libertà individuali e dei diritti civili, punti sui quali nelle ultime settimane Meloni ha cercato di far dimenticare quali siano state le sue posizioni negli anni passati. Calenda ha regalato il collegio senatoriale centrale di Roma a quella che lui stesso ha definito tra le peggiori destre europee. Questo è stato fatto in maniera consapevole e deliberata, per una candidatura che non aveva alcuna chance. Chi si vuole presentare come chi propone una politica di governo seria, dovrebbe spiegare come questo sia compatibile con un favore talmente plateale ed evidente fatto alla destra».
Vincenti & Sconfitti: ecco chi sono. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 26 Settembre 2022.
Di Maio sconfitto a Fuorigrotta. Crolla la Lega. Santanché doppia Cottarelli, Bonino supera Calenda ma non vince a Roma. Debacle tra i ministri del governo Draghi: hanno perso il proprio collegio uninominale Bonetti, Carfagna, Di Maio, Gelmini e Patuanelli
Il centrodestra conquista la maggioranza dei collegi uninominali, e sono tanti i casi clamorosi e i grandi esclusi: Luigi Di Maio perde la sfida diretta a Napoli Fuorigrotta con il 5 stelle Sergio Costa ed esce dal Parlamento. Nello stesso collegio era candidata anche Mara Carfagna con Azione, che però si è piazzata al quarto posto. La ministra per il Sud e la Coesione territoriale nel Governo Draghi, da poco fuoriuscita da Forza Italia, ottiene il solo il 7,10%. Probabilmente nessuno degli ex forzisti confluiti in Azione troverà posto in Parlamento.
La Lega di Salvini crolla dal 34% delle Europee del 2019, all’8,9% alle politiche. Tutto nell’arco di appena tre anni. All’interno della Lega sembra inevitabile l’avvio di una caccia ai responsabili del tracollo di un partito che ambiva a diventare la prima forza del centrodestra e che è finito a contendersi il terzo posto con Forza Italia, travolto da un triplo di consensi ottenuti da Fratelli d’Italia.
Debacle tra i ministri del governo Draghi: hanno perso il proprio collegio uninominale Bonetti, Carfagna, Di Maio, Gelmini e Patuanelli. Solo Giancarlo Giorgetti ha conquistato un seggio all’uninominale. La presidente del Senato uscente Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata rieletta nel collegio per il Senato in Basilicata con il 36,10. Il presidente della Lazio, Claudio Lotito è diventato ufficialmente senatore vincendo la sfida nel collegio uninominale del Molise in cui è stato candidato dal centrodestra in quota Forza Italia. Torna in Senato l’ex presidente Marcello Pera, che nel collegio di Sassari ha vinto con il 41,3%.
L’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris, leader dell’Unione Popolare è rimasto fuori: la lista non ha superato lo sbarramento fermando all’1,4%. La Campania vince il record dell’astensione: sul sito del Ministero dell’Interno, i votanti si sono fermati al 53,27% contro il 68,18 per cento del 2018. Mentre a Napoli il crollo è di ben quindici punti: ha votato il 50,78% contro il 65,34% del 2018.
Silvio Berlusconi rientra al Senato: il presidente di Forza Italia si aggiudica il collegio uninominale di Monza, grazie alla “dote” elettorale apportata dai voti di Fratelli d’ Italia. In quanto membro più anziano, il fondatore di Forza Italia dovrà presiedere la prima seduta del nuovo Senato. Anche la “consorte” del Cavaliere, Marta Fascina, deputata uscente di Forza Italia, ha ottenuto la rielezione a Montecitorio. Piccolo particolare: è stata eletta nel collegio uninominale di Marsala con il 36,21% ma dove nessuno l’ha mai vista in campagna elettorale !
Pier Ferdinando Casini la spunta a Bologna, su Vittorio Sgarbi nell’uninominale al Senato. A Cremona Daniela Santanché vince nella sfida diretta per l’uninominale al Senato con l’economista Carlo Cottarelli candidato del centrosinistra. Altro sconfitto illustre Giulio Tremonti ex-ministro del Governo Berlusconi, candidato del centrodestra nel collegio uninominale la Camera a Milano centro, a cui non è bastato il 30,37%, venendo sconfitto da Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, che ha conquistato il 37,84% dei voti. Eletto nel Veneto l’ex magistrato Carlo Nordio candidato per Fratelli d’ Italia.
Stefania Craxi, figlia del defunto leader del Partito Socialista italiano Bettino, vince il derby elettorale con il fratello Bobo giocato in terra siciliana. La presidente uscente della commissione Esteri del Senato, schierata dal centrodestra nella sfida uninominale di Gela, ha prevalso sul senatore uscente del Movimento 5 stelle Pietro Lorefice, mentre suo fratello, finisce terzo dietro a Carolina Varchi (centrodestra) e Aldo Penna (M5s), dopo aver colto la difficile battaglia alla Camera nel collegio Palermo-Resuttana-San Lorenzo.
Il centrodestra ha vinto anche in Puglia anche se il partito più votato (grazie alla strenua difesa del Reddito di Cittadinanza) è stato il Movimento Cinque Stelle, che ha eletto un solo deputato nell’uninominale a Foggia, supera il 33 per cento nel collegio in cui era candidato il presidente crolla invece il Pd. Al Il secondo posto Fratelli d’Italia con 24,55 per cento, e solo dopo c’è il Pd che non va oltre il 16 per cento.
Ci sono i leader Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Giuseppe Conte tra i neo deputati eletti nei collegi plurinominali di Camera e Senato in Puglia. Per Fratelli d’Italia tra i deputati ci sono l’eurodeputato Raffaele Fitto, il coordinatore regionale del partito Marcello Gemmato e Giandonato La Salandra, eletti nei collegi plurinominali della Camera dei deputati Puglia 4, 3 e 1. Il quarto seggio relativo del collegio Puglia 2 è della Meloni.
ELEZIONI CAMERA 2022 RISULTATI REGIONE PUGLIA
In Puglia il centrodestra ha conquistato anche tutti i collegi uninominali per la Camera, con l’unica vittoria, come si diceva, del pentastellato Pellegrini. Ottengono il seggio Rita Della Chiesa ( Molfetta) , Davide Bellomo (Bari), Mauro D’Attis (Brindisi), Giandiego Gatta (Foggia-Cerignola), Saverio Congedo (Lecce), Mariangela Matera (Andria), Rossano Sasso ( Altamura), Dario Iaia (Taranto), Alessandro Colucci (Lecce –Galatina). Al Senato tutti i seggi dell’uninominale sono andati al centrodestra. Andranno a Roma Francesco Paolo Sisto per il collegio di Andria, Filippo Melchiorre (collegio di Bari), Vita Maria Nocco ( Taranto), Roberto Marti (Lecce), Anna Maria Farlucchi (Foggia ).
ELEZIONI SENATO 2022 RISULTATI REGIONE PUGLIA
Forza Italia sarà rappresentata dal commissario regionale Mauro D’Attis e il presidente del consiglio comunale di Barletta, Marcello Lanotte per i collegi Puglia 4 e 1. Con la Lega scatta Salvatore Di Mattina nel collegio Puglia 4. Il M5S elegge nel collegio plurinominale Puglia 1 il presidente Giuseppe Conte e Carla Giuliano, nel collegio 2 l’ex senatore Giammauro Dell’Olio, nel Puglia 3 Pasqua L’Abbate, nel Puglia 4 Leonardo Donno.
Bocciata a Bari la scienziata Luisa Torsi, candidata sostenuta dal Sindaco di Bari Decaro che è arrivata dopo il grillino Alberto De Giglio, così come sino rimasti appiedati a Cerignola l’assessore di Emiliano Raffaele Piemontese e a Molfetta l’ex sindaco di Bitonto Michele Abbaticchio. A Taranto Giampiero Mancarelli, presidente dell’ AMIU Taranto (la società municipalizzata per la nettezza urbana) che sperava di essere eletto sfruttando la scia del sindaco Melucci rieletto da soli tre mesi (entrambi esponenti del Pd), è rimasto appiedato.
Tra i big del Pd, perdono il posto in Parlamento Emanuele Fiano, Andrea Marcucci, Stefano Ceccanti, Filippo Sensi e Monica Cirinnà. Fuori anche l’ex ministra di Iv, Teresa Bellanova.
Solo nei due collegi leccesi, l’assessore regionale Sebastiano Leo (civico) , e l’assessora regionale Maria Grazia Maraschio, si sono classificati secondi. Redazione CdG 1947
Elezioni, Bellanova non eletta: «La mia esperienza parlamentare finisce qui». «Ma c'è ancora spazio per la buona politica». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 26 Settembre 2022.
«Grazie a tutte e a tutti quelli che con me e con noi in queste settimane ci sono stati. La mia esperienza parlamentare si ferma qui, ma so bene, me lo insegna la mia storia, che lo spazio per la buona politica è dovunque, basta solo avere voglia ed esigenza di praticarlo». È il messaggio su Twitter con cui la senatrice di Italia viva Teresa Bellanova, viceministra delle Infrastrutture, conferma di non essere stata eletta nel collegio plurinominale per il Senato in Puglia, dove era capolista per il Terzo polo.
Elezioni, Lopalco: «Sapevo che mia vittoria era impossibile». L'epidemiologo sconfitto nell’uninominale del Senato in Salento. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 26 Settembre 2022.
«Il momento delle elezioni politiche è l’espressione più alta della democrazia di un Paese. E grazie alla democrazia abbiamo regole del gioco che liberamente abbiamo scelto di accettare. Sono fiero di aver accettato una sfida difficilissima in un collegio uninominale pur sapendo che, sulla base dei sondaggi di opinione, la vittoria sarebbe stata impossibile». Lo dichiara l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, candidato con il centrosinistra nel collegio uninominale del Senato in Salento. Lopalco è stato superato dal leghista Roberto Marti. «Perché al gioco della politica - prosegue - bisogna partecipare non per vincere, ma per testimoniare e far valere il proprio bagaglio di valori. Sia ben chiaro: la vittoria non fa schifo a nessuno. Ma sono convinto che in questo caso la mancata vittoria non sia da ascrivere ad una sconfitta dei valori che abbiamo testimoniato, quanto ad una serie di errori strategici nel campo delle alleanze e delle coalizioni. Non credo che oggi l'Italia si sia svegliata «di destra».
Semplicemente, sulla base delle regole del gioco di queste elezioni, si troverà ad essere governata dalla destra che si è presentata sul campo unita contro un fronte di centrosinistra come al solito diviso e litigioso. Nel mio piccolo sono fiero del lavoro fatto. Della fatica di questa campagna elettorale breve ed entusiasmante. Della squadra che mi ha accompagnato e sostenuto, in primis le compagne ed i compagni di Articolo Uno». «Il mio più grosso cruccio - conclude - è la consapevolezza che la sinistra del nostro Paese non riesca più a parlare a chi non ha lavoro, a chi ha difficoltà ad arrivare a fine mese, a chi è costretto a chiudere la propria attività».
Pier Ferdinando Casini, "senza aver mai faticato...": cosa sa Vittorio Feltri. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 16 ottobre 2022.
Pier Ferdinando Casini è il nonno del Parlamento, sebbene non abbia ancora l'età per coccolare i nipotini. Il fatto è che siede su una poltrona del potere politico da quarant'anni e non c'è verso di fargli cambiare mestiere, forse perché non è idoneo, o non ha voglia di svolgerne un altro. Egli è nato democristiano, è cresciuto come tale, e, quando lo scudocrociato è defunto tra le braccia di Mino Martinazzoli, Pier Ferdinando non si è scomposto. Ha semplicemente mutato braccia, finendo tra quelle di Silvio Berlusconi, il quale lo ha accolto amorevolmente. Cosicché Casini è rimasto legato a doppio filo con il potere, sempre in auge, come si conviene a un carrierista di talento. A me l'uomo non è antipatico, tutt'altro, eppure devo ammettere che il soprannome che gli hanno attribuito, Pierfurbi, è azzeccato in pieno. Invecchiare a Montecitorio è operazione che soltanto a un campione dell'opportunismo può riuscire. Il suo primato di permanenze nelle aule magne dello Stato difficilmente potrà essere raggiunto da qualcun altro.
FUORICLASSE
Casini, parliamoci chiaro, è un fuoriclasse della resistenza, non quella degli antifascisti - puri dilettanti - bensì quella dei grandi amanti del dolce far niente. Infatti è noto che a Montecitorio e a Palazzo Madama la vita è comoda, non comportando fatiche e neppure impegno. Non ho mai visto un deputato o un senatore madido di sudore. Oddio, anche i parlamentari hanno i loro problemi, il maggiore si presenta circa ogni cinque anni, quello di non perdere la cadrega allo scopo di continuare a mantenere il posto privilegiato, che non garantisce ricchezza ma preserva dalla povertà. Non è molto, tuttavia al confronto del reddito medio degli italiani la paga non è nemmeno misera. La grandezza di Pier Ferdinando è tutta qui. Egli è stato in grado per tutta quanta l'esistenza di evitare con cura di lavorare, cosa che riesce a pochi cristiani. E pensare che ha frequentato con successo il liceo classico e la facoltà di giurisprudenza conseguendo una brillante laurea.
Ciò gli avrebbe consentito di trovarsi un impiego non banale, però se ne è guardato bene dal farsi assumere da una azienda qualsivoglia, investendo la sua preparazione nell'arrampicata nei partiti, attività che ha condotto con immensa bravura, benché non sia mai andato oltre la presidenza della Camera. Meglio che niente. Egli nel compiere giravolte e salti mortali è un maestro ineguagliabile. Pensate, dopo essere passato dallo Scudo crociato a Forza Italia senza fare una piega, vista la malaparata si è successivamente trasferito a sinistra dove ha trovato un alloggio confortevole che gli garantisce di non spegnersi e di ricevere ancora l'indennità spettante agli onorevoli. Recentemente, cioè alle ultime elezioni, Casini (nomen omen) ha superato addirittura Vittorio Sgarbi, sulla cui intelligenza c'è poco da dubitare. Dunque il nostro eroe si è assicurato per altri cinque anni un portafogli non disprezzabile. La conferma che la sua astuzia è fuori discussione. Se non sbaglio, il nostro paladino ha 69 anni, se la sua salute tiene, come gli auguriamo, potrà resistere altre due o tre legislature, assodato che per lui prendere voti a secchiate è come per noi bere un caffè.
RECORD
È già avviato a battere tutti i record di longevità politica, quindi non correrà il rischio di imparare un mestiere vero per vivere decentemente, anche in considerazione del fatto che ha diritto alla pensione di deputato di lungo corso, la quale è tutt' altro che povera. Pierfurbi comunque mi piace, quantunque in una circostanza mi abbia inutilmente querelato, nel senso che la causa è stata bloccata. Si era offeso a morte poiché, quando fu eletto presidente della commissione parlamentare che doveva indagare sui pasticci del Monte dei Paschi di Siena, non cavò un ragno dal buco, e io glielo feci notare. Si infuriò con me, poi si placò. Adesso egli tira a campare e campa non malaccio. Ha avuto due mogli e da entrambe ha divorziato. Per un cattolico, pure questo è un risultato da non sottovalutare.
Vittorio Feltri: "Perché il Pd ed Enrico Letta hanno perso". Libero Quotidiano il 29 settembre 2022
Perché il Pd ha perso le elezioni? Vittorio Feltri, ospite di Barbara Palombelli in collegamento con Stasera Italia su Rete 4 ha le idee chiarissime: "Penso che il Partito democratico si sia impegnato soprattutto per la lotta dell'affermazione di determinati diritti civili e abbia completamente dimenticato la realtà italiana, e questo è evidentemente danneggiato il partito di Enrico Letta. Poi il Pd ha molto insistito su questioni del tutto marginali: il politicamente corretto, il conformismo politico e non solo politico, un atteggiamento da parte del Pd che non ha certamente incontrato il favore del grande pubblico italiano".
Una riflessione che trova d'accordo, sorprendentemente, anche Alan Friedman: "Parlare di Ius scholae e questioni di gay non è attraente per la gran parte dell'elettorato". "A me - ha aggiunto il giornalista americano, ormai italiano d'adozione - i diritti civili importano e vorrei sperare che la Meloni è sincera quando dice che non vuole toccare la legge 194 (la legge sull'aborto che la leader di Fratelli d'Italia ha più volte smentito di voler cambiare, ndr). Io spero che i diritti dei gay non saranno trattati come ha descritto Mollicone, che ha detto che una coppia omosessuale è illegale. Io spero che ci sarà una conservazione dei diritti civili".
Ovviamente, ma questo Friedman lo ammette en passant (ed è già una mezza sorpresa), a pesare in senso negativo è stata anche la furiosa e martellante campagna sul "pericolo fascista". Un "al lupo al lupo" che rientra a pieno titolo con il "politicamente corretto" di cui parlava Feltri.
Il lato sinistro di Giuseppi. Tommaso Cerno su L’Identità il 28 Settembre 2022.
C’è una domanda che mi frulla in testa. Perché, quando Conte parla, sembra di sinistra, mentre quando parla Letta sembra solo Letta che parla? Nel bla bla bla del Letticidio, la più acrobatica capriola all’indietro della sinistra nel Dopoguerra, si parla di sesso degli angeli. C’è quello del lavoro precario (come se un partito al governo da dieci anni si svegliasse adesso e qualcuno ci crede pure), c’è quello che è colpa di Renzi (ne ha tante, per l’amor di Dio, ma non questa) e c’è quello di una donna alla guida (che ormai vuol dire copiare la destra). Poi ci sono gli intelletti fini, quelli che hanno letto centomila libri e sanno tutto, ma poi non capiscono perché gli operai di mezza Italia votano a destra da anni. E ci sono quelli che dicono che in fondo va bene così, meglio piccoli ma padroni a casa nostra.
Come un pianeta morto, insomma, che si raffredda, la sinistra non solo non sa più vincere ma nemmeno discutere (che era la cosa che da sempre sapeva far meglio). Intanto, schifato da tutti, preso in giro per la pochette, dall’altra parte del mondo progressista, si stava congelando nel freezer del conformismo draghiano pure un altro signore, Giuseppe Conte. Finto a capo di un Movimento 5 stelle che dopo avere conquistato mezza Italia era finito al governo e si era frantumato in mille pezzi, perdendo consenso, appeal e credibilità di fronte ai suoi elettori.
Io non so dirvi se Conte è di sinistra o no, quando è solo in bagno e si guarda allo specchio (Letta di sicuro no), ma posso dirvi che nelle ultime settimane se fingeva, beh era un grande attore. Perché a girare per l’Italia come ho fatto io, che ho avuto la bella pensata di mette in edicola un nuovo quotidiano quando l’editoria è una roulette russa, la gente di sinistra ogni tanto la testa la alzava quando il Tg passava quel signore. E senza bisogno di dire che Giorgia Meloni è Mussolini, che sua nonna era la tata di Goebbels e che il suo cane è senz’altro un Doberman feroce che ringhia ai gay.
Allora mi domando: ma uno, dico uno solo dentro il Nazareno che – a memoria – sono tre piano di palazzina pieni di uffici, a cui sia venuto in mente non tanto di allearsi con Conte ma almeno di domandarsi: che cosa dice di così strano che lui sembra di sinistra e io no?
Non è una domanda difficile da farsi. E, a dire il vero, nemmeno la risposta è da Einstein. Ora, tralasciando tutti quelli che ripetono la filastrocca del voto di scambio sul reddito di cittadinanza (li tralascio perché quelli sì che non sono di sinistra) se una sinistra che si candida a governare un Paese vincendo le elezioni (perché a governarlo senza vincere sono i più bravi e questo lo sappiamo tutti) non si fa questa domanda, mi viene il dubbio che la vera rimozione che il Pd ha fatto in questi anni non è Renzi o Zingaretti ma l’origine di ogni suo male. E ciopè la grande frattura fra piazza e palazzo che si consuma lentamente, prima con i Girotondi di Nanni Moretti, poi con il popolo viola, poi con Grillo che viene cacciato dalle primarie Pd da Piero Fassino. E, obbedendo all’ex segretario Ds, si fa un partito che di fatto travolge ormai da 15 anni il Partito democratico. In un modo o nell’altro. Ogni volta che si vota.
Ecco che la girandola di nomi per il passaggio di testimone di Letta non mi solletica. Bonaccini, Schlein, ma mettici pure De Caro, Serracchiani o Pinco Palla. Tutte brave persone. Tutta gente perbene. Ma inutile se prima non si evoca il fantasma della sinistra dall’armadio in cui è stato ricacciato a forza di fare e disfare governi e non si risponde alla domanda sospesa. Perché Conte quando parla sembra uno di sinistra e invece Letta quando parla sembra solo Letta che parla?
Domani, per il giornale di De Benedetti "il problema sono i campagnoli. Francesco Storace su Libero Quotidiano il 28 settembre 2022
Roba da mani nei capelli. Nel tentativo di riuscire a capacitarsi della netta sconfitta della sinistra, certo giornalismo le inventa tutte per offrire una giustificazione ai propri riferimenti politici. Non si tratta di partiti e correnti, ma di chilometri, confini, scarpe adatte. È come se la colpa della vittoria del centrodestra fosse tutta del responsabile dell'organizzazione del Pd, non del segretario del partito, poverino. Chi doveva preparare l'istruttoria sulle candidature nei collegi non aveva consultato google maps, evidentemente.
La ridefinizione dei nuovi collegi dopo il taglio dei parlamentari a cui praticamente tutti hanno detto sì, ha accorpato a Modena - ecco l'esempio trovato per giustificare la bocciatura del sindacalista ivoriano Aboubakar Soumahoro, poi ripescato nel proporzionale - aree periferiche e rurali che votano la destra. Ohibò, non esistono più quei compagni che mettono il santino elettorale in tasca e vanno a votare secondo le indicazioni del p-a-r-t-i-t-o. Il caso della città emiliana «dimostra che con questi collegi il Pd non può vincere».
È il nuovo scoop del giornale di Carlo De Benedetti, Il Domani. Mica le strategie sballate, e nemmeno le politiche folli proposte da Enrico Letta. Macchè, il problema del Pd è che non ci sono più i contadini di una volta...
UNA QUESTIONE DI CONFINI
Insomma, la colpa di una sconfitta rovinosa è dei collegi e non di una sinistra giudicata indecente dagli elettori in ogni parte d'Italia, centrale o periferica che fosse. Parlano del collegio di Modena e dimenticano il dettaglio che hanno prevalso alla Camera in appena 12 collegi e al Senato in 5. L'armata del centrodestra ha vinto 121 sfide per Montecitorio e 56 per Palazzo Madama.
Nella ricerca delle analisi più pazze del mondo, punta dritto al podio proprio il direttore de Il Domani, Stefano Feltri - niente a che vedere con il Maestro Vittorio - novello Alberto Sordi del giornalismo («a noi c'hanno rovinato gli americani»).
Cerca cerca, sono riusciti finalmente a trovare la causa della devastante sconfitta nei territori: i confini dei collegi uninominali. Eppure era noto: se deputati e senatori sono di meno, è evidente che avranno di fronte territori più vasti per dover conquistare i voti necessari. Che facciamo? Torniamo a mille parlamentari o il Pd si adegua ai nuovi collegi?
Ma loro niente, al Domani è tutto chiaro. Di fronte ai troppi trombati eccellenti, ci sarà un motivo, si sono detti in redazione. Non per la arroganza dei candidati paracadutati o per la loro lontananza dalla società reale; no, sono stati i chilometri da dover percorrere. Giacca e cravatta per il centro delle città, stivali e maglione nelle periferie. Perché un conto è potersi muovere nella ztl, altro è scarpinare per le campagne. Vuoi mettere tornare alla porchetta dopo aver pasteggiato per anni con caviale e champagne?
TROPPO LONTANI
E così la riduzione dei parlamentari con il conseguente ampliamento dei collegi ha scombinato i piani della sinistra. Come se il problema delle modifiche territoriali non riguardasse pure il centrodestra. Semplicemente nel campo rosso c'è la lontananza dai territori, la fine del radicamento nelle città. E la scarsa capacità di applicare una legge elettorale che proprio il Pd- con Renzi - volle approvare, "aggravata" dal referendum sul taglio dei parlamentari. I paracadutati - e a iosa, anche in maniera indecente - li hanno avuti tutti. Anche il centrodestra, certo, che però competeva col favore popolare alle sue spalle. Ma se corri con il vento contrario devi saper scegliere candidati conosciuti più agli elettori locali che alla grande platea nazionale. Si sono trombati da soli.
Quella parola che umilia chi ha perso. FRANCESCO MERLO su La Repubblica il 03 ottobre 2022.
Dal 26 settembre una parolaccia conquista spazi nella cronaca politica, occupa i titoli, persino in prima pagina, di molti giornali - non di tutti, per fortuna - , penetra nei commenti di qualche illustre editorialista, dilaga nell'on-line e così racconta i non eletti: trombati. È una mala parola, ma non di quelle che scappano come un'emergenza. Ha una vita ben più lunga del vaffa grillino, del turpiloquio come programma, e infatti nel parlare è da sempre molto usata, in tutti i suoi significati, tranne quello d'origine che è dimenticato: il travaso del vino con un tubo di gomma.
La condanna a morte dei trombati. Il popolo mai in pace con se stesso ha sempre bisogno del nemico di giornata. Gabriele Barberis il 28 Settembre 2022 su Il Giornale.
Il popolo mai in pace con se stesso ha sempre bisogno del nemico di giornata. Si nutre di una bella dose di rabbia esplosiva e livore incontenibile su ogni tipo di argomento per sovrastare, con la propria voce, tutto ciò che stona con i rispettivi canoni. Uno scoppio di aggressività che riduce il normale diritto di critica dei cittadini che osano ragionare a un pigolìo da anima debole, un balbettare da vigliacchi quando si possono usare le maniere forti.
I social, specchio deformato di un Paese migliore di quanto si autorappresenta, si sono sbizzarriti con grande creatività nel sottolineare il cambio della guardia alla guida del Paese. Il nostro titolo di ieri «Belli ciao» o altre suggestioni di stampa sui «rosiconi» hanno salutato con umorismo l'uscita di scena di tanti personaggi controversi, spocchiosi e antipatici. Ma nei commenti da bar che frullano sul web, il risentimento viaggia ai 300 all'ora, accomunando le sensazioni più impensabili. Si è saldata una strana alleanza populista e anticasta che non guarda più a logiche politiche e di potere ma che trae linfa da un sentimento umanissimo quanto meschino: l'esultanza sfrenata per le disgrazie altrui. Non ci sarebbe da stupirsi se si trattasse solo di una banale schadenfreude, l'intraducibile locuzione tedesca che fotografa il personale godimento intimo dinanzi a sciagure e sconfitte che non riguardano mai se stessi.
Il livello di odio, che pare alzarsi ogni giorno senza barriere contenitive, dalla sera elettorale di domenica si è riversato sulla nuova categoria di monatti: i trombati alle elezioni. Non bastano più gli sfottò a Di Maio che deve tornare a fare il venditore ambulante di bibite o alla Cirinnà che si incartò con la storia sconclusionata dei 24mila euro trovati nella cuccia del suo cane. In poche ore i «ciaone» agli uscenti, tributati beffardamente dai vincitori, si sono trasformati in un fenomeno sociale violento e disgustoso. La perdita del seggio è stata salutata con un torrente di insulti e offese, manco fosse caduto un dittatore assirobabilonese. Il pensiero che costoro potessero percepire «15mila euro netti al mese», stima universale dei vari followers, ha giustificato un linciaggio senza precedenti per gli sconfitti di una tornata elettorale. Tutti trattati alla stregua di ladri fermati dalla polizia dopo anni di scorribande impunite. E invitato a curarsi gravi malattie senza la sicurezza economica dell'indennità parlamentare o andare a umiliarsi con lavori indecorosi per non morire di fame già l'indomani.
Il vento collettivo dell'anticasta ha sempre prodotto disastri, a cominciare dalla riduzione dei parlamentari che ha alterato la rappresentanza popolare con collegi giganteschi, senza pensare ai problemi di funzionalità delle Camere con competenze inalterate ma con 345 legislatori in meno. All'epoca grillina certa opinione pubblica esultava nel vedere eletti personaggi indegni di una carica pubblica. Oggi la felicità è augurare agli esclusi anni di patimenti a compensazione dei benefici ingiustamente goduti. Meglio con minacce e improperi per risultare più convincenti. Ma perché ridursi così?
Estratto dell’articolo di Lorenzo Giarelli per “il Fatto quotidiano” il 2 novembre 2022.
A sentire loro, sono (quasi) tutti fuori per scelta propria. "Nostalgia del Parlamento? Nooooo, ho deciso io di non candidarmi". "Ma si figuri, mi sono fatto mettere in un posto impossibile solo per spirito di servizio". Eccoli allora tutti felici e contenti nella loro second life lontani dai Palazzi. […]
Il più rock è senz' altro Sergio Battelli, ex 5 Stelle. […] Battelli ha ripreso in mano la chitarra e ha rilanciato la carriera musicale messa in pausa prima dei 10 anni in Parlamento. Chi lo volesse cercare su Spotify, lo trova insieme ad altri 4 mila ascoltatori mensili. Il brano più riprodotto in assoluto ha un titolo adatto al momento: "Forse sono fuori". Dal Parlamento, certo, ma pure dalla noia della grigia politica.[…]
Ancor meglio se il ritorno è al contatto con la terra, all'umile lavoro dei campi. Monica Cirinnà ci risponde indaffarata: "Sono qui per la raccolta delle olive". Il "qui" è la Bassa Maremma, dove l'ex senatrice Pd affronta le fatiche dell'autunno: "Ho la mia azienda agricola e sto lavorando già dal giorno dopo il voto. Produciamo vino, olio, marmellate, conserve". […]
Nel Pd è rimasto fuori pure Andrea Romano […] Più che la cattedra, però, il futuro (e presente) di Romano è la televisione, perché come rivelato da La Verità l'ex parlamentare ha strappato "un buon contratto" come opinionista per le numerose trasmissioni Mediaset, dove in effetti non si fa fatica a trovarlo in prima serata (nelle reti Fininvest, peraltro, spesso lavora anche la moglie Sara Manfuso).
A proposito di tv. Negli anni in Parlamento il renziano Michele Anzaldi è stato instancabile fustigatore delle malefatte Rai. E ora? Rimasto fuori dal Parlamento, è tempo di bilanci: "Io ho sempre lavorato nella comunicazione. Se per esempio voi del Fatto 15 anni fa aveste voluto far uscire un settimanale, io vi avrei confezionato un bel lancio, avrei chiamato tutti i giornali e la Rai e sarebbe venuto un bel lavoro. […]
Il momento più malinconico di questo racconto arriva con Alfredo Messina. Ottantasette anni, una vita in Fininvest e poi in Forza Italia, di famiglia in casa Berlusconi.
Pur essendo tesoriere di FI, lo hanno escluso dalle liste che proprio Messina aveva il compito di depositare. Una beffa.
Oggi, alle 7 di sera del ponte d'Ognissanti, mentre il suo partito ha appena finito di spartirsi poltrone al governo, Messina è lì, in ufficio, a vegliare al lume della rassegnazione le scartoffie legali del partito: "Sono ancora tesoriere, finché non mi mandano un sostituto io sto qui". Con la morte nel cuore, ma per sempre fedele.
La Buvette. La nuova vita dei trombati. Michel Dessì il 7 Ottobre 2022 su Il Giornale.
Da Luigi Di Maio a Monica Cirinnà, il lungo elenco dei big politici rimasti senza poltrona nel prossimo schieramento parlamentare
Cosa accade tra le stanze damascate dei palazzi della politica? Cosa si sussurrano i deputati tra un caffè e l'altro? A Roma non ci sono segreti, soprattutto a La Buvette. Un podcast settimanale per raccontare tutti i retroscena della politica. Gli accordi, i tradimenti e le giravolte dei leader fino ai più piccoli dei parlamentari pronti a tutto pur di non perdere il privilegio, la poltrona. Il potere. Ognuno gioca la propria partita, ma non tutti riescono a vincerla. A salvarsi saranno davvero in pochi, soprattutto dopo il taglio delle poltrone. Il gioco preferito? Fare fuori "l'altro". Il parlamento è il nuovo Squid Game.
La buvette di Montecitorio sta per riaprire ai nuovi parlamentari. I numeri sono dimezzati. 400 deputati alla Camera e 200 al Senato. Le elezioni per molti sono stati un bagno di sangue. Come per Luigi Di Maio che ora, dopo aver perso il seggio e portato il suo movimento allo 0,0, dovrà accontentarsi di qualche posticino da raccomandato (fuori dai radar) in qualche azienda. Il nuovo lavoro? Il lobbista dicono tra i palazzi. Di cosa si tratta? Beh, una sorta di navigator per le aziende. Ma non rimarrà a bocca asciutta, almeno fino a quando ci sarà il reddito di cittadinanza. “È amareggiato, deluso. Non si aspettava di fare questa fine” dicono i suoi amici e compagni di viaggio. A rimanere senza lavoro è tutto il suo entourage che cerca nuovi spazi. Magari in TV. “Chiedono ovunque, in Rai, a Mediaset... oh, devono cercare lavoro ora eh. La pacchia è finita. Poverini” ci dicono le nostre fonti.
Ma a rimanere senza lavoro è anche Monica Cirinnà la senatrice paladina dei diritti battuta alle urne da Fratelli d’Italia. Cosa farà adesso? C’è chi dice che vestirà i panni da contadina ma chi è più malizioso assicura: aprirà un canile. Glielo abbiamo chiesto... (ASCOLTA IL PODCAST) Nell’azienda agricola di famiglia anche il senatore dem Andrea Marcucci.
L’elenco dei trombati è lungo, lunghissimo. Lucia Azzolina sicuramente tornerà a scuola. Ma non dietro il banco bensì dietro la cattedra. Si, quella da preside. Lei, infatti, durante il suo breve mandato da ministro dell’istruzione è stata promossa. Chiaramente è solo un caso, no?!
C’è anche l’antifascista Emanuele Fiano tra gli esclusi dal Palazzo. Lui non mollerà la politica, si candiderà alle prossime elezioni in Lombardia. Lo stesso farà Luciano Nobili uno dei pochi di Italia Viva a rimanere senza poltrona. Lui correrà nel Lazio. Magari come presidente. Con lui anche l’ex ministro Teresa Bellanova.
La verità vera è una sola come ci dice un deputato rieletto: “ci siamo tagliati le palle e ora ne paghiamo il prezzo. A partire da Di Maio”.
Domenico Di Sanzo per “il Giornale” il 21 novembre 2022.
Chi sono? Gli ex parlamentari Cosa fanno? Popolano gli studi dei talk show. E cosa dicono? C'è chi è tornato a fare il giornalista e attacca il suo ex partito, chi continua a rappresentare la propria parte politica e chi si è riciclato come opinionista di area, seppur rinunciando all'ortodossia partigiana del militante. Se tanti tra i non rieletti alle ultime elezioni politiche hanno deciso di ritirarsi a vita privata e dedicarsi alle attività più disparate, in compenso molti altri continuano a parlare di politica in Tv. Dai divanetti del Transatlantico alle poltroncine dei salotti televisivi.
Partiamo con la nuova epopea catodica dei bocciati alle urne del 25 settembre. Gli ultimi arrivati, quelli freschi di non rielezione in Parlamento. Uno di loro è l'ex deputato del Pd Andrea Romano. Lo storico e giornalista, sconfitto nel collegio uninominale di Livorno, è opinionista fisso a Mediaset ma si fa vedere ancora anche dalle parti di La7, Piazzapulita di Corrado Formigli. Le performance televisive di Romano non si discostano affatto da quelle del suo recente passato parlamentare. Difende il Pd, battaglia con gli ex colleghi del centrodestra, in prima linea negli spazi dedicati all'Ucraina in quota atlantisti. Il professore dem ha twittato ieri a supporto della candidatura di Stefano Bonaccini alla segreteria del Pd.
Stessa professione, giornalista, anche lui reduce dall'ultima legislatura, ma di idee opposte a quelle di Romano è Gianluigi Paragone, leader di Italexit. Paragone imperversa a La7 e timbra spesso il cartellino a Non è L'Arena di Massimo Giletti. Eletto con il M5s nel 2018, non è riuscito a bissare guidando il suo partito euroscettico. Paragone si esprime più come capo politico che come cronista e spazia dal Covid al conflitto russo-ucraino. Più che scettico sui vaccini, più che critico sulla strategia occidentale di sostegno a Kiev.
Alla voce «esperti di politica estera» troviamo Emma Bonino, non eletta il 25 settembre con +Europa. La radicale fa il controcanto ai sovranisti e attacca il suo ex alleato Carlo Calenda. Richiestissima dagli autori televisivi, si concede con relativa parsimonia. Bonino resta una riserva della Repubblica, anche per i talk show.
Bocciati alle urne, promossi in Tv. Come Emanuele Fiano, popolare ex deputato del Pd, sconfitto a Sesto San Giovanni da Isabella Rauti. Ospite a Mediaset e Telelombardia, sempre pugnace sui temi dell'antifascismo e dell'immigrazione. O come Luciano Nobili, renziano di ferro, non eletto il 25 settembre, habituè degli studi televisivi per difendere le ragioni di Italia Viva e del Terzo Polo.
Dal giorno dopo le elezioni è ovunque pure Tommaso Cerno, ex senatore del Pd poi passato al Misto, ora sempre in Rai, La7 e Mediaset nella sua nuova veste di direttore del quotidiano L'Identità. Rivive come combattivo frondista di sinistra. «Soumahoro che frigna e fa la vittima», ha scritto ieri su Twitter, tanto per gradire.
Meritano un capitolo a parte gli ex politici che ormai hanno una carriera televisiva consolidata. Nunzia De Girolamo, ex ministro berlusconiano, è un volto affermato, opinionista di area centrodestra, in particolare a La7. E non può mancare Alessandro Di Battista, come De Girolamo senza scranno da diversi anni. Dibba è reportagista per il Fatto Quotidiano, scrittore e ultimamente commentatore onnipresente e super-pacifista sull'Ucraina. Ex grillino come l'ex ministra per il Sud Barbara Lezzi, che ha scelto di non ricandidarsi ma appare sovente in televisione, specialmente per parlare di ambientalismo, trivelle e rigassificatori.
Infine i reduci della Seconda Repubblica. I comunisti Paolo Ferrero e Marco Rizzo, non eletti alle ultime elezioni rispettivamente con Unione Popolare e Italia Sovrana e Popolare, non sono di certo facce nuove per i telespettatori. Così come l'ex colonnello di Alleanza Nazionale Italo Bocchino, direttore editoriale del Secolo d'Italia, corteggiato in qualità di esperto del mondo meloniano e della destra italiana arrivata fino a Palazzo Chigi. Fuori dall'Aula, dentro lo schermo.
Da Di Maio alla Cirinnà: i trombati dal voto esclusi (per ora) dal Parlamento. Non c'è solo di Di Maio tra quelli che non torneranno nei Palazzi: fuori anche Emma Bonino e Monica Cirinnà. Tracollo Pd nelle roccaforti rosse. Francesca Galici su Il Giornale il 26 settembre 2022.
Sono tante le sorprese che emergono dalle urne elettorali e tanti i big che non sono riusciti a ritrovare una poltrona nel prossimo schieramento parlamentare. Per conoscere i risultati dei collegi plurinominali sarà necessario aspettare le prossime ore, probabilmente domani, per avere contezza dei seggi assegnati a ciascun partito e, in base a quello, fare i conteggi. Le certezze per il momento sono solo per i collegi uninominali, anche se ci sono stati colpi di scena anche nei plurinominali.
La sorpresa più grossa è l'esclusione di Luigi Di Maio, sconfitto nettamente nell'uninominale alla Camera del collegio Campania 1 Napoli-Fuorigrotta. Non c'erano segnali alla vigilia di una debacle così importante per il ministro degli Esteri uscente: il sentiment popolare era di un testa a testa, che poi allo spoglio si è trasformato in una netta vittoria di Sergio Costa. Nessuna possibilità di ripescaggio per Di Maio, il cui partito non ha superato nemmeno lo sbarramento dell'1% previsto per le coalizioni.
Niente da fare nemmeno per Monica Cirinnà del Partito democratico, che si ferma al 20,95 % contro il 48,65 di Ester Mieli del centrodestra nel collegio uninominale Lazio U-04. Una sfida che appariva difficile fin dall'inizio, tanto che la senatrice uscente sembrava propensa a rinunciare in partenza. Stessa sorte anche per Emanuele Fiano del Partito democratico, che nel collegio uninominale del Senato di Sesto San Giovanni non è riuscito a superare Isabella Rauti. Fiano si è fermato al 30.80% dei voti, superato dalla Rauti che ha ottenuto il 45.4%. Non ce l'ha fatta nemmeno Carlo Cottarelli, candidato all'uninominale del Senato a Cremona contro Daniela Santanché: la candidata del centrodestra ha ottenuto il 52,17% dei voti, quasi il doppio del rivale, fermo al 27.37%.
Tsunami in Toscana: il centrodestra sfiora il 40%, male la sinistra, bocciato Rossi
Nel collegio uninominale UO2-Livorno del Senato, il candidato del Pd, ed ex capogruppo, Andrea Marcucci si è fermato al 32.89% mentre il deputato Manfredi Potenti della Lega arriva al 38.98%. Sconfitta anche per Vittorio Sgarbi, candidato nel collegio uninominale U-03 di Bologna del Senato contro Pier Ferdinando Casini: il candidato del Pd ha ottenuto il 40.07%, mentre quello del centrodestra il 32.32%. È fuori dai giochi anche Gianluigi Paragone, che con il suo partito Italexit non ha superato lo sbarramento del 3% per entrare al parlamento.
Mara Carfagna, candidata nel collegio di Napoli Fuorigrotta 2 per la Camera (lo stesso di Di Maio) è arrivata quarta con il 6.7% delle preferenze. Per il momento, il ministro uscente risulta non rieletto ma sarà necessario aspettare i risultati dei collegi plurinominali. Risulta al momento essere fuori dal parlamento anche Pippo Civati, capolista nel secondo collegio plurinominale a Bologna. La sua coalizione di centrosinistra ha ottenuto il 36% contro quella del del centrosinistra che ha raggiunto il 37%.
Di Maio e gli altri "trombati" eccellenti (nella sinistra). Linda Di Benedetto su Panorama il 27/09/22.
Le candidature eccellenti del centro sinistra sono state sconfitte in tutti i seggi. Una disfatta senza precedenti che oltre ad aver cambiato la geografia politica del Paese togliendo le regioni “rosse” al centro sinistra ha lasciato a casa chi avrebbe dovuto vincere senza problemi nei cosiddetti collegi blindati sconfitti invece dal centrodestra. In Lombardia Emanuele Fiano figlio di Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz, è stato battuto da Isabella Rauti esponente di Fdi e figlia di Pino ex segretario del Msi, fra i fondatori della Fiamma tricolore dove ha ottenuto il 45,4% dei voti contro il 30,80% di Fiano. Nella sfida al Senato in Lombardia a Cremona la coordinatrice regionale di Fdi Daniela Santanché ha ottenuto il 52,17% dei voti contro il 27,3% di Carlo Cottarelli. Nel Lazio 2 la candidata del centrosinistra Emma Bonino ha vinto la sfida contro Carlo Calenda nel collegio uninominale Lazio 2 ma non le è bastato per entrare in Senato perché ha vinto Lavinia Mennuni la consigliera comunale di Fratelli d’Italia con il 36,30% delle preferenze. Il leader di Azione invece è arrivato terzo, raccogliendo 77.211 voti, pari al 14,07% delle preferenze e verrà comunque eletto al Senato grazie al proporzionale. Nel Lazio tra i volti noti del centro sinistra a restare fuori è anche Monica Cirinnà che raggiunge il 31,2% delle preferenze contro il 37,1% di Ester Mieli la giornalista di Fdi. Anche il sindacalista Aboubakar Soumahoro che era in lista con Ilaria Cucchi entrambi candidati eccellenti dell’Alleanza Verdi-Sinistra italiana è stato battuto di poco da Daniela Dondi (Fdi) con il 37,4% con il 36% di Soumahoro, mentre la Cucchi è riuscita a vincere in Toscana con un margine del 10% su Federica Picchi. Sconfitto anche l'epidemiologo Pierluigi Lopalco che raggiunto il 24,13% delle preferenze in Salento mentre il leghista Roberto Marti si è aggiudicato il seggio uninominale del Senato con il 44,07%.Fuori dal Parlamento anche Luigi di Maio, l’ex capo politico del M5S che ha ottenuto il 24,3% dei voti contro il 40,5% di Sergio Costa ex ministro grillino.
PASQUALE QUARANTA, NICOLO' GUELFI per lastampa.it il 26 settembre 2022.
Un’Italia in blu. Il centrodestra si è aggiudicato la maggioranza dei collegi uninominali, ma sono tanti i casi clamorosi e i grandi esclusi: Luigi Di Maio perde la sfida diretta a Napoli Fuorigrotta con il 5 stelle Sergio Costa e resta fuori dal Parlamento. Nello stesso collegio era candidata anche Mara Carfagna con Azione, che però si è fermata al quarto posto.
La ministra per il Sud e la Coesione territoriale nel Governo Draghi, da poco fuoriuscita da Forza Italia, ottiene il solo il 7,10%. Probabilmente nessuno degli ex forzisti confluiti in Azione troverà posto in Parlamento. L’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris, leader dell’Unione Popolare è fuori: la lista non ha superato lo sbarramento fermando all’1,4%.
Debacle tra i ministri del governo Draghi: 6 di loro si sono candidati ma solo Giancarlo Giorgetti ha conquistato un seggio all’uninominale.
Sconfitta importante per l’ex ministro degli Esteri campano, il cui partito Impegno Civico raggiunge solo lo 0,60% su base nazionale. Emma Bonino ha la meglio su Carlo Calenda che, nel duello per l’uninominale al Senato a Roma, scivola al terzo posto, ma viene battuta dalla candidata del centrodestra Lavinia Mennuni. La presidente del Senato uscente Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata rieletta nel collegio per il Senato in Basilicata con il 36,10. Eletto anche il virologo Andrea Crisanti, candidato al Senato come capolista del Partito Democratico nella circoscrizione Estero.
Casini a Bologna e Santanché a Cremona per il Senato
Pier Ferdinando Casini a Bologna, la spunta su Vittorio Sgarbi nell’uninominale al Senato. A Cremona Daniela Santanché doppia nella sfida diretta l’economista Carlo Cottarelli per l’uninominale al Senato.
Gaia Zini per editorialedomani.it il 26 settembre 2022.
A regalare al M5s nuove leve che andranno a sostituire i parlamentari che non si sono più potuti ricandidare per il vincolo dei due mandati sono soprattutto i collegi campani. Il consenso altissimo che il partito di Giuseppe Conte ha raccolto a Napoli e nella sua provincia ha portato alla vittoria del M5s in 11 collegi uninominali, 7 alla Camera e 4 al Senato. Quasi tutti sono candidate e candidati vicini a Roberto Fico: il presidente uscente della Camera è ormai il referente unico della zona, dopo la scissione di Luigi Di Maio.
Una delle partite più seguite è stata quella del collegio Napoli-Fuorigrotta alla Camera, dove il candidato Cinque stelle Sergio Costa, ex ministro dell'Ambiente, che ha battuto il candidato del centrosinistra Di Maio, ex M5s oggi leader di Impegno Civico, ma anche la storica fedelissima di Silvio Berlusconi Mariarosaria Rossi per il centrodestra e Mara Carfagna, candidata di Azione-Italia Viva. Costa era nel listino ristretto che Conte aveva imposto alla base degli elettori Cinque stelle ed è apparso spesso al fianco del leader, come a sottolineare il ritrovato spirito ambientalista del Movimento.
Costa prima di diventare ministro è stato generale dei Carabinieri nella divisione forestale e prima della campagna elettorale per le elezioni amministrative a Napoli, quando l’asse giallorosso era ancora saldo, il suo nome era tra quello dei potenziali candidati.
Al collegio di Giugliano ha trionfato Antonio Caso, già candidato alle comunali di Pozzuoli di giugno scorso dopo il fallimento dell’alleanza giallorossa che in un primo momento avrebbe dovuto esprimere un candidato comune. In quell’occasione, Caso aveva raccolto appena il 3,2 per cento dei consensi.
Anche nelle parlamentarie interne al Movimento non era stato molto fortunato e ha dovuto contare sul ripescaggio. Sul suo profilo Facebook, creato soltanto il 23 agosto, tantissimi i post che lo ritraggono in compagnia di figure di primo piano del Movimento, da Conte al collega candidato Costa al presidente della Camera Roberto Fico, che pur essendo uscito di scena dopo l’esaurimento dei due mandati rimane il punto di riferimento dei Cinque stelle campani dopo l’uscita di scena di Di Maio.
A Napoli-San Carlo all’Arena è stato eletto Dario Carotenuto, membro dei meetup dal 2005. Dopo un diploma da perito informatico ha imboccato la via del cinema (oltre a suonare il basso per una rockband americana con cui ha fatto un tour in Europa, scrive nella sua presentazione ufficiale) e ha lavorato con Jacopo Fo, oltre a collaborare con la fiction Un posto al sole.
Presto anche il Movimento apprezza le sue capacità e Carotenuto inizia a produrre grafiche e video per il M5s: «Realizzai infatti i santini per tutti i candidati della circoscrizione sud per le europee del 2014». Carotenuto si occuperà anche di raccontare le gesta dei parlamentari Cinque stelle in un notiziario settimanale, oltre a essere collaboratore di Fantagazzetta.com (oggi Fantacalcio.it) e direttore editoriale di CanaleNapoli.
Anche dal collegio di Casoria arriva un volto nuovo, Pasqualino Penza, che ha raccolto il 47,2 per cento dei consensi sconfiggendo oltre al centrodestra anche il candidato di centrosinistra e suo ex compagno di partito Vincenzo Spadafora. Anche lui è nel partito da tempo, tanto da essere capolista a Caivano nelle amministrative del 2020.
Eletta anche Carmela Auriemma, candidata ad Acerra dov’è già consigliera comunale. Avvocata con esperienza internazionale, si è occupata in passato di temi ambientali attraverso un blog e un’associazione. È già membro del Team Futuro, uno degli elementi della struttura del Movimento imposto da Conte con il nuovo corso.
Anche nel suo caso, la vicinanza a Roberto Fico è testimoniata sui social: sul suo profilo personale campeggia una grande immagine di copertina che la ritrae insieme al presidente della Camera. In un post dell’estate scorsa si rivolgeva a Luigi Di Maio con un post in cui lo incoraggiava a candidarsi a Bibbiano con il centrosinistra, com’era stato suggerito da alcuni retroscena pubblicati in quei giorni: «Culi di colla» è il commento della neodeputata.
Torna in parlamento Carmen Di Lauro, rieletta a Somma Vesuviana con il 34,8 per cento. Nell’ultima legislatura è stata membro della commissione Ambiente e della commissione di Vigilanza Rai. Ha firmato tre proposte di legge da prima firmataria, una sulla tutela dei diritti degli animali, una sull’istituzione dello psicologo scolastico e una che riguarda l’introduzione della giornata nazionale della partecipazione e della cittadinanza digitale. Nessuna delle tre è stata esaminata. Ha partecipato a quasi il 70 per cento delle votazioni in aula, perfettamente in linea con la media delle presenze della diciottesima legislatura.
A Torre del Greco l’attore, scrittore, drammaturgo e regista teatrale Gaetano Amato ha sconfitto il candidato del centrosinistra Sandro Ruotolo. Il profilo social è affollato di pezzi neomelodici e lunghi post in cui Amato commenta l’attualità, come quello in cui si scaglia contro il «vile affarista» Mario Draghi: «Ci ha trascinati in una guerra che non ci apparteneva, affidando i colloqui di pace a uno che definitiva bestia il capo del governo con cui mediare».
Basta scorrere poco più giù per trovare foto in cui il neodeputato è insieme ad Alessandro Di Battista, ex M5s in rotta con la linea governista a sostegno di Draghi. Il 5 agosto, Amato se la prendeva con gli Stati Uniti: «Mo sono andati a cacare il cazzo a Taiwan… Ma se proprio volete le guerre fatele a casa vostra tra di voi… Ma come si può essere così pezzi di merda da andare in giro per il mondo a fomentare guerre fottendosene delle vite innocenti che ne subiranno le conseguenze?»
Rieletta al collegio senatoriale di Giugliano il medico Mariolina Castellone, che è stata capogruppo a palazzo Madama nell’ultimo periodo della legislatura. Originariamente candidata avversaria al prescelto di Conte, Ettore Licheri, Castellone è progressivamente diventata una fedelissima dell’avvocato pugliese e uno dei principali volti televisivi del Movimento in campagna elettorale.
Gli elettori del collegio Napoli città hanno scelto Ada Lopreiato contro Valeria Valente del centrosinistra e Stefano Caldoro del centrodestra. L’avvocata specializzata in diritto bancario era già nella lista del Movimento a sostegno di Gaetano Manfredi, poi eletto sindaco di Napoli.
A palazzo Madama andrà anche Raffaele De Rosa, eletto ad Acerra, che su Facebook si dichiara orgogliosamente né di sinistra, né di destra, ma «progressista», espressione molto cara anche al suo leader politico. Anche il suo profilo social nasce appena il primo settembre.
A Torre del Greco si è imposto Orfeo Mazzella, odontoiatra laureato alla Federico II di Napoli ed esperto di malattie rare. Ha celebrato la sua vittoria con un video intitolato «Habemus senatorem» e spesso conclude i suoi post con hashtag come #cuore e #coraggio. Sempre pronto a schierarsi contro autonomia e Mes, Mazzella non lesina di contenuti che riguardano Conte.
Da ilfattoquotidiano.it il 26 settembre 2022.
Per l’esclusione di Luigi Di Maio, rimasto fuori dal Parlamento, “non provo nessuna gioia, ma chi è causa del suo mal pianga se stesso. Gli consiglio di stare alla larga dal mondo della politica. Di studiare, di prendersi una laurea e di vivere la vita reale che, forse, negli ultimi anni non ha vissuto”, perché “c’è vita al di fuori dei palazzi. Non mi va di infierire, non deve essere facile”. Così Alessandro Di Battista in un video postato su Facebook.
DA lastampa.it il 26 settembre 2022.
«In meno di due mesi abbiamo costruito una casa per i liberali, i riformisti e i popolari. Una casa per gli italiani che non vogliono un paese fondato sui sussidi e le regalie ma che vogliono rimanere a testa alta tra i grandi paesi europei, saldamente ancorati all'Occidente e ai suoi valori». Carlo Calenda leader di Azione si dice soddisfatto per il risultato elettorale.
«Nei prossimi mesi – spiega – si consolideranno tre schieramenti: la destra al Governo; una sinistra sempre più populista che nascerà dalla risaldatura tra PD e 5S, e il nostro polo riformista. Abbiamo il compito di dare una rappresentanza stabile e organizzata all'Italia che cerca una politica seria. Con quasi l'8% dei consensi partiamo da solide basi. Avvieremo subito un cantiere affinché questo processo sia ampio e partecipato».
Elezioni: debacle per parlamentari Pd in uninominali Toscana
Nei collegi uninominali della Toscana non ce l'hanno fatta i parlamentari uscenti del Pd Andrea Romano, Andrea Marcucci, Stefano Ceccanti, Tommaso Nannicini e Martina Nardi. Per la Camera, a Massa Nardi si è fermata al 27,75% mentre Elisa Montemagni, capogruppo della Lega in Consiglio regionale, ottiene il 44,9% delle preferenze. A Pisa Stefano Ceccanti si è attestato al 34,9% contro il deputato Edoardo Ziello della Lega che arriva al 40,06%.
A Livorno Andrea Romano spunta il 33,81%, mentre Chiara Tenerini, coordinatrice provinciale di Fi e consigliere comunale di Cecina, arriva al 35,91%. A Prato, alla Camera, Tommaso Nannicini si ferma al 33,59% mentre la parlamentare azzurra Erica Mazzetti ottiene il 40,24%. Al Senato Andrea Marcucci si attesta al 32,89% mentre il deputato Manfredi Potenti della Lega arriva al 38,98%.
Flavia Amabile per “la Stampa” il 26 settembre 2022.
Che cosa resta dopo due anni sulle barricate contro vaccini, Green Pass, negando l'esistenza del Covid e mettendo in discussione persino i morti? Nemmeno un posto in Parlamento a giudicare dalle prime proiezioni di voto. L'eredità di quella schiera di tenaci negazionisti si è frammentata in una miriade di formazioni, da Italexit guidato da Gianluigi Paragone a Alternativa per l'Italia di Simone Di Stefano e Mario Adinolfi, fino a Italia Sovrana e Popolare di Marco Rizzo e altre ancora.
Fin dall'inizio soltanto Italexit ha avuto una possibilità concreta di entrare in Parlamento. I primi risultati però non lasciano sperare il fronte contrario ai vaccini. Per il Consorzio Opinio Italia per Rai, con una copertura del campione dell'80% Italexit per l'Italia è fuori dal Parlamento con una percentuale compresa tra un minimo dello 0,5 per cento a un massimo del 2,5 per cento. In base al secondo Instant poll di Quorum/Youtrend per Sky Tg24, il partito di Paragone si ferma al 2,3%. E per il secondo intention poll Tecné per Mediaset oscilla tra l'1,5 e il 3,5 per cento. Ma, quando dopo mezzanotte arrivano le proiezioni, le speranze si fermano. Le percentuali calano al di sotto del 2%.
Paragone aspetta che i dati siano consolidati prima di commentarli. Nella primissima parte della notte delle elezioni gli exit-poll lo collocano troppo sul limite dello sbarramento, basta poco per cambiare radicalmente lo scenario e lui ricorda ancora la delusione subita alle elezioni amministrative a Milano nel settembre 2021, quando si era addormentato convinto di aver superato lo sbarramento e si era svegliato la mattina dopo con il 2,99 per cento dei voti, rimanendo escluso per poche preferenze dal Consiglio comunale. Il leader di Italexit aveva chiesto il riconteggio delle schede ma i voti mancanti erano risultati molti di più, oltre 1.500.
Intorno all'1 e mezza del mattino appare per ammettere la sconfitta spiegando che non sono i no ad averli condannati perché «c'è un pezzo di Italia che è andata anche oltre, non ha proprio votato». Resta la consapevolezza di essere molto al di sotto delle attese della vigilia e di aver scommesso su un calcolo politico che non ha dato i risultati sperati.
Da formazione antisistema e apartitica Italexit si è lentamente trasformata in una formazione di estrema destra che avrebbe dovuto rappresentare la spina nel fianco di Giorgia Meloni rubando a Fratelli d'Italia voti attraverso candidati come Carlotta Chiaraluce, militante di Casapound. Una sfida persa. Giorgia Meloni è la prima forza politica in Parlamento. Loro non sono nemmeno entrati.
GLI ESCLUSI. Puglia, ecco i tanti «trombati» eccellenti: da Bellanova agli scienziati. Il 25 settembre segna anche il flop degli scienziati prestati alla politica: non viene eletto nell’uninominale salentino l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco (espressione di Articolo 1), mentre a Bari arriva terza l’accademica di rilievo internazionale Luisa Torsi. Michele De Feudis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Settembre 2022.
Le elezioni politiche fanno registrare un lungo elenco di bocciati eccellenti in Puglia. Non viene eletta al senato Teresa Bellanova, viceministro di Italia Viva-Azione, simbolo delle posizioni produttiviste, pro-Tap e pro-acciaio del mondo renziano. Nella regione non è scattato il seggio per la politica salentina e si è così congedata dagli elettori: «Grazie a tutte e a tutti quelli che con me e con noi in queste settimane ci sono stati, ci hanno sostenuto, ci hanno creduto e hanno lavorato con dedizione e passione. Grazie per i sorrisi, le parole di incoraggiamento, la lealtà, la disponibilità, l’entusiasmo. La mia esperienza parlamentare si ferma qui».
Il 25 settembre segna anche il flop degli scienziati prestati alla politica: non viene eletto nell’uninominale salentino l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco (espressione di Articolo 1), mentre a Bari arriva terza l’accademica di rilievo internazionale Luisa Torsi (sostenuta dal sindaco dem di Bari Antonio Decaro). L’ex assessore alla Sanità (ora consigliere regionale) ha così commentato il dato delle urne: «Sono fiero di aver accettato una sfida difficilissima in un collegio uninominale pur sapendo che, sulla base dei sondaggi, la vittoria sarebbe stata impossibile». E ha aggiunto: «Perché al gioco della politica bisogna partecipare non per vincere, ma...
Elezioni politiche 2022. Professori, giornalisti, contadini: cosa faranno i trombati dal voto. Marco Leardi il 2 Ottobre 2022 su Il Giornale.
Cirinnà raccoglierà le olive, poi aiuterà i dem a ricompattarsi. Azzolina farà la preside, Di Maio chissà. Altri esclusi dal Parlamento, invece, cercheranno il riscatto con gli elettori alla prossima tornata
C'è chi non ha raccolto voti e adesso andrà a raccogliere le olive. Chi invece rivendicava l'introduzione del reddito di cittadinanza e ora, per una strana legge del contrappasso, un lavoro se lo dovrà trovare da solo. Qualcuno tornerà invece al suo vecchio impiego, senza portaborse né pranzi alla buvette. Altri invece cercheranno un riscatto, un'altra occasione per salire sul carro vincente della politica. Nel variegato mondo dei trombati dal Parlamento ci sono professori, giornalisti, ex conduttori tv, pensionati e futuri contadini. Ecco come se la caveranno ora, senza l'ambito scranno sul quale accomordarsi.
I trombati del Pd
Monica Cirinnà, ad esempio, non abbandonerà la politica e continuerà il suo impegno tra i dem. Da quelle parti, del resto, dopo la scoppola elettorale i cocci da raccogliere sono parecchi e il lavoro dunque non manca. Nel frattempo, l'ex senatrice si occuperà di ben altre mansioni. "Tra poco a Capalbio in fattoria si raccoglieranno le olive", ha raccontato lei stessa a Repubblica. Sempre nel Pd, anche Andrea Romano (non eletto nel collegio uninominale di Livorno) dovrà trovare un'occupazione. Con ogni probabilità riprenderà la sua attività di professore univesitario o quella, già svolta in passato, di giornalista. Scommettiamo poi di rivederlo presto in tv, ospite di qualche talk show nel ruolo di fustigatore del centrodestra. A proposito di piccolo schermo: nei giorni scorsi, l'ex deputato aveva espresso il desiderio di salutare la moglie Sara Manfuso, attualmente concorrente del Grande Fratello Vip. "C'è la possibilità di poter entrare ma solo per salutare il familiare che è lì. E a me piacerebbe molto farlo, senza partecipare al gioco", aveva confidato su Radio2.
Emanuele Fiano, umiliato a Sesto San Giovanni dalla candidata del centrodestra Isabella Rauti, dovrebbe invece trovare una ricollocazione come candidato alle prossime regionali lombarde, sempre sul fronte progressista. "Non smetto di militare nel fronte della sinistra italiana, ma è venuto il momento di fare un congresso vero rifondativo", ha prospettato lui stesso. Infine, reduce dalla batosta presa in toscana, l'ormai ex senatore Pd Andrea Marcucci tornerà all'azienda di famiglia. Niente più Parlamento anche per il dem Filippo Sensi, per il quale si prospetta un ritorno nel mondo della comunicazione come esperto.
Renziani non eletti, cosa faranno
Tra i renziani, la non eletta Teresa Bellanova, ex ministra delle Politiche Agricole nel Conte II, potrà scegliere se tornare ai suoi impegni da sindacalista della Filtea-Cgi o se rimanere nel perimetro della militanza in Italia Viva. "Lo spazio per la buona politica è dovunque, basta solo avere voglia ed esigenza di praticarlo ", aveva twittato lei, lasciando intendere la propria volontà di non sparire dai radar. Il renziano di ferro Luciano Nobili, invece, punterà probabilmente alle regionali nel Lazio e continuerà ad affiancare il leader di Italia Viva.
Il futuro di Di Maio, Azzolina e Spadafora
Il fautore del reddito di cittadinanza, Luigi Di Maio, dovrà trovare un nuovo impiego, forse nel mondo della consulenza aziendale. Anche se, ironizzando sui social, alcuni utenti hanno sacrasticamente immaginato un suo ritorno come steward allo stadio San Paolo. Dirà addio ai banchi di Montecitorio anche Lucia Azzolina. L'ex ministra dell'istruzione, in compenso, tornerà ad altri banchi: quelli dell'istituto comprensivo "Emanuele Giaracà" di Siracusa, del quale - secondo quanto si apprende - sarà preside (sua professione prima dell'impegno parlamentare). In area Cinque Stelle, anche l’ex capogruppo pentastellato alla Camera Davide Crippa non avrà più un posto in Parlamento. Dunque, che farà? "Non lascio la politica e guardo al dibattito nel Pd", aveva detto lui alla Stampa. Per l'ex ministro Vincenzo Spadafora si potrebbero aprire nuovamente le porte dell'impegno umanitario (già in passato fu presidente del comitato italiano di Unicef).
Dopo il flop elettorale di Italexit, l'ex grillino Gianluigi Paragone proseguirà invece l'impegno nel suo movimento anti-sistema. "Troveremo spazio fuori dal Parlamento", ha chiosato il giornalista, che pare sia intenzionato a candidarsi alle prossime regionali in Lombardia. Alcuni scommettono su un suo ritorno in tv nel caso di un fallimento anche nelle prossime sfide elettorali. Il giornalista Sandro Ruotolo, candidato per il centrosinistra bocciato dagli elettori, tonerà al suo impiego di sempre, pur non escludendo una permanenza nella politica attiva di sinistra. "Ho sempre pensato alla necessità di costruire un campo largo e penso che sin da oggi dovremo lavorare a ricostruire le condizioni di dialogo tra quelle che sono oggi in parlamento le forze di opposizione e domani dovranno far parte dello schieramento che si candiderà a governare il Paese", ha infatti affermato l'ex collaboratore di Michele Santoro.
Nel centrodestra, l'ex senatore leghista Simone Pillon - non riconfermato - rimarrà a lavoro nel Carroccio, sempre portando avanti le istanze di cui si era fatto portavoce. "Mi metto a disposizione del segretario del mio movimento politico e dell’intero centrodestra per continuare l’impegno nel difendere la natalità e la vita umana dal concepimento alla morte naturale, nel promuovere da ogni punto di vista la famiglia e la bigenitorialità, con l’insostituibile ruolo della mamma e del papà, nel sostenere la libertà educativa e nel combattere la protervia del Gender, l’orrore delle droghe e tutte le altre minacce che incombono sui più fragili e particolarmente sui bambini", ha affermato. Emma Bonino, che in materia di ideali sta dalla parte opposta di Pillon, aspetterà forse un riscatto alle prossime elezioni europee del 2024, dopo aver chiesto un riconteggio dei voti delle recenti elezioni. Intanto continuerà la sua attività in +Europa.
Chi invece non dovrà trovare un ricollocamento è sicuramente Vittorio Sgarbi. Battuto al fotofinish a Bologna da Pier Ferdinando Casini, il professore proseguirà i suoi impegni come critico d'arte, scrittore, sindaco, organizzatore di mostre e polemista.
«Fuori dal Parlamento? Apro un chiringuito». Battelli, Fico e Di Maio: le nuove vite degli ex onorevoli. Claudio Bozza su Il Corriere della Sera il 23 Ottobre 2022.
Il taglio dei 345 seggi e il successo di FdI hanno portato a esclusioni clamorose. Dal big Di Maio, sfortunato padre della scissione del M5S, alla senatrice del Pd Cirinnà, “punita” dalla strana storia dei 24 mila euro trovati nella cuccia del suo cane
C’è chi, come Luigi Di Maio, voleva tagliare le poltrone in Parlamento. Ci è riuscito stravincendo il referendum, ma poi è finito sforbiciato a sua volta. E chi, come il suo fedelissimo Sergio Battelli, conscio dello zero virgola che li attendeva, dopo 10 anni nei palazzi della (fu) casta aveva già in testa un sogno: aprire un chiringuito a Barcellona. «Lo chiamerò Montecitorio beach», racconta con il sorriso il deputato-rocker che nel frattempo ha registrato il suo nuovo singolo 3 is a magic number. Mentre molti progressisti hanno esultato per la mancata rielezione di Simone Pillon, l’ultraconservatore (anti Lgbt+, divorzio, aborto ma la lista è ancora lunga) una delle vittime illustri del crollo della Lega: «Ma io non mi arrendo», avverte.
La batosta degli scissionisti
Da destra a sinistra, tra i 345 seggi in meno e la grande ascesa di Fratelli d’Italia che ha rivoluzionato i vecchi equilibri, l’esito delle elezioni del 25 settembre ha lasciato una sfilza di big fuori dal Parlamento. Il maggior numero di “esodati” della politica proviene dal Movimento Cinque Stelle e dagli scissionisti dimaiani cancellati dalla caduta del governo Draghi. «E ora che lavoro andranno a fare, visto che molti di loro non avevano mai lavorato?», si chiedono perfidamente i parlamentari più navigati e rimasti in sella. Partiamo appunto dal ministro degli Esteri uscente: Di Maio, dopo la batosta di Impegno civico (0,6%), ha cancellato i suoi profili social su Facebook e TikTok. Per la campagna elettorale era riuscito a raccogliere anche 300 mila euro, che però sono serviti a eleggere un solo deputato, e di un altro partito: Bruno Tabacci. Ora è il tempo del silenzio, per provare a ripartire: «Abbiamo perso: non ci sono se, né scuse da accampare» ha ammesso l’ex capo grillino, senza giri di parole. «Nella vita si cade, ma ci si rialza».
Gli scivoloni dell’ingegnere informatico
A 36 anni Di Maio avrà più tempo per stare con Virginia Saba, la sua compagna: «E grazie all’esperienza acquisita in questi anni alla Farnesina, presto potrebbe impegnarsi con un’azienda di consulenze e relazioni istituzionali», sussurra chi lo conosce bene. Mentre Manlio Di Stefano, già sottosegretario agli Esteri protagonista di più gaffe, è già pronto a tornare al suo vecchio impiego da ingegnere informatico. Resta epico, sfogliando il menu dei suoi scivoloni, «l’abbraccio agli amici libici» che Di Stefano mandò via Twitter dopo la mega esplosione al porto di Beirut. Farà invece discutere il futuro dell’ex presidente della Camera Roberto Fico e della vice del Senato Paola Taverna. Entrambi hanno sostenuto il loro leader Giuseppe Conte nello stop grillino al terzo mandato: ne sono rimasti vittime loro stessi, ma adesso potrebbero rientrare dalla finestra, dopo essere usciti dalla porta. Fico e Taverna, secondo “radio Movimento”, dovrebbero essere infatti riassunti dal loro partito per guidarne la “macchina” istituzionale.
L’ex ministra dei banchi a rotelle
Altra vittima illustre è Lucia Azzolina: l’ex ministra dei banchi a rotelle durante la pandemia, poi finiti a migliaia in discarica, è diventata preside di una scuola a Siracusa, anche lei travolta dal naufragio dimaiano. Angelo Tofalo, già sottosegretario alla Difesa M5S salito agli onori delle cronache per il «Boia chi molla!» che «però non è un motto fascista», ha invece rispolverato la sua laurea in ingegneria civile e ha già aperto una società di consulenza («At», come le sue iniziali) proprio nel settore di intelligence, cybersicurezza e difesa: «Anche Dagospia parla di noi», esulta soddisfatto su Twitter. È stata politicamente bruciante l’esclusione dal Parlamento di Emanuele Fiano (Pd), sconfitto nell’ex Stalingrado italiana di Sesto San Giovanni da Isabella Rauti, figlia del missino Pino. «Parto per Roma, vado a smontare casa e ufficio. Non è una fine, è un inizio. Buona giornata», prova a sdrammatizzare «Lele», terzo e ultimo figlio di Nedo, ebreo deportato ad Auschwitz e unico superstite di tutta la sua famiglia. E adesso? «Sono un architetto: magari insegnerò e poi riprenderò la mia professione» racconta agli amici. «Se ho chiuso con la politica? Certo che no».
Gli «esodati» e i soldi in casa
Altro grande escluso in casa Pd è Andrea Marcucci, già capogruppo al Senato e ultrarenziano che però non ha seguito “Matteo”» in Italia Viva. Marcucci ha perso il testa a testa nel collegio di Pisa-Livorno-Viareggio: «È probabilmente il risultato più basso o uno dei più bassi del centrosinistra nella storia», ha provato a consolarsi. Ma tra le varie categorie di “esodati”, di preoccupazioni l’ex senatore ne ha ben poche: la sua famiglia ha da poco chiuso venduto la Kedrion, azienda di emoderivati che fatturava 660 milioni, a un colosso globale. Per Marcucci, che dalla sua Garfagnana arrivava all’ombra di Palazzo Madama con il suo elicottero, si profila un addio all’amato jet set della politica: era il 1992 quando sbarcò per la prima volta a Montecitorio con il Pli. Chissà invece cosa farà Monica Cirinnà, la senatrice che tanto ha fatto per i diritti gay e che però, a ruota, ha visto la sua immagine sbriciolata dalla storia dei 24 mila euro in contanti ritrovati nella cuccia del suo cane a Fiumicino, senza peraltro saper spiegare da dove arrivassero tutti quei soldi.
Un posto nel partito, e uno stipendio
Tra i renziani è stata dolorosa l’esclusione di Lucia Annibali, fuori per una manciata di voti, ma che ora potrebbe rimanere tra gli uffici di Camera e Senato a gestire il funzionamento del tandem con Calenda, anche potendo contare sulla sua esperienza da avvocata. Senza seggio anche l’ex ministra, e già pasionaria della Cgil, Teresa Bellanova, che ha perso nella sua Puglia: il futuro? Continuare a fare politica attiva, ma da pensionata. E sempre nel tacco è rimasto escluso con ampio scarto anche il virologo Pierluigi Lopalco (Pd), su cui il segretario Letta aveva puntato a livello d’immagine per il suo impegno durante la pandemia. C’è poi Pippo Civati, candidato di Sinistra-Verdi e un’era geologica fa primigenio compagno di rottamazione con Renzi: ora tornerà a fare l’editore di libri. “Esodato” anche l’ex senatore M5S poi paladino antieuro Gianluigi Paragone, che, nonostante i sondaggi proiettassero Italexit verso cifre sorprendenti, si è ritrovato senza poltrona. Tornerà al primo grande amore, il giornalismo? Ancora non si sa, ma di sicuro sarà «anti».
Da tgcom24.mediaset.it il 23 ottobre 2022.
Luigi Di Maio si è dimesso dal ruolo di segretario nazionale di Impegno civico. Le dimissioni dell'ex ministro degli Esteri, riferisce l'agenzia Adnkronos, sono già state comunicate al Direttivo del partito. "Non ci sono se, ma o scuse da accampare: abbiamo perso", aveva detto Di Maio commentando l'esito delle elezioni politiche, che l'avevano visto escluso dal Parlamento.
Impegno Civico, alla tornata elettorale del 25 settembre, si era fermato allo 0,6% di preferenze, ben al di sotto della soglia di sbarramento. Dopo l'esito, Di Maio era "scomparso" anche dai social.
Intanto c'è stato il passaggio tra Antonio Tajani, neo ministro degli Esteri, con Di Maio. "Lo ringrazio per il lavoro svolto. Si parte con questa nuova sfida, sempre al servizio dell'Italia'', ha scritto su Twitter il vicepremier, postando una foto che lo ritrae con il suo predecessore.
Il Bestiario, l'Odiotino. L’Odiotino è un leggendario animale con il corpo di uno di sinistra e la testa di uno che ha perso le elezioni. Giovanni Zola il 5 Ottobre 2022 su Il Giornale.
L’Odiotino è un leggendario animale con il corpo di uno di sinistra e la testa di uno che ha perso le elezioni.
Storicamente, l’Odiotino esiste dai primordi della storia. Caino stesso si può considerare come il primo Odiotino che uccise il fratello per invidia, dato che il Padreterno preferì i doni di Abele a quelli di Caino, ma soprattutto perché – come sostengono gli esperti – Caino tendeva ad allargare mentre Abele aveva un metabolismo che gli permetteva un girovita perfetto.
L’Odiotino parte dal presupposto di essere sempre e comunque dalla parte della ragione. A partire da questo assioma per l’Odiotino il fine giustifica i mezzi e l’avversario non è un soggetto con cui confrontarsi, ma è un nemico da abbattere. Quindi per l’Odiotino chi non la pensa come lui è brutto, cattivo e soprattutto non fa la doccia in coppia per risparmiare sul gas.
Dato questo quadro generale si evince che per l’Odiotino l’avversario sia il male assoluto. Quindi se il nemico viene preferito e premiato dai più, l’Odiotino perde il controllo dando segni di squilibrio quali violenti attacchi di antifascismo accompagnati da bava alla bocca e irrigidimento del pugno chiuso, e incapacità di pronunciare le vocali rendendo l’eloquio incomprensibile: “Trsbpjk qrpstzg”.
In tal senso assistiamo ad atteggiamenti paradossali. C’è l’Odiotino che aveva promesso solennemente che, in caso di sconfitta, sarebbe emigrato come un’oca selvatica, ma che ora scopriamo ancora con le valigie impolverate in soffitta. E se viene invitato a mantenere le promesse di allontanarsi dal Paese da parte di chi pretende un minimo di coerenza, reagisce gridando all’attacco fascista e accampando la scusa che il cane gli ha mangiato i biglietti dell’aereo.
C’è poi l’Odiotino che organizza scioperi nelle scuole con l’intento dichiarato di protestare contro la vittoria democratica del nemico. In realtà si tratta di una scusa per saltare le lezioni, ammazzarsi di erbe illegali e praticare sesso di gruppo in presidenza a spregio delle istituzioni.
L’Odiotino infine, non avendo argomentazioni valide, attacca personalmente andando a ripescare parenti vicini e lontani del nemico arrivando fino a Gengis Khan macchiatosi del reato di aver lasciato un conto salato da pagare in lavanderia.
Insomma come diceva sicuramente qualcuno: “Non c’è peggior fascista di un antifascista che la mattina è sceso dal letto e ha colpito con il mignolo lo spigolo del comodino”.
La realtà distorta. C'è un automatismo che guida l'orientamento della sinistra e dei media di quell'area dopo ogni sconfitta elettorale. Augusto Minzolini il 5 Ottobre 2022 su Il Giornale.
C'è un automatismo che guida l'orientamento della sinistra e dei media di quell'area dopo ogni sconfitta elettorale: dal giorno dopo cercano l'anello debole per far saltare l'equilibrio del nuovo governo. Nelle esperienze precedenti hanno sempre utilizzato l'ambizione di uno dei leader della coalizione del centrodestra. Lo fecero con Lamberto Dini, con Pier Ferdinando Casini e con Gianfranco Fini. In questa occasione, in mancanza di meglio, tentano un'operazione a rovescio, cioè mettere la premier «in pectore» Giorgia Meloni contro i suoi alleati, in particolar modo contro Matteo Salvini.
Per farlo usano tutti i mezzi: tirano in ballo il pomo della discordia, cioè le aspirazioni di Salvini per il Viminale; oppure, moltiplicano il numero dei ministri «tecnici» per paventare una riduzione del peso degli alleati nel governo. Addirittura, dopo 25 anni tornano a lusingare Umberto Bossi nel vecchio ruolo - per citare un D'Alema d'annata - di «costola della sinistra». All'epoca il Senatùr servì all'uopo per mandare in crisi il primo governo Berlusconi, ora può tornare utile per emarginare Salvini e fargli saltare i nervi. Del resto la locuzione di Machiavelli «il fine giustifica i mezzi» ha sempre ispirato l'agire di quei mondi: il fine resta la conquista del potere, i mezzi e le alleanze cambiano a seconda del momento. Naturalmente, visto che il gioco è vecchio come il cucco, è soggetto ad un fatale declino. Più o meno come l'ideologia: siamo passati dal socialismo «sol dell'avvenire» al faccione di Giuseppe Conte. L'alleato ambito, appunto, per tornare al potere.
Un declino che la sinistra sconta anche nella capacità di dividere il centrodestra. Anche perché più sei disorientato e più scambi lucciole per lanterne, specie se sei abituato a guardare la realtà attraverso le lenti dell'ideologia: come minimo ne hai una versione distorta. Se poi hai subìto una sconfitta talmente cocente da restarne scioccato al punto di desiderare di cambiar nome, la confusione è totale e paghi un deficit di analisi, rischi cioè di non comprendere la natura e l'equilibrio alla base del governo che sta per nascere.
Ora, per tornare alla realtà, le vicende interne al Caroccio hanno le loro dinamiche, il futuro ci dirà quali. Sugli equilibri interni al governo, invece, contano i gruppi parlamentari e quelli della Lega e di Forza Italia sono stati forgiati (al costo di perdere qualche consenso) nella logica della compattezza e della fedeltà ai leader. Né Salvini, né Berlusconi, infatti, volevano ripetere l'esperienza del governo Draghi, cioè avere delle delegazioni di ministri che perseguono una linea diversa da quella della casa madre. Ecco perché è difficile immaginare l'emarginazione di uno dei leader della coalizione, a cominciare da Salvini: simul stabunt, simul cadent. Questa è la realtà. E la prima ad esserne consapevole è proprio la Meloni che da quando ha cominciato a studiare da premier si muove, com'è nella natura del ruolo, con prudenza. Poi certo c'è la dialettica interna: Salvini può reclamare il Viminale per poi, di fronte ad un no, puntare ad avere una compensazione negli equilibri interni al governo. Ma questo è nelle cose. Immaginare, invece, un suo isolamento come grimaldello per far saltare il governo è solo l'illusione di una sinistra che spera di avere in tempi brevi un'improbabile rivincita.
Le due mosse della sinistra (e della stampa amica): nascondere la crisi. Federico Novella il 29/09/22 su Panorama
Commentatori subito pronti a spostare l'attenzione ed il bersaglio sulla Lega (che è comunque al Governo) A leggere la stampa, sembra quasi che la vera notizia non sia la vittoria del centrodestra alle elezioni, ma la sconfitta della Lega. E’ vero, Salvini ha lasciato per strada metà dei consensi, e certamente sarà interessante registrare la sua posizione nel governo su tanti temi sensibili. Ma non staremo esagerando? Troppo spesso mirabili politologi, sedicenti superpartes, hanno il vizio di soffermarsi sui guai di una sola parte politica: quella che combattono. E sminuendo il resto. Anche prima del voto, venivano rimarcate con grandissima foga le divisioni tra i leader del centrodestra: leader che poi, a partire dal giorno della presentazione del cartello elettorale, si sono mossi come un sol uomo, o quasi. Ecco, a differenza del centrosinistra, Berlusconi, Salvini e Meloni hanno saputo interpretare istantaneamente lo spirito di questa (sgangherata) legge elettorale. Per governare occorre unirsi, non certo andare in ordine sparso per motivi di orgoglio, come accaduto alla compagnia di Letta, Calenda e Conte. Il governo che verrà sarà chiamato ad affrontare una delle fasi più difficili della vita repubblicana, e occorrerà giudicarlo senza sconti, vista anche la mole di promesse e di aspettative sul tavolo. E però, detto questo, non possiamo fare a meno di notare che ci sono sconfitti e sconfitti. Lo stesso “maistream” , per usare una parola in voga, che fino a ieri suonava l’allarme democratico, e intendeva convincerci che dopo le elezioni ci saremmo risvegliati nel trentennio, quello stesso centro comunicativo oggi pare individuare un solo grande sconfitto, Salvini, dimenticandosi lo sfacelo del campo progressista. Ma la Lega, pur avendo subito la batosta, resta un partito con una base di ferro che si è già attivata, una piattaforma ideologica sostanzialmente immutata negli anni, e poi l’organizzazione farà il suo corso. Nel medio periodo, difficilmente la Lega potrà sparire dai radar, perché contiene al suo interno gli anticorpi derivanti dai territori che sono alla base del rinnovamento. Dalle parti del partito democratico, invece, il livello di caos sembra aver superato il livello di guardia. In vista del congresso, spuntano candidati più o meno improbabili, mentre la frattura tra filo-grillini e filo-calendiani sta diventando una voragine. Siamo al ground zero della sinistra, ormai arretrata non solo al confine delle Ztl delle grandi città, ma direttamente arroccata nelle isole pedonali. Il fatto che una buona metà del panorama politico rischi la disintegrazione per mancanza di idee, e per mancanza di coraggio, sarebbe un fatto degno di notizia. Lo sport preferito di questi giorni sembra invece questo: ingigantire i problemi dei vincitori, e minimizzare le tragedie degli sconfitti, che tirano avanti scaricandosi la colpa l’uno sull’altro. Ma la campagna elettorale sarebbe finita: anche se qualcuno, evidentemente, non se n’è accorto.
Ragioni e prospettive del risultato elettorale. Di Nazzareno Pietroni il su formiche.net
Il centrosinistra, sconfitto perché disunito e centrato sui diritti civili, deve trovare un’identità politica e culturale. Il centrodestra, vincente perché coeso e attento a temi socioeconomici, deve dimostrare di saper governare. L’analisi di Nazzareno Pietroni
I risultati elettorali del 25 settembre premiano il centrodestra e puniscono il centrosinistra, con un’affluenza in calo. Il blocco sociale di centrodestra ottiene un numero di preferenze analogo a quello della precedente tornata ma vince perché unito nei collegi elettorali. Anche il centrosinistra prende all’incirca gli stessi voti delle elezioni del 2018 ma viene penalizzato dall’assenza di candidature di coalizione nei collegi elettorali. I cinque stelle vedono i loro consensi più che dimezzati ma vincono al sud. Il terzo polo Calenda-Renzi conquista un proprio spazio politico, determinato a implementarlo nel tempo.
Le dinamiche del voto si muovono su più livelli. Il primo dato che emerge è la tendenziale permanenza dei cittadini nei recinti elettorali: il grosso degli spostamenti ha riguardato travasi interni ai blocchi di destra e sinistra, con i cinque stelle che hanno attinto o hanno restituito consensi a destra e sinistra: FdI ha preso voti dalla Lega, da Forza Italia e dai cinque stelle di destra; il PD ha concesso voti di centrosinistra al Terzo polo e di sinistra ai cinque stelle. In ogni caso il consenso politico italiano ha espresso una forte componente identitaria destra/sinistra, che ha consentito spostamenti di voto essenzialmente nell’ambito della stessa area politica.
Il secondo rilievo riguarda l’offerta politica. Il centrodestra ha vinto perché coalizzato intorno a un nucleo di valori e interessi condivisi, connessi a sicurezza, nazionalismo, atlantismo e crescita economica, accantonando i distinguo su europeismo e interessi corporativi: l’operazione ha funzionato, perché ha consolidato il consenso d’area e attratto qualche voto dall’esterno. Il centrosinistra si è diviso tra radicalismo e liberalismo, assistenzialismo grillino e agenda Draghi, ideologia LGBTQ e pragmatismo civile, sostegno militare all’Ucraina e crisi economica, offrendo una proposta politica poco definita e centrata prevalentemente su europeismo e antifascismo. L’operazione non ha funzionato: da un lato ha confermato la presa identitaria antifascista sull’elettorato tradizionale ma dall’altro non è risultata competitiva con la chiara offerta politica dei cinque stelle (assistenzialismo) e del Terzo polo (liberalismo progressista).
Una riflessione particolare merita la concentrazione dell’offerta politica di centrosinistra sul tema dei diritti civili, dell’aborto e della tutela delle minoranze di genere. Tale scelta segue un’impostazione consolidata, che prevale sull’impegno per le rivendicazioni socioeconomiche e la definizione di proposte di cambiamento della società. I risultati elettorali mostrano che, nonostante le drammatizzazioni elettorali e il supporto dell’informazione e della cultura dominante, la strategia non ha pagato in termini di voti e non ha spostato rilevante consenso politico; anzi appare ragionevole ritenere che tale strategia, in un periodo di crisi economica, possa aver fatto defluire consensi verso partiti più attenti ai problemi socioeconomici dei cittadini.
Una terza questione riguarda l’effetto politico e culturale della vittoria elettorale di Fratelli d’Italia. Non è dubbio che l’elettorato di centrodestra non condivida gli allarmi sul rischio fascismo e ritenga che sia giunto il momento di consegnare il tema alla storia. Sul versante opposto la dirigenza del centrosinistra può prendere atto dell’evoluzione dei tempi e chiudere l’epoca dell’antifascismo militante e delle pregiudiziali a destra, politiche e culturali, oppure può perseverare nella contrapposizione ideologica, alimentando l’identità antifascista della propria base: nel primo caso contribuirà alla democrazia dell’alternanza e ridurrà le lacerazioni sociali sulla questione; nel secondo caso compatterà una parte del consenso di sinistra ma ostacolerà la dialettica democratica, alimentando contrapposizioni culturali risalenti nel tempo e riducendo la propria capacità di attrarre consenso nell’area moderata.
Particolare attenzione meritano inoltre le emozioni sottostanti la campagna elettorale. Il centrodestra veicola emozioni prevalentemente positive, come speranza/promessa di miglioramento e cambiamento (economico e socioculturale), rassicurazione (sicurezza e immigrazione) e orgoglio identitario (nazionalismo e protezionismo sociale/produttivo). Il centrosinistra esprime prevalentemente paura per la destra montante, rabbia verso l’invasore russo, compassione nei confronti dei soggetti deboli (migranti e minoranze) e rassicurazione europeista. La componente positiva/negativa di tali emozioni può aver contribuito non poco al risultato elettorale.
Infine contano i leader. Non è dubbio che Giorgia Meloni sia stata la leader vincente: ha posizioni politiche coerenti nel tempo, non ha votato la rielezione di Mattarella al Quirinale, è stata all’opposizione del governo Draghi, non ha condiviso la gestione della pandemia, è univocamente atlantista, è abile nella comunicazione ed è donna. La sua leadership è costata cara innanzitutto a Matteo Salvini, che ha pagato i troppi errori degli ultimi anni, un’immagine politica indebolita e una comunicazione non sempre efficace. Sul versante opposto Enrico Letta non ha acceso le folle, ha confermato la sua posizione di leader di un sistema in crisi economica, è risultato incerto nella linea politica, ha deluso le componenti pacifiste dell’area progressista, ha mostrato scarsa empatia nella comunicazione, offrendo nell’insieme una prestazione di leadership non all’altezza delle attese. Nel contempo il Segretario del PD ha sofferto la concorrenza di Giuseppe Conte, che ha resuscitato i cinque stelle collocandoli chiaramente a sinistra e si è legittimato come rappresentante delle marginalità sociali, riscuotendo il consenso derivante dal reddito di cittadinanza e dalla critica al metodo Draghi.
In definitiva il centrosinistra ha perso perché non è stato unito su valori e interessi condivisi, ha privilegiato i diritti civili sulle questioni socioeconomiche, ha pagato il prezzo della pandemia e della guerra, non ha avuto un leader attraente. Il centrodestra ha vinto in quanto coeso nei programmi e nei collegi elettorali, attento a temi sensibili per i cittadini e sospinto da una leader in ascesa come Giorgia Meloni. Nei prossimi mesi al centrosinistra spetta il compito di trovare una propria identità politica e culturale, da presentare al Paese e sostenere coerentemente nel tempo. Al centrodestra compete dimostrare di saper governare.
Il Pd a parole e quel sistema di amicizie che l’ha reso arido. Fulvio Abbate su L'Identità il 7 ottobre 2022.
Nel primo pomeriggio di ieri sono stato ospite di Rai News 24. Sugli schermi, lì in studio, scorrevano in diretta i volti della direzione del PD, al Nazareno. Mentre si ragionava dei massimi sistemi delle bollette presto sul tavolo da lavoro di Giorgia Meloni, ho modo di cogliere di sbieco le posture dimesse e “assembleari” di Orfini, di Bettini e altri ancora, così nell’attesa che parlasse Bonaccini, il futuro in pectore di un partito incapace di indicare la propria esatta natura politica, il proprio cosmodromo ideale. Non era esattamente uno psicodramma ciò cui assistevo, neppure il “franco dibattito sulle ragioni della sconfitta”, sembrava piuttosto di ritrovare una desueta diretta di ItaliaRadio, ciò che fu la radio del Pci, poi dei Ds, e in seguito una cooperativa d’area che dava conto del ribollire degli “umori all’interno della sinistra” nei momenti di impasse.
Tornando verso casa da Saxa Rubra, all’altezza Tor di Quinto, è giunto naturale un tweet, ancora più doveroso pensando alla mia irrilevanza nel palmarès e delle “anime belle” del mondo conosciuto della sinistra che sappiamo. Certo che l’accusa e gli stessi insulti che il popolo social della destra diffusa rivolge ai “radical chic, sarebbero venuti addosso perfino all’incolpevole, al sottoscritto. Il mondo, in tempo di semplificazione, non va per il sottile, cerca comunque a caso un capro espiatorio, il primo bersaglio. Nulla è più penoso e retorico del rivendicare la propria “libertà”, d’essere individualità, resta su tutto che gli insulti non fanno caso alle sottigliezze, ai distinguo. Il mio tweet recitava: “Ma quale discussione sul futuro del Pd? È semmai giunta l’ora di presentare loro il conto per tutte le volte che abbiamo sentito aria di cooptazione clientelare amichettistica. Sia in ambito politico sia nel contesto cine-artistico-letterario-giornalistico-editoriale.”
Inutile aggiungere che nessuno di coloro che un verso di Fabrizio De Andrè, “… per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”, circoscrive, si è mostrato sotto il mio rigo per obiettare, forse anche redarguire il narcisismo del refrattario alla colpa, magari perfino commentando piccato: d’ufficio o in quanto persona d’area che voglia sopire per antica abitudine subalterna il dissenso, la dissociazione dalla mediocrità interessata. Nel silenzio ho anzi intuito altrettanto senso di fastidio, indifferenza supponente e ancora interessata, ipocrisia; ciò che giunge proprio dai “clientes”, coloro che nel patto con i sistemi culturali di potere e di cooptazione trovano ragioni di splendore pubblico, perpetuandosi come anime belle, tutti lì a portare il loro sassolino d’oro fasullo alla costruzione del consenso sempre in nome della veltroniana “vocazione maggioritaria”.
Si sappia, il tema del governismo non riguarda soltanto coloro che aspirano ad occupare cariche parlamentari e, appunto ufficiali. A sinistra è un batterio che colpisce pure i “pifferi”, per dirla con Elio Vittorini. Coloro che, per restare in argomento culturale, ogni qualvolta c’era da plaudire il nulla e la mistificazione sono lì in prima fila.
Queste mie parole resteranno lettera morta, serviranno all’altrui scrollata di spalle, la stessa che con sufficienza sempre si riserva a coloro che non hanno mai nutrito ambizioni di potere, ancor meno festivaliere.
Che le classi dirigenti abbiano come una unica aurea esigenza personale di sopravvivere, perpetuarsi come organismi, amebe monocellulari, è storia biologica nota, meccanica del potere stesso, anche quando appare la pretesa di parlare in nome della “democrazia progressiva”.
Irrilevante che non sia affar mio, che posso invece vantare il baronale titolo di autentico radical chic, della vera “gauche caviar”, che è sempre e comunque altro dalla subcultura dei subalterni interessati, poco importa se laureati, in quanto, lo ripeto, individualità. Resta alla fine la soddisfazione di un’eterna estate, pensando a Camus, di non essere parte di una ipocrita e servile schiuma.
Le ragioni di una sconfitta. Massimo Carugno, Avvocato e scrittore, su Il Riformista il 28 Settembre 2022
Erano i primi anni del Berlusconismo quando il cavaliere era affiancato da un ancora balbettante Fini, alla guida di Alleanza Nazionale, e dai variopinti acronimi del CCD, dell’UDC e compagnia cantante condotti, in maniera continua o alternata, da Casini, Mastella e Buttiglione. A parte Fini era tutta roba da “0 virgola” eppure Silvio, che aveva la tendenza a fagocitare più di un facocero, concedeva a quegli alleati posti da ministro e sottosegretario, presidenze di regione, sindacature di città importanti, conscio che i partners politici andavano alimentati affinché l’alleanza crescesse e prosperasse.
Un andazzo che, a parte la parentesi megalomane del partito unico durata lo spazio di un sorriso (relativamente ai tempi lunghi della politica), il centrodestra ha sempre mantenuto e che ancora oggi alimenta. Si pensi al romanaccio e meloniano di ferro Marco Marsilio, designato ed eletto nel 2019 governatore dell’Abruzzo, sebbene Fratelli d’Italia avesse riportato, alle politiche dell’anno precedente, percentuali ad una cifra e, nella regione della Maiella e del Gran Sasso, appena il 5%.
E allora andateli a vedere i dati di queste ultime elezioni che hanno avuto solo l’unica novità di romperci le balle a ferragosto e rovinarci l’estate. Sin dai primi sondaggi ciò che emergeva era che, a parte un testa a testa tra Fli e PD su chi fosse il primo partito, quella che sovrastava era la coalizione del centrodestra che cominciava a navigare su cifre stratosferiche grazie alle abbondanti previsioni sui risultati di Lega e Forza Italia.
Di contro, dalla parte opposta, la coalizione guidata dall’Enrico “stai sereno”, a parte i dati del PD, balbettava, per le altre forze, con sondaggi che andavano dai prefissi di telefonia mobile allo “0 virgola” di Di Maio.
Poi i risultati hanno cambiato le previsioni ma si sa, i sondaggi alimentano il voto e molti italiani sono saliti sul carro del vincitore. Il partito della Meloni è cresciuto a dismisura, compensando anche la flessione degli alleati, ma confermando alla alleanza la maggioranza assoluta doppiando quella avversaria.
Certamente ci sono i “se”, quelli che, con l’aggiunta delle palle, trasformano mia nonna in mio nonno.
Se fosse stato fatto il campo largo, se Calenda, se Renzi, eccetera, eccetera, eccetera.
Ragioniamoci.
Azione e Italia Viva sono le uniche forze che vengono da una tradizione di centro sinistra e un loro posizionamento nella coalizione guidata da Letta non avrebbe stonato. Quanto all’armata di Conte di sinistra non ha nulla, anzi non ha nulla di politico. Aveva una truppa di parlamentari e alle elezioni ha raccolto una truppa consistente di elettori (solo al sud grazie alla elemosina di stato). Era stata roba buona per farci un governo che ostacolasse i deliri di potere di Salvini e sarebbe stata roba buona per un alleanza elettorale, ma nulla di più. Quanto a programmi, temi e linea politica dal reddito di cittadinanza alle follie di Bonafede in tema di giustizia, dal taglio dei parlamentari alla “via della seta” e infine alla rinuncia alle olimpiadi, hanno fatto più danni al paese degli Unni di Attila. Prima scompaiono e meglio è.
Dal canto suo la sinistra, intesa sotto il profilo della omogeneità politica, resta quello che è stata e che sarebbe comunque stata: una coalizione con un partito forte e degli alleati molto deboli che non ha retto il confronto con la destra.
E qui la responsabilità è tutta del PD che, dalla svolta “veltroniana” della vocazione maggioritaria, pare non si sia più scrollato la tendenza a divorare tutto ciò che è cosparso dal sapore del “potere”. Manco a parlarne di cedere qualche candidatura sicura a presidente di regione. Se tra le forze minori di sinistra c’è scappato qualche sindaco di città importante è stato solo perché c’erano personalità talmente forti che dir di no era una follia. Lo stesso discorso vale per le presidenze delle province.
Se poi si scivola sugli enti di controllo regionale o sulle partecipate comunali la voracità “piddina” si moltiplica e agli altri non è mai rimasta più di una briciola ogni tanto.
È chiaro che così non si alimentano gli alleati. La coalizione non cresce e non diventerà mai competitiva nei confronti degli avversari, dando la ridicola sensazione di sembrare un canotto che sbatte contro una portaerei.
A volte la percezione è che nel Partito Democratico si coltivi ancora il disegno del P.U.S. (Partito Unico della Sinistra) e che tutti gli altri prima si estinguono e meglio è. Forse dalle parti del Nazareno non si capisce che il mondo della sinistra italiana è molto meno omogeneo di quello della destra (che pure di differenziazioni importanti ne ha) e che tra le componenti socialiste e riformiste, quelle della sinistra radicale, quelle ambientaliste e via discorrendo ci sono delle peculiarità che faticano a riconoscersi nel Partito Democratico. Ci sono identità politiche che se non vedono nella competizione elettorale un simbolo che le rappresenti, in maniera forte, chiara e credibile sotto il profilo del risultato, piuttosto non vanno a votare o si disperdono in più rivoli. Quelli sono voti (e tanti) che qualunque soggetto politico diverso da quello di appartenenza non raccoglierà mai.
Questo è il vero “vulnus” della coalizione di sinistra. Un limite che se non verrà colmato con una seria politica delle alleanze, che sia costante e perdurante nel tempo e non un analgesico cui ricorrere solo alla viglia delle tornate elettorali per prevenire il dolore derivante dalle tranvate date dall’avversario, non permetterà mai che si crei un fronte forte in grado di competere faccia a faccia con la destra. Se alle altre forze della sinistra non verranno concessi spazi di governabilità non cresceranno mai e non avranno quella autorevolezza necessaria a raccogliere, attorno a un unico progetto, quel consenso necessario a competere con una seria prospettiva per la guida del paese.
Una questione vitale sia sotto il profilo della somma dei voti ma anche sotto quello di una completezza e armoniosità di un progetto politico che sorga dalla sintesi delle varie culture della sinistra.
Questo e quel che si dovrebbe fare e che non so se si farà.
Da liberoquotidiano.it il 29 settembre 2022.
L'imprenditore cosmopolita e il montanaro eremita, la sinistra gourmet e quella talmente pane e salame da non essere più, forse, nemmeno sinistra. Oscar Farinetti e Mauro Corona sono agli antipodi, e bene ha fatto Bianca Berlinguer a metterli accanto nella prima puntata di Cartabianca, su Rai3, dopo lo «tsunami Meloni».
Si parla del futuro, imminente governo di centrodestra. Panico tra i sinceri democratici progressisti, di cui Farinetti, Mister Eataly, rappresenta al meglio l'umore: «Da figlio di partigiano, il fatto che ci sia la fiamma tricolore sul simbolo non mi è molto consono. Io ricordo quello che la Meloni diceva su Orban e Trump», esordisce spingendosi poi in una profezia cupissima: «Temo che l'Italia, su certi fronti, possa prendere posizioni che non ha mai preso».
Qualcuno fuori tempo massimo ha rispolverato l'etichetta "sovranismo", che andava molto in voga 3 o 4 anni fa e che oggi sembra decisamente superata da storia ed eventi. Ma non per Farinetti, che mette in guardia gli italiani: «Io voglio essere europeo. Il sovranismo è un danno suicida per il nostro Paese. Noi dobbiamo essere aperti al mondo e non dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani, ma riconoscenti per avere questa fortuna». A fare da contraltare a chi intravede decrescita infelice, clausure nordcoreane e, magari, pure la costruzione di qualche muro dalle parti del Brennero o del traforo del Monte Bianco ci pensa Corona, uomo di terra, pietre e ruspante buonsenso.
«Non arriverà nessun fascismo adesso, sarà un governo di centrodestra che ha anche delle idee buone, ad esempio sulle pensioni e le tasse». Così, papale papale. Una considerazione fatta ravanando nelle tasche degli elettori, quelle che il Pd è (anzi, era) solito frequentare solo quando ci si doveva inventare qualche gabella in più. Un Pd che per dirla con le parole dello stesso Corona «ha abbandonato le fabbriche e gli operai». Impossibile stupirsi per l'esito delle urne: «Ho sentito delle affermazioni a sinistra sul fatto che quella del 25 settembre è stata una giornata triste. Ma il voto è stato un esercizio democratico». Pure troppo, per qualcuno.
Laura non c’era. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 30 settembre 2022.
Il prossimo segretario del Pd farà bene a guardare tutti i giorni, prima e dopo i pasti, il video delle giovani di sinistra che esortano Laura Boldrini a lasciare la piazza in cui si manifestava a difesa del diritto all'aborto. «Lei non dovrebbe stare qui. Avete messo la pillola abortiva a pagamento» accusa una delle ragazze. «Il problema della pillola è la distribuzione» spiega Boldrini, professorale. «Lo vada a dire ai poveri e ai precari che il problema è la distribuzione!» insiste l'altra. A quel punto Boldrini potrebbe compiere un gesto rivoluzionario e riconoscere la realtà: «Non abbiamo capito che certi diritti stavano diventando un lusso per benestanti e che una sinistra che parla solo di diritti civili e mai di sostegno materiale ai poveri non è di sinistra. Ti chiedo scusa». Arresterebbe la deriva, forse. Invece sale in cattedra per impartire la lezioncina sull'unità delle donne, che la ragazza le ritorce contro: «Sa perché non siamo unite, signora? A lei di chi sta nelle case popolari non frega niente, a me sì». Boldrini potrebbe ancora riscattarsi dicendole: «Da domani trasferirò l'ufficio a Tor Pignattara e chiederò al mio partito di moltiplicare le sezioni nelle periferie». Invece estrae dalla borsa il cliché terrazzato del Babau Nero con cui da trent'anni la sinistra giustifica il proprio lassismo: «Allora fatevi difendere il diritto all'aborto da Fratelli d'Italia!». Poi si allontana dalle contestatrici, applaudendole sarcastica e un po' schifata. Temo, ricambiata. Flavia Amabile,
Simona Buscaglia per “la Stampa” il 29 settembre 2022.
Migliaia di donne sono scese in più di cinquanta piazze italiane per difendere la legge 194, a tre giorni dalle elezioni che hanno consegnato l'Italia nelle mani del centrodestra e per avvertire Giorgia Meloni: il diritto all'aborto non si tocca. Ieri era la Giornata Internazionale dell'aborto sicuro, ma soprattutto era il giorno successivo alla decisione del gruppo di FdI nel Consiglio Regionale della Liguria di astenersi durante la votazione di un ordine del giorno sul «diritto delle donne di scegliere l'interruzione volontaria di gravidanza». Una decisione che per chi si schiera a favore della 194 e del diritto delle donne di scegliere rappresenta un chiaro segnale di quello che potrà accadere d'ora in poi. Riempire le piazze è stata la risposta, anche se la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni non ha ancora ricevuto l'incarico di formare un governo.
I presidi e le mobilitazioni si sono svolti in quasi tutte le regioni. A Milano, Roma, Bologna, Cagliari, Brescia, Palermo, Catania, Firenze, Verona, Genova, Reggio Calabria, Modena, Napoli, Catania, Torino - e per la prima volta anche in Molise - le militanti di «Non Una di Meno» e le migliaia di persone che si sono unite alla loro protesta hanno rivendicato il diritto a un aborto «libero, sicuro e gratuito». I manifestanti hanno ricordato che dall'inizio dell'anno sono «73 le vittime della violenza di genere» e denunciato il pericolo rappresentato dalla vittoria di Giorgia Meloni e di una destra «razzista e antiabortista».
Nessun orgoglio, nessun entusiasmo per la possibilità che l'Italia abbia per la prima volta una presidente del Consiglio. «Non è una vittoria delle donne», dicono le militanti di Non una di meno, visto che «vuole garantire il diritto a "non abortire", cancellare i diritti delle persone transgender e l'educazione alle differenze». Come spiega Valeria Valente, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, «Giorgia Meloni deve sapere che le donne non le consentiranno di fare passi indietro sui diritti».
«Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io», è scritto su uno dei tanti cartelli presenti alla manifestazione a Milano. Il corteo è partito davanti a Palazzo Pirelli, sede del consiglio regionale lombardo: «Partiamo da qui non a caso, siamo sotto una Regione che dovrebbe tutelare il nostro diritto alla salute, con consultori laici e pubblici dove nessuno viene discriminato o si imbatte in obiettori che ti dicono cosa fare del tuo corpo, ma spesso non è così, qui come altrove.
Vogliamo gli obiettori fuori dalle nostre mutande!». Si definiscono «furiose e preoccupate contro la deriva che potrebbe prendere il Paese guidato dal centrodestra, perché Meloni è espressione del peggior patriarcato». In circa un migliaio si sono ritrovati a Torino e centinaia a Roma. Ovunque striscioni, cori e slogan per difendere la 194 e contro Meloni.
A nulla serve la precisazione del coordinatore nazionale di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli che «in Liguria «non c'era la volontà di indebolire e eliminare la legge 194, ma di rafforzarla in tutte le sue parti».
Le polemiche investono anche il ministro della Salute Roberto Speranza. A un anno di distanza dalla prima richiesta, l'associazione Luca Coscioni ha rivolto un appello ad «aprire i dati sulla 194 per poter conoscere la reale applicazione della legge».
Valentina Ruggiu per repubblica.it il 29 settembre 2022.
"Vada via perché lei e il Pd non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza". Così alcune manifestanti a Roma hanno contestato la onorevole Laura Boldrini arrivata all'Esquilino per unirsi alla manifestazione organizzata da Non una di meno per la Giornata mondiale dell'aborto libero, sicuro e gratuito. Un duro botta e risposta che è stato ripreso e condiviso sui social.
Nel filmato si vede la onorevole provare a replicare alle accuse delle manifestanti. "Ci sono donne che in Parlamento hanno lottato e l'hanno voluto l'aborto, quindi la lotta tra il Parlamento e il fuori non funziona. Dovremmo essere tutte unite", dice Boldrini.
"Sa perché non siamo unite?", risponde la manifestante, "perché a lei delle persone che stanno nelle case e nei quartieri popolari non gliene frega niente, invece a me sì e io li difendo. Beatrice Lorenzin (ex ministro della Salute ndr) ha reso la pillola anticoncezionale a pagamento. Lei mi dice che il problema non è quello ma è la distribuzione. Lo vada a dire ai giovani, ai precari a chi vive nei quartieri popolari. E non ha mi ha risposto sui tagli che sono stati fatti alla sanità, sui consultori che sono stati chiusi e su una legge che non viene applicata".
"Se devi fare questi show...a differenza degli altri io sono qui con voi", risponde Boldrini provando a placare la giovane. "Non è uno show, io la rispetto come persona ma non come istituzione. Ve ne dovete andare via perché voi non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza. Le donne, le compagne, che sono venute qua a manifestare per l'aborto libero e gratuito non ce l'hanno anche per colpa sua. Il suo partito non ha difeso questo diritto. Se ne vada". "Allora ve lo difenderà Fratelli d'Italia", ha risposto seccata Boldrini prima di lasciare la piazza tra i cori delle manifestanti.
"I dirigenti del Pd vadano nelle periferie..." Il 'mea culpa' sui diritti sociali. Lo scontro tra le attiviste pro-aborto e la Boldrini riaccende lo scontro tra diritti sociali e diritti civili. Ora il Pd fa 'mea culpa'. Francesco Curridori il 29 Settembre 2022 su Il Giornale.
"I vostri principi e valori sono per i ricchi, perché noi nelle periferie non abbiamo servizi”. In questa frase, gridata in faccia a Laura Boldrini da un'attivista durante una manifestazione pro-aborto, si racchiude i motivi della sconfitta del Pd alle Politiche.
L'ex presidente della Camera è stata letteralmente mandata via dalla piazza perché ha commesso l'errore di fondo della sinistra italiana che mette sullo stesso piano i diritti civili e i diritti sociali. L'esito delle urne ha messo in evidenza che il M5S è cresciuto molto puntando sul reddito di cittadinanza e sul contrasto alla povertà, mentre il Pd che si è concentrato maggiormente sui diritti civili cresciuto è calato vistosamente dall'inizio della campagna elettorale. Dentro il Pd, però, è ancora presto per fare mea culpa. “I diritti sociali van tenuti insieme coi diritti civili”, ribadisce la deputata Chiara Gribaudo, parlando con ilGiornale.it. Gli fa eco il collega Andrea De Maria che, per sostenere la sua tesi, prende come esempio lo Ius Scholae “che riconosce un diritto di civiltà ed insieme promuove coesione sociale ed integrazione”. Secondo il parlamentare dem, insomma, non si può scegliere tra i due diritti perché “con la destra al governo saranno a rischio diritti consolidati e, con la flat tax, sarà colpita l'equità sociale”.
L'uscente Alessia Morani ritiene che le contestazioni alla Boldrini siano legittime “poiché siamo in democrazia”, ma proprio per questo motivo crede che “nessuno possa cacciare da una piazza chi manifesta per la difesa di un diritto”. Se, dunque, secondo la parlamentare uscente, sulla 194 è bene che la sinistra non si divida perché “l’avversario politico è da un’altra parte”, sulla recente campagna elettorale il Pd deve fare autocritica. È stata condotta “senza messaggi e proposte forti per dare soluzioni ai problemi delle persone che sono terrorizzate per il loro futuro”, dice la Morani spiegando che “non è tanto l’attenzione ai diritti civili che ci ha penalizzato ma la mancanza di proposte convincenti su economia e lavoro”. Ed è in questa mancanza che si è inserito il M5S difendendo strenuamente il reddito cittadinanza, mentre il Pd ha fatto una campagna elettorale “focalizzando l’attenzione sui motivi per cui gli italiani non avrebbero dovuto votare la destra piuttosto che sulle nostre proposte”, ammette la Morani. Che, poi, attacca i vertici del Pd: “Se alcuni nostri dirigenti politici andassero nelle periferie e nei quartieri popolari si accorgerebbero delle condizioni in cui vivono tantissime persone: immondizia sotto i palazzi, strade crivellate dalle buche, microcriminalità diffusa. Agli abitanti di quei quartieri devi risolvere i problemi che vivono ogni giorno”. Secondo la Morani, il Pd, anziché utilizzare le soluzioni “veloci, dirette e brutali” dovrebbe “realizzare politiche sociali per fare uscire gli abitanti di quei quartieri da degrado esistenziale, sociale e urbano”. Essendo venute a mancare queste risposte “non possiamo avere consenso da chi abita nelle periferie. Anzi, per loro, - ammette la deputata dem - in qualche caso siamo parte del problema”.
“Boldrini vattene”. Contestazione al sit-in sull'aborto: dem cacciata a male parole. Il Tempo il 29 settembre 2022
Brutta serata per Laura Boldrini, contestata pure dalle femministe. Ieri sera a Roma alla piazza convocata per ribadire la necessità del diritto all’aborto da ‘Non Una di Meno’, le studentesse hanno allontanato la deputata dem. «Vattene, non rappresenti le rivendicazioni di questa piazza» un passaggio del duro botta e risposta ieri in piazza Esquilino a Roma tra l'onorevole Pd e alcune manifestanti intervenute al sit in organizzato per la Giornata mondiale dell’aborto libero, sicuro e gratuito. La presenza della Boldrini non è piaciuta alle partecipanti, che l’hanno attaccata fino a costringerla ad allontanarsi dalla piazza.
Il casus belli è la pillola anticoncenzionale. Una manifestante, Giulia, chiede alla Boldrini: «Lei lo sa cosa fece la Lorenzin?». Si riferisce all’ex ministro della Salute che «rese la pillola anticoncezionale a pagamento Non lo sa?». Boldrini prova a difendersi: «Ma il problema non è questo...». «Ah, non è questo?», la incalza la ragazza. «Il problema è la distribuzione della pillola», ricorda Boldrini. «Lo vada a dire ai giovani, ai precari, a chi vive nei quartieri popolari», continua la femminista. «Capisco che sei arrabbiata...», prova a placarla la deputata ma è una missione impossibile: «Chi rappresenta, lei?», chiedono alla deputata. Boldrini abbozza una risposta: «Rappresento i principi e i valori». «Si vede che non li rispetta, mi dispiace tanto». «Andatevene subito, non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza, non accettiamo la presenza di chi rappresenta il simbolo di una politica guerrafondaia come quella del Partito Democratico», urla una seconda manifestante.
Boldrini prova a far valere le sue ragioni: «Il diritto all’aborto ce l’avete, ci sono donne in parlamento che hanno combattuto per questo. La rottura tra dentro e fuori non funziona, dovremmo essere unite». Torna alla carica la prima ragazza. «Lo sa perché non siamo unite? Perché a lei delle persone nelle case popolari non gliene frega niente. Io quelle persone invece le difendo. Sui tagli non mi ha risposto, sui consultori chiusi nemmeno. Non se nemmeno dell’esistenza della legge 405, che non viene applicata. A voi non ve ne fotte un cazzo». Boldrini si spazientisce: «Se devi fare questi show...». «Non è uno show», aggiunge la ragazza. E Boldrini: «A me questo sembra un atteggiamento assurdo, bisogna parlare con rispetto». C’è chi precisa il tenore delle critiche: «La stiamo criticando politicamente, non personalmente. Non rispettiamo ciò che lei rappresenta». Boldrini prova un’ultima difesa: «Ma se siamo l’unico partito che difende questa legge...». «A noi non è sembrato», replicano ancora. «E allora ve la difenderà Fratelli d’Italia», conclude la deputata Pd con un applauso ironico alle sue contestatrici, prima di voltare le spalle e allontanarsi dalla discussione. È a quel punto che le manifestanti la cacciano, al grido di «Via, via, via!». «Vada a raccontarlo da un’altra parte che lei è un’alternativa», aggiunge qualcun’altra. L’onorevole è stata respinta con perdite.
Monologo dentro la vagina. Le contestatrici esagitate di Boldrini, lo sciocco legislatore e il mio caro, carissimo, Nuvaring. Guia Soncini su L'Inkiesta il 30 Settembre 2022.
Le adolescenti che protestano in piazza contro chi ha reso a pagamento la pillola anticoncezionale non sanno che non è mai stata gratis né quanto sia difficile acquistare una confezione da tre anelli di silicone
Mentre cominciavo a scrivere questo articolo, nella mia carrozza del treno due ragazzine che avranno avuto sedici anni, o poco più o poco meno, ridevano istericamente. Oltre a una beauté de l’âge, ne esiste anche una specifica sovreccitazione, e quella delle passeggere non era dissimile da quella del video meno sorprendente che si veda da ieri sui social.
Nel video romano, altre ragazzine – più di malumore ma altrettanto esagitate – aggrediscono Laura Boldrini, nel loro universo corresponsabile di non concedere alle cittadine italiane l’aborto gratuito e la pillola pure.
Qualunque adulta sorride, perché la prescrittiva gratuità dell’aborto è il problema della 194 da cui discendono tutti gli altri. Se a chi se lo può permettere fosse consentito andare ad abortire in clinica, i medici obiettori nella sanità pubblica peserebbero meno sull’efficienza del servizio. Ma la 194 è una legge beghina che permette ai medici di obiettare alle loro mansioni, e vieta alle pazienti di pagare per disfarsi d’una gravidanza indesiderata.
Alla Boldrini – a qualunque politica di sinistra di lungo corso, e dico «politica» per assecondare lo sciocco identitarismo per cui, per legiferare sui raschiamenti, occorre avere un utero – si potrebbe semmai rinfacciare di non aver demolito e riscritto la 194 quando sono state al governo. Ma per sapere cosa rinfacciarle devi conoscere il mondo, e le sedicenni sono convinte il mondo sia cominciato quando loro si sono aperte un TikTok.
Sì, lo so che chiunque si affacci sui social vede trentacinquenni certissimi che queste siano state le prime elezioni in cui i fuorisede non potevano votare, ma quella è patologia. Il non sapere un cazzo delle sedicenni è invece fisiologico: sono nate ieri, cosa volete che sappiano.
Ognuno conosce solo la propria esperienza, io che pure di anni ne ho cinquanta sono qui che mi chiedo di cosa parlino quando rimproverano la Boldrini di non essersi opposta a chi ha reso a pagamento la pillola: ho preso la pillola dal 1986 a una decina d’anni fa e l’ho sempre pagata, se era gratuita devono rimborsarmi un sacco di soldi.
Al cui proposito, lasciate che vi parli del contenuto delle mie mutande. Ho smesso di prendere la pillola perché a salvarmi dall’endometriosi è arrivato un sostituto per l’inventore del quale vorrei non solo il Nobel per la medicina ma anche quello per la Pace.
Il Nuvaring è un anello di silicone che t’infili nelle innominabilità (suona scomodissimo; non lo è) per ventuno giorni al mese, lo stesso ciclo della pillola anticoncezionale, e ha fatto per la qualità della mia vita miracoli che nessun oggetto o essere vivente avevano compiuto mai.
Perché ve ne parlo? Mi sono forse messa a piazzare anticoncezionali come la Ferragni piazza tortelli? No, è che il Nuvaring è venduto in due tipi di confezioni. Quella da uno costa diciannove euro e quarantacinque. Quella da tre ne costa quarantotto.
Se siete disorganizzate come me, comprerete quella da tre per evitare di ritrovarvi ogni mese senza proprio nel giorno in cui dovete infilarlo, non essendovi ricordate di comprarne uno nuovo per tempo. Ma, nel comprare quella da tre, risparmiate anche qualche decina di euro l’anno.
Quindi, quando il mese scorso sono andata in una farmacia diversa dal solito, e mi hanno detto che potevano vendermi senza problemi la confezione da uno, ma non quella da tre per la quale serve la ricetta non ripetibile, la sedicenne in me ha urlato allo scandalo: volete impedirmi di risparmiare.
Il vantaggio d’essere una vecchia bacucca è che t’interroghi sulle ragioni delle cose. Ho chiesto a diversi farmacisti e medici, e pare che la ragione sia che, «secondo il legislatore», se io assumo ormoni, ogni tre mesi devo farmi controllare e verificare se quegli ormoni vanno ancora bene per me.
Il legislatore è evidentemente uomo, altrimenti saprebbe che nessuna donna va ogni tre mesi dal ginecologo. Altrimenti saprebbe che nessuna dà duecento euro al ginecologo per avere una ricetta: vai a fartele fare dal medico della mutua (che le fa fare dalla segretaria), e puoi prendere ormoni per una vita senza che nessuno ti abbia mai fatto fare un dosaggio ormonale.
Lo so, lo so: il punto non è che il legislatore non sa queste cose perché, non essendo donna, non ne ha fatto esperienza; è che non le sa perché non si è informato sulla materia di cui legifera. Abbiamo sostituito l’identitarismo allo studio: se non sei in grado di capire come funziona un apparato riproduttivo dai libri, sarà utile che almeno tu ne abbia uno, per capire che leggi fare a di esso tutela.
A ogni farmacista ho chiesto: ma il legislatore che le permette di darmi dieci o venti confezioni da un solo Nuvaring senza ricetta, ma ritiene di tutelarmi dall’incauto acquisto d’una confezione da tre, a quel legislatore lì non sarebbe meglio riconoscergli un’invalidità intellettuale con relativo sussidio che gli consenta di ritirarsi senza ulteriori danni dal mondo del lavoro? Ogni farmacista ha emesso gemiti d’impotenza. La mia ginecologa mi ha poi detto che per il legislatore il farmacista può vendermi non più di un anello al mese, e non senza ricetta. Informazione evidentemente andata perduta nelle comunicazioni ministeriali a tutti i farmacisti che ho incontrato.
Chissà se tutto questo la Boldrini (o la Lorenzin, o chi vi pare) lo sa: io non sarei andata a strillarglielo perché sono un’adulta; e chi ha l’età per strillarglielo non lo sa perché, ontologicamente, non sa un cazzo.
Poi nella carrozza è arrivato il controllore. Le ragazzine sono corse da lui e, sempre ridendo moltissimo, gli hanno detto che avevano sbagliato treno e dovevano andare a Imola. Lui le ha guardate e, come un adulto così ottuso da pensare di poterne cavare una risposta razionale, ha chiesto perché mai avessero preso un treno con scritto «Bari centrale». Loro hanno detto «eh, non abbiamo guardato», perché hanno l’età alla quale Letta voleva concedere il diritto di voto e non sanno come si prenda un treno.
Guardavo loro, guardavo il video della Boldrini, pensavo alla sconfitta di Letta, e pensavo a quelle due righe di Scott Fitzgerald che più o meno dicevano: per molto tempo, da allora in poi, Anson credette che un dio protettore ogni tanto interferisse nelle vicende umane.
Il filo rosso che collega Giorgia Meloni e Bettino Craxi. Gaetano Amatruda su Il Riformista il 28 Settembre 2022
C’è qualcosa che lega Giorgia Meloni e Bettino Craxi. C’è la previsione sui tempi di durata a Palazzo Chigi, un filo rosso sulle Riforme, la formazione. Molti osservatori e addetti ai lavori, l’ultimo Carlo Calenda, prevedono per il leader di Fratelli d’Italia una durata massima di sei mesi. Non è l’unico perché altri immaginano una esperienza complicata e carica di insidie. Il mantra ‘tanto durerà poco’ è l’auspicio che rassicura molti. Si sbagliano.
Erano gli stessi umori di quelli che pronosticavano, nel 1983, una breve parentesi di Bettino Craxi alla Presidenza del Consiglio. Andò diversamente ed il leader socialista animò il governo più longevo della Prima Repubblica. Mise nella compagine governativa i leader dei partiti e lavorò, senza rinnegare la collocazione assegnata dalla storia, ad un profilo internazionale autorevole e mai scontato.
La Meloni farà lo stesso. Coinvolgerà i leader dei partiti, affiderà loro ruoli centrali per non aprire crepe, e confermerà la collocazione internazionale del Paese ma con un profilo diverso. Autonomo e non culturalmente subalterno ai luoghi comuni. D’altra parte, in relazione alla guerra in Ucraina, fu Ignazio La Russa, intervenendo in Aula, ad auspicare iniziative simili a quelle che Craxi mise in campo a Sigonella. Ca va sans dire…
La prima donna a Palazzo Chigi, con queste mosse che naturalmente sono solo parte di una azione che dovrà essere più ampia e complessa, supererà ogni pronostico. Non sarà una meteora ed animerà un’esperienza di governo fra le più stabili ed incisive della storia repubblicana.
E riuscirà, con la efficace idea della Bicamerale, a gettare le basi per il Presidenzialismo. Un vecchio pallino della destra, dai tempi di Giorgio Almirante, ma anche e soprattutto un’idea di Bettino Craxi. Le Grandi Riforme del segretario socialista andavano nella stessa direzione.
La partita è appena iniziata. Chi sottovaluta la Meloni, che come Craxi è diplomata ma laureata alla università della vita, che come Craxi è cresciuta nella militanza, e lontana dai poteri forti e dai salotti radical chic, commetterà un grave errore.
Gaetano Amatruda. Giornalista professionista, ha scritto per ‘Il Socialista Lab’, per ‘Il Pezzo Impertinte’. Ha lavorato alla Presidenza del Consiglio e come Portavoce in Campania. È social media manager ed appassionato di campagne elettorali.
Il trionfo della Meloni visto da Israele. Israele in allarme per il governo Meloni: “Italia nelle mani dei neofascisti”. Umberto De Giovannangeli su Il Riformista il 28 Settembre 2022
Se c’è un Paese e un popolo che hanno fatto i conti, diretti o indiretti, con il fascismo, quel Paese è Israele. Ed è di grande interesse ciò che su Giorgia Meloni e la sua storia scrive uno dei più autorevoli giornali d’Israele: Haaretz. Sul tema scrive Ariel David. Un articolo bene informato, meglio documentato, che non usa mezzi termini nel raccontare la premier in pectore dell’Italia post 25 settembre. E’ bene partire dal titolo: “Il malessere economico e politico dell’Italia ha spinto il Paese nelle mani dell’estrema destra”. E dal sommario: “Giorgia Meloni, leader di un partito di matrice neofascista, ha conquistato il voto di protesta dell’Italia e si appresta a diventare il primo presidente del Consiglio donna del Paese”.
Scrive tra l’altro David: «Ancor più del trionfo della Meloni, il crollo dell’affluenza riflette il malessere politico ed economico che ha spinto l’Italia tra le braccia dell’estrema destra e dell’ultima giovane populista di grido che ha abilmente attirato il voto di protesta con un registro ormai fin troppo familiare, fatto di slogan nativisti, retorica euroscettica e politiche anti-immigrati. Negli ultimi due anni l’Italia è stata governata dal rispettato Mario Draghi, l’ex governatore della Banca Centrale Europea, sostenuto da una coalizione che comprendeva quasi tutti i partiti in parlamento, tra cui la Lega, partito xenofobo, e il Movimento Cinque Stelle, partito di base anti-establishment. Molti elettori sono rimasti a casa domenica a causa della frustrazione per il fatto che il governo di Draghi, così come i precedenti due gabinetti, sono emersi da accordi politici in segreto piuttosto che dalle urne.
Sebbene Draghi abbia gestito bene l’uscita del Paese dalla crisi del Covid-19, l’economia italiana sta subendo un nuovo colpo a causa dell’aumento dell’inflazione e dei prezzi record dell’energia legati all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. A ciò si aggiunga che lo stesso Draghi non si è candidato – il rispetto per i tecnocrati raramente si traduce in voti – e il centro-sinistra mainstream non è stato in grado di presentare un fronte unito e una leadership credibile. Tutti questi elementi hanno rappresentato una chiara opportunità per l’unica grande forza politica rimasta fuori dal governo Draghi: Fratelli d’Italia della Meloni, un partito che affonda le sue radici nel Movimento Sociale Italiano, fondato dai sopravvissuti del regime di Benito Mussolini nel dopoguerra e che alle ultime elezioni ha raccolto appena il 4% dei voti.
La Meloni, cresciuta nei movimenti giovanili di estrema destra, ha chiaramente imparato questa lezione politica di ambiguità e dissimulazione. Da un lato rassicura i moderati, i leader mondiali e i media internazionali che il suo partito rifiuta l’estremismo e ha consegnato il fascismo “alla storia”, trasformandosi in una forza nazional-conservatrice mainstream. Dall’altro, asseconda la base neofascista del suo movimento con promesse di un blocco navale del Nord Africa per fermare gli immigrati e spesso si esprime con una retorica in stile Duce nel suo accento romano d’origine. Usa lo slogan di epoca fascista “Dio, patria, famiglia” per chiedere la protezione dei “valori cristiani tradizionali” e sminuisce le persone che soffrono di tossicodipendenza, alcolismo, obesità e anoressia come “devianti”. I suoi assoli preferiti durante i comizi includono “Sì alla famiglia naturale, no alle lobby LGBT!” e inveisce contro le “élite globali” e la “finanza internazionale”.
La Meloni ha perseguito in modo spietato e senza vergogna il voto di protesta, dicendo essenzialmente tutto il necessario per riunire sotto la sua bandiera chiunque avesse da ridire sul governo di unità nazionale. Nei giorni più bui della crisi del Covid-19, ha flirtato con i no-vax e si è opposta alla misura del “green pass” dell’Italia, anche se in precedenza si era espressa a favore delle vaccinazioni. La stessa ambiguità si riscontra nella crisi della guerra in Ucraina: pur avendo sostenuto la Nato e le sanzioni alla Russia, nel suo libro di memorie del 2021 ha anche espresso ammirazione per il presidente russo Vladimir Putin, che secondo lei “difende i valori europei e l’identità cristiana”.
La Meloni è salita al potere con poca esperienza di governo: la carica più alta che ha ricoperto è stata quella di ministro della Gioventù, più di dieci anni fa, in un governo conservatore guidato da Silvio Berlusconi. Quale delle mutevoli identità politiche della Meloni detterà le sue politiche? Sarà la conservatrice moderna che sostiene di essere, o indietreggerà verso le sue radici politiche?
È indubbio che molti dei membri di Fratelli d’Italia, partito che prende il nome dal primo verso dell’inno nazionale, sono nostalgici che spesso vengono sorpresi in pubblico a fare il saluto fascista a braccio teso. Ma è improbabile che queste figure abbiano un ruolo chiave nel governo. La Meloni dovrà trovare un delicato equilibrio con i suoi alleati di coalizione, quello un tempo dominante, Berlusconi, e la Lega, che probabilmente non gradiranno di essere relegati al ruolo di junior partner. E anche se in cuor suo conserva l’ammirazione giovanile per il Duce, che una volta salutava come “un buon politico”, perché la Meloni dovrebbe riprodurre una formula perdente quando ci sono esempi contemporanei apparentemente più riusciti che può seguire e che ha apertamente ammirato?
È più probabile che il governo della Meloni segua le orme dell’ungherese Viktor Orban e sostenga politiche simili a quelle proposte dal partito spagnolo Vox e dal Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia. Se il suo governo durerà (e questo è un grande se), l’Italia non tornerà ai tempi di Mussolini, ma sarà un luogo meno liberale che cercherà di limitare il diritto all’aborto, le libertà per i migranti, le persone LGBTQ e altre minoranze. Insieme alle altre forze populiste in ascesa in Europa, la Meloni continuerà probabilmente a indebolire e minare i valori e le istituzioni dell’UE, rafforzando l’ondata di nativismo e nazionalismo che sta attraversando il continente».
Più chiaro di così. Da Israele, dove la memoria non è labile.
Umberto De Giovannangeli. Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.
Joe Biden, la frase rubata contro Meloni: "Visto cosa è successo?" Libero Quotidiano il 29 settembre 2022
"Avete visto cos'è successo in Italia?". Il sincero democratico Joe Biden teme il tracollo alle elezioni mid-term americane, che potrebbero vedere il presidente già in crisi diventare a tutti gli effetti "un'anatra zoppa", utilizza un attacco strumentale a Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia a fini puramente interni. E immaginiamo che le parole dell'ex vice di Barack Obama nelle prossime ore inizieranno a girare vorticosamente sui profili social di esponenti e illustri commentatori di sinistra, in mobilitazione "anti-fascista" permanente.
Il presidente degli Stati Uniti ha menzionato il risultato delle elezioni italiane durante una raccolta fondi organizzata dai governatori democratici, invitandoli a "non essere ottimisti" in vista delle elezioni di medio termine del prossimo 8 novembre, che potrebbero vedere i repubblicani conquistare la maggioranza in entrambi i rami del Congresso. "Avete appena visto cosa è accaduto in Italia in quella elezione. State vedendo cosa sta accadendo intorno al mondo", ha detto Biden, a quanto riferito su Twitter da Seung Min Kim, cronista di Associated Press, "la ragione per cui mi preoccupo di dire questo è che non potete essere ottimisti nemmeno su quello che sta accadendo qui".
Secondo Seung Min Kim, Biden stava "lanciando un monito sul destino della democrazia". Il discorso di Biden, che si trovava a un evento della Democratic Governors Association a Washington, non era preparato. E appare destinato, facile previsione, ad avere un posto di rilievo nel dibattito politico italiano nelle prossime ore. Al di là del terrore di Biden per Donald Trump, il presidente americano sembra dimenticare (o semplicemente non sa) che lo stesso Trump aveva fatto endorsement non per la Meloni ma per Giuseppe Conte, e che la leader di Fratelli d'Italia si è più volte dichiarata (e sempre dimostrato nei fatti) filo-americana, filo-atlantica e filo-Nato.
Da iltempo.it il 30 settembre 2022.
Tra gli effetti collaterali della vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del 25 settembre c'è il ritorno sulle barricate di Roberto Saviano. Lo scrittore di Gomorra non lesina i soliti allarmi sulla tenuta democratica del paese e nel suo mirino ci sono sempre Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Dopo un intervento sul britannico Guardian in cui affermava che la leader di FdI è un "pericolo, non solo per l'Italia ma per tutta l'Europa", Saviano passa all'arcinemico Salvini al quale dedica un articolato post, pubblicato su Instagram.
Il leader della Lega "è già stato al Viminale, ed è stato un disastro epocale", scrive lo scrittore che accusa il senatore di aver "compiuto atti folli per avere consenso: ha sequestrato esseri umani per ragioni di propaganda politica, pensando di poterlo fare impunemente".
Al Viminale, Salvini, "ha intimidito e minacciato qualunque voce critica nei suoi riguardi", tra cui, naturalmente, lo scrivente... "Io stesso sono stato querelato da lui, su carta intestata del Viminale, nel silenzio indegno del governo di cui era parte" attacca Saviano che accusa il leghista di essere filorusso: "Pensare di mettere gli apparati di sicurezza del nostro Paese a disposizione di un fiancheggiatore di Putin, in una fase di guerra come quella che stiamo vivendo, sarebbe un atto criminale", scrive.
Insomma, il solito ritornello. Tra l'altro, un paio di giorni fa è stato reso noto che lo scrittore andrà a processo per diffamazione dopo aver dato della "bastarda" a Meloni durante una puntata di Piazzapulita, il programma di Corrado Formigli su La7, del 2020. Ma a sentirsi iscritto in una "lista nera" è lo stesso autore di Gomorra.
"Leggo #Saviano in tendenza perché gli elettori di Meloni mi ’invitano' a lasciare il Paese. Questi sono avvertimenti. Questa è l’Italia che ci aspetta. Stanno già stilando una prima lista nera di nemici della patria, alla faccia di chi diceva che il Fascismo è un’altra cosa", è il timore di Saviano sui social dove lancia l'hashtag #resistere che ha fatto indignare molti.
Da iltempo.it il 30 settembre 2022.
Il tiro a Giorgia Meloni da parte della nutrita galassia mediatica della sinistra è partito da mesi ma dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni è arrivato a livelli mai visti. C'è anche chi cavalca una vicenda tirata fuori dalla stampa spagnola e che coinvolge il padre della leader di FdI, che come ha raccontato lei stessa ha lasciato la famiglia quando lei era ancora una bambina. È il caso della giornalista palestinese con cittadinanza israeliana e italiana, Rula Jebreal, che ha rilanciato sui social un pezzo di Repubblica: "Il padre di Giorgia Meloni condannato per narcotraffico".
"Durante la sua campagna elettorale, Giorgia Meloni il nuovo Primo Ministro italiano, ha promosso un video di stupro in cui si afferma che i richiedenti asilo sono criminali che vogliono sostituire i cristiani bianchi. Ironia della sorte, il padre di Meloni è un famigerato trafficante di droga/criminale condannato che ha scontato una pena in una prigione", scrive Jebreal inanellando in poche righe una serie sorprendente di imprecisioni. Per esempio, Meloni non è ancora premier. E poi, se la giornalista si riferisce al video di Piacenza, non si capisce quando la leader di FdI abbia espresso i concetti che le vengono attribuiti.
La stessa Meloni interviene sui social rilanciando il post di Rula Jebreal e commentando la scelta dei giornali che hanno rilanciato la notizia sul padre. "Il tatto della stampa italiana che racconta dei guai di mio padre, ma omette nei suoi titoli roboanti un elemento fondamentale. Tutti sanno che mio padre andò via quando avevo poco più di un anno. Tutti sanno che ho scelto di non vederlo piu all'età di undici anni. Tutti sanno che non ho mai più avuto contatti con lui fino alla sua morte", spiega Meloni, "Ma poco importa, se i 'buonisti' possono passare come un rullo compressore sulla vita del 'mostro'. Evidentemente tra le tante cose che non valgono per me c'è anche il detto 'le colpe dei padri non ricadano sui figli'". In coda, un post scriptum dedicato alla "Signora Jebreal, spero che potrà spiegare al giudice quando e dove avrei fatto la dichiarazione che lei mi attribuisce".
Il “caso Meloni-Jebreal” e la stampa monnezza. Redazione CdG 1947 e Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno l'1 Ottobre 2022.
La solita sinistra radical-chic che ha trovato nelle ultime ore megafono nelle volgarità di tale Julia Rubreal. Il solito squadrismo giornalistico galoppante di giornalisti che definire "giornalai" sarebbe un offesa per i poveri incolpevoli edicolanti.
Se qualcuno crede che il volgare attacco della stampa spagnola a Giorgia Meloni sia frutto della loro opera, allora lasciatemelo dire non avete capito niente sul basso livello a cui è arrivata la stampa sinistrorsa che non riesce ancora ad accettare ed ingoiare il rospo di vedere una ragazza che dal quartiere popolare più sinistrorso di Roma, la Garbatella è riuscita a fondare un partito diventandone il leader incontrastato. La vicenda del padre della Meloni risale a 27 fa, era il 1995, quando in Spagna il padre Francesco Meloni, fu condannato a nove anni di reclusione per narcotraffico alle Canarie. All’epoca la leader di Fratelli d’Italia aveva appena raggiunto la maggiore età e da sette anni aveva rotto i ponti con quel genitore che, quando aveva circa un anno, l’aveva abbandonata, lasciandola sola con la madre.
La solita sinistra radical-chic che ha trovato nelle ultime ore megafono nelle volgarità di tale Julia Rubreal, figlia dell’Imam della moschea di Al-Aqsa, la più grande di Gerusalemme, israeliana di origine palestinese, nata a Haifa, cresciuta in Israele e poi trasferitasi in Italia grazie ad una borsa di studio del nostro Governo, ha attaccato com delle volgari affermazioni Giorgia Meloni sfruttando le squallide ed inconsistenti accuse rivoltele dalla stampa spagnola, venendo ripresa guarda caso dal quotidiano La Repubblica. Il solito squadrismo giornalistico galoppante di giornalisti che definire “giornalai” sarebbe un offesa per i poveri incolpevoli edicolanti.
La Rubreal deve la sua visibilità televisiva in Italia ad una stretta amicizia con la tunisina Afef Jnifen, all’epoca dei fatti moglie di Marco Tronchetti Provera quando costui era presidente di Telecom Italia e controllava l’emittente televisiva La7, che la impose nei programmi televisivi. Non a caso le venne affidato il dibattito giornaliero di Omnibus Estate e successivamente il “tema del giorno” del programma quotidiano Omnibus, alternandosi in video con Antonello Piroso (un altro “protetto” dell’ex signora Tronchetti Provera), che una volta rilevata La7 dal Gruppo Cairo, che l’ha rilanciata, è letteralmente scomparso dal giornalismo televisivo
Nel 2013 Rula Jebreal ha sposato il banchiere americano Arthur Altschul Jr., figlio di un partner della potente banca d’affari statunitense Goldman Sachs, da cui ha divorziato nel giugno 2016, dopo averlo cornificato relazione con Roger Waters, il fondatore dei Pink Floyd. Poi amante del regista e gallerista Julian Schnabel che ha diretto il film “Miral” prodotto da Harvey Weinstein – proprio lui il produttore predatore sessuale – tratto dal libro della Jebreal (e accolto da un vespaio di polemiche in Israele che le ha chiesto invano di rinunciare alla cittadinanza).
Nell’agosto 2014, durante un dibattito sul network televisivo americano MSNBC, la Jebreal accusò i media statunitensi di essere troppo sbilanciati a favore di Israele, portando ad esempio il numero e la durata delle interviste con esponenti israeliani rispetto a quelle con esponenti palestinesi. Questo atteggiamento, a suo dire, “fornirebbe al pubblico un quadro distorto e parziale del conflitto a Gaza“. In seguito a queste affermazioni, venne giustamente “oscurata” dalla rete.
“La Meloni non è colpevole dei crimini commessi da suo padre, ma spesso sfrutta i reati commessi da alcuni stranieri, per criminalizzare tutti gli immigrati, descrivendoli minaccia alla sicurezza. In una democrazia ci sono responsabilità individuali, NON colpe/punizioni collettive” ha scritto la Jebreal sul suo account Twitter
La Meloni non è colpevole dei crimini commessi da suo padre, ma spesso sfrutta i reati commessi da alcuni stranieri, per criminalizzare tutti gli immigrati, descrivendoli minaccia alla sicurezza.
Persino Carlo Calenda su Twitter ha criticato la Jebreal: “Rula questa è una bassezza. Non si fa politica così e tanto meno giornalismo. Quello che ha fatto il padre della Meloni non c’entra nulla con lei. Cancella questo tweet che tra l’altro ha l’unico effetto di portare ancora più gente a sostenere Fdi“ su Twitter in molti accostano le parole della giornalista italo-israeliana di origine palestinese alla replica di Giorgia Meloni che annuncia querela. Molti i commenti, uno per tutti a sintetizzare il “sentiment” negativo: “Quindi la Turci, la Pascale, la Jebreal e quelli che ‘se vince la destra me ne vado dall’Italia’, si tolgono dalle p…? Davvero davvero?“. Magari rispettassero i loro intenti annunciati !
“Le affermazioni diffuse via social dalla signora, anche se è difficile definirla tale, Rula Jebreal, sono vergognose e farneticanti. Per attaccare Giorgia Meloni utilizza la storia personale del padre che la abbandonò quando aveva un anno di età e che Giorgia Meloni stessa ha raccontato di aver escluso dalla sua esistenza durante l’infanzia”. Le parole di Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, riassumono lo sdegno del centrodestra e di buona parte del mondo politico per l’attacco della giornalista alla leader di Fdi il cui padre, 27 anni fa, fu condannato a nove anni di reclusione per narcotraffico. “Di quell’uomo fu vittima e oggi lo è anche di una giornalista senza scrupoli né alcun limite etico, che pur di aggredirla è pronta a sfruttare una vicenda dolorosa rispetto alla quale Giorgia Meloni non solo è estranea, ma ne è rimasta danneggiata sotto ogni aspetto. La seconda questione appare ancora più grave sul piano deontologico per una persona che si definisce giornalista e opinionista televisiva, e cioè l’attribuzione di gravissime affermazioni e posizioni politiche che in realtà Giorgia Meloni mai ha pronunciato né pensato. È evidente che il risultato elettorale ha obnubilato le menti di molti, spingendoli a prendere posizioni ingiustificabili” continua Lollobrigida.
Anche il presidente del M5s Giuseppe Conte ha scritto un post in difesa della Meloni: “Questo è fango su Giorgia Meloni. Io ,Meloni e Fratelli d’Italia, con il M5S li combatto in tutte le sedi, ma sul piano politico. Non si possono però addebitare in maniera subdola a una figlia – che dal genitore è stata abbandonata, senza avere più rapporti – i reati e gli errori del padre. È inoltre intollerabile mettere etichette su chi viene da situazioni difficili e cerca la propria strada e il riscatto lontano da quel contesto.” . Anche il pentastellato Stefano Buffagni è intervenuto: “Oggi Giorgia Meloni sta per diventare premier ed ecco che dal cilindro di certa stampa tirano fuori questa notiziona, quest’articolone, questo schifo. Vi giuro sono nauseato. Già, perché, rivedo un film già visto: certa stampa, mossa da certi apparati, è il braccio armato di chi inneggia alla democrazia ma poi non l’accetta e usa qualsiasi mezzo per screditare l’avversario politico di turno. Tra l’altro entrando nella sfera privata di una donna che dal padre è stata abbandonata quando era piccola. È capitato con il M5S, con me personalmente, e ora tocca alla Meloni essere aggredita sul piano personale. In moltissime occasioni ho attaccato Giorgia Meloni per le sue idee e per le sue dichiarazioni. Ma oggi devo dirle con il cuore: ti sono vicino, non ti curar di loro“.
Sulla questione è intervenuto anche Matteo Salvini: “Chi fa battaglia politica attaccando non l’avversario, ma mamma, papà, figli, mogli o mariti, è un piccolo uomo. O una piccola donna. Abbiamo vinto democraticamente le elezioni, fatevene una ragione“.
Oggi Giorgia Meloni ha replicato: “Il tatto della stampa italiana che racconta dei guai di mio padre, ma omette nei suoi titoli roboanti un elemento fondamentale. Tutti sanno che mio padre andò via quando avevo poco più di un anno.Tutti sanno che ho scelto di non vederlo più all’età di undici anni. Tutti sanno che non ho mai più avuto contatti con lui fino alla sua morte. Ma poco importa, se i ‘buonisti’ possono passare come un rullo compressore sulla vita del ‘mostro’. Evidentemente tra le tante cose che non valgono per me c’è anche il detto ‘le colpe dei padri non ricadano sui figli’.
Ps. Signora Jebreal, spero che potrà spiegare al giudice quando e dove avrei fatto la dichiarazione che lei mi attribuisce”, ha scritto su Facebook la leader di FdI. Redazione CdG 1947
Purtroppo nella politica moderna si fa così. Cara Rula Jebreal cosa diavolo c’entra il padre della Meloni? Populismo e moralismo hanno ucciso la politica. Redazione su Il Riformista l'1 Ottobre 2022
Prima un grande giornale spagnolo, poi Repubblica e diversi altri giornali e siti web italiani, infine la celebre giornalista Rula Jebreal, hanno scagliato un attacco contro Giorgia Meloni raccontando la storia di suo padre, che tanti anni fa fu condannato in Spagna a nove anni di carcere per narcotraffico. All’epoca Giorgia era poco più che una ragazza e da molti anni non aveva più rapporti con il padre.
In una sua dichiarazione Rula Jebreal l’ha accusata di prendersela sempre, genericamente, contro i migranti, senza capire che se un migrante commette un reato lui e solo lui ne è responsabile. Secondo la Jebreal questo atteggiamento è in contrasto con il fatto di avere un padre che è stato condannato per droga. In realtà non è chiarissimo il ragionamento della Jebreal, che comunque ha prodotto una valanga di polemiche e di proteste. Soprattutto quella di Francesco Lollobrigida a nome di Fratelli d’Italia e quello di Carlo Calenda. Il quale ha fatto osservare a Rula Jebreal che non è questo il modo di fare correttamente lotta politica.
La stessa Giorgia Meloni ha ricordato di avere più volte raccontato la storia dolorosa dei rapporti con suo padre, che la abbandonò quando lei aveva poco più di un anno e con il quale dall’età di 11 anni lei non ha più avuto rapporti. In effetti la storia è notissima ed è anche abbastanza noto il fatto che il padre di Giorgia Meloni è morto alcuni anni fa. Queste circostanze hanno prodotto l’indignazione. In realtà sono persino circostanze che non vale neppure la pena di citare.
Se anche Giorgia avesse avuto un rapporto intenso con suo padre e lo avesse amato profondamente, sarebbe stato suo pieno diritto farlo senza che nessuno dovesse usare suo padre per colpirla politicamente. Purtroppo nella politica moderna si fa così. Le regole non esistono. Da molti anni. Soprattutto da quando il populismo, il moralismo, il giustizialismo hanno spazzato via la buona cultura politica.
La mamma di Giorgia Meloni contro Rula Jebreal: «Si vergogni ad attaccarla usando la storia del padre». Redazione Online su Il Corriere della Sera l'1 Ottobre 2022.
Anna Paratore, madre di Giorgia Meloni, interviene sulla polemica tra Rula Jebreal e la figlia
«Si vergogni»: così Anna Paratore , la mamma di Giorgia Meloni , si è rivolta a Rula Jebreal, dopo che la giornalista aveva nei giorni scorsi attaccato la leader di Fratelli d’Italia ricordando la condanna del padre per spaccio di stupefacenti.
«Dopo che per anni ho sopportato i peggiori insulti nei confronti di Giorgia, bugie e mistificazioni di tutti i tipi, calunnie vergognose che, detto per inciso, se in Italia sei di destra non riesci nemmeno a far condannare in un’aula di tribunale, sono davvero stufa», ha spiegato la mamma di Meloni in una lettera postata da diversi parlamentari di Fratelli d'Italia sui social.
Una lettera nella quale ha poi attaccato frontalmente Jebreal, definendola una «pseudo giornalista» che «si permette di cianciare su mia figlia utilizzando un padre che a Giorgia è costato solo lacrime, e da cui non ha mai avuto il sollievo di una carezza o di un bacio, per non dire un piatto di minestra. Si vergogni», continua, «visto che attribuisce a Giorgia parole mai pronunciate, concetti violenti e stupidi mai partoriti soprattutto perché, a differenza di tanti bei faccini che fanno carriera sgomitando o grazie ad amicizie importanti, mia figlia scema non è e quando parla sa ciò che dice».
Il tweet di Jebreal che aveva scatenato la bufera era questo: «La Meloni non è colpevole dei crimini commessi da suo padre, ma spesso sfrutta i reati commessi da alcuni stranieri, per criminalizzare tutti gli immigrati, descrivendoli minaccia alla sicurezza. In una democrazia ci sono responsabilità individuali non colpe/punizioni collettive».
La stessa leader di FdI era intervenuta: «Il tatto della stampa italiana che racconta dei guai di mio padre, ma omette nei suoi titoli roboanti un elemento fondamentale. Tutti sanno che mio padre andò via quando avevo poco più di un anno. Tutti sanno che ho scelto di non vederlo più all’età di undici anni. Tutti sanno che non ho mai più avuto contatti con lui fino alla sua morte», ha scritto. «Ma poco importa, se i “buonisti” possono passare come un rullo compressore sulla vita del “mostro”. Evidentemente tra le tante cose che non valgono per me c’è anche il detto “le colpe dei padri non ricadano sui figli”». C’è pure un «ps» nel post di Meloni: «Signora Jebreal, spero che potrà spiegare al giudice quando e dove avrei fatto la dichiarazione che lei mi attribuisce».
Solidarietà a Meloni è stata espressa da politici di partiti i più diversi, da Carlo Calenda a Giuseppe Conte, da Stefano Buffagni a Licia Ronzulli a Deborah Bergamini.
Jebreal non aveva però ritrattato, anzi: «Non volevo evidenziare la vicenda familiare della Meloni, ma la sua propaganda», ha scritto. «Anche la stampa anglosassone ha dato notizia dei reati del padre e del nonno di Trump, come si legge sul Washington Post, su The Independent e The Guardian».
Ora l'intervento della madre di Meloni. Che ricorda anche la sua storia personale: «La mia storia con il padre delle mie figlie non è materia pubblica, così come non credo lo sia la vita di un uomo che è mancato già da svariati anni. Infatti, l’ultima volta che le mie bambine ed io lo abbiamo incontrato, è stato in un lontano pomeriggio intorno al 1988, a Villa Borghese, un giardino pubblico romano, dove Francesco Meloni aveva chiesto di rivedere le sue figlie dopo che da circa 5 anni non avevano sue notizie. Fu un incontro inutile e superficiale, con due bimbette che a malapena si ricordavano di lui, e lui che si faceva chiamare Franco perché sosteneva che “papà” lo invecchiasse. Dopo di allora, il vuoto assoluto.
Per quello che ne sapevamo noi, poteva essere morto, o felicemente vivo in qualche parte del mondo. Lui non cercava le figlie, le figlie non hanno mai cercato lui. Quando poi Giorgia fu nominata alla vicepresidenza della Camera – molto più di venti anni dopo - ecco arrivare la telefonata di un amico comune. “Franco” avrebbe avuto piacere di rivedere le ragazze: Giorgia disse di no. Come fa sempre, argomentò il suo diniego: “Perché dovrei vedermi con una persona che se incontro per strada nemmeno riconosco? Non ho niente da dirgli”».
La stessa Meloni aveva parlato del padre, tempo fa, a Verissimo: «Quando è morto non sono riuscita davvero a provare un’emozione, è come se fosse stato uno sconosciuto».
Jebreal: “Meloni mi querela? Non mi faccio intimidire”. Continua lo scontro tra Meloni e Jebreal. La prima minaccia querela, la seconda dice: non mi faccio intimidire. Il Dubbio il 2 ottobre 2022.
“Meloni mi querela? Sappia che non mi faccio intimidire”. Continua la saga tra Rula Jebreal e Giorgia Meloni, dopo che la prima aveva attaccato la leader Fdi, dopo la pubblicazione di una vecchia condanna del padre per narcotraffico.
Il tweet di Jebreal
Questo il tweet di Jebreal che ha scatenato la bufera: “Durante la sua campagna elettorale, Giorgia Meloni, ha pubblicato il video di uno stupro in cui afferma che i richiedenti asilo sono criminalim che vogliono sostituire i cristiani bianchi. Ironia della sorte, il padre della Meloni è un famigerato trafficante di droga/criminale condannato, che ha scontato una pena in una prigione”
Tutti contro Jebreal
Il tweet di Jenreal ha provocato una valanga di polemiche, anche il presidente M5s Conte ha scritto un post in difesa della Meloni: “Questo è fango su Giorgia Meloni. Io ,Meloni e Fratelli d’Italia, con il M5S li combatto in tutte le sedi, ma sul piano politico”.
“Rula questa è una bassezza. Non si fa politica così e tanto meno giornalismo. Quello che ha fatto il padre della Meloni non c’entra nulla con lei. Cancella questo tweet che tra l’altro ha l’unico effetto di portare ancora più gente a sostenere FDI”, scrive Carlo Calenda, leader di Azione, rispondendo a Rula Jebreal.
«La Meloni non è colpevole dei crimini commessi da suo padre, ma spesso sfrutta i reati commessi da alcuni stranieri, per criminalizzare tutti gli immigrati, descrivendoli minaccia alla sicurezza. In una democrazia ci sono responsabilità individuali non colpe/punizioni collettive».
La minaccia di Meloni