Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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(pagine) GIANGRANDE LIBRI
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NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
ANNO 2020
LO SPETTACOLO
E LO SPORT
TERZA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2020, consequenziale a quello del 2019. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
GLI ANNIVERSARI DEL 2019.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
INDICE
PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Un Giro di …Giostra.
Nudi e crudi.
Il Cinema delle donne e dei Gay.
Coppie che scoppiano.
Le scazzottate dei divi.
Gli acciacchi della Star.
Hall of Fame 2020.
Cinema e Musica Italiana da Oscar.
Grande Fratello Vip, perché i Big si (s)vendono così?
AC/DC.
Achille Lauro.
Adele.
Adriana Chechik.
Adriana Volpe.
Adriano Celentano.
Adriano Pappalardo.
Agostina Belli.
Ai Weiwei.
Aida Yespica.
Al Bano.
Alba Parietti.
Alberto Fortis.
Aldo Savoldello, in arte Mago Silvan.
Aldo, Giovanni e Giacomo.
Alex Britti.
Al Pacino.
Alena Seredova.
Alessandra Amoroso.
Alessandra Cantini.
Alessandro Bergonzoni.
Alessandro Gassmann.
Alessandro Mahmoud in arte Mahmood.
Alessandro Preziosi.
Alessia Marcuzzi.
Alfonso Signorini.
Alvaro Vitali.
Amadeus.
Amandha Fox.
Amanda Lear.
Ambra Angiolini.
Andrea Delogu.
Andrea Roncato.
Andrea Sartoretti.
Andrea Vianello.
Andrew Garrido.
Andy Luotto.
Angelica Scent.
Annalisa.
Anna Galiena.
Anna Pepe.
Anna Valle.
Anna Falchi.
Anne Moore.
Anna Tatangelo e Gigi D'Alessio.
Antonella Clerici.
Antonella Elia.
Antonio Ricci.
Antonello Venditti.
Antonio Zequila.
Arisa.
Asa Akira.
Asia Argento.
Asia Gianese.
Asia Valente.
Asmik Grigorian.
Autumn Falls.
Baby Marylin.
Bar Refaeli.
Barbara Alberti.
Barbara Bouchet.
Barbara Costa.
Barbara De Rossi.
Barbara D'Urso.
Beatrice Rana.
Beatrice Venezi.
Belen Rodriguez.
Bella Hadid.
Benedetta Porcaroli.
Benji & Fede.
Bianca Balti.
Bianca Guaccero.
Billie Eilish.
Billy Cobham.
Bobby Solo.
Brad Pitt.
Brigitte Bardot.
Brigitte Nielsen.
Brunori Sas.
Bugo.
SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Cameron Diaz.
Carla Bruni.
Carla Vistarini.
Carlo Conti.
Carlo Verdone.
Carol Alt.
Caterina Balivo.
Caterina Caselli.
Caterina Collovati.
Caterina Guzzanti.
Caterina Piretti: Katiuscia.
Catherine Spaak.
Cécile de France.
Charlie Sheen.
Checco Zalone.
Chiara Ferragni e Fedez.
Chrissie Hynde.
Christian De Sica.
Claudia Gerini.
Claudia Galanti.
Claudio Amendola.
Claudio Baglioni.
Claudio Bergamin.
Claudio Bisio.
Claudio Cecchetto.
Claudio Lippi.
Clementino.
Clint Eastwood.
Cochi e Renato.
Costantino della Gherardesca.
Cristina D'Avena.
Cristina Quaranta.
Daisy Taylor.
Dalila Di Lazzaro.
Dana Vespoli.
Daniela Martani.
Daniela Rosati.
Danika e Steve Mori.
Danny D.
Dante Ferretti.
Dario Argento.
Dario Brunori.
David Guetta.
Davide Livermore.
Davide Mengacci.
Davide Parenti.
Demi Moore.
Diego Abatantuono.
Diego «Zoro» Bianchi.
Diletta Leotta.
Domiziana Giordano.
Donatella Rettore.
Donnie Yen, l'erede di Bruce Lee.
Duffy.
Ed Sheeran.
Edoardo ed Eugenio Bennato.
Elena Sofia Ricci.
Elena Sonzogni.
Elenoire Casalegno.
Eleonora Abbagnato.
Eleonora Giorgi.
Eleonora Daniele.
Elettra Lamborghini.
Elio Germano.
Elisa Isoardi.
Elisabetta Canalis.
Elisabetta Gregoraci.
Elodie.
Elton John.
Ema Stockholma.
Emma Marrone.
Emis Killa.
Enrica Bonaccorti.
Enrico Bertolino.
Enrico Brignano.
Enrico Lucherini.
Enrico Montesano.
Enrico Nigiotti.
Enrico Remigio: il milionario.
Enrico Ruggeri.
Enrico Vanzina.
Enzo Iacchetti.
Enzo Ghinazzi-Pupo.
Enzo Salvi.
Erjona Sulejmani.
Eros Ramazzotti.
Eva Henger.
Eva Robin’s – Roberto Coatti.
Evan Seinfeld.
Eveline Dellai.
Ezio Bosso.
Ezio Greggio.
Fabio Canino.
Fabio Rovazzi.
Fabio Volo.
Fabri Fibra.
Fabrizio Corona.
Fasma.
Fausto Leali.
Federico Buffa.
Federico Zampaglione.
Ferdinando Salzano.
Ficarra e Picone.
Fiordaliso.
Fiorella Mannoia.
Fiorella Pierobon.
Fiorello Catena.
Fiorello Rosario.
Flavio Briatore.
Francesca Brambilla: "Bonas".
Francesca Calissoni.
Francesca Cipriani.
Francesca Sofia Novello.
Francesco Baccini.
Francesco Facchinetti.
Francesco Gabbani.
Francesco Guccini.
Francesco Sarcina e le Vibrazioni.
Franco Nero.
Franco Simone.
Franco Trentalance.
Fred De Palma.
Gabriel Garko.
Gabriele e Silvio Muccino.
Gegè Telesforo.
Gemma Galgani.
Gene Gnocchi.
Georgina Rodriguez.
Gerardina Trovato.
Gerry Scotti.
Ghali.
Gialappa’s Band.
Giancarlo Giannini.
Giancarlo Magalli.
Gianfranco D' Angelo.
Gianfranco Vissani.
Gianluca Grignani.
Gianluca Fubelli: in arte Scintilla.
Gianna Dior.
Gianna Nannini.
Gianni Morandi.
Gianni Sperti.
Gigi Proietti.
Gina Lollobrigida.
Gino Paoli.
Giobbe Covatta.
Giorgio J. Squarcia.
Giorgio Moroder.
Giorgio Panariello.
Giovanna Civitillo.
Giovanna Mezzogiorno.
Giovanna Ralli.
Giovanni Allevi.
Giovanni Benincasa.
Giovanni Muciaccia.
Giovanni Veronesi.
Giuliana De Sio.
Giulia Di Quilio.
Giulio Rapetti: Mogol.
Giuseppe Cionfoli.
Giuseppe Povia.
Giuseppe Vetrano.
Gue Pequeno.
Gwyneth Paltrow.
Heather Parisi.
Helen Mirren.
Hitomi Tanaka.
Hoara Borselli.
Ilona Staller, per tutti Cicciolina.
Imen Jane.
Imma Battaglia.
Ines Trocchia.
Irene Ferri.
Isabella De Bernardi.
Isabella Orsini.
Isabella Rossellini.
Iva Zanicchi.
Ivan Gonzalez.
TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
J-Ax.
Jacopo D’Emblema.
Jake Lloyd.
Jamie Lee Curtis.
Jane Birkin e Serge Gainsbourg.
Jason Momoa.
Jennifer Lopez.
Jerry Calà.
Jessica Rizzo, ovvero Eugenia Valentini.
Jim Carrey.
Joaquin Phoenix.
Joe Bastianich.
Johnny Depp.
Johnny Dorelli.
Jon Bon Jovi.
Jonas Kaufmann.
Jordan Jeffrey Baby, ossia Jordan Tinti.
Julija Majarcuk.
Julio Iglesias.
Junior Cally.
Justin Bieber.
Justin Timberlake.
Justine Mattera.
Katia Follesa.
Katia Ricciarelli.
Keanu Reeves.
Kevin Spacey.
Kim Kardashian.
Kristen Stewart.
Lacey Starr.
Lady Gaga.
Lando Buzzanca.
Laura Pausini.
Le Calippe: Debora Russo e Romina Olivi.
Le Donatella: Giulia e Silvia Provvedi.
Led Zeppelin.
Lele Mora.
Le Las Ketchup.
Le Lollipop.
Leo Gullotta.
Leonardo DiCaprio.
Levante.
Liana Orfei.
Ligabue.
Liliana Fiorelli.
Lillo&Greg.
Lino Banfi.
Lo Stato Sociale.
Loredana Bertè.
Lorella Cuccarini.
Lorenzo Battistello.
Lorenzo Cherubini: Jovanotti.
Lory Del Santo.
Luca Argentero.
Luca Barbareschi.
Luca Bizzarri e Paolo Paolo Kessisoglu.
Luca Ferrero.
Luca Guadagnino.
Luciana Turina.
Luigi Calagna e Sofia Scalia: Me contro Te.
Luigi Mario Favoloso.
Luisa Ranieri.
Lulu Chu.
Luna Star.
Macauley Culkin.
Maccio Capatonda: Marcello Macchia.
Madonna.
Maitland Ward.
Malcolm McDowell.
Malena Mastromarino.
Manila Nazzaro.
Manlio Dovì.
Manuela Arcuri.
Mara Maionchi.
Mara Venier.
Marcella Bella.
Marcia Sedoc.
Marco Bellocchio.
Marco Carta.
Marco Castoldi, in arte Morgan.
Marco Giallini.
Marco Giusti.
Marco Masini.
Marco Mazzoli.
Marco Milano.
Marco Predolin.
Margherita Sarfatti.
Maria Cristina Maccà: la Mariangela e Uga Fantozzi.
Maria De Filippi.
Maria Giovanna Elmi.
Maria Grazia Cucinotta.
Maria Teresa Ruta.
Marianna Pizzolato.
Mario Salieri.
Marilena Di Stilio.
Marina La Rosa.
Marina Mantero.
Marino Bartoletti.
Mario Biondi.
Marisa Bruni Tedeschi.
Marisa Laurito.
Marta Losito.
Martina Colombari.
Martina Smeraldi.
Massimo Boldi.
Massimo Cannoletta de “L’Eredità”.
Massimo Ceccherini.
Massimo Ghini.
Massimo Giletti.
Matilda De Angelis.
Matt Dillon.
Matthew McConaughey.
Maurizia Paradiso.
Maurizio Battista.
Maurizio Costanzo.
Maurizio Ferrini.
Mauro Coruzzi, in arte Platinette.
Max Felicitas.
Max Giusti.
Max Pezzali e gli 883.
Mel Gibson.
Mia Khalifa.
Mia Malkova.
Michael Stefano.
Michela Miti.
Michele Bravi.
Michele Cucuzza.
Michele Duilio Rinaldi.
Michele Mirabella.
Michelle Hunziker.
Miguel Bosè.
Mika.
Mick Jagger.
Milly D’Abbraccio.
Milva.
Mina.
Mingo De Pasquale.
Mirko Scarcella.
Myss Keta.
Myrta Merlino.
Monica Bellucci.
Monica Leofreddi.
Monica Setta.
Monica Vitti.
Morena Capoccia.
Morgana Forcella.
Nadia Bengala.
Nancy Brilli.
Nanni Moretti.
Noemi Blonde.
Naomi Campbell.
Niccolò Fabi.
Nicola Di Bari.
Nicola Savino.
Nicole Grimaudo.
Nicoletta Mantovani.
Nicolò De Devitiis.
Niko Pandetta.
Nina Moric.
Ninetto Davoli.
Nino Formicola.
Nino Frassica.
Oasis. Liam e Noel Gallagher.
Oliver Stone.
Orietta Berti.
Orlando Bloom.
Ornella Muti.
Ornella Vanoni.
Ottaviano Dell'Acqua.
Pamela Anderson.
Paola Barale.
Paola e Chiara.
Paola Ferrari.
Paola Perego.
Paola Pitagora.
Paola Saulino.
Paola Turci.
Paolina Saulino.
Paolo Bonolis.
Paolo Conte.
Paolo Conticini.
Paolo Jannacci.
Paolo Ruffini e Diana Del Bufalo.
Paolo Sorrentino.
Paolo Virzì.
Pasquale Panella.
Patty Pravo: Nicoletta Strambelli.
Patrizia De Blanck.
Patrizia Mirigliani.
Patti Smith.
Paul McCartney.
Peppino Gagliardi.
Peppino di Capri.
Peter Gabriel.
Pierfrancesco Favino.
Pier Luigi Pizzi.
Piero Chiambretti.
Piero Pelù.
Pif.
Pilar Fogliati.
Pino Donaggio.
Pino Scotto.
Pino Strabioli.
Pio e Amedeo. Pio d’Antini e Amedeo Grieco.
Pippo Baudo.
Pippo Franco.
Placido Domingo.
Plinio Fernando.
Pooh.
Quentin Tarantino.
Raffaella Carrà.
Rancore.
Raoul Bova.
Red Ronnie.
Renato Zero.
Renzo Arbore.
Riccardo Cocciante.
Riccardo Muti.
Riccardo Scamarcio.
Ricchi e Poveri.
Righeira.
Ringo.
Ringo Starr.
Rita Dalla Chiesa.
Rita Pavone.
Rita Rusic.
Robert De Niro.
Roberta Beta.
Roberta Bruzzone.
Roberto Benigni.
Roberto Bolle.
Robbie Williams.
Rocco Papaleo.
Rocco Siffredi.
Rocco Steele.
Rodrigo Alves, il "Ken Umano".
Rockets.
Rosanna Lambertucci.
Roy Paci.
Sabina Ciuffini.
Sabrina Ferilli.
Sabrina Salerno.
Sally D’Angelo.
Salvo Veneziano.
Samantha De Grenet.
Sandra Milo.
Sara Croce: "Bonas".
Sara Tommasi.
Sarah Slave.
Sean Connery.
Selena Gomez.
Serena Grandi.
Serena Rossi.
Sergio e Pietro Castellitto.
Sergio Sylvestre.
Sergio Staino.
Sfera Ebbasta.
Shannen Doherty.
Shara: al secolo Sarah Ancarola.
Sharon Mitchell.
Sharon Stone.
Silvia Rocca.
Simona Izzo.
Simona Ventura.
Sinead O'Connor.
Skin.
Sofia Siena.
Sonia Bergamasco.
Sophie Turner.
Sylvie Lubamba.
Spice Girls.
Stefania Sandrelli.
Stefano Bollani.
Stefano Fresi.
Stella Usvardi: Kicca Martini.
Steve Holmes.
Susanna Messaggio.
Suzanne Somers.
Tazenda.
Taylor Mega.
Taylor Swift.
Tecla Insolia.
Teo Teocoli.
The Kolors.
Tinto Brass.
Tiromancino.
Tiziano Ferro.
Tom Hanks.
Tommaso Paradiso.
Tommaso Zorzi.
Tony Binarelli.
Tony Colombo e la moglie Tina Rispoli.
Tony Dallara.
Tony Sperandeo.
Tony Vilar.
Tosca Tiziana Donati.
Traci Lords.
Uccio De Santis.
Umberto Smaila.
Umberto Tozzi.
Ursula Andress.
Valentina Nappi.
Valentina Pegorer.
Valentina Sampaio.
Valentine Demy alias Marisa Parra.
Valeria Curtis.
Valeria Marini.
Vanessa Incontrada.
Vasco Rossi.
Vera Gemma.
Verona van de Leur.
Veronica Maya.
Victor Quadrelli.
Victoria Cabello.
Vincenzo Mollica.
Viola Valentino.
Vittorio Brumotti.
Vittorio Cecchi Gori.
Vladimir Luxuria.
Wanda Nara.
Willie Garson.
Wilma Goich ed Edoardo Vianello: I Vianella.
Zaawaadi.
Zucchero.
QUARTA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
70 anni di moda e glamour in mostra.
Sanremo 2020, le 10 canzoni più bizzarre mai presentate in gara.
I Comizi di Sanremo.
Sanremo in salsa Leopolda.
Finalmente Sanremo…oltre le polemiche.
Il Debutto.
La Seconda Serata.
La Terza Serata.
La Quarta Serata.
L’ultima Serata.
Pronti per Sanremo 2021.
QUINTA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Le competizioni stravaganti.
Gli Spartani: i masochisti dello sport.
I Famelici.
Quelli che…Lottano.
Quelli che l’Atletica.
Quelli che…le Biciclette.
Quelli che…il Calcio.
Quelli che…la Palla a Volo.
Quelli che…il Basket.
Quelli che…Il Rugby.
Quelli che…i Motori.
Quelli che…il Tennis.
Quelli che…le Lame.
Quelli che…sulla Neve.
Quelli che…il Biathlon.
Quelli che …in Acqua.
Quelli che…lo Skate.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
· J-Ax.
"Io, anarchico libertario né con Salvini ma neppure con il Pd". Il rapper canta per la legittima difesa delle donne violentate. «A Sanremo polemiche da poveretti». Paolo Giordano, Giovedì 23/01/2020, su Il Giornale. Ricordate il J-Ax degli anni Novanta, considerato il maranza arricchito con gli Articolo 31? Scordatelo. Oggi Alessandro Aleotti detto J-Ax è uno dei pochi cantautorap che parlino chiaro e che sappiano argomentare posizioni difficili senza scadere nel qualunquismo più becero. Ora pubblica il nuovo disco ReAle con un titolo che «gioca con l'abitudine rap di definirsi Re e con il mio nome». Non saranno reali, ma queste diciotto canzoni hanno testi agili, spesso divertenti (Mainstream e Il terzo spritz ad esempio), sempre molto focalizzati. Lui scrive bene, bisogna ammetterlo. In più il disco è pieno di featuring, da Enrico Ruggeri, che rappa come se fosse il suo mestiere, ad Annalisa, Boomdabash, Pezzali e Paola Turci. «È un classic Ax», lo definisce lui, milanese 48enne, rapper della prima ora, creativo e coraggioso e vittima (come i migliori artisti) del «complesso dell'impostore» che gli fa credere di non meritarsi quello che ha ottenuto. Risultato: è condannato a migliorare sempre. In poche parole, a cinque anni dal suo disco Il bello di esser brutti e dopo la sua collaborazione con Fedez in Comunisti col Rolex esce il suo miglior disco di sempre e, come spiega lui, «non sono un comunista con il Rolex come disse Salvini, anzi: vivo a Milano in zona Maciacchini dove ci sono italiani non di origine italiana e vado in giro tranquillo».
Però conserva sempre il senso dell'ironia. In Mainstream (la scala sociale del rap) elenca i 20 passaggi tipici del rapper dai «commenti con odio agli artisti emergenti» fino al numero 1 che «vuol dire che sei morto». J-Ax in che posto è?
«Sono al numero 2, ossia un artista a tutto tondo, il popolo ti ama ma la gente più alla moda ti dà dello stron..».
Una nuova lettura della famosa definizione di Arbasino su giovane promessa, solito str... e venerato maestro.
«Eh sì, al numero uno in Italia ci arrivi solo se schiatti».
In Beretta giustifica la legittima difesa di una donna ormai esperta a «coprire i lividi con il trucco».
«Credo nella legittima difesa di una donna che subisce abusi per anni e che non viene protetta dallo Stato. Anche se i giornali danno contro a chi si fa giustizia da solo, giustifico il gesto della signora in questione con una pistola Beretta che fuma sul tavolo in cucina di fianco a lattine vuotate imbottite con i mozziconi di siga. Anche in Italia non è difficile avere una Beretta (lui è un ottimo tiratore - ndr), non so se sia colpa della pistola, ma sono sicuro che lui non la picchierà più. Di sicuro sono un anarchico libertario che si aspetta leggi più morbide sulla legittima difesa».
Un testo forte.
«Almeno Salvini la smetterà di dire che sto con il Pd».
Magari le risponderà via social. Spesso vi siete beccati.
«In realtà mi aspetto più critiche dalla sinistra».
Ma è femminista?
«Esistono anche uomini che subiscono violenza, quasi sempre psicologica. Non so se sono femminista, magari lo sono ma non mi definisco così. L'uomo che si definisce femminista mi ricorda più uno zerbino che lo dice per farsi mettere like sui social dalle tipe».
Nel disco c'è una alternanza tra brani impegnati e brani... come dire?
«Cazzoni?».
Ecco.
«Lo faccio per farmi perdonare i testi più pesanti».
Ad esempio Quando piove, diluvia?
«Racconta della settimana dopo l'uscita dalla società Newtopia, nella quale mi è successo di tutto: da un controllo della Finanza a uno scherzo delle Iene sulla mia attività con la cannabis light legale. Scherzo peraltro mai andato in onda perché fondato su presupposti sbagliati, ma che angoscia!».
Poi era appena uscito da Newtopia la società con Fedez. Si considera «un traditore»?
«Basta chiedere in giro per sapere com'è andata».
Allora chiediamo a J-Ax cosa pensa delle polemiche sul rapper Junior Cally a Sanremo.
«Una polemica da poveretti, allora un rapper non dovrebbe mai andare da nessuna parte. Tanti anni fa Eminem è stato invitato a Sanremo quando in una canzone raccontava dell'assassinio di una madre. Ma la polemica era solo sul suo compenso. Almeno Junior Cally va in gara e non si è fatto pagare 400mila euro».
ANTONELLA LUPPOLI per Libero Quotidiano il 23 gennaio 2020. Che J-Ax fosse uno dei paladini del politically (s)correct era cosa nota. E viva Dio che c' è ancora qualcuno che si vanta di non essere perbenista. Ma la virata tutta «à droit» del rapper milanese sorprende. J-Ax è quello di Maria Salvador (e per Maria non s' intende Nostra Signora della Tv). È quello di Comunisti col Rolex. Ed è (diventato) anche quello di Beretta - la pistola sì - titolo della traccia numero 4 di ReAle, il nuovo progetto musicale (targato Sony Music) da domani sul mercato discografico. «Sono un libertario e sono a favore di leggi più morbide sulla legittima difesa» ha spiegato l' artista a chi ha domandato chiarimenti sul cambio di rotta (politica). Da sinistra a destra, s' intende. «Così Salvini la smette di dire che sono del Pd» ha affermato sornione. Il segretario della Lega commenterà via social? «Non credo, la mia posizione non sottolinea la sua narrazione. Sicuramente arriverà qualche critica dalla parte sinistroide» ma tant' è. legittima difesa Poi, è tornato serio e ha proseguito: «Non sono per dogma contrario alla legittima difesa, ho una visione grigia che shifta di giorno in giorno sull' argomento molto complesso». Il brano in questione parla di violenza domestica: una donna vessata e picchiata dal marito - l' ennesima verrebbe da dire, ndr - sceglie di affidare a una Beretta che «fuma sul tavolo della cucina» la sua giustizia. «Se chiedi aiuto e nessuno riesce a dartelo, se subisci continui abusi fisici e psicologici e non vedi differenza tra la fede al dito e le manette, perché ti senti comunque in gabbia, allora, nella mia testa, la legittima difesa non dovrebbe essere limitata» ha tuonato il cantante. Qualcuno penserà che ci mancava solo l' animo femminista di J-Ax. «Non lo sono, è una cosa da zerbino per prendere i like delle tipe. Esiste anche la violenza sugli uomini». E, affronta in parte l' argomento nei versi di Pericoloso, pezzo in feauturing con Chadia Rodriguez, nato da una ricerca sul mondo degli incel (celibi involontari). A proposito di partecipazioni, nel disco ce ne sono molte. Da Annalisa e Luca Di Stefano, a Enrico Ruggeri, il Pagante e i Boomdabash, solo per citarne alcuni. «Odio gli artisti che si sentono intoccabili e non vogliono collaborare» ha spiegato annunciando che arriverà più avanti anche un duetto con Iva Zanicchi, già giudice di All Together Now, programma tv a cui l' ex Articolo 31 ha preso parte. Se dunque J-Ax è sempre aperto a lavori a quattro mani, si può dire invece decisamente archiviata la partnership con Fedez. «Non voglio parlarne anche a costo di fare la figura del cattivo, almeno la smettiamo con questa storia dello zio Ax (ride, ndr)» ma nel disco quell' esperienza riecheggia nel brano Quando piove, diluvia che narra di una settimana da incubo vissuta proprio subito dopo la rottura con il signor Ferragni. Non mancano ovviamente nell' album pezzi alla "J-Ax maniera". Scanzonati, cazzoni. «Ho messo giù una tracklist che alterna un pezzo serio a uno più leggero. Per farmi perdonare quello serio». Il terzo spritz gli dà ragione. È politically (s)correct, dicevamo all' inizio. Lo dimostra pure sulle polemiche sanremesi legate alla presenza di Junior Cally. «Se hai bisogno del genere rap perché tira, non ti puoi lamentare. Di cosa parliamo? Nel 2001, Eminem è stato superospite è la polemica su di lui fu imbastita sul cachet e non sul fatto che aveva appena fatto una canzone in cui raccontava a sua figlia come aveva ucciso sua madre. Una canzone è una canzone, come un film è un film».
· Jacopo D’Emblema.
G. Mattia Pagliarulo per Dagospia l'11 ottobre 2020. Jacopo D’Emblema è un giovane ragazzo nato 24 anni fa a Novara, città in cui vive ancora oggi; una realtà provinciale che a quanto pare inizia a stargli stretta. Il fanciullo piemontese ha conseguito lo scorso luglio la laurea triennale in Scienze motorie e sportive con votazione 84/110 presso l’Università degli studi di Torino discutendo la tesi "Benefici di alcune tecniche di meditazione e di rilassamento in preparazione a una competizione sportiva", ma da quando era un pischello di 17 anni sognava di seguire le orme di Rocco Siffredi.
D. Jacopo, anzi dottor D’Emblema, qual è stato il suo primo approccio con il sesso?
R. L’autoerotismo. Sin dal primo approccio con la masturbazione, all’età di 11 anni, ho iniziato a capire quanto fossero intense ed introspettive le mie sensazioni legate al piacere sessuale. E andando avanti con l’età la mia passione per il sesso è cresciuta ed ora è pronta ad esplodere con il porno.
D. Chi sono le icone dell’hard per Jacopo D’Emblema?
R. La pornostar internazionale Asa Akira ha sempre rappresentato per me il massimo e sogno di incontrarla. Parlando di profili italiani, mi piacciono molto Martina Smeraldi e Valentina Nappi. Ammiro tantissimo Martina Smeraldi per il modo e il coraggio che ha avuto ad entrare nel mondo del porno data la sua giovane età e proprio per queste sue caratteristiche la stimo molto, poiché anche io aspiro a diventare un punto di riferimento per i giovani che si vogliono affacciare al mondo del porno. La Nappi è un mito, è la donna mediterranea per eccellenza!
D. Una donna dello spettacolo con cui passerebbe una notte di passione?
R. Non ho nessun dubbio: Federica Masolin, giornalista di Sky Sport 24; io amo questa donna! È la perfezione fatta a persona, è la Madonna! Ci accomunano tante cose, lei è una giornalista sportiva, io mi sono laureato in scienze motorie e la sento molto nelle mie corde, potrebbe esserci feeling, anzi se legge questa intervista mi piacerebbe inviarla a cena!
D. Di Rocco Siffredi invece cosa ne pensa?
R. Rocco Siffredi è stato, ed è tuttora un grande profilo italiano ed internazionale. Il mondo del porno rispetto a 20/30 anni fa è cambiato ed è in continuo cambiamento, per questo ritengo che ci sia bisogno di un ricambio generazionale al passo coi tempi. E’ impensabile che oggi non ci sia nessun grande profilo maschile italiano moderno. Io credo di avere tutte le carte in regola per esserlo e sono pronto a dimostrarlo. Anche perché Rocco non potrà avere “forti erezioni” ancora per molti anni, poi anche il suo amico la sotto chiederà un po’ di quiete.
D. Cosa ama fare di più nel sesso e quali limiti invece si pone?
R. E’ importante sottolineare che, al principio, bisogna avere una grande conoscenza del proprio corpo e una buona consapevolezza di se stessi. Solo nel momento in cui si conosce il proprio corpo si può pensare di poter conoscere il corpo e la mente di un’altra persona. Personalmente il se sesso rappresenta empatia, complicità e fisicità. Amo la donna in tutto e per tutto e con lei amo il sesso a 360° rivestendo ogni tipo di ruolo senza limite. Il mio sogno erotico, per esempio, è quello di interagire con due donne ricoprendo un ruolo sia attivo che passivo con entrambe, proprio per essere stimolato sotto tutti gli aspetti. Amo essere uomo alpha e possedere come amo in ugual modo essere sottomesso e sodomizzato diventando un giocattolo della donna. Molti mi chiedono perché non vado con uomini...nessun pregiudizio, ma non mi danno nessun tipo di eccitazione, zero. Tornando al mondo femminile sostengo che ogni donna, indipendentemente dall’età e dalla provenienza, sia unica ed è proprio per questo che sono molto stimolato nel confrontarmi e nel conoscere una donna fino in fondo, sono in grado di fare sesso con una donna di qualsiasi età e fisicità, perché ogni donna è bella a modo suo.
D. Cosa si aspetta da questo mondo a luci rosse?
R. Come ho accennato precedentemente, il mio desiderio è quello di essere un punto di riferimento e una fonte di ispirazione per tutti quei ragazzi e per tutte quelle ragazze che, come me, hanno intenzione di entrare in questo mondo. E’ arrivato il momento che questo settore venga visto, se non in maniera positiva, quanto meno in maniera normale, e non più analizzato con pregiudizio e superficialità. Io sono un neo laureato e continuerò a studiare per il master ma questo non vuol dire che non possa dedicarmi alla mia passione, e così come me non è giusto che tanti giovani possano essere spaventati dalle conseguenze. Indipendentemente dall’ambiente a cui si ambisce arrivare e dal sogno che si insegue, è importante credere nei propri mezzi affinché quel sogno si realizzi. Non mi aspetto qualcosa in particolare, ma mi aspetto tanto da me stesso. Ora che mi sono laureato sono finalmente pronto a questo grande passo chiamato porno.
D. Nel caso andasse male, qual è il suo piano B?
R. Non ho un piano B. Ho un piano A e un sogno: avendo già conseguito la laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive, il piano A consiste nel proseguire i miei studi facendo la laurea magistrale portandola a termine. Il sogno è quello di diventare una pornostar.
· Jake Lloyd.
Fabio Fusco per movieplayer.it l'1 febbraio 2020. Jake Lloyd, l'ex attore che a 10 anni interpretò il piccolo Anakin Skywalker, futuro Darth Vader, in Star Wars ep. I - La minaccia fantasma è ancora ricoverato in una clinica psichiatrica dove viene seguito per la sua schizofrenia paranoide. La madre dell'attore ha aggiornato i fan sulle condizioni di salute del figlio, rivelando ulteriori dettagli. Lisa Lloyd ha spiegato in un comunicato ufficiale che suo figlio Jake Lloyd è ricoverato in una struttura psichiatrica dal 2016, e da allora sta facendo qualche progresso, tanto che c'è la speranza che torni "divertente e simpatico come prima" in breve tempo. Jake Lloyd, che oggi ha 30 anni, era stato arrestato nel 2015 a Charleston, nella Carolina del Sud, per guida pericolosa e senza patente e per resistenza a pubblico ufficiale. Nel tentativo di sfuggire agli agenti che volevano fermarlo, era stato inseguito a lungo, fino a quando non aveva perso il controllo della sua auto, uscendo fuori strada e andando a sbattere contro degli alberi. Nelle ultime settimane Jake è stato trasferito in una nuova struttura più vicina alla sua famiglia, dove ha ricevuto un'altra diagnosi. "Vogliamo ringraziare tutti i fan per le loro parole gentili e il loro sostegno" - ha aggiunto la madre del ragazzo - "Jake soffre di schizofrenia paranoide, ma sfortunatamente gli è stato diagnosticato un altro disturbo, l'anosognosia, che gli impedisce di riconoscere di essere malato". Un problema che rende il percorso verso la guarigione ancora più complesso, considerato che la situazione si era fatta ancora più difficile con la morte della sorella di Jake Lloyd, Madison. La ragazza è morta nel sonno due anni fa, a soli 28 anni, e questo episodio è stato uno shock per tutta la famiglia. Jake Lloyd aveva iniziato la sua carriera nel 1996, con un'apparizione in quattro episodi di E.R. Lo stesso anno apparve accanto ad Arnold Schwarzenegger in Una promessa è una promessa e poi fu scelto per l'iconico ruolo di Anakin Skywalker in Star Wars ep. I - La minaccia fantasma. Dopo essere apparso altri due film, Jake decise di ritirarsi dal cinema, pur restando legato al mondo di Star Wars sia partecipando alle convention di fan che prestando la sua voce ai videogiochi legati alla saga. Nel 2012 ha rivelato di essersi ritirato dal mondo del cinema dopo essere stato vittima di bullismo a scuola: "Altri ragazzi erano davvero cattivi con me: ogni volta che mi vedevano passare imitavano il suono della spada laser. Era una cosa folle. Tutta la mia vita scolastica è stata un inferno". Secondo alcune indiscrezioni, dopo essersi ritirato dal cinema Jake avrebbe distrutto tutti gli oggetti e memorabilia di Star Wars in suo possesso.
Star Wars, l’amaro destino del piccolo Anakin: ora è chiuso in una clinica psichiatrica. Pubblicato domenica, 02 febbraio 2020 su Corriere.it da Valerio Cappelli. È il lato oscuro dei bambini di Hollywood. Lo riconosci dagli occhi. Già da piccolo, all’epoca in cui a 10 anni interpretò Anakin Skywalker in Star Wars, lo sguardo di Jake Lloyd era increspato da un velo di inquietudine. Ora, col pizzetto mal cresciuto, i capelli rapati quasi a zero, quello sguardo così spaesato nella durezza rispecchia in maniera grottesca il titolo del suo film della saga: La minaccia fantasma. «Il mio Jake soffre di schizofrenia paranoide», ha detto la madre dell’attore, Lisa Lloyd, fornendo lei stessa n bollettini medici con una serie di dettagli che sono abituali in America ma lontani dalla mentalità europea. «Sfortunatamente, gli è stato diagnosticato un altro disturbo, l’anosognosia, che gli impedisce di riconoscere di essere malato». La baby star è diventata schizofrenica. I guai per Jake erano cominciati nel 2015, l’anno prima di essere ricoverato era stato arrestato a Charleston per guida pericolosa e senza patente, e per resistenza a pubblico ufficiale. Lo stesso reato di cui si macchiò, nel 2006, Lindsay Lohan, che due settimane dopo finì nuovamente ammanettata per possesso di cocaina. Ma aveva 30 anni. Haley Joel Osment ne aveva 18 quando finì nei guai, dopo che nel 1999, a soli 11 anni, ricevette una nomination agli Oscar come migliore attore non protagonista ne Il sesto senso (prima era apparso come il figlio di Tom Hanks in Forrest Gump). Fu costretto dal giudice a entrare in un programma di riabilitazione per alcolisti dopo che a un controllo della polizia risultò anche lui in stato di ebbrezza e condannato per la marjiuana in tasca. Un’altra giovane stella precipitò dalla collina di Hollywood. Sotto il peso delle pressioni, di un successo arrivato troppo presto perdono l’equilibrio. Haley Joel Osment, che apparve imbolsito, irriconoscibile, nel 2017 in X-Files, disse che è stato «molto difficile crescere, trovare ruoli da adulto, dopo il mio grande successo da bambino». Nell’infanzia bruciata di Hollywood trovano posto Drew Barrymore e Judy Garland. Poi entrano in campo i genitori divorati dall’ambizione o dalle loro frustrazioni, da quello che non sono riusciti a fare, dilapidano i patrimoni dei figli, com’è successo a Macaulay Culkin dopo Mamma ho perso l’aereo: magrissimo, tentò di rilanciarsi come cantante. Indietro nel tempo, Anissa Jones aveva i boccoli biondi e il viso punteggiato di lentiggini. Dopo il grande successo in tv, bambina prodigio in Tre nipoti e un maggiordomo (ebbe un provino da Martin Scorsese in Taxi Driver per il ruolo che poi andò a Jodie Foster), oppressa da una madre che la voleva famosa («mi ossessionava perché sperava di continuare a vantarsi di avere una figlia famosa», diceva), si perse tra cattive compagnie e morì a 18 anni di overdose. Controversa è la storia di Jimmy Bennett, del quale si erano perse le tracce fino a quando, sul New York Times, accusò Asia Argento di molestie sessuali in una camera d’albergo in California, quando di anni ne aveva 17 anni, molto tempo dopo avere partecipato al film di Asia Ingannevole è il cuore più di ogni cosa: l’attrice ha negato e ribaltato l’accusa. Vennero fuori foto dei due insieme, sms, ricatti, soldi, detective: la vicenda si intorbidì. In queste storie di innocenza perduta, ritroviamo Erin Marie Moran. Era la sorella minore di Richie Cunningham, soprannominata Sottiletta, in Happy Days, da adolescente si era fatta notare nelle pubblicità. Ma smise di lavorare presto, spinta dall’indigenza, viveva nella roulotte della suocera in un camping dell’Indiana. Morì a 56 anni, nel 2017, dopo un’infanzia senza infanzia.
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” il 4 febbraio 2020. È il lato oscuro dei bambini di Hollywood. Lo riconosci dagli occhi. Già da piccolo, all' epoca in cui a 10 anni interpretò Anakin Skywalker in Star Wars , lo sguardo di Jake Lloyd era increspato da un velo di inquietudine. Ora, col pizzetto mal cresciuto, i capelli rapati quasi a zero, quello sguardo così spaesato nella durezza rispecchia in maniera grottesca il titolo del suo film della saga: La minaccia fantasma. «Il mio Jake soffre di schizofrenia paranoide», ha detto la madre dell' attore, Lisa Lloyd, fornendo lei stessa n bollettini medici con una serie di dettagli che sono abituali in America ma lontani dalla mentalità europea. «Sfortunatamente, gli è stato diagnosticato un altro disturbo, l' anosognosia, che gli impedisce di riconoscere di essere malato». La baby star è diventata schizofrenica. I guai per Jake erano cominciati nel 2015, l' anno prima di essere ricoverato era stato arrestato a Charleston per guida pericolosa e senza patente, e per resistenza a pubblico ufficiale. Lo stesso reato di cui si macchiò, nel 2006, Lindsay Lohan, che due settimane dopo finì nuovamente ammanettata per possesso di cocaina. Ma aveva 30 anni. Haley Joel Osment ne aveva 18 quando finì nei guai, dopo che nel 1999, a soli 11 anni, ricevette una nomination agli Oscar come migliore attore non protagonista ne Il sesto senso (prima era apparso come il figlio di Tom Hanks in Forrest Gump ). Fu costretto dal giudice a entrare in un programma di riabilitazione per alcolisti dopo che a un controllo della polizia risultò anche lui in stato di ebbrezza e condannato per la marjiuana in tasca. Un' altra giovane stella precipitò dalla collina di Hollywood. Sotto il peso delle pressioni, di un successo arrivato troppo presto perdono l' equilibrio. Haley Joel Osment, che apparve imbolsito, irriconoscibile, nel 2017 in X-Files, disse che è stato «molto difficile crescere, trovare ruoli da adulto, dopo il mio grande successo da bambino». Nell' infanzia bruciata di Hollywood trovano posto Drew Barrymore e Judy Garland. Poi entrano in campo i genitori divorati dall' ambizione o dalle loro frustrazioni, da quello che non sono riusciti a fare, dilapidano i patrimoni dei figli, com' è successo a Macaulay Culkin dopo Mamma ho perso l' aereo : magrissimo, tentò di rilanciarsi come cantante. Indietro nel tempo, Anissa Jones aveva i boccoli biondi e il viso punteggiato di lentiggini. Dopo il grande successo in tv, bambina prodigio in Tre nipoti e un maggiordomo (ebbe un provino da Martin Scorsese in Taxi Driver per il ruolo che poi andò a Jodie Foster), oppressa da una madre che la voleva famosa («mi ossessionava perché sperava di continuare a vantarsi di avere una figlia famosa», diceva), si perse tra cattive compagnie e morì a 18 anni di overdose. Controversa è la storia di Jimmy Bennett, del quale si erano perse le tracce fino a quando, sul New York Times , accusò Asia Argento di molestie sessuali in una camera d' albergo in California, quando di anni ne aveva 17 anni, molto tempo dopo avere partecipato al film di Asia Ingannevole è il cuore più di ogni cosa : l' attrice ha negato e ribaltato l' accusa. Vennero fuori foto dei due insieme, sms, ricatti, soldi, detective: la vicenda si intorbidì. In queste storie di innocenza perduta, ritroviamo Erin Marie Moran. Era la sorella minore di Richie Cunningham, soprannominata Sottiletta, in Happy Days , da adolescente si era fatta notare nelle pubblicità. Ma smise di lavorare presto, spinta dall' indigenza, viveva nella roulotte della suocera in un camping dell' Indiana. Morì a 56 anni, nel 2017, dopo un' infanzia senza infanzia.
· Jamie Lee Curtis.
Sara Frisco per "Il Giornale" il 5 luglio 2020. Ci voleva una pandemia per far rallentare Jamie Lee Curtis. A sessantun anni e dopo un periodo più rilassato in cui si è dedicata a scrivere libri per ragazzi, l'attrice è infatti tornata a provare prepotente la necessità di frequentare i set cinematografici che ha calcato sin dall'infanzia, quando a lavorare erano i genitori, Tony Curtis e Janet Leigh. Gira una media di tre film all'anno e ha all'attivo un'ottantina di titoli, fra cui capolavori della commedia come Un pesce di nome Wanda, ma anche pietre miliari del genere horror. Ha ereditato le doti comiche dal padre e la capacità di terrorizzare il pubblico dalla madre, che i cinefili ricordano per essere stata la protagonista di Psycho, di Alfred Hitchcock. Quando il Covid-19 ha colpito e chiuso i set cinematografici a Hollywood, Jamie Lee Curtis stava per iniziare le riprese del settimo e ultimo capitolo (dal titolo definitivo: Halloween Ends) del famoso franchise del terrore iniziato nel 1978, quando John Carpenter la diresse, non ancora ventenne, per la prima volta nei panni di Laurie Strode, in Halloween - La notte delle streghe. «Certamente si farà, altrimenti quest' ultima trilogia non risulterebbe finita dice il regista David Gordon Green, che ha diretto gli altri due ultimi capitoli mentre Carpenter ha fatto da produttore solo, non si sa ancora quando riusciremo a iniziare la produzione». Il sesto film, Halloween Kills, è già stato girato ma non è ancora uscito. È atteso nei cinema per ottobre, pandemia permettendo, mentre il quinto primo di questa ultima trilogia - dal semplice titolo Halloween, è ora fruibile su Amazon Prime Video, insieme ad un altro film che vede la Curtis protagonista: Cena con delitto - Knives Out, crime-comedy nominata agli Oscar per la sceneggiatura originale, di chiaro sapore hitchcockiano. «Mia madre sarebbe orgogliosa. Non ho molti ricordi di lei quando era giovane, non parlavamo molto del suo o del mio lavoro, però ricordo i suoi incoraggiamenti quando ho girato il primo Halloween». Jamie Lee Curtis appartiene alla nobiltà, quella hollywoodiana grazie ai genitori e quella inglese grazie al marito, il barone Christopher Haden-Guest, con cui ha adottato due figli. Recentemente, all'edizione americana di Vanity Fair, l'attrice ha raccontato i suoi problemi con la dipendenza da farmaci: «Subii un piccolo intervento chirurgico e mi dettero degli antidolorifici, ne rimasi succube. Ne voglio parlare perché purtroppo non è un problema solo mio, ormai gli oppiacei rappresentano una vera e propria emergenza. Io ne sono uscita dopo dieci anni, quando mi sono accorta di aver toccato il fondo rubando farmaci dalla borsa di mia sorella. Ancora oggi frequento meeting di supporto». Una volta superato il problema, l'attrice ha sentito di nuovo, prepotente, il richiamo del set. Per la Curtis far ridere e fare paura sono due facce della stessa medaglia: «Ma forse è più facile far ridere. La saga di Halloween può essere faticosa, sia fisicamente sia psicologicamente». Cena con delitto fa parte di entrambi i generi, è una commedia ma anche un giallo e racconta di una cena della festa del Ringraziamento finita con un omicidio. Per qualche ragione, quando c'è Jamie Lee Curtis sullo schermo c'è una festività di mezzo. «Halloween, Ringraziamento e Natale... Ho sentito che ogni anno, durante le feste, in Italia torna in tv Una poltrona per due. Anche io lo adoro, è un film senza tempo, una di quelle sceneggiature perfette». La nostalgia per il passato però non le appartiene. «Mi piace vivere il momento. Anche con me stessa ho un migliore rapporto oggi. Quando guardo i film che ho fatto a vent' anni penso a questo: allora non sapevo di avere un bel corpo. Ora sì. Ora lo so, l'avevo. Avevo un corpo incredibile e non me ne rendevo conto». Su Twitter si ritrae indossando una mascherina sulla quale è impresso il volto del suo nemico storico, Michael Myers, il terribile cattivo di Halloween. «Lui indossa una maschera per terrorizzare - me soprattutto - ma non c'è nulla di più terrificante di questo attuale aumento dei casi di Covid-19... Io e il mio nemico siamo d'accordo su una cosa: usate la mascherina!».
· Jane Birkin e Serge Gainsbourg.
CAZZI E CAZZOTTI CON SERGE GAINSBOURG, COSÌ JANE BIRKIN DIVENTÒ UN SIMBOLO DI LIBERTÀ SESSUALE DEL ’68. Dagospia il 7 gennaio 2020.
1 - Serge Gainsbourg: “L'erotismo è il contrario della libertà sessuale. È il contrario della nudità, è il secreto, il mistero dell'alcova, la sottoveste, il senso del tabù, il gusto del peccato. È la cosa più importante della mia vita. Montherlant si è suicidato perché aveva perso la vista. Io mi suiciderei se perdessi il senso dell' erotismo’’.
2 - Serge Gainsbourg: “Je t' aime... moi non plus: “La ragazza in un momento di passione dice ti amo. Il ragazzo, più rigoroso, dice di non crederle, l' amore fisico non è sufficiente, ci vuole anche altro. È la canzone più morale che abbia mai scritto”.
Alessandro Gnocchi per “il Giornale” il 7 gennaio 2020. Quando si conoscono nel 1968, a un provino per il film Slogan, l' aspirante attrice Jane Birkin capisce due o tre parole di francese e fraintende il nome della star, un cantante che non ha mai sentito nominare, Serge Gainsbourg. Ma Jane capisce Serge Bourguignon. Nato nel 1928 a Parigi da genitori ebrei ucraini, Gainsbourg è già famoso non solo per le sue canzoni ma anche per le sue donne, Brigitte Bardot soprattutto. La Birkin, nata Londra nel 1946, ha avuto una parte in Blow Up di Michelangelo Antonioni e poco altro. Anche lei è nota per il suo uomo, il compositore John Barry, una storia precoce ma importante, con nozze a 19 anni, comunque ormai finita. In ogni caso quel Bourguignon le sembra un vero stronzo: arrogante e riservato, trasmette un senso di superiorità umiliante. Alla fine però è Serge a volere nel cast Jane Birkin, al posto di Marisa Berenson. Fuori infuria il maggio 1968. L' interesse di Gainsbourg per gli avvenimenti è nullo. Serge è indifferente al Maggio (...) (...) francese, diventerà famoso anche per uno sberleffo al regime comunista di Tito e per i suoi gesti spettacolari contro le tasse, come bruciare banconote in televisione. Anticonformista, sì. Ma lontano dalla contestazione che a lui, quarantenne figlio di ebrei perseguitati prima dai comunisti e poi dai nazisti, sembrava uno sfogo da «ragazzini senza armi». Aggiungerà con sarcasmo di aver seguito i cortei dall' Hotel Hilton, in televisione, con l' aria condizionata. Suo malgrado però partecipa dello spirito di quegli anni. La coppia Jane e Serge diventa simbolo della libertà sessuale in un Paese ancora bigotto, anche grazie al successo mondiale della spregiudicata canzone Je t' aime... moi non plus nella quale Jane si esibisce nella realistica simulazione di un orgasmo. Tutto questo, e molto altro, si legge In Munkey Diaries. Diario 1957-1982 (Edizioni Clichy) di Jane Birkin. Amore a prima vista? Sì. La prima serata è un tour della Parigi notturna, da un locale all' altro, che finisce nella camera di Serge all' Hilton. Jane lo descrive così nel suo diario: «Dolce e tenero e così forte al contempo e sensuale e sessualmente meraviglioso e tuttavia sento che è molto più di un uomo sexy, è brillante e unico». La complicità è totale. Jane vuole andare in un bordello, per giocare a fare la puttana. Scelgono il più sordido di Pigalle, a Parigi. Rischiano di essere picchiati dalle prostitute che scambiano Jane per una di loro che ha sconfinato nel quartiere sbagliato. Salgono in camera. Appena iniziano a rilassarsi fa irruzione il proprietario, convinto che Serge sia un maniaco assassino. Seguono le scuse: «La ragazza, capisce, sembra così giovane. Non posso permettermi che in questa settimana avvenga un altro omicidio». La vita non è mai banale. Ci sono film, album, successi di vendite (La Décadanse) e artistici (Histoire de Melody Nelson). Ci sono amici e colleghi come Michael Caine, Alain Delon, Jean-Louis Trintignant, Gérard Depardieu, Catherine Deneuver. Ci sono figlie, scazzottate, viaggi, bevute. Spesso lavorano assieme e c' è da ridere. In Jugoslavia recitano il ruolo di eroici partigiani in Le Traître di Milutin Kosovac. Con i soldi del film Serge si compra un Rolls Royce del 1928. Jane: «Lo divertiva il fatto di potersela pagare con del denaro venuto dai comunisti». E allora cosa succede? Cos' è quella insoddisfazione che comincia a trasmettersi per contagio da lui a lei? Lui sembra diventare indifferente. Lei si sente un cadavere perché non è desiderata dall' uomo che ama. Jane incomincia a desiderare a sua volta e a chiedersi: come sarebbe essere sedotta? Serge è tutto un «io, io, io». Jane chiede che le venga consacrato del tempo, ha bisogno di sentirsi necessaria. Gainsbourg è sempre ubriaco. Esce da solo, torna la mattina, impartisce ordini. È severo nell' educare alle buone maniere, lui, che in vena di sciocchezze salta sulle scarpe da lucidare lasciate nel corridoio dell' albergo dagli altri ospiti. Il salotto di rue de Verneuil 5 è una specie di museo dove Serge raccoglie oggetti, esposti con cura maniacale, che nessuno ha il permesso di toccare e tanto meno di spostare, anche di un millimetro. Jane è il disordine fatta donna. Soprattutto Serge spaventa Jane: «L' alcol è il mio incubo. Lo trasforma in una persona diversa e che fa paura. E a volte dice che ora che ha la gloria, il denaro, la celebrità, la sola cosa che non conosce è uccidere, non parlava mai così prima». Lui passa dal distacco alla scenata di gelosia per Roger Vadim durante le riprese di Una donna come me, film dove Jane recita con l' ex grande amore di Serge, Brigitte Bardot. Jane è confusa. Le serate alcoliche non aiutano. Jane tira un buffetto a Serge, lui reagisce con uno schiaffo e le fa un occhio nero. Ancora peggio. Jane lancia una torta in faccia a Serge. Lui esce dal locale, offeso. Lei lo rincorre, lo supera e si getta nella Senna. La salvano i pompieri. Il vero inizio della fine è questa frase rivolta a una Jane che prova a spiegare la sua insoddisfazione: «Hai vitto e alloggio». Serge precipita. Non si lava per mesi, ha i piedi neri. Soffre di cuore ma fuma tre pacchetti di sigarette al giorno. Jane gli regala una bambola gonfiabile. Lei stessa si sente una bambola, con le sue «qualità di bambola, ma completamente riproducibili con un materiale migliore del mio». Jane si sente al centro di una messinscena, Serge non c' è mai, tutto va bene con o senza di lei. Non è indispensabile. Un giorno il regista Jacques Doillon inizia a corteggiare Jane. È poco più vecchio di lei, nonostante sia trattato come un ragazzino. In confronto a Serge, forse lo è. La Birkin quasi non ci crede: «Sono sbalordita dall' essere soltanto amata, che il dolce ragazzo mi trovi realmente interessante, mi sembra un sogno». Non gli dà speranze ma neppure rinuncia alla parole d' amore: «E pensare che ho trentatré anni e che presto sarò vecchia ed ecco qualcuno così innamorato di me che posso a malapena resistere al desiderio di sapere che effetto fa essere amata a tal punto». Nel 1980, Jane trova il coraggio di separarsi. Jacques, da qualche tempo, è il suo amante. Gainsbourg è sconvolto e sbanda ancora più paurosamente. È ferito. Incredulo. Forse capisce di aver dato per scontate troppe cose che non lo sono. Tra l' altro, Jane è ancora innamorata di lui. Rispetta Jacques ma si scopre a pensare in continuazione a Serge, di notte gli scrive lettere d' amore appassionate, che getta nel cestino della spazzatura. Alla fine, Serge, pur di non perderla del tutto, si accontenta del ruolo di amico. Lei continua ad amarlo ma tace perché capisce che gli amanti perfetti, a volte, non sono fatti per restare assieme tutta la vita.
Alessandro Gnocchi per “il Giornale” il 7 gennaio 2020. Esce ora in Italia Munkey Diaries. Diario 1957-1982 (Edizioni Clichy, pagg. 376, euro 19) di Jane Birkin. L' attrice inglese racconta anno per anno avventure e disavventure nel mondo del cinema e della musica, con un occhio di riguardo per la vita privata. Nata a Londra, nell' elegante quartiere di Chelsea, nel 1946, si sposa a soli diciannove anni con il compositore John Barry, padre della figlia Kate, morta suicida nel 2013. Barry è un uomo maturo e all' apice del successo, in particolare tutti conoscono le colonne sonore che hanno contribuito a rendere James Bond un' icona della cultura pop. Poi c' è la storia travolgente, ma anche dolorosa, con Serge Gainsbourg. Jane Birkin si reinventa cantante sotto la guida del suo uomo, che la coinvolge nella lavorazione di Je t' aime... moi non plus, hit mondiale, e del capolavoro Histoire de Melody Nelson. Ma la Birkin inizia anche una carriera da solista. Serge continua a scrivere per lei anche dopo la separazione. L' apice della produzione è considerato l' album Baby Alone in Babylone (1983). La Birkin ha anche fatto una prestigiosa carriera come attrice. Ha lavorato con Michelangelo Antonioni, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Alan Resnais, James Ivory e molti altri maestri. La Birkin, specie in coppia con Gainsbourg, si trova a essere una icona della liberazione sessuale, pur evitando di partecipare ai movimenti tipici degli anni Sessanta. La bellezza sbarazzina e l' abbigliamento sexy, per non dire dell' orgasmo simulato in Je t' aime... moi non plus, le valgono copertine che diffondono l' immagine della ragazzina emancipata e provocante. Eppure, nei diari Jane sembra insicura della propria bellezza e in fondo narra come la strada verso l' emancipazione sia stata più complessa di quanto appare. Da un lato la Birkin non vuole essere considerata una appendice dei suoi uomini, dall' altro si descrive come tale, mettendo al centro il loro sguardo, il loro giudizio, i loro sentimenti. La ribellione all' amatissimo ma alcolizzato Gainsbourg è il primo, vero passo verso la libertà e coincide con una «revisione» dell' immagine pubblica resa possibile anche dai film realizzati col futuro marito Jacques Doillon. Ora la Birkin si presenta come donna matura, consapevole del proprio talento e della propria sensualità. Lei cambia, il successo resta.
· Jason Momoa.
Silvia Bizio per “la Repubblica - Robinson” il 13 gennaio 2020. La premessa della serie See è di quelle tipiche del filone post-apocalittico: un virus ha sterminato quasi tutta l'umanità e gli unici sopravvissuti sono ciechi. Sono passati 600 anni e la Terra è tornata praticamente all'età della pietra; in Canada si vive nel gelo coperti da pellame e per supplire alla cecità l'udito si è sviluppato in maniera esponenziale: campanelle, fili, sussurri, sono gli unici mezzi per orientarsi nel buio totale. Ma si scopre che ci sono due vedenti, due gemelli, figli del leader della comunità, interpretato da Jason Momoa (Aquaman); a loro viene affidato il futuro dell'umanità. See, disponibile su Apple Tv +, è una delle serie più ambiziose del nuovo network streaming, con combattimenti, suspense, senso del tragico, folle di desperados, con in più la ricostruzione di un mondo deforestato. Un panorama epico in un futuro distopico. Per la serie hanno chiamato a raccolta i più importanti attori non vedenti d'America mentre consulenti non vedenti sono stati sul set per supportare gli altri interpreti, che hanno passato mesi a Vancouver tra panorami mozzafiato, laghi e fiumi. Sul set di See gli attori hanno usato il "circolo del suono", un insieme di schiocchi di dita, movimenti di braccia, un linguaggio che ha unito attori vedenti e non. Sono lezioni di "addestramento sensoriale" che tutti hanno seguito per mesi per prepararsi a girare come se davvero non vedessero, molti con lenti a contatto che appannano gli occhi. Nato alle Hawaii nel 1979, Jason Momoa è di padre hawaiano-polinesiano e madre dell’lowa ma di origine tedesca. Ne è venuto fuori un bel mix. Un metro e 93 di altezza, 40 anni, sposato con l'attrice Lisa Bonet, 12 anni più di lui, due figli.
Momoa, ci parli del pianeta Terra raccontato in questa serie.
«La Terra è guarita dopo 600 anni di epidemie, traumi e malattie. Ora è di nuovo incontaminata. Chi ci abita non può più distruggerla. Non avrebbero comunque i mezzi e gli strumenti per ferirla Sono rimasti circa due milioni di abitanti in tutto il pianeta, dai sette miliardi di oggi, e il mondo ha rimarginato le sue ferite. Il cancro è stato debellato».
«No, come ai bei vecchi tempi».
Cosa l'ha attratta di questa storia?
«Prima di tutto lavorare con persone non vedenti è stata un'esperienza fenomenale, per me senza precedenti. So di essere stato scritturato perché appaio un po' selvaggio di natura. E me ne compiaccio! A parte la cecità, sembra che il mio aspetto si addica a una forma di primitivismo futurista, qualsiasi cosa significhi. Mi ritengo fortunato».
Un hawaiano che si ritrova a lavorare al freddo.
«Amo il Canada, ci ho lavorato spesso. Qui ho girato anche Aquaman e Stargate: Atlantis. Ho potuto anche avere qui con me moglie e figli, che sono ancora piccoli, hanno 9 e 10 anni. 11 lavoro negli ultimi anni mi ha portato dappertutto e mi è mancato molto non poter mettere a letto i figli, o svegliarmi con loro».
Com'è stato recitare in "See" senza poter vedere?
«Ho recitato davvero cieco, con gli occhi coperti da invisibili strati. Piano piano ho sviluppato anche io capacità auditive e sensoriali che non usiamo quando ci affidiamo alla vista. Si può davvero lottare basandosi solo suoi suoni? Sì, si può. Un trip incredibile. Ho combattuto lupi e orsi, ammaestrati, sì, ma veri!»
Che rapporto ha avuto con il personaggio della sciamana Paris, interpretata da Alfre Woodard?
«Alfre è come una zia per me. Il mio personaggio non sopporta il rumore della violenza. E Alfre gli insegna altri suoni, quelli della compassione e dell'unione. E lei che mi conduce all'illuminazione».
Lei ha mai provato sensazioni simili?
«Sì, in Tibet. Ci sono andato quando avevo 21 anni, subito dopo essere stato a Roma, in Vaticano: ero molto interessato alla religione, allora. Studiavo i testi sacri quando facevo trekking in giro per il mondo, prima di diventare attore. Avevo sempre un libro di religione nel mio zaino. Ma il Tibet e la sua cultura mi hanno sconvolto in senso positivo. Un mondo incredibile. Bambini che giocavano con bastoncini e pietre, nient'altro. Ed erano felici. Una vita semplice che mi ha insegnato tanto. Meno cose hai, più ci vedi chiaro».
· Jennifer Lopez.
Da huffingtonpost.it il 14 gennaio 2020. Nonostante gli obiettivi raggiunti dal punto di vista professionale e personale, Jennifer Lopez ha ancora una voce da spuntare nella lista dei desideri: trasferirsi in un piccolo paesino in Italia e vivere una vita tranquilla. È quanto ha rivelato, in una lunga intervista, a Vanity Fair. “Vorrei vivere al di fuori degli Stati Uniti, in una piccola città in Italia, oppure dall’altra parte del mondo, a Bali - ha affermato l’artista -. Vorrei vivere una vita più semplice e sana in un luogo in cui magari posso andare in bicicletta, comprare il pane e metterlo nel mio cestino e poi tornare a casa e metterci la marmellata sopra, e mangiare e dipingere e sedermi su una sedia a dondolo davanti ad una bellissima veduta di un albero di ulivo o di una quercia e semplicemente sentirne l’odore. Ho fantasie come queste”. Dalla musica al cinema, dal business alla danza: Jennifer Lopez sembra aver avuto decine di carriere diverse e tutte di successo. “Potrei dire che la danza e la musica sono state i miei primi amori, ma recitare è l’amore della mia vita - ha ammesso la cantante nel corso dell’intervista -. C’è sempre un primo amore e l’amore della nostra vita e recitare è l’amore della mia vita. Ogni volta che interpreto un ruolo, sento di diventare qualcuno che non sono. Quando gli spettatori mi guardano, non vedono JLo: è una sfida per me, ma è anche eccitante”. A Vanity Fair la cantante ha parlato anche del “jungle dress”, il vestito che di recente “ha rotto internet”, indossato a vent’anni di distanza dalla prima volta. Stando a quanto racconta Jennifer Lopez, è stata la stessa Donatella Versace a invitarla ad indossarlo di nuovo: “Mi ha detto: "Sai, quest’anno il jungle dress compie vent’anni". E io ho detto di no, non lo sapevo. E lei: "Penso che farò un intero show su questo, verrai?". E io ho risposto: "Certo, chiamami”. Così è stato: Donatella l’ha chiamata e le ha chiesto di indossare lo stesso vestito. “Indossarlo è stato potente - ricorda la cantante -. Vent’anni sono passati e sapere che puoi mettere lo stesso abito fa effetto. Come dire: ‘Sapete, la vita non finisce a vent’anni’”.
Jennifer Lopez: «Vorrei vivere in Italia, in una piccola città». Pubblicato mercoledì, 15 gennaio 2020 su Corriere.it da Simona Marchetti. Dopo aver raggiunto il successo planetario nella musica prima e nel cinema poi, Jennifer Lopez ha però ancora una voce da spuntare sulla sua lista dei desideri. La 50enne star sogna infatti di trasferirsi in Italia (dove fra l'altro viene spesso in vacanza, come si vede anche su Instagram) o a Bali, per vivere una vita più tranquilla e meno frenetica rispetto a quella che conduce negli States, godendo di semplici piaceri come mangiare pane e marmellata seduta su una sedia a dondolo, ammirando il paesaggio circostante. «Mi piacerebbe trasferirmi in un posto diverso dagli Stati Uniti, in una piccola città in Italia oppure dall'altra parte del mondo, a Bali - ha confessato infatti JLo in un'intervista a "Vanity Fair" che l'ha messa in copertina insieme con Eddie Murphy e Renee Zellweger - per vivere una vita un po' più semplice in mezzo alla natura. Fantastico di andare in bicicletta a comprare del pane, metterlo nel cestino, tornare a casa, spalmarci sopra la marmellata e mangiarlo mentre dipingo oppure mentre sono seduta su una sedia a dondolo, da dove posso godere la vista di un olivo o di una quercia e sentirne l'odore». Un'immagine bucolica che stride però parecchio con la Lopez tutta musica, ballo ed energia a cui siamo abituati da tre decenni, anche se la cantante ammette che la sua vera passione è fare film. «La danza e la musica sono i miei primi amori - ha spiegato - ma recitare è l'amore della mia vita». E malgrado l'Academy l'abbia snobbata per la candidatura all'Oscar per la sua interpretazione in «Hustlers», JLo giura che rinunciare a fare film non sia un'opzione per lei contemplabile. «Una volta che ho iniziato a recitare, ho capito che era quello che avevo sempre voluto fare - ha concluso la star - . Era questo o niente, non c'erano altre opzioni, perché è proprio quello che amo fare».
Jennifer Lopez: «Vorrei vivere in Italia». Immediato il corteggiamento dei sindaci: «Vieni da noi». Pubblicato giovedì, 16 gennaio 2020 su Corriere.it da Carlotta Lombardo. «Mi piacerebbe vivere in un posto fuori dagli Stati Uniti, in un paesino in Italia, oppure dall’altra parte del mondo a Bali. Vorrei iniziare un’altra vita che sia un po’ più semplice e organica, andare in bicicletta e comprare del pane e metterlo nel mio cestino. Quindi andare a casa, metterci sopra un po’ di marmellata e mangiarlo...». Un futuro votato alla semplicità, almeno nei desideri «bucolici» dell’attrice più pagata al mondo (75 milioni di dollari secondo la lista di People With Money): Jennifer Lopez, che in un’intervista rilasciata a Vanity Fair America rispondendo a cosa mancasse ancora da spuntare nella sua «lista desideri» immagina un futuro lontano dagli Stati Uniti. Le proposte non si sono fatte attendere, scatenando il «corteggiamento» da parte dei sindaci alla conquista della bella e potente JLo. «Cara Jennifer, ho io la soluzione che fa per te», ha assicurato il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu invitando la cantante e attrice a trasferirsi nel capoluogo dell’isola, «città perfetta». Che «non è proprio piccola», ma con tutto ciò che serve: «La possibilità di riprendere gli spazi della propria vita, camminare per le vie del centro senza improbabili scocciatori, a contatto con gente discreta e attenta a non oltrepassare la privacy altrui». Non solo, ha precisato il sindaco, «c’è sempre un aeroporto efficiente che permette di spostarsi tranquillamente ovunque, e luoghi dove, invece, nascondersi, riposarsi, dedicarsi a se stessi evitando i ritmi frenetici delle grandi città». «Da noi l’Italia che Jennifer Lopez sta cercando», ha rilanciato, direttamente dal Comune, San Quirico d’Orcia, il celebre borgo del Senese. Marco Bartoli, vice sindaco e assessore alla cultura e turismo, ha invitato la star statunitense a vivere «nel paesaggio più bello del mondo». «Siamo un piccolo, ma bellissimo, paese d’Italia; abbiamo oliveti a perdita d’occhio che modellano le colline ed un paesaggio che è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco; abbiamo ottimi forni che producono un buon pane e possiamo offrire il relax e la riservatezza che una star internazionale del suo calibro sta cercando. Per cui non ci resta che invitare Jennifer Lopez da noi, nel cuore della Val d’Orcia, per farle ammirare con i suoi occhi la bellezza del nostro territorio, la tranquillità del nostro centro storico e la cordialità della gente. Se il desiderio di J-Lo è quello di staccare dalla mondanità e dalla vita frenetica, siamo quello che fa per lei. Il nostro invito è partito». Immediata anche la risposta di Luigi Lucchi, sindaco di Berceto. «Vieni qui nelle Terre Alte, a Pelerzo, la casa gliela regaliamo noi (come vogliono diversi miei concittadini), lei ha mezzi appropriati per recuperarla, restaurarla e potrebbe riportarla al suo antico splendore invece di lasciarla cadere in rovina. Berceto è una bellissima e amatissima piccola Patria. Veniamo definiti l’Amazzonia della Padania... Se Jennifer viene a Palerzo mi impegno a ripristinare il laghetto anche se debbo convincere oltre 30 proprietari».
· Jerry Calà.
Alessandra Menzani per “Libero quotidiano” il 4 maggio 2020.
Anche in quarantena una qualche libidine c' è? O è tutto calma piatta?
«Io che sono già nottambulo, quando vanno tutti a letto, mi piazzo sulle piattaforme digitali e mi sparo intere serie».
Jerry Calà non si piange addosso. Pure in lockdown, che sta passando con moglie e figlio, cerca di regalare una risata. Anche due. È stato diligente?
«Sono stato previdente, mi ero già messo il primo marzo in clausura, l' ultima sera che sono uscito è stata quella del 28 febbraio. Ho fatto spettacoli fino al 21 febbraio: in mezzo alla gente, vengono a chiederti autografo, ti abbracciano, ero un po' preoccupato. Ma ormai sono passati due mesi e sto benissimo. La mia famiglia mi ha rispettato, anche mio figlio di 17 anni non è più uscito, nemmeno mia moglie».
Da oggi cosa cambia secondo lei?
«Il pericolo è che molti interpretino male, come un "liberi tutti e via". O che qualcuno, anche mosso da problemi economici gravi e di indigenza, possa avere reazioni diverse da quelle indicate».
Il mondo dello spettacolo è in difficoltà come tanti altri. Lei cosa può dire?
«Io mi ritengo fortunato e non ho problemi. Parlando con amici americani, loro sono tranquilli perché dopo una settimana hanno ricevuto i soldi sul conto. Qui pretendono che la gente sia buona e zitta anche se non ha quattrini per mangiare. Ho paura che scoppi un bubbone se non trovano la maniera di aiutare tanta gente».
Conosce situazioni drammatiche nel suo settore?
«Il mondo della ristorazione è colpito. Quello della notte non se lo sta filando nessuno: discoteche, club, centinaia di migliaia di persone lavorano, tanta gente a prestazione: musicisti e pianisti di piano bar».
Nella sua famiglia ha avuto qualche lutto?
«Nella famiglia di mia moglie, zio e cugino non ce l'hanno fatta. All' inizio vivevo la situazione un po' depressivamente, lasciavo passare le giornate ciondolando e guardando film e serie. Mi aveva preso così. Ero in un momento al massimo della progettazione.
Poi, attraverso i social, mi sono ringalluzzito, quasi ogni giorno faccio dirette Instagram e Facebook, vado a sorpresa a casa della gente per sapere come vivono il momento. Mi permette di conoscere realtà diverse. Mi collego con amici, Smaila, Mara Venier, Elisa Isoardi, Giovanni Vernia. Qualche risata ma affrontiamo anche i problemi».
E le dirette di Giuseppe Conte le guarda?
«Le puntate del decreto? Ha una voce soporifera, allora meglio guardare i riassunti dei tg. Non è colpa sua, ma non è avvincente».
La fa arrabbiare?
«Non penso siano tutte sue le responsabilità, non mi intendo tanto di politica. Nessuno è contento, personalmente sono incazzato perché mi manca il mio lavoro. Ho un' orchestra ferma. L' agenzia che mi procura gli spettacoli pure. Io faccio più di cento serate all' anno, do lavoro a una ventina di persone, e non sono Vasco Rossi con cui magari lavorano cento persone. Per non parlare della situazione dei teatri».
Per i suoi 50 anni di carriera è previsto un maxi concerto all' Arena di Verona. Cosa ne sarà?
«Lo voglio fare, spero nel miracolo, sono positivo che questo virus con l' estate vada anche lui in vacanza. La serata è programmata il 10 settembre, prodotta dalla Fondazione Arena e Rtl 102.5 , ancora non è stata cancellata, magari con dovute precauzioni si potrà fae. Si chiama 50 anni di Libidine - Jerry Cala e Friends, con amici e artisti fatto parte mia vita e carriera. Cerco di essere positivo, nel senso buono».
Guardando indietro nel tempo, qual è stato il momento più bello?
«Quando ho visto il mio nome, da solo, sopra il titolo di un film. "Gerry Calà in Vado a vivere da solo". Finalmente ero arrivato ad essere io solo dopo un periodo passato con il gruppo che mi ha dato tantissimo. Bella soddisfazione. Rividi me stesso da bambino quando mio padre mi portava a vedere al cinema Corso di Verona i film con Ciccio Ingrassia. Ho pensato: ce l' ho fatta».
Il momento più brutto, invece?
«Proprio quando ho lasciato il gruppo per avviarmi alla carriera da solista, lasciare quegli amici che continuano ad essere anche oggi un punto di riferimento, tanto è vero che come per andare a colmare un senso di colpa che mi sono portato per tanti anni, due anni fa ho girato un film con loro, Odissea nell' ospizio, che abbiamo presentato con un grande successo a Milano, distribuito su Chili Tv. È stato doloroso perché sapevo che li avrei messi in difficoltà. In quell' atroce distacco mi ha accompagnato Bud Spencer. Stavo girando un film con lui ma contemporaneamente, di nascosto, andavo a fare serate. Alle 4 di mattina me lo sono trovato con braccia conserte e sguardo minaccioso: "Non puoi andare avanti così". Stavamo girando Bomber, mi ha dato un sacco di coraggio e lo ricordo sempre, Carlo Pedersoli».
Mara Venier, sua ex, racconta che era un mattacchione. Conferma?
«Sì è vero, sono stato birichino. Ci siamo messi insieme che ero nel momento più alto del mio successo, ero ricercato e corteggiato. Lei aveva ragione a stare attenta. È un gioco che facciamo volentieri perché sappiamo che il pubblico si diverte. Anche domenica scorsa, in tv, lei ho cantato "Gente come noi che non sta più insieme ma che ancora si vuol bene". Una raccomandazione a tutte quelle coppie che si lasciamo male e si odiano. Anche se l' amore di coppia finisce si può restare amici».
Per dirla alla Conte, siete affetti stabili.
«Esatto. Con gli amici diciamo: uno deve mostrare una foto per capire che è un amore stabile? O il fidanzato che mostra l' anello?».
Ha voglia di tornare al cinema?
«Certo. In questo periodo ho ricevuto una bella proposta cinematografica come attore, sto lavorando a distanza sia con sceneggiatori e produttori. Una bella idea per un film da ridere, che dopo questo periodo ci vuole proprio. Sono gasato. Spero che tra ottobre novembre ci sia apertura definitiva. Oppure facciamo un film con le mascherine».
· Jessica Rizzo, ovvero Eugenia Valentini.
Dagospia il 4 aprile 2020. Da “la Zanzara - Radio 24”. “Ho dovuto chiudere il mio club, ma le coppie scambiste sono nel pallone. Mi sembra di essere il telefono amico. Mi chiamano continuamente perché non sanno come fare, vogliono consigli, è gente abituata a fare orge, coppie col marito che guarda e improvvisamente si ritrovano in casa”. A La Zanzara su Radio 24 l’ex pornostar Jessica Rizzo, che adesso gestisce un locale per coppie a Roma, parla del mondo dello scambismo e del sesso trasgressivo investito dall’emergenza coronavirus. “Ci sono coppie voyeur – dice - e loro giustamente cosa si inventano? Possono usare internet e le videochiamate, ma non è la stessa cosa. Poi nessuno vuole correre il rischio di lasciare tracce. Stanno tutti nel pallone, stanno impazzendo. A una coppia esibizionista con lui cuckold ho suggerito di fare il gioco della finestra. La moglie fa lo strip tease sulla finestra con la tenda semi aperta ed il marito poi si eccita al pensiero che gli altri la stanno guardando”. Come fanno le coppie di scambisti ad incontrarsi ora?: “Solo con internet, oppure devono avere un po’ di fantasia. Io capisco che andare sempre con la moglie dopo venti, trent’anni, oppure eccitarsi nel vedere la moglie che fa le orge con tanti uomini e poi trovarsi da soli...infatti dicono che non si tromba più. Questo mi dicono. Mi dicono che purtroppo stanno in astinenza, perché con i propri compagni o compagne e si eccitano con determinate fantasie e adesso non possono. Consiglio anche di fare il gioco della telefonata separata. Il marito in una stanza, la moglie nell’altra, e lei si mette in contatto con altri uomini col volume alto. Ma non sempre si può fare per la presenza dei figli. Sono favorite dunque le coppie senza prole”. “A volte – racconta ancora - faccio la regista al telefono. Per esempio c’era una coppia che aveva molta paura e volevano mantenere la distanza di sicurezza. Guarda, gli ho detto, se vuoi mantenere la distanza puoi fare solo il gioco del pissing. Insomma, bisogna inventarsi dei giochi diversi. Poi c’è la coppia bisex. Ho detto a lui di vestirsi da donna e la donna da uomo. Così c’è uno scambio di ruoli. Ho tante chiamate tutti i giorni e mi dicono che si stanno annoiando e non sanno cosa fare”.
Mattia Pagliarulo per Dagospia il 18 gennaio 2020. Una donna normale, la classica donna della porta accanto che è diventata Star quasi per caso: questa è l’avvincente e trasgressiva storia di Eugenia Valentini alias Jessica Rizzo, 54enne originaria di Fabriano che vanta 13 premi Oscar del porno vinti, 250 film di genere all’attivo e centinaia di spettacoli hard calcando i palchi dei più importanti locali del settore a luci rosse a livello internazionale.
Signora Rizzo, lei è una delle pornostar italiane più apprezzate e riconosciute a livello internazionale, com’è cominciata la sua carriera nel mondo dell’eros?
«Parto con il risponderti che mai nella vita avrei pensato di diventare pornostar, ero una donna riservata che amava trasgredire e vivere la sessualità in maniera libera, ma non avevo nessuna intenzione di espormi principalmente per la mia educazione familiare. Verso la fine degli anni 80’ con mio marito amavano riprenderci con una telecamera mentre facevamo sesso, ci eccitava quasi di più riguardarci che fare sesso, anche riguardandoci si riaccendeva la voglia e facevano ancora sesso, era un circolo vizioso. Dopo di che abbiamo iniziato a riguardarci non più da soli ma in compagnia di amici scambisti; questi amici ci informarono che un regista cercava coppie per girare dei filmini amatoriali, così io e mio marito Marco muniti di parrucche e mascherine per camuffarci ci siamo lanciati in questa avventura per puro esibizionismo e divertimento, mai ci è passato per la testa di far diventare tutto ciò una professione».
Poi però qualcosa andò storto e come un fulmine a ciel sereno è esplosa la notizia, e lei si ritrovò sulla bocca di tutti.
«Esattamente. Correva l’anno 1991 e nel cinema porno della mia città natale Fabriano venne esposta una locandina con un primo piano del mio viso per la promozione di un mio film amatoriale, avevo la mascherina e la parrucca bionda e liscia ma ugualmente mi riconobbero tutti. Mia madre mi chiamò sconvolta per sapere se ero veramente io, negai l’evidenza! La notizia in tempi record diventó un caso nazionale e non si limitò solo a chiacchiere di paese. Presi mio marito da parte e gli dissi che non potevamo più nasconderci, era giunto il momento di gettare maschere e parrucche e palesarci, così arrivarono le copertine dei giornali, centinaia di articoli, ospitate televisive, eventi e da lì diventai Jessica Rizzo. Io lavoravo come ragioniera nei giorni feriali e come cantante nei giorni festivi, facevo parte dell’orchestra di 12 elementi “Giancarlo e i notturni” ed eravamo sempre in giro tra feste di piazza, balere e sagre paesane, quindi per cause di forza maggiore lasciai tutto e mi buttai a capofitto nel mondo del porno».
Che ricordi ha di Moana Pozzi? Altra colonna portante di questo mondo...
«Di Moana ho bei ricordi, la ricordo come una donna molto triste, qualcosa in lei è nella sua vita non andava, era a mio avviso in carenza affettiva. Era una donna intelligente ed è del segno zodiacale del Toro come la sottoscritta, noi siamo dei grandi lavoratori, precisi, meticolosi. Trattò malissimo mio marito sul nostro primo set professionale, sapendo che era alle prime armi gli disse: “io non ho tempo da perdere, fattelo diventare duro subito perché io non ho voglia di perdere tempo con te, devi essere bravo!” Lui rimase terrorizzato, ma io l’ho aiutato. Moana e mio marito dovevano girare una scena all’aperto sul cofano della macchina, io mi nascosi dietro ad un cespuglio e iniziai a masturbarmi, so che lui impazziva per questo, così mentre scopava Moana guardava me, era eccitatissimo ed in tiro, la scena andó benissimo e Moana gli fece tanti complimenti. Nonostante le chiacchiere penso che Moana sia morta, negli ultimi mesi prima di sparire era uno scheletro...mi ero molto spaventata a vederla così, andai subito a farmi mille analisi, pensavo fosse una malattia venerea a ridurla così e che ci avesse contagiati tutti, invece ero sana come un pesce quindi capii che soffriva di una malattia non infettiva ma molto grave, mi è dispiaciuto molto vederla in quelle condizioni».
Valentine Demy, Luana Borgia, Cicciolina, Barbarella, Milly D’Abbraccio, Eva Henger e Rossana Doll sono insieme a lei le indiscusse storiche dive dell’hard, ci parli di loro a ruota libera...
«Non le conosco, ci incontravamo ad eventi e ci salutavamo, non ci siamo mai frequentate. Cicciolina la incrocio ogni tanto al supermercato...tutte loro facevano parte dell’agenzia di Riccardo Schicchi, io ero per conto mio quindi nemmeno volendo c’era il modo di vedersi. La “Jessica Rizzo Communication” era mia, io facevo la produttrice, la regista, l’attrice, mi occupavo in toto di tutto».
E con Rocco Siffredi ha mai lavorato?
«Si, quando era un attore come tanti, non era il colosso e l’icona di oggi. Era agli inizi della sua carriera, lo ricordo educato, gentile e a modo, poi con lui non ho più lavorato».
Lei ha inventato anche il genere amatoriale nel porno, le piaceva di più girare film professionali o filmini amatoriali?
«Il professionale non mi ha mai entusiasmato, troppo costruito, troppo freddo. Io amo l’amatoriale così posso godere e fare ciò che voglio. Io ho inventato come giustamente hai detto il genere amatoriale, filmini senza una vera e propria trama con protagoniste casalinghe e persone della porta accanto senza tagli in cui davo la massima libertà di godere in maniera naturale e non impostata, nessuno ci scommetteva una lira, invece questo genere ebbe un successo clamoroso!»
Cosa pensa delle pornostar emergenti che entrano nel mondo nell’hard in questi anni?
«Che non conosceranno mai il “divismo”! Non diventeranno mai icone come lo siamo state noi della vecchia scuola, saranno delle meteore. Il mondo dell’hard è scaduto, internet ha ammazzato il mercato, poi il mondo del porno attuale non mi interessa, non lo seguo».
Come vive il passare del tempo su di lei? Qualche ruga in più sul viso, qualche kilo in più sono un problema?
«Lo vivo con serenità, io sono di natura positiva. Sono più interessata al cervello che al corpo, quello mi spaventa di più che invecchi. D’altronde non si può avere sempre vent’anni, uno fa quel che può per tenersi su al meglio, non sono contro la chirurgia estetica sia chiaro, sono contro gli abusi della stessa. Io non bevo, non fumo...ma alla cioccolata non rinuncio per niente al mondo!»
Cosa ne pensa della moda del big bamboo e della moda delle cougar e milf?
«Siamo messi male in Italia se le donne devono andare in Africa a cercare il big bamboo, qui in Italia ce n’è di materia prima buona, basta cercare...però se sono soddisfatte così fanno bene! Per quanto riguarda la moda milf-cougar penso che a questi ragazzini che vanno in cerca della donna matura manchi o sia mancata la figura materna, le famiglie odierne sono sempre più disgregate. Io questa voglia dei giovani di scoparsi le donne di una certa età non la vedo come una cosa normale, penso che tra coetanei ci si capisce di più, io con un ventenne non saprei che farci!»
Riuscirebbe a vivere senza sesso?
«No! Oramai mi sono abituata troppo bene, più lo faccio e più voglio farlo. Con mio marito siamo una coppia apertissima, facciamo sia le cose insieme sia le cose per conto nostro. Gli uomini e le trans mi piacciono, le donne invece non mi eccitano, mi ritengo una delle poche eterosessuali rimaste. Ho fatto tante scene lesbo nei miei film, circa 500, quindi posso rispondere con certezza che le donne non mi piacciono!»
Chi è l’uomo ideale per Jessica Rizzo?
«Il mio uomo ideale è senza alcun dubbio Alain Delon nonostante non sia più di primo pelo. Poi vorrei trovare un uomo bello come Gabriel Garko e intelligente come Maurizio Costanzo! Sarebbe fantastico!»
Di cosa si occupa oggi e cosa vorrebbe fare che in quasi 30 anni di carriera ancora non ha fatto?
«Attualmente sono la direttrice artistica di un club privè bellissimo a Roma che si chiama Il Mondo di Atlantis; il locale è molto elegante ed è frequentato da un ceto medio alto, per la maggior parte vengono a trovarci liberi professionisti. Ho due sogni nel cassetto: scrivere un libro sulla mia vita e perché no, prendere parte come concorrente ad un reality show televisivo. Ho parlato con amici che hanno partecipato a L’Isola dei Famosi e mi hanno detto che è durissima, ma accetterei la sfida, ne approfitterei per perdere qualche chiletto...»
· Jim Carrey.
Mauro Donzelli per "comingsoon.it" il 5 luglio 2020. Jim Carrey è pronto a dire tutto su Hollywood, ma a suo modo, satiricamente, addirittura in maniera distorta, come lui stesso ha detto presentando il suo libro di memorie Memoirs and Misinformation al New York Times. Scritto insieme a Dana Vachon, sarà nelle librerie americane a luglio, dopo ben otto anni di lavoro di scrittura a quattro mani. Viene raccontata la storia di una versione di finzione di Jim Carrey che si muove per Hollywood in cerca di senso, dopo anni di successo come attore. Viene definito “un romanzo semi-autobiografico” intento a creare una sorta di Hollywood parallela, l’unico bizzarro modo in cui Carrey ha voluto declinare la sua versione di memoir. “Non c’è niente, a questo punto della mia vita artistica, di più noioso dell’idea di scrivere fatti reali della mia vita in qualche forma di ordine cronologico”, ha detto l’attore. “Cercare di espandere il mio brand: non troverete niente di simile, in questo libro. Jim Carrey è un avatar di chiunque si trovi nella mia posizione: dell’artista, della celebrità, della star. Quel mondo con tutti gli eccessi e la voracità, la vanità, l’essere autoriferiti. Alcune cose sono molto vere, ma non saprete cosa è vero e cosa non lo è, ma anche gli aspetti di finzione del libro rivelano una verità”. Il primo incontro con Jim Carrey nel libro ce lo presenta come un attore solitario sommerso dal privilegio e dalla ricchezza. È a un punto della sua carriera in cui “sta scegliendo fra il ruolo di protagonista in un biopic su Mao tse-tung e un film di studio basato su un giocattolo per bambini”. Una seconda possibilità a Hollywood gli arriva dopo aver incontrato una giovane ragazzina ingenua di nome Georgie, facendo squadra con lo sceneggiatore Charlie Kaufman per un “nuovo film che si spinge oltre i limiti”. Come noto, Carrey ha realmente lavorato con Kaufman in Se mi lasci ti cancello. La particolarità del libro Memoirs and Misinformation è la presenza di versioni di finzione di grandi star del cinema come Gwyneth Paltrow, Nicolas Cage o Anthony Hopkins, fra gli altri. Sempre parlando con il New York Times, l’attore ha detto di aver mandato una lettera di spiegazione a ogni persona citata nel libro, spiegando cosa intendesse fare con il suo romanzo. “È satira e parodia, ma fatta anche con reverenza. La maggior parte delle persone presenti nel libro sono persone che ammiro molto”. Qualche esempio? Nicolas Cage, pensate, è addirittura un collezionista di teschi di dinosauro, nonché nella finzione migliore amico di Carrey. I due si sono molto parlati durante la scrittura, rassicura Carrey, e Cage ha avuto solo parole di incoraggiamento per il progetto. “Non hai idea, Jim, sono molto onorato, amico”, ha risposto una volta saputo, mentre Carrey gli ha assicurato di avergli riservato “le battute migliori”. Poi però c’è la questione Tom Cruise, che viene citato come "Laser Jack Lighting” per ragioni legali. “Si fa tutto per divertimento”, ha aggiunto Carrey al Times, anche se non è proprio sicuro al 100% che Cruise la prenderà bene. “Si tratta semplicemente di prendere in giro la litigiosità di Hollywood. Conosco Tom Cruise, potrebbe picchiarmi, ma prenderò le botte per un’opera d’arte. Penso invece che lo amerà”. Memoirs and Misinformation sarà disponibile dal 7 luglio, anche in una versione audiobook letta da Jeff Daniels, compare di Carrey in Scemo e più scemo.
· Joaquin Phoenix.
Oscar 2020, Joaquin Phoenix e l’omaggio al fratello River, morto per overdose. Pubblicato lunedì, 10 febbraio 2020 su Corriere.it. «Corri verso il rifugio con amore e la pace seguirà». Joaquin Phoenix ha citato queste parole in chiusura del discorso con cui ha accettato l’Oscar come miglior attore per «Joker». Si tratta di una frase del fratello maggiore River Phoenix, morto nel 1993 per un’overdose quando aveva solo 23 anni, e scritta quando ne aveva appena 17, ha detto Phoenix, visibilmente commosso. Non accade spesso che l’attore 45enne parli del fratello scomparso, anche se di recente si era soffermato sull’argomento durante un’intervista per l’emittente televisiva americana Cbs: «Sento come se praticamente in ogni film che ho fatto ci fosse una qualche connessione con River - aveva detto - e penso che tutti noi abbiamo sentito la sua presenza e la sua guida nelle nostre vite in numerosi modi». Giovane promessa del cinema americano fra gli anni 80 e i primi anni 90, River Phoenix ha avuto un ruolo determinante nello spingere il fratello più piccolo verso la carriera da attore. Ma ancor prima, sembrava lui stesso destinato a brillare nel firmamento di Hollywood: nato nel 1970, aveva iniziato a recitare da bambino in spot pubblicitari e ruoli televisivi. Si era imposto all’attenzione del pubblico giovanissimo, con film come «Stand by me», «Nikita - spie senza volto», oppure «Vivere in fuga», per cui fu candidato agli Oscar come miglior attore non protagonista a 19 anni. Biondo, affascinante, aria tormentata, River Phoenix vinse poi la Coppa Volpi per «Belli e dannati» di Gus Van Sant, interpretato insieme all’amico Keanu Reeves. Un ruolo più adulto e complesso, con cui riuscì a staccarsi dall’immagine di ragazzino. Mentre la sua carriera cinematografica decollava, River sognava anche la musica e, innamorato di John Lennon e dei Doors, portava avanti in parallelo anche l’attività di chitarrista e cantautore. Militò nei Aleka’s Attic, band di cui faceva parte anche la sorella Rain, con cui aprirono un concerto dei Sonic Youth, suonarono al mitico CBGB di New York e incisero «Too many colors», brano inserito nella colonna sonora di «Belli e dannati». E River Phoenix era anche un attivista impegnato per l’ambiente e su diversi fronti umanitari. Ma insieme al successo, per River arrivarono anche i problemi con le droghe e l’alcol, che lo stroncarono nel giro di pochi anni. La sua morte avvenne la notte fra il 30 e il 31 ottobre del 1993 mentre era al Viper Room, club di Hollywood in parte di proprietà di Johnny Depp: prima di arrivare al locale, stando alla ricostruzione, l’attore aveva partecipato a una festa in hotel assumendo vari tipi di droghe. Assunse altre sostanze anche dopo, in un mix che si rivelò letale. Si sentì male nel club, dove erano presenti anche il fratello Joaquin e la sorella Rain, oltre che Flea e John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers, il frontman degli Slipknot Corey Taylor, attori fra cui Leonardo DiCaprio e vari altri amici del mondo dello spettacolo. Fu Joaquin a chiamare i soccorsi, una volta capita la gravità della situazione, ma l’ambulanza non arrivò in tempo.
Da donnemagazine.it l'11 febbraio 2020. River Phoenix era il fratello di Joaquin ed è morto a soli 23 anni per una overdose di droghe. Conosciuto come il James Dean Vegano, aveva davanti a sé una carriera davvero promettente. Non era soltanto di una bellezza disarmante, ma era anche un bravo attore e un discreto musicista.
River Phoenix: chi era. River Jude Phoenix è nato il 23 agosto del 1970 a Madras, in Oregon. Fratello degli attori Rain, Joaquin, Liberty e Summer, ha avviato la carriera nel mondo dello spettacolo quasi per caso. Ha iniziato come musicista di strada per aiutare la famiglia e così, quando aveva soltanto dieci anni, è stato notato da un talent scout che l’ha ingaggiato per qualche pubblicità. Dopo gli spot sono arrivate le prime serie tv e film televisivi e, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, Phoenix era già riuscito ad imporsi come uno degli attori più promettenti della sua generazione. Non a caso, nel 1986, era stato inserito da John Willis nella lista delle “dodici promesse del cinema”. River non aveva portato a termine gli studi, ma aveva comunque una grande voglia di apprendere. Tra le tante pellicole che gli hanno concesso di farsi notare ci sono: Stand by Me – Ricordo di un’estate, Mosquito Coast, Nikita – Spie senza volto, Vivere in fuga e Indiana Jones e l’ultima crociata. Successivamente ha recitato in film più complessi come: Belli e dannati (con cui vinse la Coppa Volpi come migliore attore e un Independent Spirit Award), Dogfight – Una storia d’amore, Silent Tongue, Quella cosa chiamata amore e Dark Blood. Quest’ultimo è rimasto incompiuto a causa della sua morte improvvisa ed è stato portato a termine solo nel 2012. Oltre all’attività cinematografica, Phoenix è stato anche cantante e chitarrista della band Aleka’s Attic, fondata assieme alla sorella Rain. Ha lottato per i diritti degli animali e dell’ambiente ed è stato un portavoce di PETA che, nel 1992, lo ha premiato con l’Humanitarian Award.
La morte. Phoenix è morto la sera di Halloween del 1993 quando aveva soltanto 23 anni. La sua carriera è stata bruscamente interrotta da una overdose di eroina e cocaina. River si trovava con amici, con la sorella Rain e con il fratello Joaquin al Viper Room, il locale di Johnny Depp, perché si sarebbe dovuto esibire. Purtroppo, però, un cocktail micidiale di alcol e droga ha avuto la meglio. I medici che l’hanno soccorso non hanno potuto fare altro che constatarne la morte. Successivamente, i dottori che hanno eseguito l’autopsia hanno rivelato che nel suo sangue c’era una dose di cocaina otto volte superiore al limite e una di eroina maggiore di quattro. Al Toronto Film Festival del 2019, il fratello Joaquin, quando l’hanno premiato per Joker, ha dichiarato: “Quando avevo 15 o 16 anni mio fratello River Phoenix è tornato a casa dal lavoro con il VHS di un film intitolato Toro scatenato. Mi ha fatto sedere e mi ha fatto vedere il film. Il giorno dopo mi ha svegliato e me lo ha fatto rivedere. Poi mi ha detto: ‘Devi ricominciare da capo a recitare, devi fare così’. Non me lo ha chiesto, me lo ha detto. E io gli devo la mia carriera e la vita incredibile che mi ha fatto avere”.
Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it il 21 gennaio 2020. Joaquin Phoenix contro Leonardo DiCaprio. Leo vinceva sempre, ma ora non più. Ha fatto molto sorridere il discorso di Phoenix che, nel ritirare il SAG Awards 2020 come miglior attore, battendo Taron Egerton, Christian Bale, Adam Driver e Leonardo DiCaprio, ha ricordato un aneddoto sui casting andati a vuoto quando era un ragazzino. “Di solito eravamo io e un altro paio di ragazzi in competizione per il ruolo e perdevamo sempre a favore di quest’altro”, ha raccontato il Joker dopo un piccolo sogghigno e un ditino appoggiato sul labbro superiore come prima di fare una marachella. “Nessun attore pronunciava il suo nome, ma tutti i direttori del casting sussurravano: È Leonardo! È Leonardo!”. Al raccontino, che DiCaprio seduto al tavolo di C’era una volta ad Hollywood ha seguito, ripreso in primo piano, non proprio con grande entusiasmo, si è aggiunto il ringraziamento di rito: “Sei stato d’ispirazione per più di 25 anni, sia per me che per tante altre persone. Ti ringrazio davvero tanto”. Ma la frittata, a livello diplomatico, oramai era stata fatta. Per una volta che Joaquin vince un premio importante, ed è oramai certo che si ripeterà nella notte degli Oscar, battendo proprio Leo, ci è venuta la curiosità di sbirciare quali possono essere stati i casting dove il selezionatore sussurrava “È Leonardo”. Intanto entrambi gli attori sono classe 1974. Quindi sono coetanei soprattutto per i direttori di casting. L’esordio ufficiale di Phoenix risale addirittura al 1982 come Leaf Phoenix in una serie tv. Impegno professionale che si ripete parecchie volte per altri quattro anni facendo diventare Joaquin un viso noto della televisione americana. Nel 1986 l’esordio al cinema con Space Camp, poi un paio di miniserie tv, e ancora nel 1989 Parenti, amici e tanti guai dove incontra da quattordicenne, e ancora come Leaf, un set all star: Steve Martin, Tom Hulce, Rick Moranis e un appena maggiorenne Keanu Reeves. Quindi, se si guarda bene la carriera di Joaquin Phoenix c’è un lungo stop per almeno quattro anni, fino a quando nel 1994 con Da Morire di Gus Van Sant diventerà vero co-protagonista di un film importante. In quell’interregno tra i 15 e i 20 anni (1989-1994) Joaquin sembra faticare un po’ ad affermarsi, anzi praticamente scompare. Così se si gira pagina e si segue la carriera di DiCaprio vediamo che proprio tra l’89 e il ’91 Leo comincia a farsi conoscere parecchio in tv (l’esordio ufficiale è nell’89 con due episodi del telefilm Lassie), nel ’91 esordisce al cinema con Critters 3 e nel 1993 si afferma definitivamente come ragazzino diciottenne in film come Voglia di ricominciare (1993) e soprattutto Buon Compleanno Mr. Grape (1993). Insomma, se l’aneddoto di Phoenix è reale, i film dove i direttori di casting suggerivano sottovoce il prescelto (“è Leonardo!”), bruciando la candidatura di Phoenix, paiono proprio essere quello di Michael Caton-Jones e quella sorta di cult diretto da Lasse Hallstrom in cui Leo recita con un altro divo leggermente più avanti con l’età come Johnny Depp.
Simona Marcjhetti per corriere.it il 15 Gennaio 2020. Sono stati giorni piuttosto movimentati per Joaquin Phoenix: venerdì scorso è stato infatti arrestato insieme ad altre 147 persone (e immediatamente rilasciato) per aver partecipato ai Fire Drill Fridays, l'iniziativa settimanale di protesta sul cambiamento climatico lanciata dall'attrice Jane Fonda, mentre lunedì è stata ufficializzata la sua nomination all'Oscar per il film Joker. In mezzo ai due avvenimenti c'è però stata l'intervista fatta domenica con il giornalista Anderson Cooper per la trasmissione «60 Minutes» della Cbs, nella quale il 45enne attore ha parlato - e capita piuttosto di rado - del fratello River, morto 27 anni fa di overdose fuori dal locale Viper Room a Hollywood. «Sento come se praticamente in ogni film che ho fatto ci fosse una qualche connessione con River - ha detto Phoenix, che nel suo curriculum vanta pellicole come "Il Gladiatore" e "Quando l'amore brucia l'anima" - e penso che tutti noi abbiamo sentito la sua presenza e la sua guida nelle nostre vite in numerosi modi». Non a caso è stato proprio River a spingere implicitamente Joaquin a diventare un attore. «Un giorno mio fratello è arrivato a casa e mi ha detto tutto eccitato "ecco questo film" - ha continuato Phoenix, spiegando che il film in questione era "Toro scatenato" di Martin Scorsese con Robert De Niro - e penso che questo abbia risvegliato qualcosa in me, perché improvvisamente ho potuto vederlo attraverso i suoi occhi». La morte di River Phoenix fu uno choc per tutti: all'epoca il talentuoso attore aveva appena 23 anni e sembrava destinato a una lunga e luminosa carriera, ma la sua scomparsa ha cambiato l'intero scenario e inevitabilmente scombussolato anche la vita dei suoi familiari. «Eravamo così lontani dal mondo dello spettacolo - ha sottolineato ancora Joaquin riferendosi a lui e al resto della famiglia, peraltro presente all'intervista - perché non guardavamo le trasmissioni di intrattenimento né avevamo riviste di quel tipo in casa. River era un attore davvero notevole ma, di fatto, noi non lo sapevamo nemmeno e la sua morte così pubblica è stata destabilizzante per tutti noi. In quel periodo in cui eravamo così vulnerabili avevamo gli elicotteri che volavano sopra casa e gente che tentava di intrufolarsi nella nostra proprietà e per quanto mi riguarda mi sono sentito come se mi fosse stato impedito di elaborare il lutto».
DAGONEWS il 16 gennaio 2020. La presentatrice Wendy Williams è stata costretta a scusarsi dopo aver parlato della cicatrice sul labbro di Joaquin Phoenix, nato con il labbro leporino. Durante il suo programma la donna stava parlando del look insolitamente attraente dell’attore e dei suoi occhi penetranti, prima di parlare del suo labbro leporino, infilandosi un dito in bocca per simulare la malformazione. Le sue scuse sono arrivate in risposta al calciatore canadese Adam Bighill, che era stato critico nei confronti della presentatrice, sentendosi chiamato in causa visto che il figlio Beau soffre di palatoschisi ed è stato sottoposto a un intervento per “ricucire” la parte superiore del labbro. Anche Cher si è scagliata contro Williams con una serie di post al vetriolo. Dopo cinque giorni in cui era finita nella bufera, Williams si è scusata e ha promesso di donare soldi a Operation Smile e all'American Cleft Palate-Craniofacial Association per aiutare le famiglie con bimbi con labbro leporino. Una bufera che ha travolto Williams, ma non ha sfiorato il candidato al premio Oscar che non è mai intervenuto sulla vicenda.
· Joe Bastianich.
Joe Bastianich in concerto a Roma: «Ero uno sfigato cicciottello, chitarra e musica una fuga dalla realtà». Pubblicato domenica, 26 gennaio 2020 su Corriere.it da Giuseppe Cucinotta e Sabina D’Oro. «Un ragazzo cicciottello, con capelli improponibili, abiti di seconda mano, preso in giro dai coetanei, escluso da tutti. Il classico sfigato, ma con grandi, grandi sogni. La chitarra e la musica rappresentavano una fuga dalla realtà». E quella sei corde e le canzoni sono state uno dei tantissimi sogni che quel ragazzino è riuscito a realizzare. Un adolescente diventato Joe Bastianich, uno degli imprenditori più importanti al mondo nell’ambito della ristorazione e un personaggio televisivo che supera ogni schema con la sua schiettezza e sincerità. A 51 anni Joe non ha smesso di sognare e ha coronato uno dei più grandi desideri del sé adolescente: pubblicare un disco e suonare le proprie canzoni in tutto il mondo. Un tour che lo ha portato anche a Roma a Largo Venue. «Aka Joe», questo è il titolo dell’album, è un ritratto intimo e senza filtri di Bastianich. «Ho suonato tutta la vita, la musica è stata la mia emozione principale. Da figlio di immigrati, il rock era la fuga da una realtà dura e per me è stato sempre sinonimo di libertà assoluta di espressione». Un modo per rivelare la propria reale essenza, al di là dell’immagine che appare attraverso i format televisivi. «Il Joe che avete visto in televisione per anni, è il Joe ristoratore, l’imprenditore. Nel disco e nei live emerge il vero Joe, che purtroppo pochi conoscono. Una persona super-sensibile, dolce, che ha cura degli altri. Le parole delle canzoni sono personali, parlano della mia vita, mi spoglio attraverso quello che dico. Con la musica c’è poco da nascondere». Aka Joe, però, non è soltanto un disco intimo, ma anche un album che non ha paura di prendere posizione contro tematiche sociali scottanti, come la diffusione delle armi da fuoco negli USA. «Twenty Snowflakes» parla del massacro della Sandy Hook Elementary School di New York. «Quando hai l’opportunità di esprimerti devi prendere in considerazione la tua responsabilità sociale. Questa canzone prende una posizione chiara contro la violenza e la diffusione delle armi da fuoco in America – spiega Bastianich -. Ci sono altri problemi come la tendenza al nazionalismo e la paura dell’immigrazione contro i quali il mondo deve rispondere in maniera unita. Vedo, però, che la tendenza sia negli USA sia in Italia è quella di tirarsi indietro. Io non ho una soluzione, ma cerco di affrontare il problema».
· Johnny Depp.
Antonello Guerrera per "repubblica.it" il 2 novembre 2020. Sì, era tutto vero: Johnny Depp “picchiava sua moglie”. È la sentenza dell’Alta Corte di Londra nel processo civile per diffamazione chiesto dall’attore americano contro il tabloid britannico The Sun (insieme al suo gruppo editoriale News Group Newspapers), che nel 2018 lo aveva definito “wife beater” nel titolo di un articolo, ossia “picchiatore di sua moglie”, allora Amber Heard, l'attrice texana di 37 anni. Ciò che aveva scritto il quotidiano “era sostanzialmente vero”, ha dichiarato il giudice Andrew Nicol nel tribunale della capitale britannica. Secondo il 57enne celebre attore americano, invece, quel titolo del Sun era scorretto e non corrispondente alla realtà. In teoria, Depp avrebbe la possibilità di fare appello, ma non è ancora chiaro se ciò accadrà. Il caso ha generato scalpore e scandalo, a Londra e in tutto il mondo, negli ultimi mesi. Oltre alle gravissime accuse contro l’attore che l’Alta Corte di Londra ha sostanzialmente confermato, durante le udienze Depp e Heard hanno infatti rivelato al mondo i dettagli shock, privati e talvolta sordidi della loro relazione, devastando le loro reputazioni. Un dramma familiare e personale di due star di Hollywood, per quello che è stato il processo per diffamazione dell’anno. Depp ne è venuto fuori come un picchiatore seriale, che prendeva droghe di ogni sorta in un matrimonio in pezzi. Heard ha accusato Depp di averla aggredita più volte, mostrando anche le foto delle contusioni e i lividi sul volto, soprattutto quando beveva e assumeva droghe, diventando un “mostro”: l’attrice ha persino condiviso l’immagine del tavolo dell’ex marito la mattina, tra cocktail alcolici e strisce di cocaina. “Ho temuto di morire”, aveva confessato Heard. Secondo Depp, era Heard che in realtà picchiava lui, tanto che una volta “mi ha spento una sigaretta sulla guancia”. "Le sue accuse sono assurde e folli!", aveva spiegato, "Amber mi ha rotto un dito con la bottiglia di vodka!", mentre Heard aveva risposto che quella sua reazione è stata scatenata da "tre giorni in ostaggio di Johnny". Sono state pubblicate anche alcune trascrizioni di litigi tra i due, che si registravano a vicenda, per accusarsi. Heard lo avrebbe fatto affinché Depp "si rendesse conto di quello che diceva e faceva quando era ubriaco o drogato", lui perché "subiva umiliazioni da lei” come quando “Amber defecava nel nostro letto". In una conversazione, l'attrice a un certo punto urla a Depp: "Ti ho colpito ma non ti ho steso, sei un bambino del cazzo!”. La battaglia legale tra i due ex è iniziata subito dopo la fine della relazione nel maggio 2016 quando l'attrice aveva già accusato il marito di violenza e ottenuto 7 milioni di dollari poi donati in beneficienza. Il caso Depp-Heard non è finito comunque: perché l’attore di Donnie Brasco, Pirati dei Caraibi, Blow e La fabbrica di cioccolato ha denunciato Heard anche negli Stati Uniti, in un’altra causa per diffamazione: in questo caso, Depp chiede all’ex moglie 50 milioni di dollari di risarcimento per un editoriale di quest’ultima sul Washington Post in cui raccontava le violenze subite. Possibile che il verdetto di oggi influenzi anche il processo americano. “Le vittime di violenza domestica non devono mai essere messe a tacere”, ha commentato il tabloid Sun dopo la sentenza, “ringraziamo i giudici di Londra e Amber Heard per le sue coraggiose testimonianze in tribunale”.
DAGONEWS il 2 novembre 2020. Johnny Depp passa al contrattacco. Dopo aver perso la causa per diffamazione contro il tabloid “The Sun” per essere stato bollato come picchiatore di moglie, il suo legale fa sapere che impugnerà la decisione del giudice: “la sentenza è tanto iniqua quanto sconcertante. La cosa più preoccupante è il fatto che il giudice abbia fatto affidamento sulla testimonianza di Amber Heard, disprezzando la montagna di contro-prove da parte di agenti di polizia, medici, del suo ex assistente, di altri testimoni e una serie di prove documentali che minano le accuse, punto per punto. Tutto questo è stato trascurato. La sentenza è talmente viziata che sarebbe ridicolo per il signor Depp non impugnare questa decisione».
Antonella Rossi per "vanityfair.it" il 2 novembre 2020. Johnny Depp e Amber Heard, protagonisti di una burrascosa separazione, e di una vita matrimoniale poco idilliaca, continuano a far parlare di loro. E dopo settimane in tribunale è arrivato il primo verdetto, quello concernente il processo contro il The Sun, che l’attore aveva denunciato per via del modo poco edificante in cui il tabloid l’aveva definito dopo che erano state diffuse una serie di fotografie che ritraevano la Heard con il volto tumefatto: «Picchiatore di mogli». Il giudice dell’Alta Corte di Londra che ha esaminato il caso, Andrew Nicol, ha defnito «sostanzialmente vera» l’accusa del tabloid, respingendo così la denuncia dell’attore, che si è sempre dichiarato estraneo ai fatti, anzi, ha a sua volta accusato la moglie di violenze. «Ho raggiunto questa conclusione avendo esaminato nel dettaglio 14 episodi presentati dalla difesa (del tabloid, ndr) a giustificazione di quanto scritto su Depp, oltre che sulla base di alcune ammissioni sostanziali fatte dallo stesso “denunciante”». Nicol ha affermato che su questi 14 episodi la Heard sarebbe stata picchiata 12 volte, a partire dal 2013, quando per la prima volta l’attore le aveva dato uno schiaffo, reazione al commento di lei su un tatuaggio. Sono state invece respinte due accuse fatte dall’attrice riguardanti fatti del 2014 e del 2015, anche se in questo caso il giudice ha sottolineato di non poter essere in grado di dimostrare la falsità della donna. Gli imputati, insomma, hanno avuto la meglio, perché non è stato difficile dimostrare che tutto ciò che avevano scritto era sostanzialmente vero. Johnny Depp aveva citato in giudizio i giornali del gruppo News Group, a cui appartiene anche il The Sun, e un giornalista, Dan Wootton che nel 2018 aveva scritto delle sue presente violenze ai danni della moglie. Un verdetto arrivato a diversi mesi dall’inizio del processo, che ha suscitato un’attenzione mediatica non da poco, per via della popolarità delle parti in causa. Pe Johnny Depp la sconfitta non è solo personale ma anche economica, gli costerà due milioni di sterline, mentre Amber Heard, trionfa: «Sono sollevata ma non sorpresa», ha commentato. La resa dei conti, però, non è ancora alle sue battute finali, perché anche negli Stati Uniti ci sarà presto una causa. Dopo che l’attrice aveva scritto un articolo sul Washington Post in cui raccontava di essere stata vittima di violenze domestiche, Depp aveva contrattaccato duramente, accusandola di diffamazione. «Ci impegniamo a ottenere giustizia per Amber Heard presso il tribunale degli Stati Uniti e a difendere il suo diritto alla libertà di parola», hanno fatto sapere dal team legale dell’attrice. In ballo, in questo caso, c’è un risarcimento da 50 milioni di dollari. Ed ora che Depp ha perso a Londra la strada è tutta in salita. Non resta che attendere la prossima convocazione in aula, prevista per il 2021.
Paola Caruso per Corriere.it il 28 luglio 2020. Tre settimane di accuse pesanti, retroscena raccapriccianti e panni sporchi lavati in pubblico, tra droga, litigi, case distrutte e foto di lividi e tumefazioni. Si concludono oggi, martedì 28 luglio, le udienze del processo intentato da Johnny Depp, 57 anni, contro il «Sun» che lo ha accusato di essere un «picchiatore della moglie» (con l’ex moglie Amber Heard, 34 anni, come principale testimone a favore degli imputati). E anche se per la sentenza occorre aspettare ancora qualche settimana, lo scenario che si è rilevato nelle diverse udienze alla Corte di Londra è quello che le persone ricorderanno, indipendentemente dal verdetto. L’attore ha deciso di procedere contro il tabloid, come ha detto l’avvocato della star David Sherborne nell’arringa finale, perché l’etichetta di «violento» «distrugge la sua reputazione e pone fine alla sua carriera a Hollywood», mentre la difesa del tabloid nel discorso conclusivo dell’avvocato Sasha Wass insiste sul fatto che prima del divorzio Depp «abusasse regolarmente e sistematicamente di sua moglie», di conseguenza la ricostruzione pubblicata dal giornale nel 2018 è stata accurata.
Il dibattito. Nelle varie fasi del processo in aula si è detto di tutto. Il divo di «Pirati dei Caraibi» ha ammesso l’abuso di droghe e di aver colpito per sbaglio l’ex moglie nel tentativo di difendersi da un pugno, mentre nega di aver alzato le mani sulla Heard nei 14 episodi che sono stati sviscerati in aula. Depp ha detto che le foto dei lividi di Amber, usate come prova, fanno parte di un dossier falso, costruito per diffamarlo. Nega di aver minacciato di uccidere l’ex moglie, e accusa Amber di essere stata «irascibile e infedele».
Il patrimonio dilapidato. Quello che ne esce è un ritratto comunque poco edificante per Depp, non solo per le ammissioni che l’attore ha fatto sul banco dei testimoni — dove è stato sentito più volte come se fosse lui l’imputato — ma anche per il racconto di come è riuscito a dilapidare una fortuna (650 milioni di guadagni quando è entrato nel cast dei «Pirati dei Caraibi»), indebitandosi con il fisco per 100 milioni di dollari perché i suoi consulenti non hanno pagato le tasse per 17 anni. Vita dorata, soldi spesi senza criterio (5 milioni solo per mandare nello spazio le ceneri del suo scrittore preferito, Hunter S. Thompson, morto nel 2005), jet set e case distrutte, come la villa che la coppia Depp-Heard ha preso in affitto in Australia, danneggiata per oltre 100 mila dollari durante un litigio, e persino un letto di casa sporco di escrementi (secondo Depp è stata lei, secondo Heard il cane).
La causa contro la moglie. Alla fine, anche se Depp dovesse vincere la causa, dopo tutto quello che si è sentito, non è detto che riesca a «ripulire la sua reputazione per ritornare sul set». Troppo clamore sulla vicenda può danneggiare una carriera in modo irreparabile o portare alla ribalta una stella in declino, come insegna la modella Kate Moss che dopo le accuse di droga è ritornata in passerella, super pagata, come se nulla fosse. Da notare che nell’ultima giornata in aula Depp è stato fotografato con in mano un orsacchiotto di peluche, probabilmente il dono di qualche fan che lo rivedrebbe volentieri sul grande schermo. Ma gli appuntamenti in tribunale non sono finiti per l’attore: Johnny, infatti, ha fatto causa all’ex moglie per diffamazione (attraverso un articolo del Washington Post che parla di abusi domestici) chiedendo 50 milioni di dollari di risarcimento e il nuovo processo dovrebbe tenersi negli Stati Uniti nel 2021. Se Depp dovesse vincere questo round, la seconda disputa legale in programma potrebbe trarre vantaggio, e forse è proprio questo il punto su cui il divo fa affidamento.
Irene Soave per il “Corriere della Sera” il 13 luglio 2020. Il divorzio tra Johnny Depp e Amber Heard, ufficializzato nel 2016 con un accordo da 7 milioni di dollari (a lei) e un' ordinanza di allontanamento per violenza domestica (a lui), è passato alla storia come uno dei peggiori di Hollywood. Scherzi a base di sangue e feci, mobilia sfasciata, lividi su lividi: come hanno fatto a vivere così infelicemente due che 15 mesi prima si erano sposati su un' isola alle Bahamas? La causa che si dibatte ora a Londra, e per le prossime settimane, vede Depp come parte lesa contro il tabloid The Sun , che lo ha definito «un picchiatore di mogli»: in aula c' è anche Heard, chiamata dall' editore del giornale a testimoniare contro l' ex marito. Di certo, dopo tre giorni di udienze, c' è per ora un fatto: protagonisti assoluti del matrimonio sono stati alcol, oppiacei e cocaina. In un' intervista del 2018 Depp si sentì chiedere se spendesse, in quel periodo, 30 mila dollari di vino al mese. «Sono offeso», ribattè. «Spendevo molto di più». Amber Heard e Johnny Depp si erano conosciuti nel 2009 girando The Rum Diaries - Cronache di una passione : lui era l' attore più pagato di Hollywood, lei era reduce da una commedia sporcacciona dal titolo Strafumati . La trama dei Rum Diaries è quasi profetica: lui è un giornalista alcolizzato, lei la bionda stupenda il cui amore lo redime. Nella realtà, però, il finale non è all' altezza. Lui nel 2012 lasciò la compagna Vanessa Paradis La relazione con Amber Heard divenne pubblica qualche mese dopo. Il matrimonio arriva a febbraio 2015, quando Depp è al picco di un biennio di dipendenze: nella memoria depositata da lei al processo è datato appena un mese dopo uno dei litigi più violenti della coppia. Sono in Australia, lui vuole che lei firmi un accordo post-matrimoniale, avendo già rifiutato di firmarne uno preliminare, lei non vuole, c' è una colluttazione in cucina (danni per 150 mila dollari) e a lui, con i cocci di una bottiglia di vodka, si mozza una falange. Depp «usò» il sangue che sgorgava dal dito per imbrattare tutte le pareti della casa, su cui disegnò anche un pene. Datati dicembre 2015 i reperti di una nuova lite: foto di lei con gli occhi pesti «per essere stata presa a testate». Lui si difende così: «Lei mi stava colpendo alla schiena, mi sono girato per fermarla e ci siamo scontrati». Resoconti che parlano di schiaffi e pugni quotidiani. «Ho capito già in Australia», racconta lui, «che ci saremmo sfasciati». Lei sembra averlo capito più avanti, invece, in una mail in cui gli scrive «Non sono tenuta a sopportare questo e io non sono pagata per stare con te». E poi, più dolce: «È come se convivessero in te Jekyll e Hyde. Metà di te io la amo follemente, l' altra metà mi terrorizza». Tracce di amore emergono però in un' altra lettera, inviata da lui alla mamma di Amber: «Tua figlia è andata molto più in là che il prendersi cura di questo povero vecchio drogato», ha scritto, definendo i suoi sforzi «eroici». «È stata Amber e solo Amber che mi ha aiutato a superare quel momento». Oggi lui ritratta anche questo: «Scrivevo così per compiacerla». E la incolpa di non averlo «mai aiutato a disintossicarsi». «E in una vacanza alle Bahamas mi nascose i farmaci contro l' astinenza». Accuse, recriminazioni, ritrattazioni. Le udienze continueranno per altre due settimane. Gli avvocati di Depp hanno portato la causa contro il Sun all' Alta Corte, invece di accordarsi in via extragiudiziale com' è più comune in contenziosi di questo tipo, sperando che una sentenza a suo favore potesse giovare all' immagine del divo. Comunque vada, sembra difficile.
Londra, Johnny Depp a processo contro il "Sun". In tribunale anche l'ex moglie Amber Heard. Pubblicato martedì, 07 luglio 2020 da Antonello Guerrera su La Repubblica.it. In un articolo di due anni fa il tabloid inglese aveva definito l'attore americano "picchiatore di donne". Lui nega tutto: "Era lei che picchiava me". Botte, droghe di ogni sorta, un matrimonio in pezzi, l'infanzia difficile, Hunter Thompson e Marilyn Manson, i ricordi scomodi. C'è un dramma familiare e personale di due star di Hollywood, in scena da oggi a Londra, per quello che al momento in Regno Unito è il processo per diffamazione dell'anno. Johnny Depp contro il tabloid inglese "Sun", ma anche contro la sua ex moglie e attrice texana Amber Heard, presente come lui in tribunale nella capitale britannica. Dove, al primo giorno di un procedimento che durerà almeno qualche settimana, hanno già fatto scalpore e, per alcuni, dato un triste spettacolo. Depp, presentatosi in aula con occhiali da sole a goccia e mascherina nera alla moda, vuole farla pagare al "Sun" e al suo direttore Dan Wootton che in un articolo di due anni fa lo ha definito un mostro "picchiatore di donne", "per aver malmenato" l'allora moglie Amber Heard, 34 anni. L'attore americano di "Donnie Brasco", "Pirati dei Caraibi", "Blow" e "La fabbrica di cioccolato" sostiene che sia tutto falso, che il tabloid britannico gli ha rovinato la reputazione e quindi vuole i danni. Il "Sun", tramite la sua società editoriale, News Group Newspapers (Ngn), ha chiamato a testimoniare Heard. Il ritratto che ne viene fuori è quello di una relazione esplosiva tra i due, estremamente complicata e anche violenta. Secondo il 57enne Depp, era Heard che in realtà picchiava lui, tanto che una volta, nel 2006, in viaggio su un aereo privato ha dovuto dormire in bagno. "Le sue accuse sono assurde e folli!", ha spiegato, "Amber mi ha rotto un dito con la bottiglia di vodka!", mentre Heard ha risposto che quella sua reazione è stata scatenata da "tre giorni in ostaggio di Johnny". Sono state pubblicate anche alcune trascrizioni di litigi tra i due, che pare si registrassero a vicenda, per accusarsi. Heard lo avrebbe fatto affinché Depp "si rendesse conto di quello che diceva e faceva quando era ubriaco o drogato", lui perché "subiva umiliazioni da lei". In una conversazione, l'attrice a un certo punto urla a Depp: "Ti ho colpito ma non ti ho steso, sei un bambino del cazzo!". La vicenda è così seria che diversi attori di Hollywood saranno chiamati a testimoniare, tra cui anche altre due ex di Depp come la cantante francese Vanessa Paradis e l'attrice Winona Ryder, che dovrebbero difenderlo. Heard, da parte sua insieme ai suoi avvocati, sta cercando di dimostrare che Depp sia un alcolizzato e un drogato e che i suoi presunti comportamenti maneschi siano dovuti all'abuso di sostanze. Di fronte alle domande degli avvocati del "Sun" e di Heard, Depp ha ammesso di "aver fatto uso di ogni tipo di droga, ma è tutto sotto la luce del sole", di "averlo fatto per due volte insieme alla rockstar Marilyn Manson", di "aver preso oppio perché amavo la controcultura e Hunter Thompson era un mio eroe" e di aver iniziato a bere quando era molto giovane a causa di una situazione familiare molto dolorosa e della madre depressa. Ma ha sottolineato di non aver mai picchiato Heard, anche se nel 1994 durante un litigio con Kate Moss ha distrutto una camera d'albergo. La causa a Londra s'era aperta con un'udienza preliminare a febbraio, ma poi la crisi del coronavirus e il lockdown hanno rinviato tutto. Parallelamente, c'è un altro procedimento in corso tra i due negli Stati Uniti. La sentenza del processo di Londra è attesa per fine luglio.
Irene Soave per "corriere.it" il 5 luglio 2020. Riprendono a Londra le udienze del processo per diffamazione di Johnny Depp contro il tabloid The Sun, che lo aveva definito un «picchiatore di mogli» e aveva pubblicato decine di suoi messaggi violenti nei quali Depp si diceva pronto a «ammazzare e bruciare» l’ex moglie Amber Heard, di 23 anni più giovane, da cui ha divorziato nel 2016. L’amore tra i due, durato 5 anni, e iniziato sul set della commedia The Rum Diaries, è finito tra accuse reciproche di violenza; a processo l’editore del Sun difenderà il contenuto di un articolo del 2018, in cui si parlava di Depp come un «picchiatore di mogli». Heard non è tra i contendenti, ma il processo londinese potrebbe avere ripercussioni su quello — in corso negli Stati Uniti — in cui accusata di diffamazione è lei, per un articolo sulla violenza domestica scritto nel 2018 sul Washington Post.
Il processo a Londra. Nessun accordo extragiudiziale: il processo, che potrebbe costare anche un milione di sterline di spese legali a Depp, e viceversa fruttargli un risarcimento massimo di poche decine di migliaia di euro, è arrivato fino all’Alta Corte, che si occupa in prima istanza di casi «di alto valore». E serve alla star per tentare di arrestare la slavina di danni d’immagine che le accuse di violenza da parte di Amber Heard, suffragate da messaggi e registrazioni che sono quasi tutti diventati pubblici proprio sulle pagine di tabloid come il Sun, lo sta travolgendo. Allo scopo, sul banco dei testimoni pro-Depp potrebbero comparire anche le sue ex, Vanessa Paradis e Winona Ryder, che si sono già schierate in suo favore, definendolo «sempre estraneo a comportamenti violenti».
I processi per diffamazione. L’articolo del Sun, uscito nel 2018, era una sorta di appello alla scrittrice J. K. Rowling: era tranquilla, chiedeva l’autore del pezzo, a sapere che nel cast del film Animali fantastici e dove trovarli, tratto da un suo libro, c’era un noto «picchiatore di mogli»? Nelle udienze preliminari del processo, celebrate a fine febbraio — e poi sospese per il lockdown — erano venuti a galla 70 mila tremendi messaggi di Depp a un amico in cui l’attore si augurava di poter «uccidere e bruciare» Heard. «Bruciamo Amber. Anzi, prima la anneghiamo e poi la bruciamo. Poi mi occuperò del suo cadavere». Messaggi scritti probabilmente sotto l’effetto di droghe, usciti dal telefonino dell’attore (questo era per l’amico e collega Paul Bettany) e finiti «per errore» e chissà come nelle mani degli avvocati del Sun. «La signora Heard», scrivono gli avvocati di Depp, «non è mai stata una vittima di abusi, la violenta era lei». Lei stessa aveva scritto sul Washington Post un articolo sulla violenza domestica in cui lui, mai citato, era però «chiaramente diffamato»: per questo articolo è in corso un processo negli Stati Uniti — lui le chiede 50 milioni di dollari di risarcimento — e un’eventuale sentenza britannica a favore di Depp potrebbe influenzarne significativamente il corso, contribuendo a riabilitarlo.
Da buon marito a «The Monster». Nel 2012 Depp aveva lasciato la mamma dei suoi due figli, la cantante francese Vanessa Paradis, dopo 14 anni di convivenza. L’accordo raggiunto era stato amichevole, e lui aveva lasciato loro metà del suo patrimonio, cioè 150 milioni di dollari. Cosa è successo poi per trasformare un generoso ex-marito in «the Monster», così Amber Heard lo chiama nelle memorie agli atti? Il matrimonio fra i due è stato costellato di violenze: a solo un mese dalle nozze, durante un viaggio in Australia — viaggio già noto alle cronache per l’incidente dei loro due cani, che portarono nel Paese senza dichiararli, e per questo furono costretti a girare una goffissima pubblicità progresso — una lite fra i due a colpi di bottiglie rotte e bicchieri si concluse con lui in ospedale per un dito mozzato. Lei compariva ripetutamente in pubblico con lividi e graffi («Se li disegnava», ha sempre messo agli atti lui, chiamando a testimoniare anche l’attore James Franco) e quando chiese il divorzio ottenne anche un ordine restrittivo per Johnny Depp. Lui la controdenunciò e con una registrazione di alcune sedute di terapia (finite anche queste in mano a un tabloid) dimostrò che pure lei lo colpiva, tirandogli «pentole, padelle e vasi». Il matrimonio fra Depp, oggi 57 anni, e l’attrice Amber Heard, 34, è durato meno di 15 mesi, tra febbraio 2015 e maggio 2016; il loro divorzio, pure ufficializzato ad agosto 2016 con un accordo da 7 milioni di dollari, pare non finire mai.
Da "amica.it" l'8 luglio 2020. Non solo Amber Heard e il loro tumultuosissimo rapporto. Davanti all’Alta Corte di Londra, Johnny Depp (57 anni) svela tutti i suoi demoni… Violenze, alcol, droga: «Ho iniziato molto presto, da ragazzino», ha detto. Ieri è cominciato il processo che la star hollywoodiana ha intentato contro il tabloid inglese Sun. Non sono un picchiatore di mogli, dice lui. Il giornale lo scrisse nel 2018. La moglie picchiata doveva essere Amber Heard. A Londra, mascherata come lui, è arrivata anche lei. Si è messa in galleria a seguire il processo in cui non è direttamente parte in causa, però. Nel primo giorno delle udienze, Johnny Depp ha confermato la sua tesi. Non è lui ad aver fatto violenza contro la donna. Ma lei contro di lui. Ha mostrato un video in cui si vedono le ferite. La sua controparte ne ha mostrato un altro in cui lui distrugge la cucina, beve e la minaccia. Poi, Johnny Depp, ha parlato della sua rabbia. E delle sue dipendenze. Ha anche ringraziato Elton John che, a più riprese, l’avrebbe aiutato a uscirne. Ed è tornato indietro nel tempo. L’avvocato del Sun gli ha chiesto se è vero che lui ha iniziato a usare droghe e alcol quando era ragazzino. Lui ha risposto di sì: «Ero molto giovane. Non era un momento particolarmente stabile della mia vita famigliare. Mia madre mi chiedeva di andare a prendere le sue pillole per i nervi. Avevo circa 11 anni. Quelle pastiglie la calmavano e così ne presi una. Il mio uso di droghe è cominciato così. Scoprii presto che droga e alcol erano le uniche cose che mi facevano tenere sotto controllo il dolore». Ha rivelato anche di aver fatto fumare marijuana alla figlia Lily-Rose quando lei aveva solo 13 anni. Già nel 2019, l’aveva dichiarato: «Non ho mai tenuto segreto questo aspetto della mia vita e le mie dipendenze. Ho iniziato da piccolo e parlarne non mi ha mai imbarazzato. Ma anche sotto il loro effetto non ho mai commesso atti violenti contro nessuno». Il riferimento è ad Amber che lui accusa, anzi, di non averlo supportato abbastanza nei suoi tentativi di uscire dalle dipendenze.
"Ha defecato nel nostro letto": Johnny Depp contro Amber Heard. Dichiarazioni scioccanti e filmati compromettenti hanno caratterizzato la prima udienza del processo per diffamazione, promosso dall'attore contro il tabloid inglese "Sun", che ha visto scontrarsi in aula Depp e la sua ex moglie. Novella Toloni, Mercoledì 08/07/2020 su Il Giornale. Si è ufficialmente aperto a Londra il processo per diffamazione promosso da Johnny Depp contro il quotidiano inglese "Sun" e come molti si aspettavano non sono mancati i colpi di scena. In aula l'attore e la sua ex moglie hanno messo in piazza, per l'ennesima volta, il loro dramma familiare, fatto di violenze, litigi, episodi choc e dichiarazioni imbarazzanti. L'attore americano ha citato in giudizio il tabloid britannico "Sun" e il suo direttore per averlo definito - due anni fa - un "picchiatore di donne", rovinandogli la reputazione. Ma in aula a sorpresa, chiamata a testimoniare in difesa del quotidiano, è arrivata l'ex moglie di Depp, Amber Heard con la quale, da anni, è in atto una guerra mediatica senza esclusione di colpi. L'attrice è così tornata a parlare della loro relazione "malata" fatta di violenze psicologiche e fisiche, litigi e accuse, droga e alcool. Se da una parte gli avvocati dell'attrice e del quotidiano hanno cercato di disegnare il profilo di uomo, Johnny Depp, violento e dedito alla droga e alle violenze, dall'altra l'attore americano non si è risparmiato il racconto di episodi imbarazzanti legati al suo matrimonio con la 34enne texana. Il tutto per screditare le parole dell'ex moglie, sposata nel 2015 e dalla quale ha divorziato solo un anno dopo le nozze, un periodo da lui definito "incredibilmente infelice". A far inorridire i presenti in aula è stato soprattutto il racconto di quanto fatto da Amber Heard contro l'ex marito, colpevole di essere arrivato in ritardo alla festa del 30esimo compleanno dell'attrice: "Ha defecato nel nostro letto e poi incolpato il nostro cane". Un episodio surreale, raccontato con dovizia di particolari, che avrebbe portato Depp a mettere la parola fine al loro matrimonio. Insomma, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Lunghi minuti di discussione in aula per capire chi e perché avesse lasciato escrementi nel letto coniugale. Mentre Johnny Depp incolpava l'ex, lei si discolpava puntando il dito contro il loro cagnolino, con problemi intestinali, salvo poi virare il tutto suo uno scherzo di pessimo gusto. A confermare la versione fornita dall'attore di Hollywood, però, sarebbero state le dichiarazioni della governante della coppia all'epoca dei fatti che, dovendo ripulire il disordine il giorno seguente, avrebbe spiegato che gli escrementi erano troppo grandi per provenire dal piccolo cane. Incidente, scherzo o minaccia, Johnny Depp non ha utilizzato parole clementi verso l'ex compagna, definendola: "Una donna dalla personalità borderline calcolata e diagnosticata; lei è sociopatica; lei è una narcisista ed è completamente ed emotivamente disonesta".
DAGONEWS il 9 luglio 2020. Il terzo giorno in tribunale per il processo di Johnny Depp contro il Tabloid “The Sun” continua senza esclusione di colpi. Ed emergono nuovi dettagli inquietanti. L’aggressione in aereo Tra i vari episodi citati in tribunale contro Depp c’è la presunta aggressione su un volo da Boston a Los Angeles nel maggio 2014. In quell’occasione Heard ha raccontato che l’attore era sotto effetto di cocaina, aveva ingerito alcune pillole e aveva bevuto whisky e champagne. A far esplodere la rabbia di Depp sarebbe stata la scoperta di una presunta relazione tra Heard e quello che lui avrebbe definito “lo stupratore” Franco. La donna ha anche registrato “le urla animalesche” di Depp e gli insulti che le sono stati rivolti davanti ai membro dell’equipaggio prima di perdere la testa e picchiarla. Depp ha risposto che la sua rabbia era contenuta e che mentre parlava stava in realtà facendo degli schizzi su un quaderno. In relazione alla definizione di “stupratore” data a Franco, Depp ha risposto: « Mi aveva detto molte cose molto negative riguardo James Franco. Disse che aveva provata a baciarla, a fare delle avance sessuali durante la lavorazione del precedente film in cui avevano lavorato insieme. Disse che lui era inquietante e uno stupratore. Disse che era stato molto aggressivo nel suo rapportarsi a lei. Sono parole saltate fuori riguardo l’atteggiamento di James Franco, come mi è stato descritto dalla signora Heard». “Ha scritto ti amo con il sangue” Un altro episodio di violenza terribile raccontata da Heard è stato il viaggio in Australia cinque anni fa durante il quale lei racconta di essere stata costretta a chiudersi in una stanza dove è stata tenuta “in ostaggio per tre giorni”. La donna ha raccontato che Depp le ha strappato la camicia da notte, l’ha spinta su un tavolo da ping pong e ha provato a soffocarla contro un frigorifero. Durante il presunto attacco, Depp si è tagliato un dito. Heard sostiene di avergli lanciato una bottiglia di vodka, ma lei ha detto che si era ferito rompendo un telefono contro il muro. «Con il suo dito insanguinato ha scritto ti amo sullo specchio del bagno». Sullo specchio c’erano altre scritte: «Chiama Carly Simon, lei lo dice meglio, babe»: un riferimento alla canzone “ You're So Vain” che Depp sostiene abbia scritto Heard.
I messaggi a Paul Bettany. Sono emersi una serie di messaggi choc che Depp ha inviato a Paul Bettany. In uno scriveva: «Bruciamo Amber. È una strega». Bettany rispondeva: «Non credo che dovremmo bruciarla. È una compagnia deliziosa ed è un bel vedere. Inoltre, non sono sicura che sia una strega. Potremmo prima fare un test di annegamento. Idee? Ho una piscina». Depp, allora, ha risposto: «Facciamola affogare prima di bruciarla. Dopo fotterò il suo cadavere bruciato per assicurarmi che sia morta. È una strega».
Johnny Depp: «Amber Heard non mi dava i farmaci per disintossicarmi, piangevo come un bimbo». Paola Caruso per “corriere.it” il 9 luglio 2020. Terzo giorno del processo che vede protagonista Johnny Deppall’Alta Corte di Londra nella causa intentata dall’attore, 57 anni, contro il «Sun» (l’editore di News Group Newspapers, e il direttore esecutivo Dan Woottonche) che lo ha definito «picchiatore di donne». A parlare in aula il 9 luglio è ancora il divo di Hollywood, alla presenza dell’ex moglie Amber Heard che nella causa di divorzio ha dichiarato di essere stata picchiata (mostrando foto con lividi in faccia) da un marito violento. Depp, di nuovo alla sbarra, risponde alle domande dell’avvocato del «Sun» Sasha Wass che prende in esame quello che è successo nella villa alle Bahamas nel 2104, un anno prima del matrimonio con la Heard, mentre la star cercava di disintossicarsi dall’ossicodone. «È vero che lei ha picchiato Amber Heard in quell’occasione?», parlando di spinte, calci e capelli tirati. Depp risponde: «Non ero in condizioni di farlo, soffrivo molto, piangevo come un bambino sul pavimento. È stato il punto più basso della mia vita». In preda a sparmi incontrollati e singhiozzi, Depp nega tutto, accusando l’ex moglie di non avergli dato i farmaci prescritti per la disintossicazione che lo avrebbero fatto stare meglio: «Non mi dava le medicine che avrebbero potuto alleviare il dolore, è stata una delle cose più crudeli che lei abbia mai fatto». E insiste: «No, non l’ho picchiata», precisando che la sua rabbia l’ha scagliata contro gli oggetti e non le persone. Ammette di avere avuto dei blackout, ma di quei momenti conserva piccoli frammenti di memoria ed è sicuro di non aver picchiato l’ex moglie che quindi lei racconterebbe bugie.
L’episodio in aereo. Un altro episodio di violenza sviscerato in aula sarebbe accaduto in aereo nel 2014, sul volo da Boston a Los Angeles. In quel momento Depp preso dai fumi dell’alcol e di altre sostanze avrebbe di nuovo perso il controllo. Qui, c’è un messaggio inviato dalla Heard all’amico attore Paul Bettany (tra i prossimi testimoni): «Johnny urla oscenità e se la prende con chiunque si avvicini». Depp controbatte sull’argomento: «Potrei aver fatto cose che non ricordo, certamente non sono una persona violenta, un picchiatore di donne». E poi un altro episodio di rabbia con percosse quando lui ha accusato lei di avere una relazione con James Franco. E come prova del fatto che l’attore sia una persona violenta, l’avvocato del «Sun» ha pure letto una lettera scritta da Depp alla Heard nel 2103, mai inviata, nella quale lui confessa di essere «come dottor Jekyll e Mr. Hyde. Per metà ti amo follemente, mentre l’altra metà mi spaventa».
«Umorismo distorto». L’attore nega ancora di aver colpito la Heard per averlo deriso per uno dei suoi tatuaggi e di aver minacciato seriamente di mettere il cane nel microonde. «Il cane era uno scherzo — sottolinea il divo — forse ho un senso dell’umorismo un po’ distorto». Questi argomenti, insieme all’abuso di droghe iniziato in tenera età, li ha confessati già nella seconda udienza dell’8 luglio. Più che un processo al tabloid sembra un processo a lui che è chiamato a rispondere davanti alla Corte.
Gli altri testimoni. La causa in tribunale va avanti e durerà almeno per tre settimane: devono essere sentiti la Heard, Paul Bettany e poi i testimoni di Depp, l’ex Vanessa Paradis e Wynona Ryder. E dopo questo processo ce ne sarà anche un altro. Infatti, Depp ha fatto causa alla Heard per 50 milioni di dollari per diffamazione in un articolo del Washington Post che parla di abusi domestici. Ma questo nuovo processo si svolgerà negli Stati Uniti, probabilmente l’anno prossimo.
DAGONEWS il 14 luglio 2020. Nuova udienza, nuovi dettagli allucinanti del tormentato matrimonio tra Johnny Depp e Amber Heard. Come testimone in favore dell’attore è intervenuto Stephen Deuters, suo ex assistente, che prima ha negato di aver mai visto o sentito Depp insultare o picchiare la moglie e poi ha dovuto ammettere davanti all’evidenza di aver più volte insultato lui stesso Amber. In diversi messaggi inviati a Depp, Deuters si riferiva ad Amber come una “sociopatica”, definendo il suo comportamento machiavellico. In altri entrambi si riferivano a lei come una “puttana” e una “cagna”. Dai messaggi è emerso anche l’arresto di Amber del 2009 per aver strattonato e colpito l'allora fidanzata Tasya Van Ree. All’epoca Amber fu arrestata e accusata di violenza domestica, le fu presa la foto segnaletica e fu invitata a presentarsi il giorno seguente in tribunale. Ma il giudice fu clemente e l’accusa decadde.
Maria Teresa Veneziani per "corriere.it" il 14 luglio 2020. E’ la guerra dei Roses edizione 2020. Protagonisti, ovviamente, il divo di Hollywood Johnny Depp e l’ex moglie, l’attrice Amber Heard. Nel quinto giorno del processo per la causa intentata dalla star contro il tabloid britannico Sun (e alla sua casa editrice, la NGN) — che lo aveva definito violento e picchiatore — Johnny Depp ha negato ancora una volta davanti all’Alta Corte di essere mai stato violento nei confronti della ex moglie, neppure dopo aver scoperto di essere stato depredato dei risparmi ottenuti dal suo manager. Due anni vissuti pericolosamente, senza esclusione di colpi. Come quando lei lo fotografa semisvenuto con un gelato rovesciato sulle gambe durante un volo privato, per poi mostrargli le immagini il giorno successivo e dirgli: «Guarda cosa sei diventato ... guardati, sei patetico». Heard, 34 anni, e il suo ex marito Depp, 57 anni, erano su un volo da Boston a Los Angeles nel maggio 2014: l’ex Pirata dei Caraibi avrebbe bevuto molto e consumato un cocktail di droghe.
Le foto rubate. Adesso lui ha parlato delle foto, affermando che aveva lavorato sul set per 17 ore al giorno e che aveva già concordato con la sua compagna che sarebbe andato alle Bahamas proprio per disintossicarsi. L’attore ha poi ricordato che Amber Heard aveva già intentato una causa contro di lui durante i loro due anni di matrimonio, conclusisi con un divorzio devastante nel 2017: secondo lui la donna lo avrebbe fatto pensando alla sua carriera a spese del marito.
«Mai colpita». Depp ha presentato tra i suoi testimoni, Stephen Deuters, che ha contraddetto il racconto di Heard a proposito di un incidente durante un volo in aereo privato da Boston a Los Angeles nel maggio 2014. Secondo l’attrice Depp in seguito a un attacco di collera, l’avrebbe schiaffeggiata e presa a calci nella schiena perché credeva che avesse una relazione con l’attore James Franco. Deuters ha definito l’episodio una partita gergale di «oscenità urlate» da parte di entrambi, ma senza mai atti di violenza da parte di Depp. Continuando la sua testimonianza l’attore ha quindi affermato di non sarebbe davvero stato in grado — nel marzo 2015, a Los Angeles — di afferrare i capelli di lei con una mano e di colpirla con l’altra (come la Hard aveva sostenuto), poiché aveva una mano praticamente inutilizzabile a causa di una medicazione: un cerotto speciale che gli sarebbe stato applicato dopo che proprio la Heard gli aveva semi tranciato la punta di un dito lanciandogli contro una bottiglia durante una discussione in Australia dove stava girando.
Da accusatore ad accusato. Johnny Depp è stato interrogato su 14 presunti episodi di violenza domestica che sarebbero avvenuti a causa delle sue dipendenze e del suo stile di vita sfrenato, con tanto di pubblicazione di messaggi privati, foto e testimonianze accusatorie; tanto che a tratti è sembrato più l’accusato che l’accusatore.
Il padre: «Mia figlia ha problemi di umore». Ha però affermato che tutti gli addebiti rivoltigli sono privi di qualsiasi fondamento e ha negato risolutamente sia di aver picchiato l’ex moglie sia di essere una sorta di «dottor Jekyll e mister Hyde». Secondo lui sarebbe invece stata proprio Amber ad attaccarlo nel dicembre 2015 e lui le avrebbe afferrato le braccia nel tentativo di fermarla: un incidente in cui le loro fronti «potrebbero essersi scontrate». A prova del suo comportamento non violento, ci sarebbe anche un messaggio ricevuto poco dopo dal padre dell’attrice, David Heard, in cui il genitore ammetteva che la figlia aveva problemi di umore, come Johnny Depp con droghe e alcol. «Ma ti amo ancora come un padre o un fratello», scrisse David Heard. La star ha negato di essere stato troppo aggressivo anche in occasione di una discussione avvenuta dopo la festa per il trentesimo compleanno di lei, nell’aprile 2016. «Ero arrivato in ritardo dopo aver saputo che il direttore amministrativo della mia società mi aveva sottratto i 650 milioni di dollari guadagnati con gli incassi dei film Pirati dei Caraibi», si è giustificato; riconoscendo che, sì, aveva fumato cannabis per rilassarsi, e che quindi – proprio in virtù di quell’effetto calmante - non avrebbe potuto avere manifestazioni rabbiose.
Niccolò Di Francesco per "tpi.it". il 14 luglio 2020. Nuovo colpo di scena nel processo che vede imputato Johnny Depp, accusato di aver picchiato l’ex moglie Amber Heard: secondo un test, infatti, a picchiare l’attrice sarebbe stato l’imprenditore e fondatore di Tesla Elon Musk e non l’interprete della saga Pirati dei Caraibi. A suggerire questa tesi sono stati due membri del personale, che lavoravano nell’esclusivo edificio dell’Eastern Columbia dove Johnny Depp viveva con l’ex moglie Amber Heard in un attico al 13° piano. I due testimoni, Alejandro Romero e Trinity Esparza, hanno dichiarato sotto giuramento di non aver visto ferite sul viso di Amber Heard dopo il 21 maggio, giorno in cui l’attore avrebbe lanciato il suo cellulare contro l’ex moglie ferendola. La signora Esparza, in particolare, ha affermato di aver visto l’attrice per tutta la settimana successiva il presunto attacco di Depp e di non aver mai notato né tagli né ferite sul volto dell’interprete. Secondo la donna solo il 27 maggio, la Heard avrebbe avuto un taglio rosso sotto l’occhio e alcuni lividi intorno all’occhio. La testimone, inoltre, sostiene di aver visto nuove ferite sul volto dell’attrice il 4 giugno, due settimane dopo che Johnny Depp aveva lasciato l’attico. Alla domanda su dove si trovasse l’attore in quel periodo, la testimone ha risposto: “Fuori dal Paese”. Quando le è stato chiesto con chi Amber Heard avesse interagito in quel periodo, la signora Esparza ha risposto: “Elon Musk”. Dopo le dichiarazioni della signora Esparza, Adam Waldman, avvocato di Johnny Depp, ha dichiarato: “Johnny Depp ha lasciato il Paese dopo la più famosa bufala sugli abusi nei confronti della signora Heard, la quale ha affermato che lui le ha lanciato un telefono nell’occhio destro. Eppure due settimane dopo, il capo portineria dell’edificio ha testimoniato di aver visto la signora Heard con un livido sotto l’altro occhio, lividi a forma di dito sulla gola e un braccio bendato. È stato Elon Musk a recarsi all’attico del signor Depp durante la sua assenza di due settimane”. Il signor Romero, responsabile della sicurezza dell’edificio, ha dichiarato che Elon Musk si è recato da Amber Heard “più volte alla settimana” mentre Johnny Depp era fuori per le riprese di un film. Ha anche aggiunto che il fondatore di Tesla solitamente arrivava intorno alle 23 e non sarebbe mai andato via prima che il suo turno finisse, ovvero all’1 di notte. Alla domanda se Depp fosse presente durante le visite di Musk, il signor Romero ha risposto: “No”.
Da "tgcom24.mediaset.it" il 18 giugno 2020. Nella guerra infinita tra Amber Heard e Johnny Depp con tanto di causa da 50 milioni di dollari intentata dall'attore contro l'ex moglie, emergono alcuni nuovi dettagli piccanti. Stando alle rivelazioni esclusive del Daily Mail pare infatti che la bella Amber avesse una relazione a tre con Cara Delevingne e Elon Musk ai tempi in cui risalirebbero le accuse di violenza domestica che lei ha rivolto contro Depp. Il trio di vip usava riunirsi nell'attico di Depp nel centro di Los Angeles verso la fine del 2016, poco dopo che la Heard si era separata dalla star di "Pirati dei Caraibi". L'informazione, così conferma una fonte vicina a Depp, potrebbe servire all'attore per raccogliere ulteriori testimonianze a sostegno della sua causa esplosiva contro la Heard, iniziata dopo che l'attrice ha rilasciato nel marzo dello scorso anno un'intervista al Washington Post, dalla quale emergeva che fosse una "sopravvissuta alle violenze domestiche dell'ex marito". Accuse che Depp ha sempre definito "bufale" ma che gli sono costate la perdita del suo prezioso ruolo come Capitano Jack Sparrow, nella saga "Pirati dei Caraibi". Da allora i suoi avvocati hanno cominciato a raccogliere dichiarazioni a favore del divo hollywoodiano, tra cui quella di Josh Drew, che in passato era stato sposato con la migliore amica di Heard, Raquel 'Rocky' Pennington. Drew avrebbe confermato che la moglie Rocky gli aveva rivelato della relazione a tre tra Amber, Cara Delevingne e Elon Musk mentre la Heard era ancora sposata con Depp. A quanto afferma Musk invece il ménage, solo con la Heard, sarebbe nato solo dopo che la separazione tra i due attori era già avvenuta, ovvero nel maggio 2016. Dal canto suo Depp sostiene invece che il magnate della Tesla si sia incontrato di notte con Amber già nel 2015 mentre Depp era in trasferta. Sia a Musk sia alla Delevingne gli avvocati di Depp hanno chiesto di produrre tutte le informazioni, messaggi, e-mail, lettere o comunicazioni scambiate con la Heard durante il suo matrimonio con Johnny, che menzionassero presunti episodi di violenza domestica e in particolare modo riguardanti il litigio scoppiato nel maggio 2016 durante il quale Depp le avrebbe lanciato oggetti e l'avrebbe picchiata.
DAGONEWS il 10 luglio 2020. Emergono nuovi dettagli del disastroso e turbolento matrimonio tra Amber Heard e Johnny Depp. La donna ha portato una registrazione in aula in cui si sente l’attore dire: «Ti ho colpito sulla fottuta fronte, non ti ho rotto il naso». Davanti ai giudici Depp ha ricostruito i fatti avvenuti nel dicembre del 2015, dicendo di aver colpito “accidentalmente” l’ex moglie mentre lo picchiava e si dimenava davanti a lui. «Si agitava pericolosamente davanti a me. Mentre mi allontanavo mi ha colpito al collo, all’orecchio e alla schiena. Mi sono girato per coprirmi la testa, lei si agitava selvaggiamente. L’unica cosa che potevo fare per cercare di fermarla, era afferrarla, abbracciarla per farla smettere di prendermi a pugni. C’è stato un contatto molto stretto, ma non uno scontro fisico. Lei urlava che io le avevo rotto il naso ed è scappata via. Le foto dell’aggressione mostrano due occhi neri e non sono compatibili con il tipo di accusa che mi viene rivolta». Riferendosi a un altro episodio avvenuto a marzo, Amber lo ha accusato di aver peso la testa e di averle pure strappato una ciocca di capelli quando lei ha scoperto che il marito la tradiva con un’ex fidanzata.
DAGONEWS il 10 luglio 2020. Johnny Depp ha minacciato di "tagliare" il pene a Elon Musk quando ha scoperto che la moglie Ambert Heard aveva una presunta relazione con il fondatore di Tesla. L'attore 57enne ha accusato l’ex moglie di avere una "relazione extraconiugale" con il miliardario che ha sempre negato, dicendo di aver iniziato la relazione con Amber un mese dopo il loro divorzio. In una serie di messaggi inviati nell’agosto del 2016 a Christian Carino, l’ex fidanzato di lady Gaga, Depp scriveva: «Gli mostrerò cose che non ha mai visto prima come l'altra parte del suo cazzo quando lo taglierò». In altri messaggi definita la moglie una “cercatrice d’oro” e una “spogliarellista da 50 centesimi” che aveva praticato sesso orale a “Mollusk”, quello che per molti è un chiaro riferimento a Musk. «Vuole un’umiliazione globale. La avrà. Ha succhiato il pene del Mollusco e lui in cambio le ha dato alcuni avvocati – si legge in uno dei messaggi inviati da Depp tre mesi dopo aver deciso di divorziare da Amber - Non ho pietà, nessuna paura e non un'oncia di emozione per quello che una volta pensavo fosse amore per questa cacciatrice d’oro». L’attore è anche accusato di aver messo in piedi una raccolta di firme per cancellare la presenza di Amber dal film “Aquaman”. «Il signor Carino era molto interessato a diventare il mio agente in quel momento – si è difeso Depp - Quella petizione credo sia stata presentata anni dopo. Non l’ho orchestrato io». Musk ha anche respinto le accuse di un triangolo amoroso con Heard e Cara Delevingne. Poco tempo fa era stato rivelato che i tre si incontravano nell’attico di Depp quando ancora la coppia era sposata.
Johnny Depp e Amber Heard, amore incubo: dita tagliate, droga, lividi e crudeltà. Irene Soave su Il Corriere della Sera il 10 luglio 2020. Al processo l'infinita carrellata di accuse reciproche. La causa è stata intentata dall'attore contro The Sun che lo ha definito un «picchiatore di mogli». Il divorzio tra Johnny Depp e Amber Heard, ufficializzato nel 2016 con un accordo da 7 milioni di dollari (a lei) e un’ordinanza di allontanamento per violenza domestica (a lui), è passato alla storia come uno dei peggiori di Hollywood. Scherzi a base di sangue e feci, mobilia sfasciata, lividi su lividi: come hanno fatto a vivere così infelicemente due che 15 mesi prima si erano sposati su un’isola alle Bahamas? La causa che si dibatte ora a Londra, e per le prossime settimane, vede Depp come parte lesa contro il tabloid The Sun, che lo ha definito «un picchiatore di mogli»: in aula c’è anche Heard, chiamata dall’editore del giornale a testimoniare contro l’ex marito.
Alcol e cocaina. Di certo, dopo tre giorni di udienze, c’è per ora un fatto: protagonisti assoluti del matrimonio sono stati alcol, oppiacei e cocaina. In un’intervista del 2018 Depp si sentì chiedere se spendesse, in quel periodo, 30 mila dollari di vino al mese. «Sono offeso», ribattè. «Spendevo molto di più».
Il film profetico. Amber Heard e Johnny Depp si erano conosciuti nel 2009 girando The Rum Diaries — Cronache di una passione: lui era l’attore più pagato di Hollywood, lei era reduce da una commedia sporcacciona dal titolo Strafumati. La trama dei Rum Diaries è quasi profetica: lui è un giornalista alcolizzato, lei la bionda stupenda il cui amore lo redime. Nella realtà, però, il finale non è all’altezza. Lui nel 2012 lasciò la compagna Vanessa Paradis La relazione con Amber Heard divenne pubblica qualche mese dopo.
La falange mozzata. Il matrimonio arriva a febbraio 2015, quando Depp è al picco di un biennio di dipendenze: nella memoria depositata da lei al processo è datato appena un mese dopo uno dei litigi più violenti della coppia. Sono in Australia, lui vuole che lei firmi un accordo post-matrimoniale, avendo già rifiutato di firmarne uno preliminare, lei non vuole, c’è una colluttazione in cucina (danni per 150 mila dollari) e a lui, con i cocci di una bottiglia di vodka, si mozza una falange. Depp «usò» il sangue che sgorgava dal dito per imbrattare tutte le pareti della casa, su cui disegnò anche un pene.
Le «testate». Datati dicembre 2015 i reperti di una nuova lite: foto di lei con gli occhi pesti «per essere stata presa a testate». Lui si difende così: «Lei mi stava colpendo alla schiena, mi sono girato per fermarla e ci siamo scontrati». Resoconti che parlano di schiaffi e pugni quotidiani. «Ho capito già in Australia», racconta lui, «che ci saremmo sfasciati».
Droga e accuse. Lei sembra averlo capito più avanti, invece, in una mail in cui gli scrive «Non sono tenuta a sopportare questo e io non sono pagata per stare con te». E poi, più dolce: «È come se convivessero in te Jekyll e Hyde. Metà di te io la amo follemente, l’altra metà mi terrorizza». Tracce di amore emergono però in un’altra lettera, inviata da lui alla mamma di Amber: «Tua figlia è andata molto più in là che il prendersi cura di questo povero vecchio drogato», ha scritto, definendo i suoi sforzi «eroici». «È stata Amber e solo Amber che mi ha aiutato a superare quel momento».
I farmaci nascosti. Oggi lui ritratta anche questo: «Scrivevo così per compiacerla». E la incolpa di non averlo «mai aiutato a disintossicarsi». «E in una vacanza alle Bahamas mi nascose i farmaci contro l’astinenza».
La reputazione del divo. Accuse, recriminazioni, ritrattazioni. Le udienze continueranno per altre due settimane. Gli avvocati di Depp hanno portato la causa contro il Sun all’Alta Corte, invece di accordarsi in via extragiudiziale com’è più comune in contenziosi di questo tipo, sperando che una sentenza a suo favore potesse giovare all’immagine del divo. Comunque vada, sembra difficile.
Erika Pomella per "ilgiornale.it" il 5 maggio 2020. Non si fermano le dichiarazioni shock di Johnny Depp che continuano a prendere di mira l'ex moglie Amber Heard per la causa di diffamazione da 50 milioni di dollari che dovrà essere discussa in Virginia, non appena si sbloccherà la situazione sanitaria negli Stati Uniti. La reputazione della Heard, inoltre, è già stata duramente colpita dopo che sono stati resi noti degli audio in cui l'attrice ammetteva durante una terapia di coppia di aver più volte colpito il marito. Mentre Amber Heard assumeva un investigatore privato per scavare nel passato di Johnny Depp e trovare del fango, l'ex interprete di Jack Sparrow stava raccogliendo tutte le testimonianze utili a provare che durante la sua relazione con Amber Heard era lui la vera vittima, soprattutto a livello psicologico, descrivendo Amber Heard come una vera e propria manipolatrice. Sentimento, questo, che emerge con forza dalle ultime dichiarazioni choc ottenute da The Blast, in cui Johnny Depp avrebbe raccontato che una volta, prima del matrimonio, Amber Heard avrebbe falsificato il sangue utilizzando lo smalto rosso. Il racconto dettagliato dell'evento è stato fatto da Josh Richman, uno dei più vecchi amici di Johnny Depp. L'uomo ha raccontato: "Johnny mi ha raccontato che una sera lui e Amber hanno avuto una discussione. A quel punto Amber andò in bagno e tornò con un fazzoletto macchiato di rosso, accusandolo di averle rotto il naso e di averlo fatto sanguinare. Tuttavia, subito dopo l'incidente, lui recuperò il kleenex che dovrebbe avere ancora oggi. E su quel fazzoletto non c'era sangue, ma smalto rosso". Il racconto continua, con Richman che afferma quanto gli amici intimi di Johnny Depp fossero contrari al matrimonio. Ecco quello che ha detto: "Sebbene all'epoca non conoscevamo ancora tutti i dettagli, l'impressione che io e gli altri amici di Johnny abbiamo avuto è che Amber Heard fosse emotivamente abusiva, che tormentasse Johnny, tagliandolo fuori dalla vita dei suoi veri amici e che fosse davvero crudele con lui. Johnny sembrava vivere costantemente nella paura di sapere come lei avrebbe reagito se lui avesse mai provato a rompere con lei. La sua famiglia, i suoi amici, io stesso... noi tutti avevamo l'impressione che Johnny avesse accettato di sposare Amber solo per questa ragione"
Luigi Ippolito per il ''Corriere della Sera'' il 21 luglio 2020. La politica, diceva l'ex ministro socialista Rino Formica, è sangue e merda: ma anche il matrimonio fra Johnny Depp e Amber Heard non sembra essere stato molto altro. Dita mozzate, pugni, schiaffi, lui che scrive oscenità sui muri col proprio sangue, lei che per sfregio va a defecare nel letto nuziale: questo e peggio di questo sta venendo fuori nell'aula del tribunale di Londra dove i due attori americani stanno lavando in pubblico da dieci giorni i panni sozzissimi del loro rapporto malato. Ieri è stato il turno di Amber a deporre: lei è lì in qualità di testimone, perché il procedimento vede Depp citare in giudizio per diffamazione il tabloid inglese The Sun , che aveva definito l'attore un «picchiatore di mogli». Allora il giornale ha chiamato a propria difesa Amber Heard, ex coniuge di Depp, per dimostrare che lui era davvero un marito violento. E lei, ieri, ci ha dato dentro con foga e piacere. Ha accusato Johnny di averla minacciata di morte più volte, di aver provato a strangolarla, di aver detto di volerle tagliare la faccia così che nessun altro potesse più desiderarla, di averla tormentata per mesi col suo «comportamento estremamente intimidatorio». La coppia si era sposata nel febbraio del 2015, ma Amber aveva chiesto il divorzio appena un anno dopo. «Lui era violento fisicamente e verbalmente», ha accusato lei, attribuendo le sfuriate di Johnny al copioso uso di droghe cui lui era assuefatto, assieme all'alcol e a medicinali vari. «La violenza fisica - ha continuato Amber - includeva pugni, schiaffi, calci, testate, soffocamenti, mi tirava i capelli o mi schiacciava a terra. Mi scagliava oggetti contro, specialmente bottiglie di vetro». Il risultato, dice l'attrice, fu un «grave declino» della sua salute fisica e mentale: «Alcuni incidenti erano così gravi che temevo mi avrebbe ammazzato, intenzionalmente o perché perdeva il controllo: ha esplicitamente minacciato di uccidermi più volte». Ma le violenze sarebbero cominciate già prima delle nozze. Amber ha sostenuto che Johnny le si era inginocchiato sulla schiena e l'aveva colpita alla testa durante una lite sul loro accordo pre-matrimoniale in un hotel di Tokyo. E già nel 2014, durante un volo, l'aveva presa a calci nella schiena e insultata, dicendole che «quando atterriamo, chiamo un po' di fratelli neri» così che potessero stuprarla. Johnny era estremamente geloso, particolarmente quando lei doveva girare scene sexy. Ma soprattutto la accusava di andare a letto praticamente con tutti i suoi partner cinematografici, ai quali lui si riferiva con nomignoli derisori: Leonardo di Caprio, per esempio, era «testa di zucca». Perché Amber si sia messa con un tipo così, resta un mistero. Ieri in aula lei ha raccontato di quanto all'inizio lo avesse trovato romantico e affascinante: prima di essere costretta ad affrontare il «mostro» che era in lui. Ma anche lei non emerge dal processo come una vittima innocente: Depp non solo nega tutti gli addebiti, ma sostiene che la violenta era in realtà Amber. E in effetti ieri i legali dell'attore hanno fatto ascoltare in aula una registrazione presa di nascosto da lui durante una delle loro liti: e si sente Amber ammettere di aver preso a pugni Johnny, dopo di che lei lo insulta chiamandolo «grosso fottuto bambino» e cose simili. L'attrice ha anche dovuto confessare di aver scagliato vasi e pentole contro il marito: ma sostiene di averlo fatto solo per difendersi da lui. Depp ha chiamato a testimoniare in sua difesa anche le ex partner: e sia Vanessa Paradis che Winona Ryder hanno detto di non averlo mai trovato violento. Insomma, la cosa è più complicata del solito copione uomo sadico/moglie vittima: è una storia sordida nella quale nessuno può proclamarsi innocente. Vedremo come andrà a finire.
Francesco Malfetano per il Messaggero il 20 luglio 2020. IL CASO «Wino forever». Ubriaco per sempre. Il tatuaggio più famoso di Johnny Depp, l' attore bello impossibile di Hollywood, ora sembra assumere un tono beffardo. Dagli strascichi del processo per maltrattamenti che sta affrontando dopo le accuse dell' ex moglie Amber Heard, sono emersi tanti curiosi dettagli. In particolare l' attore classe 1963 avrebbe speso per anni 30 mila dollari al mese in vino. «Un investimento» si è giustificato, spiegando di aver dilapidato in tutto 750 milioni di dollari, vale a dire quasi tutti i suoi guadagni da inizio 2000. Ad esempio ha speso 3,5 milioni di dollari per un' isola privata con sei spiagge nelle acque di Tahiti e 75 milioni per un numero imprecisato di proprietà immobiliari tra appartamenti a Los Angeles, fattorie nel Kentucky e tenute nelle campagne francesi poi rivendute per appianare i debiti.
CATTIVI CONSIGLIERI. Alcuni ex consiglieri dell' attore, gli stessi che ora Depp accusa di aver mal gestito il suo patrimonio non pagando le tasse per 16 anni, sostengono che per tutto il 2017 Depp avrebbe speso 2 milioni di dollari al mese in opere d' arte (Warhol, Basquiat e Modigliani), automobili, piccoli oggetti di lusso e arredamento. Ben 7mila dollari ad esempio, l' ex capitano Jack Sparrow della saga Pirati dei Caraibi, li avrebbe sborsati solo per un banalissimo divano che sua figlia Lily Rose aveva visto in una serie tv. Spese pazze che parrebbero aver trascinato l' attore in una sorta di circolo dell' autocompiacimento che fa pensare ad una sindrome da acquisto compulsivo. Una vera e propria malattia che, nonostante se ne parli poco perché non ancora definita a livello ufficiale, affligge già milioni di persone nel mondo. «Modernamente è classificato tra le nuove dipendenze - spiega lo psicologo e psicoterapeuta Stefano Lagona - una categoria diagnostica ancora in definizione. Ma sicuramente è una patologia che peraltro con le tecnologie a disposizione, e ora anche con il lockdown, colpisce un numero sempre maggiore di persone». In particolare, in Italia, secondo le stime ne soffrirebbe «circa il 5% delle donne e degli uomini tra i 30 e i 40 anni».
INSTABILITÀ. Persone comuni che, come spiega Roberto Pani, psicoterapeuta bolognese che tra i primi si è occupato del tema nella Penisola, «spesso vivono situazioni di instabilità notevole per ragioni che può essere impossibile individuare. Comprare oggetti, spesso costosi, li fa sentire vivi». L' acquisto diventa una forma di «autocompiacimento che genera un senso di euforia e libera delle endorfine». Un piacere momentaneo che cede subito il passo ad angoscia e senso di colpa che però, per essere placate, «portano a tornare in negozio e spendere 3 o 4 volte di più - dice Pani - È il modo che queste persone trovano per non dare valore all' acquisto fatto in precedenza». L' incidenza del fenomeno peraltro, «sembra aumentare in maniera preoccupante», aggravandosi nella sua estensione digitale. «Online si perde il contatto fisico con il denaro - dice Lagona - e soprattutto, restando dietro ad uno schermo, si riesce a sfuggire allo sguardo altrui vivendo il proprio disagio in intimità e finendo in una spirale difficile da superare». Nonostante non ci siano ancora dati ufficiali più recenti infatti, il lockdown ha avvicinato allo shopping digitale una grossa fetta di popolazione. «Dal punto di vista economico è senza dubbio interessante - conclude l' esperto - da quello sanitario potrebbe però creare grossi problemi a lungo termine».
F. Mal. Per il Messaggero il 20 luglio 2020. Al culmine della sua dipendenza è arrivato a chiedere un finanziamento da diverse migliaia di euro per continuare con gli acquisti compulsivi. È la storia di un 40enne torinese, libero professionista, sposato ma senza figli, che in pochi anni ha dilapidato non solo il patrimonio familiare ma si è anche indebitato. In particolare l' oggetto del desiderio erano orologi. Sportivi, classici, più o meno rifiniti. Tutti diversi ma con un elemento in comune: il costo elevato. Beni di lusso che l' uomo ha acquistato per almeno 2 anni a ritmo serrato, fino ad indebitarsi appunto, con l' unico fine di rimarcare il proprio prestigio sociale e trarre piacere dall' affare. «Collezionismo» ha detto la prima volta che ha parlato con il suo psicoterapeuta, rifiutandosi di riconoscere di avere un problema.
DAL POLSO AL CASSETTO. Solo che quegli orologi di pregio, terminato rapidamente l' entusiasmo per la ricerca e la contrattazione, sono finiti presto in un cassetto. Né venivano portati al polso né mostrati ad alcuno. «Il piacere sta nell' acquisto e non nell' oggetto in sé» spiegano infatti tutti gli esperti di questa particolare patologia «una volta comprato, diventa secondario. Anzi si tende a nasconderlo per non alimentare il proprio senso di colpa». Dalla sindrome da shopping però, si può guarire anche se spesso è complicata da altri tipi di disturbi. «La nostra vittoria è stata aver compreso che la sua non era una collezione - spiega lo psicoterapeuta che l' ha avuto in cura - ma un sintomo che qualcosa nella sua vita non avesse funzionato».
Johnny Depp, il divorzio da Amber Heard e i messaggi choc in tribunale: «Affoghiamola e bruciamola». Pubblicato venerdì, 28 febbraio 2020 su Corriere.it da Federica Bandirali. I toni accesi e violenti nella causa di divorzio tra Johnny Depp e Amber Heard sembrano non avere fine: sono stati infatti resi pubblici una serie di messaggi che l’attore avrebbe inviato al collega Paul Bettany, nel novembre 2013 quando ancora era sposato con la Heard. «Bruciamo Amber. Anzi, prima affoghiamola e poi bruciamola. Poi mi occuperò del suo cadavere». Stando alle indiscrezioni riportate dal Sun, sono veri e propri messaggi choc quelli emersi durante l’udienza preliminare per la causa intentata da Depp contro lo stesso tabloid britannico Sun, accusato di aver pubblicato un articolo in cui sosteneva che l’attore avesse usato più volte violenza nei confronti dell’ex moglie. Per spiegare queste affermazioni è intervenuto, rispondendo a una richiesta di Yahoo Entertainment, l’avvocato di Depp, Adam Waldman, ha dichiarato: «I media non riferiscono solo che di un singolo messaggio infelice di un abuso immaginario a un amico estrapolandolo dal contesto, ma Johnny confida anche all’amico, sempre nella stessa serie di messaggi, che in realtà non avrebbe mai potuto fare del male ed esprimere la sua rabbia sulla persona che ama». Depp, circa un anno fa, davanti alle autorità, aveva dichiarato di non aver mai alzato le mani contro Amber Heard che, a detta del divo, «si presentava in tribunale con lividi dipinti per ottenere ordini restrittivi, ma la vittima ero io». A sostegno proprio di questa tesi, pochi giorni fa, è spuntata una vecchia registrazione di una seduta di terapia di coppia dei due in cui Amber ammette di aver colpito e picchiato Depp: «Mi dispiace non averti preso in faccia con un vero schiaffo, ti stavo colpendo, ma non ti ho dato un pugno» si sente in questo documento audio. Un divorzio, il loro, che è sicuramente tra i più violenti e più controversi di tutta la storia di Hollywood.
Valentina D'Amico per "movieplayer.it" il 18 marzo 2020. Amber Heard ammetterebbe di aver sbattuto una porta sulla testa di Johnny Depp in una delle registrazioni audio presentate dagli avvocati dell'attore nella causa di diffamazione contro l'ex moglie. Nella registrazione l'attrice 33enne specificherebbe di aver colpito la star dei Pirati dei Caraibi sulla mascella scusandosi dell'accaduto. Ecco le sue parole: "Mi dispiace così tanto ... ricordo di averti colpito come risposta a quella cosa della porta. Mi dispiace davvero di averti colpito con la porta e di averti colpito in testa. Non era mia intenzione." Gli avvocati di Johnny Depp hanno fatto sentire la registrazione ad Amber Heard nell'agosto 2016 mentre lei stava realizzando una deposizione video per la causa di divorzio. Nell'audio si sente Johnny Depp esclamare: "Sono stato colpito in testa con un fottuto spigolo della porta... E poi mi sono alzato e tu mi hai colpito." Lei replica: "Non ho fatto questa cosa con la porta... non volevo colpirti." Nella deposizione, dopo aver ascoltato l'audiotape, Amber Heard ripete più volte che non l'ha fatto apposta a sbattere la porta sulla faccia di Johnny Depp: "Stavo cercando di scappare da una stanza in cui Johnny mi stava attaccando. Stavo cercando di uscire dalla porta e lui cercava di tenermi dentro nonostante i miei tentativi di uscire." Per quanto riguarda le scuse rivolte all'ex marito, l'attrice commenta: "Era chiaro che ero dispiaciuta di averlo colpito con la porta quando è entrato nella stanza in cui mi trovato e da cui cercavo di scappare." Amber Heard aggiunge poi nella deposizione che la registrazione audio "non rappresenta adeguatamente la situazione in cui mi trovavo, con lui che cercava di entrare nella stanza e io che cercavo di tenerlo fuori." Gli audiotape - realizzati come parte di una terapia di coppia - sono riemersi quando Johnny Depp e Amber Heard si sono preparati a recarsi in tribunale dopo che l'attore ha citato l'ex moglie per diffamazione chiedendo 50 milioni di dollari di risarcimento dopo che lei ha raccontato la sua esperienza di vittima di violenza domestica in un'intervista sul Washington Post senza però nominati Depp.
Carlo Lanna per "ilgiornale.it" il 28 febbraio 2020. La vicenda che riguarda Johnny Depp e Amber Heard si arricchisce di particolari a dir poco macabri e scabrosi. Il divorzio tra i due divi di Hollywood in poco tempo si è trasformato in un vero e proprio caso di violenza fisica e domestica, un caso che ha regalato molti colpi di scena, accuse e recriminazioni da parte di entrambi. Ora come ha riportato il The Sun, in un articolo di quale ora fa, pubblicato proprio il 27 febbraio, è stato rivelato il testo di un messaggio di Johnny Depp inviato all’attore Paul Bettany. Un testo che non lascia presagire nulla di buono, e che getta un’ombra oscura su un divorzio di per sé molto tormentato. "Bruciamo Amber. Facciamola affogare prima di bruciala", si legge dal messaggio di testo. Sarebbe stato proprio l’attore a scrivere di suo pugno queste parole in un sms inviato poi a un suo amico e collega di set. E il testo è stato letto in aula, a Londra, nel corso del processo di Depp contro il The Sun, celebre tabloid scandalistico. L’attore ha intentato una causa contro il magazine, accusando i "piani alti" di aver pubblicato diversi articoli in cui lui stesso veniva accusato di comportamenti violenti e discriminatori nei confronti di Amber Heard. I messaggi che sono stati letti durante il processo non sono recenti, anzi risalgono al 2016, poco dopo che la lite tra i due ha iniziato a prendere forma. Come riporta il tabloid, a questi messaggi così forti, sarebbe susseguito anche una nota vocale altrettanto agghiacciante. In quell’audio si acuisce ancora di più la situazione di Johnny Depp, dato che si intuisce molto chiaramente le aggressioni verbali che la Heard avrebbe subito. Una vicenda però che è così complessa e difficile da sbrogliare che, sia l’accusa che la difesa, non riescono a comprendere dove finisce la bugia e dove inizia la verità. Durante tutto questo tempo Depp si è sempre difeso ammettendo di non aver mai aggredito la sua ex, rivelando che la stessa Heard avrebbe montato un caso mediatico solo per attirare l’attenzione su di lei, ma anche in questo caso, tutto è ancora da verificare. Sta di fatto che la separazione tra i due ha complicato le rispettive carriere in campo cinematografico. La Heard ad esempio, co-protagonista nel film di "Aquaman", potrebbe essere estromessa dal sequel.
Luana Rosato per ilgiornale.it il 3 febbraio 2020. Il matrimonio tra Amber Heard e Johnny Depp è finito dopo 18 mesi e l’attrice aveva accusato l’ex marito di averla ripetutamente picchiata nel corso del loro legame. Quelle dichiarazioni le erano valse una denuncia per diffamazione e la richiesta di un risarcimento danni pari a 50 milioni di dollari. Depp aveva deciso di agire legalmente in seguito all’intervista rilasciata dalla Heard al Washington Post nel 2018, in cui lei parlava di ripetuti abusi e violenze domestiche che, secondo gli avvocati dell’attore, erano falsi e finalizzati solo a favorire la carriera della donna. Ad oggi, però, sembra che la situazioni si sia completamente ribaltata in seguito ad alcuni audio pubblicati dal Daily Mail in cui Amber Heard, parlando con Johnny Depp, ammette di essere stata lei ad avere usato violenza nei confronti dell’ex marito. In un eccesso d’ira, l’attrice parla di lancio di “pentole, padelle e vasi”, ma anche di pugni mancati e spintoni. Dopo lo sfogo avvenuto la sera precedente, la Heard contatta telefonicamente Depp e parla di quanto avvenuto tentando di minimizzare l’accaduto. “Mi dispiace non averti colpito in faccia con un vero schiaffo, ti stavo colpendo ma non ti ho dato un pugno. Tesoro, non sei stato preso a pugni – si ascolta nell’audio - . Non so quale sia stato il movimento della mia mano, ma stai bene, non ti ho ferito, non ti ho dato un pugno, ti stavo colpendo”. L’attrice, dunque, parla all’ex marito dello scontro avvenuto la sera precedente, mentre lui appare abbastanza affranto per ciò che è successo tanto da utilizzare il termine “scena del crimine”. “Sono partito ieri sera. Onestamente, te lo giuro, perché non riuscivo a sopportare l’idea di un altro scontro fisico, di altri abusi fisici fra noi – replica Johnny Depp nell’audio pubblicato - . Perché se avessimo continuato sarebbe andata fottutamente male. E piccola, te l’ho già detto. Sono spaventato a morte, in questo momento siamo una fottuta scena del crimine”. A queste preoccupazioni, lei risponde ammettendo di non essere certa che, quanto successo poche ore prima, non potrebbe verificarsi ancora una volta. “Non posso prometterti che non arriverò di nuovo alle mani. Dio, a volte mi arrabbio così tanto da perdere il controllo”, commenta ancora lei. Gli audio pubblicati sul quotidiano e forniti da una persona a conoscenza dei fatti verranno inseriti come prove a favore di Johnny Depp nel processo in corso contro la ex moglie.
Gli audio che incastrano Amber Heard: picchiava Johnny Depp. Audio shock incastrano Amber Heard: nei vocali pubblicati dal Daily Mail, l'attrice parla di violenze nei confronti dell'ex marito Johnny Depp. Luana Rosato, Lunedì 03/02/2020, su Il Giornale. Il matrimonio tra Amber Heard e Johnny Depp è finito dopo 18 mesi e l’attrice aveva accusato l’ex marito di averla ripetutamente picchiata nel corso del loro legame. Quelle dichiarazioni le erano valse una denuncia per diffamazione e la richiesta di un risarcimento danni pari a 50 milioni di dollari. Depp aveva deciso di agire legalmente in seguito all’intervista rilasciata dalla Heard al Washington Post nel 2018, in cui lei parlava di ripetuti abusi e violenze domestiche che, secondo gli avvocati dell’attore, erano falsi e finalizzati solo a favorire la carriera della donna. Ad oggi, però, sembra che la situazioni si sia completamente ribaltata in seguito ad alcuni audio pubblicati dal Daily Mail in cui Amber Heard, parlando con Johnny Depp, ammette di essere stata lei ad avere usato violenza nei confronti dell’ex marito. In un eccesso d’ira, l’attrice parla di lancio di “pentole, padelle e vasi”, ma anche di pugni mancati e spintoni. Dopo lo sfogo avvenuto la sera precedente, la Heard contatta telefonicamente Depp e parla di quanto avvenuto tentando di minimizzare l’accaduto. “Mi dispiace non averti colpito in faccia con un vero schiaffo, ti stavo colpendo ma non ti ho dato un pugno. Tesoro, non sei stato preso a pugni – si ascolta nell’audio - . Non so quale sia stato il movimento della mia mano, ma stai bene, non ti ho ferito, non ti ho dato un pugno, ti stavo colpendo”. L’attrice, dunque, parla all’ex marito dello scontro avvenuto la sera precedente, mentre lui appare abbastanza affranto per ciò che è successo tanto da utilizzare il termine “scena del crimine”. “Sono partito ieri sera. Onestamente, te lo giuro, perché non riuscivo a sopportare l’idea di un altro scontro fisico, di altri abusi fisici fra noi – replica Johnny Depp nell’audio pubblicato - . Perché se avessimo continuato sarebbe andata fottutamente male. E piccola, te l’ho già detto. Sono spaventato a morte, in questo momento siamo una fottuta scena del crimine”. A queste preoccupazioni, lei risponde ammettendo di non essere certa che, quanto successo poche ore prima, non potrebbe verificarsi ancora una volta. “Non posso prometterti che non arriverò di nuovo alle mani. Dio, a volte mi arrabbio così tanto da perdere il controllo”, commenta ancora lei. Gli audio pubblicati sul quotidiano e forniti da una persona a conoscenza dei fatti verranno inseriti come prove a favore di Johnny Depp nel processo in corso contro la ex moglie.
Valentina D’Amico per movieplayer.it il 6 febbraio 2020. La causa legale tra Johnny Depp e Amber Heard a una svolta dopo la diffusione di un audio, reso pubblico dal Daily Mail, in cui l'attrice prende in giro l'ex marito sostenendo che nessuno lo crederà mai vittima di violenza domestica. La relazione burrascosa tra Johnny Depp e Amber Heard avrebbe avuto svolte impreviste in un audio telefonico del 2017 diffuso dal Daily Mail in cui l'attrice ammette di avere accessi di rabbia e di essere stata più volte violenta nei confronti di Depp. Non è chiaro se la Heard sia consapevole di essere registrata nel corso della telefonata. L'audio fa riferimento, tra le altre cose, alla lite avuta in Australia da cui Depp è uscito con un dito lacerato da una bottiglia rotta. Secondo la testimonianza della Heard, Depp si sarebbe ferito mentre era sotto l'effetto dell'ecstasy e avrebbe continuato a scrivere sms con il dito sanguinante, ma dall'audio messo agli atti Amber Heard ammetterebbe la violenza contro l'attore esclamando: "Dì alla gente che è stata una lotta pari. Dì al mondo, Johnny Depp, io Johnny Depp, un uomo, anche io sono vittima di violenza domestica. Vediamo quanti ti crederanno" Ma Depp interrompe la discussione esclamando: "Non importa. Lotta pari un corno". Amber Heard prosegue: "Perché sei più alto e più forte di me. Perciò se dico che pensavo che potessi uccidermi, non conta che tu hai reagito perdendo quasi il tuo dito. Non sto cercando di attaccarti, sto solo cercando di farti capire perché volevo chiamare il 911. Perché avevi le tue mani su di me dopo che mi hai gettato il telefono in faccia. La situazione è degenerata nel passato, e devo fermare questa follia prima di farmi male sul serio." Johnny Depp sembra infastidito da questa ricostruzione dei fatti e replica "Oh mio Dio. Credi davvero a tutto questo Amber? Ci credi?" per poi chiedere all'ex moglie: "Ci credi che sei violenta? Che mi hai fatto violenza?" Facendo riferimento a un incidente occorso tra i due, Amber Heard si rivolge al marito dicendo: "Mi dispiace di non aver messo la mano nel modo giusto, con uno schiaffo, ma ti stavo colpendo, non ti stavo dando un pugno. Babe, non ti ho dato un pugno".
· Johnny Dorelli.
Roberta Scorranese per il Corriere della Sera il 15 settembre 2020. Questa è la storia di un musicista che da Meda, comune brianzolo, un giorno partì per l' America. Era l' ottobre del 1946, la guerra era finita da un anno ma in Italia non c' era da mangiare. Specie per il signor Giovanni Guidi, detto Nino D' Aurelio, cantante e padre di Giorgio, un bambino di nove anni che si stava per imbarcare sulla nave Sobieski. Destinazione: Nuova York, anche se nonna Pasquina piangeva disperata perché pensava che l' America fosse in Africa. Il cammino che porterà il piccolo Giorgio a diventare Johnny Dorelli è raccontato in «Che fantastica vita», la prima autobiografia del musicista, attore e conduttore oggi ottantatreenne, scritta assieme a Pier Luigi Vercesi.
La sua vita, a leggerla, sembra un film: l' America degli anni 40 e 50, i teatri di Broadway, la gavetta.
«Sono un uomo felice: ho sempre fatto tutto quello che ho ritenuto giusto».
Per dirla con Frank Sinatra, «I did it my way».
«Divertente. Ma Sinatra non l' ho conosciuto bene, ho frequentato molti altri come per esempio Giuseppe Di Stefano, grande tenore, purtroppo rovinato dal gioco».
Non solo. Lei racconta una scena incredibile: una cena con Lucky Luciano.
«A pensarci oggi mi sembra una cosa assurda, ma andò così: avevo 13 anni e fummo costretti a tornare in Italia, passando per Napoli. Qui viveva Igea Lissoni, un' amica della mamma, che ci invitò a cena. A tavola riconobbi subito Luciano: viveva lì, estradato da New York nel 1946 dopo essere stato graziato, a patto di lasciare il territorio americano, per i "servizi" resi durante la Seconda guerra mondiale».
E in America aveva conosciuto anche Joe Barbàra.
«Ce lo presentò "don" Paolino Palmeri a cui venimmo affidati dopo la morte dell' agente di papà. Insistette per farmi guidare una costosa auto ma quando cercai di parcheggiarla la sfasciai. "Non preoccuparti, mi disse, si fa aggiustare"».
Tornato in Italia, iniziò per lei una lunghissima gavetta. Non tutti sanno che uno dei maggiori ostacoli alla sua carriera è stata la «r» moscia.
«Eccome! All' epoca non c' era tutta questa fascinazione per l' esotico che c' è oggi e quello era un difetto, punto. Giulio Razzi, direttore della musica leggera radiofonica di allora, arrivò a spezzare in due i miei dischi quando gli arrivavano in mano e non faceva "passare" le mie canzoni».
E come risolse il problema?
«Allora non c' erano logopedisti, dunque si andava dagli attori più vecchi che avevano risolto il problema. Io ne consultai tre. Il metodo più efficace era quello di imparare a pronunciare la "r" sostituendola con la "d": "rincorrere" diventava "dincoddede"».
Poi due vittorie consecutive al Festival di Sanremo, assieme a Domenico Modugno, nel 1958 e nel '59.
«Ricordo il debutto: mi venne la febbre per l' emozione, ero deciso a non salire sul palco. Allora Modugno mi si avvicinò, mi mollò un ceffone e mi trascinò sul palcoscenico».
La canzone era «Nel blu, dipinto di blu», di Modugno e Migliacci.
«Pochi immaginano le battaglie che si combattevano e che si combattono ancora oggi dietro le quinte del festival. Ricordo bene quanto si batté Ladislao Sugar, grande editore e produttore discografico, per aiutarmi a emergere».
Una volta lei Sanremo lo ha pure presentato.
«Sì e non dimenticherò mai la bravura di un' artista straordinaria come Mia Martini».
Leggere la sua vita è come ripercorrere anche la storia del gossip. Le hanno attribuito ogni tipo di flirt.
«Con tanto di scenate da parte di nonna Pasquina: per lei, o sposavo una ragazza di Meda, o nessun' altra poteva andare bene. Temo ne avesse puntata una di Seregno. Figuriamoci quando scrissero che avrei sposato Connie Francis!».
Però poi, dopo Lauretta Masiero e Catherine Spaak, è arrivata Gloria Guida.
«Stiamo insieme da quarantuno anni, abbiamo una figlia e questo è tutto quello che dico sulla mia vita privata».
Può dirmi che padre è stato Johnny Dorelli?
«Ho avuto tre figli (Gianluca, Gabriele, e Guendalina, ndr ). Sono stato spesso via per lavoro, ma non credo di essere stato un cattivo padre.
In ogni caso, bisognerebbe chiedere a loro».
E a quale delle sue canzoni ripensa con maggiore struggimento?
«L'arrotino. Anche perché vuoi vedere come viene con la "r" moscia?».
Anticipazione da “Tv Sorrisi & Canzoni” il 15 settembre 2020. Il prossimo 22 settembre uscirà per Mondadori l’autobiografia di Johnny Dorelli “Che fantastica vita”. Così Sorrisi l’ha intervistato in anteprima e in esclusiva (nel numero in edicola il 15 settembre) per farsi raccontare direttamente gli episodi più curiosi e interessanti di una carriera straordinaria: «Ho sentito il desiderio di parlare. Ho detto solo la verità, non ho inventato nulla». Tra gli incontri più importanti quello con Mike Bongiorno a New York quando entrambi lavoravano alla radio Whom: «Mike era l’unico che riceveva “La Gazzetta dello sport". Io ero molto giovane rispetto a lui, malgrado questo la “Gazzetta” gliela rubavo lo stesso». Ma non è tutto. Nell’intervista a Johnny ci sono anche le storie dei suoi amori con donne bellissime tra cui Lauretta Masiero da cui ebbe il primo figlio, Gianluca: «Non era facile nell’Italia di allora. Non mi sentii di sposarla: aveva dieci anni più di me». E poi ancora il suo rapporto con Domenico Modugno, l’avventura al cinema e il ricordo di quella volta in cui si ritrovò a cena con un gangster italoamericano…
· Jon Bon Jovi.
Bon Jovi: il rock è politica. Pubblicato venerdì, 06 marzo 2020 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. Bon Jovi come JFK. Sulla copertina di «Bon Jovi 2020», nuovo album della band in arrivo il 15 maggio, c’è uno scatto in bianco e nero del rocker con un paio di occhiali da sole in cui si riflette la bandiera americana e sullo sfondo il tribunale di New York. «È un omaggio a una foto di Kennedy che ho visto in un negozio di occhiali e che poi ho comprato e appeso in casa. Lui è pensieroso e nel riflesso delle lenti si vede la folla cui stava per parlare: perfetta ispirazione per un disco meditativo come questo».
La bandiera, il riferimento all’anno delle elezioni, il duetto con l’ex principe Harry per gli Invictus Games, le Olimpiadi dei veterani di guerra... si butta in politica?
«Nel titolo c’è un riferimento facile e ironico all’anno elettorale, ma quello che voglio dire è che adesso ho una visione chiara, 20/20 (il corrispettivo del nostro dieci decimi ndr). Ci sono arrivato dopo il periodo complicato da cui erano nati i dischi precedenti, quelli nati in un periodo complicato fra l’abbandono di Richie Sambora o la lite con la casa discografica, e cose personali come il tentativo non riuscito di comprare una squadra di football...».
La copertina sembra un manifesto elettorale. Se diventasse presidente?
«Parlerei di “noi”, parola che stiamo perdendo dal vocabolario, e non di “me”. L’America di oggi è tutta un “me”, siamo divisi e temo che da qui alle elezioni lo saremo ancora di più, ma c’è un’opportunità per qualcuno fra i democratici di dare vita a una piattaforma che unisca».
JFK e Trump?
«Non voglio tirare pietre a quel tipo perché sarebbe troppo facile... JFK, come il fratello, voleva cambiare il mondo una volta per tutte e farci sognare. Trump è un autocrate».
Fra ballad romantiche e i classici inni rock da stadio è un album in cui l’agenda politica entra nei testi...
«Ma senza schierarsi. Cerco il dialogo, non la lite».
«Lower the Flag» fa riferimento alle stragi di massa...
«Anche in questo caso non voglio litigare ma fare una domanda: se accadesse nella tua famiglia? È nata dopo le stragi di El Paso e Dayton di quest’estate, una il giorno dopo l’altra. Sarebbe facile spegnere la tv e dimenticare, ma mi è rimasto qualcosa dentro».
«Blood in the Water» parla di un altro argomento che divide: i migranti e chi li vorrebbe rimandare indietro.
«I migranti che vengono in Italia o quelli che arrivano in America dal Messico cercano una vita migliore. Eppure sentiamo commenti ignoranti, “non me ne frega nulla, rimandiamoli indietro”. Sulla Statua della libertà c’è scritto: “datemi i vostri stanchi, i vostri poveri” e in passato l’America li ha adottati. Il mio trisavolo ha lasciato l’Italia per venire in America. Il New Jersey dove sono cresciuto sarebbe vuoto oggi se non fosse per gli italiani e gli irlandesi».
Si sta abituando a lavorare senza Sambora, chitarrista e suo partner storico?
«Sono al terzo album e a circa 180 concerti senza di lui. Non è stato facile. Ho scoperto di avere la forza di due uomini e la natura selvaggia di dieci. Ho scritto canzoni da solo anche prima, quello che mi è mancato è stata l’amicizia Mi ha aiutato vedere qui a Londra un concerto organizzato da Mick Fleetwood per omaggiare Peter Green, il vecchio compagno nei Fleetwood Mac. Con lui sul palco c’erano Pete Townshend che ha visto morire Moon e Entwistle, Gilmour che non parla più con Waters, Steven Tyler che ha avuto i suoi alti e bassi con Joe Perry: tutti sono passati da quello che ho vissuto io eppure li ho visti divertirsi ancora».
Vi ha dato fastidio non essere stati mai considerati cool dalla critica musicale?
«Oggi l’abbiamo superato e siamo rispettati, ma negli anni 80 c’è stato un momento in cui nella categoria hard rock dei Grammy vincevano i Jethro Tull e non “Slippery When Wet”, nostro disco da 20 milioni di copie... Per questo con “New Jersey” volli dimostrare cosa fossimo capaci di fare. Adesso sento di non dover dimostrare più nulla. Nei mesi scorsi ho invitato Springsteen e McCartney nel mio studio per fargli sentire “Lower the Flag”, così, voce e chitarra. Parlo di musica a tu per tu con i miei miti: ce l’abbiamo fatta».
· Jonas Kaufmann.
Giuseppina Manin per il “Corriere della Sera” il 3 giugno 2020. «Ho sempre sognato una pausa lunga, un periodo tutto per me. Sono stato esaudito. Anche se in modo esagerato». Scherza al telefono Jonas Kaufmann, numero uno tra i tenori, il più conteso nei teatri del mondo. Eppure, come tutti, anche lui ora si ritrova con l' agenda piena di cancellature e punti di domanda.
L' ultima volta che è andato in scena?
«Lo scorso dicembre qui a Monaco con Die tote Stadt. Mai avrei immaginato che la città morta dell' opera di Korngold sarebbe diventata da lì a poco proprio la mia. E in più moltiplicata all' infinito. È stato impressionante vedere le piazze più famose, da San Marco al Colosseo, dalla Concorde a Trafalgar Square, totalmente deserte. Senza più tracce di vita. Quel titolo è stato un presagio».
E quando è scattato il lockdown, cosa ha fatto?
«Mi sono chiuso in casa! Una scorpacciata di famiglia con mia moglie (la regista Christiane Lutz) e nostro figlio Valentin, che ha un anno. Il più felice di tutti. Con i genitori sempre in giro per lavoro, non gli è parso vero».
Nel frattempo lei non si è fermato. Ha registrato un album di «Christmas Songs» che ascolteremo a dicembre.
«Un dono di Natale per il mio bimbo e per tutti i bimbi del mondo. Dovrei presentarlo in un tour europeo, ma il condizionale è d' obbligo».
Sempre per Sony, è in uscita il cd di «Otello», nuova registrazione con Santa Cecilia diretta da Pappano.
«Un' altra tappa del mio lungo viaggio dentro il cuore nero del Moro. Nel 2017 il debutto a Londra con Pappano, l' anno dopo a Monaco con Petrenko. Poi il dvd, il cd Otello è cresciuto dentro di me, mi ha svelato la sua fragilità. È uno straniero, un musulmano, un uomo di colore. Il suo successo militare, l' aver sposato la figlia di un senatore veneziano, sono i pilastri del suo ruolo sociale. Ma il piedistallo è d' argilla, una goccia del veleno del dubbio e tutto va a pezzi».
Mettere in risalto la complessità dei personaggi è una sua costante.
«Persino con i giganti wagneriani. Mi piace cercare la parte segreta di Lohengrin, di Parsifal. Il lato macho mi fa sorridere, non mi piacciono i supereroi. Gli esseri umani sono molto più interessanti».
E con «Otello» non finirà qui.
«La prossima stagione tornerò nel ruolo a Napoli, una nuova edizione per l' apertura del San Carlo. Maria Agresta sarà Desdemona, Michele Mariotti sul podio e l' allestimento di Mario Martone. Lo ammiro, sono impaziente di conoscere quale sarà il suo sguardo».
Di un suo «Otello» si era parlato anche alla Scala...
«Pereira dev' essersi confuso, ha annunciato qualcosa che non aveva in tasca».
Il primo impegno «live»?
«A Napoli a fine luglio, il 28 e il 31. Nella scenografica e vastissima piazza Plebiscito, distanze di sicurezze garantite per tutti. Canterò Aida in versione di concerto diretta da Michele Mariotti, voci femminili Anna Pirozzi e Anita Rachvelishvili. Un'idea del sovrintendente Lissner per far ripartire l'opera».
Riaperture solo all'aperto.
«Non necessariamente. A settembre sarò all' Opera di Vienna con il Don Carlos versione francese, e al castello di Schönbrunn con i Wiener. Un concerto per 100mila persone. Open air, ma comunque tante».
Sotto le stelle anche il suo primo appuntamento italiano, all' Arena di Verona il 17 agosto 2021.
«Doveva essere quest' estate ma abbiamo deciso di rimandare. È una vita che sogno di cantare in Arena e vorrei fosse piena, vorrei vedere tutte le fiammelle illuminate per me. Mi avevano chiesto un programma tutto wagneriano, ma non mi sento così tedesco. Wagner ci sarà, ma con Verdi e Puccini».
Lei ha fatto molti concerti in streaming a sostegno dei cantanti senza lavoro. Quale futuro per la musica?
«Sarà una catastrofe. Non ci saranno mai soldi per ricostruire tutto. I più a rischio sono i giovani artisti: molti cambieranno mestiere. E tra una decina d' anni non ci sarà una generazione nuova a sostituire noi "vecchi". E le regie? Torneranno agli anni '70 quando ognuno cantava per conto suo, lontano dall' altro anche nei duetti d' amore? Di certo si vedranno meno stravaganze. Forse non sarà male».
Pensando positivo, a quando un suo ritorno alla Scala?
«Con il sovrintendente Meyer ci siamo incontrati a Vienna. Ci sono progetti in corso, ne stiamo parlando. Ho molta voglia di tornare a Milano con un titolo italiano».
· Jordan Jeffrey Baby, ossia Jordan Tinti.
Cristina Antonutti per ilgazzettino.it il 30 gennaio 2020. Jordan Jeffrey Baby 23, il trapper lombardo che a dicembre ha promosso il suo singolo sputando e saltando sull’auto dei Carabinieri, ha dichiarato «guerra» alle istituzioni. Il proclama lo ha postato su Instagram da Pordenone. Sì, da Pordenone. Perchè è il questore Marco Odorisio, dopo aver visto i filmati pubblicati sul social contro la Polizia di Stato, che lo ha diffidato dal tornare in città per i prossimi due anni. La reazione del trapper, Jordan Tinti il suo vero nome, identificabile dalla rete metallica tatuata in volto, è diventata virale. Ha postato una serie di foto e video che sono stati visualizzati da migliaia di persone (ha 40mila follower su Instagram). Il trapper alloggiava in un bed&breakfast di Pordenone e, contrariamente al regolamento, ha portato una persona in stanza. È stato controllato da una pattuglia della Squadra Volante, sono spuntati 2,65 grammi di hascisc e la serata è finita in Questura per il verbale di rito. Poteva finire lì, ma il giovane una volta uscito dalla Questura ha cominciato a mettere su internet brevi filmati contro polizia, bed& breakfast e la stessa città. «Sarà sempre la trap a vincere - dice - pure me piglio un’altra stanza, che cazzo me ne frega... Brooklyn (il suo singolo, ndr) è fuori da meno di due giorni e ha superato le 30K. La prossima esce un singolo nuovo che spacca tutto». Poi parla del bed&breakfast: «... ho preso una piotta per una camera... mi hanno sfrattato perchè gli sbirri sono venuti a fare irruzione in camera mia». Poi mostra mentre urina sui verbali appena sottoscritti negli uffici della Squadra Volante commentando: «La prossima volta che salgo in piedi su una gazzella non chiedetemi il perché». Per il questore è troppo. Quei verbali il trapper li ha mostrati anche sul web, con i nomi dei poliziotti ben leggibili. Quale sia stata la conseguenza del suo gesto, è lo stesso Jordan Jeffrey a raccontarlo. Sempre su Instagram. Si filma mentre esce per la seconda volta dalla Questura, il cappellino rosso in testa e in mano la diffida del questore Odorisio. Mostra il verbale è sbotta: «Ooooh... certo che siamo in un paese di somari, di asini... diffidato da Pordenone raga, mi dispiace non suonerò ma live in questa città perchè per ogni grammo ho preso un anno di diffida». Il giovane trapper ha comunque obbedito al questore, perchè ha lasciato la città assicurando che «non mi ferma una denuncia (no) neanche un’altra. Non diffidi un Jeffrey, oramai sono comunque in tutta la nazione». Ha esibito il foglio di via su internet, poi sul water di un treno che lo porta lontano da Pordenone adagia i verbali della diffida, vi fa pipì sopra e cerca di bruciali. A dicembre, quando a Napoli è salito sull’auto dei Carabinieri per promuovere il suo brano intitolato Brooklyn, con la sua provocazione ha avuto una risonanza enorme. Il video, infatti, era stato ripreso su Twitter da Matteo Salvini. Il leader della Lega condannava il trapper, ma le visualizzazioni del video hanno avuto un’impennata.
· Julija Majarcuk.
Dagospia il 22 gennaio 2020. Da I Lunatici Radio2. Julija Majarcuk è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. L'attrice, nata in Ucraina e arrivata giovanissima in Italia, ha raccontato: "Quando ho scoperto che avrei voluto recitare? Da bambina, da quando ero piccola facevo sempre gli spettacoli in parrocchia o a scuola. Cercavo sempre di primeggiare, la voglia di palcoscenico l'ho sempre avuta e fortunatamente ci sono riuscita. L'arrivo in Italia? Avevo 19 anni e sono arrivata a Napoli. Napoli è una città che ha delle caratteristiche diverse dalle altre. La prima cosa che mi ha colpito moltissimo è il traffico. Avevo paura ad attraversare la strada. Mi stupì anche l'invadenza simpatica dei napoletani, che dal primo momento che ti conoscevano volevano conoscere tutto della tua vita". Gli incontri più importanti della carriera: "Un incontro affascinante che non ha avuto sviluppo è stato con Giuseppe Tornatore. Mi ha colpito molto. Un'altra persona che è stato un piacere incontrare è stato Vincenzo Salemme. Un grande signore, con enorme cultura. Comico, regista e autore che stimo moltissimo e con cui ho lavorato tanto". Sul set con Tinto Brass, con cui ha girato 'Trasgredire': "Sono ancora grata a quella occasione, se dopo tanti anni faccio ancora questo lavoro è merito di quella occasione. Tinto Brass era preceduto da una fama scandalosa. Ero la protagonista del film, molto coccolata dalla produzione. C'erano delle scene di nudo, ma col mio corpo ho sempre avuto un rapporto di grande serenità. Ho affrontato quel lavoro con grande tranquillità, Tinto era una persona molto seria, di grande cultura, accompagnato sempre dall'onnipresente moglie. Lui e la moglie erano molto uniti, le persone da fuori non lo sanno, Tinto aveva un personaggio col quale giocava. Tra noi c'era complicità, ma io ho messo subito le cose in chiaro. Lui aveva l'abitudine di dare la pacca sul sedere alle attrici, ma io dissi che con me non doveva farlo e lui ha rispettato questo accordo".
· Julio Iglesias.
Francesco Olivo per lastampa.it (INTERVISTA DEL 2017). Tra una partita di calcio, la programmazione di un concerto, un tg spagnolo e una carezza al cane trova il tempo di fare una telefonata in Italia: «Sono Julio Iglesias, potrei essere suo nonno, ma non lo sono. E poi mi creda: mi sono svegliato stamattina sentendomi un ragazzino». La chiamata arriva da Miami, dove il più grande cantante latino di tutti i tempi, lo dicono le cifre, ha appena pubblicato Mexico & Amigos, il suo primo album fatto interamente da duetti.
A 73 anni ha ancora voglia di fare cose nuove?
«Certo. Per sopravvivere devo respirare aria nuova. È stato bellissimo fare duetti. In carriera ho cantato con Sinatra, Stevie Wonder e Sting, ma ero io che interpretavo loro pezzi. Ora è il contrario».
Si metta nei panni dei colleghi: può creare imbarazzo duettare con una leggenda vivente.
«Ma sono io che dovrei essere in imbarazzo. Lo sa come canta bene Joaquin Sabina? Crede che Placido Domingo sia il primo che passa? Non direi».
C’è anche Eros Ramazzotti, lo conosceva?
«Sì, è un grande artista».
Perché il Messico?
«Le canzoni messicane tra gli Anni 50 e 60 sono il massimo esempio di musica latina. So che a voi italiani dicono poco, ma è sbagliato avere solo un’idea folkloristica di quello che sono stati i mariachi».
Vedendo un suo nuovo album, il pubblico si può chiedere: a 73 anni Julio Iglesias canta ancora bene?
«Mille volte meglio».
Dice sul serio?
«Sì. Prima ero un cantante mediocre. Ora sono più interessante».
Come mediocre? Mezzo mondo compra i suoi dischi da 50 anni.
«Lo so, ma ho la prova di quello che dico: ora nei miei concerti canto Caruso di Lucio Dalla. Se ci avessi provato a trent’anni, nemmeno da ubriaco ci sarei riuscito. Ora viene molto bene, anzi Caruso è la cosa che mi fa sentire finalmente un cantante».
Insomma, lei non era bravo: dobbiamo avvertire milioni di fan. Ma lei è modesto?
«Se fossi modesto sarei un cinico. So quello che rappresento per molte persone».
Per esempio un seduttore, oltreché un artista. Le dà fastidio l’etichetta?
«Discorsi del passato, ora seduco solo il mio cane. Deve vedere come mi sta guardando ora».
E ha trovato una definizione?
«Significa dire le cose al momento giusto, basta un secondo e addio seduzione».
Si dirà: è tornato Julio Iglesias.
«Non me n’ero mai andato».
Viene spesso in Italia?
«Non quanto vorrei. Ma la cosa che più fa piacere è che in Australia o in Sud America è capitato spesso che degli italiani mi fermassero per dirmi: “Julio, siamo italiani come te”. Non potevano immaginare che l’interprete di Se mi lasci non vale non fosse italiano».
Lei ha cantato per tutti i potenti, leader democratici e dittatori. Ha mai fatto distinzioni?
«Davanti alla musica i potenti sono persone normali, talvolta anche più deboli».
Quando se n’è accorto?
«Una volta stavo a Punta Cana e ricevo una telefonata da Caracas. Il presidente cinese era in visita da Hugo Chávez e all’inizio della cena gli aveva chiesto: “Vorrei vedere Julio Iglesias”. Non concepiva come in un Paese dove si parla spagnolo io non ci fossi. Così ho preso un aereo e sono arrivato mentre erano al dolce. Abbiamo rimediato un pianoforte e una chitarra, quando ho intonato ’O sole mio Chávez e il presidente cinese si sono alzati e abbiamo cantato tutti e tre insieme. Sembravano due ragazzini».
Trump le piace?
«L’ho molto criticato, ma ora ha un altro compito e dovrà cambiare».
Lo ha mai conosciuto?
«Sì, quando ho cantato nei suoi casinò».
Quale musica ascolta?
«Sento di tutto, ma funziona come per i vini: amo quelli che hanno più di vent’anni. Nei nuovi si sente troppo zucchero, fra qualche anno quello che oggi vale due euro varrà duemila».
Ce l’ha con suo figlio Enrique?
«Lui è bravissimo».
Cosa la colpisce della musica di oggi?
«La gente che balla ai concerti. Prima non succedeva».
Lei non balla?
«Mai fatto. Ed è per questo che, sciatica a parte, sto benissimo. Se avessi ballato, oggi non starei in piedi».
E invece?
«E invece sono stato fermo ed ecco che faccio concerti bellissimi. Per la sciatica mi tocca prendere un po’ di cortisone, ma la vera medicina è il palco. Quando vedo che la gente ha fatto i chilometri per sentire me, si è vestita bene, si è pettinata al meglio, io mi sento bene. È una medicina, davvero non è retorica».
C’è una data per il ritiro?
«È la gente che mi deve cacciare. Sua zia mi ascolta ancora?».
Direi di sì.
«E allora resto».
· Junior Cally.
Mirko Polisano per “il Messaggero” il 12 febbraio 2020. Dal palco dell'Ariston al campo del calcio dilettantistico del Fiumicino 1926. L'ultima trovata, Junior Cally la dedica alla sua città. Ieri pomeriggio il rapper di Focene ha firmato il tesseramento con la società tirrenica che milita nel girone A del campionato di Promozione. Ebbene, sì: il cantante reduce - tra le polemiche - dal festival di Sanremo appena concluso indosserà la maglia dei rossoblù e scenderà in campo: debutto fissato per domenica 23 febbraio in casa contro il Tolfa. «L'ho fatto per la mia città - dice a poche ore dall'ufficializzazione Antonio Signore, alias Junior Cally - sono molto legato a Fiumicino e a Focene. Quando i dirigenti della squadra mi hanno detto che i tifosi paganti allo stadio erano solo 28 mi sono detto che dovevo fare qualcosa, magari giocando la gente viene allo stadio e così la società può guadagnare qualcosa, magari da investire in stipendi per gli altri calciatori che al momento non percepiscono nemmeno un rimborso». Un atto d'amore, dunque, per la sua Focene. «Voglio ribadire - aggiunge il rapper mascherato - che non sono un calciatore e che il mio mestiere è quello di essere un cantante ma se posso fare qualcosa per il mio quartiere sono sempre pronto». La piazzetta, il bar dove la mattina va a fare colazione e dove la settimana scorsa si sono ritrovati amici e sostenitori per la finale del festival, gli scogli dove di notte trova ispirazioni per le sue canzoni. «Focene è bellissima», aggiunge. Eppure Junior Cally un passato da calciatore lo ha avuto, un sogno cresciuto nel mito del Milan e di Shevchenko. «Il rigore segnato a Buffon nella finale di Champions è qualcosa di indelebile, ho i brividi a ripensarci». Quel sogno che anche lui ha sfiorato per un attimo. «Da bambino volevo diventare un calciatore. Ero bravo e ho sostenuto una sorta di provino con osservatori di Parma e Perugia. Alla fine quest'ultimo mi selezionò, al momento delle visite mediche però mi diagnosticarono una malattia che in un primo momento sembrava essere leucemia ma che poi si è rivelata meno grave ma che all'epoca mi costrinse ad abbandonare il mio sogno». Eppure non mancano le polemiche. La città di Fiumicino si è divisa fin da prima del festival. In molti si sono schierati contro il cantante per i testi di alcune vecchie canzoni. Un senatore della Lega arrivò anche a minacciare di togliergli la residenza. «È molto più facile attaccarmi che starmi vicino - conclude Junior Cally - soprattutto pubblicamente ma in privato ho ricevuto tante attestazioni di incoraggiamento. Io ho sempre vissuto il territorio e il prossimo aprile gestirò anche un chiosco sulla spiaggia. Lo stesso dove da ragazzo ho iniziato a lavorare facendo lo spiaggino». «Noi siamo primi in classifica - racconta invece Simone Munaretto, presidente del Fiumicino Calcio 1926 - con l'entrata in squadra di Junior Cally speriamo di poter riempire lo stadio. Lui lo ha fatto per gli altri calciatori, molti dei quali sono suoi amici. Speriamo che in tanti ora vengano a supportarci. Le polemiche? Il rapper è sempre contro corrente. Eminem a mio avviso - conclude Munaretto - nei suoi testi dice anche cose peggiori». E c'è chi ora spera che Cally a Fiumicino faccia parlare di sé solo per i gol.
Rita Vecchio per leggo.it il 4 febbraio 2020. Lungomare di Sanremo. Ore 9,25. Il mare è piatto. Vola un gabbiano. C’è chi sorseggia un caffè, chi porta il cane a passeggio, chi va in bicicletta. Passano due ragazzi che fanno jogging: pantaloncini corti e felpa con cappuccio. Uno dei due ha un tatuaggio evidentissimo sulla mano destra: è l’occhio di Junior Cally, il rapper di Focene che ha infiammato il Festival ancor prima di esibirsi. Corre sulla ciclabile come un Rocky di periferia. Lo chiamo: «Junior Cally?». Non risponde. Lo richiamo: «Junior Cally?». Niente, continua, anzi accelera. «Certo che, se è vero che ti droghi, corri veloce». Inchioda. Si gira. «Io non mi drogo. Non mi sono mai drogato. La droga mi fa schifo». Si abbassa il cappuccio, torna indietro. Eccolo Antonio Signore, 28 anni, in arte Junior Cally. Al suo fianco il suo inseparabile amico, il videomaker Sebastiano. Mai, mai?
«Qualche cannetta da ragazzo. Ma ora nulla. Non ho mai usato droghe pesanti, sono mai stato un tossicodipendente».
E perché dicono il contrario?
«Non lo so perché. Forse per i tatuaggi, forse perché sono un rapper. È un marchio pesante che mi porto da quando sono piccolo. All’epoca i tatuaggi erano cose da carcerati, da poco di buono. Pensa che mio fratello fa pure il tatuatore, è uno bravo, ha lo studio a Garbatella. A Focene ci guardavano come fossimo i figli di Satana (gli scappa un sorriso, ndr). Mi ricordo che un imprenditore vietava al figlio di frequentarmi perché diceva che ero drogato. Oggi io canto e il figlio è tossicodipendente».
Il primo tatuaggio?
«Dopo che ho superato la prova più dura della mia vita. Avevo 14 anni, avevo fatto il provino di calcio per giocare nel Perugia ma alle visite mediche mi diagnosticarono una forma di leucemia. É stato devastante. Ho vissuto quattro anni tra un ricovero e un altro. Ma non avevo nulla. Nulla!».
Adesso è sessista, violento, da squalificare, da toglierli la cittadinanza di Focene. Ti hanno detto di tutto.
«Assurdo, per quattro strofe di una canzone di tre anni fa, Strega. Sono scosso».
In che senso?
«Mi sono svegliato una mattina e mi sono trovato sbattuto in prima pagina con parole come “pedofilo”, “misogino”. Sui social mi hanno massacrato: messaggi come “tua madre dovrebbe vergognarsi di avere partorito un essere diabolico come te”, “ci auguriamo che tua madre venga stuprata”. E potrei continuare».
Continua.
«Questi sono i commenti dell’italiano medio, che parla senza sapere, senza conoscere. E il brano che porto in gara a Sanremo è proprio contro l’italiano medio».
Non vorrai negare che le parole di quella canzone siano violente?
«Possono urtare la sensibilità. Ma non inneggio alla violenza. Non dico di umiliare, di violentare, di ammazzare. Se si legge bene il testo è l’esatto contrario. Uccido il concetto. Non certo la donna. Canto che bisogna farsi rispettare con le parole che sono più forti di ogni cosa».
Perché ci si scandalizza allora?
«Perché è una canzone. Un film può avere immagini forti. La musica, no. Ma io in quella canzone raccontavo quello che vivevo».
Spiegati meglio.
«Guarda qui. (mostra sul cellulare i messaggi privati di Instagram, foto hot di ragazze, ndr). In quella canzone racconto uno spaccato di società che di solito non si vuole raccontare anche perché è più vicino di quanto si pensi. Racconto una generazione schiavizzata dai cellulari. E racconto anche di mio padre, tre infarti e vivo per miracolo, che i medicinali se li è sempre dovuti comprare da solo. Canto di una politica che non esiste. Di una tutela che non c’è».
Politica anche nel brano in gara (applauditissimo dalla critica ieri alla prova generale): l’attacco a Salvini e a Renzi è più che esplicito. Sta con i Cinque Stelle?
«No, nemmeno con loro».
Per chi ha votato l'ultima volta?
«Ok. Ho votato per i cinque Stelle, ma non lo rifarei mai. Sardine tutta la vita».
Parliamo di musica, parliamo ancora di “No, grazie”.
«È un brano ultra rap. Anti populista. Che critica proprio i luoghi comuni. E dove non si parla assolutamente di donne».
Già, le donne. Quali sono quelle della tua vita?
«C’è la mia fidanzata Valentina, e mia madre Flora».
Che dicono? Come stanno loro?
«Mi appoggiano. Mi hanno dato quel calore che negli ultimi giorni dall’esterno non ho avuto. Mia madre, donna dal cervello pensante, ex insegnante di scuola elementare, capiva anche i brani vecchi e ha 59 anni. Valentina, fa la dj, sui social hanno attaccato anche lei».
Come ha iniziato con il rap?
«Ascoltando Caparezza, Eminem, Fabri Fibra. Oggi li consideriamo grandi rapper, ma sono stati demonizzati anche loro. In Cuore di Latta, Fibra parla con crudezza di Erika e Omar, del fatto di cronaca nera che scioccò l’Italia. Ma di certo non si è mai pensato di emulare il delitto. Conta l’educazione all'ascolto. Il rap è un racconto, un canovaccio su cui un teatrante recita. Questo si fa da anni. Il rap ora è diventato il nuovo pop e così in tanti reagiscono male e scrivono “muori”, “fai schifo”, “ammàzzati”. Io, invece, non auguro a nessuno la morte, non dico a nessuno fai schifo, non inneggio al suicidio».
E perché la maschera?
«Per poter vivere la mia vita da rapper senza, almeno all’inizio, dover subire il pregiudizio. A Focene, frazione di Fiumicino con quattro case e qualche migliaio di abitanti, ero visto come lo sfigato, mi prendevano in giro: “Tuo padre lava le vetrine dei negozi e tuo vuoi fare il rapper?”. Con la maschera li ho fregati».
Cioè?
«È stato divertente vedere chi mi derideva, ascoltare Junior Cally in macchina senza sapere che era Antonio Signore».
Ma non era più facile andar via da Focene? Lasciare l’Italia come hanno fatto tanti?
«A me piace l’Italia. A me piace Focene, e mi manca tanto. Mi hai trovato a correre sul lungomare perché mi fa pensare a Focene».
Il sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, ti ha chiamato?
«No».
Colleghi solidali?
«Anastasio, Rancore, J-Ax e Irene Grandi. Bugo, invece, mi hanno detto che sui social mi ha criticato». (Più tardi Fiorello in conferenza stampa ha detto: «Lo invito a cantare alla cresima di mia figlia»).
Il commento più brutto?
«Quelli contro mia madre. Dirle di avere partorito un demone è di una crudeltà infinita».
Quello più bello?
«Un’amichetta d’infanzia che non vedo da anni ha scritto “Conoscetelo”».
Giovedì, nella serata delle cover, hai scelto “Vado al massimo” di Vasco. Perché?
«Vasco arrivava da outsider».
Non ti vorrai paragonare a Vasco.
«No, assolutamente. Ma nel mio piccolo mi sento un outsider anche io. Duettare con i Viito (quelli di “Bella come Roma, stronza come Milano”, ndr.) sarà molto divertente. Vedrete».
Che aspettarsi da Sanremo?
«Di vivermi quello che ho sudato da anni», si apre la felpa e spunta una maglietta con la scritta “Chi è Junior Cally?”.
Ops, chi è Junior Cally?
«Un ragazzo di Focene che non ha i “superpoteri”, (come canto nella canzone in gara). Ma che ha già vinto il suo Festival con la convocazione da parte di Amadeus. Fino a poco tempo fa stavo a Campo de’ Fiori a lavare le vetrine con mio padre. È la rivincita di Antonio nei confronti di quelli che gli davano del fallito, come la mia ex. Lei voleva che lasciassi il rap e andassimo a lavorare in ambasciata. Io oggi faccio il rap e lei non lavora all’ambasciata. Ho vinto contro tutti coloro per cui Junior Cally non sarebbe mai esistito».
· Justin Bieber.
Justin Bieber: «Soffro della malattia di Lyme, ma ho combattuto e vinto». Pubblicato giovedì, 09 gennaio 2020 su Corriere.it da Laura Cuppini. «Sono stati due anni molto difficili». Justin Bieber ha scelto Instagram per svelare ai fan il problema di salute che combatte da tempo: la malattia di Lyme, un’infezione cronica trasmessa dalle zecche di cui soffrono anche altre star come Bella Hadid (e la madre Yolanda Foster) e Avril Lavigne. Bieber ha aggiunto di aver sofferto per le notizie circolate sui social dopo la diffusione di foto in cui appariva malato, con macchie sulla pelle. «Qualcuno ha ipotizzato che fossi sotto l’effetto di metanfetamine, senza sapere che invece soffrivo di una forma grave della malattia di Lyme, con problemi alla pelle, alle funzioni cerebrali, alla salute in generale: ero senza energia». Bieber ha spiegato ai fan che grazie alle cure le sue condizioni sono migliorate e che la vicenda sarà narrata in un documentario che verrà pubblicato su YouTube: «Saprete quanto ho combattuto e che sono riuscito a vincere! Tornerò più forte di prima». La malattia di Lyme è provocata dal batterio Borrelia burgdorferi che infesta le zecche e può essere trasmesso all’uomo: i sintomi sono mal di testa, dolori articolari, debolezza, disturbi cardiovascolari e neurologici. I casi sono in aumento in tutto il mondo: negli Stati Uniti la Borreliosi di Lyme rappresenta la seconda malattia infettiva dopo l’Hiv, con più di 300mila nuovi casi stimati ogni anno. In alcuni soggetti i disturbi si protraggono per diversi anni.
(LaPresse 9 gennaio 2020) - "Mentre molte persone continuavano a dire che Justin Bieber sembra una merda, sotto amfetamine, ecc, non si sono resi conto che mi è stata recentemente diagnosticata la malattia di Lyme". Lo scrive Justin Bieber su Instagram. "Non solo, ho avuto una grave mononucleosi cronica che ha colpito la mia pelle, la funzione del cervello, le mie energie e la salute in generale. Spiegherò tutto in una docu serie che metterò su YouTube a breve... saprete tutto ciò che ho combattuto e superato!! Sono stati un paio d'anni difficili, ma con il giusto trattamento che aiuterà a curare questa malattia tornerò e meglio che mai. Senza limiti", aggiunge la popstar star canadese.
Maria Rizzo per ilgiornale.it il 9 gennaio 2020. La malattia di Lyme è spesso giunta agli onori della cronaca per aver colpito personaggi famosi, tra cui Avril Lavigne, Bella Hadid, Richard Gere e Ben Stiller. Negli Stati Uniti conta oltre 300.000 nuovi casi ogni anno e anche in Italia è in aumento: ecco quali sono le caratteristiche dell'infezione, quali le zone più colpite dello Stival, nonché i trattamenti che permettono di sconfiggerla. Conosciuta anche come borreliosi di Lyme, poiché l'agente patogeno che la causa si chiama Borrelia, può essere trasmessa all'uomo attraverso la puntura di zecca: per questa ragione, primavera ed estate rappresentano i periodi di massimo rischio, poiché si trascorre più tempo all'aperto aumentando la probabilità di imbattersi nel parassita. L'incontro con una zecca può infatti rappresentare l'inizio di un incubo: "Il morso della zecca non è di per sé pericoloso, i rischi dipendono dalla possibilità di contrarre infezioni trasmesse da questi animali in qualità di vettori. Le zecche possono infatti essere infettate con alcuni batteri e quindi trasmetterli all’uomo nel momento del morso": così spiega in un'intervista Stefano Veraldi, direttore della Scuola di specializzazione in dermatologia e venereologia dell'Università di Milano. In passato, le zone d'Italia a rischio erano l'Emilia Romagna, il Trentino, il Veneto, il Friuli e la Liguria ma, come segnalato dall'Associazione Lyme Italia e co-infezioni, oggi tale patologia si è diffusa in tutto il Paese. Vari i sintomi della malattia: all'inizio si manifesta con una macchia rossa sulla cute che si espande lentamente, ma entro qualche settimana il soggetto colpito può sviluppare disturbi neurologici con artralgie, mialgie, meningiti, polineuriti, linfocitoma cutaneo, miocardite e disturbi della conduzione atrio-ventricolare. Non è comunque detto che basti un morso di una zecca per ammalarsi: il parassita potrebbe infatti non essere portatore del batterio o, ancora, non essere in grado di trasferirlo all'uomo. Per proteggersi ed evitare di contrarre la malattia, la raccomandazione degli esperti è quella di visitare le zone a rischio con abbigliamento adeguato; inoltre mantenere le distanze da animali come roditori, caprioli, cervi, volpi e lepri, poiché potrebbero essere infestati dalle zecche.
Justin Bieber: «Mi drogavo appena mi svegliavo: sono guarito grazie all’amore». Pubblicato venerdì, 14 febbraio 2020 su Corriere.it da Paolo De Carolis. Justin Bieber è innamorato. «Alzi la mano chi in sala non è sposato, non ha un compagno o una persona speciale...Wow, ragazzi, prego per voi». Il matrimonio, dice, «è la cosa più bella che ci sia, anche se bisogna impegnarsi, coltivarlo ogni giorno. Il pensiero che per il resto della mia vita avrò mia moglie al mio fianco mi fa venire i brividi di gioia». A cinque anni da Purpose, Bieber torna con un nuovo album, Changes, cambiamenti, un titolo che riassume un iter personale che gli ha permesso «di mettere ordine» nella sua vita. Basta eccessi, basta droga, basta, spera, crisi: «Ci capitano cose che non possiamo cambiare. Ciò che possiamo controllare è come reagiamo a questi cambiamenti». A Londra per la presentazione europea del disco, ha sfoderato il fervore di un nuovo adepto: «Dio ha creato tutti noi. Dio è buono. Succedono cose ce ci fanno dubitare questa realtà. Anch’io in passato me la sono presa per quello che mi capitava. Ma bisogna avere fiducia. Alla fine tutto si sistema. Il dolore non dura per sempre». È lui, il ragazzo più Googlato del mondo, idolo di una generazione, l’adolescente scivolato con il successo in un tunnel di autodistruzione? Il suo è un pubblico fedelissimo (con un nome, i Beliebers), che lo ha reso il primo musicista a superare la soglia di 50 milioni di abbonati sul web. La serie-documentario Seasons, che ha debuttato il 31 gennaio, su YouTube ha fatto record di visioni: quasi 33 milioni per il primo episodio. A giudicare dalla folla accorsa a Londra per una breve esibizione di qualche brano del nuovo album, è adorato: ragazzi giunti dall’Argentina, dalla Spagna, dal Cile, dall’Olanda con le lacrime agli occhi per l’emozione. «Ti voglio bene. Se sono viva oggi lo devo a te», gli dice una fan francese. «Sono orgogliosa del tuo impegno per la salute mentale». «Anch’io ti voglio bene», le risponde Bieber. «Tutti noi incontriamo difficoltà. Lo nascondiamo e siamo anche bravi a farlo, ma sotto sotto tutti abbiamo momenti difficili. Ricordatevi, non siete soli». Per Bieber, oggi, i temi che importano sono l’amore, la salute, l’equilibrio fisico e psicologico, la squadra leale che ha attorno. Lo ripete presentando Changesbrano per brano, un album «superdedicato alla moglie Hailey». For ever, per sempre, «è una delle mie canzoni preferite», spiega. Take it out on meè il suo modo «di dire a Hailey che lui sarà sempre al suo fianco, anche nei momenti bui. That’s what love isè un inno al fatto che «l’amore, quello vero, è molto diverso dall’attrazione fisica». Quando canta Changes nasconde il viso tra le mani e si commuove. A 25 anni, ha voglia di mettersi a nudo: nei filmati di Seasonsnon nasconde le difficoltà. Ha cominciato a drogarsi a 13 anni. Ha passato anni «terribili, in cui gli addetti alla sicurezza entravano in camera mia per controllare se ero ancora vivo», ammette. «E appena mi svegliavo la prima cosa che facevo era ingoiare una manciata di pillore e fumare droga». Hailey è la dimostrazione che è cambiato.A conferma, cerca di chiamarla in diretta, lei a Los Angeles dorme e non risponde. Bieber si sta curando, precisa, perché ha scoperto di essere affetto dalla malattia di Lyme, una patologia batterica che per un periodo lo ha lasciato spossato e depresso. Come ne sta uscendo? Vita sana, sport, lavoro, Dio e, of course, Hailey. Assieme a lei — conosciuta in chiesa — vuole aiutare gli altri. E così il brano Intentionsè dedicato a Alexandria House, un rifugio per donne e bambini di Los Angeles. È lì che Bieber ha girato il video per la canzone, prendendo spunto dalle storie di tre donne dai trascorsi difficili, Barhi, Marcy e Angela.Per il rifugio ha creato una fondazione con 200.000 dollari. Il video ha generato donazioni per altri 10.000 dollari. E a maggio parte in tournée, negli Usa: l’ultimo tour era stato bruscamente interrotto. Bieber non aveva retto al ritmo, ma ora è diverso. «Sto bene, voglio tornare dai fan, ringraziarli». Justin Bieber torna, insomma, in versione sana, buona e innamorata. È una fase che durerà? Glielo auguriamo.
· Justin Timberlake.
Justin Timberlake: «Una volta mi tirarono bottiglie di urina sul palco, fu un vero trauma». Pubblicato lunedì, 17 febbraio 2020 su Corriere.it da Simona Marchetti. Una delle prime esibizioni da solista che Justin Timberlake non dimenticherà mai è stata quella in occasione del concerto di beneficenza per la SARS che si è tenuto a Toronto nel 2003, non fosse altro per le bottiglie di urina che gli hanno tirato sul palco mentre si esibiva. Ancora oggi considerato il più grande show della storia canadese (vi parteciparono infatti 500 mila persone), il concerto aveva in cartellone gente come Rolling Stones, AC/DC, The Guess Who e Rush «e poi c’ero io – ha raccontato l’ex cantante degli NSYNC ospite di Graham Norton – e mi ricordo che prima di salire sul palco ho detto alla band “non credo che andrà bene”, ma non avevo ancora la minima idea di quanto davvero brutto sarebbe poi stato… Siamo saliti sul palco e all’improvviso dalle prime due file hanno cominciato a lanciare delle bottiglie di urina. Ragazzi, non è proprio stato un bel momento…».
Vista l’accoglienza decisamente poco calorosa da parte del pubblico, gli organizzatori del concerto offrirono la possibilità a Timberlake di accorciare la sua performance, ma lui decise di andare avanti come previsto. «Nella prima canzone dovevo cantare e muovermi allo stesso tempo – ha continuato il 39enne artista, marito dell’attrice Jessica Biel - così cercavo di schivare i doni indesiderati del pubblico ed ero davvero impressionato da me stesso per come riuscissi a farlo. Il secondo brano però era “Senorita” e lo dovevo fare al pianoforte, quindi improvvisamente ho pensato fra me e me “oddio, sono fermo”, invece non è successo niente e delle due, l’una: o avevano finito la faccia tosta, perché sapevano che sarei rimasto lì o avevano finito l’urina». Qualunque sia stata la motivazione, Timberlake riuscì comunque a portare a termine la sua session. Per la cronaca, secondo MTV quel giorno il pubblico non si limitò all’urina, ma lo prese di mira anche con bottiglie di acqua, carta igienica e muffin. «E dire che eravamo a Toronto e che i canadesi sono persone storicamente pacifiche - ha concluso divertito il cantante – . Di certo, ancora oggi ho un sacco di traumi legati a quel giorno».
· Justine Mattera.
Dagospia l'1 maggio 2020. Da I Lunatici Radio2. Justine Mattera è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La showgirl ha raccontato la sua quarantena: "Io sto bene, in realtà non ho mai passato così tanto tempo a casa negli ultimi anni. Così ho rivalutato tantissime cose, ho seguito i bambini con i compiti, messo in ordine la casa, ho riscoperto la famiglia. Ho trovato un nuovo mondo dentro, ho iniziato ad allenarmi in casa, con un attrezzo usato dai ciclisti professionisti per allenarsi durante l'inverno quando fuori piove. Un ottimo allenamento, almeno fisicamente uscirò più forte di come sono arrivata. L'anno scorso è stato difficile per me, sono caduta durante il giro d'Italia, sono stata infortunata per mesi, ho avuto una lesione che non mi ha permesso di nuotare e quando fai lo sport che faccio io è una cosa difficile". Sui figli: "Non hanno una grande voglia di studiare, quando gli hanno detto che non sarebbero stati bocciati si sono gasati. Poi gli insegnanti hanno iniziato a dare una barca di compiti, ma veramente tantissimi. A me piaceva studiare, loro invece sono anti-secchioni, gli serve qualcuno che li aiuti. Ho trovato due ragazze bravissime che ogni tanto gli danno delle ripetizioni online. Così riescono a fare tutti i compiti". Sulla vita di coppia: "Io e mio marito abbiamo sempre viaggiato tanto, quindi questa quarantena è stata una prova. Ci siamo trovati bene, fortunatamente a casa abbiamo la possibilità di avere delle zone per noi. A me non piace essere sciatta, nemmeno in casa. Mi trucco, faccio i capelli, indosso la mia lingerie preferita e mi vesto come se dovessi andare in giro. Cerco di prendere tutto con ironia e con il sorriso, spero che alla fine tutto andrà bene. Seguiamo le regole, restiamo calmi e in qualche modo andremo avanti. Ho un sacco di amici a New York che si sono ammalati, qui in Italia no, in America sì. Poi sono guariti per fortuna. I miei genitori invece vivono abbastanza isolati, quindi per ora non hanno avuto problemi". Sui follower più spinti su Instagram: "In questo momento di quarantena i social sono diventati ancora più importanti. Dirette a raffica, all'improvviso sono diventati tutti conduttori. Un fenomeno interessante da seguire. Io spero di non aver annoiato troppo i miei follower, pensare a fare contenuti sempre diverse è importante. Io ho raccontato un po' di quello che facevo o pensavo, senza entrare troppo nel dispiacere del momento, provando sempre a essere ottimista. I feticisti? Ci sono sempre! E' incredibile, magari stai facendo una diretta serissima ma i messaggi di chi ti chiede di fargli vedere i piedi arrivano sempre. Oppure gente che chiede che intimo indossi".
Justine Mattera confessa: "I social mi hanno fatta riemergere". La showgirl italo-americana ci ha raccontato il suo rapporto con il web e con i follower, tra una strizzata d’occhio ai commenti negativi, la voglia di tenere al riparo dai social i figli e la grande visibilità che il web le sta regalando. Novella Toloni, Mercoledì 25/12/2019, su Il Giornale. Sono lontani i tempi in cui Justine Mattera era la compagna di Paolo Limiti e la sosia di Marilyn Monroe. Oggi la showgirl italo-americana ha conquistato il suo spazio nello showbiz italiano, stregando centinaia di migliaia di fan che la seguono sui social network. Lei, che spesso è oggetto di critiche e feroci commenti degli odiatori del web, non lascia passare e controbatte. "Quando mi fanno un commento non riesco a non rispondere, provo a fargli capire che per me è diventato un lavoro che non dura per sempre e che voglio sfruttare adesso", ha spiegato di recente in un’intervista a Storie Italiane, confermandolo nell’intervista che ci ha rilasciato.
Sei un personaggio molto amato, nel bene e nel male, ti sei mai chiesta perché?
"Io dico sempre che il mio pubblico se era il pubblico di Paolo Limiti adesso su Instagram avrei 15 milioni di follower. Provo a essere fedele a me stessa nel bene e nel male. Sono molto coerente con quello che sono sempre stata e questo viene apprezzato oppure no".
Sui social sei spesso bersaglio di commenti negativi, come ti fa sentire questa cosa?
"A volte la gente che ti accusa è frustrata, è triste e in qualche modo sta accusando se stessa dicendolo a te. Molte volte provo a fare la psicologa (senza pretendere di esserlo), provo a mettermi nei loro panni pensando "avrà avuto una brutta giornata", "forse un suo amico o la fidanzata ha fatto un commento". Io dico, questa sono io, puoi anche non seguirmi, mica è obbligatorio, però se sei qua a commentare, qualcosa allora l’ho ispirato in te e questa è già una grandissima cosa. Perché non c’è niente di più brutto che l’indifferenza. Che tu mi odi o mi ami va bene purchè io ti abbia fatto provare qualcosa".
Ti senti vittima di cyberbullismo?
"Ma sai, provo a mettermi nei loro panni, ma a volte ci puoi rimanere male lo stesso. Perché sono fatta di carne anche io, ci rimango male se qualcuno prova a renderti insicuro e in qualche modo, a volte, ci riescono. Anche io ho delle giornate no e magari qualche commento può buttarmi giù".
Non condividi spesso foto coi tuoi bambini. Cerchi di tenerli al riparo dai social?
"Sì, io e mio marito non siamo d’accordo sul fatto di mettere le foto dei figli. Non è il loro posto, sono minorenni e anche se loro vogliono e gli piace, non lo vedo giusto. Specialmente perché io ho un profilo abbastanza per adulti e la gente farebbe in un attimo a dire: "Ok, se tu sei una madre allora non puoi fare questo", che è una grandissima ca***. Per proteggere loro preferisco tenerli lontani, anche se sono sempre con te, li porto a scuola, li vado a riprendere, siamo in vacanza insieme. Loro sono la cosa più importante della mia vita".
In questo momento stai lavorando molto sui social. Ti manca la televisione, un tuo programma?
"I social mi hanno aiutato a riemergere e mi aiutano a lavorare tantissimo. Avendo i bambini per me, a questo punto, fare un reality sarebbe molto difficile e non ci sono tante altre cose. In Italia poi è anche molto difficile fare delle fiction. Devi trovare la parte dell’americana, con l’accento americano. La mia nazionalità non ti dà molto; io dico sempre che se fossi stata di un altro paese avrei potuto avere ruoli come la colf o la put**** (ride ndr) ma purtroppo è un mio limite".
La tua vita è fatta di tanti capitoli dall’amore con Paolo Limiti e il successo in tv alla maturità e lo sport. Hai mai pensato di scrivere un libro?
"Ho ricevuto delle offerte di scrivere un’autobiografia oppure per fare un libro di foto. Chi lo sa, magari sì, sicuramente avrei tanto da scrivere".
· Katia Follesa.
Gabriele Principato per corriere.it il 30 ottobre 2020. «Un po’ troppo gnocca per fare la comica». «Sembri quasi bona». « Wow che taglio! Scherzo stai veramente bene». Sono solo alcuni dei commenti comparsi sotto un post di Katia Follesa. L’attrice comica — conduttrice del programma Cake Star insieme al pastry star Damiano Carrara (qui l’intervista a Cook)— aveva pubblicato su Instagram una foto che la ritraeva seduta su un divano con un lungo abito da sera fucsia. Fra le frasi comparse sotto lo scatto c’è anche chi non «ironizza», ma argomenta. «Perdonami....un po’ mi dispiace Katia che tu sia diventata così... magra (certo anche così bella!) perché eri l’esempio di come si possa essere degli ottimi professionisti e lavorare in tv pur con qualche chilo di troppo». Come se perdere peso fosse una colpa: facesse smettere di essere un’icona di chi è in sovrappeso e quindi autorizzasse le persone a colpire e accusare con odio o scherno. «Stai dimagrendo troppo per i miei gusti!! E la tua simpatica ciccia dov’è?», scrive qualcun altro. E questo concetto, esternato da decine di utenti, è sintetizzato bene da un’affermazione lapidaria e tagliente di un follower: «Quasi... quasi...non fai ridere...». Come se l’aspetto fisico avesse a che fare con la professionalità o capacità di mandare dei messaggi ai propri spettatori. Agli hater Katia Follesa ha risposto con la sua consueta spontaneità con una stories, ponendo una domanda semplice che apre un tema sempre attuale: ma davvero qualcuno pensa che se un’attrice comica è sovrappeso e dimagrisce non può far più divertire? Un quesito non banale. Basti pensare a un altro caso recente che ha coinvolto l’attrice Rebel Wilson. La star hollywoodiana che a fine luglio ha postato su Twitter una foto in bikini in cui appariva molto più magra di come i suoi follower la ricordassero nel celebre film «Non è romantico?». Anche in questo caso commenti sul fatto che essere “sexy” annullasse la sua capacità di far divertire non si sono fatti attendere. E non sono mancate neanche accuse di lanciare — con questo cambio di forma fisica — messaggi contro le persone sovrappeso. La stessa cosa successe ad Adele, la cantante fu addirittura accusata di body shaming dopo aver pubblicato una foto in cui mostrava di aver perso circa trenta chili. Forse bisognerebbe domandarsi se è ancora tollerabile questo feticismo legato al fisico che, tanto nella vita online, quanto in quella reale, spinge le persone ad additare con commenti e domande chi si impegna per cambiare il proprio corpo. E, ancora, se è accettabile che le capacità professionali siano giudicate usando come filtro l’aspetto fisico. Quesiti sempre attuali e irrisolti. Che si dovrebbero porre non solo i leoni da tastiera, ma anche coloro che desiderano fare un complimento sul corpo di qualcuno. Perché spesso commenti che vorrebbero essere positivi risultano più grotteschi e sgradevoli di un insulto. «Mamma mia! Non sembri nemmeno più te! Hai cambiato anche l’espressione del viso.. non so se mi abituerò», si legge ancora sotto il post di Katia Follesa. E, ancora. «Porca miseria sei dimagrita un botto....basta dolci eh». «Sempre più bella e sexy, anche se ti preferivo un po’più in carne». «Adesso però puoi fare shopping con la scusa che non ti va bene niente e con più soddisfazione (meglio in meno che in più)». «Sei rientrata nella tua taglia S». «Come sei bellaaaa....lo eri anche più pienotta...». E, a questi involontari hater, si aggiungono i tanti che ossessivamente e scioccamente chiedono informazioni sulla dieta: come se per spiegare un regime alimentare bastassero poche frasi su un social network. «Sei stupenda!!! Perché non rispondi a chi ti chiede che tipo di dieta stai seguendo?». «Katia, dillo anche a me come ci sei riuscita». O, ancora. «Sei dimagrita? Ma sei dimagrita davvero o è un’impressione... se non è un’impressione dicci come hai fatto....». «Quanto sei calata?!! Come hai fatto a ritornare in forma dacci delle dritte». Non c’è nulla di nuovo in questi commenti. Sono una storia già vista. Ma, forse, ancora una volta dovrebbero far riflettere.
· Katia Ricciarelli.
Francesca D' Angelo per “Libero quotidiano” il 2 giugno 2020. La posta del cuore è un appuntamento notoriamente stucchevole. Ma non se c' è lei. Katia Ricciarelli è infatti una donna che va dritta al punto: agli aspiranti tenori, che non hanno talento, dice chiaramente di lasciar perdere («inutile buttare soldi per niente, visto che chi è bravo inizia a guadagnare non prima dei 25 anni») e a noi, quando incominciamo a parlare di terza età, avvisa: «State attenti a dare della vecchia a chi ha più di 70 anni...». La Regina della lirica promette insomma di portare un' iniezione di vitalità nella nuova stagione di Io e te, al via oggi su Rai Uno alle ore 14.
Quale sarà il suo ruolo?
«Lo capirò bene quando andremo in onda (ride, ndr). So solo che affiancherò Pierluigi Diaco all' inizio e nella rubrica dedicata gli animali, per poi rispondere alla posta dei lettori: non ci sarà un copione vero e proprio e la cosa mi piace molto perché non amo essere telecomandata...».
Perché aggiungere una rubrica sugli animali in uno show dedicato all' amore?
«Beh, direi che se lo meritano eccome! Io per esempio non sarei riuscita a superare facilmente i due mesi di isolamento senza la mia cagnolina Ciuffi».
Nel programma si parlerà anche di nonni che, oggi più che mai, sono "genitori di ritorno": questo nuovo ruolo sociale è una conquista o un preoccupante segno dei tempi?
«Per le persone anziane è fondamentale sapere che qualcuno, come i propri figli o i nipoti, ha ancora bisogno di loro. Molte persone si spengono quando vanno in pensione, quindi ben venga avere delle responsabilità. A patto però di non approfittarsene: non va bene chiedere troppo ai nonni».
In questi mesi molti genitori si sono accorti che è impegnativo avere figli: Possibile che questa consapevolezza arrivi solo ora?
«Eh, il Covid-19 sarà una cartina tornasole per molte famiglie. Probabilmente in molti divorzieranno... Il fatto è che prima del lockdown i genitori lavoravano tutto il giorno e di fatto a seguire i figli erano i nonni o la tata. È in queste situazioni che i bambini si sentono trascurati e crescono come non dovrebbero».
Il virus ha messo in crisi anche il mondo della lirica. Come si rialzerà il settore?
«Siamo davanti a una tragedia perché i cantanti lirici sono morti senza il pubblico. La prima cosa infatti che ci chiediamo quando siamo sul palcoscenico è: "Piacerò? Arriverò al pubblico? Darò qualcosa?". Gli spettatori sono il nostro motore, altrimenti è come avere una Ferrari e guidare in uno spiazzo di 100 metri. Si soffre e lo streaming non è certo una alternativa reale: dopo due/tre mesi ci stuferà».
Il settore rischia lo stallo?
«I più penalizzati saranno sicuramente i giovani che non hanno le spalle larghe come noi. Faranno letteralmente la fame perché non avranno di cosa campare. Per il settore il rischio è un buco generazionale: non dimentichiamo che i giovani tenori sono i divi del domani...».
Crede che il governo stia facendo troppo poco?
«Pare che al momento il governo abbia altre priorità. È un peccato perché il melodramma è un prodotto made in Italy, che ci invidiano in tutto il mondo. Andrebbe quindi tutelato al pari della moda o dei prodotti gastronomici. All' estero c' è più attenzione verso la musica: in Germania, per esempio, hanno capito che la lirica è una forma di cultura».
Grazie ai talent molti giovani stanno scoprendo la lirica: quanto la tv sta giovando al suo rilancio e al ricambio generazionale?
«Riesce a fare il nome di un giovane cantante lirico famoso che fa melodrammi? Ecco, ho detto tutto».
C' è dunque tenore e tenore?
«Diciamo che il tenore che fa le canzonette è un' altra cosa. Per carità, anch' io le canto ma adesso, non a inizio carriera. Non è un particolare da poco: sono cresciuta come lirica, a 13 anni volevo fare il melodramma e nient' altro. Il processo opposto è invece rischioso perché la voce è uno strumento che va sviluppato e allenato. Se puoi fare i 2mila metri ma decidi di correrne sempre 50, c' è poi il rischio di non poter fare di più: le corde vocali si atrofizzano».
Katia Ricciarelli: «Volevo farmi suora. Poi ho tentato il suicidio». Pubblicato domenica, 12 gennaio 2020 su Corriere.it da Chiara Maffioletti. Katia Ricciarelli è una donna abituata a non girare attorno a quello che vuole dire. Ed è in questo modo, con questa schiettezza, che ha raccontato a Silvia Toffanin, ospite del suo «Verissimo», un episodio della sua vita importante e traumatico. Tutto riale a quando era una studentessa al Conservatorio di Venezia e un monaco Benedettino la notò per la sua voce, che gli parse adattissima per il canto gregoriano. «Un giorno è venuto un benedettino che cercava voci per il coro. Scelse me e gli dissi di stare al suo posto, non venga a dire che io devo andare in chiesa: lei si faccia gli affari suoi che io mi faccio i miei», ha spiegato, dal momento che, all’epoca, non era per nulla religiosa «non volevo proprio saperne». Quindi, la svolta con l’incontro con il monaco: «Il canto gregoriano mi aveva stregata al punto che mi vedevo già in un convento, a insegnare canto alle suore, per di più di clausura. Per una prova mi ero messa anche il vestito. Mi piaceva. Insomma, mi vedevo proprio ad insegnare». Una decisione che pareva presa, nonostante la mamma: «Era distrutta. Mi diceva: ma ti rendi conto?». Ma la cantante era convinta. Poi, la rivelazione: «Mi accorsi che questo signore, questo religioso, voleva tirarmi via dal mondo perché se non poteva avermi lui, così non avrebbero potuto avermi nemmeno gli altri: quando me ne accorsi, quando mi accorsi che lui mentiva, allora mi crollò il mondo». Ed è lì che, nella sua mente, scattò l’idea di compiere un gesto folle e togliersi la vita: «Per me quello fu un trauma pazzesco. Sono rimasta distrutta da questa cosa, dopo un’infanzia come la mia, senza un padre, mi ero convinta che quella fosse la mia strada. Per me è stato un dolore enorme. Però, quando poi venne a trovarmi in ospedale, e mi disse: “Come stai angelo mio?”, gli diedi un ceffone che gli fece girare la faccia. Quella fu una grande liberazione».
Alessandro Ferrucci per il Fatto Quotidiano il 3 febbraio 2020. L'intoppo è dietro l' appellativo. "Lo so, tra gli artisti non c' è il femminile di 'maestro', e spesso le persone si arrampicano per scovare la soluzione giusta". Qual è? "A volte mi chiamano 'dottoressa', e mi viene da ridere; 'maestra' no perché è legato alla scuola". Quindi? "Si rifugiano nel rassicurante 'maestro', e in quei momenti mi sento molto virile". Austera può sembrare, Katia Ricciarelli; austerità data anche dalla sua professione, dai ruoli interpretati, dall' ambiente frequentato, dove le regole sono dogmi e si tramandano da generazioni, teatri e sipari; salvo poi rivelare lati del carattere molto più pratici e inaspettati per parole e atteggiamenti, così all' improvviso, magari durante un argomento serio, gira la testa e le sfugge un "guarda che sta a fa' sto fijo de 'na mignotta". Dopo un secondo di incertezza, diventa chiaro il soggetto in questione: è il cane indisciplinato. Da questa sera e per tre domeniche su Rai 1, la Ricciarelli sarà tra le protagoniste di Come una madre, un giallo-dramma su una donna (Vanessa Incontrada) in fuga insieme a due bambini orfani di una madre uccisa in circostanze da chiarire; e la Katia nazionale interpreta una cantante lirica diventata barbona. "Ovvio, in gran parte sono io".
In gran parte.
«Non ero e non sono un' attrice di cinema o televisione, posso avvicinarmi a certi personaggi se affini a me stessa».
In compenso al suo esordio ha vinto un Nastro D' Argento.
«Grazie a Pupi Avati e neanche ci pensavo: uno non diventa attore a 50 o 60 anni, è un lavoro da intraprendere ben prima».
E invece
«Allora ha vinto la curiosità e la capacità di coinvolgermi di Pupi, poi ci metto del mio, quindi caparbietà e curiosità».
La definiscono precisa e pignola.
«Sul lavoro lo confermo, nella vita tutto il contrario, e a casa mica pretendo le pattine: quando parto lascio un disordine bestiale».
Aggiungono: schietta.
«Non so se è un difetto o un pregio, forse più un difetto, però non offendo mai nessuno».
Ad Andrea Bocelli ha sconsigliato la lirica per questioni di vista.
«E lo confermo, una cosa è il palco per un concerto e un' altra è l' Opera».
Lui non ci sarà rimasto bene.
«Ancora non era famoso, non aveva debuttato a Sanremo; vennero da me e dopo averlo sentito cantare, gli espressi il mio pensiero: "Nella lirica è fondamentale vedere il direttore d' orchestra e mantenere un contatto visivo pure con i colleghi".
Diretta.
«Ma è basilare! Altrimenti è come voler guidare una Ferrari».
Tipo "Profumo di donna".
«Esatto! Ciò non toglie nulla alle grandissime capacità di Andrea, che poi ha espresso».
Daniele De Rossi si è cammuffato per vedere il derby in Curva Sud. Lei per cosa si travestirebbe?
«Una rapina in banca».
Eh?
«(Ride a lungo) Vabbè, scherzo, ma non ho questa necessità di andare in qualche posto senza farmi riconoscere; comunque a volte vorrei tramutarmi in uccellino per ascoltare cosa dicono di me».
(Il cagnolino abbaia).
Ha spesso parlato della sua Dorothy.
«Le ho dato il nome della moglie di Caruso, l' ho salvata dalla strada, quando aveva pochi mesi. È morta dopo 18 anni, un dolore terribile; quando sono in macchina controllo sempre dal finestrino, ho paura di investire un animale».
Vegetariana.
«Non del tutto, evito solo gli animali piccoli; una volta ho chiamato i Vigili del fuoco per salvare una rondine, e sono venuti».
Torniamo ad Avati.
«Mi ha insegnato l' a-b-c della recitazione, prima di far parte del cast de La seconda notte di nozze avevo solo partecipato a L' Otello di Zeffirelli, ma con Franco bastava seguire la musica, navigavo nelle mie certezze, per dire "ti amo" ci mettevo un tempo infinito perché cantato, mentre il cinema vero è diverso (sorride), pure lento».
Cosa?
«Per girare un minuto impieghi un tempo impossibile, devi farla e rifarla, fino all' esaurimento».
Noioso.
«Io sono per la spontaneità».
Sempre.
«Certo, e grazie alla spontaneità mi è andata bene pure sul grande schermo, e poi con Pupi c' è ironia, anche se l' argomento è serio».
Come Shakespeare con i suoi "buffoni".
«La regola è sempre quella, serve a mantenere la concentrazione del pubblico, e Falstaff ne è l' emblema. Ah, il mio difetto era quello di recitare e gridare».
Perché?
«Abituata al teatro: sul palco è necessario mantenere un tono sempre forte per arrivare fino alle ultime file, mentre Pupi mi ha spiegato che con il cinema è il contrario: se uno abbassa i toni, obbliga lo spettatore a cercare di capire».
Un maestro.
«Quando giravamo stava tutto il tempo in ginocchio per seguire i passaggi; anche Franco (Zeffirelli) mi ha aiutata tantissimo».
Un suo grande amico.
«Oltre: un fratello. Mi ha insegnato a gesticolare di meno, a ridurre la mimica facciale, "non servono tutte queste smorfie, non stai all' Opera". Ma su un palco uno deve caricare ogni aspetto per arrivare pure alle file in fondo».
"Come una madre"
«Sì, lì in gran parte sono io. Con quel turbante nero, tutta truccata In gran parte. E ci vuole tutta la mia ironia per mostrarmi così, perché una come la Tebaldi non avrebbe mai accettato; mi sono commossa».
Davvero?
«Diventare grandi in questo ambiente non è semplice, all' improvviso arriva il tempo a portarti via lo scettro. Ci vuole dignità».
Non è semplice, dice.
«Per niente; anche per Mazzacurati ho interpretato un ruolo con sfumature non facili (La sedia della felicità). Ero una parrucchiera».
Ultimo film di Mazzacurati prima di morire.
«Persona meravigliosa, un poeta».
Fabio Testi ha raccontato al "Grande Fratello" di una storia tra di voi.
«Se c' è realmente stata, non ha avuto molto successo, perché di questo flirt non ricordo niente».
Dolore.
«Mi hanno chiamato per riportarmi le sue parole: l' ho trovato inelegante e non è la prima volta».
Con Testi?
«No in generale, oramai ne sento di tutti i colori, forse perché sono sola».
E con Sordi?
«Alt, qui è vero, ma ero giovanissima, lui già un divo, e persona molto divertente. Quando lo seppero le sorelle, arrivò la loro benedizione: "Lei va bene, ha un lavoro"».
Allora era tirchio.
«No, mi ha offerto la cena».
Ha un' ossessione?
«Neanche una, ma ho la passione per la musica, che è ben diverso, e alla musica sono riconoscente perché grazie a lei mi sono permessa tutto ciò che sognavo da ragazza (cambia discorso)».
E questa storia del Coronavirus?
«Bel guaio Io insegno a tantissimi cinesi e coreani, metterò la mascherina».
La Incontrada è stata bersagliata per il peso
«Sul set ne abbiamo parlato, e mi ha detto di essere felice così, purtroppo rompono con i social, ed è per questo che non ci sono, non intendo prestarmi a certe scenette, e non voglio sentire neanche certe frasi rivolte a me».
Teme?
«Ho i miei chiletti in più, e sono quasi sempre stata così: mi piacciono e sono normali per la mia professione».
Quando ha vinto il Nastro, gli altri attori come l' hanno presa?
«Hanno rosicato tanto, e quando l' ho ritirato ero quasi imbarazzata, quasi mi vergognavo. E li capivo».
È una dei pochi artisti da sempre dichiarata di destra.
«Però non ho mai avuto problemi sul lavoro, perché sono un' artista e ora lo dico in maniera chiara.
Cosa?
«I veri artisti appartengono al mondo, non a una parte, e chi crede il contrario è un povero deficiente».
Quindi è successo.
«Recentemente ho partecipato a uno spettacolo dedicato alla Shoah: tre serate meravigliose, e sono stata brava, e sono arrivata alle lacrime per quanto ho sentito il tema. Eppure c' è stato uno che ha protestato in quanto di destra».
È scaramantica?
«Un tempo lo ero sotto molte forme, anche le più classiche come il gatto nero; adesso no, al massimo mi concedo il segno della croce».
Superenalotto?
«Mai giocato. Preferisco le slot machine».
È giocatrice.
«Mi piacciono quelle con il poker, amo stare da sola davanti a loro, non amo giocare con altri, con il vociare, il nervosismo, e tutto il corredo; mi piace stare lì e vivermi in solitaria l' adrenalina offerta (resta zitta)».
Qui c' è un "ma".
«I tempi sono cambiati, secondo me le hanno truccate, perché non vince più nessuno, ci hanno tolto anche questo divertimento, ma nonostante questo ho più vinto che perso e a volte ho portato a casa dei bei colpi».
Di cosa ha paura?
«Di niente, neanche della vecchiaia, e se posso scegliere, preferisco morire di un colpo secco».
Cos' è la felicità?
«Quella non esiste più; quando non avevamo niente potevi sognare e magari raggiungere i tuoi obbiettivi; adesso no, ci hanno svuotato, al massimo uno deve puntare alla serenità».
A proposito di serenità, hanno raccomandato di non nominarle Baudo.
«Davvero?»
Sì.
«E perché? Oramai ci parliamo, ci siamo rivisti, non ha senso restare con il muso, troppa inutile fatica. Come dicevo prima, conta la serenità».
Giovanni Terzi per “Libero Quotidiano” il 24 febbraio 2020. La vita, sin da bambina, l' ha firmata nella sua più aspra durezza; cresciuta con la mamma e la sorella ha presto imparato come sia complicato stare al mondo e quanto ci si debba impegnare per resistere alle fatiche ed alle prove della vita. Katia Ricciarelli è uno dei più importanti soprano della storia della lirica; l' ho raggiunta telefonicamente dopo qualche giorno di attesa dovuto ad un piccolo malanno di stagione, una leggera bronchite. «Il mal di gola per una cantante è ancor più invalidante che per qualsiasi altra persona", esordisce così Katia Ricciarelli.
Lei ha avuto una infanzia difficile?
«Credo che di questo se ne sia parlato in continuazione e forse anche io sono stanca di ripetere sempre le stesse cose».
Il carattere di Katia Ricciarelli è forte e determinato e quando parla il suo racconto è reale, autentico e non fa sconti a nessuno.
Mi parli della figura di suo padre. Le è mancato?
«Come fa a mancarmi qualcosa o qualcuno che io non ho mai visto e che non ha fatto parte minimamente della mia vita. Mia madre faceva anche da padre e ha supportato la nostra famiglia in modo meraviglioso. È stato grazie a mia madre che non ho sentito l' assenza di mio papà».
Mai? Nemmeno in qualche momento particolare della sua vita?
Katia sorride. «Guardi una volta sì e sa quando?».
Mi dica, alla festa dei diciotto anni?
«Assolutamente no. Una volta litigai con una bambina ed eravamo alle elementari; mi arrabbiai e ci fu una colluttazione».
Era manesca?
«Mi faccia terminare. Venne il papà di questa bambina e mi mollò un ceffone forte, in quel momento capii che un padre mi sarebbe stato comodo ma ...».
"Ma" cosa?
«Ma arrivò mia mamma che ne diede uno al padre della bambina; lei capisce quando dico che mia madre è stata anche un padre per me».
Capisco benissimo. Lei andò in fabbrica a lavorare da giovane?
«A tredici anni iniziai a lavorare in fabbrica, ho sempre pensato di dover diventare subito il capofamiglia, mi sentivo molto protettiva nei confronti di mia mamma. Mio papà se ne andò via con una "mascalzonata" ed io volevo essere quella che sosteneva le economie della casa».
Quella che lei chiama "mascalzonata" di suo papà, ha poi influito nel suo rapporto con gli uomini?
«Non lo so. Certo io ho sempre pensato di dovermela cavare da sola, di essere autonoma economicamente. Credo che i calzoni però in casa li debbano portare gli uomini non le donne. Da una parte sono protettiva (ed ho sempre trovato uomini da proteggere) dall' altra sono molto femminile».
Lei adesso è sola?
«Diciamo che vivo da sola e ne sono felice. È difficile convivere e questo l' ho capito man mano che la vita passava».
Perché dice questo?
«Io ho i miei orari e le mie abitudini; anzi ho i miei "non orari". A volte mi sveglio alle 5 e alle 11 mangio una pasta in bianco. Alle 17 faccio la cena e alle 21 sono a letto. Ma a volte cambia tutto ed è difficilissimo farlo capire alla persona che ti sta accanto. Dovrei trovare un amico più che un amore».
La sua storia con Carreras?
«Una bellissima storia d' amore, lavoravano assieme e questo era molto bello. Lui era un farfallone amoroso, era letteralmente perseguitato da quelle che io chiamo fanatiche. Era molto bello e poi il tenore rappresentava qualcosa di speciale nell' immaginario di molte fan».
Lei ha ancora rapporti con Carreras?
«Siamo rimasti ottimo amici ed è stato un ricordo bello della mia vita».
E con Pippo Baudo?
«Siamo stati insieme diciotto anni ed è stato l' unico matrimonio. Un amore vero che poi si è concluso con tanto dolore. Oggi il nostro rapporto si è recuperato e siamo diventati amici».
Quando l' ha rincontrato?
«L' estate scorsa all' Arena di Verona per la Traviata, fece un gesto di attenzione nei miei confronti molto affettuoso».
Quale?
«Stavo andando in diretta su Rai 1 e mi disse di stare attenta ad uno scalino pericoloso».
Come è stato il vostro matrimonio?
«Emozionante, non avevamo fatto inviti e ci furono quindicimila persone a Militello».
Baudo amava l' opera?
«Sì, è sempre stato un grande melomane e la passione per la lirica ci univa».
Pensa che Baudo l' abbia mai tradita?
«Penso di no . Io ero molto gelosa e sono certa che sia stato sempre rispettoso del nostro sentimento».
Lei ascolta la musica leggera? Quali cantanti ama?
«Amo le voci graffianti come Zucchero o Cocciante ed anche Renato Zero. Faccio fatica a capire le persone che, magari partendo dalla lirica vogliono fare musica leggera e sono un po' in una terra di mezzo».
Mi faccia qualche esempio?
"Sono grandi cantanti ma non fanno impazzire me, quindi è un giudizio soggettivo; Tiziano Ferro o il Volo sono bravi ma non il mio genere».
Ha mai cantato con qualche artista leggero?
«Albano, che apprezzo per la personalità, Massimo Ranieri e di internazionali Michael Bolton».
Nei momenti difficili della sua vita ha trovato sostegno da colleghi che sono diventati amici?
«Ho sempre avuto amici al di fuori dal lavoro. Anche al Conservatorio, quando studiavo, amavo uscire con gente diversa. Amo fare esperienze e conoscere. Sono curiosa come una scimmia».
Un ricordo bello della sua vita professionale ed umana?
«Professionale, il concorso del 1971 in Rai che ci si è mi apri le porte della mia professione. Umano è certamente il matrimonio con Pippo Baudo».
Quando ha capito di avere un talento, la sua voce?
«A otto anni scappavo tra gli alberi perché pensavo che il dono della voce fosse un difetto. Invece è stata la mia salvezza».
Ultimamente Fabio Testi, nel Grande Fratello Vip condotto da Alfonso Signorini, ha raccontato di avere avuto una relazione con lei. È vero?
«Ho trovato questa uscita inelegante e villana. Conosco Fabio Testi e siamo delle stesse zone ma non c' è mai stata alcuna relazione tra noi».
Katia Ricciarelli si ferma e aggiunge: «E anche se ci fosse stata non ricordo nulla il che, non depone a favore dell' uomo».
· Keanu Reeves.
Keanu Reeves il dolore, l’amore: «Sì, i 50 si sentono, però non ho rimpianti». Pubblicato domenica, 05 gennaio 2020 su Corriere.it da Francesca Scorcucchi. L’attore Keanu Reeves con la compagna Alexandra Grant «M’immergo in un caldo bagno di dolore /nella mia stanza della disperazione/con la mia candela dell’infelicità che brucia /lavo i miei capelli con lo shampoo del rimpianto /dopo essermi pulito con il sapore del dolore». La poesia Questa sopra è la prima strofa della poesia Ode alla felicità di Keanu Reeves, uno dei personaggi più anomali, deliziosi, inquieti e fuori dal coro che l’industria del cinema abbia mai saputo concepire. Cinquantacinque anni di cui trentacinque passati sul set, l’attore, da sempre, prende cazzotti. Al cinema e nella vita. Keanu Reeves si piega ma non si spezza. Cade e si rialza, determinato e instancabile, come Neo di Matrix, come John Wick, forse i suoi due personaggi più famosi, che nel 2021 ritroveremo entrambi al cinema. Keanu, nel linguaggio delle Hawaii, terra delle sue radici, significa vento fresco che soffia sulle montagne. Nomen omen, e quel nome gentile deve aver determinato il suo destino e la sua capacità di sorridere, nonostante i colpi bassi. Il primo di questi schiaffi dalla vita l’attore, nato a Beirut in Libano, l’ha ricevuto a tre anni, quando la famiglia, che si era trasferita in Australia, si separò. La madre, Keanu e la sorella maggiore Kim andarono a vivere a New York. Il padre rimase a Sydney e conobbe persino il carcere, per spaccio di eroina. Si persero per sempre. «Ci vuole la patente per guidare, per avere un cane, persino per pescare ma non servono licenze che impediscano a un verme di diventare padre», dice l’attore nel film Parenti, amici e tanti guai, del 1989. Quel monologo era così convincente da andare oltre la recitazione. La seconda mazzata della vita arriva in gioventù, a ventinove anni quando perde per un’overdose di eroina il migliore amico, River Phoenix, il magnifico giovane attore di Stand by Me - Ricordo di un’estate. Si erano conosciuti sul set di Belli e dannati di Gus Van Sant. La terza è datata 1999 quando la compagna Jennifer Syme perde il loro bambino dopo una gravidanza durata otto mesi. Due anni dopo muore anche Jennifer, in un incidente stradale - e siamo a quattro -, la quinta botta sarebbe arrivata qualche anno dopo, quando l’adorata sorella Kim verrà colpita dalla leucemia. Se Keanu Reeves è diventato più pessimista di Leopardi, insomma, non è successo senza ottime ragioni. Eppure l’artista non ha mai perso i suoi modi gentili e la sua serenità interiore. Le avversità non sono riuscite a scalfire la sua anima bella. Nell’ambiente a Hollywood è conosciuto come «the nicest guy in the world», il ragazzo più gentile del mondo. A conferma circola su Internet un video che lo vede seduto in metrò, prima di cedere il posto a una signora. Già il fatto che prenda la metropolitana dovrebbe far notizia. Dei soldi non gli importa. Del suo ingaggio per Matrix, il film che nel 1999 lo rese famoso, ha regalato 80 milioni di dollari (su 114) in beneficenza: «Con quello che ho già guadagnato potrei vivere le prossime 100 vite», dice. A chi gli chiede il perché di tanta generosità risponde: «Perché mi va». E non gli importa neppure dell’aspetto fisico, lui che ha i lineamenti di un principe asiatico e che sembra non invecchiare. In rete circola la teoria della sua immortalità, per la somiglianza ai ritratti di Carlo Magno e dell’attore del diciannovesimo secolo Paul Mounet. Da qualche anno a questa parte Reeves nasconde il volto dietro una zazzera lunga e una barba incolta, nerissime entrambe e forse è questa - la probabile tinta - il suo unico vezzo. Un contrasto evidente con la chioma di quella che, nelle pagine di cronaca rosa, è descritta come la sua nuova fidanzata, l’artista Alexandra Grant, 47 anni. L’argento dei capelli della donna è stato oggetto di feroci critiche. Persino il fatto che fra i due passino “solo” otto anni, che Reeves non faccia come il collega DiCaprio che sostituisce la fidanzata - sempre ventenne e bionda - a ogni cambio dell’armadio, ha suscitato commenti e critiche. Per fortuna né a Reeves né alla Grant, donna che non ha bisogno di legittimazioni maschili, importa nulla di quello che pensano gli altri e questa è una meravigliosa libertà per una coppia. Era ora che, a 55 anni, Keanu Reeves ricevesse dalla vita un meritato spicchio di felicità. Lui e Alexandra Grant si conoscono e sono amici da anni. Era stato proprio quel primo volumetto, Ode alla felicità, a farli incontrare. Alexandra aveva illustrato le poesie di Keanu, con disegni così annacquati che sembravano sciolti dalle lacrime. Però lui spiega: non era tristezza vera. «Era solo sarcasmo e voglia di fare ironia. Ricordo l’attimo esatto in cui scrissi quelle poesie, ero nella cucina di un’amica, la radio passava canzoni tristi, ci scherzammo su e mi misi a comporre versi strappalacrime. Più erano deprimenti e più si rideva». Nel 2015 lui e Alexandra Grant collaborano a un secondo volume, Shadow, e l’anno seguente fondano insieme una casa editrice di libri d’arte, la X Artists’ Books. A lavorare insieme si finisce per odiarsi. O per amarsi. L’amicizia fra Keanu e Alexandra si trasforma in amore e, anche se l’unione non è mai stata ufficializzata, i due si presentano mano nella mano sul tappeto rosso dei LACMA Art + Film Gala, lo scorso novembre. Erano vent’anni che non veniva attribuito un flirt con qualche fondamento di verità all’attore libanese. Si era parlato di una storia fra Reeves e Sandra Bullock ma la realtà è che i due sono sempre stati grandi amici, dai tempi di Speed, il film del 1994 che li fece conoscere. «Avevo una cotta per lei e forse lei l’aveva per me, ma non sono stato abbastanza sveglio da accorgermene», ha recentemente dichiarato l’attore, ospite di una trasmissione televisiva. Per molto tempo Reeves ha mantenuto la sua vita privata nel più totale riserbo e ha focalizzato le sue attenzioni sulla carriera. Non molto portato agli studi, anche a causa della dislessia che lo affligge dall’infanzia, a 16 anni aveva annunciato alla madre di voler lasciare la scuola, a 20 era partito per Hollywood. «La mia fortuna è stata quella di avere le idee chiare su quello che volevo fare da grande, e quello che volevo fare era recitare». I riconoscimenti arrivano presto. A 24 anni ha già ottenuto una candidatura all’Oscar, per il film Relazioni pericolose, di Stephen Frears; cinque anni dopo, era il 1993, interpreta Siddartha nel Piccolo Budda di Bernardo Bertolucci. Il 1999 con Matrix è l’anno della consacrazione nell’Olimpo di Hollywood. «Di quel film ho mille ricordi incredibili: il senso di meraviglia della prima volta che ho letto il copione, l’incontro con i registi (i fratelli Wachowski, ora Lana e Lilly Wachowski ndr ), quello con i coprotagonisti, Laurence Fishburne e Carrie-Anne Moss, e poi ricordo di quando ho avuto a che fare con la reazione del pubblico. C’era chi non lo aveva capito e mi chiedeva spiegazioni, chi lo aveva capito subito e chi, magari anni dopo, mi ha spiegato che Matrix gli aveva cambiato la vita. A quelle persone ho sempre risposto che Matrix aveva cambiato anche la mia». Nel 2003 arrivano The Matrix reloaded e The Matrix Revolutions. Una decina di anni dopo, è il 2014, inizia la saga di John Wick, personaggio nato dagli schermi di un videogioco, che non riesce a trascorrere un minuto senza prendere o dare cazzotti. «Ogni anno che passa diventa sempre più difficile per il mio fisico», confida, «certe volte esco dal set con talmente tanti dolori da non riuscire a salire le scale di casa». Il tempo che scorre inesorabile è fonte di riflessioni: «La decade dei cinquanta si sta facendo notare. È iniziata con campanelli fisici, a un certo punto non ero più così flessibile, e poi ho iniziato a pensare che un giorno non sarò più parte di questo mondo. Prima non ci avevo mai pensato. Non ho rimpianti però, quelli vengono solo quando non vivi appieno la vita e allora in occasione della crisi di mezza età ti compri un’auto sportiva». In realtà, Keanu Reeves la crisi di mezza età l’aveva già subita un decennio prima. Compiuti i 40 si era comprato una Ferrari, poi una Porsche: «Le avevo anche dato un nome, si chiamava The Sled, la slitta, ma mi è stata rubata». Ama le gare di Formula Indie e le motociclette, con le quali non è raro vederlo sfrecciare per le strade di Los Angeles. Su una di queste ebbe anche un incidente piuttosto serio, uno scontro con un’auto che gli provocò la rottura di un incisivo e una ferita alla gamba destra. «Era così profonda che si vedeva l’osso. Non avevo idea che il bianco delle ossa fosse così tanto bianco». È anche un bravo meccanico. All’amico Laurence Fishburne ha promesso che costruirà una moto. «Ne abbiamo parlato, l’abbiamo anche disegnata. Un giorno succederà. Farò una moto su misura per Laurence Fishburne». Nel frattempo i fan aspettano il 21 maggio 2021 quando, lo stesso giorno, usciranno Matrix 4 e John Wick 4. Su Twitter è stata creata la pagina “Keanu Reeves Day”. Il countdown segna poco più di 500 giorni di attesa.
· Kevin Spacey.
Gennaro Marco Duello per cinema.fanpage.it il 2 gennaio 2020. Kevin Spacey vince la battaglia legale, ma solo perché il suo accusatore è morto. La causa che era stata presentata dal massaggiatore che lo accusava di molestie sessuali è stata archiviata nell'ottobre 2016. L'attore si era sempre dichiarato innocente, ma con la morte del massaggiatore le accuse non possono essere dimostrate perché, si legge, manca "la testimonianza della vittima". L'archiviazione è stata rivelata dal New York Times che cita i documenti ufficiali del Tribunale di Los Angeles, ma era stata già anticipata da "The Hollywood Reporter" nel settembre 2019. Per Kevin Spacey resta una vittoria, "una rinascita" per usare le parole del suo avvocato, Jennifer L. Keller: "Non ha pagato alcuna cifra per chiudere la causa". Era noto processualmente con il nome di "John Doe", nome che viene utilizzato nel gergo giuridico statunitense quando si vuole indicare un uomo la cui identità reale è sconosciuta e tale va mantenuta. L'uomo aveva denunciato l'attore di "American Beauty", "I soliti sospetti" e "House of Cards" per aver ricevuto carezze e toccatine ai suoi genitali durante un massaggio avvenuto due anni prima, nell'abitazione dell'attore a Malibu. Kevin Spacey è uscito pulito anche da un altro processo, quello contro il cameriere di un ristorante di Nantucket. Anche in quel caso, i procuratori hanno lasciato cadere ogni accusa ma questa volta l'accusatore dell'attore è tuttora vivo e vegeto. Il ragazzo, stando alla sua iniziale ricostruzione, avrebbe approcciato l’attore sperando in un selfie, ma Spacey avrebbe finito per indurlo a bere molto quella sera, almeno 5 birre e 3 whisky, fino ad arrivare a palpeggiarlo nelle parti intime, come lo stesso ragazzo aveva dichiarato. Il ragazzo non si è però presentato al processo e il caso è stato archiviato. L'attore, 60 anni, era apparso solo pochi giorni fa in un video natalizio in cui diceva: "Se qualcuno vi attacca, uccidetelo con la gentilezza".
Andrea Parrella per tv.fanpage.it il 25 dicembre 2019. Kevin Spacey torna a farsi vivo e di nuovo nel giorno della vigilia di Natale, esattamente come accaduto lo scorso anno, quando l'attore era ricomparso dopo mesi di silenzio proprio con un video pubblicato su Youtube, in cui interpretava di fatto il ruolo di Frank Underwwod, soppresso da House of Cards dopo l'emergere degli scandali sessuali legati all'attore. Se quello dello scorso anno fu un video discusso e visualizzato da milioni di persone, anche quello del 2019 potrebbe far discutere, perché consolida una specie di tradizione. Anche quest'anno Spacey parla come fosse Frank Underwood, lo vediamo vicino ad un caminetto, mentre racconta l'anno che è appena trascorso e che lui definisce "abbastanza buono". L'attore si dice "grato di aver riottenuto la salute" – e qui è chiaro il riferimento ad Underwood e alla fine della sua esistenza in House of cards, prima di svelare alcuni cambiamenti per il futuro. Il discorso di Spacey è un continuo intreccio tra vita personale e quella riferita al personaggio interpretato nella serie prodotta da Netflix, ma nel messaggio di quest'anno appare meno risentito e animato da un maggiore spirito natalizio. L'attore, chiedendo a tutti di seguirlo in questa direzione, si ripromette di dare il proprio voto per avere più bontà in questo mondo e, a dispetto della natura subdola del personaggio di Underwood, specifica: "Sono serio da morire. E non è difficile, credetemi. La prossima volta che qualcuno fa qualcosa che non vi piace, potete attaccarlo. Oppure, potete resistere e fare qualcosa di inaspettato: ucciderlo con la gentilezza". Sono trascorsi ormai due anni dallo scandalo sessuale che travolse Kevin Spacey, accusato di molestie sessuali da più persone. Serie di accuse che ha fatto sì l'attore venisse estromesso da tutti i progetti cui stava lavorando, da House of Cards al film sulla vita di Paul Getty, Tutti i soldi del mondo. Nel frattempo lo scorso luglio, con il ritiro della denuncia da parte di William Little, il 18enne che lo aveva accusato di molestie, sono decadute le accuse nell’unico processo penale a carico dell’attore, accusato da circa 30 uomini dopo l’esplosione dell’enorme vicenda mediatica legata all’onda #MeeToo. Tutte le altre denunce sono troppo datate per essere perseguite ed essere definite reati.
Archiviata inchiesta contro Kevin Spacey perché il massaggiatore che lo accusava è morto. La conclusione decisa dal procuratore: "Le accuse non possono essere dimostrate senza la testimonianza della vittima". La Repubblica l'1 gennaio 2020. L'attore statunitense Kevin Spacey vince, seppure a tavolino, una nuova battaglia legale. La causa presentata da un massaggiatore che lo ha accusato di violenza sessuale nell'ottobre 2016 è stata archiviata per la morte del querelante. Spacey si era dichiarato innocente. L'avvenuta archiviazione è stata rivelata dal New York Times che cita documenti del Tribunale distrettuale di Los Angeles. Jennifer L. Keller, l'avvocato di Spacey, ha precisato che "contrariamente ad alcune notizie Spacey non ha pagato per chiudere la causa". A ottobre, l'ufficio del procuratore distrettuale della contea di Los Angeles ha anche affermato che Spacey non avrebbe dovuto affrontare accuse penali nel caso di violenza sessuale perché "le accuse non possono essere dimostrate senza la testimonianza della vittima". L'attore a luglio era uscito indenne da un altro processo. Kevin Spacey, che ha compiuto 60 anni a luglio ed è riapparso in pubblico lo scorso agosto a Roma per la prima volta dopo due anni dalla denuncia per molestie del 2017, era stato accusato anche da un cameriere di un ristorante a Nantucket ma il processo è stato annullato lo scorso luglio quando i procuratori del Massachusetts hanno lasciato cadere le accuse di molestie sessuali e aggressione.
Suicida Ari Behn, lo scrittore che accusò di molestie Kevin Spacey. Pubblicato giovedì, 26 dicembre 2019 su Corriere.it da Corinna De Cesare. Si è suicidato all’età di 47 anni Ari Behn, lo scrittore norvegese, genero del re Harald, che nel 2017 aveva denunciato di esser stato molestato 10 anni prima da Kevin Spacey. La notizia è stata confermata dal suo agente, Geir Hakonsund. Behn aveva pubblicato il suo primo romanzo nel 1999 ma era diventato famoso nel 2002 quando sposò Martha Louise, la primogenita del re norvegese Harald V da cui ha avuto tre figlie e da cui si è separato due anni fa. Pittore e autore di tre romanzi e di un’opera teatrale, la sua ultima fatica, «Inferno», in cui raccontava la sua lotta contro il disagio mentale. Nel 2017 era stato tra gli accusatori di Kevin Spacey, il 60enne attore due volte premio Oscar finito nello scandalo MeToo per presunti abusi. Behn denunciò che nel 2007 l’attore lo avrebbe molestato toccandolo sotto a un tavolo in modo inappropriato dopo un concerto per il premio Nobel per la pace, invitandolo a uscire con lui in terrazzo. «Magari più tardi», sarebbe stata la sua imbarazzata risposta. Poche ore prima che si diffondesse la notizia della morte di Behn, Spacey aveva postato un video di auguri natalizi in cui, nei panni del presidente Frank Underwood da lui interpretato in «House of Cards», raccontava che ora la sua salute va meglio e che sta cambiando vita. L’attore ha sempre negato gli abusi sessuali e ora non è più incriminato dopo che a luglio sono state archiviate due denunce nei suoi confronti e l’accusatore di un terzo processo è morto.
Da repubblica.it il 25 dicembre 2019. E' morto suicida a 47 anni lo scrittore norvegese Ari Behn, ex marito della principessa Marta Luisa. Lo ha annunciato con "grande tristezza" il suo agente, Geir Hakonsund, "a nome dei suoi più stretti parenti". Il suo primo romanzo venne pubblicato nel 1999 ma Behn acquisì notorietà nel 2002 quando sposò la primogenita del re norvegese Harald V: i due, insieme, scrissero anche un libro sulle nozze, 'From heart to heart'. Genitori di tre figli, annunciarono il divorzio nel 2016. Due anni più tardi, uscì il suo ultimo libro 'Inferno', in cui descriveva la sua battaglia contro la malattia mentale. "Ari è stato una parte importante della nostra famiglia per molti anni, e abbiamo ricordi belli di lui con noi", ha fatto sapere la casa reale norvegese in una nota. Behn nel 2017 è stato anche tra gli accusatori di Kevin Spacey il 60enne attore omosessuale due volte premio Oscar finito nello scandalo MeToo per presunti abusi. Behn denunciò che nel 2007 l'attore lo avrebbe molestato toccandolo sotto a un tavolo in modo inappropriato dopo un concerto per il premio Nobel per la pace, invitandolo a uscire con lui in terrazzo. "Magari più tardi", sarebbe stata la sua imbarazzata risposta. Poche ore prima che si diffondesse la notizia della morte di Behn, Spacey aveva postato un video di auguri natalizi in cui, nei panni del presidente Frank Underwood da lui interpretato in House of Cards, raccontava che ora la sua salute va meglio e che sta cambiando vita. L'attore ha sempre negato gli abusi sessuali e ora non è più incriminato dopo che a luglio sono state archiviate due denunce nei suoi confronti e l'accusatore di un terzo processo è morto.
Norvegia, morto suicida lo scrittore Ari Behn, ex marito della principessa Marta Luisa. Nel 2017 aveva accusato Kevin Spacey di averlo molestato dopo un concerto per il premio Nobel per la pace. La Repubblica il 26 dicembre 2019. E' morto suicida a 47 anni lo scrittore norvegese Ari Behn, ex marito della principessa Marta Luisa. Lo ha annunciato con "grande tristezza" il suo agente, Geir Hakonsund, "a nome dei suoi più stretti parenti". Il suo primo romanzo venne pubblicato nel 1999 ma Behn acquisì notorietà nel 2002 quando sposò la primogenita del re norvegese Harald V: i due, insieme, scrissero anche un libro sulle nozze, 'From heart to heart'. Genitori di tre figli, annunciarono il divorzio nel 2016. Due anni più tardi, uscì il suo ultimo libro 'Inferno', in cui descriveva la sua battaglia contro la malattia mentale. "Ari è stato una parte importante della nostra famiglia per molti anni, e abbiamo ricordi belli di lui con noi", ha fatto sapere la casa reale norvegese in una nota. Behn nel 2017 è stato anche tra gli accusatori di Kevin Spacey il 60enne attore omosessuale due volte premio Oscar finito nello scandalo MeToo per presunti abusi. Behn denunciò che nel 2007 l'attore lo avrebbe molestato toccandolo sotto a un tavolo in modo inappropriato dopo un concerto per il premio Nobel per la pace, invitandolo a uscire con lui in terrazzo. "Magari più tardi", sarebbe stata la sua imbarazzata risposta. Poche ore prima che si diffondesse la notizia della morte di Behn, Spacey aveva postato un video di auguri natalizi in cui, nei panni del presidente Frank Underwood da lui interpretato in House of Cards, raccontava che ora la sua salute va meglio e che sta cambiando vita. L'attore ha sempre negato gli abusi sessuali e ora non è più incriminato dopo che a luglio sono state archiviate due denunce nei suoi confronti e l'accusatore di un terzo processo è morto.
Ari Behn, morto suicida lo scrittore reale norvegese: accusò di molestie Kevin Spacey. Libero Quotidiano il 26 Dicembre 2019. Si è suicidato all’età di 47 anni Ari Behn, lo scrittore norvegese che era stato il genero del re Harald e che nel 2017 aveva denunciato di esser stato molestato 10 anni prima da Kevin Spacey. La notizia è stata confermata dal suo agente, Geir Hakonsund, che non ha fornito dettagli su come si sia tolto la vita. Behn aveva pubblicato il suo primo romanzo nel 1999 ma era doventato famoso nel 2002 quando sposò Martha Louise, la primogenita del re norvegese Harald V da cui ha avuto tre diglie eda cui si è separato due anni fa. Pittore e autore di tre romanzi e di un’opera teatrale, la sua ultima fatica, Inferno, in cui raccontava la sua lotta contro il disagio mentale. Nel 2017 era stato tra gli accusatori di Kevin Spacey, il 60enne attore omosessuale due volte premio Oscar finito nello scandalo metoo per presunti abusi. Behn denunciò che nel 2007 l’attore lo avrebbe molestato toccandolo sotto a un tavolo in modo inappropriato dopo un concerto per il premio Nobel per la pace, invitandolo a uscire con lui in terrazzo. "Magari più tardi", sarebbe stata la sua imbarazzata risposta. Poche ore prima che si diffondesse la notizia della morte di Behn, Spacey aveva postato un video di auguri natalizi in cui, nei panni del presidente Frank Underwood da lui interpretato in House of Cards, raccontava che ora la sua salute va meglio e che sta cambiando vita. L’attore ha sempre negato gli abusi sessuali e ora non è più incriminato dopo che a luglio sono state archiviate due denunce nei suoi confronti e l’accusatore di un terzo processo è morto. Il video a Natale è diventata una tradizione per Spacey, da quando è finito al centro dello scandalo metoo ed è stato estromesso dallo star system. Il 25 dicembre 2018, sempre in un video su Twitter intitolato Let Me Be Frank (in un gioco di parole tra il nome del suo personaggio in House of Cards e la franchezza), l’attore aveva postato tre minuti pieni di doppi sensi. Nel video si difendeva dagli attacchi, rivendicava il suo personaggio fuori dalle righe e dalle regole, ed evocava il suo ritorno. In fondo, ricordava, non si era vista la sua morte, l’uscita di scena che era stata architettata dagli sceneggiatori di House of Cards per estrometterlo dopo che erano venute alla luce diverse accuse nei suoi confronti. Accuse in parte cadute: l’estate scorsa, la procura del Massachussetts ha deciso di chiudere un caso contro Spacey, accusato di molestie sessuali nei confronti di un 18enne in un presunto adescamento avvenuto nel 2016, dopo che il testimone chiave ha scelto il silenzio.
· Kim Kardashian.
Irene Soave per il “Corriere della Sera” il 24 ottobre 2020. Per i suoi 40 anni, compiuti mercoledì (Bilancia ascendente Sagittario, cioè senso estetico e determinazione), Kim Kardashian ha scartato «il regalo più bello mai ricevuto»: un Monopoli su misura per lei , intitolato «Kimopoly». Lo ha mostrato su Instagram ai suoi 190 milioni di seguaci (tradotto, ogni giorno seguono le sue gesta il doppio degli spettatori di un Super Bowl). Nelle carte «Occasioni» ci sono alcuni snodi della sua vita straordinaria: il reality che l' ha lanciata, il matrimonio con Kanye West, i quattro figli, la laurea in Legge che forse prenderà. Non sono pochi, per una donna che è stata a lungo considerata l' emblema della fama fine a se stessa: «famosi per essere famosi» è l' epiteto che da sempre accompagna i Kardashian. Glielo ha rivolto anche David Letterman, 73 anni, nell' intervista «alla carriera» che le ha tributato nella sua trasmissione su Netflix Non c' è bisogno di presentazioni: uscita strategicamente il giorno del compleanno, è quasi una cartella stampa/bignami sulla Kim adulta. Che ha annunciato da poco la fine del reality Al passo con i Kardashian dopo 13 anni; e ha iniziato a studiare Legge e a spendersi per svariate cause, dalla grazia chiesta a Trump per una bisnonna di Memphis in carcere da 21 anni, (e poi ottenuta) all' indipendenza del Nagorno-Karabakh, a cui ha da poco donato un milione di dollari essendo di origini armene. «Lo ammetto, io ero tra quelli che ti prendevano in giro in passato», esordisce Letterman, 73 anni. E attacca: voi Kardashian, famous for being famous «Spero proprio di non offenderti, David», ha replicato lei serafica al conduttore tv più celebre degli Stati Uniti. «Ieri ho detto alle mie sorelle Kendall e Kylie (24 e 23 anni, ndr ): ragazze, vado da Letterman. E loro mi hanno chiesto: e chi è?». La puntata è stata registrata a marzo: allora Kim aveva 162 milioni di follower, 30 milioni meno di oggi. «Siamo in transizione verso una comunicazione tutta social», dice lei, anticipando l' addio alla tv che ha poi annunciato a settembre. «Ci credo», abbozza Letterman. «I numeri della tv comparati ai tuoi sono minuscoli. Io non sapevo cosa fosse l' intimo modellante, poi tu su Instagram ne lanci una linea (Skims, ndr ) e in un giorno vendi quattro milioni di pezzi». Lei sorride dell' ovvietà. Il suo patrimonio personale, stimato da Forbes , è di 900 milioni di dollari. Chi è più ricco tra lei e il marito rapper Kanye West? In un eventuale divorzio, che qualcuno dice imminente, non litigherebbero sui soldi. «Siamo perfettamente pari», risponde lei. Letterman glissa pietosamente sulla candidatura di Kanye alla Casa Bianca, ventilata in estate; lei sulla domanda «chi voterai?» (ma le sue battaglie legali l' hanno notoriamente avvicinata a Trump). Ora, a quarant' anni, Kim è praticamente Re Mida. Anche al contrario: nel 2018 le bastò twittare «Ma qualcuno va ancora su Snapchat?» per far perdere al social 1,3 miliardi di dollari. Eppure, dice, «nel mio primo appartamento a volte non arrivavo a pagarmi l' affitto». Ed è vero: prima che il suo reality partisse, nel 2007, Kim era solo la stylist semi-sconosciuta di Paris Hilton. Fu la madre Kris, che dopo il matrimonio con Bruce Jenner si trovava otto figli sotto lo stesso tetto senza che il clan fosse davvero ricco, a capire che toccava monetizzare (e da allora prende il 10% degli incassi di ciascun figlio). Convinse il produttore Ryan Seacrest a dedicare ai Kardashian un reality, format su cui la tv di allora puntava tutto; il trucco fu usarlo per mettere in scena una vita più capricciosa e ricca di quanto potessero davvero permettersi, e diventare così influencer ante litteram. Ora l' azienda Kardashian ha un brand per tutti i gusti, dalla body positivity dei vestiti di Khloè ai trucchi di Kylie. Zero costi di marketing: fanno tutto dai social. «Sembrarlo significa diventarlo», che per molti è il segreto della fama di Kim, è soprattutto la spiegazione della sua ricchezza.
· Kristen Stewart.
Marzia Nicolini per "vanityfair.it" il 10 ottobre 2020. Kristen Stewart si è lasciata alle spalle i tempi in cui per tutti era la Bella di Twilight e si accompagnava al collega di set Robert Pattinson. L’attrice e modella californiana, 30 anni, ha fatto coming out una decina di anni fa, dichiarando ai media di essere queer, aggettivo che dal punto di vista delle preferenze sessuali indica il non voler essere racchiuso né nell’etichetta di eterosessuale, né in quella di omosessuale. Libertà di scelta, insomma. In copertina sul numero di novembre di InStyle, Kristen Stewart ha rilasciato un’intervista molto intima a Clea Duvall, la regista che l’ha diretta nel nuovo film Happiest Season, raccontando quanto sia stato complicato per lei affrontare i paparazzi e le copertine dei giornali quando, verso i 20 anni, ha iniziato a frequentare ragazze. Per sentirsi a proprio agio e fare pace con l’attenzione morbosa dei media alla sua vita sentimentale e, soprattutto, al suo orientamento sessuale, l’attrice ha raccontato di aver impiegato anni e anni, non senza fatica. «La prima volta che sono uscita con una ragazza, mi è stato subito chiesto se fossi lesbica. E dentro di me ricordo di aver pensato: “mio Dio, ho appena 21 anni”. A volte mi è sembrato di aver ferito le persone con cui sono stata. Non perché mi vergognassi di essere apertamente gay, ma perché non mi piaceva offrire un’etichetta al pubblico. C’è stato un periodo in cui ho preferito restare un passo indietro, essere cauta nelle dichiarazioni. In fondo, anche nelle mie precedenti relazioni eterosessuali, abbiamo sempre fatto tutto il possibile per non essere fotografati mentre eravamo in momenti intimi, solo nostri. A un certo punto si è aggiunta la forte pressione di rappresentare un gruppo di persone, di rappresentare l’essere queer. La sentivo su di me, questa pressione, ma non capivo l’importanza delle mie dichiarazioni», ha spiegato l’attrice nel corso della lunga intervista. Aggiungendo: «anche se i miei genitori erano perfettamente ok con il mio frequentare ragazze, non posso affatto dire sia stato facile. È stata dura. È stato strano. E so che è così per tutti».
· Lacey Starr.
Barbara Costa per Dagospia il 19 dicembre 2020. Io di menopausa so niente, non ho idea di cosa mi succederà, spero non mi venga la voce da maschio, però ci metterei la firma per viverla la metà della metà di come se la vive la signora Lacey Starr. Mrs. Lacey Starr è una donna inglese che il 1 gennaio 2021 compirà 61 anni e che fino ai 53 ha rigato dritto: nata a Cambridge, master in psicoterapia e in art therapy, un marito, 3 figli, 5 nipoti. Quasi 3 decenni passati a insegnare, e a seguire i suoi pazienti in ambulatorio. Tutto questo fino al 2013, quando si è ritrovata “beatamente… divorziata!”. Lacey tradiva il marito già da 8 anni, con uomini più giovani, coi quali faceva sesso di nascosto in hotel, in auto, sesso che “mi ha rigenerata: mi sono scoperta ancora desiderabile. Il sesso con i ragazzi ti dà fiducia”. Liberatasi da un matrimonio sessualmente basico, noioso, Lacey si è regalata 2 vibratori cominciando a ogni giorno masturbarsi con loro e/o con video porno di cui ignorava l’esistenza. Tuttavia non è rimasta single per molto, fidanzandosi con un uomo che le ha fatto conoscere le gioie del sesso a tre, di gruppo, scambista. Sebbene Lacey, alla prima proposta di fare entrare qualcun altro nel loro letto, al nuovo fidanzato abbia risposto “con un pugno in faccia”, ha presto cambiato idea, rivelandosi pure bisessuale. A 53 anni, Lacey ha capito che sesso e amore possono essere realtà distinte, e si è messa a organizzare feste scambiste a casa sua. In uno di questi affollati appuntamenti, Lacey ha fatto amicizia con una coppia che le ha proposto di esibirsi hot, nuda, in cam, e non nonostante l’età, ma "per" la sua età. Lacey lo ha fatto, per gioco e, dopo una settimana di camming, le è arrivata una mail di uno studios porno olandese, che la invitava a girare per loro. Lacey ci ha pensato su 2 giorni, è volata in Olanda, si è ritrovata in una casa “dove tutti erano carini, gentili, mi hanno presentato il mio partner di scena, un ragazzo bellissimo e dotatissimo”. Lacey ha girato con lui “e questo stallone mi ha fatto godere, davanti, dietro, oralmente. Non mi ero mai sentita così libera, e così a mio agio. Lì l’unico problema era la lingua”, e va inteso come idioma! Tornata in patria, Lacey si è licenziata in tronco, buttandosi nel porno “e non sono più tornata indietro”. Un po’ con incoscienza, molto in serietà e faccia tosta, in 7 anni Lacey si è conquistata un posto di prim’ordine nel porno inglese, e non ci pensa affatto a smettere: ha fondato "Lacey Starr Productions", che distribuisce i suoi lavori anche negli Stati Uniti, ha girato a oggi circa 600 porno “per 10000 orgasmi, con 1000 partner, uomini e donne, dai 19 ai 70 anni”, ci tiene a precisare. Lacey gira, filma, produce, è un nome di punta di "TelevisionX", canale top del porno UK, e i suoi fan la adorano, la seguono sui social, anche se Instagram l’ha bannata 5 volte, e Twitter una. Al momento Lacey ha due profili twitter (vari sono quelli gestiti dai fan), ha intenzione di aprirne uno con relativo sito di "porn boobs", di porno incentrato sui seni, la parte del suo corpo che riscuote maggiore entusiasmo in chi la guarda e la sceglie per briosi onanismi. E infatti, zero scuse: Lacey Starr è tra le poche nel porno a mostrare – filtri a parte – fisicamente la sua vera età, è intatta chirurgicamente, i suoi seni non sono pompati, i suoi glutei sono mosci e cellulosi, e Lacey ce l’ha a morte con un sito che le ha "tagliato" le grinze su cosce e pancia. Il figlio più piccolo di Lacey ha scoperto che la mamma aveva cambiato lavoro ritrovandosela sui siti porno di cui era (è?) utente; gli altri figli erano però già stati informati della novità. Lei dice che l’hanno presa bene. Ignoro se i suoi nipoti abbiano già l’età idonea per essere edotti sull’avere una nonna talmente speciale! Il porno fa emergere una attrazione per il "vecchio" che in verità c’è sempre stata: è nata con la nascita dell’umanità. I siti porno ne danno evidenza, e legittimazione. Inutile nascondersi: tra i fan di Lacey – e delle altre porno-nonne – ci puoi essere tu, io, c’è la gente comune. Ci sono coloro che si scaricano "Dr. Lacey Sex Therapist" o "Granny Butt Fuck", per godere vedendola godere analmente sottomessa. Ci sono di sicuro tutti quegli uomini che via social le mandano le foto dei loro peni in erezione a omaggio del suo lavoro, e per chiederle giudizi della loro "prestanza". Giudizi che Lacey dà, lei che non si offende ad essere oggetto di sexting spinto, lei che però serve pareri spesso taglienti. Tra chi spasima per lei c’è chi, pre-pandemia, riempiva i form di casting su Laceystarr.com: "Fuck-a-Fan" è una sezione lanciata da Lacey per trovare fan da far partecipare ai suoi video bukkake e di gang-bang (sì, li fa, non c’è porno-pratica che Lacey disdegni!). La signora Lacey Starr non è un fake, non si vergogna di com’è e di quello che fa, ne è orgogliosa e si bea se la chiami nonna, anche se lei ama definirsi “una ragazza matura”: su di lei puoi dire tutto, sapere tutto, tranne quanto pesa – informazione top secret! – lei che per prima ammette che “non è così che dovrei comportarmi stando vicino alla pensione, però mi sto divertendo così tanto che la pensione può attendere!”. Lacey ha un solo, grande rimpianto: “Avere iniziato col porno a 53 anni, e non a 23. Quanto tempo e quanti orgasmi mi sono persa?”.
· Lady Gaga.
Mattia Marzi per "Il Messaggero" il 22 settembre 2020. Certe sue fragilità erano venute a galla già tre anni fa nel documentario Gaga: Five Foot Two, su Netflix: le telecamere di Chris Moukarbel l'avevano ritratta come una popstar insicura e instabile, alle prese con seri problemi di salute (la fibromialgia di cui soffre, che causa dolori muscolari diffusi in tutto il corpo, la spinse nel 2017 a stoppare la tournée legata all'album Joanne) e disturbi comportamentali causati dallo stress. Lady Gaga è tornata a mettersi a nudo in un'intervista concessa domenica a Lee Cowan durante il programma Sunday Morning della Cbs, raccontando stavolta il lato oscuro del successo, come prima di lei hanno fatto tante star del pop e del rock internazionale (lo scorso luglio era toccato al cantautore britannico Ed Sheeran: «Cocaina e alcol mi facevano stare bene, poi mi ammalai»). E rivelando di aver avuto pensieri suicidi.
IL SINGOLO 911. Quello che ha spinto la 34enne popstar statunitense - 30 milioni di dischi venduti in tutto il mondo - a lasciarsi andare è stata l'uscita del singolo 911 (è il numero unico per le emergenze negli Usa), accompagnato da un video in cui la cantante racconta in maniera metaforica i suoi disturbi mentali.
LA NEMICA. «La mia più grande nemica? È Lady Gaga. Da quando sono diventata famosa non posso andare a fare la spesa o cenare al ristorante con la mia famiglia, perché sono sempre al centro dell'attenzione e i fan si avvicinano per chiedere foto e autografi. Vado nel panico e comincio a sentire dolori in tutto il corpo. Mi sento un oggetto, non una persona. Per Lady Gaga ho rinunciato completamente a me stessa», ha detto Stefani Germanotta - è il suo vero nome - alle telecamere dell'emittente americana. La fama le ha presentato un conto altissimo: «C'è stato un periodo in cui ho odiato essere famosa. Non è sempre facile mostrarti agli altri se hai problemi mentali. Pensavo: Perché dovrei continuare a vivere?. Non trovavo altre ragioni per essere viva se non per la mia famiglia. Per un paio d'anni sono rimasta chiusa in casa, con persone che mi sorvegliavano per assicurarsi che fossi al sicuro». Uscire dal tunnel della depressione, combattuta assumendo farmaci antipsicotici, non è stato semplice.
IL SOCCORSO. Alla fine la musica è venuta in suo soccorso («La mia voce è la mia forza», dice d'altronde in italiano, la lingua dei suoi nonni, che dalla Sicilia emigrarono negli States all'inizio del Novecento, nello spot che ha realizzato per la nuova fragranza firmata Valentino): «Mi sono messa al piano e le nuove canzoni mi hanno aiutata a ritrovare il modo per tornare ad amare me stessa».
· Lando Buzzanca.
Anticipazione da “Oggi” il 16 gennaio 2020. I figli di Lando Buzzanca, Massimiliano e Mario, come rivelato dal settimanale «Nuovo», si sono rivolti a un giudice tutelare per nominare una persona scelta da loro o dallo stesso giudice che gestisca il patrimonio del padre. «Questa cosa mi fa stare molto male. Certo, sono anziano… ma ragiono ancora bene… Ho deciso di vendere la mia casa perché ci sono troppi ricordi legati a mia moglie; qualche anno fa voleva acquistarla la compagna di mio figlio Massimiliano ma io ho rifiutato. E adesso, di colpo, sono diventato rimbambito», dice a OGGI Lando Buzzanca. Nell’articolo, che OGGI pubblica nel numero in edicola, l’attore conclude: ««Tutto andrà a finire che gli darò la casa e io me ne andrò tranquillo». Mentre il figlio Massimiliano dà la sua spiegazione, ben diversa: «Nessuno della famiglia, ma proprio nessuno, ha mai minimamente pensato di voler interdire papà … Abbiamo chiesto al giudice tutelare che gli sia assegnata una persona di fiducia che possa amministrare al meglio le sue proprietà. Lui non è mai stato abituato a occuparsi delle questioni economiche, lo faceva mamma. E le cose sono peggiorate da quando ha avuto un’ischemia nel 2014… a me, sinceramente, dei soldi di papà non me ne può fregare di meno. È giusto che se li goda, cerchiamo solo di tutelarlo».
· Laura Pausini.
Laura Pausini: «Così racconto a mia figlia dei nostri veri eroi negli ospedali, contro il coronavirus». Pubblicato domenica, 22 marzo 2020 su Corriere.it da Laura Pausini. In tutta la mia vita non ho mai pensato neanche per un momento che avremmo potuto vivere in una situazione come questa. Negli ultimi ventisette anni sono salita e scesa da aerei praticamente ogni giorno, ci sono stati momenti in cui nello stesso giorno mi trovavo la mattina in Italia, il pomeriggio in Francia e la sera in Spagna. Lo scorso anno ho fatto un concerto la sera a Cuba e il giorno dopo ero a Madrid per la finale di The Voice. Tutto questo è sempre stato normale per me, l’ho sempre considerato un mio dovere per cercare di restituire la fiducia che il pubblico mi ha dato, pensando che «se mi fermo non mi merito ciò che ho». Stare una vita in viaggio però non è semplice, specialmente quando diventi mamma e tua figlia inizia a fare le elementari, così quest’anno mi ero decisa di passarlo a casa, con la mia famiglia e senza viaggiare ma adesso che sono qui ferma, in una situazione sicuramente di privilegio ma comunque rinchiusa, mi sembra tutto assurdo. Cerco di spiegare a Paola, che adesso ha 7 anni, quello che sta succedendo perché le sue domande sono diventate sempre più insistenti, come credo quelle di ogni bambino che si trova a dover comunicare con i compagni e gli insegnanti tramite lezioni via internet. Mi chiede: «Quando tornerà tutto come prima?» e mi spiazza. Non è facile trasferirle che il mondo dei suoi supereroi, che siamo noi adulti, non è ancora riuscito a fermare un piccolissimo essere microscopico che sta uccidendo migliaia di persone. Non è facile cercare di tenere solida la sua fiducia per un futuro che noi genitori vediamo sempre più complesso. Le parliamo sempre con dolcezza, anche usando le favole, ma da sempre la trattiamo come un essere umano intelligente e sveglio quale è. Le diciamo tutto, sarebbe una delusione per lei scoprire che le stiamo nascondendo la realtà. Le spieghiamo anche cosa significa avere un virus, come si può curare e il perché gli scienziati, i virologi, i dottori e tutto il personale sanitario sono i nostri veri eroi. È una situazione assurda per il nostro Paese, con un numero altissimo di contagi, ma io voglio credere che uniti e rispettosi delle regole ce la faremo a superare anche questo momento. Siamo italiani e di difetti ne abbiamo, ma le virtù di questo nostro Paese sono tante, è arrivato il momento di portarle in scena come solo noi sappiamo fare. Per far vedere a tutti che siamo un’unica bandiera che sventola nei balconi delle nostre finestre chiuse, che si aprono per cantare e mandare messaggi d’amore, unione e speranza. Siamo quelli che fanno turni di lavoro impossibili negli ospedali per non lasciare indietro nessuno. Siamo quelli che di fronte alle calamità naturali ci siamo fatti coraggio, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo veramente ricostruito il Paese. Siamo quelli che aiutano i nostri padri e i nostri nonni, perché siamo capaci di amare senza riserve. Noi, siamo pieni di contraddizioni come tutte le forme d’arte più speciali che abbiamo creato: siamo i disegni dei quadri, le parole delle poesie e siamo i portici, le chiese e le mura dalla scultorea bellezza. Siamo capaci di perdere la pazienza, ma siamo anche un popolo perseverante. Quando le altre nazioni raccontano di noi, parlano di gente che fa casino, ma siamo anche l’obbedienza e molti moltissimi di noi, lo stanno dimostrando: siamo diventati un esempio, e credetemi io mi sento lusingata quando mi chiamano i miei amici da Londra, o da Parigi, da Madrid o da New York, dal Messico e dal Brasile, mi mandano le foto di Venezia, mi scrivono frasi di affetto in italiano e inviano video di ringraziamento con immagini dei nostri medici. E sono proprio loro a farmi sentire orgogliosa di essere italiana. Ma d’altronde come può non essere cosi? Se io fossi straniera vorrei essere italiana, e quando vinco un premio ovunque io sia il mio primo pensiero è per la mia terra, e ne vado fiera. Dobbiamo essere fieri di noi stessi, perché il «nostro dopo» sarà un nuovo Rinascimento, il nostro «poi» sarà favoloso, perché noi saremo i più bravi del mondo a ricostruirlo. Dobbiamo ricordarcelo bene questo senso di vicinanza, questo desiderio che ci scoppia dentro al cuore di abbracciare le persone che amiamo. Dobbiamo ricordarci questo sentire che ci accomuna tutti, dobbiamo ricordare questa voglia di fare, di aiutare, di donare, di vivere i drammi di tutti come propri. Io ad esempio ho scelto la Croce rossa dell’Emilia-Romagna per stare vicino alla mia regione, ma tantissimi stanno facendo dei gesti straordinari, ognuno come può. È questo sentimento, questa grande generosità, questa passione, che ha reso l’Italia il posto più incredibile della terra. Un uomo senza piedi non resta in piedi, e il mondo senza il suo Stivale può anche continuare a ruotare, ma non avrà mai la forza di trovare una direzione e una stabilità. Ha bisogno dell’Italia, e l’Italia siamo noi.
· Le Calippe: Debora Russo e Romina Olivi.
VI RICORDATE ROMINA E DEBORA, LE RAGAZZE DEL “CALIPPO E DELLA BIRA” PER SFUGGIRE AL CALDO?
DAGO-TRASCRIZIONE il 9 luglio 2019. Giù l’asciugamano, con la birretta in mano, tutti incastonati sembra un tetris disumano, sul lettino del vicino, Calippo è il paradiso, come dalla D’urso e il suo salotto (???) L’estate ci chiama, la gente ci ammira, siamo pronte a far festa, andiamo fuori di testa. Portame al mare, o ‘ndo te pare, pijame na bira che ‘ncho na lira.
Da tiburno.tv il 5 agosto 2020.
Debora vorrei tornare indietro di dieci anni, a quel video che ha reso te e Romina famose. Ogni tanto lo riguardi?
«No, no a meno che qualcuno non me lo faccia rivedere».
E quando te lo fanno rivedere che pensi?
«Che disagio».
Perché?
«Beh diciamo che era nato un po’ tutto per scherzo. Ero in spiaggia e ho visto Nicola Veschi con la telecamera allora ho detto “namo là e se famo fa’ un’intervista”. Romina l’ho conosciuta quel giorno. Eravamo nella stessa comitiva ma io ero partita con un’altra ragazza che era una mia amica. Quando ho visto il giornalista e le ho chiesto di andare a farci intervistare lei si vergognava, quindi Romina si è proposta di venire con me. Ma era per fare le cretine. E così è stato, ci è riuscito bene. Da lì siamo diventate amiche. Per fortuna, anche perché altrimenti non avremmo mai fatto tutte quelle cose insieme».
Quanto è rimasto della vecchia Debora e quanto invece sei cambiata e cresciuta?
«Sono maturata tanto. È rimasta quella parte un po’ più scema di me che però vedono solo gli amici più stretti. Che con gli altri tendo a nascondere. Quella parte un po’ bambina che abbiamo tutti. Dall’altra parte però sono consapevole di essere una persona adulta, soprattutto in ambito lavorativo. E poi sono mamma, devo stare dietro alla bambina, alla scuola».
Sei mamma? Complimenti!
«Sì, si chiama Jennifer. A settembre fa otto anni».
Com’è il tuo rapporto con lei?
«Abbiamo un bel rapporto, lei ha un carattere uguale al mio quindi ci scontriamo spesso. Poi lei è molto quadrata. Mamma non fare così, mamma non dire così, sempre a farti le foto. Oppure mi prende in giro e mi sgrida quando mangio la banana con la nutella. Dice che faccio la cicciona. E poi dice che a scuola ero un’asinella mentre lei è brava».
Visto che ti rimprovera sulla dieta, lei fa sport?
«Ha fatto karate, danza classica e ora reggaeton».
Chi ti aiuta co lei quando sei a lavoro?
«Mia mamma o l’altra nonna, per fortuna sono molto presenti».
E il padre?
«Anche lui è molto presente, anche se non stiamo più insieme mi dà sempre una mano con Jennifer».
Adesso sei fidanzata?
«No, felicemente single!»
E il tuo ragazzo ideale come dovrebbe essere?
«Ride ndr. Non lo so, io ho una calamita per i disagiati. Infatti mi dico sempre “mo apro una casa famiglia e li metto tutti là dentro!”»
Che intendi per disagiato?
«Fino ad adesso mi sono capitati tutti casi umani. L’ultimo ragazzo, Samuele, all’inizio sembrava il principe azzurro. Poi invece con il tempo ho scoperto che aveva qualche problema con l’alcol. Fino a poco tempo fa ancora mi scriveva, un tormento. Veniva anche sotto casa mia. Per farti capire che tipo è, una volta stavamo tornando a casa e si è fermato davanti alla chiesa di Quintiliolo perché voleva sposarmi a tutti i costi. È entrato con la birra in chiesa, ci mancava che io entrassi col calippo! Il prete era sconvolto. Gli ho fatto l’occhiolino come per dire “assecondalo, non sta bene con la testa”. Quindi il prete ci ha dato le catenine con la madonnina e Samuele voleva per forza decidere una data di matrimonio. Ha scelto il 15 luglio. Quindi nella sua testa noi circa due settimane fa ci siamo sposati».
Dove lavori?
«Lavoro come onicotecnica al Tempio del Sole, a Villalba. Non sembra, ho ‘ste unghie un po’ brutte. Ma si sa, il calzolaio va in giro con le scarpe rotte».
Lavori tantissimo, per programmare questa intervista ci abbiamo messo del tempo.
«Sì, però non mi pesa perché faccio un lavoro che amo. Poi ho un bellissimo rapporto con le mie clienti. Una di loro mi ha invitata al suo matrimonio. Quando sono in negozio a volte entrano e magari sto servendo già un’altra cliente, però loro comunque vengono da me e mi chiedono “insomma, com’è andata con quel ragazzo ieri sera?”. Secondo me vengono più per sapere il seguito dei miei racconti che per sistemarsi le unghie».
Oltre al lavoro, quali sono i tuoi hobby e le tue passioni?
«Le mie passioni sono il mio lavoro, mia figlia e passare il tempo libero con i miei amici. Mangiare poi è il mio passatempo preferito. Mi piace di tutto, questa sera andrò a mangiare fuori con un’amica. Inizialmente eravamo orientate sul sushi, poi abbiamo cambiato programma e abbiamo deciso per un panino da “Pippo”. Probabilmente ricambieremo idea nel tragitto per andare lì».
Quando vai in giro la gente ti riconosce?
«A volte sì. Qualche giorno fa una ragazza mi ha riconosciuto dalla voce. Sono cambiata tanto esteticamente, però la voce è rimasta quella. Vabbè comunque la gente quando mi riconosce si diverte, fa vedere il video a tutti».
Il Calippo lo prendi ancora?
«L’ho ripreso ultimamente dopo un sacco di tempo perché avevo il trauma».
Trauma? Hai brutti ricordi di quella esperienza?
«No, è stata una bella esperienza. Tra alti e bassi, perché c’è la gente più pesante ma anche la gente tranquilla che si fa una risata. Come in tutte le cose ci sono pro e contro, però io l’ho sempre vissuta bene».
Debora Russo in tre parole.
Solare. Ritardataria – tranne che sul lavoro – infatti le mie amiche mi aspettano sempre le ore sotto casa. Stanno lì a fa’ la muffa. E poi spensierata. Vivo nel mio mondo, non penso tanto ai problemi ma rido sempre. Se il mondo cade, io mi sposto».
Su Instagram insieme a Romina hai un profilo che si chiama “Le Calippe”.
«Non la stiamo usando più, però la pagina c’è ancora».
Avete fatto anche uscire un video musicale.
«Sì. Ci ha scritto un ragazzo che fa il dj e ci ha proposto di fare una canzone, visto che era appena uscita la canzone di J-Ax “Ostia Lido”. La nostra canzone si chiama “portame al mare”. Però ha fatto tutto lui perché io e Romina non semo mica capaci a fa’ niente. Noi ci abbiamo messo solo la faccia. Però ci siamo divertite un sacco, abbiamo conosciuto molta gente. Poi J-Ax ci ha anche contattate e ci ha invitate al suo concerto».
Tu e Romina siete ancora amiche, qual è il vostro segreto?
«Credo che il fatto che non ci vediamo spesso. Lei adesso è fidanzata, ha il ragazzo in Calabria quindi fa su e giù. Anche lei lavora, in un negozio di abbigliamento».
Oggi cosa rimane del successo che avevate dieci anni fa?
«In realtà non molto. Ma io l’ho sempre vissuta in modo molto tranquillo. Non mi sarebbe piaciuto e non mi piacerebbe tutt’ora lavorare in televisione. Non mi piace quel mondo. La gente è strana. Quando sono stata ospite di Barbara D’Urso con Romina per esempio c’erano persone che in sala trucco non ci consideravano, poi una volta arrivate in studio ci parlavano ed erano gentili. Ma che problemi hai!?»
Siete state da Barbara D’Urso?
«Sì, due volte. Ma niente di particolare. Ci ha chiesto del nostro successo, se ce lo aspettassimo. Poi c’era anche un altro ragazzo, Denis Dosio, e mi ha fatto ballare con lui. Abbiamo preso questa esperienza per quello che era, una cosa poco seria e molto autoironica. Mi sono anche insultata da sola in trasmissione».
· Le Donatella: Giulia e Silvia Provvedi.
Silvia Provvedi rompe il silenzio dopo l’arresto del fidanzato Giorgio. Notizie.it il 26/06/2020. Per Silvia Provvedi non è un periodo molto facile. La gioia e l’amore per la nascita della figlia Nicole, si sono subito trasformate in paura e panico. Giorgio, il famoso Malefix del Grande Fratello Vip, infatti, è stato arrestato. Tanti sono state le critiche e gli attacchi che sia Silvia che Giulia hanno subito. Le due ragazze sono state costrette a bloccare i commenti sotto le loro foto. Per qualche giorno, l’ ex fidanzata di Fabrizio Corona, ha preferito la riservatezza e si è allontanata dai social. Solamente oggi, 26 giugno 2020, ha rotto il silenzio. Del resto, mai come in questi giorni, Silvia ha bisogno di affetto e di amore non solo per lei ma anche per la sua piccola Nicole. La cantante si è limitata a commentare con un piccolo cuore sotto la sua ultima foto. Silvia non ha voluto minimamente accennare alla questione di Giorgio per dedicarsi interamente alla piccola Nicole. Ha pubblicato una tenerissima foto, in bianco e nero, con la piccolina nata qualche giorno prima. Del resto, la delusione é tanta. Dopo molti anni passati con Fabrizio Corona, Silvia era convinta di aver finalmente trovato la persona giusta con cui condividere il resto della sua vita. Così non è stato. Il parto non è stato semplice. Silvia ha raccontato di aver subito un taglio cesareo. Adesso, grazie alla figlia, tutto sembra essere passato. Il futuro di Silvia Provvedi é quanto mai incerto. Non si sa cosa sarà del suo rapporto con Giorgio. Quel che è certo è che Nicole le sarà sempre vicino.
Bruno Palermo per “il Messaggero” il 25 giugno 2020. «Fidanzato da oltre un anno con Silvia Provvedi, che in un famoso reality (Il Grande Fratello Vip) trasmesso nell'autunno del 2018, lo ha sempre indicato con il soprannome di Malefix». Questo è quanto scrivono gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria nella informativa che compone l'ordinanza di custodia cautelare della Direzione distrettuale antimafia reggina nei confronti di 21 persone, tra i quali appunto Giorgio De Stefano, il fidanzato di Silvia Provvedi del duo Le Donatelle che, dicono subito gli investigatori è «totalmente estranea all'inchiesta». Giorgio De Stefano già Condello Sibio, è figlio dello storico boss del rione Archi di Reggio Calabria, Paolo De Stefano, al quale dal 2017 è stato riconosciuto il cognome del padre. Per gli inquirenti «è da ritenersi il più valido rappresentante delle propaggini operative della cosca De Stefano a Milano, dove si è trasferito negli ultimi tempi». Ed è a Milano che Giorgio e Silvia diventano una coppia, frequentando il jet set della movida e gli ambienti vip della capitale della moda. La loro relazione è talmente felice che da poco tempo sono diventati genitori di una bimba. Ma la storia sentimentale di Silvia Provvedi sembra maledetta e costellata di bad boys. Una storia che conduce sempre alle porte del carcere e ai tribunali. Era stata lei, infatti, ad accompagnare in quasi tutte le udienze e ad andare a prendere il suo fidanzato dell'epoca, Fabrizio Corona, all'uscita dal carcere di San Vittore oltre due anni fa. Una storia d'amore travagliata che finì in malo modo. Ora un'altra volta il carcere, quello che ha chiuso le porte alle spalle dell'attuale compagno, Giorgio De Stefano, le cui accuse sono pesanti, a partire dall'associazione a delinquere di stampo mafioso. È una misura cautelare al momento, ma Silvia potrebbe rivivere ancora le aule dei tribunali e le sale colloquio dei carceri. Malefix è il nome dell'operazione. Secondo la Procura antimafia di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, potrebbe aver in qualche modo frenato un nuovo conflitto di ndrangheta, visti i tanti tentativi di scissione da parte di una famiglia soprattutto, i Molinetti, che le indagini della Squadra Mobile e dello Sco hanno rivelato. Propositi di un nuovo conflitto di ndrangheta che, con tutta probabilità, era stato anche rallentato dall'emergenza Covid-19, ma che gli investigatori sono riusciti a monitorare anche nei mesi dell'emergenza sanitaria. Tra le maglie dell'inchiesta sono finiti elementi di vertice, luogotenenti e affiliati alle potenti cosche dei De Stefano-Tegano e Libri che operano nella città di Reggio Calabria, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, diverse estorsioni, detenzione e porto illegale di armi, aggravati dal metodo e dalla agevolazione mafiosa.
Alessia Candito per "repubblica.it" il 24 giugno 2020. Ventuno persone, tutte appartenenti all'élite dei clan di Reggio Calabria, le famiglie De Stefano-Tegano e Libri, più i quadri alti del clan Molinetti, sono finite in manette fra Reggio Calabria, Milano, Como, Napoli, Pesaro, Urbino e Roma. Fra loro non ci sono solo noti boss, ma anche chi ha - quanto meno formalmente - vestito i panni di un rampante imprenditore, pur continuando a comandare da giovane boss. Si tratta di Giorgetto De Stefano, il "Malefix" compagno di Silvia Provvedi, del duo "Le Donatella", ex di Fabrizio Corona appena diventata mamma. Lui è figlio illegittimo del boss Don Paolino, riconosciuto come "di famiglia" dai fratellastri che in tarda età gli hanno anche consentito di prendere anche il cognome dello storico boss e un ruolo di peso negli affari criminali di famiglia. E nelle guerre. Al centro dell'indagine della procura antimafia di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri, gli assetti e gli affari dei clan nella città di Reggio Calabria, terremotati dai tentativi di scissione che hanno creato tensioni tali - hanno rivelato le indagini della Squadra Mobile e dello Sco - da far temere un nuovo conflitto, disinnescato forse solo dal lockdown imposto dalla pandemia di Covid 19. In manette o raggiunti da nuove accuse in carcere ci sono tre generazioni criminali, dai capi storici del clan De Stefano Tegano, i "signori" di Archi con un posto da sempre riservato nel direttorio strategico che governa tutta la 'ndrangheta in Calabria e non solo, ai giovani e rampanti boss. Quelli come Mico Tegano (indagato e già in carcere perché protagonista di un'altra inchiesta antimafia), tenuti a casa a vigilare sulle strade ed esplorare le frontiere più avveniristiche del business criminale, come il mondo delle scommesse on line, e quelli come Giorgetto De Stefano, spediti al Nord Italia per far girare i soldi di famiglia e smettere di dare nell'occhio, ma pienamente integrati nelle dinamiche mafiose "di casa". Lontano da indagini e parenti, Giorgetto De Stefano da tempo era stato spedito a Milano. Sotto la Madonnina faceva la bella vita, frequentava il jet set, si presentava come giovane e rampante imprenditore, fra i proprietari del noto ristorante "Oro" frequentato da vip e calciatori. Negli ultimi tempi era diventato anche "l'ossessione" dei rotocalchi di cronaca rosa, tutti a caccia delle sue immagini mano nella mano con Silvia Provvedi, già concorrente del Grande fratello vip e componente di un duo musicale insieme alla gemella Giulia. I due hanno appena avuto una figlia, Nicole, di cui mamma e zia annunciano la nascita su Instagram. Li hanno beccati solo poche volte, l'ultima a Dubai, mentre la comprensibile riservatezza del suo lui, allergico a social e riflettori, ha impedito alla starlette il consueto book di foto su instagram e facebook. Per molto tempo anche il nome della nuova fiamma della Provvedi è rimasto un mistero, poi svelato dai giornali di gossip. Quando lei partecipava al noto programma televisivo lo chiamava "Malefix" e professava grande amore, mentre lui organizzava passaggi aerei sulla casa per manifestarle i suoi sentimenti. Di lui, Silvia Provvedi ha detto "è una persona molto speciale". Ma Giorgetto "speciale" lo era soprattutto per la famiglia. Quando il clan chiamava, tornava a vestire i panni del giovane boss, per conto dei De Stefano incaricato a sedare tensioni, imporre accordi, dettare regole. Poteva farlo grazie al peso del casato mafioso di cui è arrivato a portare il nome. È stato lui, insieme al fratellastro Carmine De Stefano, a spegnere le velleità di emancipazione della famiglia Molinetti, storicamente braccio armato del clan, con ansie di nuovi spazi. Complici arresti e processi che hanno spedito, anche per lungo tempo, dietro le sbarre capi e quadri dello storico casato mafioso, i Molinetti avevano iniziato ad avanzare pretese, pretendere pezzi di territorio - come il periferico quartiere di Gallico, teatro di omicidi e frizioni negli ultimi anni - ruoli di vertice, quote di profitto. Nati come gruppo di fuoco dei clan di Archi durante la seconda guerra di 'ndrangheta, hanno iniziato a pretendere di più dalla casa madre. Un problema che Giorgetto De Stefano ha risolto personalmente. Per qualche giorno ha abbandonato salotti e starlette per tornare a vestire ufficialmente i panni del figlio di don Paolino e incontrare da pari Alfonso Molinetti, fratello del capo storico Luigi, in soggiorno obbligato fuori dalla Calabria. Forte dell'investitura pubblica e ufficiale ricevuta come "erede" del potere dei fratellastri, con l'anziano boss ha fatto valere il peso del proprio casato. Tutti passaggi documentati minuziosamente dagli investigatori della Squadra Mobile e dello Sco, che adesso raccontano una storia diversa del misterioso "imprenditore dagli occhi di ghiaccio" che ha fatto dannare i rotocalchi con la sua riservatezza. Adesso a parlare di lui è un'ordinanza di custodia cautelare, notificata nella notte a lui e ad altre 20 persone, tutte accusate a vario titolo di associazione mafiosa, diverse estorsioni in danno di imprenditori e commercianti, detenzione e porto illegale di armi, aggravati dal metodo e dalla agevolazione mafiosa. Pagine in cui non si contano le estorsioni, le violenze, le periodiche riunioni per definire modi e metodi del rastrellamento condiviso del pizzo a Reggio Calabria. Pagine di un romanzo criminale, che per Giorgetto De Stefano finisce dietro le sbarre di una cella.
“Foto scambiate, non sono un boss”: la rabbia dell'ex di Silvia Provvedi. Le Iene News il 27 giugno 2020. In passato Federico è stato fidanzato con Silvia Provvedi, la showgirl del duo “Le Donatella”, neomamma e da qualche giorno nella bufera dopo l’arresto per ‘ndrangheta del suo attuale compagno. Alcuni media, sbagliando clamorosamente, hanno diffuso la sua foto scambiandolo per l’uomo arrestato: “Ora ho paura e sto male, questo errore mi ha rovinato anche sul lavoro”. Uno scambio di persona in foto da parte dei media sta costando molto a un giovane dj argentino, Federico Chimirri, volto noto per la partecipazione a “Uomini e Donne” ed ex fidanzato di Silvia Provvedi. Federico ci ha mandato il video che vedete qui sopra per raccontarci tutto. Nel 2018 è stato fidanzato appunto per un breve periodo con la showgirl del duo “Le Donatella”. Ora è stato scambiato in foto per Giorgio De Stefano, attuale fidanzato di Silvia Provvedi finito in questi giorni in mezzo a una bruttissima storia di ‘ndrangheta. Giorgio De Stefano, all’anagrafe Giorgio Sibio Condello, è stato stato appena arrestato infatti nell’ambito di una operazione della Direzione distrettuale Antimafia che ha fermato, nell’operazione “Malefix”, 21 persone che sarebbero tutte legate a vario titolo ai clan di Reggio Calabria De Stefano-Tegano e Libri. Federico, che da anni vive e lavora come dj a Formentera, è ovviamente completamente estraneo a tutta questa vicenda ma la sua foto, abbracciato a Silvia ai tempi del loro amore, è stata pubblicata da alcuni media come se si trattasse di Giorgio: per lui è scoppiato il finimondo. Potete vedere qui sotto una di queste foto, con tanto di didascalia sbagliata..."Tantissimi giornali, blog, pagine Instagram hanno pubblicato la mia foto con il titolo ‘arrestato boss della ‘ndrangheta’”, ci racconta Federico. “Sono iniziati da quel momento una serie di problemi, per me e per quanti collaborano con me. Io lavoro con la mia immagine, faccio il dj ed è successo che centinaia di persone hanno iniziato a scrivermi e a chiedermi informazioni e ho perso anche tantissime date di lavoro. Se molte testate, soprattutto blog, hanno fatto immediata rettifica dopo che sono state contattate dal mio legale, altri giornali continuano a lasciare in pagina la mia fotografia e neanche rispondono alle mie email. Mi lamento per la superficialità di alcuni giornalisti che senza nemmeno verificare rovinano l’immagine di una persona, che è anche la fonte del suo lavoro. Questa situazione mi ha causato anche un sacco di stress: lo dico per farvi capire il potere della stampa, soprattutto quando commette errori di questo tipo. Io non mi fermo: con il mio legale andremo avanti a tutelare la mia immagine. Voglio ringraziare Le Iene per questa possibilità”.
Silvia Provvedi parla dopo l'arresto del compagno: "A lui rinnovo il mio amore e la mia vicinanza". Silvia Provvedi ha rotto il silenzio dopo l'arresto del compagno attraverso un post su Instagram nel quale continua a sostenerlo, rinnovandogli sempre di più il suo amore. Francesca Galici, Sabato 27/06/2020 su Il Giornale. Dopo lunghi giorni di silenzio, Silvia Provvedi ha rotto il silenzio sull'arresto del compagno Giorgio De Stefano con l'accusa di essere a capo di una 'ndrina insieme a suo fratello. La metà delle Donatella è intervenuta su Instagram condividendo un post che la vede cullare tra le braccia la sua bambina, nata pochi giorni prima dell'arresto del padre. Sono stati giorni concitati per Silvia Provvedi e per sua sorella Giulia, che adesso dovranno rimboccarsi le maniche per dare alla bimba tutta la serenità di cui ha bisogno, mentre la giustizia lavorerà per accertare la verità. "Ritengo doveroso dire due parole alle tantissime persone che mi vogliono bene e che mi stanno esprimendo solidarietà. Vi ringrazio di cuore, davvero tutti", ha esordito Silvia Provvedi sotto la foto in bianco e nero che la ritrae insieme alla bambina. "Non parlerò più di questa triste vicenda, che ha coinvolto me e tutta la mia famiglia, fino alla conclusione delle indagini, perché penso che sia una mancanza di rispetto nei confronti di una magistratura in cui ho sempre creduto e credo tutt'ora", prosegue la ragazza, che adesso dovrà fare i conti con una realtà inaspettata. Gli uomini della Squadra Mobile di Milano hanno prelevato l'uomo giovedì mattina attorno alle 4, quando De Stefano e la sua famiglia si trovavano a casa di Silvia Provvedi. Pare che l'impianto di condizionamento non fosse funzionante quel giorno nella loro abitazione e così, per dormire serenamente e per garantire alla bambina il miglior clima, hanno deciso di trasferirsi momentaneamente a casa della gemella di Giulia, che li ha accolti a braccia aperte. "Sono venuti a prendermi", avrebbe detto De Stefano quando è suonato il citofono prima dell'alba. Da quel momento sia Giulia che Silvia Provvedi, che condividono lo stesso profilo Instagram, si sono chiuse nel silenzio in atesa degli accertamenti. Giorgio De Stefano pare fosse un esponente di spicco dell'omonima famiglia, una delle più potenti della zona di Reggio Calabria. A Milano gestiva uno dei ristoranti del centro più alla moda, frequentato da tantissime celebrità. Il suo nome ha iniziato a circolare quando ha deciso di mandare un aereo alla sua fidanzata durante la partecipazione al Grande Fratello Vip. Una frase romantica e una firma, "Malefix", che è stata poi utilizzata per nominare l'operazione condotta dalla Dda di Reggio Calabria, che l'ha portato in carcere. Silvia Provvedi non ha abbandonato il suo uomo ora che lui si trova in difficoltà ma, anzi, continua a sostenerlo: "Al mio compagno Giorgio rinnovo sempre di più il mio amore e la mia vicinanza".
· Led Zeppelin.
Chiusa la battaglia legale per "Stairway to heaven". Hanno vinto i Led Zeppelin. Pubblicato martedì, 06 ottobre 2020 da Ernesto Assante su La Repubblica.it. Il bassista degli Spirit, Mark Andes, assieme agli eredi di Randy California, morto nel 1997, aveva lanciato una azione legale per violazione del copyright perché sosteneva che il brano fosse troppo simile alla loro "Taurus". La lunga battaglia legale che ha visto al centro uno dei brani cardine della storia del rock, Stairway to heaven è finita: La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso di non riaprire il caso, chiuso con la vittoria dei Led Zeppelin contro gli eredi del musicista e leader degli Spirit, Randy California. Quindi, secondo la legge, Jimmy Page e Robert Plant non hanno copiato Taurus, brano degli Spirit scritto da Raqdny California. La controversia era arrivata fino alla Corte Suprema dopo una vicenda giudiziaria iniziata nel 2014, quando il bassista degli Spirit, Mark Andes, assieme agli eredi di Randy California, morto nel 1997, aveva lanciato una azione legale per violazione del copyright contro Page e Plant e un'ingiunzione per bloccare ogni pubblicazione dell’album, IV dei Led Zeppelin. Lo scopo era quello di ottenere la firma di California sul brano, il cui arpeggio introduttivo di chitarra assomigliava a quello di Taurus. Se l’azione legale avesse avuto successo gli eredi non avrebbero comunque ricevuto nulla dei passati guadagni della canzone, stimati attorno ai 550 milioni di dollari, ma solo i compensi relativi ai diritti per i profitti futuri. Nell’aprile del 2016 il giudice di Los Angeles Gary Klausner decise che le somiglianze erano sufficienti per andare a processo e per dare modo a una giuria di decidere. La giuria il 23 giugno successive stabilì che non c’erano sufficienti elementi di somiglianza per dare ragione agli eredi e votò all’unanimità in favore dei Led Zeppelin. Nel 2017 ci fu la richiesta di appello, accolta nel 2018. Nello scorso marzo la Corte d’Appello di San Francisco sentenziò ancora a favore dei Led Zeppelin, ma lo scorso agosto, gli eredi hanno presentato un procedimento per il riesame degli atti processuali chiedendo alla Corte Suprema degli Stati Uniti di intervenire, cosa che la corte ha deciso di non fare, non riaprendo il caso e chiudendo in maniera definitiva la controversia. Il caso è stato sotto i riflettori non solo per la fama della canzone, uno dei cinque brani più popolari dell’intera storia del rock, ma anche perché avrebbe aperto un grande fronte di battaglie legali tra autori che hanno usato gli stessi giri di accordi per centinaia se non migliaia di altre canzoni, creando un’importante precedente nel campo del diritto d’autore, com’è stato già per un'altra sentenza controversa, quella di Blurred Lines di Pharrell Williams e Robin Thicke, in cui i giudici diedero invece ragione agli eredi di Marvin Gaye ravvisando la somiglianza con Got to give it up del grande autore afroamericano, più nelle atmosfere e nei suoni che non nella reale sostanza del brano. Nel caso degli Zeppelin c’è lo stesso giro di accordi, arpeggiato in maniera leggermente diversa, e un “clima” simile, ma le canzoni, secondo i giudici americani, non hanno abbastanza elementi di somiglianza per definire un plagio.
· Lele Mora.
Lele Mora, la terribile confessione: "Tentai il suicidio sigillandomi naso e bocca con i cerotti che tenevano insieme l'abat-jour rotta". Libero Quotidiano il 19 luglio 2020. Anche Lele Mora ha dovuto fare i conti con la giustizia italiana. L'ex agente dei vip ha raccontato uno dei momenti più bui della sua vita: il carcere. "Premesso che sono contrario a qualunque droga e che l’unica polvere bianca è quella sui mobili di casa, sono stato condannato per evasione fiscale, bancarotta e favoreggiamento della prostituzione nel processo Ruby - racconta a L'Arena -. Passai 13 mesi di completo isolamento in un cubicolo nel carcere di Opera, controllato a vista, con 40 gradi d’estate, senza un ventilatore". Una situazione complicata perché come lo stesso Mora descrive le condizioni erano pessime: "Niente fornello per cucinare. Mangiavo solo tonno. Frutta e verdura dovevo tenerle al fresco nel lavandino in cui mi lavavo. La finestra con doppie sbarre era priva di vetri, per impedirmi atti autolesionistici. D’inverno la temperatura scendeva quasi a zero. Ottenni un piumone solo grazie al certificato dello psichiatra". Ma un atto autolesionistico a quei tempi ci fu: "Sì - confessa - tentai il suicidio sigillandomi naso e bocca con i cerotti che tenevano insieme l’abat-jour rotta. Mi risvegliai in infermeria. Ma non parliamone, è un ricordo terribile", liquida il brutto ricordo aggiungendo però che ora la depressione fa solo parte del passato.
Stefano Lorenzetto per “L’Arena” il 19 luglio 2020. Quello di Lele Mora più che un racconto è un romanzo d’appendice a puntate, degno di “Guerra e pace” almeno per la lunghezza dell’atto di nascita – Dario Giulio Alessandro Gabriele – che gli attribuisce Wikipedia, «assolutamente falso», smentisce l’interessato, «sono registrato all’anagrafe come Dario e battezzato Gabriele per volontà di mia madre, due nomi soltanto». Conobbi Mora nel 1989 a Verona, nello studio dell’avvocato Roberto Scaravelli, in lungadige Matteotti. Era reduce dal cosiddetto «processo per la coca dei Vip». Mi affidò il memoriale delle sue allegre serate con Patty Pravo, Diego Armando Maradona, Claudio Caniggia, Gustavo Delgado. E ottenne così la sua prima copertina su un settimanale nazionale. Ora, al nostro quarto incontro, scopro che ha vissuto in un convitto di Adria retto dalle orsoline e dalle francescane angeline, che ha studiato per cinque anni dai gesuiti, come Jorge Mario Bergoglio, e che diventò amico del futuro cardinale Pietro Parolin, attuale segretario di Stato vaticano. Per fortuna ha cambiato strada, altrimenti la Chiesa avrebbe potuto ritrovarsi con un papa Lele I. Si è accontentato di essere il pontefice massimo della tv, «l’80 per cento dei palinsesti dipendeva da me», arrivando in 40 anni di attività a diventare l’agente di oltre 500 star dello spettacolo e dello sport fra le più amate dal pubblico. Abbiamo tutti creduto che avesse cominciato come parrucchiere. Invece mi spiega che ha insegnato all’Istituto tecnico alberghiero di Bardolino per tre anni, dopo averlo frequentato fino al diploma, e che, ben prima dei ristoranti di Milano (uno in società con Simona Ventura), ha gestito la trattoria Il Capriolo a Quinto di Valpantena, nell’hotel dismesso usato di recente dalla prefettura per alloggiarvi 40 immigrati.
Lele Mora – «l’unico italiano immune dal Corona virus, nel senso di Fabrizio», si prende in giro – nasce a Bagnolo di Po (Rovigo) il 31 marzo 1955 da genitori contadini. Il padre si chiamava Arno, «perché fu partorito sull’omonimo transatlantico che riportava in Italia mio nonno e la moglie, una brasiliana conosciuta a San Paolo, dov’era emigrato in cerca di fortuna». La madre, Almerina Pavan, era originaria di Castagnaro. «Da quando è morta, nel 2017, non rivolgo più la parola alle mie due sorelle, offeso dal modo in cui hanno amministrato i suoi risparmi».
I Mora ebbero sei figli. Uno morì di broncopolmonite a 18 mesi dalla nascita. L’agente dei divi si sposò il 3 ottobre 1974 con Maria Giovanna Girardi, napoletana. Dal matrimonio nacquero Diana, 44 anni, e Mirko, 40.
La coppia divorziò nel 1982. «Manteniamo un rapporto meraviglioso. Mia moglie era gelosissima, senza motivo. No, non delle attrici stupende che frequentavo: di Barbara, un’amica». Mora è già bisnonno: Giulia, la primogenita di Diana, l’anno scorso ha partorito Rachele. È toccato a Mirko Mora, sposato con una modella, tenere alti i vezzi alfabetici del padre: i figli Lorenzo, 4 anni, e Ludovica, 3, hanno consentito di perpetuare il monogramma LM che dava il nome all’agenzia di famiglia. Il manager dello spettacolo se l’era fatto dipingere persino sulla coda del suo aereo, un Falcon 5 da 10 posti, confiscatogli dai giudici.
Ma il jet era a noleggio?
«No, mio. Tenevo due piloti e una hostess a libro paga. Per portare gli ospiti nella sua villa in Sardegna».
Un po’ esagerato.
«Per la verità, le ville a Cala Granu di Porto Cervo erano due, costruite a mia immagine e somiglianza, con le piscine che s’intrecciavano. E l’aereo mi serviva anche sulle rotte internazionali. I vip non usano i voli di linea. Mandai a prendere Dustin Hoffman negli Stati Uniti e Leonardo DiCaprio a Parigi, mentre stava girando “La maschera di ferro”. A farmi conoscere Leo fu il marito della giornalista Chiara Geronzi, figlia di Cesare, il banchiere».
Come divenne agente dei vip?
«Il mio amico Paolo Rossi, il Pablito del Mundial 1982, mi presentò Giampiero Malena, manager di Pippo Baudo e Beppe Grillo, il quale mi aprì la strada dicendomi: «Sei paziente, educato, premuroso. Perché non ti cimenti nel lavoro che faccio io?». Così mollai l’Istituto alberghiero per dedicarmi a Patty Pravo, Loredana Bertè e Nilla Pizzi. Senza rimpianti per la cattedra. Insegno ancora. Ho tenuto corsi in Scienza della comunicazione allo Iulm di Milano, alla Ca’ Foscari di Venezia, all’Università Roma Tre e alla Federico II di Napoli. Ma non serve la laurea? Ne ho sette ad honorem».
Non doveva diventare prete?
«Si trattava di una generica vocazione a fare del bene, nata vedendo mio padre che dopo ogni mietitura regalava sei sacchi di grano ai gesuiti. A 18 anni capii che era meglio se mi sposavo. Mi trasferii a Verona. Una bellissima signora, vedova e senza figli, abitante in vicolo Disciplina 10, mi affittò una delle tre camere dove ospitava gli studenti. Mi mantenevo lavorando in Bra, al ristorante Pedavena. Dopo le nozze, andai ad abitare in vicolo Tre Marchetti e poi a Madonnina di Prabiano, tra Villafranca e Valeggio. Dove ospitava Patty Pravo, Maradona, la Bertè da poco sposata con il tennista Björn Borg, e il figlio di Alain Delon, Anthony. Eh, ho perso il conto di quelli che venivano lì: Sylvester Stallone, Fiorello, Ornella Vanoni, Fred Bongusto, Jovanotti, Eros Ramazzotti, Ornella Muti, Pamela Prati, tutte le ragazze di “Non è la Rai”, Pierre Cosso, il protagonista del “Tempo delle mele”, e Clayton Norcross, il Thorne di “Beautiful”. Ogni giorno era un set diverso».
Come riusciva ad attovagliare così tante vedette?
«Me le portava una cara amica, Giannina Facio, la ex di Julio Iglesias, attuale compagna di Ridley Scott, il regista di “Blade Runner” e “Il gladiatore”. Aveva addirittura preso il domicilio fiscale a casa mia».
Ma che motivo avevano costoro di venire in campagna da lei?
«Era un eden. Cucinavo per loro i polli ruspanti e le verdure dell’orto. O li portavo a mangiare i tortellini sul Mincio. Allora perché ha abbandonato il paradiso terrestre? Mentre partecipavo a una serata con Elenoire Casalegno, irruppero i banditi armati di pistole. Cercavano la cassaforte. I miei genitori si spaventarono a morte. Poi si scoprì che uno dei rapinatori era un carabiniere. Bibi, un mio amico, fungeva da palo. Così nel 1998 decisi di traslocare a Milano».
Quanto incassava dai divi?
«Se erano famosi, il 10 per cento del loro cachet. Se lo erano un po’ meno, il 20. Se li creavo io, arrivavo al 50. Oggi continuo a fare il talent scout, ma non ho più una mia agenzia. Mi occupo di star internazionali. Nel 2019 ho portato Madonna all’Eurovision. Lavoro con i Gente de Zona. Sa chi sono?»
Confesso la mia ignoranza.
«Un gruppo musicale cubano, quello di “Bailando”. Hanno raggiunto 25 miliardi di visualizzazioni su Youtube. Sono venuti all’ultimo Festival di Sanremo. Due anni fa un capo di Stato di cui non posso fare il nome voleva invitare Lady Gaga a una cena riservata in Cecenia. Gli organizzatori si rivolsero a me: accontentati. Ho trascinato Paris Hilton e Pamela Anderson a Kiev per l’elezione di Miss Ucraina. Lì però ho mandato mio figlio Mirko, perché ho una pecca: parlo francese, tedesco e spagnolo, ma non spiccico una parola in inglese».
Ma dopo le varie condanne non si era convertito al volontariato?
«L’ho fatto per due anni mentre ero in affidamento ai servizi sociali nella comunità Exodus di don Antonio Mazzi. Aiutavo la mensa dei poveri della Chiesa ortodossa e la onlus Pane quotidiano. Sto mettendo in piedi un centro di ippoterapia per bimbi Down. Fare del bene è l’unica cosa che mi riempie di gioia. Non dovrei parlarne».
Che ha combinato con Irene Pivetti e le mascherine antivirus?
«Non c’entro. È una montatura giornalistica costruita su una vecchia intercettazione telefonica in cui parlavo con l’ex presidente della Camera di un prestito di 80.000 euro che mi aveva chiesto. Irene è una donna molto ingenua. Si è fatta fregare da un fornitore cinese e si ritrova indagata per frode».
In quanti processi è stato coinvolto, dopo il primo per la coca?
«Premesso che sono contrario a qualunque droga e che l’unica polvere bianca è quella sui mobili di casa, sono stato condannato per evasione fiscale, bancarotta e favoreggiamento della prostituzione nel processo Ruby. Passai 13 mesi di completo isolamento in un cubicolo nel carcere di Opera, controllato a vista, con 40 gradi d’estate, senza un ventilatore. Niente fornello per cucinare. Mangiavo solo tonno Rio Mare. Frutta e verdura dovevo tenerle al fresco nel lavandino in cui mi lavavo. La finestra con doppie sbarre era priva di vetri, per impedirmi atti autolesionistici. D’inverno la temperatura scendeva quasi a zero. Ottenni un piumone solo grazie al certificato dello psichiatra».
Una camera di tortura.
«All’entrata, il 20 giugno 2011, pesavo 118 chili. Quando uscii, l’1 agosto 2013, ero 48. Mia figlia aveva organizzato un concerto per i detenuti: mi fu impedito di parteciparvi. Il primo volto amico che vidi fu quello del cardinale Loris Capovilla, già segretario di Giovanni XXIII. In precedenza mi era apparso in cella padre Pio».
Nientemeno.
«Sono molto affezionato al santo di Pietrelcina. Alla vigilia della pandemia, sono stato a pregare sulla sua tomba a San Giovanni Rotondo. Era devoto alla Beata Vergine del Pilastrello, quella che piangeva nel santuario di Lendinara. Anche. Quando torno a Bagnolo Po, passo sempre ad accendere una candela e a comprare i rosari da regalare agli amici. E pure a Benito Mussolini. È l’altra mia religione».
Soffre ancora di depressione?
«No, l’ho curata».
In cella tentò il suicidio.
«Sigillandomi naso e bocca con i cerotti che tenevano insieme l’abat-jour rotta. Mi risvegliai in infermeria. Ma non parliamone, è un ricordo terribile».
La salvò l’agricoltura.
«Il direttore mi autorizzò a coltivare un orto nella discarica del carcere. I miei figli mi spedivano per posta le sementi. Non potendo avere il concime, mi fu concesso di allevare 20 quaglie in gabbia. Usavo il loro sterco come fertilizzante. Regalavo verdura a tutti».
Teme di ritornare in galera?
«Più della morte. Dovrebbero andarci solo gli assassini, i pedofili e i mafiosi».
Come conobbe Fabrizio Corona?
«Me lo presentò nel 1998 un photoeditor. Si qualificava come press agent, in realtà comprava immagini dai paparazzi e le vendeva ai giornali. Gli ho insegnato tante cose belle, lui ha fatto tante cose brutte. Simona Ventura mi disse: «O ti stacchi da Corona o ti lascio». Non la ascoltai e lei cambiò manager. Lo mollai nel 2010».
Che definizione ne darebbe?
«Molto furbo. Non intelligente, ma brillante. Affetto da smania di protagonismo e bramosia di denaro. Gli regalai otto auto di lusso, l’ultima una Bentley, e gli diedi i soldi per comprarsi l’appartamento di via De Cristoforis a Milano, poi sequestratogli dalla magistratura. Al cuor non si comanda».
Lei rivelò che eravate amanti.
«Mai detto. Gli ho voluto molto bene, lo consideravo un figlio adottivo. Quanto al sesso, lo faccio a casa mia, a porte chiuse, non sui giornali».
Però non querelò chi lo scrisse.
«Seguo i tre consigli della mia mamma. Primo: non prendertela per nulla, perché sono due fatiche, una ad arrabbiarti e una a fartela passare. Secondo: non uccidere la gente, perché muore da sola. Terzo: non spazzare mai la neve, perché poi viene il sole e si scioglie».
Nel 1975 aprì a Verona, in via Unità d’Italia 98, il Lele club, primo locale gay della penisola.
«Prima era chiamato «il bar delle mutandone». Lo gestivano due sorelle che mostravano gli slip quando si arrampicavano sugli scaffali per prendere la grappa. Un posto un po’ perverso, ma dove non si faceva sesso. Lo frequentavano politici, giornalisti, imprenditori, calciatori e pure qualche prete, attirati dai militari di leva della vicina caserma Duca di Montorio, giovani e belli».
Era frequentato da trans. Ava, Iva e Stefania.
«Tutti morti, poverini».
Il Dipartimento per le Pari opportunità vieta l’uso del maschile.
«Beh, ora della fine erano uomini, o no? La prima aveva più di 70 anni, era stupenda. Si credeva Ava Gardner. La seconda si era rifatta il naso per sembrare Iva Zanicchi. La terza la tolsi dal marciapiede: batteva a Porta Nuova. Federico Fellini venne con Giulietta Masina a Madonnina di Prabiano e restò incantato: «Ma qui siamo in un film! Questa non è “La dolce vita”: è “La grande vita”».
Anni fa lei mi disse: «I gay presto diventeranno maggioranza». Mi sa che aveva ragione.
«Quando arriveranno al 51 per cento, gli invertiti sarete voi».
E il sesto comandamento? Lo chiedo al prete mancato.
«Lo modificherei così: fa’ quello che vuoi, ma non fare quello che faccio».
Ma lei non portava le donne da incanto a Silvio Berlusconi?
«Sì. Aveva la mania delle cene tricolori. Dall’antipasto pomodoro, mozzarella, basilico al gelato pistacchio, limone, fragola. Mai il secondo. Si rideva e si scherzava. Andati via i cortigiani, di notte il re si ritrovava da solo con i suoi soldi. Mi pare umano che cercasse di svagarsi. Ma non si è mai permesso di chiedermi il numero di cellulare di una ragazza».
Però le regalò 3 milioni di euro.
«Per non farmi fallire. La metà se la trattenne Emilio Fede che intercedette a mio favore. Nella lettera c’era scritto che avrei restituito il prestito, senza interessi. Me lo impedì la giustizia, facendomi fallire».
Fatturava 100 miliardi di lire l’anno, possedeva due Bentley e due Porsche, organizzava feste per 2.000 persone in Costa Smeralda. Com’è potuto accadere?
«Non lo so, non ho mai tenuto i conti. Adesso posso vivere con 1.000 euro al mese o anche con 100».
Errori ne avrà pur commessi.
«Uno: aver aperto a Riccardo Iacona e alla troupe di “Tutti ricchi”, mandata da Michele Santoro, le porte delle mie ville in Sardegna. Mi sentivo un dio. Sbagliai a mettermi in mostra. È da lì che cominciarono i miei guai».
Le è rimasto qualche amico?
«Gli amici sono come i meloni: devi aprirne 100 per trovarne uno buono. Mi resta Massimo Scolari, uno svizzero che organizza eventi. Spesso viaggiamo insieme, ma io non ho i soldi per seguirlo nei Paesi esotici che frequenta».
Dalla sua vita movimentata che cosa ha imparato?
«È meglio stare con la famiglia. Gli altri ti usano, soprattutto quelli a cui fai del bene».
· Le Las Ketchup.
Le Las Ketchup, dal tormentone «Aserejé» a Sanremo, fino al disastroso concerto di soli 22 minuti. Il trio spagnolo, one-hit-wonder nel 2002, è ancora in attività e ha un tour europeo in programma. Pubblicato mercoledì, 11 marzo 2020 su Corriere.it da Barbara Visentin. Pilar, Lola e Lucia: tre sorelle spagnole, figlie d’arte, nei primi anni Zero hanno dato vita alle Las Ketchup. Un gruppo che ha avuto fortuna con una sola canzone, «Aserejé», grande tormentone dell’estate 2002 con ritornello scioglilingua e relativo balletto, che le ha rese una one-hit-wonder. Ma il trio, a dispetto degli scarsi risultati discografici, è ancora in pista e sarà in tour anche nel 2020.
Il nome. Le tre sorelle Las Ketchup hanno scelto questo nome per ricollegarsi idealmente al padre, Juan Muñoz, un importante chitarrista di flamenco il cui nome d’arte è «El Tomate», il pomodoro. E il loro disco di debutto, quello che contiene anche «Aserejé» si intitola proprio «Hijas del Tomate», figlie del pomodoro.
Il balletto. Vi ricordate la coreografia? Con il suo mix di flamenco ed Europop, «Aserejé» era anche accompagnato da un video che illustrava le mosse per ballare la canzone in gruppo, un po’ come una nuova Macarena. Fu quello uno dei motivi che resero il brano così popolare nell’estate del 2002, facendolo andare al primo posto delle classifiche in tantissimi paesi e vendendo più di 7 milioni di copie.
A Sanremo. Nel 2004 le Las Ketchup calcarono anche il palco dell’Ariston: furono invitate come coriste da Danny Losito, in gara a Sanremo con il brano «Single». La canzone raccontava di un uomo abbandonato a cui manca la lasagna cucinata dalla sua ex: Losito e Las Ketchup si classificarono ventesimi, cioè terzultimi della gara.
La parentesi in quattro. Due anni dopo, nel 2006, le Las Ketchup hanno rappresentato la Spagna all’Eurovision Contest in una formazione a quattro a cui si era aggiunta la sorella Rocío. La canzone, «Un Bloodymary», rimaneva sul tema «pomodoro», ma non ottenne grande successo: le ragazze arrivarono 21esime e anche il loro secondo album, intitolato proprio «Un Bloodymary», non incontrò il favore del pubblico.
Un concerto di 22 minuti. E oggi? Dopo una lunga pausa e qualche apparizione sporadica, le Las Ketchup hanno ripreso a calcare i palchi, nuovamente in tre. È del 2018 la notizia di un loro disastroso concerto in Finlandia, durato solo 22 minuti e cominciato con quasi tre ore di ritardo: la scaletta, come si vede sul sito setlist.fm, consisteva di un brano iniziale, della hit «Aserejé» e poi di nuovo del loro tormentone ripetuto come bis, per un totale di tre canzoni eseguite. Ma il trio non si dà per vinto e attualmente sul proprio account Instagram ha pubblicato una lunga file di date anche per il 2020.
· Le Lollipop.
Le Lollipop, girl band italiana: dal boom alla brutta avventura a Sanremo fino alla reunion. Nate grazie a un talent show televisivo nel 2001, sono diventate famose con la hit «Down down down». Barbara Visentin il 25 dicembre 2019 su Il Corriere della Sera.
Una girl band nata in tv. Erano considerate le Spice Girls italiane, la nostra girl band nazionale: ricordate le Lollipop? Cinque ragazze che sono diventate un gruppo grazie alla vittoria del talent show «Popstars» nel 2001, programma condotto da Daniele Bossari su Italia 1. Anche il nome del gruppo viene scelto dal pubblico. Marta Falcone, Dominique Fidanza, Marcella Ovani, Veronica Rubino e Roberta Ruiu, imponendosi su molte altre aspiranti popstar, iniziano la loro avventura musicale e ottengono successo immediato.
Le Spice Girls italiane. La canzone per cui le Lollipop sono più conosciute è «Down down down»: brano in inglese che viene pubblicato proprio al termine del talent show televisivo di cui sono trionfatrici. La canzone vola al primo posto della classifica italiana, ottiene prima il disco d’oro e poi il disco di platino. Dopo questo debutto fortunato, le Spice Girls italiane pubblicano il primo disco «Popstars» e si imbarcano in un tour.
I fischi a Sanremo. Nel 2002 le Lollipop partecipano al Festival di Sanremo con il brano «Batte forte». La loro performance sul palco dell’Ariston, però, non è fra le più memorabili. Fra fischi e stonature, si classificano penultime e vengono stroncate dalla critica. «Sanremo fu per me un disastro psicologico spaventoso», dichiarò in un’intervista Dominique Fidanza, una delle cinque componenti.
Lo scioglimento. Dopo un secondo album «Together», pubblicato nel 2014, l’avventura del quintetto arriva al capolinea: il gruppo si scioglie, fra risultati al di sotto delle aspettative, litigi e incomprensioni che iniziano a minare l’equilibrio interno delle cinque ragazze. Ogni pop band, però, ha le proprie reunion, insegnano i colleghi internazionali. E anche le Lollipop non sono da meno.
Come sono oggi. Nel 2013 c’è un primo tentativo di ritorno delle Lollipop in una formazione a quattro. Ad abbandonare definitivamente la band è Dominique Fidanza che si sposta in Francia e prosegue tuttora lì la propria carriera, fra musica e pittura. Dopo un nuovo stop, le Lollipop ricompaiono nel 2017 come trio e nel 2018 presentano il singolo «Ritmo Tribale». A lasciare, questa volta, è anche Roberta Ruiu, che dopo alcune esperienze in televisione, si dedica alla moda.
· Leo Gullotta.
Dagospia il 2 gennaio 2020. Da “I Lunatici - Radio2”. Leo Gullotta è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. L'attore ha raccontato: "Il 2019 dal punto di vista sociale e politico è stato pesantissimo. E' stato un anno brutale. Ma c'è stata una speranza in arrivo, grazie alle sardine, che hanno riempito le piazze. Questo mi ha fatto molto piacere, ravviva il concetto di libertà, serenità, dialogo, accoglienza. Sono state un capitolo positivo. Il 2020? Spero che ci sia la salute. Il 9 gennaio compirò 74 anni, sarò in giro per l'Italia, lavorando. Spero, per il 2020, che ci sia tanta speranza. Guai se mancasse, nonostante i problemi. In generale, vedo sempre più maleducazione. Ma negli spettacoli che ho fatto negli ultimi due anni, non ho riscontrato molta maleducazione. A parte le luci dei cellulari che disturbano gli attori".
Sugli anni passati: "Ricordo i Natali del boom economico. Le feste. C'era un continuo incontro, si lavorava molto, ma sempre col sorriso. Mi ricordo questo. Quei Natali erano semplici, si lavorava di fantasia, non c'erano soldi. Era una festa quando si comprava un pastore nuovo da mettere nel presepe o si comprava la nuova carta con disegnato un cielo di stelle. C'era la semplicità, sia nella stalla che in ciò che volevi rappresentare. Non c'era la follia commerciale di oggi".
Sui diritti civili: "Due anni fa mi sono sposato con il mio compagno. Non ne parlo spesso, la mia vita privata è privata. Sui diritti civili c'è ancora tantissimo da fare. Però qualcosa si è fatto. Se ne è parlato, oggi ai giovani non interessa più di tanto. Certo, negli ultimi anni temi come fobia, odio, fomentazione della parte più debole del Paese, quella in cui pesa la mancanza scolastica, stanno tornando. Purtroppo c'è chi parla alla pancia della gente. Ma il concetto di diversità è ricchezza".
· Leonardo DiCaprio.
Simona Marchetti per corriere.it il 9 gennaio 2020. Da eroe cinematografico in «Titanic» a eroe nella vita vera: il 30 dicembre Leonardo DiCaprio ha contribuito a salvare la vita di un uomo che, dopo essere caduto da una nave da crociera Club Med al largo di St. Martin, nel mar dei Caraibi, ha passato 11 ore in acqua, prima di essere ritrovato proprio dal 45enne attore e tratto in salvo sul suo yacht. A raccontare l'avventura a lieto fine del malcapitato (e ubriaco) marinaio francese disperso in mare e di cui si conosce solo il nome - ovvero, Victor - è stato il Sun. «Leonardo ha avuto un ruolo fondamentale nel salvataggio di quest'uomo che, secondo il capitano della nave, aveva una probabilità su un miliardo di sopravvivere - ha raccontato un'anonima fonte al tabloid - perché la sua barca era la sola che lo stesse cercando». Quando è arrivata la chiamata di Mayday, DiCaprio (che era a bordo del suo lussuoso yacht insieme con la sua ragazza, la modella Camila Morrone e alcuni amici) ha accettato di deviare la rotta per cercare il naufrago al largo dell'isola di St Barts e alla fine l'uomo è stato individuato dall'equipaggio dello yacht vicino all'isola di Saba.
La dinamica. Una volta in salvo sull'imbarcazione dell'attore, dove gli hanno dato cibo, acqua e vestiti, Victor, ancora visibilmente sotto choc, è scoppiato in lacrime. «Potevo morire», ha detto fra i singhiozzi, prima di essere prelevato dalla guardia costiera. «Il marinaio è caduto dalla nave Club Med a causa del troppo alcool e dei bagordi di quella notte - ha detto ancora l'insider - e quando è stato ritrovato era fortemente disidratato e a un passo dall'annegare, ma ha avuto la forza di agitare le braccia per farsi individuare. Gli è andata davvero bene, perché stava calando la sera e c'era pure un temporale in arrivo, quindi sarebbe stato spacciato. E quando ha realizzato di essere stato salvato da una delle persone più famose del mondo, ha pensato che lo stesse in realtà sognando».
· Levante.
Levante, ballerino la attacca: “Ballerini dei suoi video pagati poco”. Redazione Notizie.it il 07/02/2020. Levante attaccata sui social da un ballerino professionista: la cantante avrebbe sottopagato i danzatori che compaiono nel video del brano di Sanremo. Levante è stata attaccata da un ballerino professionista che l’ha accusata di pagare poco o nulla i ballerini che compaiono nei suoi videoclip. L’insinuazione è stata pubblicata su Instagram da Angelo Recchia, ex ballerino professionista di Amici. Levante è fra i BIG di Sanremo 2020, con il suo brano Tiki Bom Bom. La cantante è nota per i suoi pezzi di denuncia sociale, proprio come la canzone sanremese, che invita gli ascoltatori ad uscire dalla logica mainstream proposta dalla società. Ma è proprio il videoclip del brano che in questi giorni sta suscitando polemiche. Angelo Recchia, ex ballerino professionista di Amici, che ora lavora all’estero, ha pubblicato alcune Instagram Stories in cui accusa la cantante. La critica mossa a Levante è quella di “predicare bene ma non razzolare allo stesso modo”. Secondo il ballerino, la cantautrice avrebbe dato ai danzatori del video solo un minimo rimborso spese di 100€ per il loro lavoro. Alcuni, definiti “semi-professionisti”, non sarebbero proprio stati pagati. L’ex ballerino di Amici ha espresso allo stesso tempo la sua ammirazione per la cantante e i messaggi che trasmette con la sua musica. Ma proprio per questo si è detto deluso dal comportamento di Levante nei confronti dei suoi collaboratori. “Mi sento in dovere di difendere l’industria in cui ho investito tutta la mia vita”, ha commentato Angelo Recchia. In conclusione il ballerino ha lanciato un appello ai suoi “colleghi” nel mondo della danza: “Per tutti i danzatori che ancora oggi si ostinano ad accettare un tale trattamento, magari per la gloria di un first plan in un music video, auguro un po’ di amor proprio e di rispetto per quello che dovrebbe essere il vostro cazzo di lavoro”.
· Liana Orfei.
Maria Berlinguer per "la Stampa" il 20 dicembre 2020. «Quando sono stata invitata a capodanno da Umberto Agnelli e da sua moglie Allegra ho capito che di inarrivabile esiste solo Dio. Persone alla mano, gentilissime, a casa mia eravamo più montati». Dal tendone del circo al jet set internazionale, da Grace e Ranieri di Monaco a Fellini, Risi, Totò e De Filippo.
E già, perché l' incredibile vita dell' 84enne Liana Orfei, stella degli Anni 60, comincia proprio con Fellini, come racconta l' autobiografia Romanzo di vita vera ( Baldini e Castoldi): è Natale, Liana ha vent' anni, un matrimonio felice con un artista e una bambina di pochi mesi, Cristina, quando la chiama l' agente di Fellini.
E quindi?
«Fellini ti vuole incontrare, mi dice. Ma io non ci pensavo proprio. Mi fece un provino che non andò bene perché disse che avevo una faccia troppo da ragazzina ma il solo fatto che Fellini si fosse interessato a me scatenò tutto. Copertine, offerte di lavoro, agenti che litigavano per avermi. E pensare che io avevo orrore del cinema. Il nostro era un mondo severo, pieno di sacrifici, un mondo povero. Prima di diventare un artista lavori anni, ti rompi le ossa e forse non diventi neanche bravo. Non è come cantare o recitare, noi siamo abituati al pericolo. Il trapezio, i leoni, le tigri... Ho perso due amici, uno per gli orsi grizzly e uno per i leoni. L' errore però è quasi sempre umano».
Non era interessata al cinema ma ha lavorato in più di 40 film, Gassman, Tognazzi, Mastroianni, Orson Welles, chi le è rimasto nel cuore?
«Intanto Dino Risi, ho fatto due film con lui, Il Profeta e I nostri mariti. Bello, gentile non mi sono innamorata di lui solo perché ero già innamorata. A Tognazzi che era irresistibilmente attratto dalle donne, diedi un sonoro ceffone per avermi baciato davvero sul set. Non se l' è presa. Anzi siamo diventati amici. Welles con me era gentilissimo perché gli piaceva il circo ma odioso con la troupe. I geni, quelli veri non sono tutti modesti, sono pieni di sé. Pesava 140 chili quando abbiamo girato I Tartari. Con Mastroianni ho girato nella gabbia dei leoni, ero terrorizzata, facevo di tutto per non far sentire ai leoni che avevo paura. Ero curiosa di vedere come se la sarebbe cavata lui.
Stupefacente. Ha recitato con una naturalezza incredibile, come se i leoni non fossero a pochi metri. Ho pensato o è un incosciente o è davvero coraggioso. Alla fine gli ho fatto i complimenti. Ci siamo scambiati quello che è passato come il bacio più lungo della storia. Mi chiesero come era stato baciare un uomo così desiderato dalle donne e io per imbarazzo risposi che era stato come baciare un cartone. Gran signore, quando l' ho rivisto ha fatto finta di niente».
E di Totò che ricordo ha?
«Un vero principe, galante con tutte le donne, gentilissimo con la troupe. Era interessatissimo ai clown, mi chiedeva come erano nella vita, se erano tristi. E io "principe, sono persone come tutte le altre, qualcuno è triste qualche altro no". Però insisteva. Forse voleva che gli dicessi che sì erano tristi nella vita. Oggi gli risponderei così, per fargli piacere. Ho conosciuto tanti principi ma i signori come Totò sono rari».
Con Fellini però il rapporto è stato più intenso.
«Federico amava il circo e con sua moglie Giulietta Masina veniva sempre a trovarci quando eravamo a Roma. Con lui ho lavorato tanto e anche a un film abbastanza profetico, I clown, che finiva con la morte del circo. Fellini però negava questa interpretazione. Le mille e una notte, il più bello spettacolo che abbiamo fatto, è nato da una sua idea, ci ha dato il premio Oscar Danilo Donati per i costumi e le scenografie. Imprese faraoniche, oggi una cosa del genere non se la può permettere neanche Berlusconi».
Il circo è finito per questo?
«Il circo non è finito per niente, è finito quel tipo di circo. Anche il Barnum non c' è più, è rimasto il nome. Ma che rimpianti... Quando volavo sull' ippogrifo e sentivo il pubblico. Una sensazione incredibile. Arturo Brachetti mi ha confessato che vedendo Le mille e una notte ha deciso di fare l' artista. Non si può avere avuto un regno e non avere più niente ».
Quanto hanno contato i movimenti animalisti nel declino dei circhi?
«Di sicuro non ci hanno aiutato. Il circo senza animali è come l' opera senza musica. Certo ci sono animali che soffrono e non possono lavorare nei circhi come le giraffe ma la gente del circo ama gli animali, li tratta come figli, molto meglio che in certe case, gli ultimi due cani che ho avuto li ho trovati legati con il fil di ferro e pieni di zecche. Chi abbandona gli animali è un criminale ma il circo senza animali non è circo. Il mio amatissimo Cirque du Soleil ci ha provato, sono falliti».
· Ligabue.
Francesco Persili per Dagospia il 12 novembre 2020. Perché Ligabue ha deciso di fare il cantante? Per la figa. Estate 1982, concerto di Franco Battiato a Correggio. Era uscito da qualche mese l’album “La voce del padrone”, primo disco in Italia a superare il milione di copie vendute, il Maestro scatenava ormoni e desideri inconfessabili. Sul palco volavano reggiseni e mutandine. Un paio di gnocche osarono l’inosabile: “Quanto è bono”, “Io me lo farei qui davanti a tutti”. Fu in quella circostanza che Liga tagliò la testa al toro: “Ok, qui c’è proprio da fare il cantante”. La storia è raccontata nell’autobiografia “E’ andata così” scritta con Massimo Cotto e pubblicata da Mondadori. Un viaggio nella trentennale carriera del rocker che rischiò di morire tre volte nei primi 5 anni di vita. In occasione di un’operazione alle tonsille fu salvato grazie alla trasfusione del sangue di una suora: “E questo spiega le mie dosi massicce di senso di colpa”. Ma chi gli ha fatto le carte, lo ha chiamato vincente. Una zingara, incontrata in autogrill, gli predisse un grande futuro. Lo storico manager Claudio Maioli ancora ride: “Le hai dato pure dei soldi cosa pensavi che ti dicesse, che avresti fatto una vita di merda?”. E allora via lungo le strade d’Emilia, “dove c’è sempre un posto in cui suonare”, a “spolmonare” notti, sogni, delusioni, canzoni tenendo sempre a mente le parole del padre (“I musicisti sono tutti dei morti di fame”) e le fughe e i ritorni di Tondelli, anche lui di Correggio. Esserci e andare, ma restare sempre legati alle proprie radici. La via Emilia come porta dell’altrove mentre dai finestrini passa “odore di mare diesel morte vita”. Urlando contro il cielo, troppo facile. Ma prima altre canzoni. “Cento lampioni” (stanno a dì de no?) fu la prima, non memorabile, dedicata a una prostituta, poi venne “Maria e il colore bianco” che raccontava non di candeggi ma di una ragazza tossica, allegria. E poi ancora gli aneddoti sui primi concerti, la prima canzone del suo primo album "Eroi di Latta" che diventò “Balliamo sul Mondo”, l’esperienza da consigliere comunale come indipendente nelle file del Pci (“ma diedi le dimissioni dopo la seconda seduta”), le battute sui gilet maculati e su quel mullet che neanche a David Bowie si è mai perdonato, la verità sull’incontro con Gabriella Ferri all’Ariston: “Fermate un po’, ‘ndo vai? Fatte vede’. Adesso sentimo che sa ffà questo qua de cui stanno così tanto a parlà”. Stadi e studi di registrazione, sale prove, stanze d’albergo. Tra palco e realtà, altri ricordi, "che sono come i rutti e come i rutti tornano su" (Jannacci dixit). Pavarotti che nascondeva salami e caciotte mentre cercava di dimagrire da Chenot a Merano, Guccini che si fa pagare in vino per la sua prova d’attore in Radiofreccia, Bono Vox che lo ringrazia per aver scaldato “pure troppo” il pubblico prima di un concerto degli U2. Ma anche sputi, insulti, minacce di morte. Accadde al concerto per i festeggiamenti del Venezia-Mestre che aveva riconquistato la serie B. I Pitura Freska, amici e beniamini degli ultrà della squadra, si rifiutarono di esibirsi. I tifosi se la presero con Ligabue. Invece di mutandine e reggiseni, sul palco in quell’occasione volarono accendini, monete, bottiglie di plastica, panini e sputi, “una specie di raduno di lama”. “Alcuni mi facevano il segno che mi avrebbero tagliato la gola. Dopo tre canzoni, la pioggia di oggetti e sputi cessò completamente. Quelli che minacciavano divennero sempre di meno e quelli che ballavano sempre di più, finché non ne restò solo uno, in prima fila, che continuava a mimare il gesto del taglio della gola. Dopo un po' però il servizio d'ordine sembrò dirgli: 'Sei rimasto solo tu, lascia stare…”. Quello fu uno dei suoi concerti più belli.
Ligabue rompe il silenzio: "Il bacio gay? Non sono io, se inizio a fumare ve lo dico". Mentre sul web continua la caccia al protagonista dello scatto misterioso di Dagospia, il cantante ha detto la sua a margine della presentazione del suo ultimo libro respingendo ogni insinuazione. Novella Toloni, Martedì 13/10/2020 su Il Giornale. Il mistero di Dagospia continua a rimanere tale. La foto pubblicata dal portale - che mostrava un misterioso cantante baciarsi con un altro uomo - continua a far discutere sui social network, ma intanto uno dei cantanti tirati in ballo dal popolo del web ha rotto il silenzio. Luciano Ligabue è intervenuto per mettere a tacere le voci sul suo conto a margine di un evento a Correggio. L'immagine del bacio gay pubblicata sul popolare portale ha scatenato una vera e propria caccia alle streghe sul web. Chiunque ha detto la sua sulla possibile identità del cantante misterioso pizzicato dai paparazzi mentre bacia un uomo alla Stazione Centrale di Milano. Gli indizi forniti dallo scatto (un anello, il colore dei capelli e i bracciali) avevano fatto pensare agli internauti che si potesse trattare di Nek, Francesco Gabbani e addirittura Luciano Ligabue. E mentre gli altri hanno preferito tacere sulla vicenda, Ligabue ha parlato per la prima volta dei fatti a margine della presentazione del suo ultimo libro. "Massimo se comincio a fumare ti avviso prima", ha scherzato sul palco del Teatro Asioli di Correggio Luciano Ligabue insieme a Massimo Cotto, coautore del libro "E' andata così". Il rocker emiliano e il giornalista si sono lanciati in una gag che ha riportato l'attenzione sulla tanto chiacchierata fotografia pubblicata da Dagospia. In molti su Twitter, infatti, avevano associato per abbigliamento, dettagli e capigliatura quello scatto a Ligabue, ma a "stonare" in quell'immagine era proprio quella sigaretta, decisamente lontana dallo stile di vita del rocker. Un dettaglio che non è sfuggito ai suoi fan e sostenitori e sul quale è tornato anche il cantante. A quel punto Cotto si è rivolto esplicitamente al cantante: "Quindi non sei tu quello nella foto?", lasciando a Ligabue la tanto attesa replica: "No, non sono io, se comincio a fumare ti avviso prima". Nessun coming out a sorpresa dunque per il cantante di "Piccola stella senza cielo", ma l'occasione per tornare a parlare di credibilità e immagine personale, la stessa che lui ha messo nel suo ultimo libro in cui - insieme a Massimo Cotto - ha ripercorso trent'anni della sua carriera musicale tra dischi, concerti, successi, momenti difficili e aneddoti.
Ligabue si racconta in un libro (e dal vivo) in esclusiva su Repubblica.it. Il cantautore di Correggio presenta in diretta live il volume autobiografico "È andata così - Trent'anni come si deve", scritto a quattro mani con Massimo Cotto, al quale ha affidato storie, aneddoti e, promette, verità. La Repubblica il 12 ottobre 2020. È andata così - Trent'anni come si deve ripercorre la straordinaria parabola artistica di Luciano Ligabue, disco per disco, concerto per concerto e hit dopo hit, svelando aneddoti, retroscena e dettagli creativi completamente inediti. Il racconto di Luciano Ligabue e Massimo Cotto è accompagnato da un ricco apparato fotografico di 360 foto, con un'appendice che contiene tutta la discografia del cantautore corredata delle copertine dei singoli, degli album, dei cofanetti, persino delle vhs. E proprio questo volume è il tema dell'incontro video con Ligabue che Repubblica.it vi permetterà di vedere, in esclusiva, in streaming. Ligabue e Cotto si ritrovano lunedì 12 ottobre alle 21 sul palco del Teatro Asioli di Correggio per l'unica presentazione del libro di fronte a un numero limitato di persone, ma in diretta su Repubblica.it, per provare a raccontare 60 anni di vita e 30 di musica. Per scrivere il libro, i due si sono rifugiati a Ca' di Pòm, la palazzina dove Ligabue ha scritto, nella famosa Stanza rossa, la maggior parte delle canzoni di Buon compleanno Elvis. Una giornata a ricordare e registrare, a sbobinare ricordi e accumulare materiale. Ma, proprio in quel momento, è accaduto l'imprevedibile. La situazione in Italia peggiora e, dal giorno successivo, è necessario stare chiusi in casa, in lockdown. Impossibile vedersi. Il libro va comunque avanti, cambia solo il metodo: i racconti verranno inviati via mail. Sembra un ripiego, invece è una bellissima scommessa, un modo diverso di confessarsi. In È andata così - Trent'anni come si deve per la prima volta Ligabue racconta come sono andate davvero le cose, spazza via leggende metropolitane e racconta la verità. "Un viaggio bellissimo, una storia unica, una parabola lucente nel periodo più brutto - l'isolamento, la paura, il Covid - è nata la cosa più bella", promettono gli autori.
· Liliana Fiorelli.
FEDERICA MANZITTI per il Corriere della Sera - Roma il 2 luglio 2020. «A un certo punto mi sono accettata multi-potenziale». Dopo anni passati a non saper bene come rispondere alla domanda «cosa farai da grande?» Liliana Fiorelli ha preso coscienza che la sua è una risposta multipla. Imitatrice con una stagione di Quelli che il calcio appena conclusa, attrice al cinema come in Confusi e felici di Massimiliano Bruno o Fortunata di Sergio Castellitto, qualche volta a teatro, spesso sul web, ad esempio con il gruppo Le Coliche, infine autrice di testi comici e soggetti. Ma ancora non bastava. Pochi giorni fa la ragazza nata a Monte Mario nel 1990 ha tirato fuori dal cappello un'identità di musicista pubblicando il singolo Giorno Zero . «Orgogliosamente pop» sottolinea durante le riprese del videoclip che, promette, sarà come la canzone: un inno alla felicità delle piccole cose. L'idea di incidere un brano è arrivata durante il lockdown? «Il testo è nato negli ultimi mesi, ma il mio rapporto con la musica risale a molto prima, quando bambina cantavo nell'armadio per non farmi sentire. A 7 anni, giurando a me stessa che non avrei mai cantato, ho capito di essere molto connessa con la musica». Un giuramento rotto a metà quando ha interpretato la caricatura di Levante e di altri artisti indie. Era per ridere, ma adesso fa sul serio. Cosa è successo? «Durante il lockdown ho aperto un regalo non ancora scartato: un ukulele. Ho cominciato a suonarlo, ho mandato il vocale a un musicista vero, Alessandro Forte, e come in un film lui ha deciso di produrlo». Domani a Fiano Romano riceverà il premio Giuseppe De Santis come attrice emergente. L'ultimo film in cui ha recitato, «Il Regno» di Francesco Fanuele è uscito sulle piattaforme pochi giorni fa. Stanca? «Entusiasta. Alla rassegna "Lo schermo è donna" sarò insieme a colleghi del cinema che stimo. Il De Santis non solo è prestigioso, è un riconoscimento importante per una carriera versatile come la mia. Domani lo dirò: il premio è in buone mani, sono orgogliosa del mio percorso e so che è d'ispirazione per le nuove generazioni che non vogliono chiudersi in un ruolo prestabilito». Quindi la comicità è un capitolo chiuso? «Apertissimo. Dopo il programma con Le Coliche a Comedy Central, il canale dedicato di Sky, sta per uscire I predatori , film d'esordio di Pietro Castellitto (figlio di Sergio, ndr ). La commedia è una grande palestra». Ha fatto sentire il suo singolo a Levante? «Non ancora. Scherzi a parte, la stimo davvero. Da bambina nell'armadio cantavo i Nirvana e le Spice Girls. Il pop è una grande cosa, ha onorato molte donne e io mi candido per essere la prossima popstar italiana (ride)». C'è qualcos' altro che vorrebbe fare? «Ho tante canzoni nel cassetto. Quando hai gli ingredienti ti viene voglia di preparare una torta. Potrei fare un disco con l'etichetta con cui ho firmato un contratto, Rivoluzione Dischi. Farei volentieri un musical, tipo un La La Land italiano. Le canzoni che scrivo vengono fuori come immagini, piccole storie da raccontare. Sarebbe bello portarle sul palco. L'esigenza di sentirmi totale è innata, ma mi ispiro anche alla formazione ricevuta a Los Angeles da Lee Strasberg. Lì devi dare corpo alle tue abilità, lavorare in team. Come l'arcobaleno: è bello perché ha tanti colori».
· Lillo&Greg.
Chiara Maffioletti per corriere.it il 25 novembre 2020. «Adesso, rispetto come sono stato, sto in paradiso». La voce di Lillo Petrolo è calma, serena. Dopo quasi un mese è guarito dal Coronavirus, passando però per un lungo ricovero e la terapia intensiva. Finalmente è a casa: «Per fortuna sto recuperando».
Come ha capito di essere malato?
«All’inizio ho avuto dei sintomi influenzali, infatti speravo si trattasse di influenza. Ma quando ho perso olfatto e gusto ho capito e il tampone ha confermato: ero positivo. Dopo poco ho cominciato ad avere febbre molto alta, anche a 40. E piano piano sono arrivati i problemi di respirazione. Il 26 ottobre sono stato ricoverato, sono uscito giovedì».
In un suo post aveva detto di sapere come si è contagiato. Come?
«In un modo banale ma per questo è giusto che si sappia. Semplicemente ogni tanto mi capitava di abbassare la mascherina per respirare meglio. Giusto un attimo, ma lo facevo anche quando c’era altra gente. Una cosa che ora non farei assolutamente più: se uno ha bisogno di aria allora deve allontanarsi da tutti e poi abbassarla. Basta veramente poco: è un virus super contagioso».
Come era prima di ammalarsi? Il Covid le faceva paura?
«Cercavo di non avere paura, ma ho sempre rispettato le indicazioni perché ero convinto di una cosa che poi ho visto confermata sulla mia pelle: è un virus imprevedibile. Su ogni individuo si comporta diversamente: su un organismo si accanisce e su un altro magari no».
Si riferisce all’idea diffusa che possa fare male solo a soggetti deboli, anziani o in chi ha già patologie?
«Ecco, non è vero nulla. Io ero un uomo sano. In terapia intensiva ho visto 35enni intubati. Sicuramente se hai patologie sei svantaggiato, ma non è una regola, nel senso che puoi essere sano e sviluppare comunque una grave polmonite. La terapia intensiva era piena...».
Come è riuscito a non cadere nello sconforto?
«Per fortuna non sono mani andato sotto il casco, mi sono fermato al momento prima: avevo l’ossigeno al massimo e lì ho capito che era l’ultimo passo. Lì mi sono spaventato. Poi, dopo due giorni lì, la polmonite ha iniziato a regredire».
Si dice che il tempo in terapia intensiva scorra molto più lento.
«Sei in una stanza con dei vetri a fianco dai quali vedi gli altri malati. I miei vicini erano tutti e due intubati. Uno era più giovane di me. Tutto questo mette una certa angoscia. I dottori e gli infermieri fanno un lavoro pazzesco: non stanno mai fermi ma non perdono lo spirito umano. Sono incredibili. Mi dicevano: dai che ce la fai. Mi davano la forza, erano energia pura anche nei momenti di sconforto».
In ospedale è stato solo, senza la possibilità di avere delle visite...
«Ringrazio la tecnologia: in quei giorni il telefonino è stato fondamentale. Leggere i messaggi di tutte le persone che mi scrivevano, sentire mia moglie tutti i giorni, vederci anche tramite le videochiamate mi hanno salvato. Puoi anche impazzire altrimenti. Ho ricevuto tante energie positive, sono importanti, ti danno la forza di vivere».
Ha sentito anche Greg?
«Sì, quasi tutti i giorni. Mi è stato vicino, cercando anche di sdrammatizzare quando poteva. Ci siamo un po’ presi in giro. Mi diceva: dai che è la volta che finalmente dimagrisci... in effetto ho perso sei chili, speriamo di mantenere almeno quello».
Ha detto che la prima cosa che ha fatto quando le hanno staccato l’ossigeno è stata ballare.
«Un po’ per scaramanzia... però sì, quando il medico mi ha detto che potevo tornare a respirare da solo, senza ausilio, ho messo le cuffiette e ho cominciato a ballare piano piano, lentamente. Volevo musica allegra; ho scelto un pezzo dei Rolling Stones bello rock, “Doom and Gloom”».
Come è stato rivedere sua moglie, non in videochiamata?
«Un momento molto emozionante, per forza. Lei aveva tenuto duro tutto il tempo ma in quell’attimo è crollata, poverina: avrà dormito penso otto ore in un mese... anche io dormivo poco per i dolori. È stata una situazione di stress per tutti e due. Ma stiamo recuperando: sono due giorni che dormiamo 15 ore».
E con Greg si è già rivisto di persona?
«Non ancora, ma sabato prossimo riprenderemo il nostro programma in radio, 610. Quando mi telefona mi prende in giro: ho 58 anni, ne abbiamo solo uno di differenza ma mi dice che devo stare attento e riguardarmi perché sono anziano, di un’altra generazione... Non vedo l’ora di rivederlo e anche di ritrovare il pubblico».
È vero quello che si dice, che da un’esperienza così ci si ritrova cambiati?
«Sì. Sembra retorico ma è la pura verità. Se sei una persona positiva non puoi che prendere la parte bella di questa esperienza... si dirà: “Ma ci può essere una parte bella?”. Per me si, ed è la saggezza che ti ritrovi che ti spinge a rivedere l’importanza che dai alle cose. In questi giorni sto apprezzando tutto: anche prendere il caffè con due biscotti la mattina, con mia moglie, è un momento di vera felicità. Tante piccole cose che prima nemmeno notavo, che davo per scontato. Ma che adesso riconosco come pura felicità. Penso davvero che sia migliorato tutto il mio modo di vivere».
Michele Sciancalepore per Avvenire il 28 Gennaio 2020. Centinaia di persone vivranno in media 7-8 anni in più. Avranno meno problemi di ipertensione, meno malattie cardiovascolari, un sistema immunitario più attivo con un aumento dei preziosi linfociti killer, non più stitichezza, ottima digestione, non conosceranno ansia, né depressione e saranno invasi da ondate di endorfine, gli «ormoni della felicità». Chi sono questi soggetti fortunati? Cavie umane sottoposte a innovative e intensive cure in centri sperimentali di eccellenza medica? No, sono coloro che hanno visto in questi giorni Gagmen al Teatro Olimpico di Roma di e con Lillo&Greg e hanno riso, tanto. Ed è scientificamente provato che tutti i benefici sopra riportati sono gli inoppugnabili effetti della risata. Si ride di cuore e di pancia in questo varietà che propone una sequenza di sketches alternando alcuni intramontabili cavalli di battaglia a novità assolute. C' è innanzitutto un prologo con il dichiarato obiettivo di far definitivamente luce sull' annosa questione e confusione fra chi è Lillo e chi è Greg, un divertissement in forma di canzone per elencare i reciproci tratti somatici e caratteriali. In tutto lo spettacolo si attinge al repertorio classico teatrale, televisivo e radiofonico, dagli spiazzanti "provini" alla seduta dallo psicanalista in cui incalzanti e incessanti cambi di ruolo creano effetti spassosi, dal trasformista più lento del mondo al becero talk che ospita simultaneamente il «caso pietoso» e il «comico pecoreccio», dalla parodia nonsense delle comunità new age al mitico «Che, l' hai visto?» con l' esilarante, surreale identikit di un figlio disperso. Tra le novità primeggiano i «super-eroi», ma con qualità e poteri molto singolari, da "Amnesy" a "Pentothal" a "Normal Man". «L'idea è scaturita dalla nostra atavica passione per i fumetti», spiega Lillo. «Ci hanno sempre affascinato alcune astruse aporie - aggiunge Greg - ad esempio a Superman bastava mettersi gli occhiali per non farsi riconoscere o anche il fatto che ogni supereroe insieme ai super poteri acquisisse anche quelli di sarto e costumista perché immediatamente lo si ritrovava vestito di tute fantastiche. Inoltre questi personaggi hanno sempre mutuato i loro talenti straordinari dagli animali con cui entravano in contatto, Spiderman dal ragno, Antman dalla formica; allora abbiamo pensato a un supereroe che entrasse in relazione con un bradipo e da lui attingesse la sua peculiarità diventando così straordinariamente lento». La parte del leone in questa kermesse di nuovi e sorprendenti eroi la fa però "Normal Man": «Lui parte svantaggiato - svela Lillo - perché è una persona 20 volte più stupida e più debole della media, ma quando viene investito dai super poteri diventa normale, comunque va rispettato anche perché in effetti io mi sento un po' "Normal Man"». Il super potere di Greg invece è indubbiamente l' ironia: «Io da ragazzo ero un nerd, ero spaesato, isolato dai miei compagni e anche parecchio vessato, non mi piaceva il calcio né fare a botte, ovvero tutte quelle tipiche attitudini adolescenziali maschili, mentre mi piaceva la musica e il disegno, pertanto ero tendenzialmente emarginato; ma avevo un grande senso dell' umorismo e questa era la mia arma contro i loro attacchi». «Io invece - puntualizza Lillo - l' umorismo lo usavo solo ed esclusivamente per fare colpo sulle ragazze visto il limite del fisico». La dote che però accomuna entrambi è la vis comica, in apparenza leggiadra, in realtà frutto di un geniale artificio intellettuale sofisticato ma non sofistico: il paradosso temporale, metanarrativo, linguistico e il lavoro semantico che scardina dall' interno il meccanismo della frase eliminando il lato figurato. Nulla di ermetico, anzi gli esempi che l' inossidabile coppia spontaneamente elabora riguardano la vita quotidiana: «L' ascensore ascende ma discende anche - osserva Lillo - quindi dovrebbe chiamarsi discensore quando scende». «E l' interruttore interrompe la corrente dal circuito continuo quando spegni - incalza Greg - ma quando la accendi non è più un interruttore ma dovrebbe essere un adduttore. Altro esempio: È distante? Domanda insensata perché è sempre distante, forse non molto ma lo è. Oppure: ci sarà traffico oggi? Il traffico c' è sempre, magari poco ma c' è». Insomma una comicità intellettuale che evoca senz' altro quella storica dei Monty Python ma anche funambolica alla Bergonzoni o caustica alla Antonio Rezza. Sicuramente lontana da quella corriva e lasciva che passa in certa tv di cui non avvertono il fascino sin dal 1986, quando erano ancora Claudio Gregori e Pasquale Petrolo e si incontrarono in una casa editrice di fumetti. Cosa ricordano del loro primo incontro? Un' enorme cavalletta che si appoggiò su un cassonetto dell' immondizia. «Un presagio», dice Lillo. «L' ottava piaga», soggiunge Greg. Senz' altro da ormai 34 anni il loro sodalizio artistico non conosce cadute e si fonda, come amano ironicamente ripetere spesso all' unisono, sul ricatto reciproco: «Conosciamo ciascuno dei segreti tremendi e inconfessabili sull' altro e questo ci vincola e ci lega indissolubilmente ». Al di là di questa fantomatica coercizione c' è un rispetto vicendevole che esalta le loro differenze temperamentali: Greg è nottambulo, Lillo un pantofolaio, Greg ha una sensibilità artistica fuori dal comune ma è anche un ritardatario cronico, Lillo è un archivio vivente ma è pigro. Comunque sul palco la sintonia e l' intesa sono lampanti e concrete a vantaggio di Gagmen che si rivela spettacolo fluido e vorticoso grazie anche all' affiatamento con alcuni storici colleghi (la sempre impeccabile Vania Della Bidia e il puntuale Marco Fiorini) e agli interventi musicali dell' eclettico Attilio Di Giovanni. Non resta che augurare dunque lunga e salutare vita a chi potrà beneficiare della comicità della storica coppia in occasione della tournée che terminerà il 26 aprile a Torino e invitare gli stessi Lillo&Greg a continuare a divulgare quell' umorismo che, come finemente definisce Moni Ovadia, è "strumento poderoso contro l'ossificazione del pensiero".
· Lino Banfi.
Dagospia il 29 gennaio 2020. Da I Lunatici Rai Radio2. Lino Banfi è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Banfi ha raccontato: "Il mio 2020? E' iniziato bene, all'insegna di un altro anno che è passato. Più avanti si va con l'età, più ci si rende conto di come corra il tempo. Il passare degli anni lo vivo con serenità, credo di aver fatto quello che sognavo di fare, mi auguro di fare ancora qualcosa, per non star fermo, per far vedere che sono ancora attivo. Ecco perché noi di una certa età quando andiamo in tv o facciamo qualche film cerchiamo posture che non sono nelle nostre corde". Tra passato e futuro: "Vorrei fare un film diverso dal solito, con un Banfi che non abbia bisogno di dire “porca puttena”. E poi vorrei vincere qualche premio, anche un coniglio di peluche. Se c'è pregiudizio nei confronti di Lino Banfi? Sì! Credo di aver fatto quello che sognavo di fare, cioè abbinare nello stesso film e nella stessa fiction sia il drammatico che il comico. Ho dimostrato che posso far ridere e piangere insieme. Ho saputo aspettare, molti giornalisti si sono ricreduti nei miei confronti. Molti radical chic dicono che oggi devono ricredersi nei miei confronti. Alcuni dicono che andavano a vedere i miei film di nascosto, come se fossero dei film pornografici. Non ho mai capito perché. Ma mi fa piacere che molti lo abbiano confessato. Prima chi lavorava a Repubblica o al Corriere della Sera quasi non poteva dire che andava a vedere Banfi". Sui film passati: "Vieni Avanti Cretino? Quel film è tutto improvvisato. Abbiamo scritto qualcosa giusto per ricordarci, dettavo tutto io, erano scene che avevo fatto nell'avanspettacolo. Oggi usano quel film per far ridere i malati di Parkinson che non usano i muscoli facciali, è una cosa che mi riempie d'orgoglio. Il politicamente corretto? Oggi molte cose non si potrebbero fare. Se avessi fatto oggi un film con i sottotitoli in arabo mi avrebbero massacrato. Oggi ogni cosa sembra che ti porti contro qualcosa". Sulle elezioni in Emilia Romagna: "Era molto interessata la Puglia, visto che il nostro governatore si chiama Emiliano. Scherzi a parte, era tutto prescritto, che qualunque cosa succedesse tutti dicevano di aver vinto, convinti di continuare così, che vanno bene".
Da gianlucadimarzio.com il 27 maggio 2020. Dal 7 agosto di nuovo in libreria la vita del protagonista de “L'allenatore nel pallone”. Dal film che l'ha reso famoso all'adolescenza turbolenta. Urs Althaus ha vissuto molte vite, la più importante dietro lo schermo. Aristoteles è stato l’icona pallonara degli anni ’80, il centravanti brasiliano scovato dal nulla che salva la Longobarda di Oronzo Canà all’ultima giornata. Lino Banfi è finito sul Guardian, omaggiato dagli inglesi 36 anni dopo l’uscita del film, mentre Urs Althaus ha deciso di raccontarsi in un’autobiografia, - Io, Aristoteles, il Negro svizzero - andando oltre il film. Uscita nel 2009, verrà ripubblicata da "Bibliotheka edizioni". Molte vite vissute: da promessa del calcio a primo uomo di colore a posare per GQ. Dall’incontro con Lina Wertmüller alla fiducia di Sergio Martino, per il film che l'ha reso famoso. Attore, modello, imprenditore. Una biografia nuda e cruda in cui vengono toccati vari temi, dall'infanzia all'adolescenza. Papà nigeriano (mai conosciuto), madre svizzera, Urs Althaus è diventato famoso per "L’allenatore nel pallone", ma è stato molto di più. E l’ha raccontato: la droga, il sesso, gli amori, il gossip, gli affetti, le delusioni, il razzismo e lo show business. Il libro uscirà il 7 agosto con la prefazione di Ciccio Graziani, ex attaccante di Roma e Torino, Campione del Mondo con la Nazionale nel 1982. Per conoscere tutte le sue vite, stavolta in un libro, e per sapere che dietro Aristoteles c'è molto di più.
Lino Banfi (Oronzo Canà): «Il mio film di 35 anni fa sembra girato ieri». Pubblicato venerdì, 22 maggio 2020 su Corriere.it da Maria Volpe. «Ha combinato un casino ‘sta cosa! Mi chiama il mondo intero, pure un amico di New York». Con l’immediatezza che lo contraddistingue Lino Banfi risponde così al telefono. Il prestigioso quotidiano britannico The Guardian ha dedicato una pagina al suo film, ormai davvero mitico, «L’allenatore nel pallone» del 1984 dove lei interpreta l’allenatore Oronzo Canà. Un elogio a lei e ai messaggi positivi di quel film, come l’anti-razzismo nel calcio, in tempi non sospetti. «E’ stato come ricevere un premio oggi. Mi sento di dire grazie di tutto cuore a questa giornalista, Nicky Bandini, che l’ha scritto. Ma non so l’inglese. Spero le arrivino i miei ringraziamenti».
Pensare che un film italiano di 35 anni fa, allora forse considerato non proprio un capolavoro, oggi sia così rivalutato fino a occupare una intera pagina di un illustre giornale..
«Certo che fa piacere. Però devo dire che da un po’ di anni Oronzo mi dà soddisfazione. L’hanno visto quasi tutti i calciatori nel mondo. Mi ricordo quando Ancelotti - che io conoscevo bene e frequentavo a Trigoria - andò ad allenare il Paris Saint Germain: gli scrissi un telegramma in francese “Mister ricordati il 5-5-5”. Lui appese il telegramma e tutti i giocatori ridevano come matti perchè si ricordavano che quello era lo schema di gioco di Oronzo».
Perché un film leggero e divertente sul calcio (racconta la storia dell’allenatore Oronzo che nonostante gli sporchi giochi del mondo del calcio riesce inaspettatamente a far restare in serie A la sua squadra, la Longobarda) entra nella storia dello sport?
«Perché è antico e moderno insieme. Sembra un film girato ieri: dagli sfottò, al razzismo, passando per gli imbrogli. Sono felice che la giornalista inglese abbia colto tutti questi spunti. Nicky ha avuto ragione a sottolineare la gioia dello spogliatoio, lo sponsor, la moglie del presidente che se la fa col giocatore bello, il giocatore emarginato e solo che ha nostalgia di casa. Tutte cose vere. Certo nessuno immaginava che dopo 35 anni fossimo ancora qui a parlarne.»
Ma come è nato davvero «L’allenatore nel pallone»?
«Su un aereo Roma-Milano, una domenica sera, sedevo di fianco al grande Nils Liedholm. Lui sapeva che io ero romanista sfegatato e parlavamo spesso di calcio. Mi disse con quel suo accento tipo don Lurio: “Hai mai pensato di fare un film su un allenatore di calcio?”. E io dissi: “No. Sono pure grasso. Come faccio?”».
Effettivamente...
«Liedholm mi spiegò che dovevo farlo proprio perché assomigliavo a un vero allenatore, Oronzo Pugliese, molto buffo. Sotto l’impermeabile aveva una gallina e se la sua squadra segnava, la lasciava libera in campo».
Un’occasione ghiotta per uno come lei.
«Sì. Proposi il film al regista Sergio Martino e cominciammo. Ma posi una condizione. Nome Oronzo, cognome Canà. Perchè? Perchè così mia moglie Mara sarebbe diventata Mara-Canà e noi potevamo andare in Brasile a girare il film. Se no quando mai l’avrei visto lo stadio Maracanà a Rio de Janeiro, io?». E così volaste in Brasile. E con voi tante comparse di giocatori famosi. «Sì tanti. Fu un film davvero divertente. Ricordo Graziani che sfotteva la mia pelata e io gli dissi: “Tu diventerai più pelato di me”... E infatti.., dice che gli ho mandato la “maledizione”. E poi il grande goleador De Sisti, detto Picchio. Mi diceva sempre: “Ho fatto un sacco di cose nello sport e la gente si ricorda di me per quella stron... che ho fatto nel film».
Lei ama il calcio e il mondo del calcio ama Lino Banfi.
«Sì, mi hanno regalato un diploma di allenatore di calcio internazionale. Bearzot, Lippi tutti mi salutavano e mi salutano chiamandomi mister. Ricordo quando arrivò in Italia, per giocare nella Roma, il giocatore brasiliano Toninho Cerezo. Io ero già amico di Falcao che frequentava casa mia, anche perchè gli piaceva mia figlia . Cerezo mi raccontò che appena arrivato in albergo gli avevano dato la cassetta del mio film da vedere».
Però Banfi il mondo del calcio non ha più nulla a che fare con quella storia che ha raccontato lei . E’ tutto un altro «film» purtroppo.
«Vero. Il Presidente deve essere della stessa città della squadra. Deve andare negli spogliatoi e parlare la stessa lingua. Da quando la Roma viene guidata da presidenti stranieri, non ho piu affetto. E poi non c’è più l’attaccamento alla maglia».
Come ha vissuto questa pandemia ?
«Pandemia canaglia.. In casa chiuso. A guardare tutte quelle facce in tv di virologi, professori, esperti, epidemiologi, primari, dottori. Non è che hanno tutti le facce simpatiche, ma più che altro mi ha colpito che quando parlava uno, gli altri non annuivano. Anzi l’espressione era come se il collega stesse dicendo fesserie. Allora dico io, noi siamo già incasinati per fatti nostri, se fate così chi avrà ragione?».
Lei che è così attento al sociale sicuramente ha pensato qualcosa in epoca di Coronavirus.
«Mi ha chiamato Pierpaolo Sileri, vice ministro della Salute, per chiedermi di essere testimonial di uno spot per non dimenticare mai di usare le mascherine. E mi ha detto: “ Devi essere il creativo di te stesso. Devi essere tu”. Mica facile: non volevo essere triste e non volevo rivolgermi solo agli anziani. Alla fine sono soddisfatto. Ho realizzato uno spot che farà sorridere con garbo e misura. Ma soprattutto ho posto una condizione».
Ha messo una condizione su uno spot che invita a usare le mascherine?
«Quando l’ho detto si sono spaventati tutti. Hanno cominciato a dire: ma il budget... E io: ma quale budget, non avete capito un chezzo. Posso mai pretendere soldi per una cosa che riguarda la salute? Prima di tutto sono un italiano. Ho chiesto a Sileri di pensare a un disegno di legge, un disegnino, per poter dare 20-30 mascherine gratis a chi ha tra i 65 e i 105 anni. Tutti noi nonni saremo 12 milioni, non tutti sono bisognosi. Almeno la metà se la possono comperare, altri sono molto anziani e non escono, ma almeno a 3 milioni di nonni regalategliele, solo per il fatto di aver raggiunto una certa età. Ve lo dice un Membro dell’Unesco».
Eh già, altro che Oronzo, siamo davanti a un membro dell’Unesco...
«E non ho ancora cominciato a dire la mia. Voglio che venga convalidato il ruolo del “nonno d’Italia” come patrimonio dell’Unesco perchè un nonno vale più di un museo. E’ una esperienza familiare che voglio rivalutare».
Ma quando sarà completamente finita la pandemia che farà, come festeggerà?
«Vorrei che tutti gli italiani, dopo aver cantato l’Inno di Mameli, escano sui balconi a cantare “E’ finita la quarantena , porca puttena”».
Oronzo Canà e «L’allenatore nel pallone» conquistano l’Inghilterra: il Guardian gli dedica una pagina. Pubblicato venerdì, 22 maggio 2020 su Corriere.it da Carlos Passerini.
Da trash a cult. La rimonta, va detto, era già partita molti anni fa. Ora sì però che la rivincita può definirsi realmente compiuta. Una promozione sul campo, praticamente. Da B (movie) a serie A. «L’allenatore nel pallone», film con Lino Banfi e regia di Sergio Martino del 1984, è finito nientepopodimeno che sul prestigiosissimo Guardian. Non un tabloid scandalistico, bensì uno dei più diffusi e autorevoli quotidiani al mondo. Ma come è che su un grande giornale filolaburista, raffinato e very chic come il Guardian apre la sezione sportiva di oggi dedicando una pagina intera al film di Lino Banfi e alla sua leggendaria Bi-zona col 5-5-5?
Col presidente Borlotti. Ovviamente un po’ c’entra il Covid. Bisogna dirlo: se non ci sono le partite, se non c’è lo sport giocato, bisogna andare alla ricerca di qualcosa d’altro. Succede in Italia, succede in Inghilterra. Nell’articolo firmato da Nicky Bandini il film con Banfi-Canà viene definito come una specie di ispiratore di una pellicola inglese dal titolo «Mike Bassett: England Manager», del 2001. La storia è simile, cambia solo il contesto. Protagonista però è sempre un improbabile allenatore che sbuca dal nulla e arriva a guidare squadre di alto livello. La Longobarda nel caso di Banfi, la nazionale inglese per mister Bassett. «Prima di Mike Bassett, c’era Oronzo Canà» scrive Bandini. Film inevitabilmente diversi, accomunati però dal fatto di essere entrambi due azzeccatissime parodie del calcio, dei suoi eccessi e dei suoi difetti. Il calciomercato, le partite truccate, i soldi in nero, gli affari loschi («la ricordate la scena del commendator Borlotti? «Sono riuscito ad avere i tre quarti di Gentile e i sette ottavi di Collovati, più la metà di Mike Bongiorno. In conclusione, noi abbiamo ottenuto la comproprietà di Maradona in cambio di Falchetti e Mengoni»), i procuratori avidi, i giornalisti spietati, i brocchi e i campioni.
Con Aristoteles. Ma c’è di più. La lettura che dà il Guardian al film italiano è estremamente positiva. Si va oltre la celebrazione della caricatura. «Entrambi i costituiscono una piccola parte del mio patrimonio culturale, e fino a poco tempo fa ne conoscevo solo uno - scrive Bandini - . A nessuno dei miei genitori importava molto del calcio, e la piccola collezione Vhs che abbiamo sembrava riflettere principalmente l’entusiasmo di mio padre, italiano, per Goldie Hawn. Ho conosciuto il film di Banfi molto più tardi, dalle pagine della Gazzetta dello Sport. Se c’è qualcosa di veramente sorprendente nel film è la frequenza con cui si fa riferimento alla stampa sportiva italiana. Il film cerca, nel suo modo goffo, di inviare anche messaggio positivo sul razzismo. Il personaggio di Aristoteles viene ostracizzato dai suoi nuovi compagni di squadra, che rifiutano di condividere una stanza d’albergo, ma Canà lo tratta teneramente e non batte ciglio quando il giocatore inizia una relazione con sua figlia. Nonostante tutti i suoi difetti (e ci sono pezzi di cui avrei fatto a meno) non posso negare di essere rimasta incantata quando l’ho rivisto. Era un film del suo tempo, ma in un certo senso era anche avanti, nel portare i calciatori dentro la sfera dello spettacolo, in un modo che raramente si era visto prima».Insomma, ora anche gli inglesi impazziscono per Oronzo Canà. E hanno ragione: «L’Allenatore nel pallone» era avanti anni luce. Perché ha saputo raccontare il calcio meglio del calcio stesso. È la rivincita definitiva di Canà: ingaggiato per perdere, «preso per un cogl..» (cit.), alla fine trionfa, alla faccia di tutti.
· Lo Stato Sociale.
CHIARA MAFFIOLETTI per il Corriere della Sera l'11 giugno 2020. La foto è un po' sgranata, porta i segni degli anni che sono passati da quando è stata scattata. Il sorriso di Lodo Guenzi, però, è luminoso e divertito: lo stesso di oggi. Solo che allora, in quella immagine, non c'era ancora un cantante famoso, ma un ragazzino un po' pallido («Sono nato in estate ma la odio - aveva detto in un'intervista -. Ricordo le mie da bambino, in Romagna, come tremende: odiavo il caldo, la sabbia nel costume, la crema solare...»), biondino e esile. «Troppo esile», come ha fatto sapere ieri sul suo seguitissimo profilo Instagram (282mila follower), svelando qualcosa in più su di lui, nella speranza di essere d'aiuto a tanti altri. «È la prima volta che lo scrivo - ha spiegato -. Ho pensato molto se avesse senso e sì, ha senso. Da ragazzino sono stato bullizzato. Ecco, l'ho detto. Non credo sia successo solo a me, ma è così». Non è successo solo a lui, ma non sono molti quelli che, raccontandolo, hanno la possibilità di innescare un dibattito come quello che è partito dalle sue parole. In tanti, ieri, hanno voluto condividere la propria esperienza, dicendo di essersi sentiti meno soli. Molti di più lo hanno ringraziato per aver parlato della sua. Ma succede adesso, che le persone cantano a memoria le canzoni del suo gruppo (Lo Stato Sociale). Allora però, all'epoca della foto, gli rivolgevano ben altre attenzioni: «Troppo esile, effeminato, biondino», erano alcuni degli epiteti a cui era abituato. Il racconto di Guenzi ha riavvolto il nastro fino agli anni passati tra i banchi: «A dire il vero, almeno, ero in una classe in cui se la prendevano con un ragazzetto italiano e non con il compagno pakistano o bengalese, che sono sempre stati i miei migliori amici». Non solo offese e parole pesanti. Anche «qualche botta, un pomeriggio in un bidone e un'eterna insistenza sulla mia presunta omosessualità che, devo dire, già allora come ipotesi non mi dava fastidio. Mi chiamavano Cinzia, come il nome di una bici da donna. Curiosamente, le uniche che mi piace guidare adesso». Ferite travestite da coincidenze. Segni difficili da cancellare, ma su cui si può iniziare a costruire, come ha fatto anche Guenzi. «Credo che gran parte della mia smodata fame di fare cose grandi sia nata lì - ha ammesso -. O forse dal rimpianto per aver chiesto aiuto e cambiato scuola, cosa che ancora mi fa sentire un vigliacco». Ancora. Nel frattempo, però, era arrivata la musica. E quindi il successo. I palazzetti stracolmi con quel gruppo nato nel 2009, Sanremo (nel 2018 «Una vita in vacanza» è arrivata seconda, ma ancora adesso la cantano tutti), il concerto del Primo Maggio condotto con Ambra, il bancone di «X Factor». Che, guardacaso, lo consacra come giudice gentile. Oggi quell'ex ragazzino troppo esile è tra i personaggi dello spettacolo più apprezzati, prima simbolo di quell'onda indie che ha cambiato faccia alla musica italiana degli ultimi tempi, poi volto tv spigliato e trasversale, portatore sano di una bolognesità fresca e ironica che lo candidano a eterno ragazzo (Morandi insegna), nonostante i 34 anni che compirà, appunto, nella tanto odiata estate. Oggi, insomma, quell'ex ragazzino è una persona di successo. E «quando adesso incontro qualcuno dei miei bulli mi trattano come una star. Io faccio un gran sorriso e so che da bambini è un casino per tutti e neanche se ne saranno accorti. Ma non riesco a non odiarli, eh vabbè...». Ma la morale di tutto per Guenzi non è questa. Se ha condiviso un momento tanto complesso è stato per un'altra ragione, «per dirti una cosa: ti hanno fatto del male, peggio che a me. Ma se la tua vita va avanti, allora gli stronzi hanno perso». Che la sua vita sia andata avanti è evidente a tutti. Anche ai bulli che lo chiamavano Cinzia, e che se lo incontrano oggi si fanno più piccoli di quanto fossero allora.
· Loredana Bertè.
Estratto dell'articolo di Silvia Fumarola per “la Repubblica” il 22 dicembre 2020. Il suo concorrente, Erminio Sinni, ha vinto la prima edizione di The Voice Senior . Lei, Loredana Bertè, la coach, ha conquistato il pubblico con l' ironia e la voglia di mettersi in gioco. Oggi ha trovato l' autostima, dopo che per anni ha fatto la "casalinga disperata". È sempre una donna rock.
Loredana, tutti parlano di lei a "The voice". Se l' aspettava?
«È stata letteralmente una scommessa per tutti.... Che posso dire? A chi non farebbe piacere vincere una scommessa?» .
(...)
Gli uomini l' hanno molto amata, forse non come voleva. Sarebbe pronta per un nuovo rapporto?
«Con l' amore ho già dato... "L' amore invade e finisce" come dice Djavan».
Ha più risentito Borg?
«Non ci siamo mai più visti né sentiti, a ripensarci mi sembra un' altra vita proprio. Io che ho fatto "la casalinga disperata" a Stoccolma per sei anni».
Aveva partecipato ad "Amici": meglio i giovani o chi ha i capelli bianchi?
«Un paragone assolutamente improponibile. Sono due realtà diverse: a The Voice sono una coach ad Amici un giudice. Poi ad Amici i talent cercano, e spesso ottengono, una vera e propria carriera musicale. Qui si parla di ottenere un piccolo /grande riscatto personale. È un "mood" totalmente diverso».
Se non avesse avuto successo si sarebbe rimessa in gioco anche lei a "The voice"?
«Nella vita mi sono sempre rimessa in gioco...Ogni volta che sono caduta mi sono rimboccata le maniche e in qualche modo mi sono rialzata... Ma non so se non avessi avuto la fortuna che ho avuto, cosa avrei fatto... Chi può saperlo? Mi sarebbe piaciuto, per esempio, fare l' archeologa o l' architetto».
Tanti festival di Sanremo: è davvero così importante andarci?
«Se mi invitassero ci tornerei volentieri come super ospite. Con l' ultimo che ho fatto in gara nel 2019 credo di aver dato tutta me stessa. E il pubblico mi ha ripagata davvero: le tre standing ovation dell' Ariston e i cori da stadio li porterò per sempre nel mio cuore».
Cosa le fa paura?
«Il buio. Dormo sempre con una piccola luce accesa».
Da "leggo.it" il 20 settembre 2020. Loredana Bertè domani compie 70 anni e, per una volta, decide di festeggiare il proprio compleanno. La leggendaria cantautrice lo fa nello studio di Verissimo, dove racconta diversi aneddoti della propria vita, compresi i più drammatici. «In genere non festeggio il compleanno, ma domani è anche il compleanno di Mimì e della mia carissima amica Asia Argento. Dicono che i 70 siano i nuovi 50, per una volta festeggerò anche io», spiega Loredana Bertè, con un pensiero anche alla sorella Mia Martini. La cantautrice racconta anche la sua adolescenza, fatta di serate al Piper, di una grande amicizia con Renato Zero, ma anche di un episodio assolutamente drammatico: «Avevo 16 anni, facevo serate con le collettine ed eravamo in giro per l'Italia. Ero l'unica vergine del gruppo e tutte mi dicevano di decidermi. C'era questo tizio che mi riempiva di fiori ogni sera, così alla fine dopo un mese ho deciso di uscire con lui. Mi portò in un appartamento scannatoio e quando ho sentito che chiudeva la porta col lucchetto mi sono spaventata. Ero terrorizzata, mi ha violentata e riempita di botte, sono riuscita ad uscire per miracolo, con tutti i vestiti strappati. Mi reggevo in piedi a malapena, un taxi mi portò in ospedale. Non avevo potuto dirlo a nessuno, specialmente a casa, altrimenti le avrei prese anche da mia madre. Le uniche con cui mi sono confessata furono le mie amiche, ho tenuto tutto per me e non lo denunciai. Fu uno sbaglio, perché, care donne, al primo schiaffo bisogna denunciare». Loredana Bertè, poi, racconta il primo, grande amore della sua vita: quello con Adriano Panatta. «Fu un vero e proprio colpo di fulmine: appena lo vidi, pensai "Lui è mio". E lui aveva pensato la stessa cosa. Per me è stato il primo amore, forte, passionale, puro, positivo» - spiega la cantautrice - «Poi però mi lasciò per sposare una ragazza che poi è ancora la mia migliore amica. Ci eravamo lasciati da pochi mesi, io stavo tornando in aereo dal Kenya, dove avevo scattato la copertina di "Sei bellissima", e lessi sul giornale che si erano sposati. Comunque Rosaria è una donna eccezionale, siamo amiche da sempre, la saluto con affetto». Si torna poi a parlare di eventi drammatici ma poco conosciuti al grande pubblico, come la perdita di Leonardo Pastore, uno dei migliori amici, ucciso dall'Aids. «Si era ammalato, andammo in ospedale a Parigi da Luc Montagnier. Allora nessuno conosceva l'HIV, c'era tanta ignoranza e si pensava che il contagio potesse avvenire anche solo stringendo la mano» - tuona Loredana Bertè - «Montagnier è stato un figlio di puttana, si rifiutò di curarlo dicendo che gli sarebbe rimasto solo un mese di vita o poco più, invece Leonardo visse altri quattro anni. Ho cercato di far curare Leonardo nei migliori ospedali del mondo, ma nessuna compagnia aerea voleva trasportarlo. Poi Benetton mi ha dato l'aereo privato, da Parigi ho preso Leonardo e l'ho portato alla Madonnina: Benetton è stato un angelo, lo ringrazierò in eterno. Leonardo per me era un confidente, un amico».
· Lorella Cuccarini.
"Taci, stronza", Zorzi insulta Cuccarini. E lei lo gela con un post sui social. Dopo gli insulti ricevuti nella Casa per le sue posizioni sul mondo Lgbt, Lorella Cuccarini si è difesa su Instagram esponendo le sue ragioni e dichiarandosi non omofoba. Francesca Galici, Giovedì 24/09/2020 su Il Giornale. Questo pomeriggio, la parole di Tommaso Zorzi al Grande Fratello Vip contro Lorella Cuccarini sono state a lungo al centro di un dibattito social, tanto da far diventare il tema di tendenza nazionale tra i più discussi del Paese su Twitter. L'influencer ha apostrofato la nota conduttrice con epiteti poco lusinghieri in riferimento alle sue posizioni sul mondo Lgbt, nonostante il tentativo di Stefania Orlando di ritabilire l'equilibrio e difendere la sua collega. Parole che non sono piaciute a Lorella Cuccarini, solitamente lontana dalle polemiche, che stavolta ha voluto replicare a Tommaso Zorzi con un lungo post su Instagram. "Una stronza! Ma poi si è espressa contro i diritti gay 150mila volte", ha detto Zorzi prima di rincarare la dose: "A me dà fastidio questa gente che deve aprir bocca per disseminare odio, piuttosto taci e fai più bella figura". Parole pesanti da parte dell'influencer, che conosce molto bene le dinamiche dei social e sa che esprimendosi così incontra il favore di una certa parte di utenti che vorrebbero imporre il pensiero unico nel Paese, abolendo qualunque libertà di opinione in favore di un'unica idea. Tuttavia, proprio per i modi avuti da Tommaso Zorzi, che ha chiuso qualunque via di discussione presupponendo che il suo fosse l'unico e il giusto pensiero, altri utenti non hanno faticato a contraddire il concorrente del Grande Fratello Vip. Insultata, Lorella Cuccarini stavolta non è rimasta in silenzio: "Sono una persona onesta, l’ipocrisia non fa parte del mio Dna. Quando esprimo un’opinione, non è mai contro qualcuno, quindi sentire un concorrente del Grande Fratello dire che sono 'contro gli omosessuali' (più una serie di insulti che faccio finta di non aver sentito) è qualcosa che mi ferisce profondamente e che non credo di meritare". La conduttrice, ballerina e showgirl ha ricordato come abbia lavorato con tantissime persone nel corso della sua lunga carriera, senza pregiudizio alcuno su orientamento sessuale e provenienza, esaltando di ciascuno le singole peculiarità. "Non sono sempre allineata al 'politicamente corretto': se mi si chiede un’opinione sulle adozioni o sulla pratica dell’utero in affitto, posso pormi delle domande e non essere a favore. Questa non è e non sarà mai una dichiarazione contro la comunità Lgbt e i diritti delle persone che vi appartengono e che, anzi, rispetto profondamente. Si può non essere d’accordo su tutto senza assolutamente essere omofobi", ha ribadito Lorella Cuccarini difendendo il suo pensiero. La conduttrice, poi, si difende dall'insinuazione di Tommaso Zorzi: "Non c’è un etero che abbia mai ballato ‘La notte vola’ da quando è nata quella canzone". L'influencer in questo modo lascia intendere che gran parte del successo di Lorella Cuccarini sia da imputare alla comunità Lgbt ma la conduttrice ci tiene a mettere i puntini sulle i: "Io non ho mai “strizzato l’occhio” al pubblico omosessuale perché se lo avessi fatto, non ne avrei avuto rispetto. Sono grata immensamente a tutte le persone che mi hanno sostenuto in questi anni, ma non voglio piacere a tutti i costi. Mentendo a me stessa. Voglio che le persone mi conoscano per come sono veramente". Lorella Cuccarini, nel finale del suo post, ristabilisce il normale ordine delle gerarchie, ricordando a Tommaso Zorzi di avere qualche anno in più di lui, che ha l'età di sua figlia e che, probabilmente, della conduttrice conosce solo ciò che ha letto, senza informarsi poi troppo sul suo conto. Per questo motivo, una volta finita l'esperienza al Grande Fratello, lo invita per un caffè, per provare ad andare oltre le apparenze di quanto viene riferito.
Lorella Cuccarini: Solitamente non rispondo alle provocazioni, ma in questa occasione il silenzio potrebbe essere interpretato come un assenso e non posso permetterlo. Sono una persona onesta, l’ipocrisia non fa parte del mio DNA. Quando esprimo un’opinione, non è mai contro qualcuno, quindi sentire un concorrente del Grande Fratello dire che sono “contro gli omosessuali” (più una serie di insulti che faccio finta di non aver sentito) è qualcosa che mi ferisce profondamente e che non credo di meritare. La mia vita parla da sé: ho condiviso tante gioie esaltando il talento di compagni di lavoro, senza barriere di alcun tipo. Sfido chiunque ad aver mai ravvisato un comportamento irrispettoso o discriminatorio contro chiunque. Detto questo, non sono sempre allineata al “politicamente corretto”: se mi si chiede un’opinione sulle adozioni o sulla pratica dell’utero in affitto, posso pormi delle domande e non essere a favore. Questa non è e non sarà mai una dichiarazione contro la comunità LGBT e i diritti delle persone che vi appartengono e che, anzi, rispetto profondamente. È semplicemente il mio punto di vista su alcuni aspetti della vita. E lo esprimerei anche se avessi un figlio gay , che - sia chiaro - amerei profondamente come qualsiasi altro figlio. Si può non essere d’accordo su tutto senza assolutamente essere omofobi. Io non ho mai “strizzato l’occhio” al pubblico omosessuale perché se lo avessi fatto, non ne avrei avuto rispetto. Sono grata immensamente a tutte le persone che mi hanno sostenuto in questi anni, ma non voglio piacere a tutti i costi. Mentendo a me stessa. Voglio che le persone mi conoscano per come sono veramente. Caro Tommaso, hai l’età di mia figlia Sara, probabilmente mi conosci solo per quello che leggi di me. Ti considero un ragazzo intelligente. Se vorrai, quando uscirai dalla casa, mi piacerebbe prendere un caffè insieme e vedere se riusciamo ad andare oltre le apparenze...
Alberto Dandolo per Dagospia il 26 giugno 2020. Redazione della Vita in diretta sotto shock dopo aver letto la surreale missiva scritta da Lorella Cuccarini in cui, senza mai avere il coraggio di citarlo, si scaglia contro il collega Alberto Matano facendone un ritratto assai lontano dalla realtà per chi, come chi vi scrive, conosce bene il giornalista. L'ex showgirl parla di un Matano maschilista, bugiardo e prevaricatore e lo fa con un tempismo anomalo. Eh sì, la Cuccarini proprio ieri è stata ricevuta dal direttore di Rai 1 Coletta che le ha comunicato ufficialmente il benservito. L'ex ragazza più amata dagli italiani, che si è portata 400 mila euro a casa per condurre il programma, ha aspettato quindi 10 mesi per dire ciò che pensa del collega. Perché solo ora? Ah, NON saperlo...
Domenico Zurlo per leggo.it il 26 giugno 2020. L’addio di Lorella Cuccarini a La Vita in Diretta, praticamente ufficiale, adesso fa discutere. Oggi pomeriggio su Raiuno andrà in onda l’ultima puntata del contenitore pomeridiano dell’ammiraglia del servizio pubblico, che tornerà a settembre ma senza "la più amata dagli italiani" in conduzione. Infatti, in studio ci sarà il solo Alberto Matano. Infatti, Matano è considerato molto vicino al M5S, partito di maggioranza relativa in Parlamento e conseguentemente molto influente nella rete ammiraglia rai, è uno dei conduttori di punta di viale Mazzini, in grande ascesa. La decisione era nota, i giornali l'avevano ampiamente anticipata. Oggi, però, la svolta: Lorella Cuccarini in una lettera inviata ai colleghi che hanno lavorato con lei in questi mesi si sfoga - senza mai nominarlo - contro il collega Alberto Matano con cui il rapporto non è mai decollato: la Cuccarini, nel testo della lettera, lo accusa di «maschilismo» e parla di «prevaricazioni». Una sorpresa anche per molti redattori del programma che pensavano che il rapporto tra i due si fosse "normalizzato" dopo alcune incomprensioni degli scorsi mesi. Una lettera esplosiva. «Cari compagni di viaggio, è arrivato il momento dei saluti, ma prima vorrei condividere con voi ciò che questa avventura ha rappresentato per me - scrive la Cuccarini nella sua lettera - È stata la mia prima volta in un programma quotidiano così complesso. Di programmi televisivi ne ho fatti tanti, ma una ‘macchina infernale’ come quella di VID non l’avevo mai guidata. La prima volta (e speriamo l’unica) in cui abbiamo dovuto convivere con il dramma di una pandemia devastante. A proposito, grazie per il vostro coraggio. La professionalità la diamo per scontata, il coraggio no…», scrive. Poi la lunga parte su un "lui" mai nominato che non si fa fatica ad identificare con Matano, di cui però non fa mai il nome. «C’è una "prima volta" alla quale non ero preparata: il confronto con l’ego sfrenato e - sì, diciamolo pure - con l’insospettabile maschilismo di un collega di lavoro - scrive Lorella - Esercitato più o meno sottilmente, ma con determinazione. Costantemente. Talvolta alternato ad incredibili (e mai credute) dichiarazioni pubbliche di stima nei miei riguardi. So che tutto questo non devo certo ricordarlo a voi che eravate qui. E se si volesse cercare il perché di tutto questo, non sarebbe certo necessario rivolgersi alla Bruzzone». Per la cronaca, la trasmissione ha sempre avuto buoni ascolti, anche durante la pandemia e il lockdown, e Lorella con i colleghi e la redazione ha avuto un ottimo rapporto: per alcuni di loro questo saluto è stato una sorpresa, perché non pensavano che il rapporto tra i conduttori fosse così burrascoso come descritto dalla Cuccarini. Il cui addio, di cui si era parlato già nei mesi scorsi, arriva anche a causa delle sue posizioni sovraniste dello scorso anno. «Ora la missione è compiuta e saluto il programma», scrive rendendo chiaro il messaggio. «Malgrado tutto, mi ritengo fortunata per due motivi: perché in questi mesi ho avuto il privilegio di poter fare vero Servizio Pubblico e perché, in tutta la mia vita, ho conosciuto prevaricazioni di questo tipo solo ora, a 55 anni. Niente al confronto di molte donne che hanno sperimentato questa realtà fin da subito senza avere neppure la forza di opporsi o di parlarne. Malgrado tutto però è stato bello condividere questi mesi con voi - conclude la ex ‘più amata dagli italiani’ - Non so dove, non so quando, magari ci ritroveremo… Grazie di cuore a tutte le anime belle che ho incontrato. Vi abbraccio, Lorella Cuccarini».
Alberto Dandolo per Dagospia il 26 giugno 2020. Dagospia può pubblicare la lettera inviata dalla redazione della ''Vita in Diretta'' a Lorella Cuccarini, in risposta alla durissima missiva pubblicata stamattina: Cara Lorella, dopo aver letto la tua mail, arrivata a ridosso dell'ultima puntata del programma, abbiamo provato smarrimento e incredulità per le tue parole. Abbiamo trascorso mesi durissimi e difficili in cui abbiamo lavorato insieme, con te e con Alberto, con impegno e dedizione, per gli stessi obiettivi e non ci aspettavamo una conclusione come questa. Fare finta di niente sarebbe la soluzione più semplice ma sentiamo il bisogno di dover dire la nostra, da donne. Abbiamo lavorato per tutta la stagione invernale in questo programma e siamo sorprese e amareggiate e, stentiamo ancora a credere, alle accuse di maschilismo rivolte ad Alberto. La nostra esperienza di lavoro con lui è stata caratterizzata da rispetto e riconoscimento professionale. Da grande giornalista, Alberto ha saputo valorizzare ognuno di noi nel proprio ruolo, con passione, generosità e intelligenza, avendo sempre come obiettivo la qualità del programma. In bocca al lupo!
Maria Graziano, Maria Teresa di Furia, Elena Martelli, Ilenia Petracalvina, Shaila Risolo, Raffaella Longobardi, Lucia Loffredo, Lucilla Masucci, Simona Giampaoli, Sonia Petruso, Erika Tuccino, Mara Pannone, Sara Verta, Donatella Cupertino.
Lorella Cuccarini contro Matano, l'autrice e inviata Antonella Delprino non ha inviato la lettera delle donne della Vita in diretta. Libero Quotidiano il 28 giugno 2020. Una inviata e autrice storica de La Vita in diretta si tira fuori dalla rivolta pubblica contro Lorella Cuccarini. Ha fatto molto rumore la lettera di 14 donne protagoniste dello show di Raiuno che si sono schierate con Alberto Matano e contro le accuse di "maschilismo" rivolte dalla Cuccarini all'ormai ex collega conduttore. Lorella è stata silurata dalla Rai (pare perché troppo orientata verso un sovranismo di stampo leghista), mentre Matano (molto vicino, si dice, a Rocco Casalino e al M5s) resterà al comando dello show del pomeriggio di Raiuno. Ma in quella lettera mancava la firma di un volto assai noto ai telespettatori, quello di Antonella Delprino, Che su Twitter ha spiegato a una fan il motivo del suo gesto "controtendenza": "Perché sapevo che quella risposta sarebbe diventata pubblica. Sono all’antica. Lorella e Alberto riceveranno la mia risposta. Non voi".
Il post di Mario Adinolfi pubblicato su Facebook il 26 giugno 2020. Con la rimozione di Lorella Cuccarini, immensa icona pop della tv italiana ma con la sfortunata condizione di essere una mamma di famiglia di molti figli e di idee cattoliche, Raiuno completa il processo di omosessualizzazione dei conduttori simbolo dei programmi di quella che una volta era la rete ammiraglia sotto il totale controllo della Dc. Oggi alla guida del principale contenitore quotidiano della rete rimane solitario il grande amico del duplex di Palazzo Chigi Casalino-Spadafora, Alberto Matano. Gay dichiarato, sostenuto nella sua battaglia per impadronirsi de La Vita in Diretta dal M5S di governo (che rifiutava la lottizzazione solo quando a farla erano gli altri), Matano ha giocato sporco contro la Cuccarini che andandosene gli ha riservato parole durissime. A tenere in caldo il posto a Matano durante la versione estiva del principale programma di Raiuno (va in onda tutti i giorni per più di due ore al giorno) sarà Beppe Convertini, anche lui conduttore gay che ha rilasciato in queste ore un’intervista di “in bocca al lupo” alla Cuccarini che l’avrà fatta infuriare ancora di più. A fare il traino a La Vita in Diretta il mitico nuovo direttore giallorosso di Raiuno ha piazzato un programma imbarazzante per colonizzazione Lgbt, ovviamente condotto da un gay: Pierluigi Diaco. Il programma si intitola Io e Te, è bruttissimo, raffazzonato, scritto male e guidato peggio, non riesce ad arrivare manco al 10% di share, con momenti in cui letteralmente ci si vergogna per chi lo conduce come quando si dà spazio a tal ospite fisso Santino Fiorillo, che manco in una tv provinciale di terza categoria potrebbe aprire bocca e invece su Raiuno ha trovato il suo reddito di cittadinanza grazie ovviamente alla palese appartenenza alla nota lobby. Ora, Raiuno manda in onda tutti i giorni Santino Fiorillo e caccia Lorella Cuccarini. Poi dicono pure che sono discriminati e vogliono la legge Zan per mandarci in galera. Fino a quando pensano che sopporteremo tutto questo?
Eleonora D'Amore per fanpage.it l'8 luglio 2020. Momento delicato in Rai, a ridosso della presentazione dei nuovi palinsesti 2020/2021, che si terranno il 16 luglio tra le sedi di Milano e Roma. Tempi in cui sembra che gli animi siano particolarmente esagitati e il clima dentro e fuori studi piuttosto teso. Dal caso Insinna a quello Venier, sollevati da Antonio Ricci a Striscia la Notizia, che hanno messo in vetrina presunte realtà poco edificanti di entrambi i conduttori con i loro collaboratori, si è passato allo scontro frontale tra Lorella Cuccarini e Alberto Matano. I volti della fascia pomeridiana della rete ammiraglia sarebbero arrivati ai ferri corti, almeno stando alla lettera inviata dalla conduttrice uscente alla vigilia dell’ultima puntata di questa stagione. Si parlava di sessismo e di ‘ego smisurato’ con i quali avrebbe dovuto fare i conti, portando a termine un ‘mandato’ di appena un anno, concluso a suo dire molto a fatica. Di tutta risposta Matano ha optato per il silenzio. Al suo posto sono corse in soccorso le firme della redazione al femminile de La vita in diretta, che hanno preso le distanze dai toni accesi della Cuccarini. Ma c’è un fatto: la lettera ‘con cui le inviate e autrici de La vita in diretta rispondono per le rime, schierandosi in difesa di Matano”, per come è stata pubblicata da Dagospia e dai maggiori quotidiani nazionali, non avrebbe dovuto essere diramata riferendosi alla pluralità delle donne che ci lavorano. Fanpage.it infatti ha appreso da una fonte interna al programma che le firmatarie, 14 in tutto, deficitavano del consenso scritto di altre 37 collaboratrici, tra le quali la regista (Nicoletta Chiadroni, ndr), alcune inviate principali, redattrici e autrici. “È più un fatto di coscienza che altro” ci dicono “la lettera è stata considerata, non si sa se per errore o volutamente, delle ‘donne della vita in diretta’ e invece non è così. Erano solo poche colleghe, tante altre non hanno voluto perché o non interessate ad aderire alla polemica, essendo estranee ai fatti, o perché ignare della missiva o per motivi personali. Il fatto è che quelle sono 14 firme e ce ne sono 37 che non hanno voluto firmare o che non sono state proprio informate”. La precisazione è legata alla volontà di chiarificare un passaggio ritenuto fondamentale, ovvero quello che avrebbe in maniera erronea delineato due divisioni nette: una rappresentata dalla Cuccarini contro Matano e l’altra dalle donne della redazione contro la conduttrice e in difesa di Matano. La fonte aggiunge: Probabilmente non c’è stata nemmeno la loro volontà (quella delle firmatarie, ndr) di far passare quella come la lettera delle donne della vita in diretta perché hanno firmato singolarmente. È successo tutto in un attimo: la Cuccarini ha mandato la lettera la mattina dell’ultima puntata e subito dopo è stato improvvisata questa lettera di risposta con chi c’era e non informando tutte, aspettando le adesioni. A quel punto purtroppo i grandi giornali hanno riportato la notizia e non c’è stata la prontezza di intervenire per chiarire per bene come sono andate le cose. Già Antonella Delprino, storica autrice del programma, si era dissociata dalla lista di firme circolata a poche ore dalla lettera della Cuccarini, mentre Emma D'Aquino aveva subito spezzato una lancia in favore dell'ex collega ai tempi del Tg. E ora, dato che negli ultimi giorni si sono ricorse voci, in parte confermate, riguardo un acceso confronto verbale avvenuto fuori gli studi Rai, che ha visto Pierluigi Diaco contro Matano in difesa dell'amica Lorella, pare che il sipario fatichi a chiudersi su questa turbolenta stagione de La vita in diretta, che avrebbe potuto congedarsi dal pubblico con un sorriso in più dopo il successo di ascolti che ne aveva richiesto il prolungamento fino a fine giugno.
Lorella Cuccarini: “Milioni di italiani mi volevano nuda”. Redazione de Il Giornale Off il 27/01/2020. Lorella Cuccarini ospite nel video "Italiani" di Daniele Stefani. L’ultima sua uscita è stata: “Non sono l’ultima starlettina raccomandata. Heather Parisi? Non so di chi tu stia parlando”. Al di là dello storico scontro fra le due soubrette, non possiamo non dire che “la più amata degli italiani” non metta dei filtri. Recentemente non l’aveva mandata a dire sui nuovi programmi TV della rivale. Vi proponiamo questa intervista off alla più pepata degli italiani, dove di mostra qualora ve ne fosse bisogno che lei ama andare controcorrente. Ha definito il blocco dei flussi migratori come “sacrosanto” e si è dichiarata “la più sovranista degli italiani”. La svolta filo governativa di Lorella Cuccarini con la sua intervista al settimanale “Oggi” ha suscitato parecchi commenti e critiche, al punto che in molti l’hanno definita ironicamente la “ballerina sovranista”. Dichiarazioni, le sue, non solo pro governo giallo verde ma anche contro: contro l’Euro, il Papa e il femminismo. Un fiume in piena, un outing bello e buono e, evidentemente, molto inaspettato. Le sue frasi, diventate virali, sono queste: “Bloccare l’immigrazione è sacrosanto”, “Sono la più sovranista degli italiani”, “Papa Francesco non deve esprimersi solo sui migranti”, “Non sono mai stata femminista e sono contraria alle quote rosa”. Fra le reazioni, quella della “nemicaamatissima” (è dagli anni ’90 che si contendono lo scettro di showgirl d’Italia) Heather Parisi. In attesa di sapere come andrà a finire, vi riportiamo la sua intervista cult. “Sono favorevole alle unioni civili ma i figli non sono un diritto. E non si comprano. Punto.” Così scrisse su Twitter la più amata dagli italiani. La frase ha destato scalpore e non è stata presa bene da tutti. L’opinione di Lorella a riguardo era stata già espressa in forma più piena in quest’intervista cult realizzata da ilgiornaleoff.it
Lorella, mi racconti un episodio off degli inizi della tua carriera?
«Ricordo uno dei miei primissimi lavori fatti, ero giovanissima, avevo sedici anni. La mia scuola di danza mi selezionò per fare spettacoli di folklore per gli stranieri in visita a Roma. Li ricordo come un appuntamento molto divertente, non solo per l’eccitazione delle prime volte, ma anche per il contatto con le altre culture. Per una ragazzina agli inizi fu un’esperienza davvero eccitante».
“Chi lo sa com’è che ho mosso i primi passi” cantavi in una tua sigla storica, e tu li muovi nella scuola di Enzo Paolo Turchi.
«In realtà cominciai con il fratello Flavio Turchi, il mio primo maestro e punto di riferimento umano. Quando mio papà se ne andò di casa io ero molto piccola. Per cui per me oltre a essere una scuola di danza quella fu una scuola di vita, e Flavio una figura fondamentale».
Figura sicuramente importante per te quella di Pippo Baudo. Ma è vero che devi il vostro incontro ad una convention di gelati?
«Sì (ride), un’esperienza veramente strana. Mi offrirono di far parte del corpo di ballo di quell’evento di cui coreografi erano Brian & Garrison. Si lavorava molto e si guadagnava poco, ma mi dissi “Perché no?” e accettai. Scoprii solo poco prima delle prove che la convention sarebbe stata presentata da Baudo. Alla fine della serata, l’agente di Pippo mi prese da parte e mi disse che il giorno dopo avrebbero avuto piacere di incontrarmi. Io mi presentai e ci scambiammo i contatti. Lì per lì, pensai che il mio numero di telefono sarebbe rimasto chiuso in un cassetto. Invece poi arrivarono una telefonata, e l’incontro con Franco Miseria. E fu “Fantastico”».
Proprio Pippo, qualche settimana fa al telefono con me, ha sorriso nel ricordare che tu a quell’appuntamento ti presentasti con mamma al seguito.
«(Ride, n. d. r.) Ero cresciuta convinta che nel nostro ambiente ci fosse un circuito di serie B pericoloso per le giovanissime emergenti. Poi ripensandoci mi dissi: “cavolo, mi ha chiamato Pippo Baudo, non uno sconosciuto!”, ma all’epoca ero ancora molto acerba, giovane e probabilmente un po’ sprovveduta».
Lori, perché secondo te la TV si sta dimenticando di Pippo?
«Questo paese dimentica in fretta tante cose. Purtroppo non riusciamo mai a onorare sufficientemente le persone che hanno scritto pagine importanti. Succede in molti ambiti, non solo nello spettacolo. Pippo per me è stato veramente una figura di riferimento importantissima, con lui ho imparato molto più che in quindici anni di palestra. E’ una persona con i piedi ben piantati a terra, a differenza di tanti che hanno avuto successo in pochissimi mesi e sembra volino a dieci metri da terra in un delirio di onnipotenza».
Permettimi di raccontare un aneddoto: due anni fa ero tuo ospite dietro le quinte di Domenica In, e mi ha colpito vederti durante la riunione di scaletta, dedita, preparata, attenta, con grandissimo amore per quello che fai, e soprattutto con un rispetto e un affetto verso macchinisti, tecnici, che sicuramente “dietro altre quinte” difficilmente si trova.
«Io credo che il nostro sia un lavoro di gruppo, e questo lo devo a Pippo. Noi siamo la punta di un iceberg. Penso che il massimo rispetto per tutte le figure intorno a te sia fondamentale e dovuto, anche per il successo del progetto stesso».
Torniamo a “Fantastico”. “Fantastico 6″, poi l’anno dopo torni in coppia con Alessandra Martines, ed è in termini di ascolto il successo dell’anno. Nella sigla di chiusura, cantate “L’amore è”, però… non fu proprio un idillio fra voi.
«Con Alessandra il rapporto umano fu inesistente. Non sempre tutte le ciambelle possono uscire col buco (ride), anche se quasi sempre ho legato con i colleghi con cui ho lavorato. Io non amo i protagonismi, ma a volte capita di incontrare persone che la pensano in maniera diversa, e che rendono il rapporto molto distante e formale. Con Alessandra fu così».
Un grandissimo successo lo hai poi con il passaggio a Fininvest: prima “Festival” nell’87 e poi “Odiens”, che regala a te, ma soprattutto a noi, la sigla più sigla di tutte le sigle: “La notte vola”.
«Anche quello un progetto nato per caso, scoppiato in mano senza volerlo. Che il pezzo fosse forte e con una grande energia lo avevamo intuito sin dall’ascolto del primo provino. Ciliegina sulla torta, poi, fu che la rete e il regista di “Odiens” si appassionassero alla canzone al punto da chiamare Renzo Martinelli – all’epoca regista quotatissimo nelle grandi pubblicità – per farne il videoclip, il primo in assoluto nella storia delle sigle tv . Dopo 25 anni “La notte vola” piace universalmente, sia ai ragazzi degli anni ottanta sia a quelli di oggi
Ecco, moltissimi locali gay però hanno deciso di non passare più le tue canzoni in seguito alla polemica sulla questione matrimoni. Io sono stato tra i primi a difenderti, sostenendo la tua posizione per nulla omofoba, ma semplicemente cattolica».
Vogliamo fare pace col mondo gay?
«Secondo me non si può parlare di mondo gay, ma di una parte di mondo probabilmente ottuso. Io frequento quotidianamente tanti gay che la pensano come me. Purtroppo, ci sono persone aperte mentalmente e illuminate, e altre che invece vogliono ascoltare solo quello che gli fa più comodo. Io preferisco comunque essere sempre sincera e aperta al confronto».
E io sono totalmente d’accordo con te. Ma se ti dicessi invece Marco Columbro?
«Marco è una persona con cui ho condiviso alcune delle pagine più belle della mia storia televisiva, e quella con cui sono cresciuta maggiormente come conduttrice. Pippo è stato un insegnante fondamentale per la crescita e la formazione professionale, ma Marco è stato il compagno con cui ho probabilmente fatto i passi più importanti, dalle Buone Domeniche alle nostre Paperissime. Sono stati anni fondamentali, tutti gli anni ’90, vissuti insieme sino all’esperienza drammatica fortunatamente a lieto fine della sua malattia».
Grandissima nostalgia per quegli anni: andare a Mediaset e sapere che non ti si incontra nei corridoi ammetto che fa un certo effetto.
«Sicuramente è stato un pezzo di vita reale. Un pezzo di cuore è rimasto lì con tutte le maestranze dello studio 10, dello studio 11. Abbiamo vissuto quattordici anni di soddisfazioni, gioie e successi. Ricordo quei momenti come se fossero ieri. Un’esperienza importantissima che ha segnato la mia crescita maggiore: la vera gavetta è quella che ho fatto negli anni di intrattenimento a Mediaset».
Accennavi alla malattia di Marco: in realtà anche tu hai avuto un momento doloroso della tua vita che hai superato proprio grazie al teatro. Con “Sweet Charity” sei tornata dal pubblico e ad essere la Lorella più amata dagli italiani.
«Quando si cresce e si diventa grandi capita che ti arrivi qualche schiaffone. Poi, guardando con sano distacco, ti accordi che le esperienze difficili sono quelle che ti formano di più, dandoti una prospettiva di vita diversa, e facendoti ristabilire la tua scala di valori. Sono momenti che ti fanno crescere sul serio».
Grandi musical: “Grease”, “Sweet Charity”, “Il Pianeta Proibito”. Parlando de “Il Pianeta Proibito”, sai che la tua performance al Festival di Sanremo, tratta dallo spettacolo, e in cui sei nuda e coperta solo da una chitarra, ha incollato alla tv 16 milioni di italiani?
«Lo so, lo so! (ride) Tutti volevano vedere “la più amata dagli italiani” nuda! Quello era il punto di partenza, poi invece hanno visto uno spettacolo incredibile. In tournée, alla fine di ogni replica, le persone che venivano a salutarmi mi dicevano: “quel momento vale la spesa del biglietto! Anche se avessimo visto solo quello, saremmo usciti soddisfatti”. Certamente “Fever” era un momento di grande innovazione. Luca Tommasini è stato un vero genio, al punto che anche Beyoncé si è poi ispirata in maniera molto forte a noi».
Nel 2002 sei tornata in Rai. Poi nel 2004 nonostante il tuo contatto di esclusiva, Fabrizio Del Noce ti parcheggia. E il tuo pubblico si chiede ancora perché.
«Me lo chiedo anch’io, per dirti la verità (ride). Anzi no, non me lo chiedo più. Mi sono data la semplice risposta che gli allenatori che scelgono le squadre da mettere in campo, devono essere liberi di fare le loro valutazioni. Purtroppo in quel momento a me è toccata la panchina. Può capitare in quasi trent’anni di carriera ci siano anche momenti bassi. Penso per esempio alla mia trasmissione radiofonica, “Citofonare Cuccarini”, chiusa dall’oggi al domani. Certo, sono esperienze che a caldo fanno, soprattutto se hai sempre creduto in un rapporto umano prima che professionale».
Hai citato “Citofonare Cuccarini” , un programma radiofonico bello, fatto bene e condotto con la professionalità che ti contraddistingue da sempre, ingiustamente chiuso da Flavio Mucciante.
«Solito discorso, cambiano i direttori cambiano le squadre. Questo è assolutamente legittimo, ma non posso non contestarne i modi. Io ho saputo da una mail in copia conoscenza della cancellazione del programma. Siamo stati chiusi come se fossimo dei ladri, e questo francamente credo che non lo meritassimo, io tutto il gruppo di lavoro che è stato al mio fianco e gli ascoltatori».
Ti cito una tua frase: “Curo molto il mio corpo, mi alleno. Lo faccio anche per far felice mio marito, è un dovere dopo tanti anni essere ancora desiderabile. Il sesso è un ottimo alleato: due volte alla settimana”. L’hai detto?
«(ride) Non che io stia con il conta…passi ma, se dovessi pensare all’equilibrio ottimale di una coppia secondo me un paio di volte a settimana… certo, l’eccitazione non è come le prime volte, ma il fatto che cambi non vuol dire che per forza peggiori. Anzi, può migliorare qualitativamente, anche se cala dal punto di vista numerico. Verissimo che curo il mio corpo, per mio marito e soprattutto per me stessa, perché mi voglio bene».
Ma se ti chiedessi il tuo Pianeta Proibito?
«Io non ho un Pianeta Proibito, e non m’interessa nemmeno averlo, sai?»
Bellissima risposta.
«Credo che in una coppia non ci siano proibizioni. Quando c’è un rapporto di totale simbiosi perché ci dovrebbe essere un Pianeta Proibito?»
Lori, grazie per questa chiacchierata. Ti auguro davvero di cuore di tornare presto con un tuo programma, che sappia ripagarti di tutto quello che hai dato e dai al tuo pubblico.
«Ricordati che tutti siamo utili e nessuno è indispensabile, è un detto che mi ricordavano sempre mia nonna e mia mamma, ed è una grandissima verità. A parte questo, lo spero molto anch’io molto, soprattutto perché ho tanta voglia ancora di fare. Ecco Gabriele, ti ricordi la “voglia di fare” che cantavo nel mio disco?»
Come faceva quella canzone?
«“Che ci sia voglia di fare, che ci sia voglia di dare” (canta). Ecco, così, io non sono cambiata di una virgola».
· Lorenzo Battistello.
Grande Fratello, che cosa fa oggi l’ex concorrente Lorenzo Battistello? Notizie.it il 26/06/2020. Lorenzo Battistello, concorrente della prima edizione del Grande Fratello, oggi lavora all'estero e ha lasciato alle spalle la carriera televisiva. Sono passati 20 anni da quando Lorenzo Battistello ha partecipato alla prima edizione del Grande Fratello. E oggi, dopo quell’intensa esperienza, ha deciso di abbandonare il piccolo schermo, e in generale il mondo dello spettacolo, per coltivare in silenzio la sua passione: la cucina. In una recente intervista rilasciata a Radio Cusano Tv Italia, l’ex gieffino ha raccontato la sua vita dopo la grande popolarità data dal reality show più longevo italiano. Oggi, ha 46 anni, vive a Barcellona con la moglie ed è un imprenditore e chef affermato. Infatti, vanta nel suo armamentario una notevole quantità di ristoranti. E non ha intenzione di fermarsi qui o forse no. Purtroppo anche il Battistello ha dovuto fare i conti con l’emergenza Coronavirus. Il suo scopo era quello di aprire un altro ristorante ma, appunto, per via del virus ha dovuto sospendere tutto. Il suo, come assicurato, è solo uno stop momentaneo e riprenderà al più presto i lavori di ristrutturazione per avviare un altro suo importante traguardo. Oltre ai momenti belli, però, l’ex gieffino ha dovuto affrontare anche momenti brutti come quello del tumore. Un tumore maligno che però non ha di certo fermato il 46enne che ha continuato la sua vita riuscendo, alla fine, a sconfiggerlo. Non solo sulla salute: i problemi, però, son arrivati anche in campo economico. In particolare, alla fine della sua esperienza nella casa del Grande Fratello. Infatti, una volta uscito il successo è stato tale che sia i concorrenti stessi che le agenzie di comunicazione non sono riusciti a gestire il tutto sopratutto il denaro. Proprio questa difficoltà nella gestione di soldi “facili” lo ha portato a sperperare tutto il suo patrimonio vinto com’è successo anche a un’altra concorrente della prima edizione: Marina La Rosa. La televisione non sembra proprio essere nei piani di Lorenzo che vuole dedicarsi totalmente alla sua attività imprenditoriale. Non è sicuramente il primo né l’ultimo a essere sparito dal piccolo schermo e ad aver preferito la vita dell’anonimato come un altro amatissimo personaggio la favolosa cubista di Uomini e Donne Angela.
Dagospia il 25 giugno 2020. Da radiocusanocampus.it il 26 giugno 2020. Lorenzo Battistello, il cuoco che partecipò alla prima edizione del Grande Fratello, è intervenuto ai microfoni di Emanuela Valente su Radio Cusano Tv Italia (ch. 264 dtt). Riguardo la sua attività oggi. “A gennaio stavo per aprire un ristorante a Barcellona, poi ci siamo ritrovati nel bel mezzo della pandemia e del lockdown –ha affermato Battistello-. Da un lato posso ritenermi fortunato, in quanto non avevo ancora assunto persone, ho solo dovuto sospendere i lavori di ristrutturazione del locale e poi riprenderli un po’ alla volta. La Spagna sta vivendo fasi diverse, ad oggi Barcellona è nella fase 2 e sta passando nella fase 3 che è la stessa italiana. I ristoranti possono riaprire anche all’interno, con i dovuti protocolli di sicurezza. L’unico problema che hanno in Spagna è quello delle autonomie che sono molto più forti rispetto all’Italia e lo scontro tra governo e regioni è stato molto più forte”.
Sull’esperienza al Gf1. “A Barcellona la comunità italiana ancora mi riconosce per strada. La nostra edizione è stata talmente forte a livello sociale che forse è stata il primo esperimento di social network se consideriamo il lato della condivisione della propria quotidianità. All’epoca questo non esisteva. Quindi non è stato solo il primo reality che ha cambiato la storia della tv, ma ha cambiato anche il modo di vedere la propria privacy. Se all’epoca ci fossero stati i social, oggi di professione farei l’influencer. Calcolando che l’ultima puntata del Gf1 è stata vista da 16 milioni di persone, ad oggi mi ritroverei sicuramente con un milioncino di follower e avrei potuto campare di rendita così. Fino ad allora era impensabile che una persona dal nulla andasse a condurre, presenziare qualsiasi programma televisivo se non avesse fatto degli studi o gavetta, grazie o per colpa GF, si trovano ormai programmi con conduttori mai visti prima, che stanno lì solo perché hanno milioni di follower su instagram, prima era impensabile. Abbiamo cambiato il modo di fare tv e di vedere le persone e la privacy”.
Un ricordo di Pietro Taricone. “Il 29 giugno saranno 10 anni dalla scomparsa del caro Pietro. Volevo mandargli un mio pensiero personale molto forte. La serata dell’ultima rimpatriata con i ragazzi del GF è un ricordo molto bello che porto dentro di me. Con Pietro non c’è stato il tempo di conoscersi profondamente, però lì ho percepito il rispetto che lui aveva per me. Questo mi ha lasciato il ricordo di una persona vera, buona, che voleva solo stare bene”.
Su Rocco Casalino. “Casalino era presente nella chat su whatsapp con i concorrenti del GF1, dove ci scriviamo spesso. Quando è scoppiata la pandemia molto saggiamente ci ha scritto un messaggio per dirci: ragazzi, non posso avere distrazioni in questo periodo, quindi esco dalla chat perché devo rimanere concentrato su una situazione molto importante. Io ho seguito la sua prima carriera in tv quando ha iniziato a Tele Lombardia, era molto determinato a far carriera nel mondo del giornalismo e delle comunicazioni. Conoscendolo, sapevo che da qualche parte sarebbe arrivato. Non mi aspettavo a questi livelli, ma non sono sorpreso. Se lo merita di più proprio per questo, perché quando hai un’etichetta così commerciale e così denigratoria quando si parla di cose serie, è difficile. Io nel mio piccolo ho trovato le stesse difficoltà quando mi trovavo a parlare con altri ristoratori, ti guardano sempre come per dire: tu non sei un cuoco vero, non sei un ristoratore, sei solo un ex concorrente del GF. Quindi se lo merita doppiamente Rocco, perché non è facile convivere con questa etichetta, ogni volta che dici o fai una cosa, c’è qualcuno che ti dice: ma parli tu che sei spogliato al GF. Se uno vale, vale. Allora la Carfagna non avrebbe mai dovuto fare il deputato, così come Luxuria. Conte ha detto che scegliendo i suoi collaboratori ha scelto i migliori e secondo lui Rocco in quel momento era il migliore, non è stato a guardare il suo passato. Rocco non è il premier, è il portavoce, è chiaro che ha le sue responsabilità, però non penso che abbia fatto errori clamorosi. Non si può imputare a Rocco il fatto che sia stata applicata una legge che non serve, Rocco non approva leggi. Per quanto riguarda la comunicazione non ho notato errori clamorosi. Rocco è rimasto lo stesso, non si è montato la testa, mi ha stupito perché una volta raggiunto questo incarico era difficile per me rapportarmi con lui, invece è stato proprio lui a dirmi che siamo amici e che non dovevo farmi problemi a parlare con lui come avevo sempre fatto. Qualche giorno fa ho trovato una foto di me e lui 20 anni fa, gliel’ho mandata e lui mi ha risposto: madonna, quanti anni sono passati! A parte questo si chiacchiera, ma non è che gli scrivo per chiedergli del suo lavoro”.
Dagospia il 29 gennaio 2020. Da radiocusanocampus.it. Lorenzo Battistello, il cuoco che partecipò alla prima edizione del Grande Fratello, è intervenuto ai microfoni di Emanuela Valente su Radio Cusano Tv Italia, emittente dell’Università Niccolò Cusano. Ora vive a Barcellona, ma quando torna in Italia per strada lo riconoscono ancora. “Devo dire che mi riconoscono in molti, magari non si ricordano il nome, però mi guardano come per dire: ti conosco ma non so come –ha spiegato Battistello-. Mi sono successe anche cose un po’ divertenti. Una volta sono andato a fare una visita in ospedale, ero in ascensore con un’infermiera che mi ha guardato un po’ con curiosità e mi ha detto: ma io ti conosco. Più che altro la gente pensa di avermi già visto per strada o da qualche altra parte, ma non mi associa più al Grande Fratello, poi quando gli spieghi allora gli torna in mente”. Sull’esperienza alla prima edizione del Grande Fratello nel 2000. “Ricordo che in me c’era incoscienza e scarsa consapevolezza di ciò che si andava a fare. Mi ricordo anche lo stupore dei miei amici, quando prima di entrare in casa gli raccontai che sarei andato al GF e loro non capivano che tipo di programma fosse. Non c’era proprio consapevolezza di cosa fossero i reality, considerando che all’epoca non c’erano neanche gli smartphone, non c’era la diffusione di internet così capillare come adesso. Quando provavo a spiegare che sarei entrato in una casa, spiato dalle telecamere 24 ore su 24, la gente non capiva. Essendo la prima edizione c’era incoscienza da parte nostra, ma anche da parte degli stessi autori che non avevano un’esperienza tale nel settore da capire esattamente cosa dovessero fare. Il regolamento prevedeva che non potessimo neanche leggere un libro, perché si voleva evitare a tutti i costi che qualcuno si isolasse dagli altri. La cosa che mi mancava di più infatti nella casa era la solitudine. Io sono un abitudinario su alcune cose, ad esempio mi piace bermi il caffè da solo al mattino, mi piace ritagliarmi dei momenti in solitudine, ma lì non ce l’avevo. Se tu ti sedevi da solo in giardino, arrivava un altro concorrente e ti iniziava a parlare. Era un esperimento molto interessante, tanto che moltissimi ragazzi dopo quell’edizione mi hanno contattato per delle tesi di laurea perché comunque era uno studio sociologico”. Sull’attuale edizione del GF Vip a cui partecipano due ex concorrenti della prima edizione: Sergio Volpini e Salvo Veneziano. “Le edizioni immediatamente successive alla prima le ho seguite, anche perché ero ancora nel mondo dello spettacolo. Poi non ho più seguito il programma. Quest’anno, proprio perché c’erano Sergio e Salvo, ho seguito l’edizione del GF vip, per curiosità, per fare anche due chiacchiere perché comunque ci sentiamo tramite messaggi con gli altri ex concorrenti della prima edizione. Sergio e Salvo purtroppo sono usciti prematuramente quindi dopo la loro uscita ho smesso di guardarlo. La squalifica di Salvo per frasi sessiste? Ho seguito tutto e mi sono anche confrontato con lui dopo questo episodio. Salvo lo conosco da 20 anni, forse è uno di quelli che ho sentito più spesso in questi anni. Lui è sempre stato un giocherellone, uno che ha sempre cercato di crearsi un’immagine simpatica, anche esasperando alcuni modi di dire. Noi ex concorrenti del GF1 un po’ l’avevamo avvisato prima di entrare, gli avevamo detto di stare attento perché i suoi modi di dire e di fare in alcune situazioni possono non essere compresi e rischiano di mandare un messaggio negativo. Sicuramente è stato un cretino in quell’occasione perché non doveva dire quelle cose. Però è una persona molto fedele con la famiglia, una persona buona. Ha fatto un errore, purtroppo ha abbassato la guardia, preso dalla voglia di mettersi un po’ in mostra forse ha esasperato troppo i toni cercando di fare il simpatico. Penso sia consapevole del suo errore. Mi ha stupito la reazione della sua famiglia perché se io mi fossi solo permesso di fare un complimento ad una ragazza, mia moglie il giorno dopo avrebbe chiesto il divorzio. Ciò fa capire che la famiglia è consapevole del suo modo di fare, che è solo un modo per scherzare e basta, perché altrimenti penso che una moglie non l’avrebbe perdonato”. Un mio ritorno al GF. “Non nego di averci pensato. Sicuramente se fosse arrivata una proposta l’avrei valutata, ma solo da un punto di vista economico. Ormai ho la mia vita in Spagna, sono fuori dagli interessi del mondo della tv quindi avrei valutato la proposta solo per un interesse economico. Sono anche consapevole che fare un GF a 46 anni, sposato, con tanto di famiglia allargata, significa stare molto allerta perché il GF va a cercare le tue debolezze”. Marina La Rosa ha dichiarato di aver sperperato tutti i guadagni del post GF. “Tutti noi all’epoca fummo catapultati in un mondo nuovo, anche a livello economico. Ci sono arrivati soldi facili, all’epoca si facevano molte ospitate. Sicuramente c’è chi ha messo via di più, chi ha messo via di meno, anche io ho sperperato soldi per incapacità, però va detto che anche gli addetti ai lavori non erano preparati a gestire il nostro successo. Eravamo in un momento di popolarità immenso, se giravo per strada con Fiorello la gente fermava me piuttosto che lui. Eppure quel momento non è stato sfruttato perché anche le stesse compagnie di marketing non sapevano come gestire la cosa, non sapevano se un concorrente del GF, seppur popolare, potesse essere un bene o un male per sponsorizzare un marchio. La finale ha fatto 16 milioni di ascoltatori, se all’epoca ci fossero stati i social io oggi avrei milioni di follower, cosa che mi permetterebbe di guadagnarci sopra. Va detto anche che noi abbiamo fatto il GF nel 2000, abbiamo avuto la grande popolarità nel 2001, quando c’era la Lira e poi c’è stato il passaggio all’Euro. Quindi abbiamo incassato molto in Lira e con l’Euro il guadagno si è dimezzato”. Sul flirt con Marina La Rosa. “Con Marina c’è stato e c’è tuttora un ottimo rapporto che ci lega profondamente. Ovvio che lei cercava un appoggio su una persona con più esperienza, ci siamo conosciuti, frequentati, anche perché cercavamo di difenderci da questo tornado mediatico che ci ha avvolto. Da lì si è rinforzato il nostro legame, finchè ognuno è andato per la propria strada. Tutt’oggi ci sentiamo, come ci sentiamo con tutti gli altri ex concorrenti. Non è che ci scambiamo messaggi di vita quotidiana, è più un far capire che ci siamo”. Su Pietro Taricone. “Con Pietro c’è sempre stato un rapporto di enorme rispetto, io sono rimasto molto colpito dal suo modo di parlare di me. Quando fui eliminato dalla casa, tutti avevano gli occhi puntati su Marina che piangeva e le altre ragazze della casa che erano triste. Io però non avevo notato che il più triste di tutti era Pietro. Gli autori del GF mi han fatto vedere delle immagini in cui Pietro andava in giardino e mi chiamava. Lui è stata la prima persona che poi è andata in confessionale a parlare di me e a farmi gli auguri per il mio compleanno. Una volta mi disse: siamo come due cervi nello stesso branco, ci scorniamo ma ci rispettiamo. Lui aveva visto in me l’antagonista, perché a lui piaceva lo scontro, però una volta usciti la notorietà non ci ha permesso di ritrovarci e sentirci spesso. Finchè un giorno non abbiamo deciso di rivederci tutti e abbiamo organizzato una cena di nascosto. Eravamo in 6-7. Pietro ci teneva molto ad esserci e abbiamo passato una giornata splendida. Poi a fine serata mi ricordo che Pietro mi ha dato un passaggio in albergo con la sua Smart e da lì abbiamo fatto un giro per la città. Un po’ brilli ci siamo per la prima volta confrontati e raccontati, fuori da quello che ci stava succedendo, dalle maschere che la tv ci aveva messo addosso. Pietro era una persona molto insicura e combatteva la sua insicurezza con lo studio, la preparazione e il suo modo di fare. Era una persona fragile, ma con una forza dentro che gli permetteva di combattere questa fragilità dimostrandosi forte. E’ riuscito ad arrivare al cuore delle persone con la sua semplicità”. Riguardo la sua malattia. “Ho avuto un tumore. Oggi sto benissimo, sono stato fortunatissimo. Non ho raccontato spesso pubblicamente la mia storia. Voglio ringraziare mia moglie e con questa intervista voglio anche cercare di promuovere la prevenzione. Al giorno d’oggi tutto si può curare, la forza mentale, i progressi della medicina e la prevenzione possono aiutare a curare qualsiasi cosa. Io sono stato fortunato perché, grazie all’attenzione di mia moglie alla prevenzione, ho fatto tutte le visite possibili. Io ho un tatuaggio che ha 15 anni. Questo tatuaggio nel 2017 mi si è infiammato. Io ho pensato: sarà il sole. Mia moglie invece mi ha detto di andare dal dermatologo. Il dermatologo mi ha fatto una biopsia e mi ha detto che probabilmente il corpo umano aveva creato una forma di reazione allergica a degli inchiostri dell’epoca, ma non ha escluso la possibilità di una sarcoidosi. Mi ha mandato dalla pneumologa che mi ha fatto gli esami e mi ha detto: non ho trovato nulla ma per sicurezza ogni 6 mesi facciamo nuovi esami. Una mattina, dopo aver fatto un test, la pneumologa mi ha comunicato che casualmente il tecnico della tac aveva aperto l’immagine e aveva trovato una macchia sul mio rene destro. La pneumologa allora ha passato il mio caso a una fondazione di oncologia specializzata in reni. Dopo aver fatto le analisi, mi hanno detto che era un tumore maligno e bisognava operare togliendo il rene. Ho fatto l’operazione con un oncologo bravissimo di Padova, che ha deciso di operarmi con il Da Vinci per non togliermi il rene. Questo ha permesso di pulire il rene senza toglierlo. Poi mi ha detto che era un carcinoma maligno ma che era fiducioso. Alla vigilia di Natale mi ha chiamato e mi ha detto che il tumore era a bassa aggressività e che grazie al fatto che era stato trattato allo stato iniziale, potevo considerarmi guarito”.
· Lorenzo Cherubini: Jovanotti.
Ray Banhoff per themillennial.it l'8 maggio 2020. Percularlo per ore, fargli le pernacchie quando passa, giocare con lui a carte o a nascondino e barare per farlo perdere e umiliarlo. Questo mi ispira la visione di Jovanotti in bicicletta in Cile o dove cazzo è. Attualmente su Raiplay si può assistere al suo viaggio in Sudamerica. Fermo Lorenzo non può stare e nemmeno il suo conto corrente, quindi la Rai ha ben pensato di fargli fare un viaggio epico. Un uomo da solo in bici in Cile. Si chiama Non voglio cambiare pianeta e lo pagano con i nostri soldi. Ma va bene, c’è sicuramente di peggio.
La trama di Non voglio cambiare Pianeta. Ma cosa è sto programma? Una roba tipo flusso di coscienza del tuo maestro di tarocchi e yoga preso strabene che svalvola per ore e ore mentre pedala. In salita sulla Panamericana parla di Terzani, di Pantani, urla “buongiooooornoooo”, “buenos diaaaaaas”. Parla tutto il tempo e devo stare attento perché mi tira fuori il bullismo e non voglio mettere in giro un brutto karma. Non voglio essere gratuito. Non voglio parlare male di Jovanotti. Non sono Scanzi. Voglio solo fare una riflessione. Come essere umano gli voglio pure bene a Lorenzo, ma penso sia lecito analizzarlo. Mi spinge a chiedermi: ma come mai mi fa salire la bestia, questo qui? Perché è brutto provare certe cose. Ripeto non scrivo su The Vision e quindi non sono uno che se la tira e parla male a priori, ma Cristo, con tutta l’autoanalisi del mondo: Jovanotti mi fa bestemmiare in aramaico.
Dopo tutto, chi è Jovanotti? Jovanotti è una figura centrale del mondo culturale italiano. Provo costantemente a fidarmi dei consigli di magazine, amici, intellettuali che lo incensano come “il numero uno, un genio”. Quindi boh, metto su un pezzo o un suo video… Ma poi non ce la faccio mai, non riesco a prenderlo sul serio, a vederlo come qualcosa di genuino. Per me Jovanotti è come Renzi, qualcuno che recita una parte. Mi rendo conto che lui stesso crede alla versione di sé che vuole proporre al mondo. Questo mi irrita di lui, che si vede che ci crede. Altrimenti lo rispetterei. Tutta l’arte può essere una grande truffa messa in piedi per permettere agli artisti e chi gli stanno dietro di fare soldi, godersi la vita e fottersene di quei disgraziati incasinati che li elevano a idoli. È giusto così. Ma Jovanotti non è un artista, è un progetto di marketing perfetto, una roba completamente creata a tavolino.
I versi di Jovanotti sono come frasi dei biscotti della fortuna. Lorenzo Cherubini è il figlio di un mercato che lo tiene in piedi e lo usa come distillato spirituale per persone che hanno bisogno di sentirsi dire esattamente quella cosa che lui gli canta. Lorenzo è come le frasi nei biscotti della fortuna: talmente generiche e ovvie che sono perfette per tutti. Per scrivere queste poche righe mi sto ascoltando la sua musica in modalità anonima su Spotify perché non voglio che i miei contatti sappiano che lo ascolto. Mi vergognerei. Jova mi fa vergognare. Il deserto culturale nell’arte italiana è talmente in secca che Jova ha investito il mercato. Ci sono lui, Saviano… e basta. Parlo di idoli culturali pop. Roba che conosce anche mi’ madre. Quindi è un artista o lo strumento dell’industria dell’intrattenimento che lo svuota come una carcassa per continuare a vendere aria fritta a tutti i mangiatori di tofu e acquirenti di incensi (come me, oltretutto)?
Se Jovanotti proponesse mutande con la sua faccia venderebbe uguale. Non voglio parlare in questa sede della sua musica perché credo sia ridicolo anche il discorso di affrontare quello che fa come un prodotto intenzionale. Forse glielo fanno credere, gli dicono: siii, il disco è una bombaaaa. Ma la verità è che se vendesse mutande con la sua faccia venderebbe uguale. Ormai è un brand. La musica è lo strumento che usa per vendere il prodotto vero: lui. Il guru. L’uomo gentile che ti comprende. Il colto che tutte vorrebbero come suocero, cognato, marito, amante, fratello, babbo. Vegetariano spirituale colorato vestito bene bellino con la barbina la musichina i quadri la figaggine la magrezza le collanine i vestiti stilosi il presobenismo perenne il tono da guru motivazionale il buonismo l’ambientalismo Greta Terzani Mandela Obama new age l’aspetto da tizio adatto a posare per riviste di moda. È un’accozzaglia di tutti i luoghi comuni dell’universo culturale di sinistra. Lo hanno eletto a guru. Sposa la gente ai suoi concerti. Sposa. La gente. Ai suoi concerti. Lo hanno fatto posare per Nan Golding in quella che è stata la prima cover di una magazine nella vita di quella grande artista. Sorpresa? La foto fa cagare. È vuota, non c’è niente. C’è chi ipotizza che l’abbia scattata un assistente. Io sostengo che la colpa sia del soggetto. Secondo me anche Lorenzo è vittima di questo meccanismo. Nessuno lo critica mai, nessuno gli dice: sto disco fa cagare. Crozza ormai è considerato innocuo, ma la sua caricatura di Lorenzo è spietata. Il migliore come al solito fu Checco Zalone, che lo prese in giro sul palco, cantando una parodia jovanottiana che trovate su YouTube. Lorenzo ride ma è incredulo, come se qualcosa dentro di lui scattasse, come se per un attimo realizzasse: allora è anche così che la pensa la gente? Sì Lorenzo, alcuni la pensano così.
Dicono che è vero che quando si muore poi non ci si vede più/ Dicono che è vero che ogni grande amore/ Naufraga la sera davanti alla tv/ Dicono che è vero che ad ogni speranza corrisponde stessa quantità di delusione/ Dicono che è vero sì, ma anche fosse vero, non sarebbe giustificazione. Lorenzo Cherubini
Malcom Pagani per vanityfair.it il 29 aprile 2020. L’uomo chiamato cavallo non cerca scuse. Viene dall’Italia. Ha una bandierina tricolore a poppa e l’infinito a prua. Trotta e sbuffa, arranca e pedala. Incontra lama, balene, foche e militari. Supera le frontiere. Osserva saline estese come ghiacciai e cespugli trascinati dal vento. Suda. Si ustiona. Dubita. Decide. Orienta la mappa dell’immaginazione sull’unica rotta che conosce: la libertà. Punta la sveglia all’alba e avanza fino al tramonto. E’ solo per migliaia di chilometri dagli Appennini alle Ande. E pensa. «Si pensa alla vita quando si viaggia» dice Lorenzo Jovanotti su un letto di fortuna davanti all’Oceano Pacifico: «Ma non sono mica un letterato, vado in bicicletta, canto le canzoni e ogni volta dopo la fatica piove la magia. Ti fai un gran culo, ma vieni ripagato». Mentre il mondo stava per chiudersi a chiave, Lorenzo lo attraversava libero. Come un animale. Per 4000 chilometri. Da Isla Damas fino alle vette in cui il pensiero si confonde, l’aria manca e respirare è un esercizio fideista. In pianura, nella giungla, tra palme, laghi e piante di tabacco e a 5.000 metri dove Marte non sembra più così lontana. Tenendo l’esistenza intera in una bici. Pasteggiando sui marciapiedi. Sdraiandosi sulle pietre per sognare ad occhi aperti. Dormendo in stanze improvvisate o in tenda. Con otto ore di sonno e quindici di silenzio. Ristabilendo le proporzioni. Scoprendo lo stupore del vento già esplorato da Attilio Bertolucci. Trovando ispirazione dalla bellezza. Nelle parole. Nella poesia di Pablo Neruda, Mariangela Gualtieri, Bukowski, Hugo Pratt, Pierluigi Cappello e Jorge Andrade. Consapevole che le conclusioni non servono a niente. È solo essere sulla strada, come un Kerouac qualunque, fuori tempo e fuori latitudine, senza più misura, giorni e orizzonti certi, a contare davvero. Conta perdersi. Conta abbandonarsi. Conta arricchirsi di una moneta senza conio. La Panamericana, San Pedro de Atacama, Jujuy. Il Cile, l’Argentina, Salta. La Bolivia e la Colombia a portata di binocolo e l’altra parte della luna sotto i piedi. Con i ricordi a fondersi con le visioni. Con i viandanti che sono sulla sella da un anno e mezzo e ai mutamenti, come in quella vecchia canzone, si adattano senza pretendere di stravolgere il flusso delle stagioni. Con ciò che ci precede e ci sopravviverà. Sotto il cielo che ci fa sentire piccoli. Con la nostalgia. Con Teresa. Con Francesca: «Perché in certe occasioni avere persone che ti amano ti salva il culo». Con immanente e trascendente. Leggerezza e filosofia. Ridendo e cantando nel nulla, attraverso le onomatopee delle città (Taltal, Antofagasta, praticamente una canzone di Paolo Conte), sotto la pioggia e sotto il sole. Grato alla vita, come Violeta Parra. Mangiando uova da un tegame, banane e panetti di burro. Depredando panini dai buffet di alberghi ancora dormienti e riempendosi le tasche. Mettendosi in marcia all’alba, come i ladri. Perché c’è tanto da rubare e poco tempo- l’abbiamo capito- da perdere. Trattando con poliziotti cattivi e doganieri buoni. Dando le spalle all’inquietudine e ai cactus «che sembra ti facciano il dito medio». Dividendo un breve ma intenso tratto di avventura con Augusto, il sosia di Serse Cosmi, l’amico romagnolo che del sangue che impasta la terra, del grasso delle catene e dell’assemblaggio di una bicicletta è maestro. E mentre la ruota gira, a Lorenzo passano accanto il Tropico del Capricorno e la Pampa. I pinguini e le allucinazioni. I santuari improvvisati. I paesi semiabbandonati. Le proteste contro i politici dipinte su un muro sbreccato dal vento e i mercati in cui tutto si vende perché non esiste più niente, neanche la speranza, da barattare. Una volta, quando era ragazzo, acquistava dai banchetti jeans usati e sverniciava mobili per avere mille lire in tasca. Adesso, a 53 anni, ha capito che la solitudine è una maniera di portare alla luce quello che non riusciamo a confessarci e l’unica economia possibile è mettere in banca il segreto dell’ispirazione. Per alimentarla, Lorenzo dimentica i numeri. Tira i dadi. Parte. Gamba, destra, Gamba sinistra. La catena delle bicicletta lo scioglie lentamente da ogni vincolo. Gli fa visita la memoria. «Con una bici, da bambino, potevo andare in capo al mondo» dice ed effettivamente, là dove il mondo finisce e il vagabondaggio dà forma ai sogni, Lorenzo va. Riflette sulla sua esperienza: «Questa cosa somiglia alla musica, è come esser dentro una cosa, immergersi completamente e al tempo stesso osservarla». Parla da solo: «Io lo so che non sono solo anche quando sono solo». Parla con uomini e donne che gli ricordano sua madre e suo padre in città minerarie che sembrano tratte da una pagina di Soriano: «Il mì Mario che i comunisti non poteva vederli, ma erano al tempo stesso i suoi migliori amici». Scherza con la GoPro, il suo Wilson da Cast Away, la via di fuga per sfogarsi, imprimere i pensieri, non smettere di giocare: «Dove sei?» gioca con la barba sempre più lunga e i capelli smarriti in un nodo gordiano, in un roveto, in un groviglio inestricabile «In culo al mondo, ma il mondo, va detto, ha un gran bel culo da guardare». C’è tutto Lorenzo in questo periplo. Mentre inizia Sanremo, lui da ballerino che aspetta su una gamba lo spuntare del sole, intona altre note. «Avevo voglia di chiudere la saracinesca». L’ha fatto. Sei mesi fa faceva ballare l’Italia su una spiaggia. Oggi parla con i cani e mette gli occhi «sul negativo fotografico di quella storia». Entra ed esce da sé per ritrovarsi e innaffiare la meraviglia. Da Pirata, da corsaro come il suo amico Pantani o come l’altro bucaniere che gli aveva scritto tanti anni fa, Tiziano Terzani, che certo «è un peccato aver perso quella sua vecchia mail» ma ci sono cose, a iniziare dai decenni non trascorsi invano, che neanche i mancati trasferimenti cancellano del tutto. C’è di più nel secondo tempo. Molto di più.
· Lory Del Santo.
Dagospia il 4 novembre 2020. Da “Un giorno da Pecora – Radio1”. Lory Del Santo e quell'invito a cena di Donald Trump. La showgirl, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, oggi ha raccontato di quella volta in cui, nella Trump Tower di New York, si ritrovò in ascensore con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Una storia che, ad ascoltarla proprio oggi, col mondo in attesa di conoscere il nome del vincitore delle elezioni americane, ha dell'incredibile. Una storia che risale ad anni fa, quando Lory Del Santo abitava nello stesso grattacielo del tycoon.
“Vivevo nel suo stesso palazzo e di solito c'era un ascensorista che ti portava direttamente nel tuo appartamento. Non avevi bisogno nemmeno di premere il bottone per arrivare del tuo piano. Una volta però vado in ascensore e questa persona non c'è, e in quel momento entra Donald Trump, ai tempi già famosissimo”.
Lei come ha reagito?
“Io sono entrata in confusione, non mi pareva possibile aver incontrato così Trump e mi sono dimenticata di premere il bottone per arrivare il mio appartamento. Così lui mi ha anticipato e ha premuto quello per andare a casa sua”.
E poi cosa è successo?
“L'ascensore è arrivato all'ultimo piano, e Trump mi ha detto: "signorina, dove sta andando? Questo è l'ultimo piano, o scende qui o non ho capito dove debba andare". Io gli ho chiesto scusa, abbiamo iniziato a parlare e mi ha chiesto se volevo visitare casa sua”.
Lei ha accettato?
“Certo, ha una casa stupenda, con vista su Central Park. Però non ci ha provato, assolutamente, mi ha chiesto solo il mio telefono. E, il giorno dopo, mi ha chiamato”.
Per dirle cosa?
“Se volevo fare un giro con lui in città, con la sua limousine. Ma io ero a casa con degli operai e non potevo andare. Così è venuto lui da me”.
A casa sua, con gli operai?
“Si, è arrivato e gli operai non lo hanno riconosciuto, lo hanno scambiato per mio marito e gli hanno chiesto il suo parere su come stavano andando i lavori”.
Come ha risposto Trump?
“Gli ha fatto i complimenti per l'ottimo lavoro. Poi però mi ha chiesto cosa pensavo delle sue ex donne e mi ha invitato a cena. E io ho accettato....”, ha raccontato la Del Santo a Un Giorno da Pecora. Tornando all'attualità, ovvio che lei preferisca vinca Trump e non Biden? “Biden non si ricorda nemmeno chi è l'altro, lo scambia per Bush. Io preferisco Trump, mi piace, è brillante, sa cantare, sa ballare...”
Da "liberoquotidiano.it" il 29 ottobre 2020. "Amedeo Goria ci ha provato con me, mi ha detto cose intime". La rivelazione arriva da Lory Del Santo, ospite a Pomeriggio Cinque nel salotto di Barbara D'Urso, allibita per le dichiarazioni della showgirl. Nello spazio del programma dedicato al gossip, si è tornati a parlare del Grande Fratello Vip e del rapporto tra la concorrente Guenda Goria e i genitori Maria Teresa Ruta e Amedeo. In studio, tra gli ospiti c'era anche la Del Santo. Tutto è partito da un filmato in cui Guenda, nella casa, confida alla madre che il padre potrebbe ancora essere innamorato di lei. Subito dopo la clip, lo scoop: "Anni fa, Amedeo Goria ci provò con me due volte, una a Roma e una a Milano. Io ho rifiutato perché aveva delle tecniche di approccio troppo avanzate per me... Mi disse che aveva delle doti nascoste, molto nascoste. Ma io non ho verificato". A questo punto, la padrona di casa è stata costretta a fermarla: "Non ho capito e non voglio capire". Alla fine, però, la conduttrice ha chiesto alla showgirl in studio se questo presunto corteggiamento fosse avvenuto primo o dopo il divorzio con Maria Teresa Ruta. Ma la risposta è stata evasiva: "Non ricordo...".
Dagospia il 24 ottobre 2020. Da I Lunatici Radio2.Lory Del Santo è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte da mezzanotte alle sei del mattino. Lory Del Santo ha raccontato come sta passando questo periodo: "Sto bene, ho fatto tutti i test, sono negativi. Dicono sempre che nella vita bisogna essere positivi per andare avanti, in questo caso è vero il contrario. Comunque, battute a parte, va tutto bene. Io rispetto le regole, ma non mi informo molto sulla situazione. Sono una solitaria, scelgo di frequentare poche persone, sono tranquilla, ma dal punto di vista economico si soffre tantissimo. Vedo il baratro. Se prima non si cade, comunque, è inutile allarmarsi. Sto pensando di ritirarmi, avevo pensato di andare in pensione, non si sa mai qual è l'età giusta per andare in pensione per i lavoratori dello spettacolo. Medito il ritiro, però quando mi chiamano non resisto. Lavorare per me è come una droga". Sui miliardari che una volta finita la loro relazione con una ragazza chiedono indietro i regali o i soldi che hanno speso per loro: "E' successo anche a me. Possono fare causa solo se hanno fatto un prestito e c'è un contratto dove si indica chi ha ricevuto dei soldi. Altrimenti i regali indietro non si chiedono. E' capitato anche a me. Un fidanzato mi aveva fatto un sacco di regali, a un certo punto ha detto che sono stata con lui solo per interessi e mi ha richiesto indietro tutto. Io sono stata così ingenua che gli ho ridato tutto. Tornassi indietro, non lo rifarei. Un uomo di una certa età come può far breccia su una giovincella molto appariscente? Il regalo è la via più breve per arrivare a ciò che si desidera, non si restituisce nulla. Un uomo provò proprio a comprami. Erano gli anni '90, una persona mi offrì 10 milioni al mese per fare la sua fidanzata. Io ho sempre lottato per avere qualcosa, nessuno mi ha mai davvero aiutato. Ci ho riflettuto, ma non ci sono riuscita. Non mi piaceva fisicamente, non mi ispirava intellettualmente. Oggi mi corteggiano tantissimi uomini giovani, tra i 25 e i 35 anni. Anche sono fidanzata, la schiera non diminuisce. Credo sia una questione di carattere, ispiro fiducia, sensualità e poi sono molto protettiva, metto le persone a loro agio". Lory Del Santo, poi, ha raccontato di aver subito una violenza: "Mi sono tenuta dentro questo segreto. Non ho denunciato perché avevo paura di subire vendette e ritorsioni. Non dico che è sbagliato denunciare, ci mancherebbe altro. Ma quando è capitato a me, ho preferito chiudermi tutto dentro, per paura di vendette. Per fortuna sono riuscita a fuggire sana e salva, anche se avevo la faccia gonfia. Bisogna denunciare quando si subiscono certe cose, io non ce l'ho fatta. Ogni caso ha la sua particolarità, non si può generalizzare. Questa persona era amico di una mia amica. Ci eravamo conosciuti al ristorante, si rideva, si scherzava, tu pensi sempre che se una persona ti viene presentata da qualcuno che conosci sia una persona perbene. Lui mi disse che aveva dimenticato una cosa in hotel e mi invitò a salire. Io dissi di no, ma poi ha insistito. Mi ha pregato di accompagnarlo, mi ha detto che doveva prendere una cosa e fare una telefonata, mi ha detto che non voleva farmi aspettare, che poi saremmo andati a cena, che avremmo raggiunto i nostri amici. Ho sbagliato, non dovevo andare in quella stanza, mi sono fidata. Sembrava una persona carina, educata, mi è stata presentata da una amica. Mi sono fidata anche perché mi sentivo più sicura, pensando che mi trovavo in un albergo. L'incubo è durato tutta la notte, questa persona era pazza, mi ha picchiato, abusato, poi mi ha fatto fare il bagno con i petali di rose. Ho pensato che a un certo punto si sarebbe addormentato, così è stato. Appena ho visto che dormiva sono scappata. Lui se ne è accorto, mi ha rincorso, ma io sono scappata via verso l'uscita. Ho subito una violenza fisica e psicologica. I petali di rose, il profumo nell'acqua, era un pazzo: Immaginavo di scendere e trovarmelo davanti come nei film. Una volta uscita dall'albergo, invece, mi sono sentita libera. E' stata una cosa strana, era l'alba, ho deciso di non denunciare, di dimenticare". Sul momento che stanno vivendo le donne: "Adesso secondo me siamo arrivate alla parità dei sessi, ma ci sono tante donne che usano il loro potere in maniera negativa verso gli uomini. Li trattano in un modo che non mi piace. Li usano e li gettano. Si sono rovesciati i ruoli. Non m piace come cosa. Bisogna sempre essere rispettosi verso il genere umano".
Dagospia il 5 giugno 2020. Da I Lunatici Radio2. Lory Del Santo è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino dal lunedì al venerdì notte.
La Del Santo ha raccontato: "Di notte vengo spessa assalita dagli incubi. Rivivo tutti i momenti traumatici che ho passato. Credo che di notte abbiamo una vita parallela, una sorta di altro strato dell'esistenza. Per questo preferisco restare sveglia. Ho avuto per tanto tempo l'incubo ogni notte di essere derubata, ad esempio. E nella vita mi è accaduto, mi ha derubata la mia donna di servizio. Mi derubava sempre con molta calma, mi ha fatto venire un tale incubo che ogni notte per un anno e mezzo mi svegliavo pensandoci. Recentemente mi è passato questo incubo. E' stato un dramma. Mi stava molto simpatica, le volevo anche bene, le facevo molti regali. Credo purtroppo che rubare sia insito nella natura. Mi ha rubato soldi, usava le mie carte di credito, faceva sparire le cose che portavo in lavanderia, da casa mia sparivano molte cose. Era bugiarda, ha fatto sparire addirittura un ferro da stiro. Avevo un appartamento in cui ospitavo persone, lei lo ha usato per farci dormire un uomo, illegale, a mia insaputa. Andava a fare la spesa, comprava cose praticamente solo per lui. Gliele cucinava e gliele portava. Lei era filippina. Ma ne ho avuto anche una italiana che mi ha fatto causa accusandomi di averle fatto venire una brutta malattia per colpa degli insulti che le rivolgevo. Voleva duecentomila euro, per fortuna il giudice mi ha dato ragione. Io le ho passate tutte, potrei trattenervi per tutta la notte con questi racconti".
Sul lockdown: "Questi mesi li ho vissuti preparando un trasloco, ho cambiato casa con grande dispiacere, abitavo lì a Milano da molti anni, mi sono trasferita in una casa più piccola, ho dovuto pianificare il restringimento di tutti i miei averi. Da quattro armadi sono passata ad uno. Ho regalato tante cose, la palestra l'ho regalata a Giacomo Urtis, avevo lo step, la bicicletta, diverse cose. Bisogna regalare, a me non piace buttare. Regalare a chi è contento di avere certe cose ed io di persone felici ne ho trovate molte. Le mie scarpe? Alcuni feticisti mi scrivono che vorrebbero comprarle usate. Io ho sempre usato tacchi chilometri. C'è un sacco di gente fissata con i piedi, ma io le mie scarpe cerco di piazzarle a donne con il mio stesso numero, ma devono essere abbastanza giovani, perché io per un certo periodo non andavo neanche al bagno senza tacchi. Secondo me quella dei feticisti magari è anche un'invenzione che usano per attrarre l'attenzione".
Sull'amore: "Un uomo a cui ho detto no e poi me sono pentita? Donald Trump! Mi è dispiaciuto poi, tornassi indietro avrei voluto fare un esperimento. Ci penso ogni tanto, ma perché gli ho detto no? Ad un certo punto se uno ti corteggia è perché gli piaci, quindi devi decidere, un corteggiamento non può essere troppo lungo. Trump sa corteggiare, è bravo, tutti gli uomini quando sono ricchi ti dicono vieni da me, lui invece è generoso in questo, ti raggiunge. Molti uomini danno direttamente appuntamento in una stanza da letto, Trump invece è uno che per ottenere si concede. Gli ho detto di no perché in quel periodo stavo chiudendo una storia e non ero liberissima. Io non tradisco. E invece a volte bisogna anche tradire per sperimentare. Ma io non sono capace. Tradimenti subiti? Certo che ce ne sono stati. Ma a me non piace soffrire. Ho pianto tanto per amore, fiumi di lacrime, ma quando ti accorgi che le lacrime sono sprecate, smetti di piangere".
Dagospia il 19 febbraio 2020. Da I Lunatici Radio2. Lory Del Santo è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La Del Santo ha detto la sua su Achille Lauro: "Lo conosco, mi è capitato di incontrarlo in una trasmissione a Napoli. Abbiamo fatto amicizia, ci eravamo promessi di rivederci. Già all'epoca, anche se non era ancora affermato come oggi, era interessante. Ci sta mettendo dello stile, questo per me è importante. Serve creare in chi ti ascolta un immaginario, soprattutto se non hai una voce incredibile. Ha un'immagine prepotente, approvo assolutamente quello che ha fatto. Approvo il suo look anche perché a Sanremo ho visto tanti vestiti sbagliati. Anche le donne hanno smesso di osare. A parte Elodie. Achille Lauro è stato l'unica stella che ha brillato". Lory Del Santo, poi, ha raccontato: "Io ho conosciuto David Bowie a New York. Era molto interessante. Non mi sono neanche fatta la foto con lui, anche se avevo la macchinetta in borsa, solo perché c'era anche Eric Clapton. Eravamo in una Limousine io, Eric, Bowie e una ragazza di playboy. Fu un incontro incredibile, David era un oratore affascinante, pazzesco. Non ho potuto approfondire la conoscenza perché ero impegnata. Cercava di convincere Eric di fare l'attore, ma lui non voleva saperne. C'era un'alchimia tra di noi credo. Amavo il suo modo di parlare, la sua apertura all'arte nel senso proprio del termine. Mi aveva conquistato". Poi sulle donne: "Per arrivare a una parità c'è ancora molto da fare, spero nella prossima generazione. Ancora oggi ci sono troppi uomini che pensano di avere il possesso della donna. Soprattutto sulle mogli o sulle fidanzate. Prima o poi questa mentalità arretrata si eliminerà. La cultura del possesso va abolita. Bisogna smetterla di dire sei mia o sei mia per sempre. Il per sempre non esiste. Si sta insieme, si condivide, ma non si deve considerare una persona come una proprietà".
· Luca Argentero.
Anticipazione da Oggi il 28 ottobre 2020. Il settimanale OGGI, in edicola da domani, dedica la copertina a Luca Argentero, protagonista della fortunata serie “Doc – Nelle tue mani” di Rai 1, per il cui successo qualcuno ha scomodato persino Montalbano. Dice Argentero a OGGI: «Non credo esistano paragoni possibili con un personaggio come Montalbano. Ma siamo felici di aver iniziato bene con questa storia e che le persone si siano affezionate». Su OGGI le foto esclusive dell’attore con la compagna Cristina Marino e la loro bimba, Nina Speranza. E qualche rivelazione sulla vita domestica dell’ex concorrente del «Grande fratello»: «Sono bravo con le faccende domestiche… Non sono uno chef e non diventerò un maestro pasticciere, ma mi piace cucinare e prendermi cura della mia casa e della mia famiglia. Cucino quando ho il tempo per farlo, di solito quando sono in campagna. Non preparo ricette speciali. I piatti del cuore li ritrovo a casa di mamma. Io e Cristina cerchiamo di mangiare in modo semplice: una buona pasta e tante verdure. E sicuramente nostra figlia respirerà queste abitudini».
· Luca Barbareschi.
Giulio De Santis per roma.corriere.it il 13 novembre 2020. «È andata bene»: sono state le prime parole pronunciate da Luca Barbareschi, assai emozionato, una volta ascoltata la decisione del gup Chiara Gallo che l’ha prosciolto dall’accusa di essersi approfittato del dissesto finanziario della precedente proprietà del Teatro Eliseo per entrare in possesso delle loro poltrone e condizionatori dal valore stimato di 813 mila euro. «Perché il fatto non sussiste» è stata la formula cui è ieri ricorso il gup per spiegare il proscioglimento del direttore artistico dell’Eliseo, difeso dall’avvocato Paola Balducci. La vicenda risale al marzo del 2016. La contestazione formulata dalla Procura era violazione della legge fallimentare. «Non avevo dubbi sull’esito del procedimento, sono soddisfatto», ha detto Barbareschi con gli occhi lucidi e un sorriso raggiante. La tensione accumulata l’ha sfogata tra i corridoi del Tribunale per lanciare un appello a favore del Teatro Eliseo: «Vorrei che ora si capisse la grande difficoltà di gestire questo teatro simbolo della Capitale. Stimolo il ministro della cultura Dario Enrico Franceschini a rivedere il meccanismo delle sovvenzioni. L’Eliseo, infatti, fa parte del Tric, cioè è un teatro di rilevanza italiana culturale. Eppure non prende soldi dal Comune, non prende soldi dalla Provincia e gli vengono versate due lire dalla Regione. Gli altri teatri, come l’Opera e l’Argentina, ricevono dieci volte le sovvenzioni ottenute dell’Eliseo. I miei dipendenti hanno ricevuto solo un mese di cassa integrazione. Noi facciamo tutto da soli. Ma io credo nell’Eliseo, altrimenti non l’avrei acquistato». Proprio le difficoltà affrontate nella gestione del teatro hanno determinato la prima iscrizione dell’attore-imprenditore nel registro degli indagati. La Procura gli ha contestato il traffico d’influenze per ottenere quattro milioni di fondi dalla Finanziaria del 2017, reato per il quale Barbareschi è stato rinviato a giudizio a novembre del 2019: in questo caso il proprietario dell’Eliseo è sotto processo.
Luca Telese per “la Verità” il 29 giugno 2020.
Barbareschi, come hai vissuto il lockdown?
«Per me è stata una stagione fortunata. Per il Paese, invece, una catastrofe su cui ho diversi dubbi».
Cominciamo dalla prima affermazione, che è stupefacente.
«Il periodo, per me che sono ebreo, ha coinciso con due festività importanti».
Quali?
«È iniziato poco prima della Pasqua ebraica, e si è chiuso con i 49 giorni dell'Omer. Da tanti anni, ormai, li passo a studiare sul Talmud».
E quindi?
«Per noi non è causale che sia successo in questo periodo».
In che senso?
«Anche se Giuseppe Conte ha sostenuto che la Pasqua ebraica festeggi il ritorno in Egitto, per noi è l'esatto contrario, la fine della schiavitù».
E invece quando parli dei tuoi dubbi sul lockdown a cosa ti riferisci?
«Ai numeri che non tornano».
Quali?
«Quelli dei morti. Tu sai che sono un assoluto sostenitore della necessità dei vaccini, sai che credo alla scienza, che nulla è più lontano da me della dietrologia cospirativa, ma...».
Cosa?
«I numeri assoluti sul Covid non tornano con quelli della narrazione ufficiale: addirittura meno morti dello scorso anno, per influenza, e anche in numeri assoluti».
E quindi?
«Vuoi che te lo dica con una battuta? Il vero vincitore di questa pandemia sarà Big Pharma».
Le case farmaceutiche, intendi.
«È un fatto, e non c'è neanche nulla di malvagio. Ma il lockdown pare la più straordinaria campagna pubblicitaria della storia mai fatta a favore di un vaccino coatto».
Vuoi dire che sarà obbligatorio? (Sorride)
«Nel clima che si è instaurato mi pare molto difficile l'impresa di chi volesse dire: "Io non voglio vaccinarmi"».
Cosa non ti piace di come è stata gestita questa epidemia?
«Le scuole ancora chiuse. L'anima di una certa Italia un po' pantofolaia che si unisce nel coro struggente del "Restate a casa!"».
E la soluzione Barbareschi invece quale sarebbe?
«Modello israeliano».
Luca Barbareschi spiazza sempre. In un momento parla da attore, in un altro da produttore, prosegue come «padre di sei figli», si avvia all'atto maggiore come «intellettuale disincantato», chiude da impresario teatrale, ovviamente «disgustato» per quella che lui definisce «la scelta di far fallire il teatro Eliseo» nel tempo del Covid.
Ripartiamo dalla quarantena degli italiani.
«Mi ha fatto venire in mente una bellissima espressione del grande Karl Kraus, "il balbettio di un uomo ubriaco"».
Cioè? Chi sarebbe l'ubriaco?
«Eravamo tutti in una sorta di catalessi collettiva. Sei chiuso in una casa, devi pensare, devi fare i conti con te stesso. Qualcuno ha parlato di trauma collettivo. Di certo privato, se mi riferisco a me stesso».
Cioè?
«Essendo nell'autunno della mia vita, da ultrasessantaquattrenne, sapevo già che - se Dio mi benedice - ho ancora dieci anni di vita cosciente e attiva, prima della fine».
Non essere così pessimista.
(Ride) «Questa era la prospettiva ottimistica. Durante il lockdown, nella neolingua della virologia, ho scoperto di essere un anziano a rischio, e potenzialmente non intubabile».
La cosa sembra ti diverta: humour nero yiddish?
«No, semplice constatazione. C'è la morte senza il dramma, è una nuova consapevolezza: Zoom ci ha distrutto la vita».
Ah ah ah... adesso rido io. Non sei contento dello smart working?
«Siamo matti? È l'esperienza più simile alla schiavitù, con l'unica dissimulazione della scelta volontaria. Raffica di interviste, impegni, conversazioni, terrificanti "call" lavorative a due, a tre, a quattro, la connessione che fatalmente cade proprio nell'unico momento in cui dovrebbe tenere, e poi lui: il mostro!».
Zoom, la app?
«Chi se no? Stai finendo una riunione, che segue un'altra riunione, e ne precede una nuova. Quando capisci che tra 40 secondi inizia la nuova zoommata e non hai nemmeno il tempo di prendere il caffé, o andare in bagno, ti viene nostalgia irrefrenabile di quando ci si vedeva "in presenza" e ti godevi il lusso dei tempi morti».
Ma cosa hai combinato per zoommarti così tanto?
«Sono il primo che ha aperto, ben tre set dopo l'epidemia».
Dicono che non si possa fare più cinema.
«Si può, si può. Basta pagare la nuova tassa sul Covid».
Cioè?
«Una lauta assicurazione obbligatoria su tutto il set».
Che già c'era.
«Ma che con il Covid è diventata enormemente più alta. I premi sono quasi raddoppiati».
Quanto?
«Per una serie siamo arrivati a 200.000 euro».
E non la stipuleresti?
«Assolutamente, senza non si campa. Anzi, ne farei anche un'altra, oltre che sulla vita degli attori, sulla vita dei personaggi».
Scherzi?
«Affatto: prova a pensare a Dallas senza J.R., ovvero Larry Hagman. Oltre all'attore muore tutto il progetto».
Pirandelliano ma innegabile.
«Il vero costo non è la malattia ma l'interruzione di un set. Sulla lunga serialità l'assicurazione è sacra. Io voglio l'assicurazione sulla vita dell'attore e su quella, creativa, del personaggio».
Vedo che parli di possibili decessi senza tensioni liriche.
«La possibilità che ti muoia un attore è abbastanza marginale. Però si possono perpetrare altri misfatti».
Quali?
«Basta uno che va sul set senza mascherina e finisco in carcere. Ti pare possibile?».
Non credi al distanziamento sociale?
«Dal momento che vivo a Roma, e ora sono a Fregene, il punto è che non lo vedo. O meglio: constato che non esiste più, in certe spiagge-carnaio uno sull'altro, come ai bei tempi».
Al mare.
«Perché, altrove? Ma questi sono mai saliti su un autobus a Roma? O sulla Tuscolana quando c'è l'assalto alla metro?».
Quindi meglio la soluzione israeliana? Uscire fuori?
«Mio nonno, che aveva fatto la prima e la seconda guerra mondiale, diceva: "Alla fine, dalla trincea, qualcuno deve pure uscire". Come in un Un anno sull'altopiano, il capolavoro di Emilio Lussu, chi resta in trappola è comunque morto».
Cosa ha funzionato a Tel Aviv?
«È un modello cazzuto: ci si prende il rischio, con responsabilità, e si torna a vivere. Non è meglio della enorme pantofola italiana di cui sopra?».
Non pensi alla vite salvate?
«Ci hanno ridotto a dei fuchi obbedienti».
Molti lo fanno per paura.
«Incontro sempre più persone, sopratutto in America, che mi raccontano entusiasti, di essersi fatti trapiantare il chip sottocutaneo».
Dicono che salvi vite, sopratutto dagli infarti.
«Meglio salvarsi e diventare un big data? Per me no».
Così preoccupato per la privacy?
«Tutti questi dati sono condivisi, venduti: a me non piace».
Quindi più coraggio, meno distanziamento.
«Immagino questo modello: ma noto lo scarto della politica. Buonista ma senza morale. E sempre bugiarda. Fanno credere di essere mago Zurlì. Ma io, con i miei figli, sono più rispettoso di loro con i cittadini».
Addirittura?
«Sognavo di avere otto soldati, mi ritrovo otto anarchici».
Consigliamo un libro importante per questi tempi.
«Non sono ancora tradotti, ma io direi: Non nel nome di Dio, o Morality, del rabbino capo di Londra, Jonathan Sacks. Aggiungerei il nuovo film di Brizzi».
Qualcosa ti rattrista?
«Sono l'unico italiano che ha messo di tasca sua 6 milioni per ristrutturare due teatri. Ma l'Eliseo chiuderà nel silenzio della politica».
Volevi aiuti speciali?
«Gli stessi che hanno dato a 19 teatri "di rilevanza culturale" come il mio, che prendono 12 milioni. Io ricevo solo 400.000 euro, ci pago a malapena i pompieri, otto, che girano per il teatro».
Hai avuto solidarietà, però.
«Quella degli spettatori. Tutti i miei colleghi, invece, zitti e pavidi. Non hanno speso una sola parola per paura di contraddire Dario Franceschini».
Cosa ha fatto?
«Ha aperto la trattativa, però non l'ho mai visto».
Ti sta antipatico?
«Al contrario, mi sta simpaticissimo. Gli presentavo i libri da narratore, a Ferrara. Ma Beppe Sala mi ha detto: "Se a Milano chiudesse il Piccolo ci sarebbe la rivoluzione"».
Non hai più visto il ministro?
«Quando ho vinto il Leone di Venezia, è corso a farsi la foto. Poi non l'ho più visto».
Grande film: L'ufficiale e la spia. Cosa hai in cantiere?
«Sto preparando il prossimo Roman Polanski, il prossimo Emir Kusturica. Ma non dico una parola: segreti industriali».
Consegniamo un'ultima battuta per chiudere il sipario.
(Ride) «Eccola: "Voglio più di tutto vivere. Ma se per vivere devo morire, lo farò". Non è un gran bel finale?».
Da “Italiani Coraggiosi” il 12 maggio 2020.
Luca Barbareschi, qual è secondo lei una figura di italiano coraggioso della storia?
«Ho l'imbarazzo della scelta nel senso che, contrariamente alla narrazione terribile, cattocomunista e pietista che ci presenta come un paese di servi, invece siamo un Paese pieno di persone coraggiose e forti. Io dedicherei il primato a chi ha fatto la Prima Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale, a quelli che hanno combattuto, come mio padre e mio nonno e tutti i loro compagni di battaglia. Gente che usciva dalla trincea nella prima guerra mondiale, e alla fine l'hanno vinta, sarebbe una bella metafora per oggi, no? Invece di stare fermi in trincea ad aspettare, si esce come hanno fatto loro. […]»
Oggi chi è, secondo lei, un italiano coraggioso?
«Ma sono tutti i lavoratori che subiscono le fesserie, in questo momento, di un governo di incapaci terribili. Quelli dell’uno vale uno… E’ stata la dimostrazione che un analfabeta non può diventare un ministro di qualsiasi dicastero. […] Quando uno non si sente rappresentato, quando uno è su un pullman guidato da un cieco, ci vuole un grande coraggio per stare seduti e sperare che il pullman non vada in un burrone e rassicurare i propri figli ogni mattina. Gli italiani in questo momento sono molto coraggiosi anzi sono fin troppo pazienti secondo me».
E Barbareschi è un italiano coraggioso?
«Io sono un incosciente, più che coraggioso perché solo un sognatore poteva mettere sette milioni per comprare un teatro, anzi due teatri, e altri sette per rimetterlo a norma. Questo è un teatro che prendeva soldi dallo Stato quando era fuori norma, non appena io l'ho messo a norma lo Stato mi ha punito. Il ministro Franceschini, non appena ha saputo che ho comprato il teatro Eliseo, ha incominciato a farmi guerra, una guerra che dura da 4 anni. Io sono stato un sognatore, e lo sono tutt’ora, ho fatto una restituzione affettiva alla città con coraggio e ancora oggi ci credo, ci credono molti miei collaboratori che sono in telelavoro. Credo che questa sia la prova che lo Stato spesso è inutile, no? […] Se Franceschini farà morire l'Eliseo, andrà incriminato per genocidio culturale, sarà il responsabile della morte del luogo in cui Di Vittorio ha fatto nascere la CGIL, Pannunzio il pensiero liberale, Stravinskij ha diretto l'Uccello di Fuoco, De Chirico presentava i suoi quadri, Berlinguer ha fatto i suoi primi discorsi».
La chiusura potrebbe riguardare tanti luoghi di cultura, nei prossimi mesi.
«C'è una totale miopia, una totale non attenzione sul mondo della cultura, […] In Italia non c’è alcun progetto. Abbiamo un pensiero museale sulla cultura. Ci si fa le foto davanti al Colosseo, davanti ai monumenti cose fatte 2000 anni fa, per cui del tutto irrilevanti per la proattività di quello che può essere il pensiero culturale da qui ai prossimi 500 anni. Venezia progettò la cultura dei prossimi 500 anni invece noi ci facciamo fotografare, facciamo della pornografia comunicativa, facendo dei selfie davanti a dei monumenti che ci guardano, come diceva Tomasi da Lampedusa, come fantasmi muti. […] Dobbiamo ripartire dalla formazione e dalla cultura. Non facendo questo noi stiamo uccidendo definitivamente la narrazione del nostro paese che è fatta da un rapporto con i nostri grandi eroi della storia, dell'imprenditoria, dello sport».
Secondo lei le scuole devono riaprire subito?
«Guardi io ho una teoria molto coraggiosa. Io sono pronto, e lo dichiaro continuo a dirlo, a morire di coronavirus piuttosto che a vedere morire di fame i miei figli. Sono un soggetto a rischio, sto per compiere 64 anni, mi fa molto ridere, ma sono fra gli anziani da tutelare, anche se non mi sento anziano proprio per nulla. Ho voglia di combattere, come mio nonno che usciva dalla trincea nella prima guerra mondiale, rischiando di prendere i proiettili. Io sono pronto a ricominciare ad aprire tutto. Credo che i numeri veri di questa pandemia siano infinitamente inferiori a quelli di altre malattie. […] La possibilità che io muoia di coronavirus sono ancora inferiori a quelle di morire per incidente domestico. Sono molto più a rischio a casa, soprattutto alla mia età, ed essendo uno che notoriamente inciampa. […] Io sono per riaprire anche con una certa incoscienza, in certi casi. […] Io ho avuto un morto in casa, la mamma di mia moglie è morta, per cui non appartengo ai cospirazionisti che dicono <non c’è niente>. Ci sono dei rischi, però mettere in ginocchio l'economia, secondo me, fa parte di un piano molto raffinato che ci porterà ad essere solo più servi e più schiavi».
Lei ha lavorato con Roman Polanski di recente, tra l’altro su un film dedicato all’affaire Dreyfus. Parla, anche, di un uomo recluso ingiustamente. Anche gli italiani sono stati e in parte sono ancora reclusi ingiustamente?
«Gli italiani sono stati trattati come dei deficienti, cioè come persone incapaci di intendere e volere, sono stati presi in giro, vengono tutt'ora presi in giro. Ci raccontano che sono arrivati i soldi, che le banche stando dando i soldi. Io ho 300 dipendenti e non arriva nessuna cassa integrazione, le banche non danno i soldi perché rischiano una denuncia per frode perché il decreto, essendo stato scritto male, ha messo in difficoltà anche le banche. Dunque io non so come poter pagare i dipendente né lo stato li ha pagati. Adesso è arrivata questa fanciulla dall'Africa che c'è costata €4 milioni […] Appena è scesa dall'aereo di un volo privato ha dichiarato di essere islamica e che tornerà subito là. Quindi finanziamo i terroristi, come abbiamo fatto già in passato».
Da uomo di teatro, come valuta il modo in cui si è comportato il premier Conte? Si è voluto prendere un ruolo da protagonista…
«Sai, io posso fare anche Amleto però se non reggo il coturno, cioè non reggo bene il ruolo… Berlusconi me lo spiegò molto bene: se io lo mando in televisione o lo metto su una copertina per 100 volte di fila, chiunque è una star. Infatti diventarono star Columbro, Gerry Scotty, chiunque perché il popolo si affeziona. Io stesso sono diventato famoso non per aver tradotto Mamet, Shepard eccetera, ma per aver fatto "C'eravamo tanto amati". Non certo per i film, forse un po’ per le fiction, ma non certo per il teatro. […] "C'eravamo tanto amati" però non va rinnegato. Fu una cosa…Una cosa meravigliosa! Da "Cannibal Holocaust" fino Polanski tutto mi è servito a crescere. Per me dai film di Vanzina a Polanski non c'è differenza, da ognuno ho imparato qualcosa, soprattutto a non essere snob. Tornando a Conte, il problema più grosso è che abbiamo un premier che non è adatto, che non è capace. E’ uno che pensa che la Pasqua ebraica celebri il rientro in Egitto, Dio Abbia pietà di lui, che non sa quello che dice. E’ la fuga dall'Egitto, non ha visto neanche i film con il Mar Rosso che si apre…»
Fabio Rossi per “il Messaggero” il 7 febbraio 2020. «Il mio appello è questo: non votate perché siete eterodiretti da qualche logica. L'Eliseo non è un problema politico. Ognuno deve votare con la propria coscienza, per decidere se questo teatro deve morire o no».
Luca Barbareschi, dal 2015 direttore del Teatro Eliseo, lancia l'appello per la salvezza per la struttura di via Nazionale, appesa al Milleproroghe.
«Mi auguro che molte persone pensanti, e bastano due voti del Pd che si aggiungano a quelli del centrodestra, abbiano la coscienza di esprimersi per salvare un bene della società».
Teme un agguato politico?
«Il gruppo che lavora qui è altamente boicottato dal mondo dello spettacolo, perché è un mondo ideologico. Se fossimo organici al partito degli amici degli amici non ci sarebbe problema. Tanto è vero che questo teatro prendeva soldi quando era chiuso, fallito e senza agibilità da vent'anni, e ora che è stato tutto sistemato no».
I fondi assegnati negli anni passati non sono sufficienti?
«La macchina costa 5,6 milioni. Il primo anno della mia direzione non ci hanno dato fondi, il secondo anche, il terzo e quarto per fortuna hanno fatto una legge bipartisan, il quinto se la sono dimenticata, il sesto, se va così, falliamo».
E fino a oggi come ha fatto?
«Io ci ho messo 6 milioni per rifarlo. Poi l'ho comprato, ma non con i soldi del ministero come qualcuno scrive: 2 milioni li ho messi io, in contanti, e gli altri 5 arrivano dal finanziamento di un pool di banche. Non ho mai preso un euro per il mio lavoro qui, vivo di altri emolumenti».
Perché l'ha comprato?
«C'era un trucco di uno dei soci, legato a qualcuno del ministero e a qualche forza politica, che ha fatto questo ragionamento: Barbareschi l'abbiamo messo nel sacco, ha restaurato il teatro. Ora gli aumentiamo l'affitto, tagliamo i fondi e riportiamo l'Eliseo alla cordata degli amici nostri. Quando l'ho comprato, i detrattori sono impazziti».
Tornerebbe in politica?
«Domani. Sognerei di fare il sindaco di Roma anche se ne avrei molta paura, perché fare il sindaco è la cosa più faticosa, soprattutto in una città come la Capitale. Il problema a Roma è ricreare un senso di comunità. Come diceva Flaiano, è come una serie di villaggi in attesa di qualcosa che non accadrà mai».
Anche questo teatro potrebbe chiudere nella rassegnazione.
«Non penso che la gente scenderebbe in piazza per l'Eliseo. Accetterà con rassegnazione l'ennesima chiusura in questa città. Ma la politica deve vivere di lungimiranza».
Luca Barbareschi: "Violentato da un prete, non mi sono ribellato". Luca Barbareschi racconta a Peter Gomez di essere stato violentato da un prete e spiega: "Non ricordo di essermi mai ribellato". Luana Rosato, Lunedì 13/01/2020, su Il Giornale. Ospite di Peter Gomez a La Confessione, Luca Barbareschi è tornato a parlare di un triste episodio della sua infanzia che lo ha particolarmente segnato: la violenza sessuale subita da un prete. Già in una intervista a Verissimo, Barbareschi aveva rivelato di essere stato violentato da un prete quando aveva solo sette anni e di essere riuscito a perdonarlo proprio in età adulta, avendo con lui un confronto diretto. “Sono stato abusato per due anni da un sacerdote in collegio. Avevo sette anni e lui si è approfittato della mia condizione, ero contento delle sue attenzioni perché ero un bambino solo – raccontava anni fa alla Toffanin - . Qualche anno fa sono andato a trovarlo per perdonarlo. Lui sosteneva di non ricordarsi di nulla, ma io ho voluto fare questo gesto per rompere questa catena di errori e orrori. Il rancore non porta nulla, l’unica cosa che funziona è l’amore”. Nel salotto di Peter Gomez, quindi, Luca Barbareschi è tornato a parlare di questo momento buio della sua vita. “In quegli anni un bambino solo, con già delle voragini emotive, non poteva che attirare le attenzioni di chi ha delle malattie, perché la pedofilia è una malattia terribile – ha spiegato lui ai microfoni di Nove - . E devo dire che, quando uno è nella situazione di un bambino come me, è pericoloso perché cerchi affetto e attenzioni”. “Lui ha proprio abusato di me – ha continuato Barbareschi - .Sì, io sono stato violentato”. Ritornando a quei momenti, però, l’ospite de La Confessione ha ammesso di non essersi mai ribellato davanti a quegli abusi. “Violentato è una parola grossa perché non ricordo di essermi mai ribellato e questa è la cosa peggiore della pedofilia perché, chi è vittima di cose pedofile, si sente in colpa – ha concluso Luca Barbareschi - , pensi di essere stato tu ad aver creato quella situazione”. Come rivelato anni fa a Verissimo, poi, Barbareschi è riuscito a superare il trauma grazie alla moglie Elena e all'aiuto di uno psichiatra. "Per tutta la vita pensi di essere tu ad essere il colpevole, io l’ho pensato fino a 10 anni fa - aveva detto su Canale 5 - . Penso che vedrò il mio psichiatra tutta la vita, perchè non si guarisce mai dall’autodistruzione".
· Luca Bizzarri e Paolo Paolo Kessisoglu.
CANDIDA MORVILLO per il Corriere della Sera il 26 ottobre 2020. Luca Bizzarri è, con Paolo Kessisoglu la metà del duo Luca & Paolo. Insieme, sono stati Iene in tv e hanno fatto film e programmi di successo, e in proprio, Luca è presidente della Fondazione Palazzo Ducale di Genova e ha un milione e mezzo di follower su Twitter, collezionati randellando politici. Ora, non pago, debutta come romanziere, con un thriller, Disturbo della pubblica quiete , edito da Mondadori. L'indole è inquieta. In videochiamata, fa su e giù per casa e dice: «Ormai, ho capito che la mia vita è come in American Psycho quando pensi di avercela fatta e invece arrivi a una porta dove c'è scritto: questa non è un'uscita. Ecco, passi la vita cercando una porta che, se l'oltrepassi, sarai realizzato. Ma, se hai la fortuna o la bravura di arrivarci, ti accorgi che ce n'è un'altra e un'altra ancora e non c'è mai l'uscita. Non so se anche quando hai una famiglia o un figlio. Quella porta ancora mi manca».
Le manca perché non l'ha trovata o non l'ha cercata?
«L'ho evitata, ma non abbastanza accuratamente. Ho avuto storie importanti, ma non mi sono avventurato in cose che forse non avrei saputo tenere vive e credo sia stato un bene per chi mi stava vicino. Però, non è che ho deciso di non avere famiglia o figli. Nel 2021 avrò 50 anni, qualche possibilità ancora ce l'ho».
Ora, perché un romanzo?
«Era una storia che avevo in testa da anni, l'inizio mi era stato raccontato da un amico poliziotto: due agenti incontrano un personaggio che vuole essere portato in galera ma non ha fatto niente e loro non sanno come liberarsene. Mi sembrò una bella foto del nostro menefreghismo davanti alle seccature. Questi due poliziotti, se seguissero le procedure, finirebbero sommersi dalle scartoffie. Quindi, cercano di sfilarsi all'italiana, scaricando su qualcun altro, e finiscono per creare un problema molto più grande».
La polizia ne esce male.
«Non ci sono buoni e cattivi, ma ogni personaggio ha una spinta ad agire giustificabile e molto umana. E io non potrei essere contro la polizia, essendo figlio di carabiniere».
Però, Kessisoglu sostiene che, in gioventù, lei era un mezzo delinquente.
«Ho avuto un'adolescenza inquieta, però è passata. Alla fine, siamo il risultato di quello che abbiamo fatto. E io fatto mille errori che non rifarei». Il più grave? «Perdere tempo. Dai 14 ai 20 anni non ho studiato, ho solo bighellonato in giro».
Delinquendo quanto?
«Con gioia di mamma e papà, ero diventato amico di un marocchino che vendeva sigarette di contrabbando in centro, a Genova. Passavo le sere con lui a parlare e vendere sigarette. Era stato un professore universitario di nome Zbir. Mi ha ispirato il boss del romanzo. Furono sere belle».
Pure lei vendeva sigarette?
«Quando Zbir stava per finirle, andava a prendere le altre e io rimanevo a tenere il banchetto. Per cui, capitava».
Chi le somiglia di più? L'immigrato che vuole essere arrestato o i poliziotti?
«Rossetti, l'agente più giovane, che è appena stato disilluso: pensava di diventare il più forte del mondo, si è accorto che la vita non è il sogno che hai da ragazzo, ma il lavoro di tutti i giorni».
Lei sarebbe disilluso?
«Ho realizzato il sogno di vivere facendo l'attore,ma ogni sogno raggiunto vale meno di quanto credevi».
Come mai tanti tweet contro i politici?
«Mi piace punzecchiare e indicare il pistolino del re». Ha inventato una telenovela, con Luis de Mayo detto Giginho, Alejandro de Baptista, Zingaretto, Salvinho... «La storia di questo governo, con Giginho che tradisce Salvinho, Salvinho col mojito, se metti i nomi sudamericani, è una telenovela anni 80».
Perché da giorni twitta forsennatamente a favore della cannabis light?
«Ci sono centinaia di aziende e migliaia di famiglie in regola che non sanno se il loro lavoro diventa illegale. Una forza di sinistra come il Pd e una antiproibizionista come i 5 Stelle fanno una cosa più proibizionista di Salvini». Lei fuma cannabis? «Solo quella legale».
Che ci faceva con la mascherina a una manifestazione no mask a Roma?
«Mi ci sono trovato per caso. Io della pandemia ho paura, ho i genitori anziani. Il Covid l'ho fatto ai primi di marzo, tre giorni di febbre, poi l'ho scoperto facendo il sierologico, ma nessuno sa dirmi se posso riprendermelo. Vivo mascherato, sanificato e, per fortuna, avevo una vita sociale vicina allo zero anche prima: alle undici sono a letto, alle feste già non mi invitavano più, vado sempre negli stessi quattro ristoranti con non più di tre persone. Le cene dove a un tavolo si parla di due argomenti già le detesto».
Roberta Scorranese per corriere.it il 20 giugno 2020.
«Guardi, secondo me i fondi per la cultura non dovrebbero arrivare dal ministero dei Beni Culturali».
E da dove allora?
«Dal ministero della Salute. Essere colto e informato significa essere sano, vuol dire fare le scelte giuste, come i vaccini. Ha visto la foto che ho postato giorni fa?».
Il bambino sdraiato davanti alle Ninfee di Monet a Palazzo Ducale?
«Sì, ecco perché io siedo davanti a questa scrivania, per momenti come quello».
La scrivania in questione si trova nell’ultimo piano di Palazzo Ducale, a Genova. È quella della presidenza, carica che Luca Bizzarri, 48 anni, ricopre dall’agosto del 2017. L’ultima (anche sua) idea: esporre in una stanza isolata un dipinto — uno della serie delle Ninfee — di Monet e fare entrare una persona alla volta o una famiglia alla volta a guardarselo in pace per una manciata di minuti.
In carica dal 2017. Ed è ancora qui. Lo avrebbe detto allora?
«Ma no, anzi, sono arrivato che mi sono detto “mi faranno fuori subito”. E me lo ricordo bene il giorno che sono arrivato, il 14 agosto. Vengo qui e che vedo? I sigilli dei Carabinieri e sulla scrivania dell’allora direttore la prima pagina del “New York Times” che ci descriveva come un covo di falsari. Mi venne la pressione a mille».
Ah sì, l’estate dello scandalo Modigliani.
«Ma non solo: io sono ancora il custode legale dei quadri, noi paghiamo una cifra per tenerli fermi e chissà quando finirà questa storia. Che cosa mi ha insegnato? Che l’arte è un mondo complicato. Però che meraviglia quando vedo i bambini che si incantano davanti a Monet. Oppure tutte quelle persone che vennero a vedere i quadri di Rubaldo Merello. Mica ho detto Picasso, ho detto Merello».
Quando fece quel post su Facebook in cui invitò tutti ad «alzare il c...o» e a venire alla mostra?
«Ma perché mi devo trasformare in quello che non sono? Io, come molti, moltissimi altri, non avevo idea di chi fosse Merello e così lo venni a vedere. Rimasi senza parole. E lo dissi a modo mio. Sa che cosa penso? Che questo mondo sia come il Festival di Sanremo: una messa cantata, dove appena provi a uscire dalla liturgia...».
Però la gente venne. E sta venendo anche ora a vedere Monet.
«È quello che conta, no? Se riuscissi a far capire ai ragazzi che Banksy è come Monet verrebbero a frotte a vedere Monet. A proposito, abbiamo fatto anche la mostra di Banksy e quando sul sito dell’artista ho visto la nostra mostra tra quelle “fake” mi è salita di nuovo la minima. Poi ci hanno detto che lui fa sempre così. Io boh».
Lei pensava che il teatro fosse un mondo di tipi strani e invece.
«L’arte è peggio! Ho conosciuto il direttore del museo Picasso, un tipo assurdo ma geniale. Io qualche volta mi sento un underdog, eppure mi piace sedere qui, sbalzi di pressione a parte. E una cosa l’ho capita: in Italia nell’arte girano troppi soldi o troppo pochi. Nel teatro, invece, quasi niente, cosa di cui nessuno parla in questo periodo così duro. Sa che cosa mi fa incazzare?»
Che cosa? (occhio alla minima)
«Vedere i calciatori che in campo si abbracciano e pensare che nei teatri gli attori si stanno arrangiando con i monologhi e praticamente senza pubblico. Certo, dopo questa intervista mi farò molti amici».
«Non hanno un amico» è uno dei suoi tormentoni sui social quando prende di mira i politici.
«Ma è vero. Il problema della nostra politica è la comunicazione, che è senza una bussola, che ammicca alla pancia, che punta a sganciare le parole dalla realtà. Ora dirò una cosa che la farà sussultare: io qualche volta sono anche d’accordo con quello che dice Salvini».
Non ci credo.
«Finisco: posso essere anche d’accordo su qualcosa di quello che dice, ma quando chiede se può togliersi la mascherina per parlare con una signora e Floris gli risponde “eh no, se non sta a un metro e mezzo, no”, come si fa a non cadere nello sconforto? Eppure quello è il vero Salvini. Io mi deprimo quando qualche politico si mette a litigare con me su Twitter: non dovrebbero farlo! Non dovrebbero parlare con un comico! Non dovrebbero scavarsi la fossa così. Loro dovrebbero essere migliori di me».
È il gioco dei social.
«Per me i social sono un topolino che si crede un elefante».
Ma la politica la corteggia eccome.
«Altroché. Ogni tanto arriva qualche telefonata. La cosa bella è che arriva ora da una parte ora dall’altra, perché non sono inquadrabile. Naturalmente rispondo sempre “no, grazie”. Non riuscirei a infilarmi in una campagna elettorale continua, alla ricerca solo del consenso. Ah, lo sa che io siedo qui con i voti di Lega e Forza Italia?»
Non ci credo — bis.
«Non solo. Sono anche nell’assemblea del Teatro Stabile, voluto da Cinque Stelle e Pd. Non ci crede, eh?»
Più che altro perché lei a volte picchia duro con le critiche.
«La dico tutta. Questa continua campagna elettorale alla ricerca del consenso potrebbe portare a una deriva autoritaria: ad un certo punto si sentirà il bisogno di dire “ok, per cinque anni fermiamoci e teniamoci questi”.
Io avrei detto di sì ad un impegno politico solo se me lo avesse chiesto Massimo Bordin. Una delle persone che ho più ammirato in tutta la mia vita. Come Gaber. Lo incontrai che ero da poco riuscito a entrare alla Scuola dello Stabile di Genova. Fumammo una Marlboro dietro l’altra e alla fine mi disse “Non stare ad aspettare che ti chiami questo o quello, vai nelle pizzerie e fa’ quello che sai fare. In sintesi, mi disse “Arrangiati”».
Luca, lei dov’era durante il G8 di Genova?
«A Riccione, per scelta. Non mi piaceva quello che stava succedendo, la città trasformata in una caserma e proteste che travalicavano il giusto dissenso».
Che tipo di ribellione ha coltivato negli anni?
«Da ragazzino io, figlio di carabiniere, davo una mano ad un amico nordafricano nel contrabbando di sigarette. Sapesse che gioia per i miei. Ma comunque, quando scoppiò la prima guerra del Golfo chiesi a questo amico da che parte stava. Lui mi diede una risposta fantastica: “Je suis pour la logique”. Anche io da allora sono sempre stato dalla parte della logica, non dell’ideologia tout court».
Quando cadde il ponte Morandi però lei era qui.
«Per tre giorni non ebbi la forza di fare nulla, letteralmente. Chiuso in casa, a letto. Poi commisi un grave errore: presi la Vespa e andai a vedere. Fu terribile. Qui a Palazzo Ducale abbiamo raccolto i racconti dal ponte e poi facemmo una serata incredibile. Io non ebbi il coraggio di leggerli prima, piangevo come un bambino».
Lei piange spesso o sbaglio?
«Sempre, sono un frignone. Ma la cosa bella è che piango nei momenti sbagliati. Per dire, se guardo le Olimpiadi piango quando alle premiazioni. Non riesco a vedere un film emozionante senza frignare. E pure se rivedo le vecchie puntate di “Scherzi a parte”: quando svelano che è tutto uno scherzo io comincio a lacrimare».
È stato a «Scherzi a parte» che lei ha parlato con Berlusconi, vero?
«Ci avevano affidato (assieme a Paolo Kessisoglu, ndr) una puntata speciale con scherzi vecchissimi. Chiesti a Fatma Ruffini di intercedere per me per portare Silvio in trasmissione ma lei mi rispose che non ci pensava nemmeno a disturbarlo per così poco. Allora entrai in redazione e dissi ad alta voce: “ma insomma, vorrei tanto Silvio come ospite ma come ci arrivo?”. All’epoca con noi lavorava una ragazza tanto brava quanto bella. Tempo mezz’ora e lei me lo passò al cellulare. Alla fine non venne, comunque».
Luca, lei è stato per dieci anni uno dei volti delle «Iene». Nessuna autocritica?
«Ero solo un presentatore ma questo non vuol dire che non potessi esprimere dissenso per qualche servizio. E l’ho fatto. Per me sono stati una famiglia e con alcuni ci sentiamo regolarmente, però, sì, a volte hanno esagerato. Per dire, non amo quel modo di guardare la droga con attenzione morbosa, dal buco della serratura. Non ho amato certi servizi sulle presunte cure anti-cancro. Detto questo, hanno fatto più bene che male alla televisione. Il tampone ai politici è un colpo di genio».
In generale, di che cosa ha paura?
«Ma di tutto. Io vivo nelle paure, vivo terrorizzato, ma sono anche uno che se le va a cercare. Mi piace mettermi nei guai per poterne uscire. Una volta accettai di correre con la macchina, la Sei ore di Misano Adriatico. Quando scesi piansi a dirotto. Sono uno che ama mettersi nei casini. Solo in un pasticcio ho sempre evitato di infilarmi».
Quale?
«La paternità. Perché va bene tutto, ma fin lì non riesco ad arrivare».
· Luca Ferrero.
Barbara Costa per Dagospia il 29 novembre 2020.
Luca Ferrero, tra i pornostar numeri uno in Europa. Un nome, una garanzia, di sublimi orgasmi porno. Signori, un applauso a questo grande pistonatore d’esportazione!
«Grazie, grazie, onorato, troppo buoni!»
Luca, tu sì che ci dai soddisfazioni! Hai visto cosa dicono di te sui social e nelle porno-chat?
«A dire il vero… no».
Come no?
«Io sui social promuovo il mio lavoro, non interagisco…»
Ma Luca, te se ama! In tutte le lingue del mondo! Guarda qua: “Luca, che super maschio alfa!”; “Luca, la vera porno eccellenza italiana”; E non ti so tradurre quelli scritti in lingue diverse dall’inglese…
«Mi fa molto piacere. Io lavoro tanto e…»
È vero, tu porni per i più grandi studios europei, ti dividi tra Praga, Budapest, e la Liguria, dove abiti…
«Sì, sono ligure, ma mio padre è originario di Salerno, mia madre è metà danese».
Gli occhi sono della mamma?
«No, di mio nonno materno».
Quanti centimetri misura il tuo “compagno” di lavoro?
«Non è poi così grande…»
Ma smettila!
«Più di 20 cm di lunghezza, e 20 di circonferenza…»
…20 di circonferenza?!? Salute!
«Ok, ho un bel cazzo, è innegabile».
Tu hai 42 anni, e hai debuttato nel porno nel 2012.
«Sì, con Mario Salieri».
Senti, Luca, la posso dire la verità? Tu, Mario Salieri…
«Io Mario Salieri manco sapevo chi fosse!»
Salieri dirige porno d’autore da 40 anni!
«Vabbè, ma io non sono mai stato un consumatore di porno…»
Tu non guardavi porno prima di fare porno?
«No, per niente».
E come lo hai conosciuto Salieri?
«Ho preso un caffè nei suoi studi perché un mio amico, che conosceva Salieri via Facebook, voleva conoscerlo di persona. Salieri mi ha chiesto se fossi interessato a fare un provino, ed eccomi qua».
Luca, tu quando hai iniziato, eri sposato…
«Lo sono tuttora!»
Sempre con la stessa?
«Ma certo! Siamo felicissimi, abbiamo un bambino!»
Scusa, fammi capire: tu hai detto a tua moglie che iniziavi a fare porno, e lei, che ti ha risposto?
«“Vai, amore, provaci…”»
Ma come? Non ha fatto storie?
«No. Ha voluto lasciarmi provare. E poi, che dovevamo fare? La ditta edile per cui lavoravo era fallita, soldi ce n’erano pochi…»
Tu però all’inizio facevi sia porno, sia lavori “normali”…
«Sì, giravo poche scene, 3, 4 al mese. Nel porno, solo quando ti fai un nome, e acquisti esperienza, lavori a livello professionale in modo quantitativo, e guadagni bene».
Ma tua moglie non è gelosa?
«No, quello geloso sono io! E parecchio! Se lo vuoi sapere, quando ho lasciato i lavori "normali" per il porno, qualche problema ce l’ho avuto coi miei familiari».
Non l’hanno presa bene, eh?
«No, erano preoccupati, io all’inizio nemmeno volevo dirglielo però ho dovuto, perché nella mia città d’origine, che io facessi porno lo hanno scoperto tutti, subito».
Lo sapevano perché anche i più insospettabili guardano il porno. Luca, ma tu sei un marito fedele?
«Sono monogamissimo, tranne le donne che mi scopo per lavoro».
Quello non è tradimento, e il tuo è un lavoro invidiato. Tanti ragazzi mi chiedono come fare, come iniziare, come entrare nel porno. Rispondere di mandare una mail a Siffredi, per entrare nella sua Academy, è giusto?
«La realtà è questa: se un ragazzo italiano vuole fare sul serio porno professionale, deve fare le valigie e trasferirsi a Budapest o a Praga. Lì deve investire denaro su se stesso, e tempo per farsi conoscere dalle grandi produzioni. Lo dico senza mezzi termini: o ti fai un nome, o nessuno ti c*ga. L’Academy di Rocco Siffredi è un’ottima esperienza, ma l’esperienza te la puoi fare anche nel porno amatorial, dove però guadagni zero, al massimo, se ti va di c*lo, ottieni un rimborso spese».
Meglio bypassare agenti, e agenzie?
«Meglio dire che, al contrario degli Stati Uniti, qui in Europa non funzionano come dovrebbero. In Europa vale il fai-da-te e oggi è sui social che ti fai conoscere, è sui social che ti possono contattare per un porno. È rimanere nel porno che è difficile. Noi uomini lavoriamo in pochi, e sempre gli stessi, perché da noi si pretende esperienza e affidabilità. Un produttore che ci mette i soldi vuole un risultato garantito e di qualità, così non si affida a un debuttante. La mia porno-gavetta è durata anni».
Quanto vale porno-promuoversi coi video fatti in casa su Pornhub o su OnlyFans? È questo il futuro del porno?
«Mah! Se non sei un nome è dura farci soldi. È complicato dare una risposta certa. Il porno oggi è un settore molto variegato, ci sono le produzioni ultramilionarie, e ci sono altre, che pagano (poco), e dove puoi trovarci chiunque, dagli studenti universitari ai camerieri ma pure inaspettati professionisti: non tutti cercano la fama, per qualcuno è un modo di arrotondare con una seconda entrata, altri soddisfano il proprio narcisismo».
Tu sei su OnlyFans e hai il tuo canale Pornhub…
«Sì, mi rendono qualcosa, ma non ci punto molto, a differenza di altri miei colleghi: oltre a fare porno per grandi studios, io punto e guadagno su miei video prodotti e venduti in esclusiva a grandi canali di distribuzione».
Il lavoro di un attore porno è molto diverso da quello di un’attrice porno: sui set, è lui ad avere la responsabilità della riuscita della scena, la sua parte è più difficile, è più faticosa. Un pornostar è tale perché mette in azione la sua testa, il suo cervello, per far funzionare il suo pisello.
«È proprio così. Una scena porno – specie se "gonzo", ovvero il porno senza trama, senza tagli, che è oggi il porno più girato – viene guidata dall’attore che ha esperienza, nei movimenti, nelle posizioni. Anche perché il ricambio di attrici è continuo, giri con ragazze sempre nuove che, su un set, davanti alle telecamere, sono inesperte. Se giri con le professioniste, è diverso: ti aiutano a raggiungere un risultato il migliore possibile».
Ma ci sono trucchi per mantenere un’erezione a lungo e a comando?
«Sicuramente l’esperienza sui set aiuta, ma non ci sono trucchi: mantenere un’erezione è un fattore psicologico, e l’ansia è il nemico numero uno del nostro pene. Gli aiuti chimici esistono e sono utili se, su un set, devi fare sesso per molte ore di seguito. Ogni pornostar può avere una giornata no, ma è sbagliato pensare che gli aiutini siano la soluzione per fare questo lavoro».
Te la ricordi la tua prima volta sul set?
«E come no! Mi ricordo l’attesa! Stavano girando una scena prima della mia, e a me sembrava non finissero mai. La mia prima scena aveva anche un copione: io entravo in un (finto) studio medico, c’erano 2 attori, uno che faceva il medico e una ragazza, che interpretava la mia fidanzata, appena "visitata" dal dottore. Me la dovevo scopare mentre l’altro ci guardava e si masturbava. Recitazione, erezione, prestazione: tutto mi è riuscito alla perfezione! Ho iniziato così».
Io però so una cosa…
«Quale?
Tu sui set a erezione sei infallibile, e però, solo una volta hai avuto una seria défaillance, e quella volta è coincisa col tuo primo giorno di lavoro per Rocco Siffredi…»
«È vero.
Che ti era successo, e come l’hai risolta?
«Ero pieno di ansia per problemi fuori dal set. Ero in crisi nera, avevo investito tanto denaro su me stesso, sulla mia riuscita nel porno, ma a risultati stavo a zero. M’era presa la voglia di mollare tutto e tornarmene da mia moglie in Italia. Stavo quasi per farlo, quando mi ha contattato un grande studios, e la mia carriera nel porno ha preso il volo».
Come fai se ti capita di girare con una straf*ga che però è antipatica, se la tira, nel sesso è una statua di marmo?
«Regola numero uno con le partner: trovare una connessione mentale, una qualunque, anche minima. Concentrarsi su un aspetto del suo corpo per eccitarsi. O su un pensiero erotico che ti garantisce l’erezione. Se sei sfortunato e ti capita la str*nza tra le str*nze, o l’imbranata totale… pillola! Ma è rarissimo per me non "riuscire" naturalmente sui set».
Qual è la scena più bizzarra che hai girato?
«Bizzarra? Che intendi? Per me è quotidianità girare gang bang, pissing, anali e vaginali doppi e estremi! Ti dico però che un vero spasso sono state le scene-party in discoteca, con 30 attori e 30 attrici, tutti amici professionisti, a scopare, per ore, in orge!»
Luca, ho sentito che fai pensieri di porno-pensione. Dimmi che non è vero!
«Tranquilla, non vado in pensione però sai bene che il lavoro di un pornostar non può durare per sempre. Ormai ho capito come funziona, dove e come si guadagna: voglio concentrarmi sulla produzione, girando il porno che mi frutta più soldi».
Credi sia impossibile qui in Italia rimettere in piedi una industria del porno, vuoi per le tasse troppo alte, l’asfissiante burocrazia, per le leggi poco chiare?
«Impossibile tornare indietro. Impossibile ricreare la realtà di 20, 30 anni fa. Il porno gira tutto intorno ai colossi del freetube. Le produzioni sono quasi tutte loro, le altre girano comunque intorno a loro. Come fai a batterli? Come fai a reggere i costi?»
Tu mai hai lavorato negli USA, sebbene giri qui in Europa anche per compagnie americane (da ultimo hai girato per BangBros). Te ne sei pentito?
«Sì e no. Ho tanto lavoro qui, tante chiamate, ormai ho raggiunto un livello per cui posso scegliere cosa girare e cosa no. Sinceramente vorrei provare a fare qualcosa in America, quel che mi frena è la mia famiglia: sto già tanto tempo lontano da casa, ho un figlio piccolo, andare negli Stati Uniti significherebbe stare lontano da lui e da mia moglie ancora più a lungo».
Ci sono scene che rifiuti di girare? E perché?
«Sì, preferisco non fare scene lunghe, io faccio soprattutto gonzo, dove tra foto di scena e girato in 2, 3 ore massimo di lavoro ho finito. Un pornostar deve sapersi dosare. Io conosco il mio corpo: dopo 3 ore di set non posso dare il massimo. Sono stanco».
Ti sei “stancato” in “Creampie for Marica Chanel” e in “Veronica’s Squirting Anal”?
«Sono tra i miei ultimi lavori. Marica Chanel e Veronica Leal sono due ragazze di una bellezza unica: che altro vi serve per andare a vederci?»
Dì un po’: ch’hai “combinato” ultimamente con Valentina Nappi? E prima, con Martina Smeraldi? E prima ancora, con Eveline Dellai? E solo per rimanere alle italiane…!
«Sono tutte attrici straordinarie, e partner dei miei ultimi porno per "Letdoeit". Guardateli, non ve ne pentirete! Prima di iniziare i “giochi”, in ogni video io prima le intervisto, e poi le…Lo spoilero io! A Eveline chiedi quando si sente più eccitata, e lei risponde quando ha il ciclo…e il resto i miei Dago-lettori se lo vanno a vedere! Luca, a me fai bagnare quando le dici “Ok, fuck!”. Mi piace come glielo dici!»
E quello che facciamo dopo l’intervista, non ti piace?
«E me lo chiedi? Eveline mica è l’unica dannatamente arrapata, a mestruazioni in vista!»
· Luca Guadagnino.
Dagospia il 12 settembre 2020. Un documentario a Venezia su Salvatore Ferragamo, “Salvatore, Shoemakers of Dreams”; una serie in arrivo in questi giorni in America su HBO e a ottobre in Italia su Sky, ''We are who we are'', prodotta da Lorenzo mieli per The Apartment e da Mario Gianani per Wildside, entrambe del gruppo Fremantle; un thriller con John David Washington e Alicia Vikander, “Born To Be Murdered”, che ha prodotto per la regia del suo ex-fidanzato, Antonio Cito Filomarino; mille progetti, a cominciare da uno “Scarface” ricchissimo per la Universal, Luca Guadagnino si guadagna una pagina sul “The New York Times” del 10 settembre: “Con ‘We Are Who We Are,’ Luca Guadagnino vuole che tu interroghi te stesso” a firma di Kyle Buchanan.
Dago-traduzione dell'intervista del ''New York Times'' a Luca Guadagnino: "Cosa intendi per essere un provocatore?" chiede Luca Guadagnino via Zoom. "Parliamone un momento." Stavamo discutendo di Sarah, un personaggio secondario interpretato da Chloë Sevigny nella sua nuova serie della HBO “We Are Who We Are”, ma stavamo anche parlando, in modo indiretto, dello stesso Guadagnino. Sarah è un personaggio pieno di contraddizioni: come nuova comandante di una base dell'esercito americano in Italia, ha il compito di mantenere l'ordine, e come madre, Sarah è dispettosa e persino trasgressiva, spesso pungolando il figlio di 14 anni Fraser (Jack Dylan Grazer) per smuoverlo. Sarah non è come la maggior parte delle madri ma, ho notato, è come la maggior parte dei registi, che devono essere taskmaster e provocatori in egual misura. La stessa cosa può riferirsi a Guadagnino? Potrebbe, ma prima vuole assicurarsi che non ci siano fraintendimenti: la parola "provocatore" non è un peggiorativo per lui, ma piuttosto una vocazione più alta. "Penso che essere un provocatore, nel senso buono, significhi sfidare lo status quo - e lo status quo cambia continuamente", dice Guadagnino. "Devi sfidarlo, se sei un artista e un creatore sincero." In quel senso, potrebbe relazionarsi a Sarah, ma anche al biondo ossigenato, irriverente Fraser, che è più interessato alla moda che alle fatiche e il cui arrivo alla base fa scalpore tra i suoi adolescenti. Guadagnino, 49 anni, è sedotto da estranei che provocano quasi senza volerlo, come Oliver (Armie Hammer) nel suo film “Call Me By Your Name” (2017), che stravolge il languido idillio estivo di una famiglia con il suo sex appeal, o Susie (Dakota Johnson), la nuova ballerina nel suo remake di “Suspiria” (2018), il cui talento fa esplodere più di poche teste nella sua accademia. La presenza stessa di questi personaggi trasmette increspature attraverso lo status quo, ma non possono essere incolpati per come le persone reagiscono al loro arrivo. C'è solo qualcosa nella loro natura. Loro sono chi sono. E forse questo genere di cose è innato anche per Guadagnino. Ragazzo solitario e ossessionato dal cinema cresciuto a Palermo, in Italia, ha convinto con successo la madre a comprargli una telecamera Super 8, quindi ha cercato di realizzare il suo primo cortometraggio, un omaggio al regista horror Dario Argento. Il giovane Guadagnino ha immerso un pezzo di carne di mucca in un bicchiere d'acqua e ha pianificato di filmarne la decomposizione nel tempo, ma l'odore del marciume ha raggiunto il suo pubblico prima del previsto, prima che quella visione sanguinosa potesse mai realizzarsi. “Mia madre ha buttato via la carne”, ci dice con orgoglio, “così non ho mai finito il mio film. Ma quello è stato il mio primo film!" Nel 1999, Guadagnino ha debuttato nel lungometraggio con “The Protagonists”, accolto altrettanto visceralmente, guadagnandosi un giro di fischi alla Mostra del Cinema di Venezia. La sua visione grandiosa e imperturbabile inizierà a conquistare la critica con film successivi come "Io sono l’amore" (2009) e "A Bigger Splash" (2015). Dopo che "Chiamami col tuo nome" è diventato un film da Oscar, a Guadagnino è stata anche offerta la possibilità di dirigere grandi film in studio, riempiendo la sua lista di remake con "Il signore delle mosche" e "Scarface". Tuttavia, i film più grandi richiedono budget più grandi, e dopo che Guadagnino ha avuto problemi ad assicurarsi abbastanza soldi per fare “Blood on the Tracks”, un film costellato di star adattato dall'omonimo album di Bob Dylan, è invece passato alla televisione. Il produttore Lorenzo Mieli aveva suggerito uno spettacolo che esplorava la fluidità di genere nei sobborghi americani, ma Guadagnino voleva dare a "We Are Who We Are" la sua interpretazione. "Non ero troppo interessato agli 'argomenti' e non ero troppo interessato allo spirito del tempo", ci dice. "Invece, quello che ho ritenuto interessante era una narrazione televisiva non dal punto di vista dell'azione e della trama, ma più dal punto di vista del comportamento". Il risultato è una serie di otto episodi che deve meno alla pesantemente stilizzata “Euphoria”, l'altro grande serial per adolescenti della HBO, e più al naturalismo concreto del dramma di Maurice Pialat del 1983 “À Nos Amours. " Guadagnino era entrato nel progetto con piani dettagliati per distinguere ogni episodio con obiettivi diversi e tecniche di ripresa elaborate, ma ha iniziato a ripensare alle sue intenzioni quando i giovani attori dello spettacolo sono arrivati la scorsa estate sul set fuori Padova, in Italia. "Che senso ha lavorare con attori, o artisti in generale, se non ti affidi a loro come forze creative?" spiega Guadagnino, che ha chiesto a Grazer e alla nuova arrivata Jordan Kristine Seamón un input su come i loro personaggi avrebbero pensato, parlato e si sarebbero comportati. "Hanno iniziato a darmi un'incredibile ispirazione, e quello che volevo era sentire e toccare il respiro della vita proveniente da queste persone", dice. "Tutte le mie costruzioni su cui ho passato molti, molti mesi, le ho buttate via in un momento: 'No. Seguiremo i personaggi.'" "Che senso ha lavorare con attori, o artisti in generale, se non ti affidi a loro come forze creative?" dice Guadagnino. Il cast ha imparato a muoversi con lui. "Fondamentalmente, non sapevamo nemmeno cosa stavamo facendo ogni giorno, dipendeva dalla luce", ci dice Chloë Sevigny. “Teneva tutti gli attori lì e avevano già costruito il set, così poteva girare qualunque cosa volesse girare, in qualsiasi momento. Quanti registi arrivano a questo lusso? " Sebbene Guadagnino affermi di non essere ispirato da argomenti caldi, molte questioni contemporanee si snodano ancora nello spettacolo. Mentre il personaggio di Seamón, Caitlin, esplora i confini della sua identità di genere, il suo padre conservatore Richard (interpretato dal rapper-attore Kid Cudi) indossa un cappello "Make America Great Again". "Era qualcosa per cui dovevo davvero scavare in profondità", ammette Cudi. "Perché questo personaggio è totalmente diverso da quello che sono e dalle cose che rappresento." È probabile che a far esplodere ancor di più la cosa sia la cotta del giovane Fraser per un grosso marine di 20 anni (Tom Mercier) che fa poco per dissuadere il suo interesse. I personaggi di "We Are Who We Are" spesso si addentrano in territori pericolosi, ma Guadagnino non è interessato al moralismo. Il punto è convincerti a parlarne e arrivare alle tue conclusioni. "Potremmo giudicare il comportamento di un amico e aiutare l'amico", spiega Guadagnino. "Ma dobbiamo giudicare i personaggi?" Lui scuote la testa. "Se iniziamo a disinfettare i nostri personaggi dalla provocazione delle domande etiche, è meglio che smettiamo di fare quello che facciamo." "Quello che ho ritenuto interessante era una narrazione televisiva non dal punto di vista dell'azione e della trama, ma più dal punto di vista del comportamento", ha detto Guadagnino. Guadagnino ha finito le ultime riprese di "We Are Who We Are" a febbraio, solo due settimane prima che l'Italia entrasse in blocco per far fronte all'epidemia di coronavirus. Nonostante sia rimasto impegnato in quarantena, realizzando un cortometraggio che sarà presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, gli ultimi mesi sono stati strazianti: il padre di Guadagnino è morto a maggio, e poi è stato lasciato dal suo compagno di 11 anni, il regista Ferdinando Cito Filomarino. Milano, dove vive Guadagnino, ha cominciato a riaprire, ma è ancora un luogo solitario, e anche lui al suo interno. "Sono una figura in questo paesaggio di vuoto, onestamente", ci dice. "Sogno ogni giorno mio padre e ogni giorno il mio partner, e porto con me quei sogni nel vuoto della città". "Non voglio sembrare patetico", aggiunge. "Ma questo è quello che sono, e non posso non essere sincero." Per Guadagnino e per il pubblico, l'estate incontaminata di "We Are Who We Are" suonerà in modo leggermente diverso ora. La serie si diletta in piaceri che sono stati portati via dall'inizio della pandemia, come la cena in un ristorante pieno di scoppi o, nel quarto episodio, una festa che si protrae fino a quando i personaggi, ubriachi e svuotati, si sentono abbastanza vulnerabili da mettere a nudo le loro anime. Se le cose fossero andate secondo i piani, "We Are Who We Are" sarebbe stato presentato in anteprima come un'avventura di otto ore al Festival di Cannes a maggio, dando il via a un tour stampa di un mese che alla fine avrebbe riunito Guadagnino con il suo cast negli Stati Uniti. Il regista invece è bloccato a casa. "Non sarei comunque in grado di festeggiare", ci dice. "Posso restare sveglio tutta la notte solo se giro." Anche se gli manca il suo cast, "nella vita reale, quando non sto facendo un film, penso che sarei così noioso per loro". Anche i provocatori devono riposare. Su Zoom, Guadagnino è brillante e professorale; il prossimo anno compirà 50 anni e ha detto che gli attori adolescenti del cast lo guardavano come fosse uno zio o un nonno. Quando ho parlato con Grazer e Seamón, erano per lo più affascinati dalla sua volontà di evitare la comodità moderna di un iPhone per un Nokia rosa con cerniera che non può nemmeno inviare o ricevere foto. Il suo regista guarda ancora scettico l'iPhone. "Questa piccola cosa non ti serve", dice. "Sei tu che servi a lui." Quando chiedo a Guadagnino come sarebbero state diverse le cose se fosse cresciuto oggi, pensa che il suo io moderno da adolescente sarebbe stato più collegato alla tecnologia, o anche alle persone: "Penso che sarei solo, e leggerei molti libri." In un primo momento, sono rimasto sorpreso dalla sua dichiarazione, dal momento che Guadagnino mi aveva appena detto: "Non voglio inchiodarmi a un senso di me che è inamovibile". Ma mentre "We Are Who We Are" è un amorevole tributo al potenziale infinito delle persone di cambiare, crescere e sorprendere, il suo creatore è semplicemente più determinato nei suoi modi. E ha imparato a convivere con questo. "Può un leopardo cambiare le sue macchie?" ha detto Guadagnino. “La tua identità è la tua identità. La tua natura è la tua natura. Più di quanto ammetto che lo sia."
· Luciana Turina.
Mattia Pagliarulo per Dagospia l'8 novembre 2020. Luciana Turina, “la Lucianona nazionale” è un personaggio del mondo dello showbiz che ha sempre destato simpatia, allegria ed abbondanza.Ma dietro al sorriso per esigenze di copione non si nasconde di certo una donna dalla vita facile; si celano grandi delusioni professionali, occasioni musicali a cinematografiche mancate e serie difficoltà economiche. La gente la ricorda per aver vinto nel 1965 il Festival di Castrocaro e aver partecipato l’anno seguente al Festival di Sanremo, per i suoi ruoli come caratterista ad alcuni film, lungometraggi e programmi Rai come “Settimo Anno” con Lando Buzzanca o “Che Patatrac” con Gianni Boncompagni; l’ultimo suo lavoro importante è stato nel 2008 affiancando Aldo Giovanni e Giacomo nel film “Il cosmo sul comó”. Una carriera nella musica e nel cinema che è andata man mano a sbiadirsi. Una delle poche note non stonate della sua vita si chiama Emerico, una storia d’amore che dura da più di vent’anni che Luciana sogna di coronare con il matrimonio, appena la pandemia dovuta al Covid-19 lo permetterà. Oggi in questa intervista ci racconterà tutto di sé, o quasi...e si toglierà qualche sassolino (o macigno) dalla scarpa.
D. Luciana innanzitutto come sta?
R. Rassegnata, dimenticata, amareggiata, delusa ed emarginata dal mondo dello spettacolo a cui ho dato anima e cuore, e pensare che quest’anno ho festeggiato 55 anni di carriera. Però nella mia vita semplice e con i miei 550€ di pensione sto bene, con qualche piccolo acciacco e qualche problema di salute ma tengo duro, in fin dei conti ho 74 anni. Per fortuna ho il mio compagno Emerico che mi ama e mi sta accanto, lui lavora e viviamo a Palermo in una piccola casa in affitto...se non fosse per lui non so dove potrei essere! È il mio angelo. In passato ho veramente conosciuto la depressione e tentato il suicidio. Rifiuto di prendere gli psicofarmaci, prendo solo qualche goccia per dormire.
D. Dopo i numerosi appelli televisivi in cui chiedeva di lavorare, qualcuno concretamente l’ha aiutata?
R. Ci sono state due persone molto famose in questo mio deterioramento professionale ed artistico che mi hanno aiutato. Io non ho chiesto nulla perché ho il difetto di non chiedere mai aiuto a nessuno. Soprattutto una di queste due persone mi ha aiutato tanto per anni, è un nome grosso dell’ambiente di cui non svelerò il nome per rispetto.
D. Si sente dimenticata anche dalla gente?
R. La gente mi ama, mi ferma ancora per strada e mi riconosce. In tanti mi chiedono perché non faccio più dischi, film o televisione, io devo sempre giustificarmi dicendomi che non dipende da me ma dagli addetti ai lavori che non mi ingaggiano. Una volta conoscevo molti capi struttura e avevo i contatti diretti per lavorare, ora sono tutti morti! Degli addetti ai lavori di adesso non conosco nessuno!
D. All’inizio della sua carriera ha posato in maniera sexy e provocatoria sia su Playmen sia su Playboy, che ricordo ha?
R. Un ricordo stupendo! È stato bellissimo e mi sono divertita a posare, anche se non si vedeva quasi nulla. Il fotografo era Angelo Frontoni, sono stata quasi una settimana a casa sua a scattare, mi dava da mangiare solo pane e mortadella perché era un po’ tirchio ma era una brava persona. Per me è stato come girare un film!
D. La sua fisicità prorompente e giunonica l’ha più aiutata o ostacolata nella sua carriera artistica?
R. Decisamente mi ha penalizzata questa mia fisicità esagerata: mi ha ostacolato tantissimo. Svariati uomini mi scrivevano lettere dicendomi che erano attratti dalle donne grosse pregandomi di incontrarli di persona, li mandavo a fare in culo!
D. Cosa vorrebbe fare lavorativamente oggi ?
R. Io farei qualsiasi cosa perché so fare veramente tutto, dal canto alla recitazione, la mia voce blues è ancora bella come nel 1965 quando ho vinto il Festival di Castrocaro cantando la cover di “Come ti vorrei” di Iva Zanicchi. È da quando ho 18 anni che faccio tra alti e bassi questo mestiere.
D. Sarebbe disposta a partecipare anche ad un reality show?
R. Eccome! Basta che non mi facciano nuotare in mare aperto perché non lo so fare o buttare da un elicottero perché ho paura! Al Grande Fratello Vip parteciperei subito, potrei cucinare per tutti quei ragazzotti perché sono un ottima cuoca, poi ho un bel caratterino come si è visto qualche anno fa in televisione in cui dissi a quella specie di opinionista di nome Karina Cascella “ti attacco al muro”; sono un personaggio che in un reality show funzionerebbe. Alfonso Signorini lo adoro, come adoro tutti gli omosessuali che con me hanno sempre avuto un gran feeling e dei grandi rapporti di amicizia vera e profonda. Anzi dirò di più: Signorini ho sentito che i primi di dicembre fate entrare 7/8 nuovi concorrenti della casa del GF Vip, io ho già le valigie pronte! Chiamami e non ti deluderò, spero che almeno tu mi ascolti e mi fai lavorare perché ne ho veemente bisogno, avere da parte dei soldi per la mia vecchiaia mi farebbe stare più serena.
D. Cosa pensa delle unioni civili e dell’apertura che in questi ultimi tempi ha dato il Papa al mondo gay?
R. Questo Papa non è solo buono ma è anche molto intelligente. Io sono cattolica ma non bigotta. Come ho detto prima io amo il mondo gay e il mondo gay ama me da sempre. Ci voleva un passo in avanti così dalla Chiesa perché gli omosessuali devono essere trattati esattamente come tutti, anche se non è così per tante persone, ancora c’è molta ignoranza. Sono assolutamente favorevole alle unioni tra persone dello stesso sesso!
D. Qualche tempo fa in una trasmissione domenicale è stata accusata di giocarsi la pensione al Bingo, come replica a queste accuse?
R. Si sta parlando del 2018 e la trasmissione era Domenica Live condotta da Barbara D’Urso su Canale 5. Come mi gioco la pensione al Bingo che prendo poco più di 500€ mensili? Andavo al Bingo una o due volte al mese con la madre anziana del mio compagno a giocarmi massimo 20€ proprio per distrarmi e fare qualcosa di diverso e per uscire un po’ di casa. Il mio compagno è da mesi e mesi che scrive all’autore di riferimento della signora D’Urso perché mi dia il diritto di replica e la possibilità di difendermi da queste accuse infamanti, ma lui non ha mai risposto ai nostri messaggi, mai! Vi sembra un comportamento corretto? Mi sono sentita spremuta come un limone ed umiliata alla mia veneranda età! Chissà se dopo questa intervista mi daranno la possibilità di parlare dopo quasi due anni sarebbe anche ora perché ho sofferto tantissimo per essere stata trattata così dopo più di mezzo secolo di onorata carriera! Io sono pronta al confronto, vediamo se anche la D’Urso e il suo autore lo sono!
D. È vero che vuole sposarsi non appena passerà questa pandemia?
R. Si, è un nostro desiderio dopo ben 22 anni di fidanzamento, siamo insieme dal 1998 io ed Emerico. Sperando che questa brutta pandemia passi in fretta e che non muoia prima! (ride)
D. Come si vede Luciana Turina tra 15/20 anni?
R. Domanda molto difficile! Solo il buon Dio può rispondere, chissà quando mi verrà a prendere! (ride nuovamente)
· Luigi Calagna e Sofia Scalia: Me contro Te.
Me contro Te, gli youtuber dei record: «Ecco come abbiamo battuto Zalone». Pubblicato sabato, 01 febbraio 2020 su Corriere.it da Chiara Maffioletti. Se non avessero continuato a caricare i loro video su YouTube — «e all’inizio non li guardava proprio nessuno» —, oggi Luigi Calagna sarebbe un farmacista e Sofia Scalia una studentessa di medicina. Ma a uno di quei bivi davanti a cui la vita più o meno inconsapevolmente ci pone, questa coppia di fidanzati siciliani ha scelto la strada della perseveranza. Ed è così che oggi, Luì e Sofì sono i Me contro Te, youtuber dei record: il loro primo film ha superato gli otto milioni di incassi e schiere di giovanissimi fan non vedono l’ora di ascoltare il loro primo disco, Il Fantadisco dei Me contro Te, in uscita il 14 febbraio. «Tutto questo fa impressione, ma non è un’esplosione — spiegano —. Abbiamo lavorato sodo e i nostri numeri sono questi da anni. Non ci siamo ritrovati di colpo famosi, l’abbiamo metabolizzato nel tempo». Perché avete iniziato a pubblicare i vostri video? «Per puro hobby: eravamo fidanzati da due anni e ce li mandavamo tra di noi. Volevamo creare una sorta di nostro archivio dei ricordi. Per diverso tempo hanno fatto zero visualizzazioni...».
Oggi arrivate a diversi milioni.
«Ne carichiamo uno al giorno, facendo nel mentre progetti paralleli, come i libri, il disco, il film...».
I vostri progetti paralleli sono i sogni di una vita di molti altri.
«È vero, ma di fatto anche per noi. Il film è un grandissimo sogno, il disco quasi un’utopia, specie per Luì che da ragazzo suonava in una band».
Il vostro film al debutto ha superato «Tolo Tolo» negli incassi.
«Non ce lo aspettavamo, anche se Tolo Tolo era già in sala da alcune settimane. Abbiamo avuto il piacere di conoscere Checco Zalone, per noi è un mito. Scherzava su questa cosa, diceva: ma tanto questo non è un vero film, no? Non è che ora resta in sala...».
Quando avete realizzato che la vostra vita era cambiata per sempre?
«Forse quando è arrivato il primo progetto extra: una serie tv con Disney Channel, Like me. Ci siamo ritrovati ad avere un pubblico di giovanissimi ma non è stata una cosa meditata, piuttosto una conseguenza di quello che facevamo. Ce ne siamo resi conto leggendo i commenti: spesso avevano errori di ortografia. L’unica cosa che cambiata dopo averlo realizzato è il senso di responsabilità e la consapevolezza di influenzare una massa enorme di piccoli».
La vostra coppia ha risentito di tutto questo?
«Un po’ si è adattata. Ora viviamo assieme: da un paesino in provincia di Palermo siamo arrivati a Milano. Ma appena possiamo torniamo in Sicilia, dove frequentiamo gli stessi posti di prima, gli stessi amici».
Si spiegano quello che vi è capitato?
«Cosi cosi, sono un po’ increduli. Le madre di Luì dice che le sembra di vivere in un sogno». «Sì, lei non realizza bene... mia nonna invece non ha proprio capito nulla, ma il bello è anche questo: il web ci ha fatto arrivare qui partendo dalla nostra cameretta in Sicilia».
Altrimenti avremmo un farmacista e un futuro medico: un’altra passione che vi lega. L’avete archiviata o non escludete torni nel vostro futuro?
«Chissà. Un po’ nei nostri video c’è della farmacia, della chimica... ad esempio nel creare lo slime. Facciamo degli esperimenti scientifici: siamo scienziati dentro. Sperimentiamo, sporchiamo e puliamo: un incubo».
Perché i bambini di oggi amano lo slime?
«Perché è la sostanza più bella del mondo. Da piccolo giocavo con la terra e l’acqua: se avessi avuto lo slime con i glitter e i colori sarei impazzito».
Domanda da un milione di views: perché avete sfondato voi e non altri?
«Perché non interpretiamo dei ruoli: noi siamo davvero così, con una essenza spensierata e giocherellona. Divertirci non ci fa sentire la stanchezza».
Il disco esce il 14 febbraio, data non causale.
«Per due innamorati è perfetta. Il disco ha canzoni super romantiche».
Quale è il più bel regalo che vi siete fatti?
«Lui mi ha portata a Disneyland: era il mio sogno nel cassetto. Io? Una chitarra».
Pensate mai che non vi potete lasciare? Che il vostro è già un matrimonio?
«E con milioni di figli poi! Dopo con chi starebbero? No, no non ci possiamo lasciare, ma perché stiamo bene. Certo la vita è piena di sorprese: a noi ne ha già regalate tante. Ma per ora siamo molto felici e insieme ci completiamo: è la nostra forza. Per i figli nostri c’è tempo».
Siete di novelli Al Bano e Romina...
Sofi: «Sì, la conosco perché mio nonno è super fan. L’altro giorno me ne ha parlato per tutto il pranzo: li ho cercati, non sapevo chi fossero... cioè, sapevo di Al Bano ma non della coppia. Loro con canzoni amate dai bambini come Felicità e Il ballo del qua qua sono rimasti nella storia della musica».
Vi augurate succeda lo stesso a voi?
«Più che altro riflettiamo sul fatto che quando i piccoli di oggi avranno 20, 30 anni, saremo per loro quello che per noi è la Melevisione o Art attack. O, per i genitori di chi ci segue, Bim bum bam. Ci ha fatto tanto piacere ricevere i complimenti di Giovanni Muciaccia, di Tonio Cartonio (volto della Melevisione), di Cristina D’Avena... persone che potrebbero rappresentare quello che oggi siamo noi per i più piccoli. Questa cosa ci mette i brividi... e ci è anche già capitato che qualche 15enne, 12enne ci dicesse: siete stati la mia infanzia».
Il web corre in fretta...
«Chi si ferma è perduto. Oggi si trova presto una alternativa. Cerchiamo di non dimenticarlo e lavorare sodo. A malincuore non siamo potuti andare ospiti a Sanremo perché siamo in pieno tour. Andare in gara? Mah, ci mette un po’ ansia: vediamo la musica come uno dei nostri progetti ma non siamo cantanti... nemmeno attori o scrittori. Ci vediamo più come degli intrattenitori».
Non siete cantanti, attori o scrittori, eppure avete successo in ogni campo. Specializzarsi non conta più?
«In realtà abbiamo avuto la lucidità di capire che con la crescita dei numeri sui social doveva esserci anche una crescita artistica: ci siamo messi a studiare canto, recitazione... Il boom di popolarità può svanire in pochi giorni se non è accompagnato dalla sostanza. Quindi sì, in quello che facciamo si può dire che siamo bravi».
La prima volta che vi hanno fermati per un autografo?
«Stavamo facendo una passeggiata ad Alcamo e ci hanno chiesto una foto e un autografo. Abbiamo detto: eh? Oggi ne facciamo in media tre o quattro al giorno. Spesso ci sono genitori che ce lo chiedono, dicendo: non ho idea di chi siate ma mio figlio vi ha riconosciuti».
· Luigi Mario Favoloso.
Da ilfattoquotidiano.it il 16 gennaio 2020. Di Luigi Mario Favoloso, ex fidanzato di Nina Moric ed ex concorrente del Grande Fratello, si sono perse le tracce ormai dal 29 dicembre scorso. Anche Federica Sciarelli si è occupata di questa sparizione a Chi l’ha Visto. E ieri una novità è arrivata ma negli studi di Pomeriggio 5. Favoloso ha telefonato a Barbara D’Urso: “Luigi Mario Favoloso ha chiamato Pomeriggio 5 e ci ha rivelato che è all’estero, in una località segreta, che a noi ha chiesto di non riferire. Lui avrebbe smentito la versione di Nina Moric. Dice di essersi allontanato per un motivo grave, che poi spiegherà”. Secondo la conduttrice del contenitore pomeridiano di Canale5, Favoloso si è detto molto dispiaciuto per la madre, che non sapeva nulla. Ma a quale versione di Nina Moric fa riferimento la D’Urso? A Domenica Live l’ex modella croata aveva raccontato: “Mi ha messo le mani addosso tante volte. Ho continuato a stare con lui perché in questi casi si innesca un meccanismo psicologico malato per il quale ti dai la colpa. In questi anni è stato violento, sia in senso fisico che psicologico. Si è sfogato su di me in una maniera molto forte per l’ennesima volta. Purtroppo una volta anche Carlos ha subito lo stesso atteggiamento. Andavano anche d’accordo insieme, c’era armonia ma lui ogni tanto aveva questi black out. E una sera in particolare ha avuto uno scatto e si è sfogato su mio figlio. Io mi sono messo davanti, ho urlato ma è riuscito a fare del male a mio figlio. Carlos mi ha detto che lo perdonava ancora oggi gli vuole bene però questa storia è chiusa per sempre. Mai più“. La ex compagna aveva poi aggiunto: “Lui sicuramente sta benissimo, è in Italia. Credo che questa scomparsa sia una finzione costruita sin dall’inizio, da lui insieme ai suoi amici e la sua famiglia”.
Da today.it il 16 gennaio 2020. Luigi Mario Favoloso sta bene: gli aggiornamenti di Barbara d’Urso. Barbara d’Urso ha raccontato al pubblico il contenuto della telefonata che Luigi Favoloso ha fatto al programma di Canale 5 con una scheda telefonica non italiana: l’ex fidanzato di Nina Moric ha detto di trovarsi all’estero e di non voler far sapere il luogo esatto che però è stato rivelato alla redazione. “La telefonata è durata mezz’ora. Luigi sta bene e non è in Italia. Noi sappiamo dov’è ma ci ha pregato di non dire la località per non essere rintracciato”, ha spiegato la conduttrice.
Luigi Mario Favoloso è scappato dall’Italia per un grave motivo. “Luigi ha assicurato che tutto quello che è stato detto dai media italiani è falso e ci ha dato tutta un’altra versione rispetto a quella raccontata da noi”, ha aggiunto ancora Barbara d’Urso riportando il contenuto della telefonata di Luigi Favoloso: “La madre non sapeva nulla e lui è dispiaciuto perché la gente pensa che non sia così”. L’intenzione dell’ex fidanzato di Nina Moric è quella di restare nascosto ancora per qualche tempo, sostenendo di aver fatto perdere le sue tracce per un motivo molto grave che, a quanto pare, non corrisponde a quello raccontato dalla modella a Domenica Live. “Tornerà a spiegarci il motivo di questo gesto”, ha assicurato la conduttrice lasciando in sospeso una vicenda che senz’altro sarà tanto approfondita dai suoi programmi.
Alberto Dandolo per Dagospia il 19 gennaio 2020. La finta e arraffazzonata scomparsa di Mario Luigi Favoloso, ex fidanzato di Vagina Moric, appare quasi più "comica" della surreale fuga di Corona in Portogallo per sfuggire all'arresto ma con GPS dell'auto usata per eclissarsi che funzionava alla perfezione! Che non fosse un caso da Chi l' ha visto e nemmeno da denuncia alle forze dell'ordine era cosa ovvia, chiara e scontata sin dall'inizio. E dal principio era più che palese il nucleo comico e teatrale, seppur dilettantistico e ai margini del reato penale, di questa storiella di serie B che serviva e serve solo a riempire qualche blocco di qualche contenitore tv. E col passare dei giorni più che domandarci se Favoloso fosse in Val Brembana da amici con giacca a vento argentata e glitterata o se fingesse di essersi nascosto a Capo Verde, ad attirare la nostra attenzione è stata la vera, unica, inimitabile star di questa fiction al babba' con rum e crema chantilly. Stiamo parlando della bombastica Loredana Fiorentino, madre di Favoloso e attrice protagonista della nuova soap opera messa in piedi per far crescere i social di Mario Luigi e qualche curva nera dell'Auditel. Lei che nella vita recita nei mejo teatri tra Ercolano e Torre del Greco e che e' una danzatrice acrobatica (pare con ambizioni circensi) è diventata la prima donna della vicenda che sta tenendo incollati alla TV gli amanti delle repliche notturne di Centovetrine su Canale 5. La panterona di Resina, cotonata e impellicciata come Wanda Fisher alle prese con un suo concerto a Paullo, ha fatto e disfatto, detto e non detto, ritirando però la denuncia di scomparsa che aveva depositato e rifiutandosi, ovviamente, di fare un appello da Federica Sciarelli. E' lei la più gettonata dei salotti tv in questi giorni e stasera sarà in esclusiva (of course! ) di ''Live - Non è la D'Urso'' (percepisce un cachet?), con l'ex fidanzata Nina in studio, mentre Favoloso senior sta pattugliando in questi minuti gli studi di ''Domenica Live'' (aspettiamo il collegamento coi cugini di secondo grado). Amante dei tacchi 15, delle scarpe fetish e dei tatuaggi, la FAVOLOSA Lory ha una passione per i suoi glutei che cura con impegno e sacrificio. Il suo culo sodo e rampante e' infatti spesso protagonista dei suoi post. Ama il buon cibo, il ballo e il cinema. Il suo film preferito? "L'ANACONDA"... manco a dirlo!
Nina Moric contro la suocera: "Si vergogni, non nomini più Carlos". Scontro aperto sui social tra Nina Moric, Luigi Favoloso e sua madre Loredana che continuano a pubblicare commenti e messaggi l'uno contro l'altro, mettendo nel mezzo anche il giovane Carlos. Novella Toloni, Domenica 02/02/2020, su Il Giornale. È guerra aperta tra Nina Moric e il suo ex fidanzato Luigi Favoloso. Dopo la bufera mediatica scatenatasi in seguito alle pesanti accuse di violenze mosse dalla showgirl croata contro l'ex - e smentite con forza da Favoloso a "Live! Non è la D'Urso" - oggi tengono banco alcuni commenti social della suocera, Loredana Favoloso. Questa sera nello show di Barbara d'Urso Luigi si dovrà confrontare con sua madre e forse anche con la sua ex, ma nelle ultime ore la vicenda ha preso una piega inaspettata che ha coinvolto anche il figlio di Nina, Carlos Maria Corona. Che tra Nina e Loredana non corresse buon sangue lo si era capito due settimane fa, quando le due si erano pesantemente accusate nel salotto serale della D'Urso durante le fasi concitate della presunta scomparsa di Favoloso. Tra le due non c'è più stato un confronto diretto ma la diatriba si è spostata sui social network. Nelle corse ore Loredana Favoloso ha commentato un post di Nina Moric, facendo intendere di sapere cose di Carlos che non svelerà mai ma che, se dette, mostrerebbero un altro lato del giovane, diverso da quello che tutti siamo abituati a vedere. Una follower della Moric ha elogiato l'educazione, l'intelligenza e l'estrema serenità di Carlos Maria nonostante tutto ciò che la sua famiglia stia vivendo. Loredana ha però risposto con parole sibilline: "Io sò cose di Carlos che nessuno sà e che non dirò mai!". Una frase choc che ha messo in discussione la serenità del giovane e che ha scatenato le ire di Nina Moric che, per tutta risposta, si è scagliata contro l'ex suocera. Nelle storie del suo profilo Instagram, la Moric ha condiviso lo screenshot del commento e della risposta, invitando la donna a tacere e a "vergognarsi": "Carissima signora Loredana Favoloso, prima di "offendere" un adolescente meraviglioso si faccia un esame di coscienza! Non deve mai più nominare mio figlio! Ad arrivare a questo punto si commenta da sola". La questione finirà con ogni probabilità nella discussione di questa sera a "Live", come tutte le chat e i messaggi ambigui di Favoloso pubblicati da Nina negli ultimi giorni sui social. Intanto la bella modella confessa di essere in cura da uno specialista per affrontare i suoi problemi e di voler cambiare per il bene di Carlos. Nel rispondere a una follower su Instagram, ha spiegato: "Sono in cura da uno psichiatra da ormai due mesi per tutto quello che ho subito. Essendo un personaggio pubblico non significa che non soffro ma cerco di stare positiva per il bene di mio figlio. Lui si merita solo serenità e amore".
Il figlio di Nina Moric: "Mia madre è stata picchiata". Caros Maria Corona, figlio di Nina Moric e Fabrizio Corona, conferma che la madre ha subito violenze fisiche e psicologiche da Luigi Mario Favoloso. Luana Rosato, Martedì 11/02/2020 su Il Giornale. Dopo la misteriosa scomparsa – e riapparizione - di Luigi Mario Favoloso, accusato da Nina Moric di violenze fisiche e psicologiche, parla per la prima volta Carlos Maria Corona. Il figlio della Moric e di Fabrizio Corona che, come raccontato dalla madre in un’occasione sarebbe stato anche lui vittima di violenze da parte di Favoloso, ha confermato la versione di Nina. Dopo l’ultimo confronto tra la modella e la madre di Luigi Mario a Live! Non è la d’Urso, Carlos Maria si è sentito in dovere di prendere le parti della mamma e spiegare che, quanto raccontato da lei in diretta tv, corrisponde a verità. Secondo Luigi Mario Favoloso, infatti, le prove portate da Nina che attesterebbero le violenze subite dall’ex compagno non sarebbero veritiere. L’uomo, infatti, ha invitato la d’Urso e gli esperti ad analizzare attentamente la foto in cui la Moric mostra dei lividi sui fianchi e sul fondo della schiena sostenendo che, a differenza di quanto dichiarato da lei, quei segni corrispondano ad una mini liposuzione cui si sarebbe sottoposta la modella. A questo punto, dunque, Carlos Maria Corona ha deciso di dire la sua tramite un video pubblicato nelle Instagram story di Nina Moric. “Volevo chiarire la questione tra me, mia mamma e Luigi. Deve essere ristabilita in modo chiaro perché attualmente, dato che la verità non si è espressa in televisione, è una verità parziale – ha iniziato a spiegare il 17enne - .Perché? Le violenze su mia madre, sia di tipo fisico che psicologico, ci sono state. Io lo posso affermare, ma dato che molti sono scettici servono le prove tangibili. In ogni caso c’è stato un episodio di violenza”. Il figlio di Nina Moric e Fabrizio Corona, dunque, conferma la versione della madre e ribadisce che episodi di violenza tra Luigi Mario Favoloso e la donna ci sono stati e lui, a quanto pare, ne è stato testimone. Infine, il giovane ha voluto fare una precisazione riguardo i ritocchi estetici cui la madre si sarebbe sottoposta e le accuse nei suoi confronti da parte dei genitori dell’imprenditore partenopeo. “Inoltre un ultimo ragguaglio: volevo dire che le parole espresse da Michele e Loredana non sono inerenti al caso di mia mamma – ha concluso Carlos Maria - ,perché la maniera in cui lei è esteticamente è perché ha caratteristiche genetiche di questo tipo, dunque modificazioni del suo corpo non sono inerenti a mia mamma. Di conseguenza, c’è stata un’attribuzione che può corrispondere a qualcosa di altro”. Davanti alle dichiarazioni del figlio di Nina Moric, però, Luigi Mario Favoloso non è rimasto in silenzio e, attraverso un post sui social, ha fatto sapere di essere dispiaciuto per come la ex compagna stia manipolando un' "anima pura" come Carlos. "Mi dispiace vedere un'anima pura, un ragazzo d'oro, minorenne, buttato così in pasto ai social - ha scritto l'ex della Moric - , spero che qualcuno capisca la gravità di quello che sta succedendo e li aiuti entrambi".
Live Non è la d'Urso, Nina Moric contro tutti. I lividi sono compatibili con una liposuzione. Torna a Live non è la D’Urso Nina Moric per mettere un punto definitivo alla brutta vicenda che l’ha vista coinvolta anche nella sparizione di Luigi Mario Favoloso. Ma si scopre che quelle che dovevano essere lividi da percosse sono invece compatibili con una liposuzione. Roberta Damiata, Domenica 09/02/2020 su Il Giornale. Ha detto che questa è l’ultima volta che parlerà in tv. “Questa non è cronaca rosa, è un argomento molto delicato e si stanno anche prendendo in giro i magistrati che stanno lavorando su questa storia”. Così Nina Moric arriva in studio a "Live Non è la d’Urso" per parlare della storia infinita del suo ex Luigi Mario Favoloso, scomparso per oltre un mese e poi tornato, che ha accusato di averle messo le mani addosso. Al contrario lui in diretta aveva rivelato che non si trattava assolutamente di questo, ma del fatto che Nina fosse una autolesionista. Quando entra, visibilmente dimagrita e molto agguerrita dice la sua. Ad ascoltarla anche la mamma di Luigi Mario Favoloso. Nina nega assolutamente di essere autolesionista e leggendo nervosamente sul telefonino mostra un’immagine dei suoi polsi pubblicati da Luigi Mario nel 2015 in cui si vedono dei tagli che Nina dice essersi procurata da piccola perché solo in giovane età ha avuto problemi di autolesionismo. È molto agitata, nervosa e cerca costantemente risposte tanto da venir ripresa dalla d’Urso che in maniera molto decisa le chiede se lei è stata autolesionista o meno.
La versione di Favoloso. Luigi Mario Favoloso, viene intervistato d