Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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(pagine) GIANGRANDE LIBRI
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NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
ANNO 2020
LO SPETTACOLO
E LO SPORT
PRIMA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2020, consequenziale a quello del 2019. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
GLI ANNIVERSARI DEL 2019.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
INDICE
PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Un Giro di …Giostra.
Nudi e crudi.
Il Cinema delle donne e dei Gay.
Coppie che scoppiano.
Le scazzottate dei divi.
Gli acciacchi della Star.
Hall of Fame 2020.
Cinema e Musica Italiana da Oscar.
Grande Fratello Vip, perché i Big si (s)vendono così?
AC/DC.
Achille Lauro.
Adele.
Adriana Chechik.
Adriana Volpe.
Adriano Celentano.
Adriano Pappalardo.
Agostina Belli.
Ai Weiwei.
Aida Yespica.
Al Bano.
Alba Parietti.
Alberto Fortis.
Aldo Savoldello, in arte Mago Silvan.
Aldo, Giovanni e Giacomo.
Alex Britti.
Al Pacino.
Alena Seredova.
Alessandra Amoroso.
Alessandra Cantini.
Alessandro Bergonzoni.
Alessandro Gassmann.
Alessandro Mahmoud in arte Mahmood.
Alessandro Preziosi.
Alessia Marcuzzi.
Alfonso Signorini.
Alvaro Vitali.
Amadeus.
Amandha Fox.
Amanda Lear.
Ambra Angiolini.
Andrea Delogu.
Andrea Roncato.
Andrea Sartoretti.
Andrea Vianello.
Andrew Garrido.
Andy Luotto.
Angelica Scent.
Annalisa.
Anna Galiena.
Anna Pepe.
Anna Valle.
Anna Falchi.
Anne Moore.
Anna Tatangelo e Gigi D'Alessio.
Antonella Clerici.
Antonella Elia.
Antonio Ricci.
Antonello Venditti.
Antonio Zequila.
Arisa.
Asa Akira.
Asia Argento.
Asia Gianese.
Asia Valente.
Asmik Grigorian.
Autumn Falls.
Baby Marylin.
Bar Refaeli.
Barbara Alberti.
Barbara Bouchet.
Barbara Costa.
Barbara De Rossi.
Barbara D'Urso.
Beatrice Rana.
Beatrice Venezi.
Belen Rodriguez.
Bella Hadid.
Benedetta Porcaroli.
Benji & Fede.
Bianca Balti.
Bianca Guaccero.
Billie Eilish.
Billy Cobham.
Bobby Solo.
Brad Pitt.
Brigitte Bardot.
Brigitte Nielsen.
Brunori Sas.
Bugo.
SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Cameron Diaz.
Carla Bruni.
Carla Vistarini.
Carlo Conti.
Carlo Verdone.
Carol Alt.
Caterina Balivo.
Caterina Caselli.
Caterina Collovati.
Caterina Guzzanti.
Caterina Piretti: Katiuscia.
Catherine Spaak.
Cécile de France.
Charlie Sheen.
Checco Zalone.
Chiara Ferragni e Fedez.
Chrissie Hynde.
Christian De Sica.
Claudia Gerini.
Claudia Galanti.
Claudio Amendola.
Claudio Baglioni.
Claudio Bergamin.
Claudio Bisio.
Claudio Cecchetto.
Claudio Lippi.
Clementino.
Clint Eastwood.
Cochi e Renato.
Costantino della Gherardesca.
Cristina D'Avena.
Cristina Quaranta.
Daisy Taylor.
Dalila Di Lazzaro.
Dana Vespoli.
Daniela Martani.
Daniela Rosati.
Danika e Steve Mori.
Danny D.
Dante Ferretti.
Dario Argento.
Dario Brunori.
David Guetta.
Davide Livermore.
Davide Mengacci.
Davide Parenti.
Demi Moore.
Diego Abatantuono.
Diego «Zoro» Bianchi.
Diletta Leotta.
Domiziana Giordano.
Donatella Rettore.
Donnie Yen, l'erede di Bruce Lee.
Duffy.
Ed Sheeran.
Edoardo ed Eugenio Bennato.
Elena Sofia Ricci.
Elena Sonzogni.
Elenoire Casalegno.
Eleonora Abbagnato.
Eleonora Giorgi.
Eleonora Daniele.
Elettra Lamborghini.
Elio Germano.
Elisa Isoardi.
Elisabetta Canalis.
Elisabetta Gregoraci.
Elodie.
Elton John.
Ema Stockholma.
Emma Marrone.
Emis Killa.
Enrica Bonaccorti.
Enrico Bertolino.
Enrico Brignano.
Enrico Lucherini.
Enrico Montesano.
Enrico Nigiotti.
Enrico Remigio: il milionario.
Enrico Ruggeri.
Enrico Vanzina.
Enzo Iacchetti.
Enzo Ghinazzi-Pupo.
Enzo Salvi.
Erjona Sulejmani.
Eros Ramazzotti.
Eva Henger.
Eva Robin’s – Roberto Coatti.
Evan Seinfeld.
Eveline Dellai.
Ezio Bosso.
Ezio Greggio.
Fabio Canino.
Fabio Rovazzi.
Fabio Volo.
Fabri Fibra.
Fabrizio Corona.
Fasma.
Fausto Leali.
Federico Buffa.
Federico Zampaglione.
Ferdinando Salzano.
Ficarra e Picone.
Fiordaliso.
Fiorella Mannoia.
Fiorella Pierobon.
Fiorello Catena.
Fiorello Rosario.
Flavio Briatore.
Francesca Brambilla: "Bonas".
Francesca Calissoni.
Francesca Cipriani.
Francesca Sofia Novello.
Francesco Baccini.
Francesco Facchinetti.
Francesco Gabbani.
Francesco Guccini.
Francesco Sarcina e le Vibrazioni.
Franco Nero.
Franco Simone.
Franco Trentalance.
Fred De Palma.
Gabriel Garko.
Gabriele e Silvio Muccino.
Gegè Telesforo.
Gemma Galgani.
Gene Gnocchi.
Georgina Rodriguez.
Gerardina Trovato.
Gerry Scotti.
Ghali.
Gialappa’s Band.
Giancarlo Giannini.
Giancarlo Magalli.
Gianfranco D' Angelo.
Gianfranco Vissani.
Gianluca Grignani.
Gianluca Fubelli: in arte Scintilla.
Gianna Dior.
Gianna Nannini.
Gianni Morandi.
Gianni Sperti.
Gigi Proietti.
Gina Lollobrigida.
Gino Paoli.
Giobbe Covatta.
Giorgio J. Squarcia.
Giorgio Moroder.
Giorgio Panariello.
Giovanna Civitillo.
Giovanna Mezzogiorno.
Giovanna Ralli.
Giovanni Allevi.
Giovanni Benincasa.
Giovanni Muciaccia.
Giovanni Veronesi.
Giuliana De Sio.
Giulia Di Quilio.
Giulio Rapetti: Mogol.
Giuseppe Cionfoli.
Giuseppe Povia.
Giuseppe Vetrano.
Gue Pequeno.
Gwyneth Paltrow.
Heather Parisi.
Helen Mirren.
Hitomi Tanaka.
Hoara Borselli.
Ilona Staller, per tutti Cicciolina.
Imen Jane.
Imma Battaglia.
Ines Trocchia.
Irene Ferri.
Isabella De Bernardi.
Isabella Orsini.
Isabella Rossellini.
Iva Zanicchi.
Ivan Gonzalez.
TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
J-Ax.
Jacopo D’Emblema.
Jake Lloyd.
Jamie Lee Curtis.
Jane Birkin e Serge Gainsbourg.
Jason Momoa.
Jennifer Lopez.
Jerry Calà.
Jessica Rizzo, ovvero Eugenia Valentini.
Jim Carrey.
Joaquin Phoenix.
Joe Bastianich.
Johnny Depp.
Johnny Dorelli.
Jon Bon Jovi.
Jonas Kaufmann.
Jordan Jeffrey Baby, ossia Jordan Tinti.
Julija Majarcuk.
Julio Iglesias.
Junior Cally.
Justin Bieber.
Justin Timberlake.
Justine Mattera.
Katia Follesa.
Katia Ricciarelli.
Keanu Reeves.
Kevin Spacey.
Kim Kardashian.
Kristen Stewart.
Lacey Starr.
Lady Gaga.
Lando Buzzanca.
Laura Pausini.
Le Calippe: Debora Russo e Romina Olivi.
Le Donatella: Giulia e Silvia Provvedi.
Led Zeppelin.
Lele Mora.
Le Las Ketchup.
Le Lollipop.
Leo Gullotta.
Leonardo DiCaprio.
Levante.
Liana Orfei.
Ligabue.
Liliana Fiorelli.
Lillo&Greg.
Lino Banfi.
Lo Stato Sociale.
Loredana Bertè.
Lorella Cuccarini.
Lorenzo Battistello.
Lorenzo Cherubini: Jovanotti.
Lory Del Santo.
Luca Argentero.
Luca Barbareschi.
Luca Bizzarri e Paolo Paolo Kessisoglu.
Luca Ferrero.
Luca Guadagnino.
Luciana Turina.
Luigi Calagna e Sofia Scalia: Me contro Te.
Luigi Mario Favoloso.
Luisa Ranieri.
Lulu Chu.
Luna Star.
Macauley Culkin.
Maccio Capatonda: Marcello Macchia.
Madonna.
Maitland Ward.
Malcolm McDowell.
Malena Mastromarino.
Manila Nazzaro.
Manlio Dovì.
Manuela Arcuri.
Mara Maionchi.
Mara Venier.
Marcella Bella.
Marcia Sedoc.
Marco Bellocchio.
Marco Carta.
Marco Castoldi, in arte Morgan.
Marco Giallini.
Marco Giusti.
Marco Masini.
Marco Mazzoli.
Marco Milano.
Marco Predolin.
Margherita Sarfatti.
Maria Cristina Maccà: la Mariangela e Uga Fantozzi.
Maria De Filippi.
Maria Giovanna Elmi.
Maria Grazia Cucinotta.
Maria Teresa Ruta.
Marianna Pizzolato.
Mario Salieri.
Marilena Di Stilio.
Marina La Rosa.
Marina Mantero.
Marino Bartoletti.
Mario Biondi.
Marisa Bruni Tedeschi.
Marisa Laurito.
Marta Losito.
Martina Colombari.
Martina Smeraldi.
Mason.
Massimo Boldi.
Massimo Cannoletta de “L’Eredità”.
Massimo Ceccherini.
Massimo Ghini.
Massimo Giletti.
Matilda De Angelis.
Matt Dillon.
Matthew McConaughey.
Maurizia Paradiso.
Maurizio Battista.
Maurizio Costanzo.
Maurizio Ferrini.
Mauro Coruzzi, in arte Platinette.
Max Felicitas.
Max Giusti.
Max Pezzali e gli 883.
Mel Gibson.
Mia Khalifa.
Mia Malkova.
Michael Stefano.
Michela Miti.
Michele Bravi.
Michele Cucuzza.
Michele Duilio Rinaldi.
Michele Mirabella.
Michelle Hunziker.
Miguel Bosè.
Mika.
Mick Jagger.
Milly D’Abbraccio.
Milva.
Mina.
Mingo De Pasquale.
Mirko Scarcella.
Myss Keta.
Myrta Merlino.
Monica Bellucci.
Monica Leofreddi.
Monica Setta.
Monica Vitti.
Morena Capoccia.
Morgana Forcella.
Nadia Bengala.
Nancy Brilli.
Nanni Moretti.
Noemi Blonde.
Naomi Campbell.
Niccolò Fabi.
Nicola Di Bari.
Nicola Savino.
Nicole Grimaudo.
Nicoletta Mantovani.
Niko Pandetta.
Nicolò De Devitiis.
Nina Moric.
Ninetto Davoli.
Nino Formicola.
Nino Frassica.
Oasis. Liam e Noel Gallagher.
Oliver Stone.
Orietta Berti.
Orlando Bloom.
Ornella Muti.
Ornella Vanoni.
Ottaviano Dell'Acqua.
Pamela Anderson.
Paola Barale.
Paola e Chiara.
Paola Ferrari.
Paola Perego.
Paola Pitagora.
Paola Saulino.
Paola Turci.
Paolina Saulino.
Paolo Bonolis.
Paolo Conte.
Paolo Conticini.
Paolo Jannacci.
Paolo Ruffini e Diana Del Bufalo.
Paolo Sorrentino.
Paolo Virzì.
Pasquale Panella.
Patty Pravo: Nicoletta Strambelli.
Patrizia De Blanck.
Patrizia Mirigliani.
Patti Smith.
Paul McCartney.
Peppino Gagliardi.
Peppino di Capri.
Peter Gabriel.
Pierfrancesco Favino.
Pier Luigi Pizzi.
Piero Chiambretti.
Piero Pelù.
Pif.
Pilar Fogliati.
Pino Donaggio.
Pino Scotto.
Pino Strabioli.
Pio e Amedeo. Pio d’Antini e Amedeo Grieco.
Pippo Baudo.
Pippo Franco.
Placido Domingo.
Plinio Fernando.
Pooh.
Quentin Tarantino.
Raffaella Carrà.
Rancore.
Raoul Bova.
Red Ronnie.
Renato Zero.
Renzo Arbore.
Riccardo Cocciante.
Riccardo Muti.
Riccardo Scamarcio.
Ricchi e Poveri.
Righeira.
Ringo.
Ringo Starr.
Rita Dalla Chiesa.
Rita Pavone.
Rita Rusic.
Robert De Niro.
Roberta Beta.
Roberta Bruzzone.
Roberto Benigni.
Roberto Bolle.
Robbie Williams.
Rocco Papaleo.
Rocco Siffredi.
Rocco Steele.
Rodrigo Alves, il "Ken Umano".
Rockets.
Rosanna Lambertucci.
Roy Paci.
Sabina Ciuffini.
Sabrina Ferilli.
Sabrina Salerno.
Sally D’Angelo.
Salvo Veneziano.
Samantha De Grenet.
Sandra Milo.
Sara Croce: "Bonas".
Sara Tommasi.
Sarah Slave.
Sean Connery.
Selena Gomez.
Serena Grandi.
Serena Rossi.
Sergio e Pietro Castellitto.
Sergio Sylvestre.
Sergio Staino.
Sfera Ebbasta.
Shannen Doherty.
Shara: al secolo Sarah Ancarola.
Sharon Mitchell.
Sharon Stone.
Silvia Rocca.
Simona Izzo.
Simona Ventura.
Sinead O'Connor.
Skin.
Sofia Siena.
Sonia Bergamasco.
Sophie Turner.
Sylvie Lubamba.
Spice Girls.
Stefania Sandrelli.
Stefano Bollani.
Stefano Fresi.
Stella Usvardi: Kicca Martini.
Steve Holmes.
Susanna Messaggio.
Suzanne Somers.
Tazenda.
Taylor Mega.
Taylor Swift.
Tecla Insolia.
Teo Teocoli.
The Kolors.
Tinto Brass.
Tiromancino.
Tiziano Ferro.
Tom Hanks.
Tommaso Paradiso.
Tommaso Zorzi.
Tony Binarelli.
Tony Colombo e la moglie Tina Rispoli.
Tony Dallara.
Tony Sperandeo.
Tony Vilar.
Tosca Tiziana Donati.
Traci Lords.
Uccio De Santis.
Umberto Smaila.
Umberto Tozzi.
Ursula Andress.
Valentina Nappi.
Valentina Pegorer.
Valentina Sampaio.
Valentine Demy alias Marisa Parra.
Valeria Curtis.
Valeria Marini.
Vanessa Incontrada.
Vasco Rossi.
Vera Gemma.
Verona van de Leur.
Veronica Maya.
Victor Quadrelli.
Victoria Cabello.
Vincenzo Mollica.
Viola Valentino.
Vittorio Brumotti.
Vittorio Cecchi Gori.
Vladimir Luxuria.
Wanda Nara.
Willie Garson.
Wilma Goich ed Edoardo Vianello: I Vianella.
Zaawaadi.
Zucchero.
QUARTA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
70 anni di moda e glamour in mostra.
Sanremo 2020, le 10 canzoni più bizzarre mai presentate in gara.
I Comizi di Sanremo.
Sanremo in salsa Leopolda.
Finalmente Sanremo…oltre le polemiche.
Il Debutto.
La Seconda Serata.
La Terza Serata.
La Quarta Serata.
L’ultima Serata.
Pronti per Sanremo 2021.
QUINTA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Le competizioni stravaganti.
Gli Spartani: i masochisti dello sport.
I Famelici.
Quelli che…Lottano.
Quelli che l’Atletica.
Quelli che…le Biciclette.
Quelli che…il Calcio.
Quelli che…la Palla a Volo.
Quelli che…il Basket.
Quelli che…Il Rugby.
Quelli che…i Motori.
Quelli che…il Tennis.
Quelli che…le Lame.
Quelli che…sulla Neve.
Quelli che…il Biathlon.
Quelli che …in Acqua.
Quelli che…lo Skate.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
· Un Giro di …Giostra.
Rovigo, un altro giro di giostra: "Così conquistiamo il mondo". Nel distretto del Polesine il cuore dell'industria italiana del divertimento. Vale 250 milioni. E punta sull'export. Daniela Uva, Domenica 02/02/2020, su Il Giornale. Un giro di giostra non è solo divertimento, spensieratezza, adrenalina, un istante per provare a tornare bambini. Un giro di giostra è anche un business, che in Italia muove tantissimi soldi e garantisce posti di lavoro. L'industria delle attrazioni nel nostro Paese ha il suo distretto produttivo: la provincia di Rovigo. Proprio qui, nel cuore del Veneto, sono concentrate 70 aziende che complessivamente possono contare su 500 addetti e un fatturato da oltre 150 milioni di euro l'anno, che diventano 250 milioni se si aggiunge l'indotto costituito dai fuochi pirotecnici. La cifra sale a 500 milioni quando nel conto finiscono tutte le realtà italiane attive nel comparto. La maggior parte degli affari dipende dalle esportazioni, che rappresentano più del 90 per cento del lavoro. Perché i clienti dei giostrai del Polesine sono per lo più i grandi luna-park fissi disseminati in Europa sono circa 300 e oltre 30mila imprese coinvolte nelle diverse manifestazioni temporanee sul continente, che ogni anno attirano qualcosa come un miliardo di visitatori e 600 milioni di euro di fatturato. Ma le giostre venete sono in grado di arrivare anche molto più lontano. I mercati extraeuropei più interessati alle attrazioni italiane sono Medio Oriente (11 per cento del fatturato totale), America settentrionale (10 per cento), America latina (5 per cento), Estremo oriente (4 per cento), Asia centrale (2 per cento), Australia e Nuova Zelanda (1 per cento). Naturalmente ci sono anche i parchi italiani sono circa 90 quelli fissi con seimila gestori e più di tremila attrazioni medio-grandi, che ogni anno offrono divertimento a circa 18 milioni di utenti. Insomma, quella delle giostre venete è una vera e propria industria. Che è stata capace di sopravvivere, e rilanciare, anche negli anni più bui della crisi economica. Le imprese attive offrono, infatti, moltissimi servizi. Costruiscono giostre tradizionali e attrazioni avveniristiche destinate ai luna park, ma producono anche spettacoli pirotecnici che poi portano in giro per il mondo. La filiera comprende anche aziende meccaniche ed elettromeccaniche, studi di progettazione e design, imprese che costruiscono rimorchi, allestiscono caravan, realizzano casse e biglietterie, organizzano manutenzione, restyling e rottamazione delle giostre troppo datate. È così che in questo territorio è nato un nuovo miracolo italiano, che produce reddito, lavoro e divertimento. Perché se è vero che i luna park tradizionali soffrono, è altrettanto vero che i grandi parchi, tematici e non, sono ancora amatissimi. Così come le ruote panoramiche, le giostre di cavalli, i labirinti degli specchi e le autoscontro. Di generazione in generazione il loro fascino si perpetua, facendo ancora sognare grandi e bambini. Anche grazie alla tecnologia, che permette a queste macchine del divertimento di diventare sempre più sorprendenti. E così le aziende italiane investono molto anche nella ricerca, con l'obiettivo di realizzare ruote sempre più alte, da gestire attraverso il controllo remoto e dotate di cabine con l'aria condizionata, accessibili anche alle persone diversamente abili. Fra le ultime nate ci sono quelle che permettono agli utenti di regolare la velocità dall'interno e di decidere il grado di rotazione fino a 360 gradi. Allo studio ci sono anche giostre realizzate con materiali più leggeri, resistenti e in grado di funzionare con le energie rinnovabili. Perché un giro di giostra è tradizione e memoria. Ma anche innovazione e futuro.
· Nudi e crudi.
Cinzia Romani per “il Giornale” il 26 luglio 2020. Nuda e cruda. Di luna e d' ebano. Nera, bianca e umana. Comunque pelle. Desiderata, esposta ai quattro venti e ai mille set d' un cinema della nudità che adesso fa i conti con un evento speciale: la pandemia. E perciò si chiude al derma sventolato per cultura e per soldi ed evita i contatti intimi tra attori, grazie alla tecnologia CGI: senza veli, sì, ma da soli e davanti a un telone verde, in compagnia d' un plotone di ufficiali del Coronavirus, ingaggiati dalle produzioni quali medici di sorveglianza mentre si gira. Più importanti loro, al momento, di qualsiasi produttore aggiunto o star di fascia alta. Eppure, fino a ieri tutti abbiamo visto le più iconiche scene di nudo, molte delle quali sono rimaste un culto segreto, da consumarsi online nell' epoca del politicamente corretto. Così arriva a proposito, come un' eco familiare da un altro pianeta Skin: A History of Nudity in the Movies (Pelle: storia del nudo al cinema), interessante film documentario americano di Danny Wolf, con varie «teste parlanti» - dall' attore Malcolm McDowell, protagonista di Arancia meccanica, a Traci Lords, indiscussa regina del porno anni Ottanta; dal regista Peter Bogdanovich, autore di Paper Moon, ma soprattutto del dirompente (per il 1971) The Last Picture Show, alla nipotina attrice di Ernest Hemingway, Mariel -, impegnate a raccontare come hanno vissuto lo spogliarsi davanti alla troupe e che cosa volesse dire, nei non dimenticabili tempi immuni dalla censura preventiva, recitare come mamma t' ha fatto. Tale docufilm, disponibile dal 18 agosto sul canale YouTube e sulle piattaforme digitali on demand, distribuito da Quiver Distribution e prodotto da Paul Fisher e da Mister Skin, aka Jim McBride, sacerdote della pelle esposta, studia i cambiamenti della morale per il tramite dei nudi cinematografici. Dai tempi del muto, quando Hollywood cominciava a sembrare la Gomorra sul Pacifico, ai giorni nostri, flagellati dal virus che impone sui set i cosiddetti Intimacy Coordinators, i «coordinatori d' intimità» che stabiliscono chi può toccare chi. Passando in rassegna film celebri come Un uomo da marciapiede (1969) di John Schlesinger, con un simpatico e bravissimo John Voight, fiore nel fango di Manhattan, che faceva il texano prostituto di uomini e donne o come il più recente 50 sfumature di grigio, oggi impensabile. Questa narrazione del nudo, incentrata sulle variazioni degli stili politici, sociali e artistici attraverso l' uso della pelle esibita, si focalizza anche sulla disuguaglianza di genere. Presentando molte scene che oggi andrebbero riscritte, quando non bocciate sul nascere. Che cosa sono le scene di nudo, infatti, nell' era del #MeToo, calcolando che a mettersi comode erano soprattutto le donne? Soltanto di recente, infatti, attraverso vari film sull' omosessualità maschile, gli uomini compaiono nature. «Quattro amici in cerca di sesso mi filmano nuda, a mia insaputa, e io, poi, me ne torno a casa senza che essi ne abbiano il minimo contraccolpo? Col #MeToo, sarebbero sorti problemi», dice nel documentario Shannon Elizabeth, sex-symbol di Scary Movie e di altri film sporcaccini per adolescenti, che incarnava Nadia, studentessa pronta a perdere la verginità in American Pie (1999). Ora l' attrice dal look esotico (papà siriano), ex-modella e tennista, s' interroga sugli standard in evoluzione, ma vent' anni fa il suo spogliarello la lanciò nell' impero dei sensi. Anche Mariel Hemingway, classe 1961, qui affronta la questione dei benefici apportati alla sua carriera dal nudo. Reginetta di Playboy, senza niente addosso in Star 80, la sorella minore di Margaux Hemingway ha interpretato la ragazza 17enne di Woody Allen in Manhattan, destando quindi scalpore nella serie tv USA Civil Wars, criticata anche dalla figlia Dree. «Mi dissero: Via i vestiti! e quelli della troupe videro la mia faccia diventare fucsia», narra Mariel, mentendo sul fatto che gli addetti al set la guardassero in faccia. Ma non tutte sono state fortunate come lei e la Elizabeth. Pam Grier, pietra miliare del nudo nero nei Settanta della controcultura e archetipo femminile della blaxploitation, ovvero lo sfruttamento del corpo afroamericano, visto come selvaggio e appetibile, si lamenta d' aver fatto «lo zucchero di canna» in Foxy Brown' s (1974) di Jack Hill. «Eravamo in piena liberazione sessuale e mi toccava la parte dell' icona del sesso nero», spiega Pam, idolo di Quentin Tarantino che nel 1997 le ha dedicato il film Jackie Brown e musa di Spike Lee. Soltanto la parola blaxploitation oggi è bandita dal movimento #BlackLivesMatter, che non tollera il cinema di genere. Siamo tornati al Codice Hays, citato da Skin e che, dal 1934 al 1968, censurava quanto risultasse licenzioso? Se c' è una stella che ha capovolto ogni schema, volgendolo in suo favore, è quella di Marilyn Monroe, nuda in piscina nel film incompiuto di George Cukor Something' s Got to Give (1962). Fu l' ultima pellicola in cui recitò la diva biondo platino, licenziata per assenteismo e morta nello stesso anno, in circostanze oscure. Che Marilyn fosse a suo agio senza abiti è palese: basta rivedere la nota foto di lei, con i fratelli Kennedy imbambolati e un abito in tulle e paillette, cucito addosso al suo corpo esibito senza filtri. Di sicuro, oggi lei non userebbe la mascherina, né accetterebbe la realtà virtuale degli amplessi, girati ognuno in separata sede.
· Il Cinema delle donne e dei Gay.
DAGONEWS il 21 maggio 2020. Volete fare un tuffo nel passato? Allora lasciatevi trasportare nel magico mondo della golden age di Hollywood attraverso le pagine della star del cinema britannico David Niven che ripercorre il suo rapporto con l’uomo che era maestro nell’arte della seduzione: Cary Grant. «Il primo giorno in cui Cary Grant, il perfezionista, entrò in casa mia, mi resi conto immediatamente che aveva un marcia in più. Increspò le labbra, emise rumori fragorosi e cominciò a raddrizzare i miei quadri. Negli anni a venire, ha compiuto generosi sforzi per raddrizzare la mia vita privata avvertendomi delle stranezze e delle peculiarità di varie donne, dandomi consigli complicati su come recitare una parte in un film che stavo girando con lui e promettendo che avrebbe potuto curare la mia dedizione al whisky scozzese ipnotizzandomi. Queste offerte di aiuto erano spontanee e genuine, e se non miglioravano sensibilmente le mie mancanze, mi aiutavano almeno a capire che se Cary passava gran parte del suo tempo a preoccuparsi di se stesso, ne trascorreva molto più a preoccuparsi degli altri. Il suo bisogno di avere un corpo perfetto era a dir poco mistico. Sembrava, si muoveva e si comportava come un uomo di 15 o 20 anni più giovane. «Mi ritengo solo magro e succede» gli piaceva dire, dimenticando la sua dieta, i suoi allenamenti quotidiani e gli appuntamenti con il massaggiatore. Gli sforzi di Cary nell'ipnotismo era ammirevoli ed era certamente riuscito a smettere di fumare dicendo ripetutamente per settimane: «Le tue dita sono gialle, il tuo alito puzza e fumi solo perché sei insicuro». È molto facile scrivere della bravura di Cary Grant come attore, entusiasmarsi del modo in cui si comportava da grande star e stupirsi della straordinaria compostezza che mostrava sullo schermo - apparendo completamente rilassato e quindi, come una calamita, attirando l’attenzione di chi lo guardava. Ma è un'altra cosa cercare di descrivere Cary l'individuo privato, perché era un fuoco fatuo. Passava rapidamente da un matrimonio all’altro e colmava il tempo tra una storia importante e un’altra innamorandosi della maggior parte delle donne. «Il trucco – diceva – è essere rilassato. Se riesci a raggiungere il vero relax, puoi fare l'amore per sempre». Cary era gentile e premuroso e lo amavano tutti con affetto e si lanciava in ogni storia d’amore come se fosse stato messo al mondo per quello. Se le sue disillusioni erano molte, le sue sconfitte erano poche e lui, sempre con grande galanteria, si prendeva la colpa quando le cose andavano male, dicendo che era stato troppo egocentrico per dare alla relazione una possibilità adeguata. Mostrava una grande capacità di recupero quando le cose non funzionavano e la sua ricetta era riprovare con un’altra donna che avesse lo stesso aspetto dell’ultima. Quando incontrò Sophia Loren, Cary si innamorò di lei, ma superò la delusione con la tipica alacrità dopo che Sophia gli annunciò che stava per spostare il produttore Carlo Ponti. Dopo aver ricevuto la notizia, Cary lasciò tutto e partì con “l’edizione” più giovane e più voluttuosa di Sophia, una donna chiamata Luba, una giocatrice di pallacanestro jugoslava».
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” l'8 maggio 2020. Hollywood , la serie Netflix di Ryan Murphy ( Glee, American Crime Story, The Politician ) racconta di un gruppo di giovani aspiranti attori e registi che nel secondo dopoguerra cercano il successo nel favoloso mondo del cinema e nella sua industria di maggiore successo. A reggere il tutto (sette puntate) ci sono due storie vere. Quella di Peg Entwistle, un' attrice che non riuscendo a far carriera si arrampica fino alla cima della lettera H della Hollywood Sign e salta nel vuoto, uccidendosi. Aveva 24 anni. E quella di Scotty Bowers, il gigolò dell' età d' oro di Hollywood, il benzinaio di Hollywood Boulevard che divenne un' attrazione sessuale per tante star e che forniva aitanti giovanotti a quei divi che non potevano rivelare la loro omosessualità (per la California era reato, per il Cinema la fine di un sogno erotico: inconcepibile che un divo come Cary Grant non spartisse il suo letto con una divina!). In virtù di una frenetica attività sessuale (anche i maschietti pagavano dazio al divano del produttore), Hollywood ricorda quella sordida sconsideratezza che anima le pagine di un libro cult come Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, dove le molte storie oscure altro non sono che il nutrimento della luce irreale dello schermo. Ma con lo stile ironico e ucronico di Murphy, Hollywood si capovolge via via in una storia edificante, di riscatti sociali, di discriminazioni redente (ci sono un regista e un' attrice asian american, uno sceneggiatore gay afroamericano, un' attrice afroamericana e un attore gay), di omaggi che i vizi dovrebbero rendere alla virtù, di premi Oscar che avrebbero dovuto mettere tutto a posto, affrancando l' omosessualità, la negritudine, la prostituzione, riparando a tutte le ingiustizie compiute all' interno dello Star System (la cattiveria è equanimemente distribuita). La scrittura è quella del melodramma, con tutta l' enfasi sentimentale che il genere giustamente comporta.
Natalia Aspesi per “la Repubblica” il 5 maggio 2020. Cosa legava negli anni luminosi del ritorno alla pace gli Studios di Hollywood a un distributore di benzina in Hollywood Boulevard? Che cosa condividevano le dive e i divi più famosi e i giovani e aitanti benzinai appena ritornati dalla guerra? Il sesso, ovvio, ed è da questo ricordo che parte la miniserie Hollywood, sette puntate di una certa vivacità sessuale che, con la scusa di raccontarci come la città dei sogni avrebbe potuto allora rivoluzionare il mondo (ma non lo fece), spoglia e intreccia allegramente i corpi nudi dei suoi personaggi senza preoccuparsi di classificazioni noiose, tipo etero o omo, per amore o per denaro, o semplicemente perché (allora?) accettare le molestie era un passaporto verso la celebrità. Brividi su brividi certamente da parte degli incolpevoli reclusi che da domani potranno vederlo su Netflix, massimo conforto all’attuale eccesso di castità per chi ancora pensa a quelle cose lì. L’autore è Ryan Murphy, 55 anni, un marito e due figli, già adorato dagli spettatori di ogni appartenenza LGBTQIA più i tradizionalisti, per le celebri serie Pose, Glee e altre in bilico tra musical e transessualità. Hollywood racconta la storia di un gruppo di giovani che arrivando dall’America profonda sognano di entrare a Tinseltown, la città delle favole, e diventare ricchi e famosi: come i divi del momento, Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, come Ava Gardner e Burt Lancaster. La fortuna, per quegli intrepidi, almeno per i maschi, non parte dai cancelli degli Studios dove ogni mattina una folla di sconosciuti aspetta di essere scelto come comparsa e poi chissà, ma da quella stazione di servizio dove si fermano i macchinoni dei potenti per fare benzina e pronunciare la parola chiave, “Dreamland”, e subito un bel ragazzo salirà accanto alla matura signora e soprattutto a signori di ogni età. E questo è storico, c’è un documentario recente tratto dalle memorie di Scotty Bowers (morto l’ottobre scorso a 96 anni) a suo tempo bellissimo ex marine che intraprese la fruttuosa carriera come benzinaio in Hollywood Boulevard, contrattando le sue cortesie con ospiti che mai avrebbero potuto rivelare la loro omosessualità, in California un reato, per l’industria del cinema la morte: da Gore Vidal a Cole Porter, da Edgar Hoover a Alfred Kinsey, a “Wally e Eddie” i duchi di Windsor sempre in coppia. Più naturalmente i grandi del cinema, George Cukor e le sue feste scatenate, certi uomini fascinosissimi tipo Tyrone Power e purtroppo il nostro adorato Cary Grant, i cui baci a Ingrid Bergman ci avevano tramortito (Notorius), in realtà per anni compagno di un altro maschio maschilissimo, Randolph Scott, e costretto a sposarsi (cinque volte); come del resto, ma per fortuna sua una sola volta con la sua segretaria lesbica, chi sarebbe diventato una clandestina icona omo, Rock Hudson, che solo morendo di Aids nel 1985 si rivelò. Lo ritroviamo un po’ tontolone, unico nome reale, tra i giovani benzinai aspiranti alla fama della miniserie, tutti legati a un progetto, raccontare la storia (vera), di Peg Entwistle, una biondina inglese che non riuscendo a far carriera a 24 anni si suicidò gettandosi dalla H della enorme insegna “Hollywood”. Ma come potevano i grandi Studios finanziare un film scritto da un nero omosessuale, diretto da un mezzo filippino che pare bianco e vorrebbe come protagonista la bellissima ragazza che vive criminalmente con lui, in quanto afroamericana, ma allora si diceva nigger? Un film così allora non poteva essere fatto, nessun cinema del Sud l’avrebbe proiettato, ci sarebbero stati tumulti, e pure qualche linciaggio. Dal 1934 vigeva per il cinema il codice Hays, che oltre a impedire letti matrimoniali nei film anche per coppie coniugate, proibiva accenni a “perversioni” come l’omosessualità e l’integrazione razziale. I neri potevano apparire solo come servitù anche un po’ ridicola e le potentissime, ricchissime case di produzione ubbidivano. Murphy mostra altri razzismi accaduti, come quando la cinoamericana Anna May Wong, dopo un provino commovente, fu sostituita da Luisa Rainer, una tedesca truccata da cinese nel lacrimoso La buona terra. O ricorda Hattie McDaniel, la nera cicciona Mami, cameriera di Rossella in Via col vento, la prima persona di colore a vincere un Oscar (1939) come attrice non protagonista, a cui alla premiazione fu impedito di sedersi con gli altri vincitori. Quante volte abbiamo visto quel film arrivato da noi nel dopoguerra? L’abbiamo sempre adorato, lo rivedremmo anche adesso, non accorgendoci mai del suo razzismo, Mami che parla come una deficiente almeno nel doppiaggio italiano, i neri cattivi che vogliono far male alla povera Rossella, il Ku Klux Klan buono che la salva. Ma Murphy e i suoi collaboratori sono davvero geniali, perché se denunciano l’ipocrisia di quella Hollywood (che era anche di tutta l’America), poi si inventano una serie di happy ending allora obbligatori per melensaggine, rendendoli del massimo ardimento: signore anziane con le loro pessime pettinature di legno che si prendono il potere, potenti produttori razzisti che vogliono darsi ai diritti civili, omosessuali clandestini che si fidanzano apertamente con i loro innamorati. Ma non si poteva esagerare, e infatti il film trasgressivo, che finalmente gli ex benzinai hanno potuto fare, non finisce col suicidio della protagonista, ma con gli innamorati che si baciano, in dissolvenza.
Gianmaria Tammaro per “la Stampa” il 4 maggio 2020. La Hollywood di Ryan Murphy e di Ian Brennan, in streaming su Netflix, è un affresco mozzafiato pieno di colori, di attori e di musica. È una celebrazione dello star system e contemporaneamente una critica ferocissima a chi a lungo ha voltato la testa dall' altra parte, e ha fatto finta di niente. Dice Murphy che questa era un' idea che aveva da molto tempo: voleva raccontare una storia ambientata negli anni Quaranta, che fosse piena di speranza e di ottimismo. «Ricordo che dopo The Assassination of Gianni Versace andai a cena con Darren Criss e cominciammo a parlare di una stazione di benzina dove i dipendenti andavano a letto con alcuni personaggi dello spettacolo. Ho provato a immaginare cosa sarebbe successo se Hollywood, a quei tempi, avesse davvero fatto tutto il possibile per mostrare il mondo per quello che era». E cioè un mondo complesso, ricco di diversità, di differenze, di passione, ma non per questo condannabile o criticabile. In Hollywood c' è la finzione del racconto - una troupe e uno studio guidato da una donna che provano a mettere insieme un film scritto da un afroamericano omosessuale e con una protagonista di colore - e c' è anche, però, la verità della storia. «Ero interessato alle vite di attori come Anna May Wong, Hattie McDaniel e di Rock Hudson - spiega Murphy - perché non hanno mai avuto la possibilità di essere liberi e di essere celebrati per quello che erano. Furono vittime del sistema». Costretti a nascondersi, a mentire, relegati a ruoli banali, che li mortificavano come persone e come artisti. Una donna di colore poteva interpretare solo la serva. Una donna di origini asiatiche non poteva essere protagonista. E un uomo doveva essere un macho, un sex symbol, un divo.
Lente d' ingrandimento. Hollywood è sempre stata una lente di ingrandimento sulla nostra società e su quello che siamo; è sempre stata un' esagerazione dei nostri desideri e, allo stesso tempo, delle nostre paure. «Ho un legame particolare con quel periodo storico - continua Murphy -. Mia nonna mi raccontava storie di quegli anni, e in particolare mi raccontava di Rock Hudson. Mi diceva che Hudson era gay, e ricordo di aver pensato: quindi c' è qualcun altro come me.Sono cresciuto in Indiana e non ho mai avuto nessun esempio da seguire, nessun modello da cui lasciarmi ispirare; mi sentivo solo». Hollywood vuole rivolgersi a chiunque, parla allo spettatore, usa la potenza dell' immaginazione per dire qualcosa e proprio nel finale regala dei momenti straordinari ai suoi protagonisti, come Jim Parsons, che interpreta il terribile Henry Wilson, un agente di attori. «All' inizio - dice Murphy - non ha accettato. Ma quando l' ha fatto, si è impegnato fino in fondo. Ha indossato le lenti a contatto e la parrucca ogni giorno, ha messo i denti finti, e ha cambiato il suo modo di camminare. Ha lavorato duramente alla scena in cui balla, e quando l' ha finita è stato applaudito da tutta la troupe. Ho fatto vedere il girato a Meryl Streep, mentre stavamo lavorando a The Prom, e lei ha detto: è straordinario. E se lo dice lei, è sicuramente così». Il senso di questa serie, la sua appassionata visione di quello che non solo potremmo essere, ma pure di quello che dovremmo provare a diventare, si riassumono nel potere che hanno le storie e chi le racconta. «I film che vediamo al cinema - conclude Murphy - possono insegnarci lezioni molto importanti. Ci mostrano come amare, come stringere amicizie e farsi nemici; entrano dentro di noi, sotto la nostra pelle. Hollywood, per me, è sempre stata un' insegnante. E credo che questa serie provi a ricordarcelo». E almeno qui c' è un lieto fine.
Appassiona e diverte "Hollywood", la storia del cinema rivisitata. Nella miniserie su Netflix, rivive una Golden Age vista dal basso e riscritta ipotizzando una rivoluzione di costumi guidata proprio da chi a Hollywood è sempre stato emarginato. Serena Nannelli, Venerdì 01/05/2020 su Il Giornale. La nuova serie tv di Netflix, "Hollywood", racconta le vicende di un gruppo di aspiranti attori, sceneggiatori e registi intenzionati a realizzare il Sogno Americano, non importa a quale prezzo. Indicata come una delle produzioni televisive più importanti dell’anno e firmata da Ryan Murphy, già creatore di "Glee" e "American Horror Story", "Hollywood" è ambientata nell’età dell’oro del cinema, il secondo dopoguerra. Attraverso una scalata corale verso il successo, ben mostrata nella sigla di apertura, va in scena il "dietro le quinte del dietro le quinte" del mondo del cinema, un luogo in cui compromessi sessuali, raccomandazioni, molestie e ricatti sembrano essere all'ordine del giorno. Oscillando tra dramma e commedia, così come tra realtà e finzione, i vari episodi denudano l'ipocrisia di un microcosmo sognato da tutti ma in realtà crudele, razzista e dedito alla lussuria. La narrazione segue l'incontro e le successive interrelazioni di alcuni personaggi chiave: Jack Castello (David Coronswet), aspirante attore che lavora a un distributore di benzina dove in realtà presta servizio come gigolò; Archie (Jeremy Pope), sceneggiatore disadattato perché gay e di colore; Raymond Ainsely (Darren Criss), regista per metà filippino che spera di cambiare il sistema da dentro, riuscendo quindi a far lavorare la sua fidanzata nera, Camille (Laura Harrier) e l'asiatica Anna May Wong (Michelle Krusiec), entrambe attrici relegate a ruoli minori e stereotipati a causa delle loro origini. Tutte queste persone si trovano a collaborare alla realizzazione di un film ambizioso e ambito, incentrato sulla figura di Peg Entwistle, giovane interprete britannica realmente esistita e morta suicida nel 1932, gettandosi dalla famosa scritta Hollywoodland (in origine era di 13 lettere). Ci vorrà Avis Amberg (la carismatica Patti LuPone), moglie trascurata di un magnate degli Studios, per mischiare le carte e cambiare il destino non solo di questi ragazzi di belle speranze ma anche dell'intera Mecca del cinema. "Hollywood" riesce ad appassionare e divertire, sebbene appaia spesso una serie tv visivamente artefatta e narrativamente didascalica, compiaciuta di certi dialoghi un po’ surreali e di eccessi talvolta più ridicoli che irriverenti. Il cast è ottimo, i costumi, il trucco e le acconciature magnifici. I personaggi meno giovani sono i più interessanti, col loro corredo di rimpianti e sogni delusi, ma ci si affeziona a tutti i comprimari: Roy Fitzgerald (Jake Picking), ragazzo timido e riservato destinato a diventare Rock Hudson; Henry Willson (Jim Parsons), potente e viscido agente di future star; Ernie (Dylan McDermott), ex attore riciclatosi come proprietario della stazione di rifornimento per signore sole e danarose. Concepito come un lungo film suddiviso in episodi, "Hollywood" poggia su uno spunto, in parte reale e in parte verosimile, sviluppato come un "what if" leggermente fiabesco: è un'opera revisionista alla maniera del tarantiniano "C'era una volta Hollywood…" ma, a differenza di quello, contamina l'omaggio ad un'epoca con la denuncia dei suoi aspetti più scabrosi. Non vengono enumerate soltanto le insidie che si celano lungo la strada del successo su celluloide, ma anche l'amarezza interiore che ne deriva: la rinuncia a dignità e autenticità conduce vittoriosi sulla cima, ma fa anche perdere il gusto di esserci arrivati. Si riscrive la storia di Hollywood destrutturandone i canoni entrati nell'immaginario e ipotizzando cosa sarebbe accaduto se le minoranze fossero state ascoltate anziché osteggiate. La volontà di progresso e di giustizia sociale di cui i protagonisti sono portabandiera è anacronistica ma la sua idilliaca (e forse un po' troppo zuccherosa) rappresentazione fa gioco a quel che si vuole evidenziare: il valore educativo di un medium, il cinema, in grado di cambiare il mondo e perfino di redimere se stesso.
E arriva un film su Hollywood come Babilonia. Cinzia Romani, Giovedì 02/11/2017 su Il Giornale. Hollywood Babilonia è sulla bocca di tutti, adesso: i casi Weinstein e Spacey stanno occupando le cronache, con i loro dettagli su stupri, violenze e palpeggiamenti tra celebrità. Così il docufilm del regista, giornalista e scrittore losangelino Matt Tyrnauer, Scotty and the Secret History of Hollywood, anche autore di Valentino. L'ultimo imperatore, ieri è planato sulla Festa del cinema con straordinario tempismo. Che ci fosse una storia ufficiale della fabbrica dei sogni, infiocchettata da dei della virilità, lesti al bacio romantico, mentre tutta un'altra storia, nera e dura, priva di orpelli, scorre parallela all'Età d'Oro del cinema, si sapeva. Ma la vicenda di Scotty Bowers, ex-marine belloccio addetto alla pompa di benzina, barman, traslocatore, muratore e marchettaro tra le due sponde, è talmente esemplare di quella Babilonia che è Hollywood, da meritare un cineracconto a parte. Per decadi, Scotty ha organizzato incontri a luci rosse: star come Cary Grant, Spencer Tracy, Katherine Hepburn e Rock Hudson affidavano a lui la materializzazione delle proprie fantasie sessuali gay. Con buona pace di chi ha sempre visto, nella coppia Tracy-Hepburn, l'incarnazione della nobiltà amorosa, con lui che non divorziava dalla moglie perché malata e lei che lo amava, ancorché sposatissimo. Come ha dichiarato apertamente lo scrittore Gore Vidal, che conobbe il lenone dopo la Seconda Guerra Modiale, «Scotty era il mio pappone». Un business sessuale, il suo, che si pasceva dell'estrema libertà circolante nella colonia cinematografica di Los Angeles, mentre, nella seconda metà del ventesimo secolo, cambiavano i costumi della società americana. Orge e controinformazione, insomma, tra insaziabili appetiti di Lana Turner e Ava Gardner. Qui siamo dalle parti dell'attualità LGBT, dove tutti possono accoppiarsi con tutti per 20 dollari, la paga di Scotty per arrangiare incontri ravvicinati d'ogni tipo. Prima di pubblicare le sue memorie, nel 2012, Scotty Bowers aveva una buona reputazione come procuratore di godimenti tra celebrità dei Quaranta e Cinquanta, ma attualmente il 94enne è un'icona del movimento gay: emerge uno scenario preciso, con star del passato pubblicamente eterosessuali, ma privatamente omo o bisessuali. E, proprio come nel caso di Kevin Spacey, anche Bowers è stato un bambino abusato. «Scotty presenta una contro-narrazione del mito di Hollywood, così com'è stato tramandato dopo la guerra, quando gli studi puntavano su un'immagine perfettina dell'America», ha detto Tyrnauer.
Matteo Sacchi per “il Giornale” il 4 maggio 2020. Giovani attori che cercano di emergere, comparse che si accalcano ai cancelli degli studios, vecchie glorie del cinema muto che provano a dare un senso alla loro vita bruciata nel tentativo di emergere e poi rimaste fuori dai giochi quando il sonoro ha cambiato tutto. Sbandati che provano a campare di espedienti ma sognano - pur senza arte né parte - di fare gli sceneggiatori e che sono difficili da distinguere dai veri sceneggiatori i quali, dopo essere stati buttati fuori dagli studios, campano esattamente come gli sbandati. Insomma, ecco gli anni ruggenti della capitale del cinema a Stelle e Strisce, ovvero quelli successivi alla Seconda guerra mondiale, ma raccontati dal basso, cioè con gli occhi di chi, del sogno, ha visto soltanto le briciole. Ed è meglio il lato oscuro e sporco, anche se a tratti divertente. È questo che troverete in Hollywood la nuova serie Netflix creata da Ryan Murphy (showrunner con alle spalle titoli come Nip/Tuck, Glee, American Horror Story e Pose). Ad esempio c' è Jack Castello (interpretato da David Corenswet), veterano di guerra, da poco sposato e con la moglie incinta, per di più di due pupi in un colpo solo. Lui ha una dote: è bellissimo. Sin da quando era ragazzo, visto che di altre doti non ne aveva, gliel' hanno sempre rinfacciato. Però con garbo: «Almeno sei bello». Alla fine, tornato dalla guerra, ha deciso che «bello» è la parola giusta per il cinema, e ha lasciato il suo paesello nell' America profonda. Scoprirà che negli studios occorre sfoderare altre doti, ma intanto si arrangia facendo il gigolo. C' è una pompa di benzina dove vanno a rifornirsi le annoiate mogli dei dirigenti delle majors, e le signore non hanno bisogno soltanto di gasolio... Ma alla fine può capitare che la pompa di benzina sia il posto giusto dove incontrare chi è capace di guardare oltre e farti entrare dove volevi, anche se dalla porta sul retro. E poi c' è Archie Coleman. Scrive sceneggiature impeccabili, ma ha due difetti: è nero e omosessuale. Oggi sarebbero caratteristiche che aprono molte porte, all' epoca le chiudevano tutte. Archie incontra un timido ragazzo che viene dall' Illinois che si chiama Roy Harold Fitzgerald... Il suo nome non vi dice niente? Beh, in seguito si farà chiamare Rock Hudson. Non riveliamo troppo della trama che parte dalla realtà della Hollywood di allora per crearne una ucronica, perché rovinerebbe il divertimento allo spettatore. Cerchiamo invece di rendere l' ordito. La serie poteva facilmente virare verso tinte fosche in stile Dalia Nera o L.A. Confidential di James Ellroy, invece mette in risalto il lato folle e vitale di un luogo che è stato Dreamland, ma per produrre sogni ha pescato nel torbido. Ne esce il lato umano di tutti i personaggi, i vincenti e i perdenti. C' è il marcio, ma anche il giocoso. Ci sono star di allora che vengono riscoperte con bei camei narrativi, come Anna May Wong, grande talento condannato a ruoli stereotipati in quanto di origine cinese, pur essendo una grande attrice (e uno dei personaggi più malinconici della serie). Viene a tratti da pensare a Perché corre Sammy, splendido romanzo di Budd Schulberg (lo sceneggiatore di Fronte del porto), di pochi anni precedente l' ambientazione della serie (la prima edizione è del 1941) e che descrive anch' esso, da dentro, la Hollywood ruggente. Di quella putredine vitale, oggi che cosa è rimasto? Poco. Il politicamente corretto ha sanificato molto (se non tutto), però ha anche creato un regime di creatività irregimentata, usando una sorta di manuale Cencelli delle provocazioni, sempre ben calibrate. In Hollywood, ad esempio, i momenti meno buoni sono proprio quelli in cui la provocazione sembra esibita più pensando all' oggi che a come fu lo ieri. E infatti per raccontare il passato deve giocare a ribaltarlo. Lo si vede soprattutto nel finale ucronico che rende tutto più digeribile... e si conclude con dei premi Oscar giusti assegnati con decenni di anticipo. E ciò a sua volta anticipa, moralizzando, di decenni quelle libertà che abbiamo conquistato oggi. La cosa più genuina è invece il rimpianto di un certo cinismo hollywoodiano dove, per dare corpo ai sogni, ci si sporcava le mani e si rischiava. Pagandone però poi anche il prezzo... Che spesso era salato. E questo un finale che mette tutto a posto non dovrebbe cancellarlo. Però, ammettiamolo, Hollywood ha sempre preferito l' happy end, anche se posticcio.
Antonio Abate per cineblog.it il 7 gennaio 2020. Dopo aver detto la sua in maniera perentoria su Black Panther appena qualche settimana fa, Terry Gilliam ha appena rilasciato un'altra intervista, pubblicata dall'Independent, ai cui microfoni ha avuto modo di trattare un altro argomento delicato. In coda ad un passaggio relativo ad Harvey Weinstein, dice: «Posso parlarvi di un'attrice che venne da me dicendo: «cosa devo fare per far parte del tuo film, Terry?». Non capisco perché la gente si comporti come se certe cose non accadessero da quando esistono persone di potere. Mi rendo conto che gli uomini hanno avuto più potere e più a lungo, ma sono stufo, in quanto maschio bianco, di essere incolpato di tutto ciò che c'è di sbagliato in questo mondo. Io non ho fatto niente!». Parole che oggi rischiano di destare scandalo malgrado la loro ovvietà. E non che Gilliam non si renda conto di non potersene uscire così facilmente, tanto da continuare sulla medesima linea, integrando persino una certa ironia. «Non mi piacciono i termini bianco o nero. Oramai faccio riferimento a me stesso come maschio con poca melanina (melanin-light male, in originale). Non sopporto questo comportamento semplicistico e tribalista al quale stiamo assistendo. [...] Parlo dell'essere un uomo accusato di tutti i mali del mondo perché di pelle bianca. Quindi per me è meglio non essere un uomo. Meglio non essere bianco. Ok, siccome non sono sessualmente attratto dagli uomini, debbo essere una lesbica. Cos'altro posso essere? Mi piacciono le femmine. Mi sembra soltanto l'ovvio corollario». Ma ne ha anche per il movimento MeToo, sebbene l'esortazione con cui chiosa le affermazioni che seguono tendono ad avere una valenza più ampia e trasversale. «Viviamo in un'epoca in cui il responsabile dei tuoi fallimenti è sempre qualcun altro, e non mi piace. Voglio che le persone si prendano le proprie responsabilità e non si limitino a puntare il dito sul prossimo dicendo: “mi hai rovinato la vita”».
Giorgio Carbone per ''Libero Quotidiano'' il 7 gennaio 2020. Domenica sera la serata dei Golden Globes, i premi della stampa straniera a Hollywood. Premi considerati importanti non tanto in sè (chi ricorda chi ha vinto lo scorso anno i Globe? Io no) quanto perché considerati un' opzione sui risultati dell' Oscar (l' unico riconoscimento del cinema che conti qualcosa da ottant' anni a questa parte). Chi vince il Globe ha settanta probabilità su cento di aggiudicarsi l' Academy Award cinquanta giorni dopo. Se così fosse, l' Oscar dovrebbe andare a Joaquin Phoenix (Golden per l' interpretazione di Joker), Renee Zellweger (in Judy, biografia di Judy Garland) a Parasite (Sud Corea), per il miglior film straniero (ogni speranza per il nostro Traditore è da considerarsi tramontata), a 1917 di Sam Mendes (premiato anche per la regia).
1917 sta già passando alla storia. Dei Golden Globes, perché le ha date sode al favoritissimo The Irishman di Martin Scorsese. E ha suonato mica male anche C' era una volta di Hollywood, premiato sì ma nella categoria «commedie e musical». 1917 è stato paragonato al Salvate il soldato Ryan di Spielberg, qualcuno s' è sbilanciato tanto da ritenerlo superiore («Il più bel di film bellico di tutti i tempi», addirittura). In Italia arriverà tra i paio di settimane. La storia, ambientata durante la Grande Guerra, è quella di due giovani soldati comandati a infiltrarsi tra le file nemiche per avvertire i loro commilitoni di una gigantesca trappola dei tedeschi che si sta rinchiudendo su di loro. Bene anche Chernobyl, Succession e The Loudest Voice, serie tutte disponibili on demand su Sky Box Sets e su Now Tv.
Serata movimentata. Nella serata di domenica però, i premi (25 in tutto) hanno rischiato di passare in secondo piano, oscurati dallo show del presentatore della serata Ricky Gervais. Di solito i conduttori t dei Golden e dei Globe sono compiti signori per i quali tutti sono bravi, sono meritevoli. Chi si dimentica la compitezza, paga. Qualche anno fa Billy Crystal perse il monopolio delle serate per aver parlato di «pressioni» di Cosa Nostra sul cinema italiano. Gervais invece s' è scatenato come solo possono fare coloro che sanno che possono permettersi tutto. O che non hanno nulla da perdere. Ha sparato su quasi tutti i presenti (non tutti i quali l' hanno presa bene). Ha reagito da signore Martin Scorsese che s' è preso del «tappo». Meno bene Leonardo di Caprio, del quale Ricky ha rimarcato che un' evidente predilezione per le giovanissime («La moglie in carica è troppo anziana per lui»). Joe Pesci (The irishman), più tappo di Scorsese, è stato paragonato a Baby Yoda. Felicity Huffman (Desperate housewives) sfottuta perché s' è fatta due mesi di prigione per avere allungato mazzette ai professori dei figli. Gervais certamente non s' è reso simpatico a molti executives di cinema e tv presenti in sala. Hanno tutti una cosa in comune. Sono terrorizzati da Ronan Farrow, il figlio di Mia Farrow che due anni fa diede il via allo scandalo Weinstein con le rivelazioni sui produttori mandrilli. Botte anche al politicamente corretto. La serie tv The Morning show più amata dai correct. Finanziata, dice Ricky, da una compagnia che gestisce le più schifose lavanderie cinesi, quelle dove gli operai sono i più sottopagati del mondo. Quel discolaccio di Gervais non ha avuto riguardi nemmeno per le vecchie signore del teatro decorate dalla regina. Dama Judi Dench (la M dei film su 007) ha imprudentemente dichiarato che il suo ruolo in Cats era quello che sognava da sempre. «Perché?», sostiene Ricky, «starsene col culo sul tappeto, aprire le zampe e leccarsela era il massimo per lei?».
Ricky Gervais umilia Hollywood ai Golden Globe: "Voi direste sì anche all'Isis". Il comico inglese ha usato il suo inconfondibile e caustico humour per fare a pezzi Hollywood e lo "star system": "Non sapete nulla del mondo reale". Roberto Vivaldelli, Martedì 07/01/2020, su Il Giornale. Classe 1961, come ricorda il Corriere della Sera, faceva il manager del gruppo britpop Suede, prima di trionfare con la serie "The Office": è Ricky Gervais, il comico inglese che ha presentato l’edizione numero 77 dei Golden Globe con un discorso caustico che sta facendo discutere l'opinione pubblica e i social. Gervais, di Reading nel Berkshire, laureato in filosofia all’University College di Londra ed ex cantante rock e post-punk, è famoso per il suo humour caustico e particolarimente irriverente: proprio come nella serie Netflix After Life dove interpreta magistralmente il giornalista Tony che, dopo la morte della moglie, causata da un cancro, cade in depressione e inizia a dire tutto ciò che vuole senza alcuna inibizione. E così, anche sul palco dei Golden Globe, Ricky Gervais non si è per nulla risparmiato e ha detto con il consueto distaccato e cinico sarcasmo tutto ciò che pensava dello star system, facendolo letteralmente a pezzi, alla faccia di ipocrisie e del politically correct imperante. "Sarete felici di sapere che questa è l' ultima volta che presento questi premi, quindi non mi interessa più. Sto scherzando, non mi è mai importato. Questo è chiaro non solo a me, ma anche alla Nbc per la quinta volta" ha esordito Gervais. Il comico non si è tirato indietro su nulla, nemmeno facendo battute sulle star coinvolte in scandali come Felicy Huffman, l'attrice della serie Desperate Housewives accusata di aver falsificato la prova d'ammissione al college della figlia: "Siete tutti bellissimi, tutti in tiro, siete venuti qui in Limousine. Sono venuto qui in Limousine e la targa è stata fatta da Felicity Huffman. Ma è sua figlia che mi fa pena. Dev'essere la cosa più imbarazzante che le sia mai capitata". L'attore e comico ha poi ironizzato sullo scandalo Weinstein, tirando in ballo il figlio di Mia Farrow e Woody Allen, Ronan Farrow, autore dell'articolo pubblicato sul New Yorker che è valso al giornale il Premio Pulitzer, incentrato proprio sui prsunti abusi di Weinstein. Un argomento tabù, ma non per Ricky Gervais: "In questa stanza - ha detto -ci sono alcuni dei dirigenti televisivi e cinematografici più importanti al mondo. Tutti hanno una cosa in comune: sono tutti terrorizzati da Ronan Farrow. Parlando di tutti voi pervertiti, è stato un grande anno per i film pedofili. Surviving R. Kelly, Leaving Neverland, I due papi". E dopo aver preso in giro un mostro sacro come il regista Martin Scorsese - "è troppo piccolo per andare in giro", ironizzando sulla sua bassa statura - e l'attore Leonardo DiCaprio, Ricky Gervais ha messo a nudo tutta l'ipocrisia della Hollywood benpensante e politicamente corretta: "Apple è entrata nel mondo televisivo con The Morning Show, una serie drammatica sull' importanza della dignità e sul fare la cosa giusta, realizzato da una società che gestisce sweatshops in Cina". Bene, ha poi aggiunto, "quindi voi (attori, ndr), affermate che vi siete svegliati, ma le aziende per cui lavorate? Incredibile. Apple, Amazon, Disney, se anche l'Isis avviasse un servizio di streaming, voi chiamereste il vostro agente, giusto? Quindi se stasera vincerete un premio, non usatelo come piattaforma per fare un discorso politico. Non siete in grado di insegnare al pubblico nulla. Non sapete nulla del mondo reale. La maggior parte di voi ha trascorso meno tempo a scuola di Greta Thunberg. Quindi se vincerete, venite, accettate il vostro piccolo premio, ringraziate il vostro agente e il vostro Dio e andate affanculo, ok?".
Da ''il Fatto Quotidiano'' il 7 gennaio 2020. Otto minuti per mettere in croce Hollywood. Ricky Gervais, il comico inglese che ieri notte ha presentato l' inizio delle cerimonia dei Golden Globe 2020, non ha dato tregua alla platea di Los Angeles e la sua performance è immediatamente diventata protagonista del dibattito sui social. Ecco alcune delle sue battute più velenose. Sarete felici di sapere che questa è l' ultima volta che presento questi premi, quindi non mi interessa più. Sto scherzando, non mi è mai importato. Questo è chiaro non solo a me, ma anche alla NBC per la quinta volta. Quindi, voglio dire, Kevin Hart (un altro comico, ndr) è stato licenziato dagli Oscar per alcuni tweet offensivi. Per mia fortuna, la Hollywood Foreign Press non parla inglese. Non hanno idea di cosa sia Twitter. () Siete tutti bellissimi, tutti in tiro, siete venuti qui in Limousine. Sono venuto qui in Limousine e la targa è stata fatta da Felicity Huffman (l' attrice di Desperate Housewives accusata di aver falsificato la prova d' ammissione al college della figlia, ndr). Ma è sua figlia che mi fa pena. Dev' essere la cosa più imbarazzante che le sia mai capitata. () In questa stanza ci sono alcuni dei dirigenti televisivi e cinematografici più importanti al mondo. Tutti hanno una cosa in comune: sono tutti terrorizzati da Ronan Farrow (il figlio di Mia Farrow e Woody Allen dal quale è partita l' inchiesta e il successivo scandalo su Weinstein, ndr). Parlando di tutti voi pervertiti, è stato un grande anno per i film pedofili. Surviving R. Kelly, Leaving Neverland, I due papi Molte persone di talento di colore sono state snobbate nelle principali categorie. Sfortunatamente, non possiamo farci niente. La stampa estera di Hollywood è tutta molto razzista. E io sono qui a presentare per la quinta volta, fate voi () A nessuno importa più dei film. Nessuno va al cinema, nessuno guarda davvero la tv in Rete. Tutti stanno guardando Netflix. Questo spettacolo dovrebbe essere solo io che esco, dicendo "Ben fatto Netflix. Hai vinto tutto. Buona notte" (profezia sbagliata però, Netflix esce come grande sconfitto dalla notte dei Globe, nessun riconoscimento per The Irishman, ndr) Ma no, dobbiamo trascinarlo fuori per tre ore. Potresti assistere ad abbuffate per l' intera prima stagione di Afterlife invece di guardare questo spettacolo. È uno spettacolo su un uomo che vuole uccidersi perché sua moglie muore di cancro ed è ancora più divertente di così. Attenzione: spoiler, la seconda stagione è in arrivo, quindi alla fine ovviamente non si è ucciso. Proprio come Jeffrey Epstein (l' imprenditore arrestato per abusi sessuali e traffico di minori morto in carcere la scorsa estate, ndr). So che è vostro amico ma non mi interessa. () Gli attori dei film hollywoodiani ora partecipano ad avventure fantasy senza senso. Indossano maschere, mantelli e costumi davvero stretti. Il loro lavoro non è più recitare. È andare in palestra due volte al giorno e prendere steroidi. Abbiamo un premio per il 'Miglior Tossico Palestrato'? Non ha senso, sappiamo chi lo vincerebbe () Martin Scorsese ha fatto notizia per i suoi controversi commenti sui film Marvel. Ha detto che non sono un vero cinema e gli ricordano i parchi a tema. Sono d' accordo. Anche se non so cosa stia facendo nei parchi a tema. Non è abbastanza grande per andare in giro. È piccolo (ironizzando sulla statura di Scorsese, ndr). The Irishman è stato fantastico. È stato stupefacente. C' era una volta a Hollywood, lunga quasi tre ore. Leonardo DiCaprio è andato alla premiere del film e alla fine, quando è finita, la sua ragazza era troppo vecchia per lui. Persino il principe Andrea (anche lui coinvolto nello scandalo Epstein, ndr) diceva: "Dai, Leo, amico. Hai quasi 50 anni" (). Apple è entrata nel mondo televisivo con The Morning Show, una serie drammatica sull' importanza della dignità e sul fare la cosa giusta, realizzato da una società che gestisce sweatshops (termine che indica un luogo di lavoro con condizioni povere e socialmente inaccettabili, ndr) in Cina. Bene, quindi voi (gli attori, ndr) affermate che vi siete "svegliati", ma le aziende per cui lavorate? Incredibile. Apple, Amazon, Disney, se anche l' Isis avviasse un servizio di streaming, voi chiamereste il vostro agente, giusto? Quindi se stasera vincerete un premio, non usatelo come piattaforma per fare un discorso politico. Non siete in grado di insegnare al pubblico nulla. Non sapete nulla del mondo reale. La maggior parte di voi ha trascorso meno tempo a scuola di Greta Thunberg. Quindi se vincerete, venite, accettate il vostro piccolo premio, ringraziate il vostro agente e il vostro Dio e andate affanculo, ok?
Da ansa.it il 3 gennaio 2020. Hollywood è ancora un mondo a prevalenza maschile ma nel soffitto di vetro dell'industria dei sogni si stanno aprendo alcune crepe. Il numero dei film diretti da donne che nel 2019 hanno sbancato il box office ha raggiunto livelli record, secondo un nuovo studio della Inclusion Initiative dell'Università della Southern California a Annenberg pubblicato a conclusione di un dibattito di un decennio su come Hollywood discrimini per il colore della pelle, il sesso, l'orientamento sessuale e rilanciato da Variety. Il segnale è che la polemica sul gender gap ha smosso le acque provocando un reale cambiamento. Negli ultimi 12 mesi registe come Greta Gerwig ("Piccole Donne"), Lorene Scafaria ("Hustlers"), Olivia Wilde ("Booksmart"), Lulu Wang ("The Farewell") e Melina Matsoukas ("Queen and Slim") hanno contribuito a spingere a nuove altezze la proporzione di film diretti da donne: il 10,6% dei 100 campioni di incassi al box office 2019 con due - "Frozen II" e "Captain Marvel" rispettivamente di Jennifer Lee e Anna Boden - nella Top Ten. In generale è un balzo in avanti rispetto al 2018 dove la fetta dei film diretti da donne era stato di appena il 4,5% in linea con le percentuali dal 2007 quando l'ateneo di Annenberg aveva cominciato a tenere i conti. "Finalmente le cose si muovono", ha detto Stacy Smith, che ha co-firmato lo studio, secondo cui una confluenza di fattori ha contribuito alla svolta: dall'impatto di movementi come #MeToo e Time's Up che hanno puntato i riflettori sulle assunzioni da parte degli studi, alla maggiore presenza di donne registe a festival come Sundance, in tv e sulle piattaforme in streaming come Netflix.
Maer Roshan per “Hollywood Reporter” il 3 gennaio 2020. Pochi hanno avuto più impatto di Larry Kramer sul moderno movimento per i diritti gay. E’ lui, drammaturgo, saggista e attivista, ad aver giocato un ruolo centrale negli ultimi trent’anni, così dopo la storica decisione della Corte Suprema americana dello scorso venerdì, lo abbiamo contattato. Ha appena compiuto 80 anni e finito di scrivere il sequel di “The Normal Heart”, ad aprile ha pubblicato il romanzo “The American People”, e ieri la “HBO” ha trasmesso il suo biopic “Love and Anger”, seguito da 15 milioni di spettatori.
Quale reazione ha avuto alla notizia che il matrimonio gay è legalizzato?
«Onestamente non credevo di poter vivere abbastanza da vederlo. E’ surreale. Questa generazione vivrà in un mondo meno pericoloso rispetto alle precedenti, non sarà condannata alla mia stessa infelicità. Ma non ho risentimenti. La mia rabbia ha alimentato la mia attività e la mia scrittura. Sono furioso perché il mondo è stato crudele con i gay e molti anni li ho passati nell’odio e nella vergogna. Perciò ho scritto “The American People”, ero stufo di leggere libri scritti da eterosessuali».
E’ un romanzo ma anche la storia accurata dei gay in America. Qualcuno mette in dubbio che certe figure storiche tipo Lincoln, Hamilton, Benjamin Franklin, Franklin Pierce, J. Edgar Hoover, siano state omosessuali o bisex...
«Ho fatto dieci anni di ricerche per realizzare il volume e ho raccolto ogni prova. Mi stupisce che gli storici non abbiano fatto lo stesso, creando un grande disservizio. Tony Kushner, lo sceneggiatore di “Lincoln” di Spielberg, ha tolto qualsiasi riferimento all’omosessualità del presidente. Non chiedevo una scena d’amore gay, ma un accenno alle sue relazioni sì. Hamilton, durante la guerra, scriveva lettere d’amore all’ufficiale del quale era innamorato. Sono fatti, non finzione».
Com’era la scena gay di Hollywood, quando cominciò a scrivere?
«Hollywood è sempre stato un luogo di omosessuali, solo molto discreto. Già negli anni trenta e quaranta si sapeva di Cary Grant, Randolph Scott, Barbara Stanwyck. Cole Porter era famoso per le sue feste, dove tutti gli ospiti dovevano essere nudi».
Davvero? Cole Porter sembrava un gentleman...
«Mi dispiace deluderti. Il regista George Cukor era gay e fu sostituito in “Via col vento” perché Clark Gable non voleva essere diretto da un omosessuale. George Cukor era molto amico di Katharine Hepburn. Lei e Spencer Tracy erano entrambi gay. Lo sapevano tutti».
I film hanno avuto effetto positivo o negativo sulla percezione pubblica dei gay?
«Per anni gli unici gay che si vedevano sullo schermo erano cattivi, effeminati, o entrambi. La gente non aveva idea di come fosse fatto un omosessuale nella realtà, solo recentemente si fanno ritratti più reali e onesti».
Nel documentario a lei dedicato, c’è una scena in cui sposa suo marito David su un letto d’ospedale. Si ricorda di quel giorno?
«Ero molto malato, e non di AIDS. Dovevamo sposarci alcuni giorni dopo, ma data la gravità della situazione, anticipammo tutto. Dopo il sì non riuscii nemmeno a firmare con il mio nome, sul certificato di nozze misi una X. Stavo davvero morendo, a tenermi in vita è stato David, il mio amore».
Da quanto state insieme?
«Ci incontrammo nel 1966, ci frequentammo per un po’ e ci lasciammo. Ci rincontrammo 15 anni dopo e non ci siamo più separati».
Sarà ricordato più come attivista o come scrittore?
«Tutte e due si può? Sono uno scrittore, ma l’attivismo ce l’ho nelle ossa. Mi occupo di letteratura, anche se prendo posizioni politiche. Questi sono giorni gioiosi, ma la lotta non è finita. Il 3 luglio saranno 34 anni dall’annuncio dei primi casi di Aids. All’epoca erano 41, oggi sono 60 milioni nel mondo. Non è il caso di tornare apatici o di sentirci comodi. Mi godrò la vittoria e poi tornerò a combattere. Sai com’è, non mi resta molto tempo».
· Coppie che scoppiano.
Caterina Galloni per "blitzquotidiano.it" il 27 ottobre 2020. La battaglia legale si è aperta in un’aula di tribunale della Florida. Orianne Cevey, nel frattempo dopo l’avviso di sfratto richiesto da Phil Collins si è barricata nella villa di Miami Beach con il nuovo marito toyboy. Nei documenti legali, gli avvocati di Collins hanno accusato Cevey di aver preso il controllo della villa sul lungomare “con la forza”, cambiato i codici di sicurezza, bloccato l’accesso alle telecamere e una squadra di guardie armate sorveglia l’ingresso impedendo all’artista di entrare. In tribunale è emerso che Cevey avrebbe preteso da Collins, con il quale per più di vent’anni ha avuto una relazione on-off, un pagamento di 20 milioni di dollari da Collins. Collins e Cevey sono stati sposati dal 1999 al 2008. Il loro divorzio record da 47 milioni di dollari aveva fatto notizia a livello internazionale. La coppia si è riconciliata nel 2016 ed è rimasta insieme fino all’inizio di quest’anno. Tuttavia, Collins è rimasto basito quando ha scoperto che Cevey ha sposato segretamente il musicista, in difficoltà, Thomas Bates, 30 anni, lo scorso agosto. La nuova coppia si è trasferita nella villa di Miami da $ 33 milioni di dollari, mentre Collins era fuori città. Nel frattempo, è emerso che Collins dopo un “confronto” con Cevey era uscito di casa con poche valigie e lasciato gioielli del valore di $ 4,7 milioni, musica inedita e parte della sua collezione di Alamo memorabilia, che sembra valga $ 15 milioni.
Da "blitzquotidiano.it" il 9 novembre 2020. Phil Collins ha raggiunto un accordo parziale con l’ex moglie. Orianne Cevey e il nuovo 31enne marito Thomas Bates lasceranno la villa di Miami. A rivelare la notizia in esclusiva è il Daily Mail. Una dura battaglia legale in cui Collins, 69 anni, insisteva che Orianne Cevey-Collins, 46 anni, non aveva il diritto di vivere nella lussuosa proprietà con il nuovo marito e l’aveva citata in giudizio. Ma a sorpresa, durante una videochiamata a tre su Zoom per trovare una mediazione, Orianne e Bates hanno deciso di lasciare la villa entro “metà gennaio” in modo che Collins possa venderla, secondo quanto riferito dall’avvocato della star, Jeff Fisher. Fisher tuttavia ha rivelato che la battaglia legale sui 20 milioni di dollari chiesti da Orianne – circa la metà del valore della casa – non è stata risolta e ci sarà un processo. Collins ha avviato l’azione legale per rientrare in possesso della villa all’inizio di questo mese, dopo aver chiuso con Orianne per la seconda volta. La coppia si era sposata nel 1999 e ha avuto due figli, Nicholas, 19 anni, e Matthew, 15, ma si erano separati sette anni dopo. Nonostante avessero concluso un accordo di divorzio record di $ 47 milioni, nel 2016 sono tornati insieme e vivevano nella casa di Miami acquistata da Collins. La relazione è finita, stavolta sembra per sempre, quando ha scoperto che Orianne il 2 agosto aveva sposato in segreto Bates a Las Vegas.
DAGONEWS l'11 novembre 2020. Volano gli stracci tra Phil Collins e l’ex moglie Orianne Cevey che, dopo aver perso la causa per rimanere nelle villa di Miami dove era andata ad abitare con il nuovo marito toyboy, ha deriso le prestazioni sessuali del cantante e la sua igiene personale in tribunale. Collins, dal canto suo, ha accusato l’ex di estorsione, chiedendo al giudice di prendere dei provvedimenti per le parole denigratorie di Cevey. Il cantante e l’ex moglie si sono fatti la guerra per settimane dopo che lei aveva preso possesso della villa del cantante a Miami che aveva occupato con il suo nuovo marito Thomas Bates, il 31enne che ha sposato a Las Vegas ad agosto. Il giudice ha dato ragione a Collins dando tempo alla coppia fino a gennaio per liberare la casa, ma Cevey, 46enne, non ha alcuna intenzione di arrendersi affermando di avere il diritto alla metà del ricavato della villa che andrà sul mercato per 40 milioni di dollari. Un appello che non si limita alla richiesta, ma che entra nell’intimo del cantante che è stato brutalmente denigrato nelle carte presentate dai suoi avvocati in tribunale. Secondo la Cevey, Collins è un fallito che si è buttato su alcol e antidolorifici da quando la sua capacità vocale "è diminuita". Lo ha descritto come ubriaco già a metà mattina a tal punto da essere stato ricoverato in ospedale dopo una caduta. «Nel 2019 Philip ha perso le sue doti. È diventato sempre più depresso, chiuso e violento e, a seguito di un'operazione alla schiena, sempre più dipendente da antidepressivi e antidolorifici. Non era più in grado di fare sesso. Ha smesso di fare la doccia, di lavarsi i denti e di vestirsi adeguatamente (infatti non si è fatto la doccia né si è lavato i denti dal 2019 fino all'agosto 2020 quando ha lasciato la proprietà). Ha iniziato a puzzare e il suo fetore è diventato così evidente che è diventato un eremita che si è rifiutato di interagire con qualsiasi persona. Era incapace di fornire supporto emotivo, dare amore o prendersi cura dei suoi figli o di Orianne. Ad agosto ha detto a Orianne che si sarebbe trasferito in Svizzera dove sarebbe rimasto fino alla fine dell’anno». Le accuse sono state ampiamente respinte al mittente dal team di avvocati di Collins che hanno parlato di «una litania di accuse false, immateriali, impertinenti, scandalose e scurrili che non hanno nulla a che fare con le rivendicazioni legali. Sono accuse sensazionalistiche fatte per estorcere denaro».
DAGONEWS il 29 settembre 2020. Nicole Brown Simpson ha raccontato gli orribili abusi di OJ Simpson in alcuni diari segreti in cui con dovizia di particolari ha ricostruito gli anni di abusi prima dell’omicidio. Nicole ha scritto che in circa 60 occasioni Simpson ha abusato fisicamente di lei, minacciandola di morte durante il loro burrascoso matrimonio. La prima volta in cui l’ha picchiata era il 1978: l'ha presa a pugni e calci nella loro stanza d'albergo per ore mentre cercava di scappare. Le violenze sono continuate per i successivi 16 anni. Una volta Simpson l'ha picchiata così violentemente che le ha strappato il maglione e le calze mentre un'altra volta le ha urlato: «Ho una pistola in mano, vai via di qui!». I diari rivelano un agghiacciante schema di abusi fino a quando Simpson ha assassinato Nicole e Ron Goldman nel 1994, omicidi per i quali è stato assolto. Adesso i dettagli di quelle violenze vengono descritti nel documentario "OJ and Nicole: An American Tragedy" che dovrebbe andare in onda in coincidenza con il 25° anniversario dell'assoluzione di Simpson il 3 ottobre. I diari sono stati trovati nella cassetta di sicurezza di Nicole insieme alle foto del suo viso tumefatto e alle lettere di scuse di Simpson. Non sono stati ammessi come prove durante il processo Simpson. La prima annotazione sul diario è del 1978 quando i due erano ancora solo fidanzati. «La prima volta che mi ha picchiato è stato dopo la festa per l'anniversario di Louis e Nanie Mary. Ha iniziato all'angolo della strada di New York 5th Ave alle 21. Mi ha buttato a terra, colpito, preso a calci. Siamo andati in albergo dove ha continuato a picchiarmi per ore mentre io provavo a strisciare verso la porta». In un’altra occasione ha scritto: «Ha distrutto la mia macchina con una mazza da baseball dopo aver visto Tommy Hughes. Mi ha salutato al cancello. Avevo troppa paura di scendere dalla macchina. Lo ha fatto perché ero in ritardo». Nonostante questi episodi Nicole sposò Simpson nel 1985 ma gli abusi continuarono. Nel 1986 scriveva: «Mi ha picchiato così tanto. Mi ha strappato di dosso il maglione e le calze». Un altro brutto episodio accadde il 10 gennaio 1988. All'epoca Nicole era incinta di due mesi del figlio Justin e Simpson le chiesero di abortire, puntandole contro una pistola: «OJ era ubriaco. mi ha detto: “Esci dalla mia fottuta casa, culona bugiarda”». Brown ha chiesto il divorzio nel 1992, ma non ha mai lasciato Simpson, scrivendogli una lettera in cui gli diceva che voleva tornare insieme. «Voglio rimettere insieme la nostra famiglia! Voglio che i nostri figli crescano con i loro genitori. Ho pensato che sarei stato felice di crescere Sydney e Justin da solo, ma voglio stare con te! Voglio amarti e farti sorridere. Voglio svegliarmi con te la mattina e stringerti la notte. Voglio abbracciarti e baciarti ogni giorno. Voglio che siamo come eravamo una volta». Il 25 ottobre 1993 Nicole ha chiamato ancora una volta il 911, dicendo al centralino: «È tornato». Quando gli agenti le dissero di restare in linea, Nicole rispose: «Non voglio restare in linea, mi picchierà a morte». Pochi mesi dopo Nicole e Ron Goldman furono trovati morti nella casa di Brentwood il 12 giugno 1994. Nicole era stata in un ristorante quella sera e, secondo la sua famiglia, era stata una delle prime volte in cui Simpson non era presente. La madre di Nicole aveva lasciato gli occhiali al ristorante e ha chiamato Goldman, che lavorava lì, che si è offerto di lasciarli a casa di Nicole. Simpson era andato lì per uccidere la moglie, ma alla fine aveva ucciso anche lui. All'epoca Nicole aveva solo 35 anni e Goldman ne aveva solo 25.
DAGONEWS il 5 settembre 2020. Jane Fonda ha parlato di un Marlon Brando “deludente” e di un grande rimpianto della sua vita: non essere andata a letto con Marvin Gaye. Intervistata dalla giornalista Maureen Dowd Fonda, 82 anni, ha detto che la sua esperienza con Brando è stata poco brillante, definendola deludente, ma dandogli il merito di essere un grande attore. Alla domande se "il più grande rimpianto fosse non aver mai fatto sesso con Che Guevara", l’attrice ha risposto: «Il più grande rimpianto è Marvin Gaye. Lui voleva venire a letto con me, ma io ho rifiutato. Ero sposata con Tom Hayden. Poi ho letto molto tempo dopo che aveva la mia foto sul suo frigorifero. L'ho scoperto solo più tardi, dopo che era morto nel 1984». La cosa divertente è che qualche anno fa Quincy Jones mise in giro la voce che Brando e Gaye avessero avuto una calda notte di sesso. Nel 2018 Quincy Jones ha raccontato a Vulture del vorace appetito di sesso di Marlon: «Brando si sarebbe scopato qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa, si sarebbe fottuto una cassetta della posta. James Baldwin. Richard Pryor. Marvin Gaye». Il figlio di Gaye ha negato le voci, dicendo: «Non ci abbiamo fatto particolarmente caso perché conosciamo i fatti. Mio padre era un signore. Tutti amavano mio padre, ma mio padre non aveva nulla contro gli omosessuali. Riguardo a questa storia penso che si sarebbe messo a ridere».
Elisabetta Canalis, George Clooney divorzia: "Lei sì che...", l'apprezzamento sulla ex che fa infuriare la moglie. Libero Quotidiano il 22 agosto 2020. Sono lontani gli anni 2009-2011 in cui Elisabetta Canalis e George Clooney facevano furore insieme. Oggi la showgirl è felicemente sposata e ha una figlia, mentre l’attore di Hollywood pare sia pronto a divorziare dalla moglie Amal Alamuddin. “È una donna noiosa e soffocante”, avrebbe confidato Clooney ad alcuni amici. La situazione pare sia degenerata durante il lockdown: trascorrendo tanto tempo assieme, si sono accorti di non essere fatti l’uno per l’altra. E allora pare che George stia ripensando alla Canalis: “Non la conoscete, lei è stata in assoluto la donna che mi ha fatto ridere di più nel corso della mia vita…”. Un attestato di stima non indifferente per Elisabetta, che sarà sicuramente felice di essere ricordata con stima e affetto da Clooney: non la pensa allo stesso modo la moglie dell’attore, che non ha gradito quelle dichiarazioni.
Anna Montesano per ilsussidiario.net il 23 luglio 2020. Cosa sta accadendo tra Kanye West e Kim Kardashian? La coppia è nel caos e la situazione non sembra migliorare, tanto che sarebbe sempre più vicino il divorzio. In un altro momento di smania di rivelazioni su Twitter, il rapper è tornato a scagliarsi contro la moglie. In un cinguettio, anche stavolta cancellato dopo pochi minuti, Kanye West ha parlato di tradimento e separazione. “Sto cercando di divorziare da quando Kim ha incontrato Meek (il rapper Meek Mill, ndr.) al Waldorf Hotel per la “riforma delle prigioni”, ha scritto West, tornando a tirare in ballo anche la suocera, Kriss Jenner. “Kriss e Kim hanno fatto dichiarazioni senza chiedere la mia approvazione. Non è una cosa che una moglie dovrebbe fare. Supremazia bianca”, ha aggiunto. Il rapper, che ha quattro figli con la moglie Kim Kardashian, pare abbia soprannominato la suocera Kris Jenner “Kris Jong-Un” (riferimento a Kim Jong-un) e ha accusato la coppia di “supremazia bianca”. Di fronte a queste dichiarazioni, Kim ha deciso di intervenite con un lungo post su Instagram. Ecco le sue parole: “Come molti di voi sanno, Kanye soffre di un disturbo bipolare, tutti coloro che ne soffrono o amano una persona che ne soffre sanno quanto incredibilmente complicato e doloroso è da comprendere. Non ho mai parlato pubblicamente di come questa cosa ci colpisca quotidianamente a casa, perché sono molto protettiva dei miei figli e del diritto di Kanye alla privacy quando ha a che fare con la sua salute.”. Così ha aggiunto: “So che Kanye è soggetto a critiche per il fatto di essere un personaggio pubblico e le sue azioni possono causare opinioni forti e forti emozioni. È una persona brillante ma complessa, al massimo delle pressioni dell’essere un artista e un uomo nero, che ha vissuto la perdita della madre e deve affrontare la pressione e l’isolamento dovuto al suo disturbo. Chi è vicino a Kanye conosce quanto cuore abbia e sa che a volte le sue parole non coincidono con le sue idee”, ha tenuto a sottolineare l’imprenditrice.
Candida Morvillo per "corriere.it" il 16 luglio 2020. Era il 9 agosto 1995, Hugh Grant aveva 34 anni, Quattro matrimoni e un funerale l’aveva planetariamente reso l’incarnazione del gentleman inglese elegante e romantico, e lui e la top model Liz Hurley erano la coppia glamour per eccellenza da quando erano apparsi alla prima di quel film, lui in smoking, lei con un abito Versace tutto spille che ne fa l’icona di un’epoca. Presidente era Bill Clinton, Monica Lewinsky e il sesso orale nella Sala Ovale erano coevi ma di là da essere scoperti, però Hollywood usciva già incredula dallo scandalo di Heidi Fleiss, la maitresse che serviva le ville di Beverly Hills, e sembrava assurdo che i divi pagassero escort da ricevere a domicilio. Invece, Hugh viene fermato all’1 e 28 di notte, per strada, su una Bmw coupé, con una prostituta caricata sul Sunset Boulevard, il Viale del tramonto. Arrestato in flagranza di reato: atti osceni in luogo pubblico, o «relazione fisica impropria» per dirla con le parole che userà per sé Clinton, tempo dopo. Per settimane, l’intero mondo occidentale si chiede, al bar e sui giornali, che diavolo ci faceva un miliardario fidanzato con una dea assieme a una prostituta da 60 dollari. Mentre guardano la foto segnaletica di Hugh che resta nella memoria collettiva, tutti si domandano: A) se Liz lo lascerà o lo perdonerà; B) se la sua carriera è finita; ma anche C) se non sia tutta una montatura per fugare le voci che sia gay o D) per esportarlo meglio a Hollywood, dove vanno i machi tipo Bruce Willis o Mel Gibson e un po’ meno gli aristocratici British, essendo persino Hugh lontano cugino di Lady Diana.
Il contratto cancellato. Il tempo risponderà un po’ alla volta. E risponde anche in fretta a un interrogativo minore (per modo di dire). Questo: Estée Lauder cancellerà il contratto da sette milioni di dollari ad Hurley come testimonial di un profumo? Ovvero, se si viene tradite con una prostituta, si è ancora credibili come seduttrici? Risposta: il contratto resta, l’incidente non è da considerarsi deficit di sex appeal della tradita, ma un eccesso del fedifrago. Intanto, Liz Hurley, all’alba del 10 agosto, reagisce come se l’aristocratica fosse lei. Esce dal suo ufficio di Londra fra ali di cronisti e fotografi senza un commento, pranza con un’amica nell’elegantissimo Daphne’s vicino a Kensington Park, quindi, si rifugia nella tenuta di un amico lord. Nessun commento, men che mai sui paragoni che ovunque si fanno fra lei e Divine Brown, nome d’arte della ragazza di colore che il giorno del fattaccio compiva 26 anni. Era finita sul marciapiede non potendo pagare una bolletta da 133 dollari. Su di lei, i quesiti principali sono due: venderà un’intervista al migliore offerente o il suo silenzio agli avvocati di Grant? Risposta: vende l’esclusiva al tabloid News of the world e per l’equivalente di 265 milioni di lire si fa anche fotografare con lo stesso abito a spille di Liz. Dirà che, a Mister Grant, come voto, dà sei e che lei gli aveva proposto di aggiungere 40 dollari per una camera. L’incauto aveva risposto: «No, va bene in macchina».
Le scuse di Hugh. Intanto, Grant, rilasciato, se la cava senza pubbliche scuse, a parte un laconico «ho ferito quelli che amo», e con un’intervista tv al dissacrante Jay Leno, che gli chiede: «Che diavolo pensavi?». Risate in sottofondo. E lui: «Non lo so. Sai, traumi infantili». Sarà condannato a 1.180 dollari di multa, a due anni di libertà vigilata e a un corso di rieducazione sull’Aids. Alla fine, lui e Liz resisteranno altri cinque anni. Lui si sposerà solo nel 2018, con la produttrice svedese Anna Eberstein. Avrà 5 figli. Il modo in cui arrivano risponde inequivocabilmente ai dubbi sulla presunta omosessualità: due, infatti, li ha a mamme alterne. Ovvero: il primogenito (mentre già sta con Eberstein) dalla cinese Tinglan Hong; il secondo da Eberstein; il terzo da Hong; gli altri da santa Eberstein, altra martire del perdono a oltranza. I 15 anni che sono passati certificano anche che quella notte brava non ha stroncato la sua carriera né l’ha reso un macho da film. Hugh ha continuato a fare il bravo ragazzo in commedie romantiche come Notting Hill, Bridget Jones, Florence, senza che nessuno lo trovasse poco credibile. Tanto rumore per nulla.
La moglie di Will Smith confessa il tradimento: "Sì, ho avuto una relazione". Fino a che punto ci si può spingere per fare show? La moglie di Will Smith ha voluto rivelare al marito di aver avuto un'altra relazione in diretta nel corso dello show che conduce su Facebook. Francesca Galici, Domenica 12/07/2020 su Il Giornale. La strumentalizzazione del proprio dolore non può essere condannata e nemmeno argomentata. Va capita. Certo, quando l'ammissione di un adulterio avviene in diretta social nel proprio programma, il dubbio che si tratti di uno stratagemma per attirare l'attenzione viene, tanto più quando i protagonisti sono due nomi altisonanti come Jada Pinkett Smith e Will Smith. L'attrice è impegnata in questo periodo nella conduzione di uno show su Facebook Watch dal titolo Red Table Talk ed è in uno di questi episodi che, chiamato a sé il marito, gli ha confessato di averlo tradito con August Alsina, giovane rapper oggi 27enne che i due accolsero in casa 4 anni fa. "È cominciato tutto dal nostro tentativo di aiutarlo a migliorare la propria salute mentale", ha detto Jada Pinkett Smith, ricordando quando il ragazzo, amico del figlio, arrivò a casa loro nel periodo durante i quali vivevano da separati in casa. August Alsina era un ragazzo problematico che necessitava di cure e allora i due si convinsero a ospitarlo per aiutarlo nel suo percorso. "Con il tempo, però, ho cominciato a provare un nuovo tipo di coinvolgimento", ha spiegato Jada Pinkett Smith al marito, ricordandogli che non aveva bisogno di nessun permesso per vivere le sue esperienze e intraprendere una nuova storia con un altro uomo. "È stata una relazione, assolutamente. Provavo molto dolore, ero distrutta. Ma è stato nel metabolizzare questa mia relazione che mi sono accorta di non poter trovare la felicità al di fuori di me stessa. Allora, però, avevo solo bisogno di sentirmi bene, era tanto che non mi capitava", ha detto a suo marito, guardandolo negli occhi. Will Smith, a quel punto, ha ammesso le sue colpe per quella pausa nel loro matrimonio. Chi si immagina scene isteriche e strepiti incontrollati è completamente fuori strada. Jada Pinkett Smith e Will Smith sono apparsi totalmente nel pieno del loro controllo. La reazione di Will Smith è stata pacata, molto sobria. C'è chi sospetta che già sapesse tutto e che quel siparietto sia stato solo un modo un po' furbetto di attirare l'attenzione sullo show e c'è invece chi, in quello scambio così civile, ci vede quasi un'ammissione di colpa pubblica di Will Smith per i suoi, di tradimenti. Tempo fa, August Alsina provò a rivelare la relazione ma la reazione di Jada Pinkett Smith fu tra l'indignazione e lo sconcerto. Un'ottima perfomance per l'attrice, che ha deciso di autostrumentalizzarsi per far parlare del suo show. Missione compiuta.
Claudia Casiraghi per vanityfair.it il 12 luglio 2020. Jada Pinkett Smith si era ripromessa di negare tutto. Così, quando August Alsina, il cantante oggi ventisettenne conosciuto quattro anni fa, per tramite del figlio Jaden, ha provato a dire di aver avuto una storia con l’attrice, questa ha tirato dritto per la propria strada. Ha smentito, negato, ha finto indignazione di fronte a quelle liquidate come false accuse. Poi, qualche mese più tardi, ha calato la maschera. Durante uno degli episodi dello show che su Facebook conduce, Red Table Talk, ha chiamato a sé il marito, Will Smith, e davanti alle telecamere ha ammesso la relazione. «È cominciato tutto dal nostro tentativo di aiutarlo a migliorare la propria salute mentale», ha spiegato la Pinkett Smith, «Io e te eravamo separati, allora», ha detto rivolta al marito, con il quale all’epoca dei fatti aveva interrotto ogni relazione. Will Smith e Jada Pinkett Smith, quattro anni fa, hanno deciso di vivere da separati in casa, e di accogliere nella propria famiglia August Alsina, così da spingerlo verso cure che entrambi credevano essere necessarie. «Con il tempo, però, ho cominciato a provare un nuovo tipo di coinvolgimento», ha ammesso l’attrice, aggiungendo di non aver bisogno di alcun «permesso» per intraprendere una relazione. «È stata una relazione, assolutamente. Provavo molto dolore, ero distrutta. Ma è stato nel metabolizzare questa mia relazione che mi sono accorta di non poter trovare la felicità al di fuori di me stessa. Allora, però, avevo solo bisogno di sentirmi bene, era tanto che non mi capitava», ha detto ancora, mentre Will Smith ha confessato le proprie colpe. «Avevo chiuso con te», all’epoca dei fatti. Ma l’amore, e la voglia di lavorare su una relazione tanto duratura, ha poi preso il sopravvento. «Bad marriage for life», hanno detto i due, mal citando il film di cui Will Smith è protagonista, Bad Boys.
Claudia Guasco per ''Il Messaggero'' il 12 luglio 2020. Nel programma web la moglie di Will Smith confessa al marito la relazione con un rapper Amori e disamori impazzano sui social: Gli psicologi: «Narcisismo ed egocentrismo». «Cosa fareste se scopriste che l' amante di vostra moglie la tradisce con un' altra?» (Ennio Flaiano). Ai tempi dell' autore dei Taccuini era un paradosso divertente, oggi è una questione serissima che può essere analizzata in molteplici contesti, tutti pubblici: al falò di confronto di Temptation island, su una pagina Instagram, nel salotto di Barbara d' Urso o in un talk show. È quello che ha fatto Jada Pinkett, moglie dell' attore Will Smith, star lanciata negli anni 90 dalla serie Willy principe di Bel Air. Lei invita il marito al suo programma Red table talk, lo fa sedere all' altro capo del tavolo rosso e gli confessa di avere avuto una relazione con il rapper August Alsina, di ventuno anni più giovane. È la modalità 2020 del tradimento. Prima lo si nascondeva, si negava, era motivo di imbarazzo, ora lo si racconta a milioni di telespettatori e, secondo gli psicologi, un motivo c' è: l' infedeltà è in aumento, viene considerata fisiologica e quindi accettata socialmente. Sentimenti come il senso di colpa o la vergogna si disintegrano in una sorta di autoanalisi collettiva. Come quella messa in scena da Jada e Will Smith. Gesti controllati, voci pacate, lei che ammette: «Eravamo in pausa di riflessione, mi sono fatta coinvolgere». Lui che insiste, sorridendo: «Un coinvolgimento? Una relazione?». Lei che ammette: «Sì, una relazione, decisamente». Pare che ora la coppia si sia rinsaldata e il tavolo rosso fosse un modo per chiudere con il passato. Ma perché davanti a milioni di spettatori? Spesso per soldi, come a Temptation island. Definito «un viaggio tra i sentimenti per scoprire se la vita a due che sto vivendo è davvero quella che voglio», in realtà è un' esibizione di tatuaggi, bikini, balli e tradimenti davanti a 3,5 milioni di persone. Oltre al gettone di presenza, una volta terminato il programma i protagonisti diventano influencer da migliaia di euro a post, partecipano a serate e programmi, vengono scelti per Uomini e Donne. Ma per il conduttore Filippo Bisciglia c' è di più: «È un esperimento sociologico - racconta - non soltanto un gioco di corna. È uno sguardo su ciò che siamo, ciò che diventiamo quando siamo messi di fronte alle tentazioni». L' Osservatorio europeo dell' infedeltà rileva che una donna italiana su tre, nella sua vita, ha già tradito e un uomo su due ammette di essere stato infedele. I sessuologi affermano che oggi si tradisce non solo con il corpo, ma anche sui social con foto e messaggi. Questo fa sentire meno il rimorso nei confronti del partner. «All' origine di tutto c' è il grande narcisismo e l' egocentrismo che vive la società: ci si concentra in primo luogo sui propri bisogni e con questo si giustifica la ricerca di un' altra relazione. E il comportamento pacato di Will Smith mi fa pensare che anche lui abbia tradito», riflette la psicologa Ilaria Cadorin. «Una relazione è impegno e fatica e invece si gioca, ci si prende e ci si sposa. Come in Matrimonio a prima vista, poi basta una firma e mi separo». Così si alimenta un' incessante girandola di fidanzamenti, infedeltà e cambi di partner. Sempre a favore di teleobiettivo. Il nuovo amore di Belen Rodriguez, per esempio. Lei si fa fotografare abbracciata a Gianmaria Adinolfi, l' ex marito Stefano De Martino nel frattempo smentisce in un video la sua relazione con Alessia Marcuzzi, la quale posta le immagini della sua vacanza in barca con il marito. Tradimento presunto, ma sempre in modalità social. Come la rottura tra Fabio Volo e la moglie Johanna Maggy, che su Instagram ha fatto sapere come stavano le cose: «Se un' altra ragazza ruba il tuo uomo, la migliore vendetta è lasciarglielo». Un anno fa il cantante delle Vibrazioni Francesco Sarcina annunciava di aver lasciato la moglie Clizia Incorvaia per un tradimento con il suo testimone di nozze Riccardo Scamarcio. Dramma, dibattiti, salotti tv. E il gran finale: Clizia ha ritrovato l' amore. Naturalmente al Grande fratello vip.
DAGONEWS il 10 luglio 2020. Le star di Hollywood raramente sono all'altezza della loro reputazione sullo schermo. Lo sa bene la scrittrice Susanna Moore che in “Miss Aluminum” racconta l’altra faccia di Hollywood dove il sesso era tutto tra gli anni sessanta e gli anni settanta. Da Warren Beatty che faceva gli squat prima di risponde al telefono: “Voleva che la persona al telefono, presumibilmente ma non certamente una ragazza, pensasse che fosse stato interrotto mentre faceva l'amore». A Jack Nicholson, che è stato descritto da Moore come non entusiasmante in camera da letto. Moore, ex modella e una specie di groupie di Tinseltown divenuta una scrittrice di successo, arrivò a Hollywood «dopo essere stata stuprata a 21 anni dallo stilista Oleg Cassini». Lei non disse nulla e lui le face ottenere una piccola parte nella commedia del 1967 The Ambushers con Dean Martin. In Messico ha raccontato che Dean Martin "rifornito di ragazze e pillole" dal suo agente. Pigro e sfinito, si rifiutava di girare due riprese di qualsiasi scena. È stato lì che Moore si è accorta di come lunghi periodi in location lontane «spingevano le persone ad andare a letto con gente alla quale non avrebbe dato nemmeno un’occhiata». Nonostante non fosse fedele al marito che aveva posato da giovane, Moore rimase colpita da come Hollywood girasse intorno al sesso: «Robert Wagner aveva una reputazione invidiabile in campo sessuale, in quanto si diceva che gli fosse stato insegnato tutto ciò che c'era da sapere sul sesso da Barbara Stanwyck, che aveva 25 anni più di lui. E un ex fidanzato della figlia di Dean Martin ha rivelato che era stato poi sedotto dalla moglie di Martin. Tutti si vantavano di aver dormito con uno o con l’altro. Il sesso era un mezzo per alimentare la baracca, non era desiderio o una fonte necessaria di piacere». E se gli uomini erano i predatori, bisognava stare attenti anche alle compagne che cercavano disperatamente di tenersi i propri compagni. «Una notte Robert Mitchum si precipitò verso di me e poco dopo ho sentito un dolore alla testa. La moglie mi aveva dato una borsettata in testa. Il mio crimine? Presumibilmente avevo catturato inconsapevolmente l'attenzione di Mitchum». Uno degli amici di Moore era il disc jockey Rodney Bingenheimer, il cosiddetto "Sindaco di Sunset Strip", le cui «conquiste sessuali altrimenti inspiegabili di ragazze giovani dipendevano dal fatto che conosceva gente come Sonny Bono e David Bowie. Prometteva loro che li avrebbero incontrati». E poi c’era l’attore Larry Hagman che una volta si sedette con un pareo sul bordo della sua vasca idromassaggio «permettendole di dare una sbirciatina ai suoi genitali mentre fumava una canna». Moore, che non faceva uso di droghe, rimase sorpresa quando John Phillips, membro del gruppo pop The Mamas And The Papas, la fece entrare nel suo letto mentre sua moglie Michelle non c'era. La loro relazione finì dopo che si svegliò e trovò la figlia di un anno, Chynna, che frugava in una grande borsa di droghe. «Tra tutte le persone che ho conosciuto, Warren Beatty rimane comunque il più frivolo di tutti. Al provino mi disse che ero troppo abbronzata e che per prendermi doveva vedermi le gambe. Ho alzato la gonna e mi ha chiesto se potevo iniziare la mattina dopo. Non era un "vero lavoro", ma mi dava la possibilità di osservare una superstar di Hollywood nel periodo di massima vanità e libidine. Oltre al "riscaldamento" prima di rispondere alle telefonate, ha visto le prove dei suoi "infiniti incontri sessuali", anche se presumibilmente aveva una relazione con Julie Christie, che sarebbe rimasta con lui quando era a Los Angeles. MI disse che la sua storia d'amore con Julie aumentava il suo successo con altre donne. Una volta gli chiesi se non si fosse stancato del suo "insaziabile bisogno di sedurre" le donne. Mi ha guardato per un momento, valutando se valesse o meno la pena di rispondermi sinceramente, e poi ha detto: "È semplice. Prendi molti schiaffi, ma fotti molto». Un altro aneddoto interessante riguarda il suo incontro con Jack Nicholson quando entrambi lavorarono alla commedia del 1971 “Carnal Knowledge”. Il film, interpretato anche da Candice Bergen, la star di origine svedese Ann-Margret e il musicista Art Garfunkel, è stato realizzato a Vancouver, nella Columbia Britannica. Accettando l'invito di Garfunkel a usare la piscina della villa che avevano affittato, Moore ci trovò Nicholson nudo. Ebbero una relazione carnale che è durata fino al loro ritorno a Los Angeles, ma Moore non ha speso grandi parole per le sue doti in camera da letto.
Valentina D'Amico per "movieplayer.it" il 10 luglio 2020. Katie Holmes ha cominciato a seguire Thandie Newton su Instagram dopo i candidi commenti dell'attrice sulla sua esperienza con Tom Cruise sul set di Mission: Impossible 2. Ricordando la collaborazione con Tom Cruise in Mission: Impossible II, Thandie Newton ha rivelato di essere stata terrorizzata dalla forte personalità e dalla mania di perfezionismo del divo definito "un individuo davvero dominante. Ce la mette tutta per essere gentile. Ma la pressione, ti fa pressione, pretende moltissimo. e credo che sia convinto che solo lui è in grado di fare tutto al massimo". Thandie Newton ricorda una scena con Tom Cruise che i due non riuscivano proprio a far funzionare. A un certo punto il divo le ha proposto di provare scambiandosi i ruoli: "Non riesco a pensare a niente di più inutile, non mi ha aiutato per niente, mi ha solo reso più insicura e terrorizzata. Mi vergognavo molto perché lui ce la stava mettendo tutta." A seguito dell'intervista su Tom Cruise rilasciata da Thandie Newton, Katie Holmes, che del carattere di Cruise ne sa qualcosa essendo stata sposata con l'attore sei anni, ha iniziato a seguire la collega su Instagram. Solidarietà femminile?
Harrison Ford: il segreto per far durare il matrimonio? «Non parlare, limitati ad annuire». Pubblicato lunedì, 24 febbraio 2020 su Corriere.it da Simona Marchetti. L’attore Harrison Ford sostiene di aver trovato un metodo pressoché infallibile per andare d’accordo con la moglie Calista Flockhart, con la quale festeggerà i dieci anni di matrimonio a giugno di quest’anno. «Non parlo, mi limito ad annuire», ha scherzato (ma non troppo) il 77enne Ford in una lunga intervista con la rivista Parade, che ha spaziato dai suoi 50 anni di carriera nel cinema fino all’ultimo progetto, ovvero il film «Il richiamo della foresta» del regista Chris Sanders, quinta trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Jack London. Insieme da quasi diciotto anni (si sono incontrati per la prima volta sul red carpet dei Golden Globes nel 2002), l’attore e la Flockhart, che ha 22 anni meno di lui, si dividono fra la villa di Los Angeles e il ranch in Wyoming e si spostano quasi sempre con l’aereo di famiglia, pilotato dallo stesso Ford, che ha il brevetto da 25 anni e ama a tal punto da non essersi lasciato fermare nemmeno dall’incidente del 2015, causato da un’avaria meccanica. «Ho preso tre lezioni di volo quando ero al college – ha ricordato il leggendario Indiana Jones — ma con lo stipendio di commesso che prendevo all’epoca dopo la scuola, non potevo permettermi di continuare. Così ho ripreso a volare solo quando ero ormai molto, molto più vecchio, ma ottenere la licenza è stata una libertà conquistata». Harrison e la moglieLa stessa libertà che prova quando è nel suo ranch immerso nella natura e può fare quello che vuole, alternando i lavoretti nella proprietà ad attività più divertenti. «Quando ho finito di fare le mie faccende domestiche e non c’è più niente di urgente da fare e il tempo è bello, vado a fare un giretto con l’aereo, perché adoro volare lassù, o a camminare nei boschi – ha rivelato il mitico Han Solo di Star Wars —. Poi faccio qualche lavoretto alla casa e vado in bicicletta o in mountain bike». Al terzo matrimonio (prima della Flockhart, è stato sposato con la chef Mary Marquardt e con la sceneggiatrice Melissa Mathison), Ford ha cinque figli: Ben e Willard (avuti dalla Marquardt), Malcolm e Georgia (dalla Mathison) e Liam (adottato dalla Flockhart un anno prima di incontrare l’attore).
Ben Affleck: «Il divorzio è il mio più grande rimpianto». Pubblicato mercoledì, 19 febbraio 2020 su Corriere.it da Simona Marchetti. La dipendenza dall’alcool è costata il matrimonio a Ben Affleck, che oggi considera il divorzio dalla moglie Jennifer Garner (da cui ha avuto tre figli, Violet, Seraphina e Samuel) il più grande rimpianto della sua vita. La confessione del 47enne attore è arrivata nel corso di una lunga intervista con il «New York Times», nella quale Affleck ha affrontato i demoni del passato e l’impatto devastante che la bottiglia ha avuto sulla sua vita personale e professionale, scandite entrambe dai continui ricoveri nei centri di riabilitazione, l’ultimo dei quali è stato fra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno del 2018. «Per molto tempo ho bevuto in maniera relativamente normale – ha detto l’attore, che per oltre dieci anni è stato sposato con la Garner – poi è successo che ho iniziato a bere sempre di più, quando il mio matrimonio stava andando a rotoli. Era il 2015, 2016. E il fatto che bevessi ha ovviamente creato altri problemi coniugali». Intrappolato in questa spirale autodistruttiva, Affleck ha iniziato la sua personalissima discesa agli inferi e ad avere la peggio è stato il suo rapporto con la Garner, culminato con la separazione nel giugno del 2015 e con il divorzio nell’ottobre del 2018. «Questo divorzio è il più grande rimpianto della mia vita — ha ammesso l’attore —. La vergogna è davvero dannosa e non ha alcun effetto secondario positivo. È solo una sensazione orribile e deleteria di bassa autostima e disprezzo di sé». Il discorso è poi scivolato, quasi inevitabilmente, sui vari soggiorni in rehab che Affleck ha fatto in questi anni, complici le numerose ricadute nel solito vizio, con la Garner sempre al suo fianco, a dispetto dello status ormai acclarato di ex moglie. «Non è particolarmente salutare per me essere ossessionato dai fallimenti, intesi come ricadute, e autoflagellarmi per questo — ha concluso l’attore —. Ho certamente fatto cose di cui mi pento, ma devo riprendermi, imparare dagli errori e provare ad andare avanti».
Da "tgcom24.mediaset.it" il 21 febbraio 2020. Il divorzio da Jennifer Garner è il suo più grande rimpianto. A confessarlo è Ben Affleck, che in una lunga intervista al New York Times fa mea culpa sul suo recente passato e sulla sua dipendenza dall'alcool, che lo ha condotto anche a dire addio al suo personaggio di Batman: "Ho bevuto relativamente normalmente per molto tempo, poi, quando il mio matrimonio stava vacillando (tra il 2015 e il 2016, ndr), ho iniziato a bere sempre di più e questo ha creato grossi problemi coniugali e non solo...", racconta l'attore, che nel suo film in uscita "The Way Back" cerca proprio di esorcizzare i suoi demoni del passato...In passato, quello di Affleck, fatto di lotte continue per tentare di rimettersi in piedi dopo ogni ricaduta nel tunnel dell'alcolismo: "Cerchi di stare meglio mangiando, bevendo, con il sesso, il gioco d'azzardo o lo shopping o qualsiasi altra cosa. Ma questo finisce per peggiorare la tua vita. Poi si va oltre per far sparire quel disagio e poi inizia il vero dolore. Diventa un circolo vizioso che non si può spezzare. Almeno questo è quello che è successo a me....". Tre almeno i cicli di riabilitazione a cui si è sottoposto, nel 2001, nel 2017 e poi nel 2018, tutti "falliti" e finiti con una ricaduta. Fino al divorzio ufficiale dalla Garner, nel 2018. Ed è proprio del suo matrimonio e della ex moglie, la persona che più di tutte lo ha aiutato e gli è stata vicino, che l'attore parla senza filtri confessando la vergogna che prova per come le cose sono finite: "La vergogna è davvero qualcosa di tossico. Non c’è alcuna cosa positiva nel provare vergogna. È solo una sensazione orribile e tossica di bassa autostima e disprezzo di sé”, dice Affleck che ammette però anche che è tempo di rimettersi in gioco: "Non è salutare ossessionarsi sui fallimenti. Ho certamente fatto degli errori, delle cose di cui mi pento. Ma devi riprenderti, imparare da tutto, imparare ancora un po' e provare ad andare avanti". All'alcolismo è riconducibile anche il suo addio a Batman, confessa ancora l'attore, che dopo "Batman v Superman" e "Justice League", che furono dei flop e ricevettero parecchie critiche, aveva scritto la sceneggiatura di un nuovo progetto su Batman. Quando lo fece leggere però gli fu detto che seppur ritenuto "molto buono" non ci si poteva fidare di lui perché, nel caso di un altro insuccesso si sarebbe sicuramente ubriacato a morte.
Pamela Anderson e Jon Peters si separano dopo solo 12 giorni di matrimonio (ma non è il record). Pubblicato domenica, 02 febbraio 2020 su Corriere.it da Paola Caruso. Neanche il tempo di finire la luna di miele che Pamela Anderson, 52 anni, e il produttore Jon Peters, 74 anni, si separano. Ufficialmente, si stanno prendendo un periodo di riflessione per capire se veramente vogliono una vita insieme. Almeno è quanto l’ex bagnina di Baywatch ha detto a «Hollywood Reporter». Ma dichiarazioni a parte, sembra che la decisione di divorziare sia stata già presa: i due non si sono neanche preoccupati di formalizzare l’unione richiedendo un certificato di nozze. Il matrimonio tra la Anderson e il magnate, il quinto per entrambi, è durato soltanto 12 giorni. Eppure quando è stato celebrato in gran segreto il 20 gennaio 2020 a Malibu molti avrebbero scommesso sulla coppia. «Sono molto innamorati» aveva dichiarato la portavoce dell’attrice. Lei su Instagram per annunciare le nozze aveva postato uno scatto di 30 anni, ricordando a tutti che il primo appuntamento tra loro è avvenuto negli Anni 80 con tanto di foto dell’epoca. «Glielo avevo detto — scrive Pamela in un tweet —: tra 30 anni la nostra differenza d’età non significherà molto». Proprio negli Anni 80, il produttore, che ha pagato le lezioni di recitazione per lei, le aveva chiesto «vuoi sposarmi» e Pamela aveva rifiutato. Ma adesso, dopo il sì, cosa è andato storto? Non è chiaro. Quello che si intuisce è che probabilmente è stata lei a mettere fine alla relazione, facendo girare la notizia della separazione, mentre lui contattato da «Hollywood Reporter» ha deciso di non commentare. Questo matrimonio con divorzio lampo non detiene neanche il record minimo di durata a Hollywood. Il primato del matrimonio più breve tra le star spetta a Britney Spears e Jason Alexander (amico d'infanzia della cantate): dalle nozze nel 2004 a Las Vegas alla decisione si lasciarsi sono passate appena 55 ore. «Uno scherzo andato troppo in là, non so cosa mi sia passato per la testa» aveva affermato Britney. In seconda posizione, invece, si trova Nicolas Cage e il suo sì del 2019: solo quattro giorni con la fede al dito. Il 23 marzo 2019 Cage, 56 anni, ha sposato in quarte nozze la truccatrice delle star Erika Koike, 34 anni, a Las Vegas, salvo poi chiedere l’annullamento il 27 marzo. A quanto pare i due erano ubbriachi all’altare e il divorzio è stato convalidato il 31 maggio. Ma per il divo non si tratta del primo caso di «unione breve», perché il suo matrimonio con Lisa Marie Presley, la figlia di Elvis, celebrato nel 2002, è durato circa tre mesi, anche se per il divorzio definitivo la coppia ha battagliato fino al 2004 per ottenere l’annullamento ufficiale in tribunale.
Da amica.it il 2 febbario 2020. Pamela Anderson ha annunciato la fine del matrimonio con Jon Peters, il produttore di A Star is Born con Bradley Cooper e Lady Gaga. Annuncio shock arrivato dopo soli 12 giorni! Davvero shock? Pamela Anderson e Jon Peters si erano sposati il 20 gennaio. A sorpresa. Più che altro matrimonio segreto. Cinque giorni dopo lei aveva condiviso sui social la prima foto. Lei e il neo marito. Felici. Adesso, la decisione di fare un passo indietro. Prendersi una pausa. “Mi sono commossa nel vedere l’accoglienza che ha ricevuto la notizia del matrimonio tra me e Jon. Saremmo molto grati per il vostro ulteriore supporto visto che abbiamo deciso di prenderci del tempo per rivalutare ciò che vogliamo dalla vita. La vita è un viaggio e l’amore è un processo. Per questo abbiamo deciso di rimandare la formalizzazione del nostro certificato di matrimonio. Rispettate la nostra privacy, grazie”. Per entrambi era il quinto matrimonio. Brevissimo, come gli altri che trovate qui: da record? Vedremo…
Pamela Anderson e i suoi amori. Per Pamela, Jon Peters era arrivato dopo i musicisti Tommy Lee (padre dei suoi due figli) e Kid Rock. E il produttore Rick Salomon, sposato due volte. Li trovate tutti nella nostra gallery. Scoprimmo anche, con l’annuncio del matrimonio segreto, che l’amore tra Pam e Jon Peters veniva da lontano. L’ex parrucchiere diventato produttore (grazie all’allora cliente/fidanzata Barbra Streisand) e l’attrice si erano incontrati tanti anni prima. Incontrati e innamorati. Lei all’epoca aveva 19 anni. Faceva la modella. L’aveva raccontato lui, all’Hollywood Reporter. “Sono entrato alla Playboy Mansion e ho visto questo angioletto. Era seduto al bar. Era Pammy. Aveva 19 anni. Sapevo che sarebbe stata una grande star. Pamela era una ragazza meravigliosa anche senza trucco. Era molto intelligente e di grande talento. Ho provato a convincerla a non lavorare per Playboy. Concentrati su una carriera seria, le ho detto”. Lui iniziò a corteggiarla. Uscirono insieme. Li fotografarono anche. Pamela, però, si tirò indietro. Forse “spaventata” dalla differenza d’età: 22 anni. Adesso sembrava davvero una sposa innamorata…
DAGONEWS il 23 marzo 2020. Natalie Wood aveva 22 anni nel giugno del 1961 e aveva già alle spalle il musical West Side Story e “Splendor In The Grass” con Warren Beatty. Aveva anche realizzato il sogno d'infanzia di sposare la star Robert Wagner e i due erano diventati una delle coppie d'oro di Hollywood che abitava in un palazzo bianco di Beverly Hills ristrutturato per assomigliare a un antico palazzo greco. Ma non era tutto oro quello che luccicava. «Una notte Wood si svegliò e non trovò Wagner: terrorizzata fin dall'infanzia dal buio, andò a cercarlo, pe poi trovarlo mentre la tradiva con qualcun altro. Non una donna, ma il maggiordomo David Cavendish». È l’ultima scoppiettante rivelazione dell’autrice della biografia su Wood, Suzanne Finstad che racconta come il tradimento non solo distrusse il loro primo matrimonio, ma fu anche la nuvola che per anni incombette sulla loro relazione e sulla misteriosa morte dell’attrice nel 1981: venne trovata annegata durante una gita su uno yacht con Wagner e Christopher Walken. Nel 2001 il caso che era stato archiviato come un incidente è stato riaperto. Wagner, che ora ha 90 anni, ha negato qualsiasi coinvolgimento nella morte. Ma nel 2018 è stato nominato come "person of interest " dalla polizia, dopo che la morte di Wood è stata catalogata come "sospetta". Sia la sorella di Wood, Lana, sia lo skipper dello yacht Dennis Davern - l'unica altra persona a bordo quella notte – sono ancora convinti che Wagner abbia ucciso Wood. Per anni si è vociferato che Wagner fosse gay o bisessuale, ma lui ha sempre negato con forza. A Wood non mi importava. Diceva che le persone erano gelose della loro storia. Ma quella notte in cui trovò il marito con il maggiordomo corse via a casa della madre. Lana, che aveva 15 anni, ricorda che Natalie arrivò a casa dei genitori quella notte, con la mano sanguinante dopo aver rotto un bicchiere, singhiozzando e dicendo che il suo matrimonio era finito. Si chiuse in una camera da letto, prese tanti di quei sonniferi che i genitori dovettero portarla in ospedale. Si nascose per una settimana a casa loro, perse peso e poi si prese la colpa della fine della loro storia per non distruggere Wagner. Anni dopo Wood si sposò con il produttore britannico Richard Gregson: rimasero sposati dal 1969 al 1972, ma lei lo lasciò quando scoprì che lui aveva una relazione con la sua segretaria. Nel 1972 si risposò con Wagner, che era rimasto "il simbolo di un sogno che sperava di riconquistare", ignorando i timori della famiglia e degli amici che le ricordavano come finiva il primo matrimonio. Wood li rassicurò sul fatto che Wagner era cambiato dopo essere andato in "analisi" in Europa. Wagner, dopo essere stato geloso per anni di Beatty, in quel periodo era turbato dal fatto che la moglie potesse aveva una relazione con Christopher Walken. Secondo il racconto di alcuni camerieri di un ristorante di Santa Catalina la sera prima che Wood morisse, l’attrice e Walken si tenevano la mano sotto al tavolo. Ma Walken, che negli anni non ha nascosto di essere omosessuale, flirtava anche con Wagner. Quella sera i tre si ubriacarono pesantemente. Di ritorno Wagner ruppe una bottiglia sul tavolo urlando contro l’attore: «Cosa vuoi fare? Fotterti mia moglie?». Wood andò a letto disgustata da suo marito. Un'ora dopo, venne segnalata la sua scomparsa insieme al gommoncino della barca. Fu trovata in acqua a faccia in giù a un miglio di distanza il mattino seguente, con lividi inspiegabili sul suo corpo e sulle sue braccia. I tre uomini a bordo inizialmente dissero di aver pensato che fosse tornata a riva. Tuttavia, due persone su una barca vicina raccontarono di aver sentito una donna gridare aiuto durante la notte, ma non riuscirono a localizzarla.
· Le scazzottate dei divi.
Daniele Luttazzi per il “Fatto quotidiano” il 27 ottobre 2020. Il sistema delle norme sociali dei comici non è in vigore da sempre. Negli Usa, all'epoca del vaudeville (e fino agli anni 50) l'appropriazione delle gag era una consuetudine diffusa, non sanzionata, poiché la comicità era sentita come un bene comune, e il valore di un comico era attribuito al miglioramento che il suo stile apportava alla tradizione. C'è chi sostiene (Oliar & Sprigman, 2008) che negli anni '60 lo show-biz comico abbia implementato il nuovo sistema di norme anti-appropriazione poiché la comicità era diventata meno generica, più personale; ma questa correlazione causale fra nuovi contenuti e nuove norme è ritenuta arbitraria da Madison (2009). Il sistema di norme sociali serve a evitare il danno economico: è tabù rubare dal repertorio di un comico che lavora nella stessa piazza. La piazza coincide con la propria nazione/lingua: per esempio, dire in tv una battuta sentita in teatro da un altro comico la brucia per sempre, ed è un danno economico. Tutti i comici fanno da sorveglianti. Chi pensa di aver subìto un torto affronta personalmente il trasgressore e chiede spiegazioni: di solito, questo è sufficiente a stabilire la verità dei fatti, a correggere i comportamenti, a evitare recidive; e la cosa finisce lì. Nel caso in cui i due convengano sulla creazione indipendente e contemporanea della stessa gag, uno dei due (quello che ne ha meno bisogno per la sua routine) può decidere di toglierla dal proprio repertorio, come cortesia. I pochi aneddoti riguardanti l'uso della violenza fisica per punire un trasgressore sono leggendari, e raccontati nell'ambiente con gusto (in Italia, quello di Faletti che dà un pugno a Paolo Rossi): la tribù non condanna la violenza; in questi casi, anzi la giustifica, come giustifica la gogna. A ben vedere, le norme del sistema servono a mantenere la proprietà della gag in mano a una sola persona (il comico che usa la gag). Nell'ambiente dei comici, infatti, per convenzione:
1) Se un comico è pagato per scrivere una gag, la gag non è più sua, ma di chi l'ha pagato. Secondo la legge sul copyright, invece, la proprietà di un'opera è dell'autore, se questi non lavora per un'azienda.
2) Vendere una gag è vendere ogni diritto di utilizzo. Chi scrive gag per un comico non può neppure attribuirsele: una volta vendute, non sono più sue. La vendita non richiede alcun contratto fra le parti, a differenza della licenza che permette l'uso di un'opera protetta da copyright.
3) Fra diversi co-autori di una gag, la proprietà viene attribuita a chi ha ideato la premessa, anche se la punchline non è sua. Secondo la legge sul copyright, invece, la proprietà di un'opera è divisa fra tutti i co-autori.
4) Se due comici stanno usando la stessa gag, e la creazione è giudicata da entrambi indipendente, la proprietà della gag è di chi l'ha eseguita per primo. Nel copyright, invece, la creazione indipendente rende entrambi co-autori dell'opera. La priorità è un criterio che vale solo per i brevetti.
5) Se due comici stanno usando una gag simile, la gag apparterrà al primo che la esegue in tv: da quel momento, l'altro smetterà di eseguire la propria, poiché non vuole essere accusato di furto dai colleghi e dal pubblico di fan, anche se non ha fatto nulla di male. Ritroviamo qui il tema della priorità, tipica dei brevetti e non del copyright.
6) Se due comici freelance inviano via email la stessa gag a un conduttore di talk-show, e la gag viene usata nel programma, viene pagato chi ha inviato la gag per primo. Di nuovo la priorità dei brevetti.
Antonello Guerrera per “la Repubblica” l'8 gennaio 2020. Don’t stand so close to me, non starmi così vicino, cantavano i Police. Cosa che poi è davvero accaduta, perché dopo i capolavori d’esordio Outlandos d’Amour (1978), Reggatta de Blanc (1979) e in tutto cinque album in soli sei anni nonostante spintoni e offese tra Sting e gli altri membri, la straordinaria band inglese si incagliò al sesto, incompleto disco per poi sciogliersi nel 1986. «Ma il problema era solo la musica», rivela ora l’ex batterista dei Police, Stewart Copeland, a Radio Times, «perché oggi con Sting, nonostante tutto, andiamo d’accordo. Il suo problema all’epoca, poi decisivo per il destino dei Police, era che per lui la musica era un antidolorifico, un anestetico, un modo per sfuggire al mondo maligno e cattivo, una dimensione di totale, inscalfibile, perfetta bellezza. Per me invece la musica era semplicemente “accendiamo le luci e divertiamoci!”». I Police neanche si dissero ufficialmente addio, un po’ come gli Stone Roses, i profeti dell’indie rock della pazza Manchester, anzi “Mad-chester”: il 24 giugno 2017 durante un concerto a Glasgow, il leader Ian Brown disse alla folla «Non siate tristi che sia finita. Gioite invece, perché tutto ciò è accaduto!». La band rimase in un solido limbo, come “rose di pietra”. Perché quello delle band è spesso un lungo addio, psicotico, o magari esplosivo, che getta i fan nello s-concerto esistenziale. Ma una reunion non è mai del tutto esclusa, persino nei casi disperati, come l’estenuante e violenta faida familiare dei fratelli Liam e Noel Gallagher, conclusasi nel 2009 con lo scioglimento degli Oasis dopo che il 28 agosto i due si picchiarono nel backstage di un concerto. E però ai due tremendi “bros”, tra mutue offese e frequenti minacce a domicilio, ogni tanto scappa il “wishful thinking” di una possibile, clamorosa reunion. Anche perché oggi i soldi veri in musica si fanno con i concerti. Liam dice di “provare ancora dolore” per la loro separazione, Noel accenna a un musical… come il loro irripetibile esordio, Definitely Maybe. Assolutamente forse. Forse si sarebbero riuniti anche i Beatles, se non fosse stato per l’assassinio di John Lennon a New York, nonostante le precedenti diatribe artistiche, manageriali e personali, l’implacabile sfilacciamento tra Lennon e Paul McCartney, i sospetti — sessisti? — contro Yoko Ono e una leggenda conclusasi, tutti insieme, registrando The End, la fine (album Abbey Road), nel 1969. Mentre forse non si riuniranno mai più colossi degli anni Ottanta come gli Smiths, anche perché il problematico cantante Morrissey riesce a essere ogni anno più insopportabile e dunque il chitarrista — ora nemico giurato — Johnny Marr ha detto basta nel 1987, dopo che aveva provato persino a fargli da manager. Almeno i Pink Floyd hanno provato a resuscitare — Wish you were here — una decina di anni fa con un Live 8 e poco altro, dopo che l’album nomen omen Final Cut innescò la loro fine e le battaglie legali tra Roger Waters e David Gilmour dopo l’addio del primo, nel 1985, in nome di una carriera solitaria. Perché certo, come nei divorzi, capita che si voglia anche cambiare relazione, o carriera. E volare via, da soli, come Peter Gabriel e Phil Collins che lasciarono uno dopo l’altro, a distanza di due decenni, i Genesis o Robbie Williams e Geri Halliwell che negli Anni 90 spezzarono le favole del pop adolescenziale Take That e Spice Girls, tutti per poi riunirsi molti anni dopo, come del resto fecero anche gli Abba, la cui storia è unica. La disco-band svedese era composto da due coppie sposate, Björn Ulvaeus e Agnetha Fältskog e Benny Andersson con Anni-Frid Lyngstad. Ma mentre scalavano le classifiche di tutto il mondo, i rapporti s’impantanarono, tutti divorziarono e lo sprofondo sentimentale diventò anche musicale. Mamma mia!
Oasis, Liam Gallagher: «Offerti 100 milioni per la reunion, ma Noel ha rifiutato». Il fratello: «Qualcuno deve promuovere il nuovo singolo». Pubblicato mercoledì, 05 febbraio 2020 su Corriere.it da Simona Marchetti. Nuovo capitolo nella faida dei fratelli Gallagher, con Liam ad accusare Noel di avidità per aver rifiutato – a suo dire – 100 milioni di sterline (poco meno di 120 milioni di euro) per fare un tour di reunion con gli Oasis e il maggiore dei fratelli Gallagher a replicare a tono. Per la verità non è la prima volta che Liam lancia l’idea di riunire la band dopo lo scisma musicale del 2009, ma finora il 52enne frontman degli High Flying Birds (il gruppo di alternative rock formato da Noel nel 2010) ha sempre risposto picche. «Ci sono stati offerti 100 milioni di sterline per un tour, ma non sono ancora sufficienti per quell’animo avido», ha scritto infatti il 47enne Liam in un post su Twitter, che era stato preceduto alcuni minuti prima da un altro messaggio, decisamente più colorito nei toni, anche se assai più confuso nei contenuti. «Stiamo tornando insieme e ricco sfondato com’è quel fottuto di Noel lo farebbe senza motivo, mentre io che sono uno stronzo disperato… lo faccio per soldi». A rapido giro di tweet è poi però arrivata la risposta di Noel. «A chiunque possa fregare qualcosa – comincia infatti il post del maggiore dei fratelli Gallagher – non sono stato informato di alcuna offerta da parte di nessuno per una qualsiasi somma di denaro per rimettere insieme la leggendaria rock band degli Oasis. So benissimo che qualcuno ha un singolo da promuovere, quindi credo che la confusione stia qui». In effetti lo scorso 31 gennaio Liam ha lanciato il singolo «Once», accompagnato da un video con protagonista l’ex leggenda del Manchester United, Eric Cantona. In ogni caso non è certo la prima volta che si parla di un’offerta faraonica per rimettere in pista gli Oasis. A settembre del 2018 si era infatti vociferato di una cifra piuttosto considerevole (anche se mai resa pubblica) per un live allo Slane Castle in Irlanda, ma anche in quel caso non se n’era fatto nulla. «Finché qualcuno non lo sente da me, non sta succedendo», aveva puntualizzato per l’ennesima volta Noel lo scorso gennaio in un’intervista a TalkSport, in risposta alle nuove esternazioni – sempre via Twitter – del fratellino minore sul possibile ritorno degli Oasis.
Ernesto Assante per la Repubblica l'8 gennaio 2020. Amici mai. Ma non nel senso che indica Antonello Venditti nella sua canzone, quindi addirittura amanti. No, amici mai, nel senso che gli Who, Pete Townshend, Roger Daltrey, Keith Moon e John Entwistle, amici non lo sono mai stati. Ma sono stati, e sono, una band. Certo, le tensioni tra i quattro hanno spesso superato le buone vibrazioni, sono arrivati alle mani in un paio di occasioni, il buon sangue e la "camaraderie" non sono stati il segno distintivo della loro unione, ma gli Who hanno fatto di questa diversità, del loro essere frammentati, il punto di forza. Per loro il motto "finché nulla ci tiene insieme, niente ci potrà separare" è stato vero finché la morte non li ha decimati. Ed è vero ancora oggi, perché i due superstiti della formazione originale, Townshend e Daltrey, ancora non vanno veramente d' accordo, l' ultimo album lo hanno registrato senza incontrarsi mai fisicamente, ma è davvero un album degli Who, in tutto e per tutto, e quando salgono sul palco, insieme in questo caso, sono una forza della natura. Anche senza rivolgersi parola, anche senza andare a cena insieme dopo il concerto, viaggiando separati (Townshend gira ancora con il suo personale caravan) tappa dopo tappa. E non hanno nemmeno mai davvero sostituito Keith Moon, il batterista scomparso nel 1978, e John Entwistle, il bassista morto nel 2002, contando su una serie di collaboratori costanti ma "a progetto". Amici mai, esserlo non serve a durare cinquant' anni, se poi si litiga davvero. Invece Daltrey e Townshend non hanno nemmeno bisogno di litigare, sono simpaticamente lontani ma vicinissimi in termini artistici, legati dai brani che Townshend scrive e solo Daltrey può cantare. Al contrario di altri che, pensando solo al singolo tornaconto e non alla "band", alla somma che è più grande delle parti, hanno fatto sciogliere gruppi che avrebbero potuto, come gli Who, arrivare al terzo decennio del secondo millennio in ottima salute.
· Gli acciacchi della Star.
Cristiana Mangani per “il Messaggero” il 27 settembre 2020. È cominciato tutto il 14 giugno scorso, quando il giovane attore indiano Sunshant Singh Rajput è stato trovato morto nel suo appartamento. Gli investigatori hanno parlato inizialmente di suicidio, poi, con il passare dei giorni, la vicenda si è complicata. La famiglia della star ha ipotizzato l'omicidio e ha puntato il dito contro la fidanzata. Alla fine, le indagini che stanno tenendo con il fiato sospeso l'India più dei milioni di contagiati da Covid, stanno coinvolgendo tutta Bollywood in una mega inchiesta sulla diffusione della droga nella più grande produzione cinematografica mondiale. Gli inquirenti sono convinti: morto per una overdose, sono a caccia di chi gli ha fornito la droga. Così i volti più famosi del cinema e della tivù indiana stanno sfilando davanti alla Commissione narcotici per fornire la loro testimonianza. Ieri è toccato a Deepika Padukone, una delle attrici più popolari e pagate, che è tra le sei star che sono state convocate dal Narcotics control bureau. Con lei Sara Ali Khan e Shraddha Kapoor. E ancora prima è stato sentito Rakul Preet Singh. La fidanzata di Rajput, l'attrice Rhea Chakraborty, è stata arrestata all'inizio del mese con l'accusa di aver acquistato la droga per l'attore 34enne, trovato morto nel suo appartamento di Mumbai. La decisione è arrivata dopo che la famiglia della vittima ha presentato una denuncia proprio contro Chakraborty. Le manette sono scattate anche nei confronti del fratello e dell'ex amministratore dell'attore, accusati di aver organizzato e finanziato l'acquisto della cannabis per Rajput. Il caso, al quale stanno lavorando quattro diverse agenzie investigative, sta suscitando grande attenzione e clamore da parte dei media indiani. Padukone sarebbe stata convocata perché il suo nome e quello dei suoi manager, ricorrono nelle chat di WhatsApp della fidanzata dell'attore morto. Ma sui social media c'è già chi si chiede perché vengano sentite solo attrici e non attori, mentre altri legano la convocazione al fatto che Padukone aveva espresso la sua solidarietà a studenti attaccati da un altro gruppo di studenti legati al partito nazionalista di Narendra Modi. Ma c'è anche chi sottolinea come l'attenzione che i media stanno dando a questo caso, un vero plot da film di Bollywood, stia aiutando a distrarre l'attenzione dai gravi problemi che l'India sta affrontando, con un numero altissimo di casi di Covid, che l'ha portata a essere il secondo Paese più colpito al mondo, la drastica contrazione dell'economia e il deterioramento delle relazioni con la Cina. Anche l'arresto della ventottenne, compagna da tempo di Sushant Singh Rajput, ha scatenato un ciclone mediatico senza più controllo. Lei continua a negare qualsiasi illecito e il suo avvocato, Satish Maneshinde, ha definito l'arresto «una parodia della giustizia». La storia, però, continua ad appassionare il paese ed è andata gonfiandosi nei tre mesi successivi alla morte di Rajput. Chakraborty, alla quale le autorità hanno negato la cauzione, è stata arrestata dal Narcotics control bureau (Nbc), l'agenzia antidroga indiana, dopo tre giorni di interrogatori su presunti illeciti riguardanti sostanze stupefacenti. Migliaia di attiviste femministe e decine di star di Bollywood hanno lanciato una campagna su Twitter e Facebook affermando che il fermo dell'attrice è «un palese tentativo di trovare un capro espiatorio in una donna». Le autorità avevano parlato inizialmente di morte accidentale. Il suicidio era stato ipotizzato a causa di una precedente diagnosi di depressione per difficoltà lavorative che Rajput avrebbe avuto nell'ambiente, perché - secondo i media locali - l'attore considerato di talento era, però, estraneo alla cerchia dorata di chi conta a Bollywood. Il padre, K.K. Singh ha depositato una denuncia per istigazione al suicidio, frode e truffa, chiedendo l'apertura di un'indagine sul conto di Rhea e segnalando anche trasferimenti bancari inspiegabili a lei e ad altri attori. Il caso ha assunto rilevanza politica nel Bihar, dove è stato discusso anche nell'assemblea legislativa, su proposta di Neeraj Singh, cugino dell'attore e dirigente del Partito del popolo indiano (Bjp). Il capo del governo, Nitish Kumar, ha raccomandato al Cbi l'apertura di un'inchiesta. E ora Bollywood trema.
Tutte le serie tv maledette. Così sono stati uccisi gli attori. Dopo la morte di Naya Rivera, sono riprese le voci sulla "maledizione" di Glee. Ma questa celebre serie tv americana non è l'unica ad essere "maledetta". Marina Lanzone, Venerdì 17/07/2020 su Il Giornale. Naya Rivera è morta. Il corpo dell’attrice di Glee è stato ritrovato nel lago Piru, in California, il 13 luglio, dopo cinque giorni di ricerche. L’attrice e suo figlio Josey, 4 anni, avevano deciso di passare una giornata al lago, lontano da tutti. Un momento dolce, trasformatosi in tragedia. Naya Rivera è morta per annegamento, spinta dalla forte corrente, dopo aver messo in salvo il suo bambino. Il lago Piru è noto per la fitta vegetazione e per il fondale scuro e melmoso. Questo incidente poteva capitare a chiunque, anche al più abile nuotatore. Ma viene spontaneo pensare che non si tratti solo di una semplice coincidenza. Il 13 luglio è una data che si ripete, infatti proprio in quel giorno, nel 2013, è stato ritrovato il cadavere di Cory Monteith, alias Finn Hudson in Glee. Il giovane attore è deceduto per overdose da farmaci e alcool, dipendenza che non è riuscito mai a superare. Nel gennaio 2015, Mark Salling, anche lui nel cast di Glee nel ruolo di Noah Puckerman, si è suicidato, dopo che fu trovato in possesso di immagini pedopornografiche. Quello di Naya Rivera è quindi il terzo decesso nel cast della serie televisiva-musicale, su cui sembra stata lanciata una vera e propria "maledizione". Glee, però, non è l’unica serie "dannata": la lista delle fiction di successo dal destino infausto è piuttosto lunga.
Il peso della fama. Ad aprire questo elenco ci sono le "Adventures of Superman" (1952-1958). Il suo protagonista, George Reeves, è stato trovato morto a causa di una ferita da arma da fuoco nel 1959. Attualmente si pensa che si sia suicidato: dopo il successo ottenuto nei panni di Superman, la sua fama si era affievolita. La star hollywoodiana non sarebbe riuscita a superare la delusione e avrebbe deciso, quindi, di mettere fine al suo dolore nel più drastico dei modi. Decisamente il peso della fama è una delle sfide più grandi che un giovane attore deve saper affrontare nel corso della sua carriera. Non sempre, però, riesce ad avere la meglio sul suo nemico.
Salute cagionevole e dipendenze. Chiunque conosce "Vita da Strega", la sitcom statunitense prodotta tra il 1964 e il 1972 che narra la storia di una casalinga un po’ speciale. Samantha è una maga, che per amore avrebbe deciso di condurre una vita normale, lontana dalla magia. Ma la sua natura spesso prende il sopravvento. Pochi sanno, però, che dietro quel bellissimo sorriso si nasconde tanta sofferenza. La protagonista Elizabeth Montgomery, ad esempio, ha avuto un cancro al seno, un mostro feroce, diagnosticato troppo tardi. È morta a soli 62 anni. Agnes Moorhead, che interpretava la madre della streghetta, si è ammalata di tumore ed è scomparsa nel 1974, poco dopo il rinnovo della serie. Neanche il protagonista maschile è stato risparmiato: Dick York ha dovuto abbandonare il set durante le riprese per dei gravissimi problemi alla colonna vertebrale che non gli hanno permesso più di recitare. Ma non è tutto: la puntata pilota di "Vita da strega" è stata girata proprio nel giorno dell’omicidio del Presidente Usa John Fitzgerald Kennedy, il 22 novembre 1963. Una coincidenza malaugurante. Anche il maggiordomo di "Family Affairs" (1966) non ha goduto di ottima salute. Sebastain Cabot è morto pochi anni dopo la fine della serie tv a causa di un infarto fulminante. Nel 1976, la piccola Buffy nella fiction, interpretata dall’attrice Anissa Jones, è stata trovata morta all’età di 18 anni. A causare il decesso è stato un cocktail di alcool e droghe di cui abusava abitualmente. 21 anni dopo, Brian Keith, lo zio più famoso del piccolo schermo, si è tolto la vita: a causa della chemioterapia e dei suoi effetti depressivi, non è riuscito a superare la morte di sua figlia, anche lei suicida. Tra le serie tv maledette non può mancare "La famiglia Bradford" (1977) che per anni ha detenuto un vero e proprio primato. L’attrice Diana Hyland si è dovuta ritirare dalle scene dopo aver girato solo i primi quattro episodi a causa di un tumore al seno che l’ha uccisa ancor prima che il pilot fosse trasmesso in tv. Adam Rich (alias Nicholas) e Lany O’Grady (Mary nella serie) hanno sofferto di una forte dipendenza da alcol e droghe, che nel secondo caso ha portato alla scomparsa dell’attrice nel 2001. La bellissima Susan Richardson per anni è stata vittima dell’abuso di cocaina, e dopo esser uscita da questa spirale, si è ammalata di una rara sindrome che le portava forti spasmi allo stomaco e le ha provocato la caduta dei denti. Anche in "Otto sotto un tetto" (1989) i drammi non sono certo mancati. Michelle Thomas, che interpretava Myra, si è ammalata durante le riprese della nona stagione. Inizialmente rifiutò le cure tradizionali per non precludersi la possibilità di diventare mamma. Quando decise di iniziare la chemioterapia era ormai troppo tardi: il cancro ha avuto il sopravvento. Jaimee Foxworth, la piccola Judy, invece, ha avuto una dipendenza da alcool e droghe e ha iniziato a recitare nei film porno, non accettando il declino della sua carriera.
Problemi con la giustizia. Il bambino prodigio Gary Coleman, protagonista de "Il mio amico Arnold" (1978), ha avuto problemi alla crescita, provocati da una grave insufficienza renale che lo ha costretto a due trapianti dei reni e alla dialisi. È morto giovanissimo, all’età di 42 anni, per una brutta caduta. Oltre ai problemi di salute, il giovane attore ha dovuto affrontare una battaglia legale contro i suoi genitori, che hanno sperperato tutti i proventi guadagnati dal figlio durante le riprese. È stato poi accusato varie volte di violenza domestica. Anche Dana Plato (Kimberly nella serie) ha avuto problemi con la giustizia: è stata accusata di rapina a mano armata. Quando aveva 35 anni, è stato ritrovato il suo cadavere in una roulotte parcheggiata vicino la casa del suo ex fidanzato. La morte sembra essere dovuta a un’overdose da farmaci. Todd Bridges (Willi) ha abusato di droghe per anni ed è finito più volte in manette, anche con l’accusa di tentato omicidio.
Le battaglie vinte. Talvolta, però, proprio come nelle fiabe, dopo tanti problemi è giunto il lieto fine. Gli attori di "Baywatch" David Hasselhoff (Mitch), Jeremy Jackson (Hobie) e Yasmine Bleeth (Caroline) hanno abusato di alcool e droghe, dipendenze che sono riusciti a superare. Negli anni gli attori de "Il trono di Spade" hanno dovuto confrontarsi con depressione, alcool, problemi di salute e debiti. Sophie Turner, Cersei Lannister e il protagonista Kit Harington hanno passato momenti di forte sconforto e hanno dovuto fare i conti con la propria fama. Maisie Williams ha abusato di alcool, fin dall’adolescenza. Nikolaj Coster-Waldau ha avuto problemi di liquidità, mentre Emilia Clarke ha avuto due aneurismi. Ma in tutti casi, le battaglie personali sono state vinte. Anche le maledizioni più terribili possono essere sconfitte.
Paolo Giordano per “il Giornale” il 5 marzo 2020. Più che un calendario, sembra una cartella clinica. Una volta si annullavano i concerti per eccessi, sbronze o guai annessi e (s)connessi. Adesso per dolori e infortuni, o peggio. Il tour di Madonna, ad esempio, è una via crucis e sta diventando la tournèe più «accidentata» della storia del pop. L'altra sera, a Parigi, ha terminato il concerto a fatica dopo esser scivolata, ma poi ha annullato il successivo. Non è la prima volta e, dopo l' infortunio al ginocchio di fine novembre, sono oltre dieci i suoi show annullati o rinviati. «Sono una bambola rotta tenuta insieme con colla e nastro adesivo», ha scritto su Instagram. Detto da lei, è un grido di dolore moltiplicato per cento. E vabbé, direte, ha 62 anni e se ne può fare una ragione. Invece no. Madonna è stata la sublimazione atletica del pop, ha portato in scena spettacoli tecnicamente quasi impossibili anche per ballerini più esperti e più giovani di lei. Perciò, se perde colpi la più perfetta macchina da concerti pop degli ultimi trent' anni vuol proprio dire che qualcosa è cambiato e che una generazione di superstar ha raggiunto il limite. Oltretutto il giro d' orizzonte non spinge all' ottimismo, specialmente per la «vecchia guardia», ossia per chi sembrava ormai tutt' uno con il palco. Prendete Elton John. Già sta facendo il tour dell' addio che, va bene, dura tre anni e magari andrà avanti ancora oltre ma è comunque l' ultimo giro di concerti di una delle popstar più seguite e amate del mondo. L' altro giorno, ad Auckland in Nuova Zelanda, ha abbandonato il palco perché, ebbene sì, era rimasto senza voce: «Ho perso la voce completamente, non riesco a cantare», ha detto al pubblico quasi in lacrime. E poi se ne è andato, accompagnato da un assistente. Per lui, che ha 72 anni, non è la prima volta. Tra l' altro, Elton John canta anche nel disco (uscito in questi giorni) di Ozzy Osbourne, un altro che non si è fatto mancare nulla quanto a beveraggi e stupefacenti. «Continuate a chiedermi di concerti del 1972 o 76, ma è inutile che lo facciate: io non mi ricordo nulla degli anni Settanta», ha detto una volta e di certo non soffre di amnesia. Poche settimane fa, durante uno show televisivo americano, ha annunciato di essere affetto dal Parkinson. Risultato: il suo tour è stato nuovamente annullato per affrontare «per un trattamento in Svizzera fino ad aprile e il trattamento dura sei-otto settimane». In sostanza, un altro rinvio per una delle icone del rock duro, un testimonial dello slogan «sesso droga e rock' n'roll» sul quale si sono costruite carriere, distrutte esistenze e costruite leggende (da verificare). In ogni caso, è evidente che, se non altro per questioni anagrafiche, stia marcando visita una generazione che sembrava eterna. Eddie Van Halen, ad esempio, uno degli eroi della chitarra, continua ad affrontare terapie su terapie per battere un cancro. Certo, oggi la nuova generazione di popstar non ha più la stessa attitudine autodistruttiva, anzi. Il salutismo è esibito in ogni storia di Instagram quasi come una volta si esibiva il gin tonic. Però adesso a creare acciacchi è la straordinaria quantità di concerti e appuntamenti promozionali che ogni popstar è obbligata a seguire. Un concerto dietro l' altro, in ogni parte del mondo, e poi show tv, appuntamenti, interviste. Perciò i corto circuiti sono sempre più frequenti. Da Ariana Grande a Justin Bieber e Lady Gaga, che ha annunciato di avere la fibromialgia, saltano i concerti e abbondano le confessioni via social. Perché questa è un' altra grande differenza rispetto alla vecchia generazione pop: ora le malattie si curano in pubblico, non più in privato perché tutto è social, anche i guai di salute.
Gino Castaldo per la Repubblica il 27 dicembre 2019. il 27 dicembre 2019. In quanto oggetto di venerazione, il corpo dell' artista pop è da considerare sacro, quindi incorruttibile. Trasuda perfezione. Ma fino a un certo punto, e le crepe, quando arrivano, sono fragorose. Se poi a mollare è Madonna la crepa diventa un rombo di terremoto che scuote un intero mondo d' immateriali certezze. Pensate quanto deve esserle costato scrivere sui social queste parole: "mentre salivo la scala per cantare Batuka, sabato sera a Miami, ero in lacrime per il dolore causato dalle mie lesioni alla gamba, un dolore che è stato indicibile negli ultimi giorni", lei che l' invincibile potenza creativa della forza di volontà l' ha trasformata in arte. Sembra di sentire la voce spezzata da rabbiose lacrime leggendo il comunicato che dice: "mi considero una guerriera, non mollo mai, tuttavia ora è il momento di dare ascolto al mio corpo e accettare che il dolore è preoccupante". Morale, dopo aver già cancellate alcune date nei giorni scorsi, è costretta ad annullare anche le prossime, e chissà fino a quando. Parole che sanno di resa incondizionata. Umana, umanissima, fin troppo, ma dopo un prolungato e disumano gioco di maschere e finzioni. È una crepa che va a toccare la disincarnata e irreale argilla primordiale da cui vengono plasmate le divinità pop. È un' amarezza inconsolabile, come se da bimbi ci avessero detto che i nostri bambolotti erano malati. Nel 2005 Kylie Minogue, la più sublime delle Barbie pop, nel bel mezzo di un tour annunciò di essere malata di tumore al seno, fortunatamente allo stadio iniziale, e fu uno schiaffo di realtà, una tragedia che entrava brutalmente nel mondo sognante e irraggiungibile delle dive, per ricordarci qualcosa che nessuno voleva ricordare, ovvero che anche le divinità pop sono persone, e possono essere vulnerabili, deboli, incerte come ciascuno di noi. Era assai doloroso per i fan di Michael Jackson scoprire quanto fosse fragile, quanto fosse dipendente dai farmaci. Come quando Lady Gaga ha denunciato i suoi malanni: fibromialgia, ansia, addirittura uno stress post-traumatico dovuto a una violenza subita quando aveva 19 anni. Chissà perché questo logorio sembra colpire di più il mondo dorato della musica pop, come quando si viene a sapere di celebri calciatori afflitti ancora giovani da dolori atroci e sofferenze muscolari. Il dubbio è legittimo. Non sarà che l' ansia di prestanza fisica, di eterna giovinezza, di perfezione bambolesca, spinge gli artisti a sottoporsi a pratiche logoranti che generano stress e precoce usura? Ben diverso quando acciacchi e malanni arrivano dal mondo del rock. Lì c' è quasi da sorridere, i monelli del rock non hanno mai vantato vite salutari e prestanti, anzi, si sono spesso maltrattati e qualche volta ne hanno pagato le conseguenze. Molti grandi, come Clapton, Pete Townshend e altri, soffrono di sordità, ma è anche vero che per decenni si sono sfondati le orecchie con volumi impossibili per qualsiasi comune mortale. Altri hanno bevuto come spugne e si sono drogati in malo modo. L' usura era ovvia, inevitabile, un costo messo in preventivo. Il sorriso permanente di Keith Richards la dice lunga su quanto lui sia perfettamente consapevole di essere un miracolo vivente. E il suo partner Mick Jagger , dopo un' operazione al cuore, è tornato a esibirsi a tempo di record. Quasi uno sberleffo. Vasco, sempre più sboccato e sincero, dice di aver visto il nero dell' abisso. Ma nella musica pop è diverso, le icone pop hanno tutt' altri doveri, sono sane, belle, incorruttibili, si fa fatica perfino ad accettare che possano invecchiare. E Madonna lo sa meglio di chiunque altro, lei che alcune delle regole in vigore nella competizione di mercato le ha letteralmente inventate. Tutte le sue recenti trovate sembravano un' abile dissimulazione dell' inesorabile avanzare degli anni, la banda nera su un occhio, qualche ritocco in viso, foto e allestimenti studiati con certosina accuratezza per non accentuare grinze e debolezze, fino alla resa di questi giorni. Ma il messaggio è potentissimo. La perfezione esiste, recitava ripetutamente l' altoparlante della musica pop. Anzi no, esisteva.
· Hall of Fame 2020.
Hall of Fame 2020: entrano Depeche Mode, Notorious B.I.G. e Whitney Houston. Inseriti anche i Doobie Brothers,i Nine Inch Nails e i T. Rex. Le esclusioni eccellenti dall'olimpo del rock e gli artisti inseriti più volte. Gabriele Antonucci il 16 gennaio 2020 su Panorama. L’organizzazione della Rock’n’roll Hall of Fame ha rivelato i sei nuovi ingressi nell'Olimpo del rock per il 2020: Depeche Mode, Doobie Brothers, Whitney Houston, Notorious B.I.G., Nine Inch Nails e T. Rex. Sei nomi di alto livello, tra rock, pop, glam e hip hop, sui quali non c'è nulla dire. Erano in nomination, ma poi esclusi dalla sestina finale, anche Judas Priest, i Kraftwerk, gli MC5, i Motörhead, i Soundgarden, Pat Benatar, la Dave Matthews Band, Rufus e Chaka Khan, Todd Rundgren e Thin Lizzy. L’Ahmet Ertegun Award, il premio riservato ai personaggi al lavoro nel backstage della musica, è andato al manager di Bruce Springsteen Jon Landau e al manager degli Eagles Irving Azoff. Ricordiamo che per essere ammessi alla Hall of Fame i singoli artisti o i gruppi, oltre ad aver giocato un ruolo di significativa influenza nella storia del rock and roll, devono aver inciso il primo disco da almeno 25 anni. La Hall of Fame si compone di quattro categorie: Performers, Non-Performers, Early Influences e Sidemen. Le "schede elettorali" sono state espresse da un organo di voto internazionale di oltre 1.000 artisti e personaggi dell'industria musicale. La cerimonia di consegna dei premi, la 35esima nella storia della Hall of Fame, verrà trasmessa in diretta tv su HBO il 2 maggio dall’Auditorium di Cleveland, in Ohio. Puntuali, come ogni anno, tornano le polemiche sui discutibili criteri dell'ingresso nella Rock’n’roll Hall of Fame, uno dei riconoscimenti più prestigiosi e, al tempo stesso, più discussi.
Le polemiche e le discussioni sull'ingresso nella R&R Hall of Fame. Nonostante la vittoria, con oltre un milione di preferenze, alla votazione aperta a fan e appassionati sul Web dal comitato che gestisce R&R Hall of Fame, la Dave Matthews Band non è stata inserita nella Rock and Roll Hall of Fame per il 2020. Vero è che la vittoria al Fan Vote, come da regolamento, non implica l'ingresso nella sestina finale, ma, da quando è stata data al pubblico la possibilità di esprimersi, non era mai accaduto che l'artista più votato venisse poi escluso: pensiamo a Rush, Kiss, Stevie Ray Vaughan, Chicago, Journey, Bon Jovi e Def Leppard, tutti poi inseriti in via definitiva. Scorrendo la lista delle nomination del 2020, appaiono davvero lunari le esclusioni di gruppi come Kraftwerk e dei Motorhead, due band seminali dell'elettronica e dell'hard & heavy. Ma va detto che, nell'elenco delle esclusioni eccellenti, i due gruppi sono in ottima compagnia.
Gli esclusi eccellenti della Rock and Roll Hall of Fame. La perplessità maggiore riguardo all'inserimento nella Rock and Roll Hall of Fame verte sulle discutibili modalità con cui vengono effettuate le nomine. Il processo è infatti controllato da pochi elementi, tra cui Jann Wenner il fondatore, il primo direttore della fondazione Suzan Evans e lo scrittore Dave Marsh. Questo fa sì che le nomine siano influenzate più dai gusti soggettivi che da una oggettiva visione dell'influenza sul rock and roll. Un'altra critica mossa alla Fondazione è quella di ammettere troppi artisti, permettendo l'ingresso anche a personaggi di secondaria importanza rispetto ai big esclusi. Scorrendo l'elenco degli esclusi eccellenti, si rimane basiti per la mancanza di band heavy metal seminali come Iron Maiden, Slayer e Motorhead, di gruppi fondamentali del grunge come Soundgarden, Alice in Chains e Jane's Addiction, di cantautori straordinari come Sting, Nick Cave, Nick Drake, PJ Harvey e Tracy Chapman, di una mente illuminata come quella di Brian Eno, degli araldi del britpop come i Blur e gli Oasis, di formazioni cult come Jethro Tull, Bad Brains, Television, Pixies, Smashing Pumpkins, Sonic Youth e Los Lobos. Posto che il pop non è escluso dal riconoscimento, perchè non è mai stata inserita una cantante del calibro di Mariah Carey oppure gruppi-chiave degli anni Ottanta come Duran Duran, Spandau Ballet, New Order e Simple Minds ? Se si vuole, come pare, premiare l'influenza nella storia della cosiddetta musica leggera, com'è possibile l'esclusione dei Kraftwerk, i precursori della musica elettronica (finalmente candidati nel 2019), degli Chic, padrini della disco music, dei Joy Division e dei The Smiths, due band senza le quali non esisterebbe gran parte del rock degli anni Novanta? L'Olimpo del rock ha accolto anche diversi rapper: Grandmaster Flash, Beastie Boys, Run-DMC, Public Enemy, N.W.A.,2Pac e adesso anche Notorius B.I.G.. Ne restano fuori, anche qui inspiegabilmente, artisti del calibro di Afrika Bambaataa, De La Soul, A Tribe Called Quest e Gang Starr, che tanto hanno contribuire a innalzare gli standard di un genere troppo spesso schiavo dei suoi stessi stilemi.
Gli artisti introdotti due volte nella Hall of Fame. Scorrendo l'elenco degli artisti introdotti, salta subito all'occhio che Eric Clapton sia l'unico ad essere stato introdotto 3 volte nella Hall of Fame: nel 1992 come membro degli Yardbirds, nel 1993 come fondatore dei Cream e nel 2.000 come solista. Più ampia, ma pur sempre esclusiva, è la lista del cosiddetto "The Clyde McPhatter Club", chiamato così in onore del pimo musicista ad essere stato introdotto due volte. Ne fanno parte solo 23 artisti: Jeff Beck, Johnny Carter, David Crosby, Peter Gabriel, George Harrison, Michael Jackson, John Lennon, Curtis Mayfield, Paul McCartney, Clyde McPhatter, Graham Nash, Stevie Nicks, Jimmy Page, Lou Reed, Gregg Rolie, Paul Simon, Ringo Starr, Rod Stewart, Stephen Stills, Sammy Strain, Ron Wood e Neil Young, oltre, naturalmente, a Clapton. Peccato che, sulla vetta dell'Olimpo del Rock, ci siano più ombre che luci.
· Cinema e Musica Italiana da Oscar.
Sergio Toffetti per “La Stampa” il 16 agosto 2020. Dietro l'orchestra di Glenn Miller che suona Chattanooga choo choo - quanto di più classicamente «born in the Usa» possa venire in mente - troviamo un italo-americano: il compositore Harry Warren si chiama in realtà Salvatore Guaragna, 11 nomination e 3 Oscar, autore nel 1933 del primo grande musical, Quarantaduesima strada. Mentre i registi - da Frank Capra a Gregory La Cava - rivelano tranquillamente con la «desinenza in vocale» l'origine latina, gli attori e molti musicisti preferiscono nascondersi dietro uno pseudonimo per non farsi confinare in ruoli etnici. Così, Mario Bianchi, Dino Crocetti, Anna Italiano, Ermes Borgino diventano Monty Banks, Dean Martin, Anne Bancroft, Ernst Borgnine. Il passaggio da «Mastro Ciccio dint' o' muvinpiccio» (protagonista di una canzoncina Anni 20 in stretto «broccolino») alle star di oggi - Madonna, Martin Scorsese, Abel Ferrara - che costruiscono il loro appeal globale sulle radici italo-americane, ce lo racconta ora Giuliana Muscio in Napoli / New York / Hollywood (Dino Audino Editore, 239 pagine, 29 euro). Agli inizi del 900, il cinema - che pure tanta influenza ha nel costruire l'identità americana - è in buona parte una faccenda da immigrati, ebrei e italiani in prima fila, che ancora prima di sbarcare cantano la loro nostalgia: «E 'nce ne costa lacrime st' America, a nuje napulitane; pe nuie ca 'nce chiagnimmo o cielo e' Napule, comme è ammaro stu' pane». Tra i piccoli mestieri con cui arrangiarsi c'è il cinema. Attività che, per il basso profilo sociale, si apre ai membri di una comunità etnica di incerta appartenenza alla razza bianca, perché secondo l'ufficio statistico degli Usa gli italiani sono Caucasian, non White Caucasian come gli europei del nord. Una diversità, anche di stazza fisica, magistralmente impersonata da Angelo Maggio, piccolo malavitoso di Brooklyn interpretato nel 1953 da Frank Sinatra in Da qui all'eternità di Fred Zinnemann. Ed è proprio il cinema il terreno dove gli immigrati (circa 5 milioni a cavallo del 900) rafforzano il senso di comunità, intavolando un dialogo con l'America per combattere gli stereotipi mafia, pizza e mandolino. Gli immigrati italiani diventano italo-americani sullo schermo, oltre che combattendo nella IIGuerra Mondiale ( il più numeroso gruppo nazionale dell'esercito americano) e conquistandosi il rispetto col lavoro, come nei romanzi di John Fante o negli esordi alla regia di John Turturro in Mac (1992), storia di una famiglia di muratori; e di Robert De Niro, guidatore d'autobus in Bronx (1993) che tenta di tenere lontano il figlio dagli ambienti criminali. Partendo dalle prime ondate migratorie, Giuliana Muscio ricostruisce la rete di compagnie teatrali, giornali, stazioni radiofoniche, produzioni cinematografiche che legano le comunità italiane, accompagnandone l'integrazione e mantenendo il dialogo con la cultura di provenienza. In questa realtà multiforme, tre figure spiccano: Enrico Caruso, che agli inizi del secolo riverbera sugli immigrati il prestigio culturale della tradizione operistica; Rodolfo Valentino che impone la propria fisicità latina allo star system hollywoodiano; e Frank Sinatra, genio musicale dalle amicizie pericolose che media i rapporti tra il clan Kennedy e la mafia; ma anche coautore, nel 1945, di The House I Live in contro l'antisemitismo; e finanziatore della comunità afroamericana, perché come dichiara in un'intervista, riferendosi agli italiani linciati nel 1891 a New Orleans: «Non c'erano soltanto i neri appesi in fondo a quelle corde. Quando avevo cinque anni mi chiamavano dago, wop, guinea. Come se io non avessi un nome. Perciò quando mi proposero di cambiarlo, risposi: il mio nome è Frank fottutissimo Sinatra». Italoamericano sarà Jack Valenti, per 38 anni potentissimo presidente dei produttori. Ma Hollywood arruola anche Anna Magnani, Oscar per la sua madre mediterranea nel brutto film La rosa tatuata (1955); e Virna Lisi, ingaggiata al posto di Marilyn Monroe (non la farà rimpiangere) come moglie italiana di Jack Lemmon in Come uccidere vostra moglie (1965). La vera e propria egemonia creativa degli Italianamericans si impone a partire dagli Anni 70, con Mean Streets (1973) di Scorsese e la saga del Padrino (1972) di Francis Ford Coppola, vero «godfather» di una «famiglia creativa» che inizia col nonno materno Francesco Pennino, musicista e proprietario di un cinema a New York, continua col padre Carmine, noto compositore, per allargarsi ai figli Sofia e Roman, alla sorella Talia Shire, al nipote Nicolas Cage. Anche se oggi, forse, la figura che meglio riassume il dialogo con le proprie origini resta John Turturro che, partendo da film come Illuminata (1998) su una compagnia teatrale italiana ai primi del '900, e Passione (2010), viaggio iniziatico nella musica napoletana, intraprende una ricerca delle radici culturali che lo porta oltre il cinema, con la regia del Rigoletto, la versione teatrale delle Fiabe italiane di Italo Calvino, e soprattutto il confronto con la vicenda umana di Primo Levi nella versione cinematografica della Tregua (1997). Dei 5 milioni di italiani, oltre il 50% tornerà indietro. Come il trasteverino Augustarello, che racconta al giovane Alberto Sordi gli alti e bassi dell'arte: ballava il tango con Valentino nei dancing di Los Angeles. Poi, il destino decise diversamente.
Stefano Mannucci per ''il Fatto Quotidiano'' il 17 febbraio 2020. L' orchestra del Dolby Theatre suonava Quando quando quando alla cerimonia per gli Oscar, mentre Parasite faceva incetta di statuette. Se chiedete al regista Bong Joon-ho come gli sia venuta l' idea di piazzare nella scena clou In ginocchio da te (ancor prima utilizzata da Canet per Blood Ties) vi risponderà che suo padre possedeva una vasta collezione di 45 giri italiani. Lui è andato a cercare Gianni Morandi sul web, e ha scoperto che la canzone era anche un fortunato "musicarello" girato a Napoli nel '64. La scatola sudcoreana del gioco di memorie cinemato-pop contiene una domanda: nel mondo hanno più considerazione per la nostra musica leggera della Golden Age di quanta ne abbiamo noi? Le produzioni internazionali, hollywoodiane e non, ripescano volentieri per le colonne sonore i classici vintage del Belpaese. Prima che la Carrà fosse incoronata da Sorrentino, A far l' amore comincia tu tambureggiava su Gocce d' acqua su pietre roventi di Ozon e in una puntata di Doctor Who; Scorsese omaggiava Paoli con Il cielo in una stanza su Quei bravi ragazzi; Meravigliosa creatura e la Nannini spuntavano in Festen di Netzer e il Jovanotti di Una tribù che balla faceva capolino in Un boss sotto stress di Ramis; Gloria echeggiava dentro The wolf of Wall Street, ma Tozzi era un must (con Stella stai) nel soundtrack di Spiderman: Far From Home; Mina è musa per Almodóvar in Tacchi a spillo (reinterpretata da Bosè) e in Dolor y Gloria. Spiazzano i Ricchi e Poveri e la loro Sarà perché ti amo ne L' effrontée di Miller, per non dire de Il mondo di Jimmy Fontana in Questione di tempo di Richard Curtis. A proposito di Oscar, il polacco Ida rilanciava 24mila baci e Guarda che luna. "Noi italiani siamo provinciali, troppo critici sul patrimonio della nostra canzone. Ci siamo vergognati pure di Sanremo", riflette Mara Maionchi: "Ma in quelle storie di tre minuti ci ritrovavamo tutti, era una condivisione culturale duratura, grazie anche alla loro cantabilità. C' erano arrangiatori come Morricone o Bacalov, e poeti che mettevano le parole giuste sulle melodie. Lo spirito nazionale induceva all' ottimismo, al sogno. Un vento che è soffiato poi oltre i nostri confini". Mario Lavezzi, autore di successi per tutto il pattuglione di big tricolore, ora in tour per il suo box E la vita bussò, spiega: "All' estero amano i nostri evergreen perché riverberano un' era in cui avevamo valori molto più solidi, non solo nella musica: design, moda, auto, cucina. Noi emulavamo gli anglosassoni, ma a Sanremo Wilson Pickett cantava per Battisti. Come catturavamo la magia? Io suonavo la chitarra davanti allo specchio, senza registrare. Avevo imparato a non arrendermi dopo che ero stato costretto a lasciare i Camaleonti per la naja. La svolta, al ritorno, fu Il primo giorno di primavera". Alberto Salerno, penna illustre su Io vagabondo, Terra Promessa o Lei verrà, sottolinea: "Certe canzoni hanno bucato tempo e spazio perché erano davvero popolari, alla portata di tutti. Sono state rivalutate negli anni, mentre allora si approvavano solo le cose d' autore, più complesse e intellettuali. A noi ragazzi dei 60 servivano motivetti per baciare le ragazze, e nei 70 per capire chi eravamo. Mi commossi sentendo intonare Io vagabondo da una folla di giovani ai funerali di Muccioli a San Patrignano. All' Oscar non ci sono arrivato: giusto uno spot per il brodo Knorr con uno scampolo di Donne". Ma qualcuno, anche se per vie indirette, può rivendicare un piccolo merito sul trionfo italiano del 1965, quando Ieri oggi e domani fu scelto dalla Academy come miglior film straniero. Racconta Edoardo Vianello: "La sera in cui conobbi la Loren mi presentai: ero l' autore de La partita di pallone, che il suo personaggio canticchiava a cappella prima dello spogliarello. Sophia sorrise. Mi disse che non ne sapeva nulla ma meritavo di essere citato, e che avevamo qualcosa in comune. 'Anche mio figlio si chiama Edoardo', spiegò". Vianello ha firmato brani che hanno venduto 60 milioni di copie, sigle indelebili delle estati senza fine dei 60, "un' epoca di innocenza in cui il juke box ci aiutava a rimorchiare, a vivere le cotte". Lo hanno saccheggiato in tanti: da Dino Risi ai Vanzina, e Totò lo ha parodiato. "Due anni fa, nella serie tv Usa Masters of none Alessandra Mastronardi accennava a Guarda come dondolo. Per un paio di settimane quel mio pezzo è rientrato, mezzo secolo dopo, nella top ten americana. Un miracolo: visto da qui appare inspiegabile".
· Grande Fratello Vip, perché i Big si (s)vendono così?
Alessandra Comazzi per "La Stampa" il 17 agosto 2020. Ogni reality si basa sulla privazione dei bisogni primari: al Grande Fratello tolgono la libertà; a Temptation Island, che buon successo ha avuto in questa estate fatta quasi soltanto di repliche, la fiducia nel partner; all'Isola dei famosi il cibo, a Ballando con le stelle il riposo. Proprio vent' anni fa debuttava su Canale 5 il Grande Fratello, prima puntata il 14 settembre 2000, format della olandese Endemol, dai nomi dei fondatori Joop van den Ende e John de Mol, una multinazionale dell'intrattenimento: il programma va o è andato in onda ovunque nel mondo. Adesso è solo uno dei tanti reality irrilevanti, allora era un Giano bifronte intellettuale e pop. Il padre di tutto il trash che il ventennio successivo avrebbe prodotto in tv e poi sul web. Ma il trash, letteralmente «spazzatura», era anche un modo per svoltare da una televisione costipata e costruita, predeterminata. Per la prima volta la «gente comune» diventava protagonista assoluta di questo gigantesco gioco di ruolo: nelle pedine, lo spettatore da casa si poteva riconoscere. Il reality quale nuova forma di commedia dell'arte, con tutti i ruoli ben definiti. Qui sono sempre andati forte i colpi di scena, le liti, le risse, tutto seguito attraverso quel grande buco nella serratura che era la telecamera nascosta, eppure ben presente nella consapevolezza degli sfidanti. Tracimati anche nella forma Grande Fratello Vip, con «vip» sempre meno tali: si sta giusto preparando il cast per la nuova stagione, in arrivo a settembre, sempre condotta da Alfonso Signorini, con Pupo e Antonella Elia opinionisti: tra i primi concorrenti annunciati, la più nota è Elisabetta Gregoraci, già signora Briatore. E poi Dayane Mello, Stefania Orlando, Flavia Vento, Patrizia De Blanck, Eva Grimaldi, Ludovica Pagani. Uomini: Tommaso Zorzi, Paolo Brosio, Francesco Oppini, Enock Barwuah (fratello di Mario Balotelli), Riccardo Fogli, Nicola Ventola e Giovanni Terzi, promesso sposo di Simona Ventura. Capito che glamour? Voyeurismo televisivo L'inizio del GF fu piuttosto semplice: dieci concorrenti chiusi in una casa e spiati 24 ore su 24. Ci furono allora tante analisi psicologiche, tante introspezioni, «così si può studiare l'animo di un recluso»: in realtà le telecamere, e gli spettatori, aspettavano solo la prima notte di sesso tra partecipanti. Che poi avvenne, come da copione non scritto. Pirandello aveva già capito tutto, stasera si recita a soggetto. Prima vincitrice fu Cristina Plevani, vincitore morale Pietro Taricone, che diventò bravo e troppo presto morì, e c'era Rocco Casalino, passato a vita politica. Vinse il GF successivo Flavio Montrucchio, bancario torinese rimasto nelle arti varie, e vi parteciparono pure Luca Argentero, adesso attore amatissimo, e Eleonora Daniele, conduttrice. Con i moltiplicarsi dei reality, la funzione di ufficio di collocamento è andata perdendosi, ma l'autocompiacimento no. Per due anni, l'intellettuale Daria Bignardi condusse la «creatura bella e schifosa», come la definì Antonio Ricci. Poi al posto della Bignardi arrivarono Barbara D'Urso, Alessia Marcuzzi e di nuovo l'instancabile D'Urso. Psicologi, sociologi, critici e semiologi, direttori e confessori, tutti si interrogavano sul successo del programma di Canale 5, dieci milioni di spettatori di media, 16 nella puntata finale (ora sono 2-3 milioni). Storie d'amore e d'amicizia, tradimenti e baci ardenti, nulla sfuggiva, per definizione, al grande occhio della telecamera, titolo non a caso ispirato a 1984 di George Orwell, in cui si immagina che il dittatore di Oceania, il Grande Fratello per l'appunto, spii con le telecamere i cittadini, condizionandone la vita ed eliminando il libero arbitrio. Il successo fu subito travolgente. E trasversale. Lo show nacque come l'evoluzione dello specchio segreto, degli scherzi a parte; era il «delitto» nella stanza chiusa però spiato, era il voyeurismo a portata di telecomando, giustificato da tanta mediatica sociologia. Ora alle telecamere, più o meno nascoste, siamo abituati tutti. E non le viviamo nemmeno più come una violazione della privacy. Dalle banche ai cellulari, dalle immagini rubate di YouTube alle web cam dei computer, l'occhio del Grande Fratello, quello di Orwell, non della Endemol, ci segue dappertutto, altro che nella casa. La condivisione del GF surclassata da quella dei social network.
Il cantante mascherato, una storia triste. I pupazzoni multicolore del programma di Rai Uno sono l'ultima frontiera dell'umiliazione definitiva del famoso in tv. Beatrice Dondi il 28 gennaio 2020 su La Repubblica. «Quando il mio corpo sarà cenere, il mio nome sarà leggenda», diceva Jim Morrison. Che tradotto in soldoni potrebbe essere: puta caso che tu sia riuscito in qualche modo a diventare famoso, in qualche modo te la faranno scontare. E forse, alla fine della fiera, una volta umiliato il tuo corpo più o meno celebre, il tuo nome verrà ricordato. Forse. È questa la giostra perversa sulla quale la nostra tv fa salire le Very Important Person in percorsi sempre più arditi. Che mirano a stravolgere il personaggio, sottoponendolo a prove ai limiti del degrado, modificandone i lineamenti, ridicolizzandone voce, carriera e portamento sino a lasciarlo lì, come un mucchietto confuso che alla fine deve portare a caso il risultato. Ovvero quello di vedere consolidato il suo nome nell’universo dei famosi. Sbattuti su isole deserte, traditi sulle spiagge della tentazione, costretti a sedute di trucco estenuanti per cercare di assomigliare a suon di protesi gommose a famosi un po’ più famosi, fatti entrare dall’occhio acuto del grande fratello in ginocchio, sporcati dalla vernice, ridotti a baciare vetrate di plexiglass, i vip perdono pezzi a ogni passaggio televisivo. Ultimo estremo capitolo della destrutturazione definitiva è il format di importazione sudcoreana “Il cantante mascherato”. Lasciando correre l’oscuro motivo secondo il quale la Corea del Sud sia diventato un modello televisivo da emulare, roba che neanche i momenti più alti di “Boris” avrebbero osato tanto, il programma di Rai Uno ha individuato otto malcapitati che nella vita avrebbero anche fatto qualcosina (tipo complessivamente partecipato per 46 volte a Sanremo, 250 milioni di dischi venduti, condotto 70 programmi, interpretato 25 film, tenuto concerti in oltre 30 paesi, pubblicato 10 libri, 88 album discografici e fatto milioni di ore televisive) e li ha invitati alla pubblica quanto definitiva umiliazione. Nascosti in costumi a mo’ di impalcature, si trasformano giganteschi pupazzoni multicolore, L’Angelo, Il Barboncino, Il Mostro, Il Mastino napoletano con la pizza disegnata sulla pettorina. Cantano cover, col microfono ad archetto incastrato sotto la faccia di cartapesta piumata. E sudano, sudano parecchio come si affretta a sottolineare lady Carlucci, che ostenta la sua innata eleganza davanti a un campionario di surrealtà rosa confetto. La giuria scruta i campioni occultati, li ascolta e infine li giudica in base a una performance a ostacoli da giochi senza frontiere. Alla fine, se perdono, rivelano la loro identità. Cioè recuperano il loro essere vip solo nella cacciata. Una storia triste. In cui resta solo il nome di questi poveri Romeo. In attesa prima o poi che arrivi una temuta Giulietta che gli chiederà di rinunciare anche a quello.
Grande Fratello Vip, perché i Big si (s)vendono così? Alice Penzavalli il 09/01/2020 su Notizie.it. Vendersi per soldi è necessario? La quarta edizione del Grande Fratello VIP ha aperto i battenti mercoledì 8 gennaio. Venerdì 10 andrà in onda la seconda puntata, ma già adesso è possibile prevedere che sarà un’edizione diversa e forse più interessante della scorsa. La conduzione è stata affidata ad Alfonso Signorini e, in termini di ascolti, il cambio di testimone ha premiato le scelte di Mediaset: 3.405.000 spettatori, pari al 20.15% di share, in rialzo rispetto alla prima puntata del GF Vip 3 (3.341.000, share 20.95%). Gli autori hanno puntato sul cast, si è detto in conferenza stampa, e sembrerebbe una considerazione oggettiva. Un cast eterogeneo, sia in termini anagrafici sia in termini di caratura artistica, che di sicuro alimenterà il gossip dentro e fuori la Casa. Quasi tutti, infatti, sono al centro delle scena mediatica per ragioni sentimentali, argomento sempreverde che attira la curiosità dei telespettatori. A ben vedere, però, alcuni dei nomi stonano un po’ con la missione propria di un reality show. Se, agli albori, esso era considerato un esperimento sociale, adesso le dinamiche e le finalità sono completamente cambiate. Le affermazioni “ho voglia di mettermi in gioco, ho bisogno di mettermi alla prova, sento di dover riscoprire me stesso, eccetera eccetera” non reggono più. Dunque, se si può trovare una facile spiegazione alla presenza di Pasquale Laricchia, Patrick Ray Pugliese, Salvo Veneziano e Sergio Volpini, ci si chiede cosa spinga, invece, personaggi come Michele Cucuzza, Adriana Volpe e persino Barbara Alberti a (s)vendere la propria intimità a favore di telecamera. Mostrarsi 24 ore su 24 per un paio di mesi, consapevoli che presto si litigherà con i coinquilini per diventare carne da macello (televisivo), è una scelta forte. Il denaro, si potrebbe facilmente azzardare, ma forse è una spiegazione semplicistica. Chi ha fatto televisione per decenni ed è abituato a condividere la propria quotidianità con il pubblico, forse non accetta l’idea di ritirarsi a vita privata; oppure spera che la dose di visibilità raggiunta sia foriera di nuove opportunità professionali; o, ancora, desidera appagare il proprio ego. A ben vedere, Michele Cucuzza è sbarcato da qualche anno su Telenorba, Adriana Volpe è fuori dalla Rai dal 2018 in seguito ai dissidi con Giancarlo Magalli, Rita Rusic ha interrotto la sua attività di produttrice nel 2011. Per Cucuzza e Volpe, la permanenza nella Casa potrebbe offrire loro la possibilità di tornare in auge con la conduzione di un programma Mediaset, ma il rischio che finiscano a fare gli opinioni qua e là è alto. Vi è poi un nome che stride più di ogni altro e che poco si incastra con il ruolo di concorrente. Stiamo parlando di Barbara Alberti. Da anni, la giornalista settantaseienne imperversa nei salotti televisivi, talk show e reality soprattutto, in qualità di opinionista. Dialettica arguta e tagliente, ragionamenti veloci e sempre circostanziati, è sempre stata dall’altra parte della barricata, in studio, a commentare ciò che accadeva alla Fattoria, alla Talpa o a dibattere con l’ospite di turno a La Repubblica delle Donne. Adesso sarà lei a essere giudicata e ci si chiede: perché? Da qualche tempo, il fascino del mondo dello spettacolo da protagonista ha colpito anche la sua personalità integerrima. Nel 2018 ha partecipato a Celebrity MasterChef Italia e ha pure debuttato come attrice nel nuovo film di Ferzan Ozpetek, La Dea Fortuna. Una virata verso il personaggio vi è stata, ma qui siamo oltre. Il GF di oggi è un contenitore di intrattenimento televisivo al cui centro vi è il gossip, più o meno velato, più o meno ricercato, ma sicuramente cavalcato. Certo, è probabile che la Alberti non parlerà dei suoi vecchi amori, Michele Cucuzza non riceverà la visita di una ex fidanzata arrabbiata per essere stata tradita con una corteggiatrice di Uomini e Donne, così come Adriana Volpe non parlerà dei suoi ex fidanzati del liceo, bensì approfondirà la faccenda Magalli e Rita Rusic parlerà del legame ritrovato con Vittorio Cecchi Gori, ma vedere professionisti di una certa caratura alla stregua di personaggi usa e getta fa riflettere. La vanità non è certo un peccato, ma qua si ha la sensazione che oltre al mero narcisismo vi sia dell’altro: il bisogno di lavorare, in un momento in cui la vita professionale attraversa una fase calante. Testi e la Elia, infatti, non sono nuovi al tritacarne dei reality: il primo è stato all’Isola dei Famosi e al Grande Fratello Vip spagnolo, la seconda all’Isola e a Pechino Express. Pertanto il reality show sembrerebbe fungere da ufficio di collocamento per vecchie glorie. La scelta di partecipare è certamente personale e non opinabile, ma permane comunque un quesito: è proprio necessario?
Grande Fratello, Striscia la Notizia a suon di scandali: "Autoerotismo in doccia", raffica di espulsioni? Libero Quotidiano il 24 Gennaio 2020. "L'indignazione popolare li manderà a casa uno a uno". Striscia la notizia disegna un futuro nero per il Grande Fratello Vip e Alfonso Signorini: la rubrica Spetteguless riassume in pochi minuti tutte le frasi "indecenti" pronunciate dai concorrenti nella casa di Cinecittà e quel "da scannare" che ha provocato l'espulsione di Salvo Veneziano sembra quasi all'acqua di rose. C'è Barbara Alberti che dà a Pasquale Laricchia del "faccia da assassino", le volgarità di Fernanda Lessa, il duello al calor bianco tra Rita Rusic e Valeria Marini (entrambe ex di Vittorio Cecchi Gori), per finire con la doccia "sospetta" in odor di "autoerotismo" di Michele Cucuzza. Insomma, concludono Ficarra e Picone, c'è solo l'imbarazzo (molto) della scelta su chi far uscire.
Grande Fratello Vip, Signorini imbarazza Fulvio Testi: "Tra le tue fidanzate anche lei", reagisce così. Libero Quotidiano il 24 Gennaio 2020. Agguato in diretta al Grande Fratello. In studio c'è Fabio Testi e Alfonso Signorini, conduttore ma soprattutto re del gossip alla guida del settimanale Chi, non rinuncia alla bomba sentimentale: "Tra le tue tue fidanzate vanti Katia Ricciarelli, ragazzi...". Boato in studio, con Testi visibilmente imbarazzato tanto da lasciarsi andare a un gesto piuttosto vigoroso con la mano, che contraddice il sorriso (tirato) sul suo volto. Ma la vera domanda è quella dell'opinionista Pupo: "Ma la Ricciarelli prima o dopo Pippo Baudo?". Un momento cult che non sfugge ad Antonio Ricci e finisce dritto al secondo posto nella prestigiosa rubrica Spetteguless di Striscia la Notizia. Ne è valsa la pena.
· AC/DC.
Ac/Dc fedeli alla linea. Il loro rock (molto) duro non cambia da 45 anni. L'album "Pwr up" è uno degli eventi del 2020. E suona diverso da tutto ciò che va di moda. Paolo Giordano, Martedì 10/11/2020 su Il Giornale. Ma che bello: un disco che si sa già come va a finire. Potente. Semplice ma inimitabile. Signore e signori, ecco la musica di una categoria in via di estinzione, i rockettari che con tre accordi ti riempiono uno stadio come se fosse la cameretta di un adolescente. Pwr Up è uno dei dischi più attesi di quest'anno maledetto e arriva dopo un bel po' di disgrazie (la morte del fondatore Malcom Young nel 2017, la malattia del cantante Brian Johnson, l'abbandono di batterista arrestato e bassista stanco) che avevano fatto dire a tutti addio cari Ac/Dc siete stati bravi ma ora basta. Invece no. Si sono rimessi insieme e sono identici a prima, a quando con Bon Scott (poi morto nel 1980 per i soliti eccessi) iniziarono a correre sulla highway to hell, sull'autostrada per l'inferno asfaltata da chitarre esagerate e virtuose, batteria monolitica, testi goliardici, mai politici, sempre al servizio della musica. E li riconosci subito anche stavolta, gli Ac/Dc, quando inizia il riff di chitarra di Realize che, una volta suonato negli stadi scatenerà l'effetto tipico della band, lo stesso che si vede in Live at River Plate del 2009: pubblico compatto, teste e pugni oscillanti al ritmo della batteria, un rituale onesto e scatenato che è un po' anche il senso di questo boogie rock derivato dal blues ed elevato all'ennesima potenza per sottrazione: gli Ac/Dc sono soltanto basso chitarra batteria e voce senza altri orpelli, niente tecnologia, quasi tutto in quattro quarti e via andare perché contano soprattutto il giro di chitarra e il ritornello. Una formula che aveva fatto storcere il naso ai puristi persino quando, nel 1980, uscì Back in black, che poi si rivelò essere l'album più venduto della storia dopo Thriller di Michael Jackson. Ma chi sono questi caciottari? Risultato: oltre duecento milioni di dischi venduti in carriera (che valgono un po' di più dei numeri da streaming), trent'anni di tour stra esauriti negli stadi senza nessuna o quasi apparizione tv, pochissime copertine, zero social. Solo la forza di un marchio, quello degli Ac/Dc, che senza tante ciance è diventato riconoscibile al primo ascolto. Specialmente ora. Questo Pwr Up, che sarà uno dei più venduti dell'anno, è una copia conforme dello stile Ac/Dc senza che nessuno possa lamentarsi. Anzi, una variazione sarebbe stata come un tradimento. E quindi Demon fire può avere un «attacco» che ricorda Whole lotta Rosie o Wild reputation ha un basso che fa venire in mente Live wire dal disco TnT del 1975 ma chissenefrega. Nell'epoca del cambiamento a tutti i costi (compreso quello di perdere la faccia) la forza di questi manovali del rock è di non cambiare e di soddisfare un pubblico che li vuole così. Soprattutto di farlo ad altissimo livello perché Brian Johnson ha 73 anni ma urla come quando registrava For those about to rock nel 1981 e Angus Young, il minuscolo scolaretto del rock, a 65 anni è sempre più maestro della sua chitarra Gibson SG, suonando assoli meno funambolici ma più difficili, veri ricami essenziali di un tessuto grezzo e irresistibile. Certo, la storia degli Ac/Dc è passata Through the mists of time, attraverso i fumi del tempo come il titolo di uno dei brani più corali del nuovo disco, perché questi australiani hanno avuto vite e morti straordinarie e maledette, arrivano dagli scantinati di Sidney, non sono mai piaciuti alla gente che piace ma hanno suonato per decine di milioni di persone con una lealtà che ce ne fosse altrettanta in giro. Insomma oggi sono diventati tutto ciò che non si sente in radio e nelle playlist: un gruppo basato sulle chitarre che non usa autotune, per carità, e che fa saltare in piedi al primo ascolto. E meno male che questo disco degli Ac/DC (scritto in gran parte anni fa da Malcom Young) suona pressoché identico ai precedenti. Tempo fa, Angus Young disse al New York Daily News che «sono stanco di sentir dire che abbiamo pubblicato undici dischi uguali. In realtà sono dodici che suonano tutti uguali». Con una battuta così, e un pubblico sterminato, vinci a mani basse anche quando pubblichi il diciassettesimo album e non cambi manco una virgola.
Mattia Marzi per “il Messaggero” l'1 ottobre 2020. L' obiettivo è quello di arrivare al 2023, anno in cui festeggeranno i loro cinquant' anni di attività, in grande spolvero, facendosi trovare dai fan più in forma che mai. Pazienza se sul palco Brian Johnson non potrà esserci, per colpa di quei problemi all' udito che già nel 2016, nel bel mezzo del tour legato all' album Rock or Bust, lo costrinsero a ritirarsi, spingendo i compagni di band a cercare un sostituto (lo trovarono in Axl Rose, il cantante dei Guns N' Roses). La voce nelle nuove canzoni incise dagli AC/DC negli ultimi mesi con l' intenzione di tornare in pompa magna sulle scene discografiche dopo sei lunghi anni di silenzio, è la sua. Il basso è quello di Cliff Williams, che aveva invece intenzionalmente abbandonato la band alla fine della tournée del 2016. E alla batteria c' è Phil Rudd, che invece a quella serie di concerti non poté partecipare perché alle prese con alcuni guai giudiziari (fu accusato di minacce e possesso di stupefacenti: al suo posto tornò Chris Slade, che aveva accompagnato la formazione già tra il 1989 e il 1994). Se le premesse sono queste, c' è molto da aspettarsi dal nuovo album delle leggende australiane, il diciottesimo.
IL SITO. Il ritorno di Johnson (oggi 72enne), Williams (71 anni a dicembre) e Rudd (66), le colonne portanti degli AC/DC, è stato confermato ieri dalla band con una foto condivisa sui canali social ufficiali, dopo gli indizi lanciati negli scorsi giorni sul nuovo progetto, che sarà anticipato con molta probabilità già domani dal singolo Power Up. PWR UP è infatti la scritta fatta stampare dai componenti della band sui manifesti con i quali hanno tappezzato alcune città - tra queste la loro Sydney - con sopra riportato il link di un nuovo sito, pwrup.acdc.com: aprendolo appare una schermata con una grossa insegna rossa al neon a forma di fulmine. Oltre a Brian Johnson (che pur non potendo esibirsi dal vivo ha trovato il modo per partecipare alle registrazioni), a Cliff Williams e a Phil Rudd nell' immagine pubblicata sui social compaiono anche Angus (65 anni, nella band dal 73) e Stevie Young (63, è il nipote di Angus e Malcolm, di cui ha preso il posto nel 2014, quando il chitarrista - affetto da demenza - fu costretto a dire addio alle scene: morì tre anni dopo).
336 anni in cinque. Archiviate le celebrazioni legate al quarantennale di Back in black, il loro album più iconico, gli AC/DC si apprestano così ad aggiungere alla loro discografia un nuovo capitolo. Per esorcizzare i problemi che negli ultimi anni hanno rischiato di mettere la parola fine alla gloriosa storia del gruppo che forse più di chiunque altro ha sdoganato l' hard rock, quello duro e crudo, e lo ha portato alle masse. E al tempo stesso dimostrare di non sentire affatto il peso dell' età che avanza. Le prime notizie relative alle nuove mosse delle leggende australiane hanno cominciato a circolare tra i fan nell' estate dello scorso anno, dopo che Johnson e Rudd (prima) e Stevie e Angus Young (poi) sono stati avvistati nei pressi dei Warehouse Studios di Vancouver, in Canada, le stesse sale di registrazione che nel 2014 avevano ospitato le sessions di Rock or Bust, nel 2008 quelle di Black Ice e nel 99 quelle di Stiff Upper Lip. Con loro anche Mike Fraser, tra i principali collaboratori degli AC/DC, al fianco della band come fonico da trent' anni (il primo disco di Brian Johnson e compagni al quale lavorò fu The Razor Edge, quello di Thunderstruck).
LE TRACCE. Negli ultimi mesi tante indiscrezioni, trapelate da fonti considerate vicine alla band e per questo attendibili, come il cantante dei Twisted Sister Dee Snider (legato a Brian Johnson da una profonda amicizia), il primo a confermare - all' inizio dell' anno - il ritorno in studio degli AC/DC. Lo scorso luglio, poi, Snider è tornato ad offrire ulteriori anticipazioni sull' ideale seguito di Rock or bust, lasciando intendere che il gruppo è riuscito a recuperare grazie alla tecnologia alcune tracce registrate da Malcolm Young prima del suo ritiro, rifinendole e inserendole all' interno del disco, il primo inciso dagli AC/DC dopo la sua morte. È stato solo all' inizio di questa settimana che i diretti interessati si sono finalmente decisi a rompere il silenzio, stuzzicando i fan con alcuni misteriosi post sui social, aggiornati per l' occasione. A dimostrazione che il ritorno è proprio dietro l' angolo. E che la pensione può tranquillamente aspettare.
· Achille Lauro.
Arianna Ascione per "corriere.it" il 5 luglio 2020. In questo periodo Achille Lauro risplende più degli outfit sfoggiati all’ultimo Sanremo: a maggio ha dato alle stampe il suo secondo libro ricco di riflessioni sulla vita, «16 marzo – L’ultima notte (Rizzoli)», e da qualche giorno è in radio con il singolo «Bam Bam Twist», il cui video - con Claudio Santamaria e Francesca Barra - lo vede alle prese con un remake glam di Pulp Fiction.
Il post celebrativo. A coronamento del suo stato di grazia Lauro De Marinis, che questa volta corre da solo (lui e il suo storico partner in crime, il chitarrista e produttore Boss Doms, hanno deciso di percorrere strade diverse), ha pubblicato un post celebrativo su Twitter, annunciando di aver firmato il più «importante contratto discografico degli ultimi 10 anni». Nel messaggio ricorda la gavetta che ha affrontato per arrivare dove si trova oggi: «Dormivo su un materasso per terra, adesso scelgo in quale stanza passare la notte e con chi».
Piani ambiziosi. Decisamente ambiziosi i piani per il futuro dell’artista, che sta «lavorando su due album»: «Con il primo ci divertiremo, con il successivo cambieremo la musica italiana». Progetti forse un po’ poco umili per alcuni (un utente ha subito commentato: «Non vedevo così tanta umiltà da quando Ibra si proclamò dio di Los Angeles»). Ma nel giorno in cui Kanye West annuncia la sua corsa alla Casa Bianca la sua provocazione suona più come un buffetto sulla guancia.
Teresa Ciabatti per “la Lettura - Corriere della Sera” il 18 maggio 2020. Dimmi chi sei, gli urlava il padre. A seguire insegnanti, adulti, tutti a chiedersi cosa fosse quella creatura strana. Passano gli anni, e lui risponde. Con la musica, con le parole come quelle del secondo libro appena uscito per Rizzoli: 16 marzo . Romanzo/poema autobiografico dove l' autobiografia, anche quando non è personale, è comunque reale perché di una generazione. Attraverso le sue opere Achille Lauro risponde. Incendio, bufera, farfalla dalle ali nere, gioventù sregolata, James Dean, Marilyn Monroe, diva. Io sono una diva, scrive. Tanto che la canzone Rolls Royce è un omaggio a Marilyn - «se devo piangere preferisco farlo sul sedile di una Rolls Royce piuttosto che sul vagone di un metrò» - e non l' inno alla droga che alcuni hanno pensato. Del resto il nuovo arriva e disorienta, spaventa, travolge, respinge, attrae, svela. Per coloro che credevano di imprigionare/incasellare questo artista, la sorpresa: è lui a liberare noi. Mentre a noi non resta che domandarci come si diventa Achille Lauro.
Iniziamo dall' infanzia.
«Non amo raccontare dell' infanzia. Lo faccio in breve».
In breve?
«Parlare coi pupazzi, affezionarsi a loro».
Che bambino è stato?
«Molto solo. Scuola, cartoni animati».
Quali?
« Yattaman, Ranma½».
Manga che prevedono la trasformazione dei protagonisti.
« Ranma poteva essere sia maschio, sia femmina. I tre di Yattaman si trasformano in oche, ma possono diventare tutto».
Come Achille Lauro: maschio, femmina, San Francesco, regina, David Bowie.
«Non David Bowie: Ziggy Stardust, uno dei suoi alter ego, quello che esprimeva il rifiuto degli stereotipi sessuali. Portare Bowie sul palco di Sanremo sarebbe stato carnevalesco. Ziggy Stardust invece ha significato portare un ideale».
L' ideale di un' identità libera, da inventare?
«Dentro ognuno di noi ci sono cento personalità che prendono vita anche estetica».
Ad Achille Lauro cambiano persino gli occhi - azzurri, viola, neri, gialli.
Colore reale?
«Verdi, e anche il resto».
Lei dice che per un bambino/adolescente la stanza è il mondo intero. Mi descrive la sua?
«Un letto, un armadio, un comodino in cui nascondevo quel che scrivevo».
Motivo del nascondere?
«Pudore, e vergogna. La vergogna è un motore creativo».
Scrive per vergogna?
«Sono introverso, e già a dodici anni avevo trovato questo modo di auto-analizzarmi. Rimanevo giornate, notti, chino sui fogli, come altri davanti ai videogiochi. Mia madre entrava in camera la mattina e mi trovava dove mi aveva lasciato la sera. Scrivevo, scrivevo. Era il mio mondo parallelo. Se arrivavano gli amici, chiedevo di aspettarmi di là, in salone. Dovevo finire di scrivere».
Durata dell' attesa?
«A volte un' ora. Oggi me lo rinfacciano: "Tu sei quello che ci faceva aspettare"».
A quattordici anni va via di casa con suo fratello maggiore, e si trasferisce a Roma in una specie di comune.
«In mezzo a creativi, c' era chi suonava, chi disegnava. Gente piena di idee, ma anche teste calde».
Che opinione aveva di loro?
«Dicevo: "Quando sarete qualcuno, io starò con voi". Li vedevo vincenti. Malgrado riuscissero a concludere poco, per me erano la voce di qualcuno. Il vero successo è essere una voce».
Lei parla di «ragazzi madre», titolo del suo terzo album.
«La nostra generazione, quella di ragazzi che si crescono l' un l' altro. Una condizione che non riguarda solo le periferie. Crescersi da soli è uno stato d' animo. Siamo in un' epoca di genitori che lavorano molto, di base assenti».
Quattordicenne in mezzo a ventenni, in una città nuova. Momenti in cui ha avuto paura?
«Quando stavo per diventare nulla. Vedevo persone intorno a me andare avanti, e io rimanere fermo. A 23 anni ho capito di non avere niente in mano, quindi ho deciso di non perdere più tempo».
Stivaletti lucidi? (Nel libro racconta di lei che compra un paio di stivaletti costosi, ennesima trasformazione).
«Capisco che per colpire ho bisogno di tre cose: cambiare modo di fare, modo di parlare, e un paio di scarpe luccicanti. Gli stivaletti, sì».
Scrive: «Benvenuti dove l' abito fa il monaco».
«Perché i venditori vanno in giro agghindati? L' abito è importante per trasmettere fiducia agli sconosciuti. Camicia nera, pantalone nero, la mia divisa di allora. Semplice, ma impreziosita da accessori eleganti: scarpe e cintura in pelle. Era stato quello il mio investimento. Da lì ho iniziato a fare molti incontri di lavoro. Mi spostavo sempre in taxi».
Chi non voleva essere?
«Lo capivo attraverso gli amici allo sbando. Certe situazioni mi facevano domandare: vuoi diventare questo?».
Risposta?
«No».
Quanto pesava l' esempio familiare?
«Vengo da una famiglia perbene, di lavoratori. Ho visto mio padre, magistrato, lavorare tantissimo, sacrificarsi, e non riuscire a entrare in certe caste, motivo poi di frustrazione».
Suo sentimento di figlio?
«C' è una frase di Tenco: "Un giorno ti diranno che tuo padre aveva per la testa grandi idee...". Io mi sentivo così, mi dispiaceva vedere che lui non potesse realizzare quello che desiderava».
Sua madre intanto?
«Abbiamo attraversato un periodo difficile a livello economico. A quel punto lei ha cominciato a lavorare, lavori saltuari, assistere i malati per esempio. O fare braccialetti che poi andava a vendere».
E?
«Io ci stavo male, non volevo vederla insoddisfatta».
Primo regalo alla mamma con i soldi guadagnati?
«Dico l' ultimo: un gran cappotto da signora. Mi ero stufato di vederla dimessa».
Ad Aldo Cazzullo lei ha raccontato di aver riscattato i gioielli di sua nonna dal banco dei pegni.
«Per ridarli a mia madre. Non potevo pensare che per sopperire a una mancanza di soldi lei si fosse privata dei ricordi. Oggetti di scarso valore economico, ma di enorme valore sentimentale».
Nel libro cita Don DeLillo: «Tutti quanti sono a dieci secondi dalla ricchezza». Che ha fatto Achille Lauro a dieci secondi?
«Me ne sono andato».
Ovvero?
«A dieci secondi dalla felicità io scappo».
Il tema di «16 marzo», singolo e libro.
«Essere vicinissimi a quello che hai sognato, e lasciarlo dov' è, intatto».
Ha a che vedere con il senso di sconfitta di cui lei spesso parla?
«Sempre sentirsi perdenti, avere l' idea di aver fallito: allora crei qualcosa di nuovo. Nella musica, per fortuna, ti ritrovi lì a ogni singolo. Ogni singolo è una riconquista, non un ristorante ben avviato».
Il fallimento per lei?
«Una condizione perenne, motivante».
Timore di sentirsi arrivato?
«Nella musica è difficile. Se io finisco nella zona confort capisco che c' è un problema, e viro. Il mio obiettivo è far dire ogni volta: "Adesso questo che ha fatto?"».
Le critiche?
«Quando vedo tante critiche quanti complimenti capisco che quel che ho realizzato funziona. Se ci sono solo complimenti, non funziona».
A fine romanzo c' è una specie di Spoon River del fallimento. I momenti in cui tutti, persino i migliori, non sono stati riconosciuti.
«Il disegnatore di fumetti che viene licenziato per mancanza di idee e immaginazione, ed era Walt Disney. Il cantante che si sente dire "non sfonderai mai. Dovresti tornare a fare l' autista di camion", Elvis Presley. O anche il ragazzino che non viene accettato nella squadra di pallacanestro del liceo perché ritenuto non adatto, Michael Jordan».
Conclusione?
«Ci vuole costanza, ma anche fortuna.
Vedi van Gogh, Schubert, e tanti altri, riconosciuti solo dopo la morte».
Nel libro scrive: «Le volte che ho pensato di morire», precisamente?
«I burroni d' amore, i momenti in cui sei nessuno. Notti in cui ti addormenti con la paura di non risvegliarti».
A 29 anni i suoi morti?
«Vari amici».
E?
«Se non è una morte legata al ciclo della vita, alla vecchiaia, se a morire sono i giovani, ti fai delle domande molto grandi su chi vuoi diventare».
Chi è diventato lei?
«Dentro di me c' è una moltitudine, inclusi gli amici che ho perso».
Cos' è la giovinezza?
«Rispondo tra vent' anni».
Dagospia il 12 febbraio 2020. Dal profilo Instagram di Carmelo Abbate – Storie degli altri. Lui è Lauro. Nasce a Roma nel 1990. È un bambino brillante, eccentrico. Cresce in una normale famiglia borghese. Frequenta le elementari. Sembra un giorno come un altro. I genitori hanno una comunicazione importante da fare. Basta cene fuori, vestiti o telefonino, siamo pieni di debiti. Lauro conosce il significato della parola rinuncia. Esce con gli amici, finge di aver già mangiato, si vergogna a dire che non ha soldi. Paura, ansia, rabbia lo divorano. Ha 12 anni. Vuole tutto quello che non ha. Spaccia, ruba motorini, li rivende. Entra in un supermercato con gli amici e la fidanzata. Ha una pistola. Dammi i soldi, cazzo, in fretta. Eccoli, li stringe tra le mani. È eccitato. Ha 14 anni. I genitori cambiano città. Lauro resta a Roma con il fratello più grande. Sono soli. Non sono capaci di prepararsi nemmeno un piatto di pasta. Sono allo sbando. Il fratello fa il deejay per un gruppo rap della zona. Lauro ascolta la loro musica, assorbe le rime, la solitudine degli emarginati. Frequenta feste, rave, si sballa, si perde. La differenza tra essere e avere si annulla. I compagni di strada sono la sua nuova famiglia. Gente come lui, senza prospettive, senza futuro. Passano gli anni. Lauro è solo. Molti amici sono scomparsi, qualcuno è finito in prigione, qualcuno è morto. Lui è in bilico, lo tiene a galla il rap. Pubblica la sua prima raccolta di canzoni. È il 2013. L’etichetta di Marracash lo mette sotto contratto. Achille Lauro diventa il nuovo volto del rap italiano. Con i soldi guadagnati paga i debiti di famiglia e ricompra i gioielli della nonna che la madre aveva impegnato. Il successo è una botta di adrenalina. Alberghi, donne, vestiti. Ora ha tutto, ma la rabbia è sempre la stessa. Il desiderio di possedere lo divora. È il 2020. Partecipa a Sanremo, si traveste da San Francesco, Ziggy Stardust, la marchesa Casati e la regina Elisabetta. Voglio osare, disprezzo le convenzioni, di quel che pensate me ne frego.
Barbara Costa per Dagospia il 10 febbraio 2020. Achille Lauro, amore mio, che schianto che sei, sei un cannibale, scopa il successo come e quanto vuoi, tu, magnifico performer, scuoti i sensi ogni volta ti atteggi a troia senza limiti. È questi sono i complimenti i più ovvi e dovuti che mi vengono alle labbra, e del viso e pubiche. Ora che il carrozzone sanremese è chiuso, ve lo dico: in tanti di Lauro non c’avete capito una ceppa! Per giorni a osannare cantanti morti viventi, a criticare le tette di quella, il lifting di quell’altra, e Junior Cally che si è tolto la maschera: ripijatevi, ché siete pesanti, tristi, in mentale andro/menopausa se non volete, sognate, sbavate di ritrovarvi a letto, bollenti, con addosso corpo e sudore di Achille Lauro. Sì, uomini e donne, sicuro, ma che, ancora state lì a domandarvi chi va a letto con chi? E però: noto che se digito Achille Lauro nel rettangolino di Google, la prima scritta nella lista è "fidanzata di Achille Lauro". Curiosoni gelosi, questo volete sapere, chi è che se lo può godere, ma se è così che stanno le cose, perché riempite i social di post contro l’osata sex-fluid di Lauro? Perché gli dite “disgustoso”, “disturbato”, “da TSO”, “patetico”, “buffone di m…”, “coglione”, “schifoso totale”, per non parlare del ripetutissimo “frociooo”, pure nella versione a tre o: tutti incarogniti per Lauro seminudo sul palco, “ma chi ti credi di essere, Bowie?”. Sì, alla faccia di tali ignoranti e omofobi cessi a pedali inchiavabili, eccome se Lauro si crede Bowie, e si è truccato e vestito da Ziggy Stardust restando "un passo indietro" ad Annalisa, e cantando la canzone di Mia Martini "da donna", lasciando le desinenze al femminile. Chi se l’è cavata meglio, lui o Tiziano Ferro? Sentite un po’: ho sorriso per giorni a commenti cretini, la verità è che dell’esibizione in tutina di Lauro (magari si fosse tolta pure quella!) avete capito poco, tantomeno colto il sadomaso, nella scena con Boss Doms, quando mima a dargli due ceffoni e lo premia col bacio che Doms prende al volo (avete visto come Lauro gli accarezza e stringe i capezzoli su Ig? E basta, con quel gossip becero, non stanno insieme! A parte che Boss Doms è sposato e padre, e Lauro non vede l’ora di farne 10, di figli, i due lavorano insieme e si conoscono da quando erano piccoli, e hanno frequentato lo stesso liceo. E poi sì, gli piace limonarsi sul palco, embè?). Ma il momento in cui con Lauro ho goduto di più non è stato quando si è denudato, né quando ha iniziato a sculettare, ammetto che un pochino mi sono bagnata quando ha preso in mano il microfono in fellatio-style (“in modo innaturale”, l’hanno chiamato, ah!ah!ah!), bensì è stato quando si è spogliato e la mia mente è andata al pensiero dell’atroce rosicamento di tutti gli altri, consapevoli che gli spazi di siti, giornali, tv (e dei social!) sarebbero stati – come sono stati – i suoi. Non di quei miracolati che devono al Festival l’unico spiraglio di popolarità annuale se non decennale, ma a lui. Questo Sanremo è stato Achille Lauro, affatto sfiorato da teatrini messi in piedi da cantanti col ciuffo storto. Quasi non ci credo che in questo Paese musicalmente sciroppato sia emerso Lauro, che prende dal passato e lo esalta col massimo rispetto, uno che legge Rimbaud, cita i Doors (e mai a casaccio), fonde Basquiat in Jimi Hendrix, Britney Spears in Marilyn Manson, e ne fa punk. O dance. Lauro rima asciutto, essenziale, modellando icone in flash accecanti. Se non vi sveglia questo, se non vi fa sballare, annegare nella lussuria, siete messi male! Avete tremato quando Lauro/Elisabetta I s’è inginocchiato a Doms? A che altezza si stava posando la sua bocca? Vi siete allupati più quando ha "spinto" a ingropparselo, o quando gli ha passato il rossetto? Per Lauro le diversità di genere, anche musicali “sono solo gabbiette per topi” anche se “la trap mi ha rotto i coglioni!”. Su Ig, Lauro è già dea e culto specie perché, al contrario di certi adulti colleghi, non frigna quindi non annoia: tuttavia i social “io li odio, e vorrei bruciare il telefono! Non si può dire una roba, pure di buon senso, che subito diventa ‘oddio, che cosa ha detto!!’”. Lauro ce l’ha con la sua Roma, “malissimo gestita, la periferia è follia pura, un far west. Io so che vuol dire stare sulla strada. Roma non ti dà più niente e se fai successo stai sulle palle a tutti, ma il successo è lavorare tanto, farsi il culo per qualcosa che ti piace”. E se ancora non vi basta, evviva uno che decisamente manda al diavolo ogni canone sessuale: che lo faccia per fama, soldi, o per vero credo, io me ne frego, io voglio che lo faccia, lo esibisca, che non se ne può più dell’attuale perbenismo impartito a lezioni col ditino alzato, patetico, nauseante, marcio. So che a Sanremo si è presentato un gruppo di cattolici radicali a suon di preghiere esorcizzare Piero Pelù tuttora "colpevole" del suo "Diablo": sai che scandalo, era meglio sgranare i rosari contro Lauro, e la sua monetizzante consacrazione a San Francesco, e leggo di cattolici offesi e non poco dell’omaggio, per loro oltraggio, fatto da Lauro al patrono d’Italia. Che palle, se vi sta antipatico che lo guardate a fare, e però, lo so, non sapete resistere, a Lauro, al suo "pacco" celato nei tucking slip (quelli che usano le trans per nascondere il pene, ok?). Quando Lauro fa “la signorina” non vi tenete più, siete voi che vi tirate giù le mutande, perché vorreste essere voi la protagonista di cui se ne frega, voi a giocare con lui. Ma a chi la date a bere? Ci sono uomini e donne (come me) anche etero, che impazziscono per uomini in female-dressing, truccati, coi tacchi, puttanamente femminilizzati. Qual è il (vostro) problema? Non si sono fatti sentire gli antifascisti un tanto al chilo, o forse non li ho sentiti io, eppure i “me/ne/frego” di Lauro c’è chi li ha addirittura contati. E allora? Ma lo volete capire o no che queste polemiche attizzano solo vagine e piselli incartapecoriti, e che noi di tali diatribe ce ne sbattiamo, ché le consideriamo il giusto, cioè materiale storico d’obbligo studiare? Per il resto, lasciateci stare, lasciateci divertire, e trovare un posto per la megafesta di Lauro a Roma, il prossimo 31 ottobre: “Tu paghi un biglietto e io ti faccio vivere un sogno, vedere una superstar, non il ragazzo della porta accanto”. Aspettiamoci la fine del mondo, intanto, Achille Lauro, clonatelo, a me non basta mai, non ne ho mai abbastanza, “ci/sono/cascata/di/nuovo/oh/mio/Dio/NE/VOGLIO/ANCORA”.
Serena Tibaldi per “la Repubblica” il 13 febbraio 2020. Questo è stato il Festival di Achille Lauro. Meglio ancora, è stato il Festival di Achille Lauro vestito da Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci e ideatore di quello scandaloso stile "in bilico" - tra maschile e femminile, buono e cattivo gusto, misura ed esagerazione - che il cantante romano, 29 anni, ha incarnato perfettamente sul palcoscenico di Sanremo. Assieme i due hanno concepito i 4 completi con cui Lauro s' è esibito, dallo pseudo-San Francesco in tutina di cristalli all' Elisabetta I con la gorgiera, passando per la Marchesa Casati e lo Ziggy Stardust di David Bowie.
I dibattiti sul significato di quelle mise , e sull' opportunità di adoperarle in un contesto come il Festival, non si placano, ma forse nessuno ne può parlare con maggiore cognizione di causa di chi le ha disegnate. Secondo molti quelle di Lauro più che esibizioni sono state performance, che hanno finito per offuscare la musica, sovrapponendole provocazioni ed esagerazioni. Cosa ne pensa?
«Si può separare la musica di Elton John dai suoi costumi? E quella di David Bowie, si può staccare dai suoi personaggi? E Renato Zero? Dividere il personaggio, la sua rappresentazione e la teatralità che ne deriva dalla voce è difficile. Sono operazioni "chirurgiche" che non mi piacciono, e che per me sono pure sbagliate: la messa in scena è vitale per la musica, senza la performance avremmo solo degli splendidi coristi».
Era facile immaginarsi la sorpresa che le quattro esibizioni avrebbero suscitato. Si aspettava questa reazione?
«Lo ammetto, ogni sera ero trepidante davanti alla tv in attesa di vedere cosa sarebbe accaduto. Non ho lavorato avendo Sanremo in mente, certo però sapevo che sarebbe stato come piazzare una bomba, metaforica, sul palco dell' Ariston. E mi sono divertito moltissimo».
Però è consapevole che il Festival è una cassa di risonanza che non ha eguali, musica o no.
«Sicuramente, lo dimostrano gli ascolti da record. Per Sanremo tutti hanno un' opinione su tutto, e ci tengono a dirla. Presentandosi lì Lauro è come se fosse sceso in piazza a protestare, solo che invece di farlo sotto casa sua è andato dritto in Parlamento. E il suo caso non è certo nemmeno il primo in questo senso: penso ad Anna Oxa vestita da uomo, o a Loredana Bertè con la pancia finta. Sono quegli episodi di rottura a essere passati alla storia, e per questo Lauro moralmente ha vinto. Ecco, io non sarei mai andato a Sanremo per vestire la donna che accompagna il presentatore».
Come mai?
«È la figura della valletta in sé che mi lascia perplesso: non perché non ci debbano essere, ognuno è libero di fare ciò che vuole, ci mancherebbe, ma mi piacerebbe che le donne fossero al centro del palco per ciò che sono, non per l' essere mogli o compagne di, o in nome dei like ricevuti su Instagram. Forse ci si dovrebbe fare un esame di coscienza sul perché ancora accada, e sul perché ci siano ancora certi stereotipi».
Per il suo lavoro, la musica cosa rappresenta?
«Io sono quello che sono per la musica: guardavo ai musicisti sul palco e nella vita di tutti i giorni, e sognavo di vestirli. I miei idoli non erano Armani e gli stilisti, perché per la mia generazione quello era un mondo chiuso, destinato solo a una certa classe sociale. Perciò volevo fare il costumista, solo più tardi ho capito che mi sarebbe piaciuto fare abiti per tutti, non solo chi suona. E poi la musica è emotiva, e io vivo i miei vestiti in maniera emotiva: è naturale che i due mondi per me siano così connessi».
Achille Lauro è solo l' ultimo artista, in ordine di tempo, a legarsi al suo mondo.
«A lui non basta la musica esattamente come a me non bastano i vestiti. Così com' è già accaduto con Harry Styles e Jared Leto, Achille è diventato un altro interprete del mio linguaggio, dal rifiuto dell' estetica machista imperante in poi (ha fatto molto parlare l' invettiva contro la mascolinità tossica pubblicata dall' artista sul proprio profilo Instagram dopo la prima serata, ndr ). Il compito della mia moda oggi è fare da circuito elettrico che collega tutti loro. E io sono una specie d' elettricista, quello che dà la corrente».
Roberta Petronio per il ''Corriere della Sera - Cronaca di Roma'' il 12 febbraio 2020. «È divino, lo adoro. Quegli occhi mi fanno impazzire. Merita una festa!». Marisela Federici è entusiasta di Achille Lauro, come lo è stata da subito di Alessandro Michele, il direttore creativo di Gucci, che ha disegnato i suoi look per le quattro serate sul palco del festival di Sanremo. La contessa e l' artista pop, due mondi apparentemente lontani che si ritrovano improvvisamente vicini, grazie ad un accessorio iconico, visto in passerella ai Musei Capitolini lo scorso maggio. La regina dei salotti romani era in viaggio (inseguita dai messaggi) mentre il rapper ci stupiva dal Teatro Ariston con le sue performance, e con uno straordinario copricapo di piume e inserti di cristalli: lo stesso indossato da Marisela per la campagna Cruise 2020 della maison Gucci, sul set della sua villa «La Furibonda». Su Instagram parte subito il gioco delle immagini speculari di Marisela e Achille, abbinamento visivo nato dall' intuito di Saverio Ferragina, ripostato e commentato anche da Raffaele Curi, insieme ad un suggerimento che suona come un' invocazione: «Marisela, dovreste uscire così insieme!». Prossimamente, occhio alle piume nere.
Achille Lauro, Sanremo e la famiglia: «Con i soldi del mio successo ho ripreso i gioielli di nonna». Pubblicato sabato, 15 febbraio 2020 su Corriere.it da Aldo Cazzullo.
Achille Lauro, chi è lei davvero? Porta il nome di un leader monarchico, a Sanremo è diventato san Francesco, David Bowie, la marchesa Casati Stampa, la regina Elisabetta I...
«Il palco del festival è talmente importante che mi pareva giusto usarlo. Volevo portare una canzone che fosse anche un’opera teatrale, un live in quattro minuti. Non volevo solo farla ascoltare, ma farla vedere. Uno pensa: questo è pazzo. In realtà, ogni canzone ha un colore. Si tratta di vestirla».
Il titolo, «Me ne frego», fu uno slogan fascista.
«Ma la canzone non c’entra con la politica. Non significa “non mi interessa”, significa facciamolo, viviamolo. È il racconto di una relazione d’amore, e dell’evoluzione di un personaggio. San Francesco ha rinunciato alla ricchezza per vivere una vita povera e libera...».
San Francesco non vestiva Gucci.
«È una scena di svestizione. Ci siamo ispirati all’affresco di Giotto in cui il santo si libera del mantello. È vero che i vestiti sono Gucci, opera di Alessandro Michele: un personaggio settecentesco; non un business man, un genio, cresciuto come me nella periferia di Roma, a Val Melaina. Ma il progetto è mio e del gruppo che lavora con me. La marchesa Casati Stampa ha ispirato poeti come d’Annunzio, è stata una mecenate che ha rinunciato alla vita privata per diventare un’opera d’arte vivente. Anch’io volevo usare il corpo come una tavolozza, darlo all’arte, diventare un quadro sul palco di Sanremo».
E Bowie?
«Ziggy Stardust, la figura che ho interpretato, era uno dei suoi alter ego. Esprime il rifiuto degli stereotipi sessuali».
Un altro momento-cult è stato il suo bacio con Boss Doms. Lei è etero, gay, fluido?
«Questo lo lascio al caso».Nella serata finale è stato Elisabetta I.
«Una grande regina, che morì per il popolo, per un’idea. Volevo diventare una donna sul palco, estremizzando, esagerando con gli indumenti femminili, come faceva Elizabeth per confrontarsi con gli uomini: la gonna era così larga che è stato difficile togliersela a tempo. Ovviamente erano ibridi, personaggi da reinventare; non è Tale e quale show».
I Pinguini tattici nucleari hanno chiuso la loro cover con «Rolls Royce», la sua canzone dell’anno scorso.
«È stato il secondo momento più figo del festival».
E il primo?
«Morgan che improvvisa il testo: “La tua brutta figura di ieri sera...”».
Nel 2019 lei è sopravvissuto a un duetto sanremese con Morgan. Come ha fatto?
«Non è stato facile: non avevamo provato, ci siamo scambiati gli interventi, ognuno ha cantato un pezzo dell’altro, la canzone si è composta come una jam-session... Morgan è un grande artista, ha grande cultura musicale».
Di lei è stato scritto tutto e il suo contrario: che è nato a Verona e che è nato a Roma, che ha avuto un’infanzia difficile e che viene da una famiglia altoborghese. Qual è la verità?«Non mi è mai mancato nulla. Mio padre si chiama Nicola De Marinis, è stato professore universitario e avvocato, ha scritto quattro libri, per meriti insigni è diventato consigliere della Corte di Cassazione. Nonno Federico era prefetto di Perugia, l’altro nonno ha combattuto nella seconda guerra mondiale: si chiamava Archimede Lauro Zambon. Sono nato a Verona perché lì abitava la famiglia di mia mamma, Cristina, originaria di Rovigo, ma sono cresciuto a Roma».
Sua mamma cosa faceva?
«Ha dedicato la vita agli altri. Casa nostra era sempre piena di ragazzi presi in affido. Sono sempre stato abituato a condividere».
Qual è il suo primo ricordo?
«La musica. Papà che in macchina canta Una carezza in un pugno: “A mezzanotte sai che io ti penserò, ovunque tu sarai sei mia...”. Mia cugina Giulia, lei 15 anni io cinque, che ascolta Back for good dei Take That. E Anna Oxa con i pantaloni bassi e i capelli piastrati che a Sanremo cantaSenza pietà. Per il festival la famiglia si riuniva davanti alla tv, come a Natale».
Poi la famiglia si divise.
«Ci fu una crisi. Però mamma per noi c’è sempre stata. Con mio fratello Federico, che ha cinque anni più di me, andai a vivere in una comune, a Val Melaina, Montesacro. Il collettivo si chiamava Quarto Blocco, c’erano altri venti ragazzi: chi scriveva, chi dipingeva, chi incideva musica a torso nudo... Così ho iniziato a scrivere, disegnare, incidere. Ora anche a dipingere».
È stato scritto che lei spacciava, rubava i motorini, avrebbe pure rapinato un supermercato.
«Cos’è, un’indagine?».
È un’intervista.
«Su di me circola una leggenda nera, inventata da gente che ha interpretato alla lettera il mio primo libro, Sono io Amleto, che in realtà è una biografia romanzata. Ne sto scrivendo un altro, La storia di una notte, in cui sono innamorato di un ricordo. Non si è mai innamorati di quel che si ha; si è sempre innamorati di quel che non si ha più».Com’è andata davvero?«Nelle periferie la droga esiste. Far finta che non esista è più sbagliato che parlarne. È una piaga sociale che non va nascosta: ne va dato un giudizio negativo. Non posso dire che queste cose non le ho mai viste; al contrario, le conosco, e cerco di aiutare le persone a non distruggere la loro vita. Vengono a intervistarmi e poi scrivono “Lauro spaccia”, al presente, “Lauro ruba”, al presente. Sono cresciuto in un ambiente difficile, in mezzo a persone problematiche. Ma Sanremo è il frutto di quindici anni di impegno. Se avessi buttato il tempo in queste sciocchezze non sarei qui. Canto per dire ai ragazzi di non sprecare il loro tempo: prima capisci quello che vuoi fare, prima arrivi al successo. E il successo non è la fama; è la riuscita del proprio percorso».
Com’è il suo percorso?
«Ho visto per tutta la vita i miei farsi il culo e non riuscire, mio padre spaccarsi la schiena senza avere quello che gli spettava, mia madre fare lavoretti saltuari umilianti. Da questo è nata la mia ambizione. Ho suonato davanti a tre persone. Ho pagato di tasca mia la sala del primo concerto, 300 euro per lo Zoobar di Roma. Per anni non ho dormito, per creare tutto questo. Proprio quando ero stanco, a un certo punto tutto si è messo a posto, sia la mia vita sia quella dei miei».
È vero che ha ricomprato i gioielli di famiglia?
«Sì. I gioielli di nonna Flavia. Li ho riscattati dal monte dei pegni».
È stato anche in galera?
«No. Pure questa voce fa parte della leggenda. Ho avuto abbastanza amici incasinati da capire quello che non volevo diventare. Amici reduci da dipendenza o da sbagli adolescenziali, che entravano e uscivano per cose fatte da ragazzini. Il carcere non è il posto giusto per recuperare i ragazzi. Per loro facciamo molto di più io e quelli come me».
«Rolls Royce» è stata interpretata come la celebrazione della droga, e dei morti per droga.
«Nulla di più falso. Il titolo evoca una frase di Marilyn Monroe: preferisco piangere sui sedili di una Rolls Royce che nel vagone di una metropolitana. La Rolls è un simbolo, un’icona».
Chi c’era nella sua comune?
«Graffitari, street-artist. Frequentavo Jacopo Pividori, che fa tele stupende, e Gemello, il rapper, che si chiama in realtà Andrea Ambrogio. È stato un vantaggio stare in mezzo a ragazzi più grandi. Non avevamo il cellulare; ci chiamavamo al citofono. Non pensavamo alla foto da postare, ma al gesto, al messaggio. Oggi non penso mai “guarda che bella scarpa che ho”, ma a quel che sto comunicando».
Così lei ai concerti chiede di spegnere il telefonino.
«Nelle mie canzoni ci sono la solitudine, il vuoto, l’abbandono che ho conosciuto. C’è un grido d’aiuto. C’è il burrone, l’autoanalisi, l’introspezione. Siamo cresciuti insieme, anzi ci siamo cresciuti l’uno con l’altro, per strada, mettendo tutto in comune, idee, aspirazioni. Per questo ho intitolato un disco Ragazzi madre».
Lei ha figli?
«Li ho schivati».
È stato a scuola?
«Sono stato in tutte le scuole. Almeno dieci. Mi cacciavano, me ne andavo, non ci andavo. Nella stessa classe trovavi i ragazzi di periferia e quelli di corso Trieste, chi non aveva nulla e chi aveva in casa il pianoforte a coda; e questa contaminazione è positiva. A Montesacro è nato Claudio Baglioni, qui Rino Gaetano è cresciuto e si è schiantato in macchina. Andare nel centro di Roma era come andare in vacanza».
Quanti tatuaggi ha?«Innumerevoli».Qualcuno ha un’importanza particolare?
«Quelli fatti e condivisi con altre persone. Li ho fatti tutti da pischello, sulle brandine. È tanto tempo che non mi tatuo».
Perché si chiama Achille Lauro?
«Era il mio soprannome. In realtà mi chiamo Lauro, un antico nome veneto, che suona un po’ ostico».
È vero che i suoi dischi nascono da grandi riunioni in un luogo segreto, tipo quelle dei Rolling Stones?«Sì. Loro si ritrovavano in una villa nel Sud della Francia, noi in un villaggio perduto in una riserva naturale. Ci sono molte case, c’è un viavai di centinaia di persone, da Coez ad Anna Tatangelo...».
La Tatangelo?
«Ci stimiamo; da adolescente ascoltavo Ragazza di periferia, da grande l’ho rimixata con lei. Trascorro lì due mesi, e non vorrei mai andarmene. Il mio gruppo ristretto di lavoro è di quindici persone: ognuno porta il suo tassello, dal suono al trucco. Cerchiamo di creare qualcosa di nuovo, libero dall’influenza delle mode. Qualcosa che resti».
Al tempo della rete che cancella il passato, lei ne ha l’ossessione. Cita nella stessa strofa Elvis, politicamente un reazionario, e Hendrix, un rivoluzionario. Un suo disco si intitola «1969». Perché?
«In quel disco c’erano batterie elettroniche, c’era l’estetica degli anni 70. Ma se ripenso alla musica degli anni 90, alla dance che ascoltavo da piccolo, rivivo emozioni tanto forti che mi lasciano un velo di malinconia. Il tempo è ciclico: tutto si ripete. Mi ispirano Jim Morrison, che ha cambiato una generazione; Pasolini, che ha raccontato storie vere, come in piccolo cerco di fare io; ma anche Madonna, Mia Martini, Renato Zero. Renato sì è stato coraggioso, a giocare con i generi e le identità, 40 anni fa».
Che cos’è il coraggio per lei?
«C’è il coraggio dell’eroe, o del chirurgo. E c’è il coraggio di essere chi vuoi essere, di fare quel che vuoi fare. Di fregartene di quel che il mondo pensa di te».
Vasco sui social posta le sue immagini, bacio compreso. L’ha incontrato?
«Di sfuggita. Mi è sembrato una persona dolcissima. Il vero genio è sempre umile, insicuro. Si chiede: la mia opera sarà un successo? Il quadro non è mai finito».
Segue la politica?
«Poco».
Vota?
«Poco».Di Salvini cosa pensa?«Sono stato attaccato per aver difeso i migranti. Ma l’uomo è fatto per aiutare gli altri; prima o poi tutti avremo bisogno di aiuto».
Com’è la Roma di oggi?
«Resta bellissima, ma solo per i privilegiati. In periferia non c’è molta criminalità; c’è molto disagio. La gente è nelle mani del Signore. Si percepisce un senso di abbandono, di decadenza che per me è arte. A Roma nascono le cose, a Milano partono. Ora vivo a Milano, che è il luogo dell’innovazione, delle persone che credono e investono nelle idee. Qui spunta l’albero. Ma il seme nasce dalla decadenza di Roma».
Se qualcuno le chiede un selfie, lo fa?
«Certo. Io mi do tutto, sempre. Ma preferisco una stretta di mano e due chiacchiere. O il ragazzetto che ti porta il suo disco, come a dire: esisto anch’io, ci sono. Le foto sono nate per immortalare cose belle; ora sono diventate un esame. Per questo suggerisco la posa inespressiva...».
Un altro suo disco si intitola «Dio c’è». Crede in Dio?
«Totalmente. Non mi appoggio alla religione standard, ma credo in qualcosa di superiore. Come potrei, proprio io, non credere? Dopo essere passato da situazioni assurde? Sarebbe un’offesa a tutto quello che ho».
Come immagina l’aldilà?
«Non ne ho idea. Ma penso che nulla sia in balìa del caso».
Achille Lauro su Instagram il 17 febbraio 2020: È un onore per me dirvi che da oggi sarò il nuovo Chief Creative Officer di Elektra Records per l’Italia, etichetta internazionale che nella storia ha rappresentato Jim Morrison, i Doors, i Queen e altre leggende della musica internazionale. Anche le mie attività discografiche confluiranno in questa etichetta grazie alla firma di un nuovo contratto discografico @warnermusicitaly tra i più importanti della storia della musica italiana degli ultimi anni. Dio c’è.
Dagospia il 17 febbraio 2020. COMUNICATO STAMPA: Achille Lauro è un artista in esclusiva con Sony Music. Con riferimento al comunicato fatto circolare in data odierna relativo alla nomina dell'artista Achille Lauro a "Chief Creative Director di Elektra Records / Warner Music Italy" si precisa che l'artista Achille Lauro ha in essere un contratto di esclusiva con Sony Music per ogni sua pubblicazione discografica.
Da leggo.it il 18 febbraio 2020. “Mio figlio non è un drogato, non ha avuto esperienze devastanti. È un eccentrico ed è ben diverso”, a difendere Achille Lauro dalle accuse che piovono dal web dopo la sua partecipazione (trionfale) a Sanremo 2020 arriva il padre, Nicola De Marinis, giudice della Corte di Cassazione, ex avvocato ed ex professore universitario. Quella di suo figlio è una storia un po’ romanzata: “Ne avrà fatto uso in passato – ha fatto sapere in un’intervista a “DiPiù” - ma non come ha scritto, in modo così esagerato. Sarebbe stato impossibile, anche perché, se io mi sono allontanato dai ragazzi perché le incomprensioni erano tante, la madre non li hai mai abbandonati”. Achille ha scelto la sua strada da giovane: “Per mio figlio sono stato un padre ingombrante, lo so, e volevo che seguisse le mie orme. E un giorno mi ha voltato le spalle dicendo, proprio come nella canzone che ha presentato a Sanremo: “Me ne frego. Me ne frego di quello che dici, voglio andare per la mia strada e tu mi devi lasciare in pace (…) Entrambi i miei figli a un certo punto della loro vita hanno frequentato persone molto lontane dal nostro mondo borghese nel quale io avevo cercato di crescerli. È stato il loro modo, a mio avviso, di scontrarsi con me. Mio figlio ha visto amici finire in carcere e morire di overdose, ha toccato con mano la disperazione. Ma che queste esperienze lo abbiano condizionato, esaurito, risucchiato verso il male, assolutamente no”.
Achille Lauro, la Puglia non solo nella tutina: il papà, alto magistrato, è nato a Gravina. Carlo Stragapede per lagazzettadelmezzogiorno.it il 12 febbraio 2020. Gravina fa il tifo per lui. Lauro De Marinis, 29 anni, in arte Achille Lauro, è gravinese per parte di padre. Lo scorso autunno ha trascorso qualche giorno nella città murgiana con i cugini, gli altri parenti e gli amici con i quali è sempre in contatto anche grazie ai social network. La sua è una famiglia di alti funzionari dello Stato. Il papà, Nicola, 62 anni, è un magistrato della Corte di Cassazione: è consigliere della sezione Lavoro di piazza Cavour. Il nonno paterno, Federico De Marinis, purtroppo scomparso, era un prefetto. L’artista è imparentato alla lontana anche con l’ex Procuratore della Repubblica di Bari Michele De Marinis, in pensione da qualche anno. Viceprefetto è il procugino, Matteo De Marinis, 52 anni, in servizio a Bari, ma fino a qualche giorno fa, commissario antimafia del Comune di Laureana Borrello, in provincia di Reggio Calabria, sciolto per presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta. Per parte di madre, Lauro ha invece sangue veneto. La mamma è veronese e si chiama Cristina Zambon. Lei collabora con l’entourage del giovane artista. A Gravina c’è grande attesa per la performance della serata finale del longilineo artista che quest’anno ha deciso di stupire il pubblico del Festival di Sanremo con abbigliamento e trucco. Il glamour riveduto è corretto è la cifra del suo personaggio che cita un po’ il David Bowie di Ziggy Stardust e un po’ le nobildonne di un’Italia che non c’è più. in molti critici infatti hanno visto nel suo look della serata di venerdì una citazione della nobildonna Luisa Casati Stampa che all’inizio del Novecento fu musa di Filippo Tommaso Marinetti e di altri protagonisti di quella stagione culturale. Il cantante in effetti l’altro ieri sera ha indossato un copricapo a raggiera dal quale spuntavano lunghe piume nere, e una leggera cappa di organza trasparente plissé, pure nera, attraverso la quale si intravvedevano i tatuaggi di un drago e di un’isola deserta ricca di selvatiche palme. Come dire che la fantasia non gli manca.
Sanremo, la «tutina» di Achille Lauro realizzata a Nardò. D’altra parte la tuta aderente e luccicante, indossata alla serata d’esordio del Festival, il trucco pesante sugli occhi, hanno fatto subito capire a tutti che il giovane cantante puntava a stupire. Tra l’altro la tutina, come abbiamo anticipato nei giorni scorsi su queste pagine, era stata realizzata dall’azienda Barbetta di Nardò (Lecce) per conto di Gucci. Achille Lauro, giocando sul proprio nome di battesimo, ha scelto come nome d’arte quello dell’armatore (1887-1982) di fede monarchica che fu sindaco di Napoli, deputato del Parlamento italiano e per un trentennio presidente del Napoli Calcio. Come mai? Certamente l’onorevole Lauro fu un vincente. Magro e slanciato, Lauro è un ragazzo perbene, molto legato alla famiglia e, pur essendo nato a Roma, è molto affezionato a Gravina, la terra delle radici, dove ama trascorrere qualche giorno di relax quando gli impegni musicali glielo consentono, per rivedere parenti e amici e gustare i piatti tipici come le orecchiette ai funghi cardoncelli e la salsiccia a punta di coltello. A garantirlo è proprio Matteo De Marinis, il viceprefetto, che naturalmente con moglie e figli sostiene l’interprete di Me ne frego, in gara a questo Sanremo 2020 e di Rolls Royce (2019), il brano gettonatissimo nelle radio la scorsa estate. Gli augura la vittoria alla massima kermesse canora nazionale e, comunque, spera per lui un avvenire luminoso. «Lo aspettiamo a Gravina per riabbracciarlo al più presto», afferma il dottor De Marinis, stimato funzionario del Ministero dell’Interno e appassionato di musica. Del resto ha sposato una cantante lirica, Emilia Marvulli, dalla quale ha avuto due figli, Federico e Adriana. «Mio figlio maggiore Federico è molto legato al cugino Lauro - spiega - e ne segue la carriera, passo dopo passo». Matteo De Marinis rivela: «Mio cugino Nicola, il papà dell’artista, ha sempre amato la musica e soprattutto il ballo. Sì, forse avrebbe sognato un avvenire nella pubblica amministrazione anche per i suoi due figli, tuttavia so che non ne ha mai osteggiato le aspirazioni e il talento artistici. Infatti il maggiore, Federico, omonimo di mio figlio, si occupa di musica elettronica, e invece Lauro, il secondogenito, partendo dall’esperienza del fratello, ha scelto il genere più spiccatamente pop e direi con successo, come ha saputo dimostrare. Siamo molto legati a lui ed è possibile che nei prossimi giorni lo raggiungiamo a Sanremo, come abbiamo fatto l’anno scorso». Intanto a Gravina monta il passaparola sul web. E sui social si è già creato un gruppo d’ascolto virtuale che sostiene Achille Lauro. Per i giovani della Murgia lui ha già vinto il Festival, indipendentemente dal verdetto ufficiale.
Fulvio Abbate per huffingtonpost.it il 19 febbraio 2020. C’è stato bisogno dell’arrivo di Achille Lauro per spiegare lo stato dell’arte - esattamente dell’Arte come strumento di agitazione creativa o presunta tale – nella percezione media nazionale. È bene sappiate che nella nostra amata Italia è impossibile esserlo, ossia artisti riconosciuti come tali, con accluso salvacondotto di anticonformismo; colpa di un freno moralistico, per senso della misura piccolo borghese. Giusto ai papi si concede la pompa magna, flabelli compresi. Nel migliore dei casi, nel quotidiano comune è permesso riconoscersi nel ruolo di condomini, anche nell’abbigliamento, ciò che nel lessico sciampistico prevalente è detto “look” e “outfit”, parole che meritebbero una Norimberga linguistica, almeno per chi abbia il senso dell’originalità, se non del ridicolo. Il Belpaese, così nelle parole dall’abate Stoppani, che ci contempla ancora adesso dalla stagnola del formaggio, in termini di etichetta cavalleresca condivisa, non è mai andato oltre l’orizzonte “Davide Cenci”, ministeriale, blazer d’ufficio, grisaglia, scarpe mortuarie. Per la dama invece tailleur “Luisa Spagnoli” o in subordine sbarazzino “Zara”, così per ossequio al senso comune, gli stilisti di cui si favoleggiava negli anni Ottanta, gli Armani, i “Versaci”, le Krizia, questi ultimi sono soprattutto beni da esportazione. Forse soltanto Elio Fiorucci ha suggerito una via di liberazione dall’insignificante al limite dell’opzione espressiva, estetica. Per farla breve, la massima possibilità di espressione artistica concessa, nel senso di fantasiosità (esempio: la signora a cui viene chiesto che lavoro esatto svolge un genero che dovesse presentarsi con il medesimo stile di un Morgan, così risponde alla dirimpettaia: “È un tipo estroso!”) per anni inquadrava giusto Renato Zero, metti, in costume da Pierrot autarchico, una colomba a sormontarne la bombetta di un bianco immacolato, questo e nient’altro. Va poi ricordato che ogni tentativo nostrano di body art si è sempre dimostrati infruttuoso, lontanissimo dalla grazia dei britannici Gilbert & George, incapaci di buttare giù il muro di Ladispoli o di Lignano Sabbiadoro o di Ficarazzi, per indicare un orizzonte oltre il nazionalpopolare. Così fino all’avvento di Achille Lauro. Un “artista” il cui nome custodisce una potenza fluorescente, nonostante, almeno ai minimamente informati di storia patria, faccia riverberare il volto e le scarpe spaiate elettorali del trascorso armatore partenopeo, e ancora l’immagine di una sedia a rotelle che viene giù con il suo passeggero di religione ebraica, Leon Klinghoffer, così dal ponte dell’omonimo natante da crociera, assassinato da terroristi palestinesi. Intendiamoci, Achille Lauro non è un cantante, meglio, irrilevante che lo sia, secondario perfino che qualcuno ne ricordi i brani, Achille è ciò che l’uomo medio osserva per poi dire a se stesso: “Guarda, c’è l’artista!” “Lui sì che se lo può permettere!”. L’elemento dell’ambiguità di genere e citazionistica, riferita una fantasmatica fluidità sessuale, amplifica il glamour, un ismo estetico-concettuale che ha alle spalle, fra molto altro, l’icona di Bowie. Aggiungiamo che i più severi studiosi di estetica, non gli “hair stylist” di Miss Italia, suggeriscono da tempo che l’unica forma di vitalità creativa presente nel tramonto dell’Occidente post-capitalistico giunge proprio dal mondo Lgbt. In realtà, posto che il sistema dell’arte con i suoi stand (sia detto anche in senso tecnico di espositore di abiti) è governato dai comma 23 del glamour, occorre dire che una semplice vetrina “Gucci” o “Dolce & Gabbana” di via Monte Napoleone surclassa ogni possibile “Biennale” veneziana o “documenta” di Kassel. Non è un caso d’altronde che proprio dalla “Gucci” si siano presi in carico l’allestimento spettacolare di Achille nostro. Rammentate la scena de “La grande bellezza”, dove la performer prova ad aver ragione dell’Acquedotto Claudio a testate in nome delle “vibrazioni”? Lì si vorrebbe citare Marina Abramovich e le sue performance, certo filone aureo artistico, gli anni ’70, l’apogeo della “body art” come luogo di “scandalo”, appunto. L’ho già detto, qui da noi è impossibile essere artisti, no? Nel migliore dei casi ci si può riconoscere nel prevedibile Oscar come non protagonisti di condomini, anche nell’abbigliamento privo di deragliamenti estetico-formali. A latere, appare una Vanessa Beecroft, i cui “tableau vivant” di modelle acconciate in una sorta di peplum art, a dispetto d’ogni riscontro tra la bella gente e dei committenti sono solo vetrinismo, così da suggerire celeste nostalgia perfino per il più povero universo “Facis” già caro a zio Manlio, impiegato all’annona. Nel momento in cui dalla “Gucci” suggeriscono a Lauro di testare su di sé l’icona di San Francesco al meglio del suo fulgore alla corte del sultano, come fosse Erté, l’unico dandy della moda cui sia mai stato concesso di intonare i propri abiti ai tendaggi di casa nella Parigi dei trascorsi anni ’20, poi il piumaggio boldiniano della marchesa Luisa Casati, “Coré” nelle parole di D’Annunzio, con la quale condivideva il piacere per la “mattonella di Persia” (così il Vate chiamava la cocaina) e ancora, e ti pareva, David Bowie, il viso solcato dalla saetta di “Aladdin Sane”, in quello stesso momento mettendo in moto il girmi del glamour con la sua dorata banalità, tutti noi abbiamo la certezza che non si stia dando sedizione, più semplicemente la certezza rassicurante di demandare ad altri la libertà di trascendere la modestia del pigiama e delle ciabatte del nostro già menzionato detestabile quotidiano. A nessuno di noi sarebbe concesso di andare nudi e neppure in mutanda tattica, metti “dal cinese sotto casa” a comprare la lettiera per il gatto, all’“estroso” Achille Lauro, invece sì. L’artista, la boy art insomma si riconosce qui da noi dalla libertà di trascendere il pigiama.
Francesca Galici per "ilgiornale.it" il 21 febbraio 2020. Se non ci fosse stato il Bugogate, la 70esima edizione del festival di Sanremo sarebbe stata ricordata soprattutto per le perfomance di Achille Lauro sul palco del teatro Ariston. Il giovane cantante ha messo in scena vere e proprie rappresentazioni artistiche, impersonando ogni sera un personaggio diverso. San Francesco, David Bowie/Ziggy Stardust, Luisa Casati Stampa ed Elisabetta I Tudor hanno preso vita come magia sulle note di Me ne frego, un inno alla libertà assoluta, filo conduttore dei personaggi portati sul palco da Achille Lauro. Coraggioso come raramente sanno essere gli artisti che salgono sul palco di Sanremo, il giovane cantante ha iniziato un nuovo percorso artistico in questi giorni, diventando Chief Creative Officer di Elektra Records. Sul suo profilo Instagram, il ragazzo ama lasciare lunghi pensieri scritti nei quali fa confluire le sue emozioni e i suoi pensieri, un flusso di nozioni che permettono di capire meglio chi sia la persona dietro il personaggio. Ci ha provato il padre a raccontarlo, con un'intervista che ha fatto molto discutere e riflettere, ma nessuno meglio di Achille Lauro può raccontare la sua vita. Si è detto tanto della famiglia del cantante, del lavoro importante del padre e del ruolo della madre, ma ora è Achille Lauro, nato Lauro De Marinis, a raccontare i retroscena. A modo suo, ha voluto spazzare il campo dalle voci, dalle dicerie e dalle mezze verità, raccontando ciò che lui stesso ha vissuto in prima persona. "Sono figlio di gente onesta, di chi ha sacrificato una vita per il lavoro sopportando per anni di farsi sputare addosso senza mai ricevere nulla", esordisce Lauro, che racconta chi era suo padre prima di diventare giudice della Corte di Cassazione: "Mio padre di giorno insegnava pur di portare a casa quattro soldi e di notte non dormiva ossessionato dal rimanere condannato in una misera vita." Sua madre, prima entrare nel suo entourage, ha fatto lavori umilianti “ma caritatevoli.” "Mai dirò che mi ha fatto mancare qualcosa. La mia rabbia e la mia ambizione nasce dalle umiliazioni. Quello che hanno fatto alla mia famiglia mi ha fatto diventare chi sono. Mia madre ha vissuto per gli altri, andava sulla strada ad aiutare prostitute a salvarsi assumendosi grandi rischi, ospitava a casa bambini di famiglie in difficoltà anche quando noi stessi eravamo disperati", continua Achille Lauro, rivelando un lato inedito della sua famiglia, che ha conquistato lo status borghese dopo molti sacrifici. È orgoglioso, Lauro, della sua famiglia e non lo nasconde, così come non nega i rapporti difficili con loro: "Sono contento perché è anche grazie a quello che abbiamo passato se sono qui e, nonostante abbia avuto un rapporto difficile con la mia famiglia, sono felice perché oggi mio padre ha conquistato quello per cui ha vissuto e mia madre ha un ruolo importante al mio fianco." La radice borghese nasconde un passato difficile sia per Achille Lauro che per la sua famiglia e nel suo lungo sfogo, il cantante non si nasconde dietro un dito ma rivela anche i suoi trascorsi difficili, quelli che hanno contribuito a renderlo la persona che oggi oltre la maschera del rapper provocatore: "Tutti hanno conosciuto me quando dormivo in una macchina, quando vivevo in uno squallido hotel a Boccea, quando avevo paura per mia madre, quando a Val Padana c’erano quei ragazzi e oggi sono rimasti solo ritratti sui muri e fiori." Si sarebbe potuto perdere come quei ragazzi, invece Achille Lauro ce l'ha fatta e oggi è assurto ad esempio da tanti giovani: "Sono diventato migliore di ieri perché sono già stato chi nessuno sarebbe mai voluto essere e perché quei ragazzi sono cresciuti avendo come esempio quello che non sarebbero mai voluti diventare. Gloria ai miei ragazzi, a chi è come noi e a chi non c’è più."
achilleidol. Sono figlio di gente onesta, di chi ha sacrificato una vita per il lavoro sopportando per anni di farsi sputare addosso senza mai ricevere nulla. Mio padre di giorno insegnava pur di portare a casa quattro soldi e di notte non dormiva ossessionato dal rimanere condannato in una misera vita. Ho visto mia madre fare lavori umilianti ma caritatevoli. Mai dirò che mi ha fatto mancare qualcosa. La mia rabbia e la mia ambizione nasce dalle umiliazioni. Quello che hanno fatto alla mia famiglia mi ha fatto diventare chi sono. Mia madre ha vissuto per gli altri, andava sulla strada ad aiutare prostitute a salvarsi assumendosi grandi rischi, ospitava a casa bambini di famiglie in difficoltà anche quando noi stessi eravamo disperati. Sono contento perche è anche grazie a quello che abbiamo passato se sono qui e, nonostante abbia avuto un rapporto difficile con la mia famiglia, sono felice perché oggi mio padre ha conquistato quello per cui ha vissuto e mia madre ha un ruolo importante al mio fianco. Il mio nome è famoso perchè tutti hanno conosciuto me quando dormivo in una macchina, quando vivevo in uno squallido hotel a Boccea, quando avevo paura per mia madre, quando a Val Padana c’erano quei ragazzi e oggi sono rimasti solo ritratti sui muri e fiori. Sono contento quando riesco a fare qualcosa per le persone che ne hanno bisogno tra cui alcuni dei ragazzi cresciuti con me fin da piccoli, protagonisti delle mie storie vere e del mio successo, che ancora oggi vivono un disagio che alcuni sono solo capaci di raccontare. No cantastorie. Documentario di una generazione. Sono diventato migliore di ieri perchè sono già stato chi nessuno sarebbe mai voluto essere e perchè quei ragazzi sono cresciuti avendo come esempio quello che non sarebbero mai voluti diventare. Gloria ai miei ragazzi, a chi è come noi e a chi non c’è più. È ora di aprire il nuovo sipario dove la morte stavolta è soltanto una messa in scena e dove si rimarrà per sempre.
Achille Lauro: «Quello che hanno fatto alla mia famiglia mi ha fatto diventare chi sono». Pubblicato giovedì, 20 febbraio 2020 su Corriere.it da Antonella De Gregorio. Dopo aver lasciato il segno al festival di Sanremo con le sue performance sorprendenti e camaleontiche sulle note del brano «Me ne frego», Achille Lauro si mette a nudo su Instagram: un lungo post (200mila like in poche ore) in cui racconta se stesso e la sua famiglia: una versione «definitiva», dopo le tante circolate, rubate, anche un po’ romanzate. A rivelare chi è davvero il trapper è stato Aldo Cazzullo in un'intervista esclusiva per il Corriere. Oggi il musicista del momento, che di nome fa Lauro de Marinis, classe 1990, fa chiarezza di suo pugno. «Sono figlio di gente onesta - esordisce il cantante - di chi ha sacrificato una vita per il lavoro sopportando per anni di farsi sputare addosso senza mai ricevere nulla. Mio padre di giorno insegnava pur di portare a casa quattro soldi e di notte non dormiva ossessionato dal rimanere condannato in una misera vita». Una vita dura, costellata di umiliazioni, che hanno generato «rabbia e ambizione». Passata ad osservare la madre che «ha vissuto per gli altri, andava sulla strada ad aiutare prostitute a salvarsi assumendosi grandi rischi, ospitava a casa bambini di famiglie in difficoltà anche quando noi stessi eravamo disperati». Eppure, scrive il cantante, «non dirò mai che mi ha fatto mancare qualcosa». «Quello che hanno fatto alla mia famiglia mi ha fatto diventare chi sono». L'artista trasgressivo che ha stupito tutti sul palco dell'Ariston. Quei look stravaganti e carichi di significato. «Ma - aggiunge - sono contento perche è anche grazie a quello che abbiamo passato se sono qui e, nonostante abbia avuto un rapporto difficile con la mia famiglia, sono felice perché oggi mio padre ha conquistato quello per cui ha vissuto e mia madre ha un ruolo importante al mio fianco». E si dice «contento quando riesco a fare qualcosa per le persone che ne hanno bisogno». Non si definisce «un cantastorie», ma «il documentario di una generazione»: «Sono diventato migliore di ieri perché sono già stato chi nessuno sarebbe mai voluto essere».
Achille Lauro si confida su Instagram: "Sono stato chi nessuno sarebbe mai voluto essere". Con un lunghissimo post su Instagram, Achille Lauro ha raccontato le pieghe dolorose del passato, svelando i sacrifici della sua famiglia e le difficoltà attravrsate per diventare quello che è oggi. Francesca Galici, Giovedì 20/02/2020 su Il Giornale. Se non ci fosse stato il Bugogate, la 70esima edizione del festival di Sanremo sarebbe stata ricordata soprattutto per le perfomance di Achille Lauro sul palco del teatro Ariston. Il giovane cantante ha messo in scena vere e proprie rappresentazioni artistiche, impersonando ogni sera un personaggio diverso. San Francesco, David Bowie/Ziggy Stardust, Luisa Casati Stampa ed Elisabetta I Tudor hanno preso vita come magia sulle note di Me ne frego, un inno alla libertà assoluta, filo conduttore dei personaggi portati sul palco da Achille Lauro. Coraggioso come raramente sanno essere gli artisti che salgono sul palco di Sanremo, il giovane cantante ha iniziato un nuovo percorso artistico in questi giorni, diventando Chief Creative Officer di Elektra Records. Sul suo profilo Instagram, il ragazzo ama lasciare lunghi pensieri scritti nei quali fa confluire le sue emozioni e i suoi pensieri, un flusso di nozioni che permettono di capire meglio chi sia la persona dietro il personaggio. Ci ha provato il padre a raccontarlo, con un'intervista che ha fatto molto discutere e riflettere, ma nessuno meglio di Achille Lauro può raccontare la sua vita. Si è detto tanto della famiglia del cantante, del lavoro importante del padre e del ruolo della madre, ma ora è Achille Lauro, nato Lauro De Marinis, a raccontare i retroscena. A modo suo, ha voluto spazzare il campo dalle voci, dalle dicerie e dalle mezze verità, raccontando ciò che lui stesso ha vissuto in prima persona. "Sono figlio di gente onesta, di chi ha sacrificato una vita per il lavoro sopportando per anni di farsi sputare addosso senza mai ricevere nulla", esordisce Lauro, che racconta chi era suo padre prima di diventare giudice della Corte di Cassazione: "Mio padre di giorno insegnava pur di portare a casa quattro soldi e di notte non dormiva ossessionato dal rimanere condannato in una misera vita." Sua madre, prima entrare nel suo entourage, ha fatto lavori umilianti “ma caritatevoli.” "Mai dirò che mi ha fatto mancare qualcosa. La mia rabbia e la mia ambizione nasce dalle umiliazioni. Quello che hanno fatto alla mia famiglia mi ha fatto diventare chi sono. Mia madre ha vissuto per gli altri, andava sulla strada ad aiutare prostitute a salvarsi assumendosi grandi rischi, ospitava a casa bambini di famiglie in difficoltà anche quando noi stessi eravamo disperati", continua Achille Lauro, rivelando un lato inedito della sua famiglia, che ha conquistato lo status borghese dopo molti sacrifici. È orgoglioso, Lauro, della sua famiglia e non lo nasconde, così come non nega i rapporti difficili con loro: "Sono contento perché è anche grazie a quello che abbiamo passato se sono qui e, nonostante abbia avuto un rapporto difficile con la mia famiglia, sono felice perché oggi mio padre ha conquistato quello per cui ha vissuto e mia madre ha un ruolo importante al mio fianco." La radice borghese nasconde un passato difficile sia per Achille Lauro che per la sua famiglia e nel suo lungo sfogo, il cantante non si nasconde dietro un dito ma rivela anche i suoi trascorsi difficili, quelli che hanno contribuito a renderlo la persona che oggi oltre la maschera del rapper provocatore: "Tutti hanno conosciuto me quando dormivo in una macchina, quando vivevo in uno squallido hotel a Boccea, quando avevo paura per mia madre, quando a Val Padana c’erano quei ragazzi e oggi sono rimasti solo ritratti sui muri e fiori." Si sarebbe potuto perdere come quei ragazzi, invece Achille Lauro ce l'ha fatta e oggi è assurto ad esempio da tanti giovani: "Sono diventato migliore di ieri perché sono già stato chi nessuno sarebbe mai voluto essere e perché quei ragazzi sono cresciuti avendo come esempio quello che non sarebbero mai voluti diventare. Gloria ai miei ragazzi, a chi è come noi e a chi non c’è più."
Francesca Galici per il Giornale il 22 febbraio 2020. Con la partecipazione al festival di Sanremo, Achille Lauro si è imposto al pubblico come nuovo perfomer della scena musicale italiana. Arte, creatività e inventiva sono gli ingrediente della sua nuova immagine, che rompe gli schemi classici delle esibizioni musicali e propone al pubblico qualcosa di nuovo, capace di generare l'effetto "wow" nello spettatore. Erano anni che sulla scena musicale italiana non si assisteva a qualcosa di simile, che forse non c'è mai stato, e Achille Lauro ha iniziato una rivoluzione destinata a lasciare il segno. Il suo progetto iniziato sul palco del teatro Ariston durante Sanremo si è arricchito in queste ore di nuovi dettagli. Achille Lauro ha lanciato il nuovo tour, che nei prossimi mesi toccherà numerose città del Paese e non sarà semplicemente un concerto ma una vera esposizione artistica con alti richiami culturali. La notizia del tour è stata condivisa, come sempre più spesso accade, attraverso i social e non con i tradizionali comunicati stampa. Achille Lauro ha pubblicato il brevissimo teaser di un video, probabilmente quello di Me ne frego, in cui interpreta niente meno che Gesù. Insieme a lui, nei panni della Vergine Maria, c'è Elena D'Amario, ex ballerina di Amici. I due hanno personificato la Pietà, la celebre scultura di Michelangelo Buonarrotti custodita in Vaticano. Un richiamo molto elevato ma anche ardito per Achille Lauro, ai cui piedi ci trova un lupo, un elemento inedito per questo richiamo artistico, un simbolo certamente del nuovo percorso del cantante. "Il mio tempo è compiuto. Quello che sono stato non sarò più. Quello che ero morirà con me", scrive Achille Lauro segnando i confini di quella che sembra essere una rinascita, un nuovo inizio della sua carriera. Sanremo è stato un punto zero del suo percorso musicale e artistico e da quel momento il cantante non torna più indietro ma si evolve e cambia rispetto a quanto i suoi fan hanno imparato a conoscere di lui in passato. L'accoglienza da parte dei suoi ammirati è stata a dir poco calorosa. Da molti è stato accolto come il nuovo Messia della musica, un paragone azzardato non condiviso da tutti, che anzi vedono nella sua opera un chiaro richiamo a un altro artista. C'è chi lo accusa di aver copiato e preso spunto da Rose viola di Ghemon e chi, proprio a tal proposito, dice che si sarebbe aspettato di più da colui che è appena diventato direttore artistico di un'etichetta discografica. C'è, poi, chi va ben oltre queste considerazioni ed esprime il suo dissenso all'arte di Achille Lauro: "Ormai andiamo avanti a baracconate", "Stai davvero esagerando, scendi dal piedistallo. Mediocre."
achilleidol: “Il mio tempo è compiuto.
Quello che sono stato non sarò più.
Quello che ero morirà con me.
Ho vissuto chiedendo aiuto attraverso le mie preghiere.
Le mie preghiere sono diventate poesie.
Le mie poesie sono diventate canzoni.
Le mie canzoni sono diventate opere che, come passi di un vangelo, inneggiano all’essere liberi.
Non è più tempo di sopravvivere come una volta.
È tempo di morire ora per rinascere in una nuova identità.
Il mio alter ego o il mio vero Io.
Il mio peggior nemico.
Il mio miglior amico.
Colui che già una volta mi ha chiesto aiuto.
Colui nel quale invece ho trovato la mia salvezza.
Oggi rinasce con me.
Gli ho fatto una croce in fronte perché dio è stato buono con noi.
L’ho ricoperto di glitter, perché tornasse a splendere di luce propria.
Gli ho ripetuto quelle vecchie parole: “Dio disse: è il momento di risorgere su questo palco’”.
Gino Castaldo per “la Repubblica” il 2 aprile 2020. Come tutti noi è solo, solo con i suoi tatuaggi fiammeggianti e le sue visioni glitterate, ma è un prigioniero relativamente felice perché immerso in un tunnel di creatività selvaggia e irrefrenabile. Ci appare sullo schermo del computer dalla veranda di un b&b romano dove si è trovato di passaggio al momento dell' editto coronavirus. «Non hai idea che casino», racconta, «ho dovuto ricreare qui tutto quello che mi serviva per lavoro, chitarre, batteria, perché sto lavorando con strumenti veri, quindi mi sono linkato con tutti gli altri. È strano ma affascinante».
La voce di Achille Lauro tornerà a girare nell' aria, da domani, quando uscirà il nuovo singolo intitolato 16 marzo , un titolo che in questo periodo sembra inevitabilmente un segnalibro epocale. Cosa vuol dire?
«È il giorno in cui il pezzo è stato fatto, il giorno della lettera, perché di una lettera si tratta. Marzo è il mese in cui finisce il vecchio e comincia il nuovo, anche se di questi tempi i pensieri assumono una diversa forma. Marzo è il mese in cui è successo tutto, e questo ti fa ripensare a tutto, anche all' amore».
La cosa più sorprendente è che sembra un brano "normale", una canzone d' amore, con parole semplici, chiare, sull' abbandono, sui cambiamenti dell' amore e delle persone. È questo il frutto dell' alter-ego Achille Idol Immortale che, se tutto va bene, porterà in scena in autunno?
«È l' upgrade di tutto quello che ho fatto finora, un biglietto da visita per il futuro. Ho seguito una visione precisa: un testo per tutti, per una volta senza fare il maniaco della parola, tipo il Vasco di Siamo soli , una frase che potrebbe dire chiunque, ma detta da lui 16 marzo è un po' così, meno poetica, più diretta, come una verità sentita».
Come tutte le canzoni d' amore può essere letta in molti modi?
«Ma certo, la lettera potrebbe essere indirizzata a me stesso, oppure al mondo che c' è la fuori adesso. È uno stato d' animo, una sensazione che tutti hanno provato o proveranno, mi piace il sound del ritornello. Siamo andati a cercare qualcosa di violento rispetto alle canzoni d' amore. Un po' crazy, come me, finisce in eco, quasi rabbiosa».
Il pezzo uscirà così da solo, senza un album? Si parlava di un progetto tutto sugli anni Novanta.
«Sto lavorando a 40-50 pezzi insieme, ho praticamente tre dischi, non so, deciderò man mano, cambia solo il modo di calendarizzare il tutto, il fatto è che non saprei neanche dare un' etichetta a quello che sto facendo, per mesi ho accumulato un mare di roba, ero in una casa e tutti i giorni facevamo session fino a notte fonda».
Ma ora è diverso con la catastrofe intorno?
«Stare isolato per me non è del tutto una novità, le mie cose sono sempre nate da lunghi periodi di chiusura di sicuro sta venendo fuori una parte più autentica di me, sono meno influenzato dall' esterno, non ho distrazioni, cerco di ottimizzare al massimo, così quando sarà finita avremo usato al meglio il tempo, e accresciuto noi stessi. Potrebbe essere un consiglio per tutti».
Ha provato a immaginare il momento in cui ci sarà di nuovo un pubblico davanti al quale poter cantare?
«Sì, certo, credo che il pubblico apprezzerà di più cosa vuol dire partecipare, forse per la prima volta si vivrà l' evento, non dovrò dire: spegnete i telefonini».
A proposito di pubblico, com' era pregustare lo scompiglio che ci sarebbe stato alla prima apparizione sanremese? Qual è stato il pensiero subito prima di uscire in scena?
«Io non pregustavo lo scompiglio, ero lo scompiglio ma in quel momento l' unica cosa di cui ero preoccupato, dopo aver pianificato per mesi la prima serata, era togliermi il vestito nel momento esatto. Era fondamentale, anche perché avevo un ricordo tremendo: al primo concerto del primo tour importante, avevo preparato un' uscita a sorpresa e sono entrato due minuti prima del dovuto, un trauma, ecco era quello il punto, a Sanremo in quel momento la cosa più importante era fare esattamente quello che avevo pensato, era già tutto nella mia mente, ma se sbagliavo il momento».
E poi, passata la prima sera del nudo?
«La più strana è stata la sera di Bowie, è stato onirico, sentivo anche su di me una strana vibrazione, per la serietà che dovevo mantenere, ero sospeso sul filo, tra un paradosso e l' ultraterreno. Tutto era partito da un' idea: portiamo un concerto dentro Sanremo, sembrava un vaneggiamento, in quattro minuti ci deve essere tutto: il costume, il punk, il momento intimo dell' inizio, il bacio, io che faccio la corte a Doms (il socio sul palco, ndr ), quello che succede nei nostri live. Ci abbiamo lavorato per mesi, per trovare i partner giusti, per sistemare tutti i dettagli».
Ora che Achille Lauro e il suo alter ego viaggiano su fili di audacia impensabile fino a qualche anno fa, ci ripensa ai suoi luoghi di origine, al quartiere romano di Montesacro?
«Provo un sentimento di nostalgia. Non poter vivere i luoghi "normali" è la faccia meno bella del successo. Non mi lamento, intendiamoci, so di essere un uomo fortunato, sono fermamente credente nel destino e non direi mai di voler tornare indietro, però vorrei poter stare nei i luoghi in cui sono cresciuto. Mi mancano le mie strade».
· Adele.
Pubblicato sabato, 11 gennaio 2020 su Corriere.it da Paola De Carolis. L’ipnoterapia, il pilates, il preparatore atletico personale, la dieta priva di carboidrati, zuccheri, alcol, caffé e bevande gassate, la boxe, un’ora al giorno con i video sulla fitness di varie star. «Ecco il segreto». La stampa popolare si rincorre al ritmo di titoli sulla «strabiliante perdita di peso» e sulla «smagliante forma fisica» della cantante Adele che, una volta bene in carne, è stata fotografata in vacanza magra come un giunco, allegra e sorridente in un microabito a pois. «Rivelaci come hai fatto — implora il Sun a nome dei suoi lettori —. Vogliamo riuscirci anche noi». Dalle due sponde dell’Atlantico rimbalzano le rivendicazioni. È una discepola del Rise Nation — movimento per il fitness centrato sui macchinari per l’arrampicata — no, è tutto merito della dieta Sirt, un regime alimentare che stimola il metabolismo, e così via. Il messaggio è chiaro. Adele, poverina, era grassa: adesso che è dimagrita è bellissima. «È un’ispirazione, un esempio per tutti, un modello positivo». È un discorso che dà fastidio a tanti — tante, se vogliamo. Possibile che nel 2020 la taglia sia ancora fondamentale? Perché una donna non può essere apprezzata per tutto ciò che è, magra o grassa? Susie Orbach, psicoanalista, autrice negli Anni 70 di Fat is a Feminist Issue, è sconcertata che a quasi mezzo secolo dall’uscita del suo libro il peso rimanga un criterio in base al quale valutare una donna. Il Guardian, con un editoriale, ricorda che per dieci anni Adele è stata criticata perché grassa. Oggi si continua a parlare del suo peso. C’è chi le punta il dito contro per essersi omologata. «Ricordatevi, le donne non possono mai vincere», scrive il quotidiano. Se da una parte l’accettazione del proprio corpo è cresciuta sino a diventare un movimento — body positivity — dall’altra la perdita di peso è un tema malvisto in circoli femministi, tanto che, stando a un sondaggio, in Gran Bretagna, dove un terzo della popolazione è obesa, il 40% delle donne che si mettono a dieta non ammette apertamente di voler dimagrire per paura di essere giudicata una traditrice della causa. Non mancano gli esempi nel mondo patinato delle celebrità, dove sia Taylor Swift, sia Beyoncé sono state biasimate perché hanno dato troppa importanza al ritrovamento della linea perfetta. Ha ragione l’editorialista del Guardian Poppy Noor, allora? Grasse o magre, le donne continueranno a essere stigmatizzate? A differenza della stampa, che da giorni ormai propina le immagini della cantante, Adele si è limitata (sui social) a poche parole sul suo nuovo look. «Una volta piangevo, ora sudo», ha scritto. È una svolta positiva, insomma, ma l’accento è sulla forma emotiva, non fisica. Un pronunciamento che ha un senso soprattutto sullo sfondo di 30 mesi in cui Adele, una cantante dalla voce strepitosa, è stata costretta a disdire i concerti a Wembley per un danno alle corde vocali e non si è più esibita. Il suo ultimo album, il terzo, risale al 2015. A ottobre ha divorziato dal marito, Simon Konecki, dal quale sette anni fa aveva avuto il figlio Angelo. Per tutelare la voce ha smesso di fumare e di bere. Odia la palestra ma ha introdotto un po’ di movimento nella routine giornaliera. Ha cominciato a scegliere cibi sani per stare meglio. Adele è un modello positivo, ma non perché ha perso tra i 30 e i 40 chili. Figlia di una ragazza madre, è cresciuta senza agi tra le palazzine popolari del Nord di Londra. Ancora bambina si è messa in testa che avrebbe scritto canzoni e cantato e lo ha fatto, arrivando, prima di compiere 30 anni, a vincere un Oscar, 9 Brit Awards e 15 Grammies. Detiene il record per il primo posto nelle classifiche statunitensi e britanniche. È, a detta di tutti, generosa e simpatica. È stata grassa e felice. Ora è magra. E splendida, come sempre.
· Adriana Chechik.
Barbara Costa per Dagospia il 19 luglio 2020. C’è un limite a essere troia? Quale? I numeri degli uomini che ti scopi? La somma delle donne che te la leccano? Lo sperma che sai inghiottire? I soldi che ti fai dare? O sei troia perché sei una pornostar? E quanto sei troia se sei pornostar regina delle doppie e triple penetrazioni anali? Se sei colei che di peni tra le natiche se ne fa mettere e sbattere 3, e 2 davanti, e poi in bocca, uno dopo l’altro, uno più grosso dell’altro. Li succhi e ti fai venire e spalmare lo sperma sul viso, e poi godi e si vede, vieni più volte a scena. In una tripla anale hai stabilito il record di 11 orgasmi! Consecutivi! Sei "bratty", sei "nasty", così ti devono chiamare sui social, e i tuoi fan te li scopi sul set, li hai radunati 6 per una gangbang, e per un bukkake dove ti hanno "dissetato" uno a uno. Lettore, ti piacerebbe avere Adriana Chechik come fidanzata? Ti vedo, sai, che muovi il capino in segno di assenso allupato, ma io mi sa che so chi sei: tu sei il classico maschio moralista del cazzo che una come Adriana Chechik non l’avrà mai e non solo perché è una pornofiga di fama mondiale, ma perché, ammettilo: tu sei tra quelli che guardano e si toccano a mille coi video di Adriana, e però mai accetteresti, saresti contento che le stesse, identiche acrobazie le facesse tua moglie, tua sorella, tua madre! Macché, loro sono sante, loro sono brave, loro sono donne rispettabili, loro mica prendono più cazzi insieme, no, loro prendono solo quello che hanno scelto per amore e a cui tu credi siano fedeli. Com’è che la pensano, quelli come te? Ah, sì: ci son donne che meritano ogni rispetto, invece quelle che sono e fanno come Adriana no, Adriana è porca ma troppo, è una porca esagerata. Quanto te lo fa venir duro? I limiti dell’essere troia, li hanno decisi gli uomini, per illudersi di darci un freno, controllarci, dividendo il mondo in madonne e puttane. Tale divisione consolatoria, che se la mettano dove ben sanno, e tu, gioia, decidi da che parte stai: io ho deciso, da tempo, io sto con the ultimate slut Adriana Chechik! Di nessuna donna sono più conquistata, di nessuna ho paura quanto di lei. Adriana si mangia la pizza con lo sperma! Lei è insaziabile, senza limiti, nel porno i colleghi ne hanno terrore. Adriana porna duro, non le basta mai, li sfianca, lei li picchia e si fa picchiare! Con previa approvazione reciproca, e però, è notorio che Adriana, bisex, sul set ami più pornare con donne, se le sceglie lei, e tutte piccoline di fisico (“m’arrapano le babes, anche nella vita reale!”). Adriana Chechik nel porno è soprannominata "la ragazza dai buchi più cattivi", lei non ti dà tregua e te la devi scopare senza tregua: chiedilo alle colleghe che girano con lei le gangbang al femminile, dov’è Adriana che comanda, che indossa un enorme doppio strap-on, e le infilza davanti, dietro, non le lascia in pace finché non son sfinite e doloranti! Adriana non scopa i colleghi fuori dal set: lei è fidanzata ma promiscua, a lei piace fare sesso di gruppo e meglio se occasionale, organizza lesbo-party-orge nella sua villa con piscina in San Fernando Valley. A Adriana piace rimorchiare i nerd via app (“la migliore scopata della mia vita? Un fottuto contabile: chi l’ha rivisto più?”). Lei ben si masturba mettendosi due dita nel sedere. Non le serve altro. Adriana Chechik ha perso la verginità a 18 anni, col fratello della sua migliore amica, con la quale aveva fatto petting lesbico spinto, fino a distruggersi la bocca. Adriana non è cresciuta con le ansie e le paure con cui ci inzuppano la mente a noialtre: lei non ha detto al suo ragazzo che era vergine analmente, si è fatta penetrare senza lubrificante, e dice che non ha sentito dolore! Dolore che al contrario ha sentito sul set, una volta pornostar, durante le prove del suo primo mal riuscito doppio anale. Oggi basta non penetrarla con più peni curvi, e Adriana è talmente fuori dai canoni che se ne impipa dei casini razziali che infestano l’America: lei ha fatto gangbang con bianchi, neri, e con bianchi e neri insieme, e i neri non è che sono meglio, è questione di ritmo: i neri sono più lenti a montarla, mentre i bianchi la azzannano, entrano in lei assatanati! Interessa a qualcuno che Adriana Chechik è quasi laureata in biochimica? Prima o poi vuole finire gli studi, e fare protesi per le tette, forse le sue. Da anni è nella top ten di Pornhub, milioni di fan sbavano per lei, non so che cifra campeggi sul suo conto in banca, e però Adriana lavora tantissimo, questo è il suo score del 2019: 100 uscite, di cui 30 anali, 12 a penetrazioni plurime. Le rode a morte che Angela White abbia vinto 3 Oscar del Porno quale migliore attrice, e lei solo uno. Senti, non so come dirtelo, se non con le stesse parole che ha detto lei, in radio, a Howard Stern: Adriana ha sc*pato con suo padre! Vabbè, mica suo padre quello vero, biologico, c’è che Adriana ha avuto un passato un po’ particolare: sua madre è pazza, e lei per tutta l’infanzia e l’adolescenza ha trottolato in affidamento per 13 famiglie, e con una, con cui è stata dai 6 ai 9 anni, oh, insomma, lei dice che è andata così: quest’uomo, questo padre affidatario per 3 anni, lei ci s’è trovata benissimo, nulla da eccepire. Poi si sono rincontrati che Adriana era adulta e spogliarellista, lui divorziato, e sono andati a cena fuori, e poi il dopocena a casa di lei, e poi un bacio, e un altro, e l’hanno fatto sul divano. Anche anale. È reato?
· Adriana Volpe.
Alessandra Menzani per ''Libero Quotidiano'' il 9 luglio 2020. Hanno tutti ragione, scriveva Paolo Sorrentino in uno dei suoi libri più brillanti. In questa vicenda, invece, hanno tutti torto, perché da parte di due conduttori di primo piano, che entrano nelle case degli italiani, sarebbe apprezzabile un minimo di contegno e professionalità in più. Non le risse da Grande Fratello e Temptation Island. I protagonisti della telenovela dell'estate sono Giancarlo Magalli e Adriana Volpe, volti amati della tv, che riescono a litigare anche se non lavorano più insieme, si odiano tanto che alla fine forse si amano. odio o amore? I due, che anni fa conducevano insieme i Fatti Vostri, bisticciano ancora perché Adriana, durante la diretta della nuova trasmissione che presenta su Tv8, con il neo partner Alessio Viola ha fatto una gag sull'età degli uomini. La stessa gag che era stata al centro dell'antica lite con Magalli. Giancarlo, che non le manda certo a dire (spesso rifiuta le interviste per "paura" di spararla grossa contro i colleghi), ha risposto in modo discutibile, ovviamente sui social. Ha postato una faccina «stai zitta» e la scritta «0.9», che altro non è che una frecciata sugli ascolti non entusiasmanti di Ogni mattina, la nuova trasmissione della Volpe. In aggiunta al post, nei commenti, la frase: «Chi vuole capire, capisce». Il tutto è stato eliminato ma troppo tardi; insomma, robe che da un signore maturo magari non ci si aspetta. Adriana Volpe non ci sta, ieri in diretta si è presa uno spazio tutto per sè per rispondere a Magalli. Dire che non vedesse l'ora è riduttivo. «Hai provato per tanti anni a farmi stare zitta: non ci sei mai riuscito e non ci riuscirai neanche oggi». «Caro Giancarlo, questo gesto, "shhh", non me lo fai () Io sto vivendo questa bellissima avventura insieme a una squadra e a una rete che stimo. E tu, caro Giancarlo, con questo gesto, sempre a voler zittire, dimostri di non avere rispetto delle persone e delle donne. Questo non te lo permetto». Sui social, poi, Adriana parla degli ascolti. «Sai quando sono stata in silenzio? Quando una trasmissione come i Fatti Vostri, condotta anche da me e da Marcello (Cirillo, ndr), dal 9-10% è passata, con la tua conduzione in solitaria, al 5-6% di share. Da 3 anni in caduta libera. Sono stata in silenzio senza paragonare una rete come Raidue, abituata a ben altri numeri rispetto ad una rete giovane come Tv8. Mi offende questo gesto. Oggi rappresento una squadra di persone che sta lavorando e difendo una rete che si sta costruendo un futuro e va rispettata. I giovani vanno incoraggiati. Peccato che tu i giovani li temi». Poteva mancare la controreplica di Magalli? No. Su Davide Maggio: «Potrei, se volessi polemizzare, rispondere che prima che arrivassero loro gli ascolti erano vicini al 20. E quindi è colpa loro? No, perché l'arrivo del digitale e delle tv satellitari ha molto modificato gli ascolti di tutti i programmi. Un varietà di prima serata quando era un successo superava il 30%, oggi al 16% già festeggiano». controreplica al veleno «Poi», aggiunge il veterano della Rai, «non è vero che sono rimasto solo al comando. Ci sono stati dei cambiamenti, nemmeno voluti da me. Al posto di Adriana prima Laura Lena Forgia e poi Roberta Morise (bravissime) e al posto di Marcello prima Jo' di Tonno e poi Graziano Galatone (bravissimi). Talmente non sono stato in solitaria che è stato aggiunto anche Broccoli».
Infine: «Casomai c'è da chiedersi se Volpe e Cirillo sono così fenomenali e acchiappa ascolti come mai lei sia finita su una rete minore a fare ascolti con lo zero davanti e lui stia a casa da tre anni». Il prossimo capitolo? Di certo non mancherà.
Marcello Cirillo su Instagram: Allora se proprio la vogliamo mettere su questo piano, ti ricordo che prima di esserci tu nella trasmissione i fatti vostri io l'ho fatta, insieme al mio socio Antonio, con Fabrizio Frizzi ed Alberto castagna, due veri signori della televisione molto amati, a differenza di te, da tutti, con i quali abbiamo fatto anche piu del 50% di share a mezzogiorno e con il serale, abbiamo toccato anche 9 milioni di spettatori poi dopo, sei arrivato tu, con il tuo bagaglio di gran simpatia e la trasmissione è calata, a memoria non mi pare ci fossero satellitari e digitali terrestri. Hai detto beandoti “sei da tre anni a casa” (a parte che nel 2017/18 sono stato inviato di “quelli che il calcio” per poi insieme alla tua “amata” Adriana partecipare a Pechino express), questo e il tuo unico hobby rimasto, rimarcare, qualora ce ne fossero, i problemi altrui; vedi Giancarlo eri una persona spiritosa, ed eri il mio migliore amico, tempo evidentemente sprecato, adesso la linea di demarcazione tra essere spiritoso ed essere cattivo è diventata molto sottile, sei un “piccolo uomo” che non vive ma va in onda, godendo dei problemi altrui. Buona estate!
Emiliana Costa per ilmessaggero.it il 9 aprile 2020. Adriana Volpe e la pace con Giancarlo Magalli: «Non mi ha fatto neanche le condoglianze. Mio marito? Ecco cos'è successo tra noi». A poche ore dalla finale del Grande Fratello Vip, Adriana Volpe si è tolta qualche sassolino dalla scarpa in un'intervista a TvBlog. Parlando dalla pace proposta da Giancarlo Magalli, l'ex gieffina ha affermato: «Giancarlo ha detto di voler far pace con me ai giornalisti. Non a me. Probabilmente è una 'pace mediatica', perché non mi ha mai cercata, chiamata, inviato un messaggio, neanche di condoglianze. Eppure il mio numero ce l’ha. Consentimi, invece, di ringraziare con il cuore in mano tutti i colleghi e gli amici, molti dei quali, in maniera del tutto inaspettata, hanno inviato messaggi di vicinanza e solidarietà a me e alla mia famiglia». Poi, Adriana Volpe ha parlato della presunta rottura social con il marito Roberto Parli: «Sono rimasta sorpresa dell’attenzione mediatica che si è creata intorno a me, addirittura c’è chi controlla 'chi segue chi'. Wow. Come ho avuto modo di chiarire sui miei profili social, non sono proprio la regina della tecnologia. Devo aver combinato qualcosa per cui non vedevo molti dei profili a me più vicini, ma ho risolto presto tutto».
Anticipazione da “Oggi” il 20 maggio 2020. In un’intervista a OGGI, in edicola da domani, Adriana Volpe coglie l’occasione per un appello anti-Covid («Attenzione: io per prima so che non possiamo abbassare la guardia») e parla per la prima volta del nuovo programma su Tv8 che, dice, «mi darà l’opportunità di spiccare il volo, oggi ho tutti gli strumenti… ho davvero un’occasione straordinaria. Sono riconoscente alla Rai ma è il mio passato…».
Della celebre lite con Magalli parla come di un «capitolo chiuso». «Le sue scuse avrebbero certamente avuto un significato umano per me, visto che ciò che giuridicamente deve fare il suo corso andrà avanti. Dal 2017 non mi ha mai cercata, ha avuto mille occasioni per farmele, queste scuse. È morto mio suocero recentemente e non mi ha fatto nemmeno le condoglianze. Quindi, ribadisco: sono ancora qui che aspetto...».
Di sé dice: «Ho un’anima guerriera. Ho dovuto fare i conti con le ingiustizie, con i compromessi. Ma gli ostacoli non hanno mai fermato il mio percorso. Tengo strette certe mie battaglie e certe mie cadute… A 47 anni mi è ben chiaro che il valore aggiunto di una donna non è nel suo aspetto. Adesso non ho paura a mostrarmi senza filtri e senza trucco, pur non rinnegando che da giovane io abbia valorizzato il mio aspetto esteriore».
Adriana Volpe, parla il marito: “Con Zequila non c’è stato nulla”. Linda il 06/05/2020 su Notizie.it. Roberto Parli, marito di Adriana Volpe, ha deciso di tornare sulla questione della presunta liaison della conduttrice con Antonio Zequila. Il Grande Fratello Vip 4 si è concluso da diverse settimane, tuttavia le polemiche tra i concorrenti non sembrano volersi sopire. Al centro del gossip è difatti tornato con prepotenza il presunto flirt tra Antonio Zequila e Adriana Volpe, da quest’ultima peraltro sempre categoricamente smentito. Come sappiamo bene, nel corso del reality show condotto da Alfonso Signorini si è parlato spesso di questa vicenda. L’attore napoletano, difendendo strenuamente la propria versione, ha così dato vita a uno scontro molto duro in diretta, che non è però piaciuto a molti telespettatori. A distanza di qualche tempo, si torna dunque ora a parlare di tale fatto. A prendere la parola è però adesso Roberto Parli, marito di Adriana Volpe. L’imprenditore che ha infatti ammesso di aver discusso della cosa con la moglie già prima dell’ingresso nella casa di Cinecittà. Tuttavia ora, a mezzo social, l’uomo ha voluto precisare che all’epoca dei fatti, quando la conduttrice aveva poco più di vent’anni, lui giustamente non la conosceva ancora. Roberto ha poi svelato un ulteriore aneddoto davvero interessante. Secondo quanto scritto da Parli, infatti, già prima di entrare nel reality Adriana Volpe gli avrebbe giurato che non c’è mai stato nulla con Antonio Zequila. A lui, dunque, è stata sufficiente questa affermazione della moglie per superare quanto rivelato da Zequila nel corso della trasmissione di Canale 5.
Adriana Volpe confessa: "Nella Casa sapevamo che ora era". Durante una diretta social con Giulia Salemi, l’ex gieffina ha svelato alcuni retroscena della Casa e come, insieme ad altri inquilini, sia riuscita ad aggirare il divieto della produzione di conoscere l’orario. Novella Toloni, Venerdì 10/04/2020 su Il Giornale. Adriana Volpe è stata una delle protagoniste dell’ultima edizione del Grande Fratello Vip. Nella finalissima ha trionfato Paola Di Benedetto ma la conduttrice – costretta ad abbandonare il reality per problemi familiari – è stato uno dei personaggi più apprezzati. I telespettatori, però, non conoscono alcuni retroscena che sono avvenuti nella Casa. A svelarli è stata Adriana Volpe nel corso di una diretta social con l’amica Giulia Salemi. Dopo giorni di silenzio e poche apparizioni social, Adriana Volpe è tornata a farsi vedere su Instagram, concedendosi una chiacchierata live con l’amica Giulia Salemi, anche lei ex concorrente dell’edizione 2018 del Grande Fratello Vip. La diretta social tra Giulia e Adriana è stata l’occasione per raccontare aneddoti ed episodi inediti avvenuti nella casa di cinecittà. Tra questi anche l’astuzia messa in atto dalla Volpe e da alcuni concorrenti per tenere il tempo all’interno della casa. Un meccanismo portato avanti sin dalle prime puntate e in grado di aggirare il divieto della produzione di conoscere l’orario. Il reality prevede, infatti, che i partecipanti non abbiano riferimenti temporali. Adriana Volpe e altri concorrenti hanno però saputo aggirare il divieto e, nella diretta di Instagram, la conduttrice ha spiegato come sono riusciti a farlo. "Siamo stati bravissimi – ha raccontato la Volpe - agli autori li abbiamo mandati ai matti. All’interno della Casa avevamo un forno con orario, ma ovviamente il Gf impostava orari sballati. Grazie alla diretta, che inizia più o meno alle 20.40, noi impostavamo l’orario sul forno al primo blocco pubblicitario. Qualcuno andava in cucina e impostava l’orario". Il fatto, ha raccontato ancora Adriana, non è passato inosservato agli autori, che hanno provato più volte a vietargli lo stratagemma attuato, ma costantemente messo in atto: "Loro provavano a cambiarci ogni volta l’orario, ma poi ci hanno rinunciato. Durante la settimana ci rinchiudevano in stanza per sistemare delle cose e lì cambiavano anche l’orario, ma noi tenevamo il tempo con le canzoni. Io contavo quanti brani mandavano, durano tre quattro minuti e una volta usciti aggiornavamo l’orario. Per me l’orario è fondamentale, sarei andata in tilt senza".
Un grave lutto per Adriana Volpe. Ecco perché ha lasciato il Gf Vip. Si è spento all'età di 76 anni Ernesto Parlo, il suocero di Adriana Volpe, morto per Coronavirus. L'aggravarsi della sua situazione di salute era stato il motivo dell'abbandono della showgirl dalla casa del "Grande Fratello Vip". Roberta Damiata, Sabato 21/03/2020 su Il Giornale. Aveva abbandonato la casa del “Grande Fratello Vip” in lacrime in fretta e furia senza dare spiegazioni, dopo giorni che si rincorrevano notizie su qualcuno della sua famiglia malato. Ora si conosce il grave motivo che ha portato Adriana Volpe ad allontanarsi dal reality, E' infatti giunta la notizia della scomparsa del suocero, Ernesto Parli, 76 anni, padre di suo marito Roberto. L’uomo, conosciuto nel mondo dello sport per essere stato il presidente dell’FC Chiasso dal 1976 al 1982, dove portò a giocare Josè Altafini, e riuscì a portare la squadra in serie A, si è spento nel pomeriggio di venerdì 20 marzo. Il suo nome è purtroppo tra le 627 vittime del Coronavirus accertate nelle ultime 24 ore in Italia. A dare il triste annuncio alcuni portali sportivi tra cui il Corriere del Ticino. Da subito si era capito che qualcosa di grave stava accadendo visto anche la totale assenza del marito di Adriana, Roberto, che dall’11 marzo scorso si era allontanato totalmente dai social forse per stare vicino al papà Ernesto, ma nei giorni precedenti aveva più volte postato notizie sul virus raccomandandosi di seguire le regole imposte dal governo di rimanere a casa. L’uomo aveva contratto il coronavirus all’inizio del mese, quando Adriana fu avvertita con una lunga conversazione all’interno del confessionale, ma si era aggravato soltanto negli ultimi giorni. Informata su quanto stava accadendo la conduttrice ha deciso di lasciare la casa del Grande Fratello Vip per stare giustamente vicino alla famiglia, al marito e alla figlia che nel frattempo avevano lasciato Roma, in un momento così delicato. Poco dopo l’abbandono il conduttore del programma Alfonso Signorini aveva raccontato in una diretta Instagram, senza soffermarsi sui particolari cosa stesse succedendo: “Era già da una quindicina di giorni che lottava perché ha dei problemi seri in famiglia che riguardano la salute dei suoi cari. -parlando di Adriana Volpe - Ora la situazione si è aggravata e ha dovuto lasciare la casa”. Anche il programma, che come molti altri ha subito variazioni, ha deciso di chiudere i battenti prima del previsto, vista la situazione che si sta vivendo e le misure restrittive adottate dal governo per arginare il virus. La trasmissione, che sarebbe dovuta finire l’8 aprire, ma che da voci di corridoio sarebbe arrivata a concludersi i primi giorni di maggio, chiuderà invece in anticipo l’8 aprile.
Gf Vip, Adriana Volpe torna su Giancarlo Magalli: "Mi chiese scusa in diretta e poi non mi ha più salutato". Adriana Volpe torna a parlare di Giancarlo Magalli al Grande Fratello Vip, spinta da Alfonso Signorini; la showgirl ha rivelato aspetti inediti di questa vicenda finita in tribunale. Francesca Galici, Venerdì 17/01/2020, su Il Giornale. La diatriba di Adriana Volpe contro Giancarlo Magalli è entrata anche nella casa del Grande Fratello, dove la showgirl ha spesso parlato del suo ex partner televisivo con gli altri coinquilini.
Alfonso Signorini ha deciso di affrontare la questione in diretta con Adriana Volpe, che non si è nascosta e ha fatto nuove rilevazioni sul conduttore. Il conduttore ha mostrato alla Casa una clip riassuntiva del racconto di Adriana Volpe all'interno della Casa. Durante le giornate, infatti, la showgirl ha parlato della discussione nata su Facebook, dove Magalli ha fatto gravi insinuazioni sul suo lavoro. Anche per questa grave situazione col collega, Adriana Volpe ha lasciato la Rai. Adesso che si trova chiusa all'interno della Casa, Adriana Volpe ha deciso di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. La settimana scorsa, la showgirl ha rivelato la clausola dei contratti Rai per le donne, dichiarazioni forti che hanno fatto clamore. Questa settimana, spinta da Alfonso Signorini che ha voluto raccogliere le sue dichiarazioni di ieri, Adriana Volpe ha reso altre dichiarazioni sul suo periodo in Rai, soprattutto in merito a Giancarlo Magalli e alla situazione interna all'azienda: "Non mi hanno ferito le parole ma il fatto che esista la Commissione pari opportunità in Rai, che quando io ho chiesto un appuntamento dopo due anni dall'accaduto e dopo tutti gli articoli, mi hanno detto: 'Noi non ne sapevamo nulla'. È come quando trovi un muro di gomma." Parole forti da parte di Adriana Volpe, che ormai ha definitivamente lasciato alle spalle l'esperienza nella tv pubblica per intraprendere quella nella tv commerciale. La lite con Giancarlo Magalli è senz'altro forte, visto che i due sono addirittura arrivati alle aule di tribunale, ma Adriana Volpe non ha chiuso definitivamente la porta al collega. La showgirl non esclude che tra loro possa esserci una riappacificazione ma ci devono essere delle scuse, sincere, da parte sua. "Il muro si può sfondare nel momento in cui uno chiede scusa. Quando una persona riesce a dire: 'Io non parlo con le bestie', riferendosi a me, e dice che è ironia, per me non è ironia", ha detto Adriana Volpe, ricordando di quando Magalli disse che non avrebbe chiesto scusa e che la collega si stava facendo pubblicità. La concorrente del Grande Fratello Vip 4 ha detto ad Alfonso Signorini di essere pronta al confronto, un momento che sta aspettando da anni ma che non è ancora arrivato. "Ho ricevuto scuse in diretta, perché lo hanno portato a farlo, da quel momento non mi ha più salutato", ha ammesso con amarezza Adriana Volpe. Alfonso Signorini si è dovuta dissociare dalle parole della concorrente, invitando comunque Giancarlo Magalli. Chiuso il collegamento con lo studio, Adriana Volpe ha continuato a parlare con i suoi compagni di avventura, ricordando le persone che in quel periodo le sono state davvero vicine, sostenendola nei momenti di difficoltà, al contrario del sistema che, invece, ha ribadito essere un muro di gomma.
Adriana Volpe e Giancarlo Magalli: è ancora polemica sui fatti… loro. Le Iene News il 20 gennaio 2020. Sono passati 3 anni dal casus belli che ha portato al divorzio lavorativo tra Adriana Volpe e Giancarlo Magalli. La polemica si riaccende nella casa del Grande Fratello Vip dove la conduttrice è rinchiusa come concorrente. Noi ci siamo fatti i fattacci di Adriana già subito dopo la sfuriata in diretta tv. Non si placa la diatriba tra Adriana Volpe e Giancarlo Magalli. Con l’ingresso nella casa del Grande Fratello Vip è tornata al centro della polemica lo scambio di battute al vetriolo tra i due conduttori. Noi de Le Iene avevamo fatto quattro chiacchiere con Adriana subito dopo la sfuriata tv del 2017, come potete vedere nel servizio qui sopra. Tutto è iniziato appunto 3 anni fa durante una puntata de “I fatti vostri”. “La terza età si è spostata, io ne sono ampiamente fuori. Ormai è oltre i 75”, ha detto Magalli congedando un ospite della trasmissione. A quel punto la Volpe puntualizza: “A luglio fai 70 anni, no?”. Magalli però non la prende bene e da padrone di casa de “I fatti vostri” risponde: “Ma fatti i fatti tuoi, no?”. Il siparietto però prosegue durante tutta la puntata. “Tu ne hai fatti 44 e allora? Sei proprio una rompipalle”. Il battibecco continua anche fuori dal programma e diventa una questione di guerra tra i sessi. “Non basta screditare la professionalità di una persona attraverso i media, si può anche insultare una donna in diretta. Non ho parole”, scrive Adriana su Facebook. Magalli invece di parole ne ha e va all’attacco: “Lei ha cercato di farlo passare come insulto alle donne, ma io ce l’avevo solo con lei e non con le donne che ho sempre rispettato e che forse si sentirebbero più insultate se sapessero come fa a lavorare da 20 anni”. Come fa a lavorare da 20 anni?! Quest’allusione è tornata al centro della polemica proprio nella casa più spiata d’Italia: “Io ho lavorato con lui 7-8 anni. Sono stata l’unica a durare così tanto, ho il record. Le altre più di due anni non duravano, lui le cambiava sempre. Al terzo anno già aveva iniziato: ‘Basta, io con lei non lavoro più. Bisogna cambiare, non ci sono novità’”, ha detto Adriana lasciandosi andare a una confidenza al Grande Fratello Vip. Mary Sarnataro si era fatta i fattacci di Adriana già nelle ore successive alla polemica. Dopo averla inseguita fin dentro a un bar dove ha tentato di rifugiarsi abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei e di certo non le ha mandate a dire a Magalli: “Insinuare che io lavoro da 20 anni non per meritocrazia fa un danno a me e alla mia famiglia. Fa passare un messaggio inaccettabile: io non lavoro perché prendo scorciatoie. Andando avanti con le proprie gambe si dura nel tempo, sennò si dura poco”.
La madre di Antonio Zequila: "La Volpe gli chiese di non parlare del loro passato". La madre di Antonio Zequila lo difende a spada tratta asserendo di aver ascoltato una conversazione tra lui e Adriana Volpe nel 2005. Luana Rosato, Mercoledì 04/03/2020 su Il Giornale. Nella querelle tra Adriana Volpe e Antonio Zequila si inserisce anche la madre dell’attore con cui, com’è noto, lui vive ancora, e che pare essere a conoscenza dei trascorsi sentimentali del figlio. Da settimane, infatti, non si fa altro che discutere sull’ipotetico flirt che ci sarebbe stato tra i due concorrenti del Gf Vip quando la Volpe si stava affacciando nel mondo dello spettacolo. Zequila, che prima aveva fatto intendere di aver vissuto con lei una liaison, aveva poi ritrattato, salvo ricredersi ancora una volta e confermare di aver passato insieme ad Adriana un pomeriggio a casa sua, “e non solo a mangiare biscotti”. Queste ultime dichiarazioni di Antonio hanno scatenato una lite furiosa con la Volpe che, disgustata dall’atteggiamento del coinquilino, ha giurato sulla figlia Gisele che tra loro non c’è mai stato nulla. In difesa di Zequila, però, è intervenuta la madre che, attraverso le pagine del settimanale Chi, ha riportato una conversazione del 2005 tra la conduttrice ex volto della Rai e il figlio. In base a quanto raccontato dalla signora, i due si sarebbero sentiti poco prima che Antonio partisse per L’Isola dei famosi e Adriana pare gli abbia fatto una richiesta abbastanza particolare. “Antonio non è un millantatore come qualcuna sta provando a farlo passare – ha iniziato a spiegare la madre di Zequila - .Antonio avrà tanti difetti, ma non è un bugiardo”. Riguardo la conoscenza con la Volpe, quindi, la signora ha riportato un fatto risalente a ben 15 anni fa. “Onestamente, non so nulla dei trascorsi con Adriana, tuttavia ricordo perfettamente di aver assistito a una telefonata tra di loro – ha svelato lei - . Parliamo del 2005. La Volpe, dall’altro lato della cornetta, gli chiedeva di non parlare né in tv, né sui rotocalchi del loro passato visto che, da lì a poco, Antonio sarebbe partito per l’Isola dei Famosi. Non trova che sia una richiesta un po’ strana per una che non ha condiviso nulla con mio figlio?”. Oltre a parlare dei rapporti tra Zequila e la Volpe, la madre del concorrente del Gf Vip ha anche confermato la conoscenza tra il figlio e Valeria Marini, passata da casa loro trenta anni fa prima di andare a fare una gita sulla Costiera Amalfitana insieme ad Antonio.
Antonio Zequila ritorna sul flirt con la Volpe: "Chiarirò a costo di essere inelegante". Antonio Zequila ritratta ancora una volta e, in confidenza con Antonella Elia, ribadisce di aver avuto un flirt con Adriana Volpe negli anni Novanta. Luana Rosato, Giovedì 27/02/2020 su Il Giornale. Non ci sta Antonio Zequila a passare da bugiardo. E durante un confronto con Antonella Elia, Zequila ha ribadito quanto accaduto con Adriana Volpe: tra loro, dunque, pare non esserci stato solo un caffè. Attaccato dalla conduttrice durante l’ultima diretta in prima serata con il Grande Fratello Vip, Zequila, che aveva lasciato intendere di aver avuto una liaison con la Volpe quando lei era ancora agli esordi della carriera, è stato costretto a ritrattare spiegando a Signorini che tra loro ci fu solo un caffè. La situazione, dunque, sembrava essere chiarita una volta per tutte, ma nelle ultime ore Antonio Zequila ha ritrattato ancora una volta tornando a ribadire che c’è stato dell’altro con l’ex volto della Rai. “Sono rimasto male della situazione, della falsità e delle bugie degli altri, poi chiariremo tutto – ha detto il gieffino ad Antonella Elia - . Chiariremo tutto, a costo di sembrare una persona inelegante”. “Poi basta! Quando una persona dice: Zequila mi fa schifo, non va bene! – ha continuato a sfogarsi lui - . Chi lo ha detto? La Volpe in confessionale”. La Elia, che non ricordava le parole con cui Adriana si era espressa riguardo Antonio, è tornata a parlare della “one night stand” che i due avrebbero trascorso insieme e, a quel punto, Zequila ha ribadito quanto successo. “Non una ‘one night’, ma una ‘one pomerig’”, ha sottolineato lui, mentre la Elia gli faceva presente che, forse, la Volpe non potrebbe più ammettere il flirt che c’è stato tra loro. “Ma eravamo giovani – ha precisato Zequila - . Stiamo parlando di 30 anni fa, ero bello come il sole! Ero un ragazzo normale che viveva le sue esperienze...Io non l’avevo nemmeno detto, è stato Andrea a scoprire questa tomba”. Antonella, però, ha continuato a cercare le motivazioni che avrebbero spinto la Volpe a negare il flirt con Zequila asserendo che, proprio perché lui decanta in modo plateale le sue conquiste, lei non vorrebbe apparire come una “medaglia al valore”. “All’epoca, siccome io ero già Zequila... – ha aggiunto lui, lasciando intendere che Adriana avrebbe approfittato della sua fama - .Il gap tra noi c’era già”. “Si vede che è falsa come i soldi del Monopoli – ha tuonato ancora lui riferendosi alla Volpe - . Anche Andrea Denver, che sta lì come un baccalà...meno male che si è ravveduto un attimo!”.
Gf Vip, Adriana Volpe furente contro Zequila: "Io lo faccio nero". Nervi tesi nella Casa del Grande Fratello, dove Adriana Volpe non sopporta più le insinuazioni su un possibile passato comune con Antonio Zequila. Francesca Galici, Lunedì 24/02/2020 su Il Giornale. La presunta liaison tra Adriana Volpe e Antonio Zequila continua a tenere banco all'interno della Casa. Da un lato c'è l'attore, che continua a sbandierare di aver avuto una breve frequentazione con la Volpe, quando questa era una modella appena 18enne. Dall'altro, Adriana smentisce categoricamente qualunque coinvolgimento sentimentale e ammette solamente una conoscenza in amicizia a quei tempi, confermando che Zequila fosse un bel ragazzo. Questo fatto è stato portato alla luce qualche settimana fa ma ciclicamente torna di attualità nella Casa. Nel weekend è stato proprio Antonio Zequila a parlarne con Andrea Denver, il più grande amico di Adriana Volpe dentro la Casa. È stato inevitabile che il modello ne parlasse con la conduttrice, soprattutto per metterla in guardia da un possibile caso che potrebbe essere trattato durante la diretta di questa sera. Ai due si è aggiunto anche Patrick, grande amico di Adriana e di Andrea ed è a lui che i due hanno raccontato in maniera più dettagliata i fatti avvenuti poche ore prima in giardino durante una discussione con Antonio Zequila. "Gli ho detto: Hai sbagliato a dire una cosa del genere sulle donne perché sei risultato maschilista", ha detto Andrea Denver a Patrick nel raccontare quanto accaduto con Antonio Zequila. L'attore, stando al racconto del modello, si sarebbe alterato e avrebbe risposto con toni molto accesi: "No io non sono maschilista, parlavo in amicizia." La discussione è continuata, con Andrea Denver che avrebbe rimproverato Antonio Zequila, molto più grande di lui, di non avere un comportamento galante con le donne, perché fa paragoni e le considera quasi dei trofei, delle tacche sul muro delle conquiste. A quel punto, il modello veneto racconta a Patrick di aver messo in mezzo alla discussione la vicenda di Adriana, la presunta liaison che l'attore vanta da ormai diverse settimane. Antonio Zequila si sarebbe ulteriormente scaldato e avrebbe urlato contro Andrea Denver: "Vuoi sapere la verità? Io non ho nulla da nascondere, sono stato con Adriana. Ho avuto una relazione con Adriana." Inevitabile la reazione della conduttrice, che arriva a giurare su sua figlia per far valere le sue ragioni: "Chi cacchio l'ha mai frequentato. Visto una sera e basta. Io lo capotto, lo faccio nero." Il commento di Patrick non lascia spazio a dubbi: "Questa è pesante, lui è un mitomane." Adriana Volpe è inevitabilmente arrabbiata con Zequila: "Finché si gioca, si gioca e uno sta al gioco. Dopo di che no." I rapporti tra i due sembrano ormai ai minimi termini, ci saranno sviluppi in settimana?
Antonio Zequila si scusa con Adriana Volpe: “Vieni qua e baciamoci”. Antonio Zequila fa un passo indietro e si scusa con Adriana Volpe per i toni usati durante la lite e per il contenuto delle sue frasi. Luana Rosato, Giovedì 05/03/2020. Nella casa del Grande Fratello Vip è tempo di pace ed armistizi: Antonio Zequila, dopo loscontro furioso con Adriana Volpe, ha deciso di deporre le armi e chiedere scusa alla conduttrice. La lite che aveva acceso gli animi dei due concorrenti del reality show è nata in seguito all’ennesima rivelazione di Zequila in merito ad una presunta liaison avuta con la Volpe più di venti anni fa. Il retroscena, venuto a galla nel corso delle ultime settimane, ha creato delle acredini tra la conduttrice e l’attore: se lei, infatti, ha sempre negato qualunque rapporto con Antonio, lui ha sostenuto di averla conosciuta “talamicamente” e di aver trascorso con lei un intero pomeriggio, “e non solo a mangiare biscotti”. Queste ultime dichiarazioni di Zequila hanno fatto infuriare la Volpe che, dopo averlo definito una “persona schifosa”, ha deciso di interrompere con lui qualunque tipo di rapporto nella Casa. Nelle ultime ore, però, Antonio ha fatto marcia indietro e, richiamando l’attenzione di tutti i coinquilini, ha chiesto scusa ad Adriana. “Ragazzi scusate ma posso dire una cosa importante? – ha esordito lui davanti a tutti - . Siccome io l’altra volta ho alzato la voce con Adriana, anche se ora non ci parliamo più, volevo chiederle scusa davanti a tutti”. La conduttrice, ex volto della Rai, ancora turbata da quanto successo in diretta, ci ha tenuto a comprendere se le scuse di Zequila fossero per i toni usati durante la discussione o anche per i contenuti delle sue frasi. “Ma ti scusi solo per la voce o anche per i contenuti?”, gli ha chiesto Adriana. E Antonio non ha esitato a farle sapere di aver scelto di fare un passo indietro su tutto. “Per tutto, vieni qua e baciamoci adesso, mi dispiace”, ha replicato lui riuscendo a strappare un abbraccio alla Volpe. Affinchè tutto si chiarisca in maniera definitiva, però, la donna ha chiesto a Zequila di recarsi in confessionale e fare una rettifica pubblica su quanto raccontato e lasciato intendere nel corso delle ultime settimane su un loro ipotetico flirt.
Grande Fratello Vip, Adriana Volpe contro la Rai per la «clausola gravidanza». Pubblicato giovedì, 16 gennaio 2020 su Corriere.it da Arianna Ascione. Mentre il Ministero del Lavoro annuncia una possibile riforma del congedo familiare in occasione della nascita di un figlio, nella puntata di mercoledì sera del Grande Fratello Vip è andato in scena un dibattito sulla maternità. Non stupisce che il tasso di natalità del nostro Paese sia al minimo storico dall'Unità d'Italia: troppo spesso conciliare la vita professionale e la famiglia per le donne si rivela un'impresa e anche chi lavora nel mondo dello spettacolo non è esente da problematiche. Come rivelato da Adriana Volpe infatti fino al 2011 nei contratti da lei firmati in Rai era presente una (vergognosa) clausola legata alla gravidanza, poi rimossa. «Molte volte anche sul lavoro non ti aiutano a diventare madre - ha spiegato l'ex volto di Mezzogiorno in Famiglia - mia figlia è nata nel 2011 (solo nel 2012 le cose sono cambiate) e io fino a quel momento ho sempre firmato un contratto in cui c'era scritto "in caso di gravidanza l'artista deve dare immediata comunicazione all'azienda e l'azienda può recidere il contratto, nulla sarà dato e nulla sarà dovuto"». La conduttrice ha tentato più volte di far rimuovere la clausola, senza successo: «Ho capito che quando ti trovi davanti ad un muro di gomma l'unico modo per far cambiare le cose è far parlare i giornali». La vicenda venne alla luce nel febbraio 2012 grazie ad una lettera aperta inviata all'allora direttore generale della Rai Lorenza Lei da un gruppo di giornalisti precari (che facevano parte del coordinamento Errori di Stampa), in cui si chiedeva la rimozione della «penosa "clausola gravidanza", contenuta al punto 10 del contratto di consulenza» che veniva sottoposto ai consulenti esterni. Nell'articolo la gravidanza veniva equiparata a «malattia, infortunio, causa di forza maggiore o altre cause di impedimento insorte durante l'esecuzione del contratto». Allo scoppio del caso da viale Mazzini arrivò subito una secca smentita: «Onde evitare inutili strumentalizzazioni ad ulteriore testimonianza che la clausola in contestazione non ha il rilievo che le viene attribuito la direzione Generale non ha alcuna difficoltà a toglierla dai contratti per una diversa formulazione che non urti suscettibilità fatta salva la normativa vigente che non è nella disponibilità della Rai poter cambiare». La Rai inoltre segnalò inoltre che «nessun contratto è stato mai risolto (parlare di licenziamento è del tutto improprio) a causa di una gravidanza. Al contrario, la Rai ha sempre favorito le collaboratrici in gravidanza, ben al di là dei meri obblighi di legge, in particolare, evitando di risolvere i contratti e, così, penalizzarle economicamente, determinando le condizioni affinché esse potessero rendere la loro prestazione in modo compatibile con la loro condizione e, in ogni caso, il contratto in corso potesse essere fino in fondo onorato».
Gf Vip, Adriana Volpe: "In Rai fino al 2011 si poteva recidere il contratto alle donne incinte". Tema della maternità affrontato nella casa del Gf Vip con Antonella Elia e Adriana Volpe, due donne forti e di successo con un percorso simile fino a un certo punto, che hanno raccontato la loro esperienza. Francesca Galici, Mercoledì 15/01/2020, su Il Giornale. Il tema della maternità è entrato forte nella casa del Gf Vip, grazie alle esperienze di vita di Antonella Elia e di Adriana Volpe, due famosissime donne di spettacolo che nella loro carriera non hanno avuto modo di incontrarsi ma che condividono in parte il percorso di vita. Adriana Volpe è diventata madre da poco, Antonella Elia non ne ha avuto la possibilità. La showgirl torinese ha dovuto fare i conti con un desiderio tardivo di maternità e ora, a 56 anni, per lei è tardi per pensare di poter mettere al mondo un bambino. Il pensiero della maternità è maturato troppo tardi per Antonella Elia, sia perché lei non si sentiva adeguata a ricoprire quel ruolo, sia perché non ha trovato l'uomo giusto che le abbia innescato l'idea di diventare madre. "Ero acerba, non mi passava nemmeno per la testa i poter essere madre", ha detto la Elia, commuovendo lo studio e lo stesso Alfonso Signorini. Subito dopo, il conduttore ha voluto dare la possibilità anche ad Adriana Volpe di intervenire, vista la sua esperienza. L'ex conduttrice Rai è diventata madre nel 2011 all'età di 47 anni, non certo in giovane età. Anche lei, come Antonella Elia, è arrivata ad avere il desiderio di maternità in tarda età ma ha avuto la fortuna di avere al suo fianco l'uomo giusto, quello che le ha insinuato il desiderio di maternità. Tuttavia, Adriana Volpe ha voluto puntualizzare anche un altro aspetto del suo percorso legato al precedente lavoro svolto in Rai. Per tantissimi anni, infatti, Adriana Volpe è stata una delle conduttrici di punta di Rai2, padrona di casa di molti programmi del day time della seconda rete del servizio pubblico. La sua uscita dalla Rai non è stata semplice, Adriana Volpe se ne è andata sbattendo la porta dopo aver avuto incomprensioni e discussioni, talvolta molto accese e sfociate nelle aule giudiziarie. La conduttrice trentina ha spesso combattuto le sue battaglie di libertà e di affermazione del ruolo in azienda e dentro la Casa non ha esitato a togliersi qualche sassolino nella scarpa, proprio in relazione al discorso della maternità. Sono parole dure quelle di Adriana Volpe, che fanno emergere una situazione triste all'interno dell'azienda pubblica: “Mia figlia è nata nel 2012. Fino al 2011, io firmavo sempre un contratto dove c'era scritto: In caso di gravidanza l'artista deve dare immediata comunicazione all'azienda e l'azienda può recidere il contratto. Nulla sarà dato e nulla sarà dovuto.” Ogni anno, la conduttrice ha provato a scardinare questa clausola inserita nei contratti delle dipendenti di sesso femminile. Ha combattuto affinché le donne che restavano incinte non perdessero il loro lavoro e non venissero destituite dal loro ruolo. Adriana Volpe ha vinto la sua battaglia, adesso in Rai dal 2012 non esiste più quella clausola ma sono serviti anni di interviste e di interventi sulla stampa affinché questo avvenisse.
La confessione di Adriana Volpe "Ho avuto un aborto spontaneo". In una confidenza dolorosa fatta nella Casa del Grande fratello vip, Adriana Volpe ha rivelato di aver subìto un aborto spontaneo in passato. Serena Granato, Giovedì 27/02/2020 su Il Giornale. Nel daytime settimanale precedente alla tredicesima puntata del Grande fratello vip (trasmessa il 21 febbraio, ndr), Adriana Volpe era stata chiamata - dalla produzione del reality condotto da Alfonso Signorini - a posare per una prova-calendario insieme ad Andrea Denver. Per la quale era stata richiesta ad entrambi i gieffini la realizzazione di una foto, che rappresentasse il mese di giugno. Le immagini bollenti della prova in questione hanno divertito molto i telespettatori e sono diventate virali nel web, in poco tempo. Ma, non tutti sanno che Adriana ha alle spalle un passato fatto di up & down, segnato in particolare dalla perdita di un figlio. La gieffina trentina ha, cioè, subito in passato un aborto spontaneo. Un momento particolarmente doloroso nella sua vita, che la stessa ha saputo affrontare con tenacia e ha voluto condividere con il pubblico dello spin-off del Gf dedicato alle celebrità. “A settembre 2010 finalmente la bella notizia. Eravamo felicissimi. -ha fatto sapere della sua prima gravidanza risalente a dieci anni fa-. Arrivata la decima settimana, ho chiesto a Roberto (la Volpe allude al marito Roberto Parli, ndr) di accompagnarmi a fare la visita ginecologica per fargli sentire quello che io avevo sentito: il battito cardiaco". E ha proseguito: "Non vedevo l'ora. Continuavo a dirgli: "esso Roby lo senti e sarà bellissimo. Adesso lo senti, adesso lo senti', ma non si sentiva mai. C'era questo silenzio assordante. Così, abbiamo appreso che quel cuoricino aveva smesso di battere. Che notte, non ci volevo credere. Il baratro. Ti senti svuotata e pensi perché?!?": L'anno in cui ha affrontato il dolore provato per la perdita della sua prima gravidanza è stato molto duro, ma nei mesi successivi all'accaduto lei non ha mai perso la speranza di poter riuscire a raggiungere la maternità: “La fortuna ha voluto che a dicembre del 2010 un altro cuore ha cominciato a battere ed era più forte. Così è nata Gisele”. Un evento che ha cambiato radicalmente la sua vita e che non potrà mai dimenticare. “Auguro a tutti di provare questa gioia -si è, quindi, auspicata per i telespettatori, la gieffina-. In quel momento si capisce cos’è l’amore assoluto”.
Adriana Volpe divide il web. Nella casa del Grande fratello vip, giunto quest'anno alla sua quarta edizione consecutiva, la Volpe si è mostrata spesso e volentieri molto complice con il coinquilino Andrea Denver, il quale di recente ha ammesso in tv di sentirsi fisicamente attratto dall'ex volto Rai. La condotta ad oggi assunta da Adriana nella Casa sembra piacere molto al web, anche se sui social-network il marito della gieffina, Roberto Parli, ha approvato pubblicamente una critica lanciatale da un utente critico. "Ha baciato Pago, un giorno dopo essere entrata nella Casa - si legge nel messaggio al vetriolo, destinato all'ex volto Rai-. Tanto che il marito le ha fatto arrivare una lettera scritta dalla figlia. Dove chiede al Gf di non farle baciare nessun uomo. Poi bacia Denver e fa la gallina imbarazzata. Però non gli si stacca di dosso. Signorini lo fa passare per un gioco. E il marito e la figlia a casa che guardano! Lo schifo... Non vedo l'ora che esca dal Gf vip e finisca nel dimenticatoio!". E sotto il commento al veleno in questione, è giunta la pronta risposta del marito della gieffina silurata, Parli. Il quale ha espresso il suo consenso rispetto a quanto riportato dall'utente critico, rilasciando il seguente messaggio: "Hai ragione".
Adriana Volpe, il marito la mette in guardia: "Vedere certe immagini non è piacevole". Roberto Parli, marito di Adriana Volpe, ammette di aver provato un certo fastidio nel vedere la moglie in atteggiamenti ambigui con alcuni concorrenti del Gf Vip. Luana Rosato, Mercoledì 26/02/2020 su Il Giornale. L'entrata nella casa del Grande Fratello Vip ha permesso ad Adriana Volpe di farsi conoscere anche nel suo aspetto più ironico, ma alcuni atteggiamenti sono stati interpretati male dal marito Roberto Parli. Sposata e madre di una bambina, Gisele, la Volpe sta cercando il suo riscatto con il reality show dopo l’esclusione dalla Rai. Eppure, nonostante abbia sempre ammesso di aver giocato e di essersi divertita con i compagni della Casa, qualche atteggiamento non è andato giù al marito. Intervistato dal settimanale Chi, Parli ha ammesso di essere rimasto disturbato da alcuni comportamenti della moglie che hanno dato adito al gossip. Prima il bacio scherzoso con Pago, poi il flirt con Andrea Denver e, infine, la presunta liaison – poi smentita categoricamente da Adriana – con Antonio Zequila, hanno fatto un po’ storcere il muso a Roberto che, ad Alfonso Signorin, ha affidato il suo sfogo. “Il gossip (mi ha dato fastidio, ndr). Lei sa come funziona ed era stata la prima a dirmi che avrebbe evitato comportamenti ambigui e a raccomandarsi con me – ha detto Parli - ,invece ogni settimana parlano di un nuovo flirt e non è carino, anche perché c’è di mezzo una bambina piccola e basta un solo compagno di classe che le dice ‘tua mamma ha baciato un altro’ a farla star male”. Smentendo l’ipotesi di una eccessiva gelosia, il marito di Adriana Volpe ha spiegato che, da uomo innamorato, non riesce a digerire facilmente certe immagini e situazioni. “Non sono geloso, sono 14 anni che viviamo distanti e non ci chiediamo neanche con chi usciamo a cena – ha precisato lui - .Ma sono un marito innamorato e vedere certe immagini non è piacevole. Non sono arrabbiato con lei, ma il mio sentimento va rispettato”. Le immagini cui si riferisce sono, probabilmente, quelle in cui Adriana Volpe appare molto vicina ad Andrea Denver che, in diretta su Canale 5, non ha esitato ad ammettere di provare una certa attrazione nei confronti della donna. Del modello, però, Roberto Parli sembra non curarsi particolarmente. “[...]Adriana è grande abbastanza, è lei che deve ricordarsi di avere un marito e una figlia – ha tuonato l’uomo - . Forse dentro la percezione di ciò che vediamo fuori è diversa, ma è per questo che le ho scritto, per proteggere lei e la nostra famiglia dai giudizi altrui”. In questi giorni, tuttavia, per allontanarsi dal gossip e schiarirsi un po’ le idee, il marito di Adriana Volpe ha scelto di andare in montagna con la figlia Gisele, evitando di osservare tutti i movimenti della moglie nella Casa. “[...]Qui in Svizzera non riesco a vedere il live dalla Casa e non sto sveglio fino alle 4 di mattina. E anche Gisele si distrae e pensa meno alla mamma”, ha ammesso.
Il marito di Adriana Volpe: "Il commento contro di lei? Un disguido". Roberto Parli, marito di Adriana Volpe, spiega i motivi del suo apprezzamento ad un commento contro la moglie: "Si è trattato di un disguido". Luana Rosato, Martedì 25/02/2020 su Il Giornale. Qualche giorno fa, il marito di Adriana Volpe si è trovato coinvolto in una polemica nata sul web in seguito ad un commento lasciato ad un post contro la conduttrice. Il marito della concorrente del Grande Fratello Vip, infatti, replicava con un semplice “hai ragione” ad un hater che accusava la Volpe di aver baciato “Pago, un giorno dopo essere entrata nella Casa” e poi di essersi avvicinata a “Denver facendo la gallina imbarazzata” nonostante a casa ci fossero un marito e una figlia. Il commento di approvazione di Roberto Parli, quindi, ha fatto il giro del web facendo pensare che l’uomo fosse davvero arrabbiato con la compagna a causa di questi comportamenti ambigui. A distanza di qualche giorno dalla polemica, però, il marito di Adriana Volpe ha deciso di fare una comunicazione proprio attraverso Instagram. “Desidero chiarire a tutti che il commento ‘incriminato’ è frutto di un mero disguido: era stato postato sotto un commento molto positivo sulla mia Adriana ed è erroneamente finito sotto una critica, peraltro sterile ed immediatamente cancellato – ha scritto lui allegando uno scatto che lo ritrae insieme alla moglie - .Voglio chiarire definitivamente che amo e sostengo mia moglie SEMPRE!”. Il web, quindi, si è schierato dalla parte di Roberto e Adriana. I sostenitori della Volpe, infatti, hanno sottolineato come il comportamento della conduttrice all’interno della Casa sia esemplare e degno di una donna forte, energica, rispettosa delle regole, che non teme mai il confronto. “Adriana è l'unica persona che resta coerente con le sue idee, non ritratta mai, dice quello che pensa senza fare sconti ma allo stesso tempo con eleganza. Adriana è fantastica!”, ha commentato un utente della rete, “Roberto tua moglie è molto in gamba, colta e rispettosa “, si legge su Instagram , “Complimenti a te, che hai saputo scegliere una donna meravigliosa per moglie. Non conoscevo Adriana. E devo dire che e una scoperta meravigliosa”, hanno continuato a scrivere altri sostenitori.
Gf Vip, il marito di Adriana Volpe non è felice: "Le avevo chiesto di lasciarmi fuori dal gossip". Al marito di Adriana Volpe non piace l'avvicinamento della moglie ad Andrea Denver e dopo l'intervista al Chi esprime il suo dissenso anche sui social. Francesca Galici, Domenica 01/03/2020 su Il Giornale. La vita all'interno della casa del Grande Fratello prosegue regolarmente. Complici i nuovi ingressi, gli animi si sono rinvigoriti e le dinamiche interne sono notevolmente cambiate. Ormai, i concorrenti entrati a gennaio hanno condiviso la Casa per quasi 2 mesi e si sono strette forti amicizie tra alcuni di loro, come Adriana Volpe e Andrea Denver. Tra i due c'è fortissima intesa, tanto che molti vedono nella loro amicizia anche qualcosa di più. Sguardi complici, giochi e tenerezze, confessioni e attenzioni sono all'ordine del giorno tra Adriana Volpe e Andrea Denver, che non riescono a stare troppo tempo distanti. Sui social sono tanti i telespettatori che, incuranti delle reciproche situazioni sentimentali, sperano che tra i due possa succedere qualcosa. Una fattispecie che al momento sembra molto lontana, visto che Adriana Volpe a casa ha un marito e una figlia che la aspettano e che Andrea Denver è felicemente fidanzato con una bellissima ragazza americana. Se i concorrenti non fossero felicemente accoppiati all'esterno della Casa, il loro comportamento potrebbe facilmente essere scambiato per un tentativo di corteggiamento da parte di entrambi, per un flirt pronto a sbocciare. Eppure, sia Adriana Volpe che Andrea Denver pare siano molto attenti ai loro comportamenti e non si lasciano mai andare del tutto, non valicano mai il labile confine della mancanza di rispetto verso coloro che li aspettano fuori dalla porta rossa. Eppure, al marito di Adriana Volpe il comportamento della moglie sembra non piacere particolarmente. Solo pochi giorni fa ha rilasciato un'intervista al settimanale Chi, nella quale ha espresso tutto il suo disappunto. "Non sono arrabbiato con lei ma il mio sentimento va rispettato", ha dichiarato Roberto Parli in relazione agli atteggiamenti tenuti da sua moglie all'interno della Casa. A pochi giorni di distanza dall'intervista pubblicata sul settimanale di Alfonso Signorini, l'uomo ha espresso il suo dissenso anche su Instagram, dove ultimamente è molto attivo. In questi giorni, Roberto Parli si trova in montagna insieme alla piccola Giselle, la figlia avuta con Adriana Volpe, forse un modo per staccare la spina e concedersi un po' di distrazione con la bambina. Tuttavia, dalla cornice di Sainkt Moritz, l'uomo ha voluto dire la sua e ha ribadito il suo fastidio per quanto sta accadendo nella casa. "Avete letto l'intervista su Chi. Avevo chiesto ad Adry di lasciarmi fuori dal gossip, visto che non è andata proprio così, da oggi posterò un gossip di Adry tutti i giorni per sdrammatizzare. Chi vuole capire bene, altrimenti è uguale", ha scritto Roberto Parli in un commento sotto un suo post. Alfonso Signorini farà sapere ad Adriana Volpe del malcontento del marito oppure il Grande Fratello lascerà che Adriana Volpe e Andrea Denver seguano il corso delle loro emozioni?
Adriana Volpe e il marito ai ferri corti? Lui: "Non la seguo più". Il marito di Adriana Volpe sembra non essere troppo felice e orgoglioso del comportamento della moglie all'interno della Casa. Luana Rosato, Lunedì 02/03/2020 su Il Giornale. Cosa sta accadendo tra Adriana Volpe e il marito Roberto Parli? Pare che lui si sia risentito di alcuni atteggiamenti della conduttrice nella casa del Grande Fratello Vip e abbia deciso di non seguirla più. Parli aveva già manifestato la sua insofferenza nei confronti di alcuni comportamenti di Adriana e, in una intervista per il settimanale Chi, aveva spiegato di aver chiesto alla moglie, prima di iniziare il reality show, di “lasciarlo fuori dal gossip” durante la sua esperienza nella Casa di Cinecittà. “Lei sa come funziona (il gossip, ndr) ed era stata la prima a dirmi che avrebbe evitato comportamenti ambigui e a raccomandarsi con me – aveva detto lui ad Alfonso Signorini - ,invece ogni settimana parlano di un nuovo flirt e non è carino, anche perché c’è di mezzo una bambina piccola e basta un solo compagno di classe che le dice ‘tua mamma ha baciato un altro’ a farla star male”. Proprio per questo motivo, quindi, Roberto ha scelto di portare la figlia Giselle in montagna e restare un po’ lontano da casa e dalla tv, evitando di seguire 24 ore su 24 la moglie al Gf Vip. Nelle ultime ore, però, la situazione tra Parli e la Volpe potrebbe essere cambiata in maniera radicale. Come segnalato su Instagram da Deianira Marzano, una sua follower ha avuto modo di scambiare una battuta con il marito della ex conduttrice di Rai 2 che, davanti all’ennesima persona che gli fa presente che “la moglie sta dietro agli uomini” fingendosi “una santa”, ha avuto una reazione del tutto inaspettata. “Non seguo più”, ha replicato lui all’utente che l’ha contattato via Instagram, lasciando intendere che i rapporti siano molto tesi. Ciò che sta facendo maggiormente mormorare il web è la presunta attrazione tra Andrea Denver e Adriana Volpe. Il modello, già durante una diretta con Alfonso Signorini, aveva confermato di subire il fascino della donna e, durante uno shooting fotografico cui si sono prestati su richiesta del programma, il popolo della rete ha iniziato a chiacchierare sempre più ad alta voce sostenendo che la chimica tra la conduttrice e il giovane Denver fosse davvero palpabile.
Da casa, Roberto Parli ha dovuto digerire i pettegolezzi del web e, forse stanco dei continui gossip, ha scelto di allontanarsi per un po’ e disintossicarsi dal Gf Vip. L’allungamento del programma fino al 27 aprile prossimo, però, potrebbe non giovare alla coppia e, dopo le numerose manifestazioni di insofferenza, Adriana Volpe potrebbe essere messa a confronto con il marito e giustificare, una volta per tutte, ciò che sta accadendo nella Casa più spiata d’Italia.
Adriana Volpe furiosa con il Gf Vip: "Sono arrabbiata da matti". Adriana Volpe si ribella al Grande Fratello Vip e si toglie il microfono, rifiutandosi di indossarlo dopo essere stata richiamata all'ordine. Luana Rosato, Martedì 03/03/2020 su Il Giornale. La puntata di ieri, 2 marzo, del Gf Vip ha fatto davvero arrabbiare Adriana Volpe che, richiamata dagli autori, si è rifiutata di indossare il microfono come richiesto in segno di protesta. La conduttrice è stata costretta prima a confrontarsi aspramente con Antonio Zequila, e poi a leggere la lettera che il marito Roberto Parli le ha inviato chiedendole di rivedere alcuni atteggiamenti al fine di evitare pettegolezzi inutili sul suo conto. L’ennesimo scontro con Zequila, però, pare abbia fatto davvero infuriare la Volpe. Tacciata da Antonio di aver mentito sul loro passato flirt, Adriana si è vista costretta, ancora una volta, a smentire arrivando addirittura a giurare su sua figlia che quanto raccontato da lui non corrisponde in alcun modo a verità. La reazione dell’attore è stata del tutto inaspettata: essere accusato di raccontare bugie lo ha fatto inalberare a tal punto che Alfonso Signorini si è visto costretto ad intervenire per invitare lui e la Volpe a moderare i toni. Ma le brutte sorprese per la ex conduttrice di Rai 2 non sono finite e, dopo la lite furiosa con il coinquilino, Adriana ha dovuto fare i conti con i rimproveri del marito. Roberto Parli, che aveva già ammesso di essere stato infastidito da alcuni comportamenti della moglie, l’ha invitata a moderarsi all’interno della Casa affinchè non si vengano a creare gossip inutili e sterili. Richiamata all’ordine, quindi, la Volpe si è giustificata asserendo di cercare dei complici nella Casa che possano colmare le carenze affettive dovute alla lontananza dalla famiglia, ma non ha nascosto il dispiacere per quanto detto dal marito. Così, a conclusione di una puntata che l’ha particolarmente scossa, Adriana non ha nascosto di essere arrabbiata con il Gf Vip per aver dato adito, ancora una volta, ai pettegolezzi su un presunto ed inesistente flirt con Zequila. Come riportato da un video iniziato a circolare in rete, la ex conduttrice di Rai 2 ha manifestato tutto il suo disappunto contravvenendo alle regole del gioco e togliendosi il microfono. Invitata dagli autori ad indossarlo, si è rifiutata. Antonella Elia, quindi, che è stata spettatrice della scena, ha chiesto alla coinquilina i motivi di quell’atteggiamento astioso. “Sei arrabbiata?”, le ha domandato la showgirl e Adriana si è sfogata: “Sono arrabbiata da matti con loro!”.
Il marito di Adriana Volpe lascia i social dopo le voci maligne su Denver: "Ogni occasione per fare sterile polemica". Roberto Parli, marito di Adriana Volpe, ha annunciato su Instagram di aver sospeso la sua attività sui social network e che boicotterà i commenti invadenti e polemici dopo il gossip circolato sulla moglie e Andrea Denver nella Casa del Gf Vip. Anita Adriani, Martedì 03/03/2020 su Il Giornale. Dopo settimane di attacchi e polemiche, la pazienza di Roberto Parli, marito di Adriana Volpe, si è esaurita. Il compagno della bionda conduttrice sta assistendo a distanza le avventure e le peripezie che si consumano nella Casa del Gf Vip, tenendo l'occhio puntato sulla avvenente moglie. Dopo molto vociferare sui social ecco che Parli, esasperato, ha preso la sua decisione categorica: accantonare provvisoriamente, il tempo utile che il gossip esploso sul rapporto tra la Volpe e Denver evapori, la sua interazione sui social network. Questa è la risposta del marito della soubrette alle critiche svilenti e ingiuriose che si insinuano nella sua sfera privata, e su Instagram ha annunciato di "bloccare" ogni sorta di commento che prenda di mira il suo matrimonio. Roberto Parli ha spiegato in un post le motivazioni alla base della sua decisione di rinunciare a pubblicare le sue sensazioni e impressioni sulle vicissitudini vissute dalla bella moglie nella Casa del Grande Fratello Vip. E di conseguenza non darà più spazio alle interazioni e alle chat con i follower e impedirà i commenti denigratori altrui. La esperienza nel reality di Adriana Volpe è stata scoppiettante: sempre al centro dell'attenzione e delle vicende più piccanti, la showgirl si è distinta per capacità da leader intessendo rapporti più o meno intensi con tutti i coinquilini della Casa. Ma il gioco presenta anche delle incognite e prove ardue che rendono vulnerabili i concorrenti, inducendoli a cadere in tentazione. Il gossip ha impazzato sul rapporto creatosi tra Adriana Volpe e il modello Andrea Denver, ipotizzando un qualche flirt in corso o intesa troppo ravvicinata tra i due. Ma in realtà i due compagni di avventura hanno solamente instaurato un innocente rapporto di amicizia. Ma si sa il gossip si alimenta di sospetti piccanti e voci maligne, e la Casa del Gf Vip aperta a tutti gli sguardi indiscreti lascia adito a chiacchiere. Le critiche hanno investito Denver e la Volpe focalizzandosi sul feeling intenso nato tra loro. Di riflesso è stato preso d'assalto il marito della ex conduttrice de "I Fatti Vostri", supponendo che Parli fosse colto da una gelosia furente e che il rapporto coniugale si stesse incrinando. Ma le parole di Roberto Parli hanno smentito tale ipotesi bislacca.
La reazione del marito della Volpe per "spegnere" le voci maligne sui social. Subissato da un'ondata incessante di gossip, Roberto Parli ha deciso di eclissarsi dalle piattaforme social, sospendendo momentaneamente la sua attività di utente. Il marito della Volpe ha annunciato su Instagram di voler boicottare i commenti ai suoi post, al fine di salvaguardare la sua privacy e la sua relazione di coppia, evitando di rispondere a domande inopportune e invadenti. La decisione ferma di Parli è scaturita dal fatto, come da lui stesso affermato, che le sue dichiarazioni ironiche sulle vicende della moglie gieffina sono state sovente equivocate e strumentalizzate per meri scopi polemici. Roberto Parli aveva espresso la sua opinione riguardo il comportamento tenuto nella Casa del Gf Vip dalla moglie Adriana in una intervista concessa alla rivista Chi, ammettendo di non approvare certe situazioni in cui la Volpe si è venuta a trovare nel reality. Il riferimento implicito rimandava al bacio scherzoso con Pago e all'intesa particolare con il modello americano Andrea Denver. "Ho notato che l’ironia sul web non viene ben compresa e che ogni occasione è buona per fare sterile polemica ", è il pensiero esternato da Parli nel suo post condiviso su Instagram. "Quindi per ora non pubblicherò nulla a riguardo e toglierò i commenti . In tutto questo… forza Adry! #iotifoadry #persempre #adrianavolpe", ha inveito il marito della soubrette. L'amore incondizionato che Roberto Parli nutre per Adriana Volpe si palesa in queste sue parole. La coppia è legata sentimentalmente da ben 12 anni e hanno concepito una figlia, Giselle. La conduttrice proprio negli ultimi giorni ha aperto il suo cuore nella Casa rivelando una vicenda privata dolorosa che l'ha afflitta qualche anno fa. Ha confessato di aver subito nel 2010 un aborto spontaneo di un bimbo che aspettava prima dell'arrivo della piccola Giselle.
Il racconto doloroso di Adriana Volpe nella Casa del Gf Vip. Adriana Volpe, in uno sfogo intimo avuto nella Casa alla presenza di alcuni coinquilini più vicini, ha raccontato con forte emozione l'esperienza sofferta vissuta da lei e il marito che ha messo a dura prova il suo matrimonio e la sua vita. Prima di concepire Giselle la conduttrice Rai era rimasta incinta, ma il figlio che tanto sognava di avere non è mai nato. La perdita del figlio ha sconvolto profondamente la Volpe, episodio che ha inficiato la sua serenità interiore. "A settembre 2010 finalmente la bella notizia. Eravamo felicissimi. Arrivata la decima settimana, ho chiesto a Roberto di accompagnarmi a fare la visita ginecologica per fargli sentire quello che io avevo sentito: il battito cardiaco", ha esternato commossa al cospetto dei suoi compagni di viaggio la showgirl. Ma la sorpresa per il marito Parli è stata disattesa e delusa dinanzi all'esito drammatico dell'ecografia: "Non vedevo l'ora. Continuavo a dirgli: ‘Adesso Roby lo senti e sarà bellissimo'. Adesso lo senti, adesso lo senti, ma non si sentiva mai. C'era questo silenzio assordante. Così, abbiamo appreso che quel cuoricino aveva smesso di battere. Che notte, non ci volevo credere. Il baratro. Ti senti svuotata e pensi perché? A dicembre 2010, un altro cuoricino ha iniziato a battere. Ma questo cuoricino era più forte, ed è nata Giselle. Io auguro a tutti di provare questa gioia, perché lì capisci che cos'è l'amore assoluto".
· Adriano Celentano.
Federica Di Marco per yeslife.it il 29 agosto 2020. Se c’è una cosa che non smetterà mai di incuriosire il pubblico è scoprire quanto guadagnano le celebrità e a quanto ammonta il loro patrimonio. Esistono delle vere e proprie classifiche stilate annualmente da Forbes che lo dimostrano. In Italia se ne parla meno, ma questo non significa che la curiosità non ci sia. Per quanto riguarda gli artisti musicali, ad esempio, raramente ci si chiede chi sia il più pagato o il più ricco. Questo non significa che la risposta non si sappia. Scopriamo chi è il cantante italiano più benestante. Ha alle spalle più di 60 anni di carriera, è stato uno dei protagonisti indiscussi della scena musicale italiana e ha solcato anche i territori del cinema e dello spettacolo. Con un patrimonio di 50 milioni di euro l’artista più ricco d’Italia è Adriano Celentano. Il Molleggiato ha pubblicato più di quaranta album vendendo circa 200 milioni di copie e donando al pubblico perle musicali come “Azzurro“, “L’emozione non ha voce“, “Il ragazzo della via Gluck” e “24mila baci“. È apparso in altrettante pellicole cinematografiche e ha partecipato a numerosi programmi televisivi. Lo scorso anno è tornato in tv con il cartone “Adrian“, scritto e diretto proprio dal cantante, che tuttavia non ha ricevuto il riscontro sperato. Nonostante siano stati spesi una decina di milioni di euro per realizzarlo. È quindi lui il cantante italiano più benestante. Spesso sono proprio gli artisti che si dedicano a diversi progetti, non solo musicali, ad avere un maggior guadagno. E Adriano Celentano ne è la prova. Se poi il tuo nome rientra tra coloro che hanno fatto la storia della musica nazionale, un patrimonio del genere non dovrebbe stupire poi così tanto.
Gino Castaldo per “la Repubblica” il 16 agosto 2020. Non c' è cosa che Adriano non abbia fatto, anche solo utilizzando il più semplice e meraviglioso degli strumenti: la canzone. Nessuno è riuscito neanche lontanamente ad avvicinarsi all' irriverente disinvoltura con la quale ha inciso nel corso del tempo rock' n'roll, canzoni d' amore struggenti, scenette comiche, pezzi di denuncia, rap ante-litteram, ballate strapaesane, comizi, preghiere, esperimenti estremi, l' unico che una volta, tantissimi anni fa, di un suo disco disse: "Non compratelo è venuto male". L' unico, inconfrontabile Adriano Celentano, re degli ignoranti per autoproclamazione, cantante leggendario, occasionalmente profeta. La prima intervista ritrovata risale al 1997, poco prima del megaraduno musicale che fu organizzato nei pressi di Bologna per Papa Giovanni Paolo II. Prima di allora Celentano non era stato tenero nei confronti delle istituzioni cattoliche.
Allora, questa volta ha fatto il bravo ragazzo?
«Ah sì, più bravo di così cosa devo fare? Ho soppresso ogni punta di orgoglio. Però devo dire che dal momento in cui ho deciso di fare retromarcia, mi sono sentito liberato».
Ma davvero è successo mentre ascoltava la messa?
«Sì, nel duomo di Lecco. Il parroco non sapeva neanche che ero lì, ma ha letto quel passo del Vangelo in cui Gesù dice: se volete seguirmi dovete rinnegare voi stessi. Mi è bastato.
Anche perché sentivo che avevo ragione con gli uomini ma c' era un riguardo per l' Altissimo. Insomma, meglio una figuraccia con gli uomini che non sentirsi a posto con Lui».
La Chiesa ha capito che la musica rock non è da trascurare. Come tutte le cose ha i suoi lati negativi, esisterà anche il rock satanico, ma ha anche i suoi lati buoni.
«Esiste anche il rock "divinico". Approvo la scelta di usare la musica. Ho sempre pensato che Dio è dappertutto, anche nelle cose allegre, nei campi, in ogni manifestazione della vita».
In quel periodo Celentano era diventato di nuovo un big della canzone. Nel 1994 era tornato dal vivo dopo quindici anni di assenza e i suoi dischi a partire da Mina Celentano del 1998 vendevano cifre da capogiro. Del disco con Mina racconta la genesi del pezzo in dialetto foggiano.
«È divertente com' è nata Che t' aggia di' . M' è venuta all' improvviso, una notte, e il giorno dopo l' ho fatta sentire a Mina. Lei ha riso, ha detto: è fortissima, mi piace moltissimo, però io "cazzo" non lo posso dire, se lo sente mio padre spegne il giradischi. Io le spiegavo che era un fatto di costume, mia madre, foggiana, lo usava come intercalare. Poi, discutendo ci è venuto in mente di censurarlo, ma trasformandolo in una gag, col fischio, e lei che dice: ho sentito un fischio?».
Però nel pezzo Mina a un certo punto risponde con un "vaffa".
«Sì, le dicevo le frasi del testo in foggiano e lei le ripeteva al microfono, finché non erano perfette. È bravissima, arrivava a una pronuncia perfetta. Ho capito che era in vena, così a un certo punto anche se non era previsto ho detto "vaffa" e lei lo ha ripetuto perfettamente. Allora ho detto: questa la teniamo, è troppo bella».
Subito dopo, nel maggio del 1999, arrivò il successo esplosivo di Io non so parlar d' amore. Molti hanno percepito questo disco come una pausa tra cose più impegnate.
«Tutti si stupiscono, mi dicono che canto bene, come fosse il primo disco che faccio. Ma io mi stupisco che gli altri si stupiscano. Già quando è uscito il singolo mi dicevano: oh, ma è forte. Ho capito che avevo disabituato la gente. Forse per molti anni ho badato più alle cose che volevo dire a tutti i costi e il canto veniva messo in secondo piano».
Ma questa musica può avere un effetto benefico anche se non parla di cose impegnate?
«Io sono convinto che la musica faccia bene. Per questo sostengo che si può dire qualcosa anche se non si dice niente...».
Alla fine è appagato da quello che fa?
«Non si può mai essere appagati. Sono un credente, e adesso che gli anni diventano giorni, ti domandi sempre se sei all' altezza di presentarti al Creatore, se lui ha stima di quello che hai fatto, io mi sento sempre in difetto, non faccio abbastanza, e non capisco perché non lo faccio. La giustificazione è che faccio altre cose per la causa, ma non mi basta. La massima felicità che può avere un credente è quella di dire: a me Dio non mi può dire proprio niente. Io non lo posso dire, mi sento in fin dei conti un buono, ma anche in difetto. Fare il cantante lo sento parte di questo progetto, soprattutto quando ci sono reazioni di questo tipo, quando la gente è contenta e ti fa dei complimenti, anche esagerati. Mi dico: guarda un po' com' è contenta la gente, più di me che l' ho fatto. In questo caso mi sento di avere una specie di compito, se poi non facessi neanche questo sarei da mandare al purgatorio».
La produzione dei dischi di Celentano in quel periodo era instancabile. Nel 2000 uscì Esco di rado e parlo ancora meno , e dentro c' era Io sono un uomo libero , un pezzo di Ivano Fossati.
«Sì, anche questa canzone mi rappresenta molto. Quando sono stato a Genova a cantare al tributo per De André, e una parte del pubblico mi ha fischiato, lui ha scritto un articolo per difendermi, contro i genovesi, che secondo lui non avevano capito. Io gli ho detto che sarei stato felicissimo se avesse scritto per me. Poi lui mi ha mandato un provino e la cosa buffa è che nel provino lui l' aveva cantata imitando me, e poi quando l' ho cantata io ho imitato lui che imitava me».
Nel disco "Per sempre", del 2002, c' è una canzone intitolata "Respiri di vita", l' unica cantata con una specie di incertezza nell' interpretazione. È così?
«Sì, l' avevo cantata bene, era tutto a posto, però poi rileggevo il testo e dicevo: caspita, il testo è bello ma quando la sento cantare non mi dice niente. Com' è possibile? Ho dedotto che dipendeva dall' interpretazione troppo normale, e quindi mi sono immaginato una situazione d' incertezza, che poi riguarda il mondo di oggi. Ho immaginato gli uomini di tutto il mondo, più incerti di un bambino di 5-6 anni e m' è venuta così».
Non solo Fossati, c' è anche un pezzo di Guccini, fatto ancora più sorprendente, a partire da un verso che dice "un tuo cribro", parole da cercare sul dizionario.
«No, io... infatti ho chiamato Claudia e ho detto: Claudia, fa' un favore, chiama Guccini e dì che ha fatto un errore, c' è un "cribro" che non vuol dire niente, forse lui voleva dire un' altra cosa. E invece lui ha detto: No no, guarda che voleva dire proprio quello».
È contento di quello che è diventato oggi?
«Mah, io sono contento, ma devo dire che sono sempre stato contento, nel senso che adesso sono ancora più contento per il semplice fatto che mi sono capitate due cose importanti: la prima riguarda queste vendite sproporzionate, e la seconda è forse quella che mi fa ancora più contento: mi sono comprato i ferri per aggiustare le cose e mi sto divertendo molto...».
Orologi?
«Principalmente gli orologi, però anche altre cose, sai, mi sono preso un tornio per fare i pezzi... beh, quando vieni qua poi ti faccio vedere».
La prestigiosa rivista francese "Les inrockuptibles" le ha dedicato un servizio dai toni clamorosi...
«Devo dire la verità, sono rimasto sorpreso. Quando tirai fuori Prisencolinensinanciusol, che ha preceduto il rap di dieci anni, in Italia non successe niente. Passarono sei mesi e mi chiamò la Cgd per dirmi che dovevo pensare a un nuovo pezzo. Io dissi, ma no il pezzo ce l' ho già, è già inciso. Come, risposero, hai già inciso il pezzo e non ci dici niente? Ma no, dico io, lo conoscete bene, è Prisencolinensinanciusol. Contemporaneamente arrivò dalla Francia uno di una radio libera, dicendo che voleva comprare dei pezzi miei, e dopo averne ascoltati un po' disse "voglio questo", ed era Prisencolinensinanciusol. Il direttore artistico della Cgd gli spiegò che il brano in Italia non aveva fatto nulla, e lui disse, ok, lo prendo lo stesso, lo mise in radio ed ebbe un sacco di richieste e io, allora per contratto potevo farlo, ho imposto di ripubblicare il pezzo dopo un anno. Ha venduto un milione di copie».
Nel 2004 arrivò un ennesimo disco, C' è sempre un motivo, con canzoni d' amore che mostravano disagio, sofferenza. Sembrava che ci fosse sotto qualcosa, una ribellione compressa e così Celentano spiegò la sensazione.
«Mi piacerebbe senz' altro che il mondo fosse un po' diverso, però credo che al primo posto nel mondo ci sia l' amore, viene prima dei tre pasti principali, prima del lavoro, prima di qualsiasi cosa. Tutto quello che succede oggi nel mondo è un peso che l' amore si sta sobbarcando, cioè anche due che sono innamorati, che non potrebbero non pensare a nient' altro che al loro amore, loro non lo sanno, ma poco per volta c' è questa goccia di tutti i casini che succedono nel mondo che va a ferire questo rapporto. Ecco perché penso che questo disco sia giusto così».
Tutto questo mette a posto la sua coscienza? Cosa ne pensa il libero pensatore Adriano Celentano?
«La mia coscienza critica è appagata per quanto riguarda il lavoro, cioè se devo fare un disco, oppure la televisione, o se dovessi fare un film... magari non mi sento a posto con la coscienza per fatti diciamo umani, vorrei fare qualcosa di più per aiutare gli altri. Potrei fare di più? Da quel lato lì non sono sicuro di avere la coscienza a posto. Ma alla fine quello che conta è che.. insomma io devo decidere, o sono bugiardo o sono sincero. Se devi essere sincero devi essere sincero sempre, fino alla morte, capisci? È quello il fatto».
Il 6 gennaio del 2008 Celentano ha compiuto 70 anni, un' altra occasione per intervistarlo. Tempo fa osservammo che in lei convivevano due anime contrastanti, una più rivoluzionaria, ribelle, e un' altra più tradizionalista, conservatrice. Allora disse che si riconosceva abbastanza in questa definizione. È ancora così?
«Credo di sì. Mi ribello a coloro che per soddisfare i propri interessi ci portano via i giochi, senza minimamente pensare alle conseguenze. Mi ribello alla politica, tutta. Nessun colore escluso. Comunisti, democristiani, tanto per citare i più responsabili, i quali non hanno fatto niente per fermare l' assalto dei distruttori "edili" capitanato dai comuni. Mi ribello alla povera gente che pur di avere un tetto, accetta di vivere in quelle scatole tombali dove lo sguardo di ciò che li circonda affonda nel nulla. Mi ribello a coloro i quali credono che essere moderni voglia dire cancellare in un sol fascio tutto ciò che è stato. Insomma mi ribello contro chi non tiene conto di ciò che siamo e da dove veniamo. Perché nessuno è più moderno di chi conserva la capacità di non dimenticare il passato».
Se dovesse fare un bilancio della sua vita, pensa di avere commesso degli errori?
«Per rispondere a questa domanda dovrei fare un replay di tutta la mia vita. Potrei anche farlo, ma mettiamo il caso che non trovi neanche un errore?».
Naike Rivelli contro Celentano: l’attacco della figlia di Ornella Muti. Notizie.it il 18/08/2020. Naike Rivelli è tornata a riaccendere la polemica sorta tra Adriano Celentano e sua madre, Ornella Muti. I due hanno avuto una liaison negli anni ’80 mentre entrambi erano legati ad altre persone (lui stava già con la moglie Claudia Mori, lei con Federico Fachinetti). Celentano ha svelato la liaison nel 2014, ma Ornella Muti non ha affatto gradito la cosa.
Naike Rivelli contro Celentano: le parole. Naike è tornata a dire la sua in merito all’alterco avuto da sua madre Ornella Muti e la vecchia fiamma Adriano Celentano. Nel 2014 l’attore rivelò la liaison avuta con la collega, e lei ammise pubblicamente che avrebbe apprezzato se prima di rivelarlo al pubblico il Molleggiato le avesse almeno chiesto la sua approvazione. La questione è stata ripresa anche da Naike, che è tornata a difendere sua madre affermando di aver trovato profondamente maleducato e di cattivo gusto il gesto fatto da Celentano e sua moglie, Claudia Mori, che rivelando i tradimenti fatti in giovinezza avrebbero coinvolto – senza chiedere il loro parere – anche altre persone. “Vi dico io quale sarà la risposta dei signori in questione: Silenzio Stampa”, ha scritto la figlia di Ornella Muti, che al termine del suo sfogo si è rivolta allo stesso Adriano Celentano scrivendo: “Caro Adrian, invece di sputare tristi affermazioni sul passato, perché non ringraziare la mamma, che grazie a quei due film che hai fatto assieme a lei ti ha reso noto come attore in tutto il mondo?”. Celentano replicherà o si scuserà con Ornella Muti per quanto accaduto?
Da liberoquotidiano.it il 7 ottobre 2020. Ornella Muti e la figlia Naike Rivelli sono state ospiti ad Ogni Mattina su TV8. Hanno aperto la porta della loro casa ai due conduttori: Adriana Volpe e Daniele Piervincenzi. Naike, parlando della relazione tra la Muti e Adriano Celentano svelata da quest'ultimo dopo tanti anni, ha chiesto alla madre: “Perché Adriano Celentano secondo te si sentiva così solo?” La Muti ha risposto: “Perché lei (Claudia Mori, ndr) stava da qualcun altro, o almeno così dicevano”. Naike Rivelli ha poi detto la sua sulla liason: “È successa questa cosa con mamma perché evidentemente nella famiglia Celentano non erano così felici.” “Ero in crisi con mio marito, ci tengo a dirlo perché non voglio passasse per una… visto che è stato un uomo molto importante nella mia vita”, ha replicato la Muti. "Entrambi avrebbero dovuto portare questo segreto nella tomba. Da quello che ricordo io ad un certo punto a me è stato detto che non era la cosa giusta e mamma se n’è andata a gambe levate. Non hai avuto conferma, adesso la conferma è arrivata da parte del signor Celentano e la signora Claudia Mori perché mamma non avrebbe mai aperto bocca… Noi stiamo solo mettendo i puntini sulle i”, ha concluso infine la Rivelli.
Alessandra Menzani per "Libero Quotidiano" il 19 agosto 2020. Può un tradimento consumato quaranta anni fa, per quanto clamoroso, fare rumore ancora oggi? Se i protagonisti erano Adriano Celentano, Ornella Muti e Claudia Mori (la moglie tradita), sì. Scoppia negli anni 1980 e 1981 l'amore fedifrago più illustre del nostro cinema. Il Molleggiato e la Muti erano una coppia formidabile sul set, insieme hanno girato Il bisbetico domato e Innamorato Pazzo, pietre miliari della commedia italiana non troppo pretenziosa. Lui, oggi 85 anni, era sposato con Claudia Mori con cui sta ancora e con cui formava la coppia più bella del mondo, ma non ha potuto resistere a quegli occhi da bambola fatale. La Muti all'epoca stava con Federico Fachinetti ma ha ceduto. «maleducato» Il problema è che negli anni Celentano, senza autorizzazione di Ornella, oggi 65 anni, ha rivelato al mondo quella relazione proibita. L'ira della figlia dell'attrice, Naike Rivelli, scoppia il giorno dopo l'ennesima programmazione televisiva del Bisbetico Domato. «Invece di sputare tristi affermazioni sul passato, perché non ringraziare mamma, che grazie ai quei due film che hai fatto assieme a lei, sei diventato famoso come attore in tutto il mondo». Naike si rivolge a lui su Instagram dandogli dello «sgarbato, maleducato ed egocentrico». La figlia di Ornella Muti non ci sta. In un video social racconta i dettagli: «Ha dichiarato di aver tradito la moglie con mia mamma, che cafardo. Detto questo, vorrei dire alla signora Mori e al signor Adriano, che io mi ricordo quel periodo. Avevo 5 o 6 anni e mi ricordo esattamente quando il signor Adriano veniva a casa di mamma, che viveva a Chiasso, a fare il grande simpaticone. Faceva la scimmietta, la rana, tutte cose che a me divertivano molto. Che brutta cosa uscirne oggi così». Naike insomma cerca di difendere l'onore di mamma: «Sicuramente sarà stato un grosso sbaglio quello di tradire la moglie con la mamma, ma mi ricordo che quel periodo sembrava molto felice di farlo, anche di essere scherzoso e favoloso con me, che non sapevo niente. Su questa storia hanno massacrato la mamma, le hanno sempre chiesto se ci fu una storia durante quei due film, e mia mamma, essendo una donna di gran classe, ha sempre fatto silenzio stampa, soprattutto per rispetto di Claudia e della sua famiglia. A me dà molto fastidio che in questo momento si parli ancora di questa tristissima storia, di questo tristissimo uomo e del loro tristissimo matrimonio. Per favore, lasciateci in pace, non ne parlate più. Parlate dei vostri figli, della vostra "coppia più bella del mondo"».
L'ammissione. Dopo anni di mormorii e «pissi pissi», Celentano nel 2014 ammise pubblicamente la focosa passione. La Muti non la prese bene. «Era vero, ma sono rimasta colpita», disse al Fatto Quotidiano, «se aveva proprio intenzione di rivelarlo e necessità di liberarsi del segreto, sarei stata felice di saperlo in anticipo. Però gli uomini sono fatti così. Se ne fregano». «Fra me e Claudia c'è sempre stato amore», aveva detto il Molleggiato, «abbiamo attraversato una crisi, 20 o forse 30 anni fa ma siamo una famiglia unita». Dalla loro unione, ancora oggi solida, sono nati tre figli.
Sul set di Innamorato Pazzo nacque l'amore clandestino tra Adriano Celentano e Ornella Muti. Innamorato Pazzo è il film che vede come protagonisti Adriano Celentano e Ornella Muti, alle prese con una storia d'amore. Una passione che ha abbandonato lo schermo e si è trasferita nella vita vera. Erika Pomella, Giovedì 17/12/2020 su Il Giornale. Innamorato Pazzo è la pellicola firmata da Castellano e Pipolo che vede come protagonisti assoluti Adriano Celentano e Ornella Muti. Il film - che andrà in onda questa sera alle 22.55 sul canale Cine34 - è uscito in sala per le feste di Natale del 1981 e rappresenta quasi una risposta italiana al Vacanze Romane che vedeva protagonisti Audrey Hepburn e Gregory Peck. Proprio come la già citata Audrey Hepburn, Cristina (Ornella Muti) è una principessa che, in visita a Roma, decide di fuggire alle sue responsabilità - in primis un matrimonio combinato per salvare la sua famiglia dalla bancarotta - e fare una passeggiata nella Città Eterna. Qui incontra Barnaba (Celentano), un autista di autobus che subisce un immediato colpo di fulmine verso la principessa. I due, insieme, vivranno mille avventure tra le strade della città capitolina, incontrando personaggi di ogni tipo e lasciandosi sedurre dalla bellezza della capitale. Ma ben presto arriverà il momento per Cristina di tornare alla sua vita e alle sue responsabilità, consapevole di non poter sposare un umile autista di autobus. Ma Barnaba è così innamorato che, grazie ad una forte determinazione, cercherà e sfrutterà ogni mezzo per poter essere lo sposo della sua amata. La chimica tra i due protagonisti di Innamorato Pazzo era tale che non ci volle molto prima che nell'ambiente e sulle pagine dei quotidiani cominciassero a emergere insinuazioni secondo le quali i due attori non erano semplici amici. Sembrava, infatti, che sul set fosse scoppiata la proverbiale scintilla. All'epoca Adriano Celentano era già sposato con Claudia Mori, mentre Ornella Muti era impegnata con Andrea Facchinetti, che avrebbe poi sposato l'anno successivo. È chiaro dunque che la notizia di una liason sentimentale tra i due non solo avrebbe portato allo scandalo, ma avrebbe fatto anche scoppiare due coppie. Quando il film uscì in sala e i giornali continuarono a sospettare una relazione adultera tra Adriano Celentano e Ornella Muti, i due furono sempre molto determinati a sminuire queste voci, a smentirle, parlando solo della loro profonda amicizia. Finché il gossip finì nel dimenticatoio, dove sarebbe stato destinato a rimanere. Tuttavia, come racconta Movieplayer, la verità sulla relazione nata sul set di Innamorato Pazzo tornò a far parlare di sé quando Adriano Celentano confermò l'adulterio nel corso di una causa intentata contro il giornale Panorama, reo di averlo descritto in maniera estremamente negativa. Sempre come riporta Movieplayer, Adriano Celentano, parlando del suo matrimonio con Claudia Mori, disse: "La crisi coincise a causa di un rapporto con Ornella Muti, ci fu una storia, i fotografi ci inseguivano dappertutto". L'ammissione da parte di Celentano riempì le pagine dei giornali, e poco tempo dopo, su Visto, Ornella Muti disse la sua. L'attrice, infatti, affermò: "Io non so quello che posso dire di Adriano e ho paura di ciò che vorrei dire davvero, però dopo anni di rispettoso silenzio in omaggio alle ragioni dei figli, delle mogli e dei mariti, visto che l'embargo è caduto, lo dirò. A margine di un processo, di botto e senza alcun preavviso, Adriano ha confessato ai giornalisti di avere avuto una storia d'amore con me. Era vero, ma sono rimasta colpita. Se aveva proprio intenzione di rivelarlo e necessità di liberarsi del segreto, sarei stata felice di saperlo in anticipo. Però gli uomini sono fatti così. Se ne fregano". Sempre nello stesso periodo, Ornella Muti dichiarò a Il Messaggero, che Adriano Celentano era stato la sua unica infedeltà e rincarò la dose su come fosse stata sorpresa dalla confessione inaspettata del suo collega di Innamorato Pazzo. Disse: "Adriano ha rivelato quell’episodio dopo tanti anni, senza nemmeno avvertirmi. Beh, io non l’avrei fatto”.
· Adriano Pappalardo.
Adriano Pappalardo si commuove, a Vieni da me: "Cacciato via di casa da papà". In un'intervista concessa a Vieni da me, Adriano Pappalardo detto "il combattente" de L'isola dei famosi si è lasciato andare ad uno sfogo liberatorio per poi commuoversi in diretta. Serena Granato, Giovedì 23/01/2020, su Il Giornale. Nella puntata di Vieni da me trasmessa lo scorso 22 gennaio, su Rai 1, si è presentato in qualità di ospite in studio Adriano Pappalardo. Nel nuovo appuntamento tv, l'attore e cantante originario di Copertino e classe 1945 ha concesso un'intervista esclusiva alla conduttrice, Caterina Balivo. E il suo intervento televisivo ha riservato ai telespettatori dei colpi di scena e momenti emozionanti. Confidandosi nella trasmissione, si è lasciato andare al racconto di alcuni tristi retroscena, sulla sua vita privata. A partire dall'aneddoto sul turbolento rapporto avuto con il padre, che, a detta dell'intervistato, non accettava - inizialmente- la sua passione nutrita per l'arte. "Quando gli ho detto che volevo fare il cantante, mi ha cacciato via di casa -ha esordito nel suo drammatico racconto, per poi rivelare com'è riuscito a far ricredere il genitore scettico, sul suo conto-. Mi ha detto “Non sei mio figlio”. Ma qualche anno dopo, quando mi invitarono come super ospite al Festivalbar, lo feci venire all'Arena di Verona. Gli dissi 'Papà, ti voglio all'Arena'. Gli feci portare il pass, stette in prima fila. In quell'occasione lui pianse e mi disse 'Sono fiero di essere tuo padre'. È stato il momento più bello della mia vita, poi l'anno dopo se n'è andato a 70 anni". E pronunciando proprio quest'ultime parole, Pappalardo -detto 'il combattente' de L'Isola dei famosi, per i suoi storici attacchi destinati a Walter Nudo al noto reality- alla fine, si è commosso, in tv. "Noi artisti siamo come bambini, abbiamo bisogno di coccole", ha, inoltre confidato con la voce tremolante in casa Rai, per poi dirsi felice del fatto che il padre scomparso avesse assistito alla realizzazione del suo più grande sogno, prima di morire.
Adriano Pappalardo e l'incidente per cui ha rischiato di morire. Attraverso il suo ultimo intervento televisivo, ha dimostrato di non essere come lo dipingono in molti e di avere una sua sensibilità. Ai tempi della sua partecipazione alla prima edizione de L'isola dei famosi, Pappalardo divideva il pubblico, con i suoi siluri provocatori sferrati a Nudo (rivelatosi vincitore de L'Isola dei famosi 2003, ndr)."Famosi bene o male, non ci devono essere persone che piangono sul passato, presente e futuro", dichiarava Adriano, scagliandosi non troppo velatamente contro Nudo, per poi accusarlo indirettamente di "vittimismo". E, in occasione dell'intervento concesso a Vieni da me, il cantante pugliese ha, inoltre, rivelato un altro retroscena triste sul suo passato. "Ho la passione per il volo e faccio parapendio -ha fatto sapere, per poi confidare l'incidente per cui ha rischiato di perdere la vita-. Una volta, prima di un lancio, non mi sentivo sicuro, ma mi sono lanciato lo stesso. A sette metri dal terreno, un'ala è andata sotto vento e mi sono schiantato sul terreno battuto". "Ho avuto delle costole rotte e un ematoma alla testa -ha concluso su quell'esperienza, da cui si apprende che a volte il coraggio non basta nella vita e che occorre saper essere sempre prudenti-. Ho rischiato di brutto, sono miracolato. Era il giorno dell'anniversario della morte della mia mamma. E' stata lei a proteggermi".
· Agostina Belli.
Luca Pallanch per “la Verità” il 4 agosto 2020. C' era un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui il cinema italiano esportava all' estero non solo film, ma anche attori e attrici, chiamati a ruoli da protagonisti in tutta Europa, in particolare oltralpe. È il caso di Agostina Belli, che negli anni Settanta e Ottanta ha recitato con Jean-Louis Trintignant, Philippe Noiret, Oliver Reed, Yves Montand, Claude Brasseur, Kirk Douglas, Peter Ustinov, Fernando Rey e persino con Fred Astaire. Con la naturalezza che la contraddistingueva sugli schermi Agostina Maria Magnoni, in arte Agostina Belli, ripercorre la sua straordinaria carriera.
Com' è entrata nel mondo del cinema?
«Lavoravo alla Rinascente, a Milano, e facevo la contabile. Un giorno ho letto un' inserzione su un giornaletto che si chiamava Ciao Amici. Cercavano ragazzi e ragazze che sapessero ballare per girare una scena di Banditi a Milano di Carlo Lizzani. Diecimila lire al giorno per tre giorni di riprese. Caspita, diecimila lire al giorno, io ne prendevo sessanta per lavorare tutto il mese! La scena era al Piper di Milano. Con alcune amiche abbiamo deciso, invece di andare al lavoro, di fare questa esperienza. Ci siamo presentati per il provino e c' erano tantissime modelle, tutte bellissime. Al contrario di queste modelle che avevano portato dei book stupendi, con foto 30x40, io mi sono presentata con una fototessera 2x2! C' era scritto: "Portate una fotografia": chi non è dell' ambiente pensa a una foto tessera! Questa cosa ha fatto talmente ridere l' aiuto regista che ha detto a Lizzani: "Guarda 'sta ragazza: è così carina!"».
Anche grazie alla fototessera è stata scelta...
«Non è finita qua. Lizzani mi ha scelta per far parte dal gruppo che ballava al Piper, poi mi ha fatto girare una piccola scena da sola, nella quale fuggivo dalla polizia che stava per arrivare, e lui è rimasto colpito perché non faceva in tempo a dare il ciak che io ero già scattata. Allora mi ha detto: "Vieni a Torino che c' è una scena con una ragazza che deve fare l' ostaggio e tu sei giusta per quel ruolo perché lei deve avere occhi azzurri e capelli mori. Sei così brava che, se ti va, puoi fare questa scenetta". Altro che scenetta! In macchina i rapinatori che mi avevano preso in ostaggio hanno cominciato a picchiarmi perché uno di loro, interpretato da Don Backy, inavvertitamente si era tolto il bavaglio che lo proteggeva e io avevo visto la sua faccia. Ero terrorizzata: dovevo piangere, urlare, scalciare, mentre loro mi schiaffeggiavano, poi mi hanno buttato fuori dalla macchina. Una scena pazzesca, da attrice vera. Alla fine Lizzani era sorpreso: "Non è possibile che non hai mai recitato!". "Le assicuro che è vero, non ho mai visto una macchina da presa in vita mia, è la prima volta". "Hai una naturale spontaneità, devi coltivare la recitazione". Così ho iniziato a lasciar perdere la vita della Rinascente».
A Milano è stata subito protagonista de Il terribile Ispettore di Mario Amendola, con un giovanissimo Paolo Villaggio.
«Altra storia incredibile. Mi hanno preso, ma non mi hanno dato tutto il copione, solo le pagine che riguardavano il mio ruolo. Mi sono limitata a lavorare per una settimana, dieci giorni, e giravamo sempre in un appartamento. Il film è uscito e non è che abbia avuto un grande successo: era un film commerciale, senza pretese, nato sulla scia de Il Medico della Mutua con Alberto Sordi. Molti anni dopo, in un evento a Roma con molti attori, ho incontrato Paolo Villaggio, che mi ha salutato: "Mi fa piacere rivederti, ho visto che hai avuto molto successo, complimenti. Hai fatto una bella carriera". "Sì, grazie, rispetto al film che abbiamo fatto a Milano, dove facevo una piccola parte...". "Come una piccola parte? Eri la protagonista". Io non avevo visto il film, era uscito per pochi giorni e nessuno mi aveva avvisata. Pensando a quei quattro fogli, non mi ero resa conto che ero la protagonista!».
È vero che ha fatto un accordo con suo padre per venire a Roma? Avrebbe dovuto sfondare entro sei mesi, altrimenti sarebbe dovuta ritornare a Milano?
«È verissimo, ma a Roma mi hanno subito presa per interpretare la moglie di Giancarlo Giannini in Mimì metallurgico ferito nell' onore».
È stata scelta da Lina Wertmüller?
«Dal suo aiuto regista. Quando Lina mi ha visto in sala trucco, è stata contenta della scelta, però mi ha trasformato: mi ha messo una parrucca riccia sulla testa, lasciandomi tre dita di fronte, con una matita da trucco mi ha fatto le occhiaie e poi anche la linea dei baffi».
L' ha imbruttita, altrimenti quale marito avrebbe potuto tradirla!
«Non ci avevo mai pensato! Ho girato solamente una scena con Mariangela Melato, che interpretava l' amante, perché io ero rimasta in Sicilia, mentre lei e Mimì stavano a Torino. È stato incredibile incontrarla, ci siamo riconosciute subito: anche lei lavorava alla Rinascente, come vetrinista. "Che fai qui?". "Faccio l' attrice. Ho il ruolo di Rosalia Mardocheo, la moglie di Mimì". "E io faccio l' amante, scusa"».
Ha cominciato subito a lavorare anche all' estero con grandi attori, a cominciare da Richard Burton in Barbablù di Edward Dmytryk.
«Avevo molta soggezione di lui perché dovevo recitare in inglese, lingua che non conoscevo. Ho imparato le mie battute con l' aiuto del mio compagno di allora, che era americano, e ho recitato le mie scene perfettamente, addirittura con uno slang americano. Alla fine dei provini, Richard Burton mi è venuto vicino e ha cominciato a parlarmi e io, molto timida, non sapevo come rispondere, mi avrà preso proprio per un ebete, finché ho chiamato qualcuno: "Digli che io non so l' inglese. Ho imparato le battute e basta!". Richard si è messo a ridere e mi ha fatto tradurre che ero talmente perfetta nell' accento che non si era accorto per niente. Ogni volta che mi incontrava sul set scoppiava a ridere. Un giorno mi ha invitato a provare una scena nella sua enorme roulotte. Mi ha offerto da bere, poi abbiamo recitato le scene e mi ha detto: "Very good! Brava, brava". In quel momento è arrivata all'improvviso Liz Taylor! È entrata dentro la roulotte e gli ha urlato delle frasi in inglese che ovviamente non ho capito. Mi sono messa in un angolo, lei mi guardato con due occhi feroci e io sono scappata dalla roulotte. Lei, sapendo che Burton stava facendo un film con donne bellissime come Raquel Welch, Virna Lisi, Marilù Tolo, gelosa com' era, è arrivata lì per coglierlo di sorpresa».
E invece Fred Astaire, con cui ha recitato in Un Taxi color malva di Yves Boisset?
«Fred Astaire ha fatto quel film perché la figlia aveva una casa in Irlanda. L' hanno voluto a tutti i costi e lui ha accettato per questo motivo. È stato due-tre mesi con la figlia e mi ha invitato a casa. La Rai ha mandato una troupe a intervistarmi perché sapevano che un' attrice italiana lavorava con il grande Fred Astaire e hanno intervistato anche lui».
Era simpatico?
«Aveva le movenze del ballerino in qualunque situazione, era un piacere guardarlo e stare con lui. In quel film c' era anche Peter Ustinov, che mi ha regalato una pipa Peterson, che ho ancora, guai chi me la tocca! Ho fatto una fotografia per Paris Match con la pipa in mano. Fumavo la pipa perché sono un lupo di mare. Ho navigato molto con la mia barca a vela».
Marcello Mastroianni.
«Penso che sia stato l'attore più dolce, più simpatico, più amabile tra quelli con cui ho lavorato. In quel film guidavo la Lambretta. Io ho sempre guidato le moto, anche molto grandi. In una scena del film Marcello doveva venire in moto con me, ma lui non se la sentiva, aveva paura. "Marcello, io so guidare bene le moto. Ti devi fidare". Non ci credeva. È stato difficile convincerlo: gli ho fatto vedere che con la moto non avevo problemi. "Lo vedi che sono veramente capace? Non ti preoccupare, monta su". Ho una foto bellissima in Lambretta, lui dietro con la faccia seria aggrappato a me».
Il film che le ha dato grande notorietà è stato Profumo di donna di Dino Risi.
«Dopo Malizia di Samperi c' era un po' di competizione tra Laura Antonelli, me e Ornella Muti, eravamo tutte e tre conosciute e ricercate. In quel periodo, agli inizi degli anni Settanta, ho fatto due film di grande successo, L' ultima neve di primavera e Sepolta viva, e i produttori Adriano De Micheli e Pio Angeletti mi hanno offerto Profumo di donna. Io ero veramente onorata di fare un film con Dino Risi e Vittorio Gassman, ma ho saputo dopo che ero stato scelta perché volevano lanciare la coppia Agostina Belli e Alessandro Momo, che veniva dal successo di Malizia con Laura Antonelli. Il copione non prevedeva delle scene erotiche tra di noi, però in cartellone i nostri nomi avrebbero attirato il pubblico. Dino Risi non era contento di questa scelta un po' commerciale, voleva un' attrice napoletana di teatro, un' altra cosa rispetto a me. Ho conosciuto Gassman, Momo e Dino Risi, che non mi aveva ancora visto. Io ero intimorita da questi due grandi mostri del cinema soltanto a nominarli, figurarci a lavorarci insieme. Ero terrorizzata».
Poi Risi l' ha chiamata come protagonista assoluta per Telefoni bianchi.
«Il fatto che dopo Profumo di Donna Risi abbia voluto ancora me è stata una grande soddisfazione. In Telefoni bianchi ho avuto modo di conoscerlo meglio: la sua verve, il suo umorismo molto particolare, con il quale ti prendeva sempre in giro. A Venezia, dovevo fare una scena con Cochi Ponzoni. Avevo visto un film con Shirley MacLaine e mi sono detta: "Voglio recitare come ha fatto lei". Mi ricordavo tutto, la faccetta, i movimenti... Alla fine della scena Risi ha battuto le mani, mi è venuto incontro, mi ha detto: "Brava" e mi ha dato un bacio. È stato veramente bello. Telefoni bianchi ha avuto un grande successo in Francia, dove sono ancora amata, anche perché ho lavorato molto lì».
Il pubblico non l' ha mai tradita.
«È vero. E voglio cogliere l' opportunità per ringraziare con sentito affetto i miei ammiratori che mi hanno confortata e seguita, dandomi l' opportunità di crescere nella mia carriera. Devo a loro il successo e sono loro eternamente grata. Così come auguro ai lettori de La Verità di realizzare i loro sogni. E li abbraccio tutti».
· Ai Weiwei.
Simona Antonucci per il Messaggero il 17 gennaio 2020. «Ero veramente povero. Un migrante a New York. Dopo aver lasciato Pechino, era il 1987, combattevo per guadagnarmi un posto nell'ambiente culturale. E trovai il modo di sopravvivere tagliando le teste sul palco del Metropolitan Opera House». Ai Weiwei, 62 anni, artista cinese, e patrimonio del mondo, è a Roma per mettere a punto una nuova produzione (al Teatro dell'Opera dal 25 marzo) da un milione di euro: la sua prima regia lirica «che è proprio Turandot», spiega, «lo stesso titolo che trenta anni fa, Zeffirelli, stava allestendo nel teatro americano e per il quale venni scritturato come comparsa, l'aiutante del boia, mettendomi in tasca i miei primi dollari. Ironia della sorte, fu l'algida principessa a salvarmi. Ed è incredibile che oggi sia tornata nella mia vita».
Colpo di scena spettacolare...
«Non so, la scelta di essere qui al Costanzi non nasce dall'attrazione verso una nuova sfida. Ho accettato soltanto perché c'era lei, l'eroina di Puccini, altrimenti non mi sarebbe mai venuto in mente di firmare un allestimento d'opera. Ma ora che sono qui posso dire che è un'esperienza incredibilmente affascinante. E complicata. Montare una mostra, in confronto, è una passeggiata».
Ai Weiwei, cresciuto con il padre poeta di destra in un campo militare di rieducazione nel deserto del Gobi, creativo spregiudicato, attivo nel campo dei diritti umani, protagonista a livello internazionale anche per i suoi contrasti con il governo di Pechino, è stato arrestato, confinato, osteggiato. E osannato dai templi d'arte più prestigiosi: le sue opere, che siano realizzate con semi di girasole o biciclette iconiche, legni di templi distrutti o zainetti di ragazzi morti nel terremoto del Sichuan, valgono fortune.
Oggi intreccia per la prima volta il suo linguaggio contemporaneo con la musica, con un classico del repertorio.
«La Pechino di Gozzi e di Puccini, sarà un luogo di muri, una terra di emigranti, ma soprattutto un'installazione: una mappa del mondo ispirata a Roma e alle sue rovine imponenti e fragili, come tutto il pianeta. E lì dentro si dibatterà il rito più antico del mondo: quello che celebra il progresso della dignità umana e sociale».
Perché ha accettato?
«Ho accettato perché mi piace la storia che è magnifica, potente, tragica. E mi consente di raccontare le ostilità tra popoli, le lotte per la libertà che nonostante il passare del tempo sembrano ripetersi».
E perché il Costanzi l'ha scelta?
«Credo che si aspettino da me una nuova interpretazione. Che affronti temi come l'amore, il potere, l'odio tra classi, la prigionia politica con uno sguardo attuale. Ho individuato un fil rouge, il potere, che tenesse insieme il mondo di Puccini e il nostro. E ho riletto i personaggi. Calaf, in fondo, era un rifugiato. Uno che sfida l'establishment e rischia la vita. Prova a risolvere gli enigmi e a conquistare la principessa anche per andare avanti, ritrovare una dignità».
Quale potere è sotto accusa? Hong Kong?
«Il mondo oggi è sommerso da mille urgenze. Hong Kong, certo, ma anche l'ambiente. La fame. E non è facile trasferire queste idee in un teatro d'opera. Perché le devi plasmare adattandole alla musica, alle voci, ai costumi, alle scene, a tutte le persone, e sono più di cento, che lavorano per arrivare al debutto».
Che cosa vedremo sul palco?
«Una mappa del mondo costruita con le rovine romane. Stando qui, sono rimasto impressionato dalla bellezza della città. Dalla potenza. E dalla fragilità. Ho provato a ricostruire l'antico, oggi, trasferendo su una cartina immaginaria la consapevolezza che tutto può venir meno».
Che abiti indosseranno nella sua Pechino?
«Abiti umani, ma ispirati agli insetti. Puri riferimenti, certo, ma ho studiato mosche, farfalle, vermi, che sono meravigliosi: quanto c'è di più vicino al senso di dignità che voglio trasmettere. Mantelli, veli, costumi come ali. Per Calaf, invece, ho lavorato sul corpo di una rana, nell'attimo in cui allunga le zampe per saltare».
Da un artista ci si aspetta anche di scoprire qualcosa di nuovo sul concetto di bellezza, di estetica. O no?
«La bellezza è parte della creazione. Forse, il minimo che si può chiedere a un artista. Il punto di partenza su un ragionamento che includa valore estetico e filosofico».
Tra le sue varie prove d'artista c'è anche un disco che pubblicò nel 2013, Dumbass-Divine Comedy, in omaggio ai lunghi mesi di prigionia: ora che si è riavvicinato alla musica, ne farebbe un altro?
«Mai. Apprezzo la musica, ma non la amo particolarmente. Anche se proprio durante la prigionia ho rimpianto di non averla studiata. Le guardie per passare il tempo mi chiedevano di cantare. E il fatto che non fossi capace non migliorava la situazione».
Il Governo cinese ha fatto demolire il suo studio, l'ha denunciata e imprigionata, le hanno oscurato il blog, sottratto il passaporto... Se non fosse nato a Pechino, il suo senso estetico e filosofico dell'arte sarebbe stato lo stesso?
«Se non ci fosse Pechino, forse non esisterebbe neanche Ai Weiwei. E anche vero, però, che ho viaggiato, vissuto e lavorato in molti Paesi per continuare a conoscere, studiare, scoprire. E sto ancora cambiando e crescendo».
A proposito di cambiamenti: lei ha mostrato il suo dito medio a molti simboli del potere. Qui, a Roma, a chi lo indirizzerebbe?
«Mi vergogno un po'. L'ho fatto tanti anni fa, da giovane. Girovagavo per le città, spesso ai margini... Oggi non lo rifarei. Ma lo feci...».
A chi?
«Al Colosseo. Perché ero indispettito dai turisti».
E invece, oggi, Roma le piace? Non la infastidisce?
«Mio padre amava Roma più di me. Le dedicò una poesia. Io, se devo pensare a una città che mi piace, mi viene in mente Roma. Ma non c'è vita nuova».
· Aida Yespica.
Da ilmessaggero.it il 10 gennaio 2020. Una storia d'amore con una donna molto famosa, finita proprio per la grande popolarità di quest'ultima. Sono le scottanti dichiarazioni di Aida Yespica, che ha raccontato a "Rivelo", in onda su Real Time, di essere stata fidanzata con una persona del suo stesso sesso: «Ho avuto un amore folle per una donna. Non posso fare il suo nome nemmeno sotto tortura perché è una persona davvero famosa che conoscono tutti. Era una storia clandestina, durata un anno, finita per la grande popolarità di lei». L'ex concorrente di Gf Vip e Isola dei Famosi non fa nomi, ma rivela alcuni dettagli molto interessanti: «Tra di noi c’era molta gelosia, più di quella che c’è stata nelle mie storie con altri uomini. Ero piccola, innamorata, ho fatto follie per lei ma una volta finita sono stata molto male. Ogni tanto ci vediamo, ci ridiamo su ma c’è solo amicizia. Non c’è più quella passione di un tempo». Aida Yespica ha anche parlato dell'impossibilità di tornare in America, che al momento la sta tenendo lontana dal figlio Aron: «Mio figlio chiama e mi chiede "mamma quando vieni?". Io ho un problema con il passaporto, con la situazione che c’è nel Paese. Averne uno per me è difficile, sto aspettando un passaporto perché mi sono finite le pagine e non posso entrare negli Stati Uniti. Non ne parliamo, mi viene da piangere perché è dura. In questo momento me la sto passando molto male perché vorrei stare con lui. Mi sento proprio impotente».
· Al Bano.
Albano Carrisi, Romina Power e i fratelli Kocis e Taryn: "Troppo diversi", 40 anni dopo, la verità sulla storia. Libero Quotidiano il 17 giugno 2020. Non tutti ricordano che Franco Carrisi, il fratello del più famoso Albano Carrisi, è stato negli anni 70 cantante con il nome d'arte di Kocis e insieme ad Al Bano, Romina Power e la sorella di lei Taryn Power ha realizzato anche una hit di grande successo in Italia ed Europa, Taca, taca banda. A distanza di quarant'anni, intervistato dal settimanale Oggi, svela la verità su una voce circolata per molto tempo tra fan e addetti ai lavori. Franco ha davvero avuto una storia con Taryn in un (pericolosissimo) intreccio familiare? "Eravamo gli Abba italiani, trionfammo in tutta Europa. Girare l’Europa tutti e quattro insieme fu un’esperienza bellissima", la prende alla larga Kocis. Che nega però il flirt con la bella Taryn: "Non siamo stati mai fidanzati, a livello caratteriale non ha funzionato, eravamo troppo diversi”. Meglio è andato ad Al Bano, con Romina, e poi con Loredena Lecciso, che Franco loda definendola "una donna perbene",
Anticipazione da “Oggi” il 17 giugno 2020. Nel numero di OGGI in edicola da domani, Franco Carrisi, il fratello di Al Bano, racconta a Oggi la sua storia sempre al fianco del cantante e parla di quando incise un disco con Al Bano, Romina e sua sorella Taryn, un quartetto che fece il giro di tv e giornali rosa. «La canzone si chiamava Taca, taca, banda, fu un grande successo: eravamo gli Abba italiani, trionfammo in tutta Europa; in Spagna fummo primi classifica… Girare l’Europa tutti e quattro insieme fu un’esperienza bellissima. Quella del quartetto fu un’idea di Romina, che forse sperava anche in un fidanzamento tra me e sua sorella. Ma io e Taryn non siamo stati mai fidanzati, a livello caratteriale non ha funzionato, eravamo troppo diversi». E sull’attuale situazione sentimentale del fratello dice: «A Loredana voglio tanto, tanto bene. È veramente una donna perbene, che tiene davvero molto a mio fratello, e questo mi riempie di gioia. E poi ci ha regalato Jasmine e Albano junior, ragazzi straordinari, come tutti i miei nipoti».
Romina Power e il matrimonio con Al Bano, 50 anni fa: «Mai stata la sua spalla». Elvira Serra il 26 luglio 2020 su Il Corriere della Sera.
Cinquant’anni fa, il 26 luglio, sposava Albano Carrisi. Dica la verità: quanto è ancora ingombrante Al Bano?
«Non molto... Ma non entra in una valigia!».
Eppure il pubblico non riesce a pensarvi disgiunti.
«Forse perché ci hanno visti crescere. Hanno fatto un po’ l’abitudine a vederci insieme. O forse perché abbiamo inciso centinaia di canzoni e la musica è eterna: quando avremo lasciato i nostri corpi, le canzoni rimarranno».
Chi era la «spalla» di chi?
«Eravamo pari».
Ma a fine concerto chi firmava più autografi?
«Non ci ho mai fatto caso. Oggi, però, devo trascinarlo via dal palco: resterebbe a firmare autografi fino a quando chiudono il locale, con il gruppo che continua a suonare lo stesso giro armonico...».
Essere una coppia nella vita ha aiutato o penalizzato il percorso artistico?
«Probabilmente se non ci fossimo innamorati, non avremmo scritto canzoni e cantato insieme. Non avevamo programmato nulla...».
Cosa le ha insegnato Al Bano artista, e lei a lui?
«Mi ha insegnato a stare sul palco e ad affrontare il pubblico. Ero di una timidezza e di un’insicurezza spaventosa! Ho assorbito e fatta mia la sua disinvoltura. E penso di aver alleggerito la sua tendenza al melodramma».
Come nascevano le canzoni?
«Ho un senso del ritmo naturale e i testi mi vengono bene. Negli anni ‘70 abbiamo scritto parecchie canzoni insieme e prodotto vari dischi. Allora si lasciava influenzare dai miei gusti musicali, in LP come 1978 e Atto Primo. Dischi trascurati dal pubblico, ma forse i nostri migliori».
In questo continuo accostare l’uno all’altra, che cosa è stato trascurato? In fondo lei è tante cose: cantante, scrittrice, regista, pittrice...
«Sono come mia sorella Taryn, non coltivo ambizione. Sono un po’ tutto questo, ma non ho bisogno di essere validata dagli altri. Tra un centinaio di anni mi libererò della stretta nicchia in cui sono stata relegata!».
Qual è stata l’emozione più forte durante la prima reunion in Russia nel 2014?
«Quando ho rivisto mia suocera, mamma Yolanda (scomparsa lo scorso dicembre, ndr). Non la vedevo da qualche anno. Per me è stato veramente commovente. Mentre cantavo, l’ho vista seduta in prima fila piccola piccola con uno dei suoi vestiti “buoni”. Quando a fine canzone i nostri sguardi si sono incrociati, lei si è alzata di colpo ed è venuta sotto il palco. La voglia di abbracciarla era talmente tanta, che mi sono stesa lì per riuscire a farlo».
La sua presenza a Cellino San Marco è forte. Penso ai poster nell’area beauty. È difficile smarcarsi dalla coppia Al Bano e Romina o le fa piacere continuare a far parte di quell’immaginario?
«Non necessariamente e non mi dissocio nemmeno. Ma mi ha sempre dato fastidio che la gente rimuovesse il mio cognome. Quando un presentatore annunciava “Al Bano e Romina” io aggiungevo sempre “Power”».
Qual è la cosa più bella che avete fatto in questi 50 anni?
«Conoscerci. Quando vieni catapultata in un mondo di adulti a 13 anni, incontrare a 16 qualcuno che si occupa di te, condivide le stesse passioni, ti fa compagnia, ti manda fiori, compone canzoni per te, è veramente bello».
Che cosa non sarebbe riuscita a fare senza «Al Bano e Romina»?
«Noi non siamo “Albano e Romina”. Se non avessi incontrato Albano probabilmente avrei continuato a recitare e non avrei intrapreso in pieno la carriera di cantante».
La cosa che ha fatto da sola di cui è più orgogliosa?
«Nessuno fa niente da solo, siamo tutti interdipendenti. Se potessi tornare indietro, però, studierei regia e farei prevalentemente quello. È bellissimo dare vita a una storia con immagini, parole e musica, e condividerlo. È più completo che recitare. In collegio, a 11-12 anni, scrivevo opere che dirigevo sul palco».
Guillermo del Toro, con cui ha girato l’ultimo film, sa chi è Al Bano?
«Sì lo sa perché conosceva ed ama Felicità. Una volta l’ha accennata per una frazione di secondo, in spagnolo...».
Ha appena vissuto un grave lutto: sua sorella Taryn.
«È stata la sorella migliore che potessi avere. Lascia un vuoto enorme nella mia vita. Contavamo l’una sull’altra, sempre. Da che eravamo piccolissime e ci mandavano insieme in giro per il mondo fino a quando Taryn ha lasciato il suo corpo. Lei era un’attivista sfegatata, idealista, amava dedicarsi ai bambini, agli animali e ai meno fortunati. Stava dalla mia parte. Sempre».
Su Instagram ha postato un video in cui lei, Taryn e Al Bano cantate canzoni popolari. Lui le è stato vicino?
«Sì, mi ha sorpreso. Mi ha scritto parole molto toccanti».
La guerra tra Romina e Lecciso. Al Bano: "Ecco qual è la verità..." Intervistato dal settimanale Oggi, Al Bano Carrisi ha chiarito "una volta per tutte" come stanno davvero le cose nel triangolo amoroso più discusso di sempre. Novella Toloni, Martedì 16/06/2020 su Il Giornale. Al Bano Carrisi non è tipo da gossip, ma questa volta - all'ennesima domanda sulla sua relazione amorosa - ha deciso di mettere in chiaro la questione. Tutta colpa dell'eterno triangolo che lo vede protagonista insieme a Loredana Lecciso, sua compagna, e la ex Romina Carrisi. Intervistato in esclusiva dalla rivista Oggi, il cantante di Cellino San Marco ha così deciso di passare al contrattacco, mettendo i puntini sulle "i" e togliendosi qualche sassolino dalla scarpa. A far scatenare gli ultimi rumors su un possibile riavvicinamento con l'ex moglie, Romina Power, è stata la poesia che la cantante italoamericana avrebbe voluto dedicare all'ex compagno. Romina avrebbe dovuto leggere i versi da lei composti per l'ex marito durante una delle ultime puntate di Domenica In, ma a seguito delle rimostranze fatte da Al Bano la dedica era saltata. "Ero maldisposto perché siamo finiti su un filone gossiparo che non amo. Con gli autori avevamo accordi diversi, non c’è stato il rispetto di quegli accordi e, visto che non amo le speculazioni, mi sono fatto sentire", ha chiarito Al Bano a Oggi. Al Bano Carrisi seppur onorato dal gesto della ex non ha gradito la "leggerezza" commessa dalla Power, dalla quale avrebbe preteso maggiore riservatezza: "Con tutto l’onore che può rappresentare per me ricevere una poesia da Romina, devo anche dire che probabilmente ha commesso una leggerezza. Doveva mandarla a me, non provare a farla leggere in televisione. È una cosa privata". All'ennesima domanda sulla sua vita personale e sentimentale, però, questa volta Al Bano non si è tirato indietro e ha messo in chiaro come stanno davvero le cose. Tra passato e futuro Al Bano ha riportato l'attenzione su Loredana Lecciso, il suo presente: "Nella mia vita c’è stato un prima, e c’è un dopo. Chiariamolo una volta per tutte: io sono stato sposato per trent’anni con Romina, e poi è andata a finire com’è andata a finire. In seguito mi sono rifatto una vita e ne avevo anche diritto". Nessuna differenza tra famiglie e tra figli, ha tenuto a precisare il cantante di Cellino San Marco: "Ho un grande amore per i miei figli di primo e di secondo letto, e non voglio che ci siano discrepanze fra le due situazioni. Quando mi esibisco con Romina, sul palco, mi trovo molto bene con lei. Poi per il resto, nel privato, adesso e da un bel po’ di tempo, la mia vita è un’altra. Questo è quanto".
Antonella Piperno per agi.it il 30 maggio 2020. "Se le cose continuassero malauguratamente ad andare male e un giorno dovessi vivere di sola pensione non me la passerei tanto bene. Il mio assegno ammonta a 1470 euro al mese, fino a qualche mese fa erano soltanto 1370. Non capisco come sia possibile visto che nella mia vita ho sempre versato i contributi, fin da quando ero contadino qui in Puglia e poi metalmeccanico a Milano". È lo sfogo consegnato all'AGI da Al Bano Carrisi, 77 anni, l'artista che le misure anticoronavirus hanno inchiodato alla sua tenuta di Cellino San Marco, annullando i suoi concerti programmati, elenca, "in Russia, Romania, Austria, Germania, Spagna, Cina, Australia". Il suo grido d'allarme, chiarisce, non è solo per se stesso, ma per tutta la categoria costretta a stringere la cinghia: "Ho calcolato che i miei risparmi mi faranno stare tranquillo per due anni. Se sono in difficoltà io, figuriamoci gli altri". Tanto che, davanti a un gesto eclatante come quello di Sandra Milo, che si è incatenata davanti a Palazzo Chigi per farsi ricevere dal premier dice: "Accedere alle stanze del potere dovrebbe essere più semplice, io per ora non ho in mente di incatenarmi, ma se ce ne fosse bisogno non mi tirerei indietro".
La grande incognita sul futuro di chi fa spettacolo. Se sulla ripresa dei concerti all'estero "c'è un grandissimo punto interrogativo", Al Bano è scettico anche sulla data nostrana del 15 giugno, quando in Italia scatterà il semaforo verde per la ripresa degli spettacoli, disciplinata da linee guida che prevedono un massimo di 200 spettatori al coperto e di mille all'aperto: "Sono in attesa di vedere cosa succederà il 15 giugno, ma mi sembrano regole inapplicabili - chiarisce - nei miei concerti vengono normalmente circa diecimila spettatori, con un massimo di mille non riuscirei a coprire neanche le spese per i tecnici". Il Covid-19, chiarisce, ha bloccato l'ingranaggio del suo business: "Con gli incassi dei miei concerti io finanzio i miei vigneti, la mia azienda vinicola, l'albergo, il ristorante e pago gli stipendi dei miei 50 dipendenti - chiarisce - adesso ho solo uscite e nessuna entrata, a parte quella, che non ripiena certo le spese, relativa al mio vino". Il "Don Carmelo" che prende il nome di suo padre, racconta, "grazie al cielo e al direttore commerciale che da tempo ha puntato sulla grande distribuzione, si sta vendendo molto bene: gli ordini di hotel, ristoranti ed enoteche sono fermi, ma nei supermercati va alla grande". Contrariamente a quanto annunciato nei giorni scorsi, il 20 giugno, grazie all'iniziativa dei suoi dipendenti, riapriranno anche hotel e ristorante della tenuta: "Ero e resto contrario, le norme per riaprire non mi sembrano garanti di una buona accoglienza - chiarisce - ma i miei dipendenti hanno insistito, si sono organizzati in una cooperativa e li gestiranno loro, a me andrà solo una percentuale". Sulla satira social che lo ha investito dopo le sua gaffe a 'Domenica in' relativa all'esternazione "sull'uomo che ha distrutto i dinosauri", chiarisce: "Volevo sottolineare la grande forza d'animo dell'umanità ma se è servita a regalare un sorriso a qualcuno in questo periodo così tragico sono comunque contento". Si è parecchio divertito anche "con la gag che mi ha dedicato Striscia la notizia e con i miei figli ci siamo fatti delle gran risate con il videogioco nato sul web ('Al Bano vs Dinos' ndr) in cui sfido con gli acuti di Felicità i dinosauri'". Incassi a parte, in questo periodo la rinuncia più grande, spiega, è il non poter cantare: "È quello che più mi manca, anche se, in compenso, il lockdown mi ha fatto riscoprire la campagna". Uno sfizio/investimento, nonostante i tempi bui, però se l'è voluto concedere: "Mi sono appena regalato altri due ettari di terreno, metà li dedicherò alla vigna, metà alla semina". In tutto adesso i suoi ettari ora sono 152.
Al Bano: “Confermo che l’uomo è riuscito a distruggere i dinosauri”. Veronica Caliandro il 30/05/2020 su Notizie.it. Ospite del programma Un Giorno da Pecora Al Bano è ritornato sull'argomento dinosauri. In collegamento con Mara Venier nel corso della puntata di Domenica In del 24 maggio, Al Bano si è reso protagonista di un’affermazione sui dinosauri che ha dato il via ad una serie di battute social in merito. “L’uomo ha distrutto i dinosauri, figuriamoci se non distrugge il coronavirus“. Sono queste le parole pronunciate da Al Bano, nel corso della puntata di Domenica In, che hanno scatenato un bel po’ di battute social. Ospite del programma Un Giorno da Pecora, con Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, il noto cantante è quindi ritornato sull’argomento e a tal proposito ha dichiarato: “L’uomo esiste ancora? Si. I dinosauri esistono? No. E allora chi ha vinto?“. Ma non solo, Al Bano ha anche svelato il motivo per cui è convinto di questa sua affermazione: “Vent’anni fa andai al museo di Storia Naturale di New York, dove vidi alcune immagini, come quelle dei meteoriti che 65 milioni di anni fa caddero sullo Yucatan. Ma fecero quel che fecero sullo Yucatan. In Puglia mi risulta che ci siano stati dinosauri ma di meteoriti non c’è n’è memoria. E poi mi ricordo quest’altra immagine che vidi: il dinosauro e gli uomini di allora che con attrezzi vari lo uccidevano. Questa immagine non l’ho mai cancellata, mi sembrava paradossale ma vera”. Per poi aggiungere: “Certo non abbiamo testimonianze oculari ma se al museo di Storia Naturale di New York hanno messo un’immagine del genere. Confermo che anche l’uomo è riuscito a distruggere i dinosauri”.
Dagospia il 27 maggio 2020. Da “Un giorno da Pecora – Radio1”. La vicenda dei dinosauri e la loro estinzione per mano dell'uomo? “L'uomo esiste ancora? Si. I dinosauri esistono? No. E allora chi ha vinto?” Al Bano Carrisi, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, oggi ha raccontato ai conduttori Geppi Cucciari e Giorgio Lauro come sia nata quella affermazione che tanto ha fatto discutere. “Vent'anni fa andai al museo di Storia Naturale di New York, dove vidi alcune immagini, come quelle dei meteoriti che 65 milioni di anni fa caddero sullo Yucatan. Ma fecero quel che fecero sullo Yucatan. In Puglia mi risulta che ci siano stati dinosauri ma di meteoriti non c'è n'è memoria. E poi mi ricordo quest'altra immagine che vidi”. Quale? “Il dinosauro e gli uomini di allora che con attrezzi vari lo uccidevano. Queste immagine non l'ho mai cancellata, mi sembrava paradossale ma vera. Certo non abbiamo testimonianze oculari ma se al museo di Storia Naturale di New York hanno messo un'immagine del genere...” Quindi secondo lei è stato l'uomo la causa dell'estinzione dei dinosauri. “Confermo che anche l'uomo è riuscito a distruggere i dinosauri”. Il cantante di Cellino San Marco, a Un Giorno da Pecora, ha poi spiegato di essersi mantenuto in grande forma durante questo periodo. “Faccio dieci km al giorno, tutti i giorni, ho perso quattro chili e ne voglio perdere altri cinque”. Si è messo a dieta? “Si, mi ci sono messo, ho fatto una dieta a base di insalate, pesce alla griglia e moltissima frutta. In particolare il mango, che amo molto”. Con la partenza della Fase 2 anche lei come molti italiani è corso a tagliarsi i capelli dal barbiere? “Non ne ho bisogno, i capelli me li taglio da solo, e lo faccio anche bene”. E come fa a tagliarseli da solo anche di dietro? “Dietro si arrangiano, tanto non li vedo...” Passiamo ad argomenti più attuali. In alcune regioni, tra cui la Puglia, a breve sembra si possa scaricare la app Immuni. Lei la scaricherebbe? “E' chiaro, certo. Anzi, potrei esser il primo a farlo”. Secondo alcuni tra lei e Loredana Lecciso sarebbe scoppiato nuovamente l'amore. “Il gossip lo lascio ad altri, facciano quello che vogliono. Ne ho le scatole piene di quanta schifezza devo leggere...”
Da leggo.it l'1 giugno 2020. Live non è la D'Urso, Loredana Lecciso conferma il ritorno di fiamma con Al Bano: «Era giusto precisare». Loredana Lecciso ospite della puntata domenicale di Live non è la D'Urso ha chiarito il suo rapporto con Al Bano confermando di aver trascorso l'intera quarantena a Cellino San Marco. Solo due anni fa dopo 18 anni insieme Al Bano e Loredana Lecciso annunciarono la rottura, ora tra la coppia è tornato il sereno. Al Bano ha annunciato al settimanale Di Più il ritorno di fiamma e con Loredana Lecciso, amore confermato da Loredana Lecciso anche a Live non è la D'Urso che ha precisato: «Al Bano è una persona estremamente schiva e riservata, siccome ho letto che ha rilasciato la dichiarazione che è riscoppiato l’amore, tra noi c’è sempre stato un bellissimo rapporto che abbiamo saputo tutelare, non è che da un giorno all’altro ha detto che siamo tornati insieme. Ha soltanto giustificato il fatto che fossimo insieme, era solo per mettere i puntini su alcune situazioni che potessero accavallarsi. Abbiamo fatto la quarantena insieme. Ha fatto chiarezza con il senso di verità che lo contraddistingue, sulla nostra situazione in maniera molto pulita e onesta. A volte la vicenda è stata travisata ed è più limpida di quella che può sembrare. Io Al Bano e i miei due figli siamo una famiglia ».
Maria Rita Gagliardi per newnotizie.it il 3 giugno 2020. In una lunga intervista rilasciata al programma di Raiuno “Io e te”, Al Bano rivela un particolare inedito della sua giovinezza: gli proposero di spacciare per guadagnare, ma disse di no. Questo pomeriggio, Al Bano è stato ospite a “Io e te”, programma del pomeriggio di Raiuno. Al padrone di casa Pierluigi Diaco, il cantante di Cellino San Marco ha rilasciato una lunga intervista, attraverso la quale ha ripercorso la sua carriera. A proposito dei suoi esordi, l’artista pugliese ha reso noto un particolare fino ad oggi inedito: da giovane, per guadagnare, gli proposero di spacciare: “Avevo questa voglia di scappare e l’ho fatto senza il consenso dei miei genitori, ma le loro voci mi hanno sempre accompagnato, sono state la mia musica quotidiana. Sono state la mia forza per andare, restando sempre vicino a loro. Quando sono arrivato a Milano, mi sono dato da fare per guadagnare tanti soldi e mandavo più soldi io in casa che quanti ne guadagnavano loro: è stata la mia vittoria. A Milano, mi proposero di spacciare. Stato facilissimo dire di no. Mio padre mi parlava di droga nei campi di Cellino San Marco, mi raccontava gli effetti sulla gente. A Milano, quando lavoravo di notte, mi proposero di spacciare per guadagnare in un giorno i soldi che guadagnavo in un mese. Gli dissi: “Sto bene con questa cifra, non sono venuto a Milano per guadagnare soldi, ma per fare un’altra cosa”. A proposito della sua amata Puglia, Al Bano ha speso parole bellissime sul suo rapporto con la terra: “La terra è la prima mamma, poi arriva tua madre. Molto spesso penso che l’uomo ha un rapporto con la terra un po’ sbagliato: si sente padrone della terra, ma noi siamo tutti ospiti della terra. È come una mamma che ti regala tutto ciò che ha. Molta gente invece ne approfitta o non ha quella sensibilità nei confronti della terra”. “Il rapporto con Dio è più solido che mai. Ho avuto un periodo in cui tutto andava in maniera diversa da come desideravo che andasse. Sapendo di essere un ottimo cristiano, non accettavo di dover vivere tutti quei disagi, tutti quei tempi lunghissimi dove vivere la tragedia. Lì ho avuto qualche contrasto con il mio amico lassù. Vivevo male due volte: sia perché stavo prendendo le distanze, sia perché non avevo più quella certezza. Se uno è un vero cristiano, capisce che anche al buon Dio hanno ucciso un figlio, anche lui ha dovuto subire un calvario. Mi sono detto che anche per me la vita è fatta di croci e sofferenze, che vanno accettate come tutte le altre cose belle. Conforto non ce n’era, era talmente violento quel mostro di dolore che non trovavo conforto. Ma ho capito questo messaggio, mi sono ricongiunto con lui e posso assicurare che sto bene”. Infine, Al Bano ha dichiarato che gli piacerebbe fare un duetto con Tiziano Ferro: “Abbiamo parlato a Sanremo, ho capito che c’è un bel feeling: Tiziano ha una grande voce ma anche una bellissima anima. Ha scritto delle canzoni fantastiche”.
Da lanostratv.it il 3 giugno 2020. Continuano le puntate di Io e Te condotto da Pierluigi Diaco e affiancato da Santino Fiorillo e Katia Ricciarelli. Oggi il conduttore ha deciso di intervistare Al Bano Carrisi, come sempre protagonista del gossip e di dichiarazioni sorprendenti riguardanti i danni causati dal coronavirus al mondo della musica leggera e alle sue tenute di Cellino San Marco. Nel corso dell’intervista, dove si è parlato di musica, del suo rapporto con la terra e i genitori, di fede e ancora di musica, il pappagallo di Io e Te (fatto di carta) ha urlato “Bravissimo, Al Bano”. Al ché Al Bano si è spaventato: “Mi ha fatto spaventare”. E Pierluigi Diaco lo ha subito tranquillizzato facendogli conoscere la mascotte del programma (oltre al suo amato bassotto Ugo).
Le lacrime di Al Bano per la figlia scomparsa: “Una tragedia”. Alice il 04/06/2020 su Notizie.it. La scomparsa di Ylenia Carrisi è una ferita ancora aperta per Al Bano, che in tv non è riuscito a trattenere le sue lacrime. Al Bano si è commosso nel salotto televisivo di Pierluigi Diaco ricordando il periodo della scomparsa di sua figlia, Ylenia Carrisi. Il cantante di Cellino San Marco è riuscito a stento a trattenere le lacrime ricordando il dramma che ha per sempre stravolto la sua vita. Non si hanno notizie di Ylenia Carrisi dal 1994 e la morte presunta della ragazza è stata fatta risalire all’ultimo giorno di cui se ne hanno notizie, il 6 gennaio. Mentre Romina Power non ha mai smesso di sperare in un ritorno di sua figlia, Al Bano ha sempre preferito evitare il doloroso argomento e ha affermato di essere convinto che purtroppo Ylenia sia morta. Nel salotto televisivo di Io e Te il cantante di Cellino si è commosso ricordando il dramma di quando la ragazzo è scomparsa: “Ho vissuto una tragedia in quel lungo periodo ho avuto un rapporto controverso con Dio, non capivo perché dovessi affrontare tutto quel dolore. Ma sono sempre stato un buon cristiano e ho capito che la vita è fatta anche di croce. Adesso ho un ottimo rapporto con la fede”, ha affermato. Al Bano ha anche confessato che spesso per non sentire dolore per la scomparsa di Ylenia, in passato si sarebbe “stordito” con l’alcool. Il dramma della scomparsa di sua figlia ha inevitabilmente incrinato anche i rapporti con l’allora moglie, Romina Power, con cui soltanto in tempi recenti Al Bano è riuscito a ritrovare un equilibrio. Romina ha trascorso la quarantena nella tenuta di famiglia di Al Bano, mentre il cantante è rimasto accanto a Loredana Lecciso sempre a Cellino San Marco.
Da notizie.it il 23 dicembre 2019. Al Bano avrebbe rivelato per la prima volta quale sarebbe stata secondo lui la fine di sua figlia Ylenia Carrisi, scomparsa misteriosamente negli Stati Uniti nel 1994 e dichiarata morta presunta.
Al Bano: la scomparsa di Ylenia. Nonostante la madre Romina Power continui imperterrita la sua ricerca della figlia Ylenia da oltre 25 anni, il padre Al Bano si è detto convinto del fatto che sua figlia sia morta e ha aggiunto che lui saprebbe per certo che a causare la morte della donna (che oggi avrebbe oltre 50 anni) sarebbe stata la droga. Secondo il cantante di Cellino San Marco infatti, proprio sotto effetto di sostante, Ylenia avrebbe tentato il suicidio in un corso d’acqua del Mississippi pochi anni prima di scomparire nel nulla. “Ho nutrito per anni la speranza, ma oggi so che se n’è andata tra le acque di quel fiume”, ha dichiarato il cantante, convinto quindi che sua figlia si sarebbe suicidata.
Al Bano ha anche detto che in preda al dolore per descrivere nella sua autobiografia il periodo legato alla scomparsa di Ylenia si sarebbe ubriacato: “Ho bevuto fino a stordirmi prima di aggiungere alla mia autobiografia la parte sulla scomparsa di mia figlia Ylenia. Poi ho chiamato il giornalista che ha collaborato con me alla stesura del libro, e ho dettato. Non ho neppure voluto rileggerlo”, ha detto. Nonostante il cantante di Cellino San Marco abbia sempre preferito non parlare dell’argomento, la sua ex moglie Romina Power non ha mai smesso di sperare che un giorno Ylenia tornasse a casa, e per questo ha lanciato numerosi appelli via social.
Francesco Fredella per "liberoquotidiano.it" il 29 marzo 2020. Gelo in studio al serale di Amici. Romina Power fa una gaffe clamorosa. Stuzzica Al Bano Carrisi, che risponde a tono con una battuta. Tutto fa pensare ad un rapporto che sia sul filo del rasoio. “Non hai dimenticato qualcosa stasera? Non hai portato la sciarpetta copri panza”, dice la Power. E Al Bano la asfalta: “L’ho lasciata a te”. Sembra che tra Carrisi e la Power ci sia molto gelo. Glaciale. Su Twitter in poco tempo il video ha fatto il giro della rete aprendo di nuovo la strada alla tesi che tra i due i rapporti siano tesi. Intanto, pochi giorni fa Loredana Lecciso ha pubblicato una foto con Al Bano, sorridenti e super complici. La somma di tutto questo farebbe pensare che la passione tra il Leone di Cellino e Loredana non si sia mai spenta (come lei ha dichiarato in tv). In definitiva: Amici con la Power e qualcosa di più grande con la Lecciso? Pare di sì.
Ylenia Carrisi: l’ultimo messaggio della figlia di Al Bano e Romina. Linda il 29/05/2020 su Notizie.it. Prima della scomparsa, Ylenia Carrisi rilasciò un ultimo messaggio che parlava della sua famiglia: le parole della figlia di Al Bano e Romina. Resta ancora completamente avvolta dal mistero la scomparsa di Ylenia Carrisi, avvenuta alla fine del 1993 a New Orleans. Nel corso degli anni si sono succedute moltissime ipotesi in merito all’allontanamento della figlia di Al Bano e Romina Power. In tanti hanno pensato che la ragazza abbia voluto far perdere le proprie tracce. Altri invece propendono per l’ipotesi di un incidente mortale, le cui cause non sono però mai state purtroppo accertate. Parlare di Ylenia Carrisi per i suoi familiari è ancora oggi molto difficile. Se papà Al Bano è convinto che sua figlia non ci sia più, mamma Romina non smette invece di cercarla. Solo pochi mesi fa, per esempio, la cantante aveva partecipato a Chi l’ha visto? per lanciare un nuovo appello con un nuovo identikit della figlia. La speranza di poterla riabbracciare è dunque per lei sempre viva, così come per i suoi fratelli. Fin da piccola Ylenia è sempre stata diversa dai suoi congiunti. Definita da tutti come uno spirito libero, ha sempre avuto una personale concezione della famiglia. Albano e Romina non hanno mai posto limiti ai loro figli, lasciandoli liberi di seguire la propria strada. Ma per Ylenia, ad ogni modo, la famiglia sembrava essere ugualmente un vincolo, come confermato da lei stessa in una vecchia intervista. Nel momento in cui le venne chiesto cosa significasse per lei la famiglia, ecco dunque la sua risposta: “È un legame non necessariamente buono. In ogni caso è un legame, una cosa da tenere in considerazione. Ti può far diventare molto egoista o farti desiderare di avere sempre una famiglia accanto”.
Da davidemaggio.it il 28 maggio 2020. Nuove rivelazioni “shock” dalla Spagna sul caso legato alla scomparsa di Ylenia Carrisi, la figlia di Al Bano e Romina Power di cui non si hanno più notizie dal 31 dicembre 1993. Da qualche tempo, il contenitore di gossip Salvame, in onda su TeleCinco, ha deciso infatti di ritornare sulla questione, analizzando luci e ombre dell’investigazione, avviata nel 2005, dalla giornalista Lydia Lozano, che aveva sostenuto – senza mai portare delle prove concrete – di essere stata contattata da una fonte in grado di dimostrare che Ylenia fosse ancora viva. Proprio lo scorso martedì, il conduttore Jorge Javier Vazquez ha rivelato ai suoi telespettatori il nome del misterioso testimone, spiazzando a dismisura Lydia, che ha lasciato lo studio in lacrime. La nuova “svolta” si è avuta quando Vazquez ha ospitato nel suo studio Toni Torrubiano, il fotografo che ha collaborato con la Lozano nell’indagine sulla Carrisi. L’uomo ha così consegnato a Jorge la documentazione che gli era stata mandata per avviare le ricerche di Ylenia a Santo Domingo, senza nascondere il nome della fonte. “L’italiano Ricardo Zucchi assicura di aver visto Ylenia Carrisi in più di 20 occasioni a Santo Domingo. Secondo quanto dice, la prima volta che ebbe l’occasione di vedere senza alcun tipo di dubbio Ylenia fu nel 1995. Dal canto suo, Ricardo aveva cominciato a frequentare l’isola di Santo Domingo perchè aveva una relazione con Luis Taveras, un tenente di polizia dominicano. Quest’ultimo era ed è il miglior amico di Alexander Suero Alvares, dominicano e marito di Ylenia. Anche se è dell’isola il suo soprannome è ‘Gringo’. Si tratta di un soggetto di 45 anni, nero, attraente e senza alcun lavoro conosciuto. E’ sempre accompagnato da una scorta della polizia nazionale (almeno 4 persone) e non si separa mai da Ylenia“ ha letto Vazquez, incurante della Lozano, fuggita dal platò dopo aver smentito (“Non è lui. Ho parlato con mille persone“) – senza troppo successo – Torrubiano (“Se non è la fonte mi sento ingannato, perché sono andato lì con questi dati“). Ad ogni modo, il documento riportava anche stralci di dialoghi diretti tra Ylenia e Ricardo Zucchi, nei quali si lasciava intendere che la donna avesse avuto dei figli dal marito Alexander (un presunto narcotrafficante). Nella puntata di Salvame trasmessa ieri, Vazquez ha mostrato ai suoi telespettatori un filmato inedito con il volto e la voce di Zucchi, identificato in seguito come un uomo del tutto inattendibile che girava attorno alla famiglia Carrisi. Il conduttore, così come tutti gli opinionisti presenti, ha dunque continuato ad insistere sul fatto che la Lozano, nel 2005, avesse montato consciamente un caso mediatico per farsi notare, senza verificare minimamente la veridicità della sua teoria.
Mikel Barsa, ex agente di Al Bano, “difende” Lydia Lozano. Tra i tanti “accusatori”, Lydia ha però trovato appoggio da parte di Mikel Barsa, l’ex agente di Al Bano. L’uomo ha infatti asserito, di fronte a Vazquez e ai suoi ospiti, che la misteriosa fonte non fosse Ricardo Zucchi, bensì un “italiano o svizzero conosciuto in tutto il mondo” che però non ha alcun legame né con Al Bano, né con la sua famiglia. In ogni caso, Barsa ha preferito non fare il nome senza il previo consenso della Lozano (ma ha mostrato il numero di cellulare a Vazquez). Tutto questo centellinare per poi “rivelare, smentire e rivelare ancora” ha il sapore della fuffa.
Al Bano: "La crisi con Loredana Lecciso superata da quattro anni". Al Bano conferma la riappacificazione con Loredana Lecciso e spiega di aver superato la crisi con la compagna da ben 4 anni. Luana Rosato, Sabato 18/04/2020 Il Giornale. Hanno fatto chiacchierare le ultime dichiarazioni di Al Bano in merito alla sua riappacificazione con Loredana Lecciso, ma il cantante di Cellino San Marco ha fatto delle ulteriori precisazioni sulla sua vita privata raccontando che il riavvicinamento con la compagna risale a molto prima della quarantena. Al Bano e la Lecciso stanno trascorrendo il periodo di clausura nella tenuta di Cellino San Marco, dove alloggia anche Romina Power. Terminato il suo impegno con il serale di Amici di Maria De Filippi, infatti, l’americana non ha potuto fare rientro negli Stati Uniti e ha deciso di trascorrere il periodo di quarantena in quel della provincia di Brindisi, nello stesso luogo in cui il suo amore con Al Bano è iniziato e si è concluso. Una quarantena particolare, dunque, per il cantante, la Lecciso e la Power, che si sono trovati a condividere gli stessi spazi nonostante tra le due donne non ci sia mai stata grande simpatia. Al Bano, però, ci aveva tenuto a precisare che la ex moglie e la compagna alloggiano in zone diverse della tenuta. “Non ho mai detto che 'manteniamo le distanze'. Con lei ho ottimi rapporti e lavoriamo insieme da anni – ci ha tenuto a sottolineare lui ad Adnkronos - . Ora è qui a Cellino nella sua casa. Qui c’è anche nostro figlio Yari mentre Cristèl sta a Zagabria con la sua famiglia ma la sentiamo tutti i giorni via Skype. Romina jr. Invece si trova bloccata ad Ibiza, sta bene e aspetta di rientrare in Italia”. Se tra Al Bano e Romina i rapporti sono ottimi, quelli con Loredana Lecciso pare siano completamente cambiati. E in positivo. In una intervista per DiPiù Tv, l’artista aveva spiegato di essere tornato insieme alla compagna e, ancora una volta, ha confermato la riappacificazione. “Io e Loredana tornati insieme? Veramente sono quattro anni che abbiamo superato la crisi – ha fatto sapere Al Bano - . Abbiamo passato momenti tosti non lo nego ma la cosa che abbiamo in comune è un forte senso della famiglia”. La scelta di non comunicare alcuna notizia riguardante i risvolti della sua vita privata deriva dal bisogno di tutelarla e dall’insofferenza del cantante nei confronti del gossip. “Non ho mai amato raccontare della mia vita privata, mi piacerebbe parlare di musica e dell'uscita dei miei prossimi album”, ha aggiunto lui, da sempre infastidito sulle continue voci che circolano sul suo conto e che, a fasi alterne, lo vedono legato a Loredana o a Romina.
Al Bano: "Io e Loredana siamo tornati insieme, le persone vicine lo sanno". Al Bano conferma la riappacificazione con Loredana Lecciso: "Siamo tornati insieme, le persone vicine lo sanno già da un po'". Luana Rosato, Venerdì 17/04/2020 Il Giornale. Com’è noto, Al Bano Carrisi e Loredana Lecciso stanno trascorrendo il periodo di quarantena insieme nella tenuta di Cellino San Marco e, proprio questa clausura forzata, pare abbia fatto bene alla coppia. Il cantante, infatti, avrebbe rivelato che lui e la ex compagna sarebbero tornati insieme. “Sono tornato con Loredana Lecciso – ha raccontato al settimanale DiPiù Tv, confermando così la riappacificazione con la showgirl - Le persone che mi sono vicine lo sanno da un po'”. Insieme a loro, anche i figli Jasmine e Bido, che stanno godendo dell'assenza di impegni del padre per trascorrere più tempo insieme a lui. Ciò che Al Bano, forse, non aveva previsto, però, era anche la presenza di Romina Power nella sua tenuta pugliese. La ex moglie, infatti, dopo aver partecipato al serale di Amici di Maria De Filippi in coppia con l’ex marito, è tornata in quel di Cellino San Marco in attesa di poter fare rientro in America. Tra lei e la Lecciso, com’è noto, i rapporti non sono sempre stati sereni ma, secondo quanto rivelato dal cantante, le due sono tenute a debita distanza. “Romina? Sì, in questo periodo anche lei vive a Cellino San Marco, ha una casa qui, nella mia tenuta, ma manteniamo le distanze – ha precisato lui - . Voleva a tutti costi tornarsene in America, ma Trump ha bloccato tutti i voli. Benedetta donna, mi sa che dovrà rassegnarsi a stare in Italia per un po’”. La Power, infatti, pare che non abbia intenzione di rimanere a lungo in Italia e, non appena possibile, tornerà in America dal fratello Tyron. “Romina non vede l’ora di tornare negli Stati Uniti, in California, dove c’è anche suo fratello Tyrone Power Junior: la sua vita è là”, ha aggiunto ancora Al Bano. In attesa della partenza di Romina, dunque, i tre dovranno continua a convivere negli stessi spazi, ma la Power pare stia alloggiando in una zona ben distante da quella che ospita la Lecciso. Intanto, in attesa di nuove disposizioni, il cantante sta godendo della sua terra e rispolverando l’animo da contadino. “Da buon contadino mi sveglio al mattino, cammino nei boschi, tra gli ulivi e la vigna, al cospetto del dio sole e di madre natura – ha spiegato - . Prendo le precauzioni che vanno prese e vado avanti”.
Vieni Da Me, Jasmine Carrisi svela un'indiscrezione su Al Bano e Loredana Lecciso: "Quel bacio..." Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 21 Febbraio 2020. Sicuramente Al Bano e Loredana Lecciso sono rimasti a casa davanti alla tv, per gustare l’intervista della bellissima Jasmine, ospite di Caterina Balivo. Lei, appena 18enne, è già un fenomeno sui social. Davanti a sé, la figlia di Al Bano e della Lecciso, ha una vita intera piena di successi e soddisfazioni. A Vieni da Me apre il cassetto dei ricordi raccontandosi senza filtri e senza segreti. Gli autori della trasmissione preparano un quiz per lei, simpaticissimo. Così, alla domanda sul primo bacio tra Al Bano e Loredana la bellissima Jasmine risponde in mode secco. Senza perdere un colpo. “Si sono baciati sotto un albero di limoni...”, racconta Jasmine. Tra Al Bano e Loredana c’è una sintonia che fa invidia a tutti. Ma la piccola di casa Carrisi precisa: “Papà è più severo di mamma, ma nonostante ciò sono abbastanza libera. Trovo sempre la formula giusta per chiedere le cose. Papà non si fa raggirare facilmente”, precisa raccontando la sua vita. Poi ricorda nonna Jolanda (la mamma di Al Bano, morta pochi mesi fa). “Mia nonna mi è sempre stata vicina, sempre aiutata, come una colonna. Mi manca tanto. E’ stata dura, ma non ha mai perso la lucidità, sempre guidato la macchina, sempre mossa e cucinato e per questo la ricordo in maniera positiva. Ha tentato di insegnarmi a cucinare, ma a livello morale era sfacciata, non si preoccupava del giudizio degli altri”.
Anticipazione da Oggi il 12 febbraio 2020. «Lo spazio sul palco non è casa tua, non puoi farci quello che vuoi. E in quella canzone il bacio non c’entrava niente. E poi non sono un ruffiano. Non so farlo. Non sono capace». Così Albano Carrisi commenta con OGGI, nel numero in edicola da domani, la complice e acclamata esibizione con Romina Power al Festival di Sanremo. Il settimanale, in edicola da domani, pubblica anche delle foto esclusive in cui si vedono il cantante di Cellino e l’ex moglie lasciare insieme il Teatro Ariston e il giorno successivo ancora insieme a Sanremo. «Nei giorni di Sanremo abbiamo condiviso tanti momenti sul palco e fuori. Certe cose non abbiamo bisogno di dircele. Basta uno sguardo», dice il cantante a OGGI. E riguardo alla calorosa accoglienza del pubblico del Festival, dove sono stati ospiti d’onore: «Non capita tutti i giorni di vedere tutto l’Ariston in piedi per te. È stata una grande emozione per tutti e due». Il cantante spiega anche perché non ha partecipato alla gara: «Io ho la “sanremite” acuta. Quando penso al Festival mi scatta dentro il brivido della competizione. Ma io sono italiano, ho vissuto Sanremo fin da piccolo. Romina no. Lei è americana. Non capisce perché le canzoni debbano stare in gara. È stata irremovibile. Il suo veto era totale, assoluto».
Dagospia il 15 gennaio 2020. Da I Lunatici Radio2. Albano Carrisi è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Albano ha raccontato: "Il mio 2020 è iniziato alla grande. So già quello che farò fino al 29 dicembre, tra musica e televisione. Mi sento una energia incredibile. Grazie a Dio. La fiction con Lino Banfi? Stava arrivando, poi non so cosa è successo. C'è stata una retromarcia, dei ripensamenti. E' una cosa strana, era già tutto pronto, non ho capito bene cosa può essere successo. Abbiamo parlato tanto, letto copioni, sembra tutto a buon punto, poi è calato il silenzio. Nessuno mi ha dato una spiegazione, ma pazienza. Non è il mio mestiere, lascio andare come è giusto che sia. L'amore? Per la famiglia, la musica, la mia terra, la natura. L'amore c'è sempre". Albano poi ha svelato un incredibile retroscena: "Nel 1961 a Milano qualcuno mi propose di fare il corriere della droga. Lavoravo in un ristorante, vicinissimo al Duomo. Qualcuno mi vide solo e sperduto e provò a incastrarmi. Mi chiesero quanto guadagnassi al mese, mi dissero che avrei potuto guadagnare molto di più consegnando delle buste ad alcune persone. Io risposi di no, dissi che stavo bene così come stavo. Pensavano di poter comprare tutto con i soldi. Questo era il significato di quella proposta. Ma grazie a Dio mio padre mi aveva vaccinato bene contro certi pericoli. E' la proposta più assurda che mi sia mai stata fatta. Anche in Spagna, una volta, alle Canarie, un ragazzo mi offrì della marijuana. Ma io detesto la droga. Preferisco ubriacarmi di albe, tramonti. Quella per me è la vera droga. Gli elementi di vita che regalano vita. E mi dispiace vedere tanta gente che si abbandona facilmente alle emozioni di un paradiso che paradiso non è". Sul festival di Sanremo: "Il più bello per me fu quello della prima volta. Il 1966, Sanremo giovani. C'era anche Lucio Dalla, che vinse. Poi la seconda volta fu nel 1968. Io cantavo la siepe. Ritrovarmi big mi fece un effetto pazzesco. Quel festival me lo porterò per sempre addosso". Sugli hater: "Certe volte sui social leggo delle cose che mi fanno male. Gli italiani mi vogliono bene, ma c'è chi mi dice delle cose bruttissime. Mi chiedo cosa gli abbia fatto mai di male. Poi con la maschera dell'anonimato. Una cosa che andrebbe studiata dal punto di vista psicologico. Alcuni hanno un astio nei miei confronti che non riesco a capire. Secondo me se la prendono con la mia età".
Maria Volpe per “il Corriere della Sera” il 28 giugno 2020. A vederla così, senza sapere i suoi natali, sembra una ragazza come tante altre: 19 anni, fresca di maturità, molto carina, con sogni nel cassetto. Ma lei è Jasmine Carrisi. Mamma: Loredana Lecciso. Padre: Al Bano Carrisi. Chissà in quanti le avranno detto: «Non fare musica, sei la figlia di...ti attaccheranno». Ma siccome il destino è lì per quello, Jasmine vuole fare la cantante. E venerdì è uscito il suo primo singolo «Ego».
Jasmine, l'ha fatto un po' apposta...
«Ho sempre voluto fare musica, fin da piccola...».
E i suoi genitori?
«Ci tengono molto che io studi, ma mi hanno fatto in bocca al lupo».
E quindi che si fa?
«Provo con la musica. Ma andrò anche all'Università».
Insomma un piano B se va male il singolo?
«In qualche modo sì, però sono felice degli studi che comincerò: "Relazioni pubbliche e comunicazione d'Impresa" a Milano».
Così ha accontentato mamma e papà.
«Sì però entrambi avrebbero preferito che facessi l'Università a Lecce. L'idea di Milano, specie a mia mamma, proprio non va. Lei è super protettiva, pensa sempre al peggio, si fa le paranoie. Mio padre un po' meno... Del resto c'è bisogno di staccare il cordone ombelicale».
Come è stata la sua infanzia a Cellino?
«Molto bella. Mi sono sempre trovata meglio a Cellino che a Lecce. Frequentavo anche Lecce per gli studi: è una bella città. Ma Cellino è stato ed è il mio nido».
Che vita ha fatto?
«Mio padre ci portava spesso in giro quando andava in tournée. Ho vissuto l'atmosfera dei concerti dietro le quinte. Eravamo piccoli io e mio fratello (detto "Bido", l'altro figlio di Al Bano e Loredana, ndr ) e ci divertivamo».
E mamma?
«Non ama viaggiare, veniva poco. L'unico viaggio tutti e quattro insieme è stata una vacanza alle Canarie».
A Cellino sono venuti da suo padre tanti personaggi noti: qualcuno l'ha colpita?
«Papà organizzava un festival musicale a Cellino, ma io ero troppo piccola per ricordarlo. Ricordo invece qualche anno fa Checco Zalone che è venuto a trovarci: mi ha divertito moltissimo».
Un incontro musicale importante?
«Mio padre all'Arena di Verona mi ha presentato Bocelli. Mi ha colpito molto perché penso che rappresenti l'Italia, anche se non seguo il suo genere musicale».
E la musica di suo padre la segue, la ascolta?
«No, assolutamente».
E lui ci resta male?
«No, però vorrebbe che lo seguissi un po' di più, ma proprio non ci riesco».
E lei Jasmine la sua musica gliela fa ascoltare?
«Ci provo. Qualche rapper gli piace, ma i testi che parlano di droga e alcol lo spaventano».
Alcuni testi incitano alla violenza contro le donne. Dicono frasi irripetibili.
«Ma non è la musica a dover educare i ragazzi. Io grazie alla mia educazione so che consumare droga e alcol è sbagliato e non sarà certo un pezzo di un cantante a stravolgermi il pensiero».
Parliamo del suo «Ego», brano rap con influenze pop. Al Bano il 14 giugno, per festeggiare i suoi 19 anni, l'ha fatto uscire in anteprima su Radio Norba. Dunque gli è piaciuto?
«Sì, gli è piaciuto. Anche a mamma, fratelli e sorelle».
Le musiche sono del maestro Alterisio Paoletti, storico collaboratore di suo padre.
«Si sente nella musica che c'è una base di stampo classico, ma in senso positivo: non ha usato suoni finti e elettronici, ma strumenti veri per fare le basi. E non si usa più».
I testi invece sono suoi: parlano di interiorità e attaccano l'esteriorità.
«È un invito a guardarsi dentro e a non prendere in giro gli altri senza essere costruttivi».
È qualcosa che ha vissuto sulla sua pelle?
«In giro c'è molto cattiveria. io sono tranquilla e mi faccio i fatti miei, eppure mi ritrovo in mezzo ai pettegolezzi. Questo sì mi ha dato fastidio, però mi ha fatto crescere».
Domani esce il video diretto da Mauro Russo, regista di molti videoclip di grandi artisti italiani.
«È stato registrato a Cellino. Bellissime immagini».
Ha messo in conto una delusione?
«Cerco di non avere aspettative. Vediamo come va».
Davanti a un insuccesso che fa: molla o ci riprova?
«Ci riprovo e ci riprovo. Io voglio fare musica».
Barbara d'Urso, doccia fredda in casa di Al Bano: il figlio Yari Carrisi condannato per averle augurato la morte. Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 16 ottobre 2020. Yari Carrisi è stato condannato dopo la frase choc che pubblicò diversi mesi fa (il 21 aprile) sui social contro Barbara d’Urso. Alla conduttrice augurò la morte. Improvvisamente. Il motivo? Non si sa, forse soltanto perché a Pomeriggio 5 Carmelita parlò per prima del riavvicinamento tra Al Bano e Loredana Lecciso (notizia, tra l’altro, vera e confermata di fatti degli ultimi tempi). All'improvviso, però, la reazione di Yari Carrisi fu assurda. Il figlio di Al Bano pubblicò un post con il quale augurò la morte alla d’Urso. Assurdo. Una frase che non dovrebbe mai essere pronunciata o scritta. Mai. La d’Urso, dopo quell’episodio, ha ricevuto l’affetto di tutto il pubblico e di milioni di follower sui social. Ai danni di Yari Carrisi è stato emesso dal Tribunale un decreto penale di condanna. Si tratta di una responsabilità accertata in sede penale di giudizio, visto che su Instagram Carrisi jr ha leso l’onore della d’Urso. Una condanna che rende giustizia alla conduttrice di Canale 5.
La vita in diretta, "ci va sempre mio padre": Yari Carrisi, cannonata contro il padre Al Bano. Libero Quotidiano il 29 settembre 2020. Siamo a La vita in diretta, il programma di Alberto Matano su Rai 1. E nella "parte pop" del format, nella puntata di martedì 29 settembre, ecco che l'ospite d'onore è Yari Carrisi, figlio di Al Bano Carrisi. Si parla dei figli d'arte e Matano manda in onda un filmato che raccoglie alcuni esempi. Dunque, il collegamento con Yari Carrisi, che punta il dito contro la discriminazione che subirebbero i "figli di" che provano a sfondare nel mondo dello spettacolo a causa del loro cognome ingombrante. E, nel farlo, Yari Carrisi si è spinto in una piccola provocazione nei confronti del padre. Quando gli hanno chiesto come mai non avesse ancora partecipato al Festival di Sanremo, Yari infatti risponde: "Non posso andare a Sanremo perché ci va sempre mio padre". Insomma, da parte di Yari una sorta di richiesta ad Al Bano di fare un passo indietro? E ancora, parlando del papà e di Romina Power, Yari ha aggiunto: "Non li vogliamo emulare. Certo, vorremmo cantare con loro, ma rispondevamo solo a una domanda. Noi vogliamo cantare con tutti, specialmente coi nostri familiari". Staremo insomma a vedere...
Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 27 settembre 2020. Impossibile non fare confronti. Perché i loro volti sono quasi sovrapponibili. E lo saranno ancora di più venerdì pomeriggio, il 2 ottobre, al Faro di Punta Palascia a Otranto, quando si esibiranno in un «concerto spirituale»: lui chitarra, tambura, harmonium indiano e voce, lei harmonium, campane tibetane e voce. Eseguiranno mantra dell'Himalaya e canzoni della cultura Peace Love Meditation, aspettando l'alba lunare. Thea (Crudi) & Yari (Carrisi) come Al Bano e Romina: 32 anni lei, 47 lui, uniti nella vita e nella musica.
Yari, il confronto con i suoi genitori è inevitabile: peraltro vi assomigliate proprio.
«Mio padre e mia madre sono stati una coppia talmente potente, powerful , per usare il cognome di lei, che è difficile uscire fuori da quella luce. Sono il simbolo della coppia e chi vuole trovare una somiglianza con noi si ritrova una strada asfaltata». Thea interviene: «La storia che hanno avuto i suoi genitori è un dono, quindi è bello poter essere loro amici».
Come vi siete conosciuti?
«Avevo scritto un programma che si chiama Pellegrinaggi, pilgrIMAGES in inglese: lo avevo preparato in India tra il 2018 e il 2019. A maggio avrei dovuto filmare la puntata zero, ma poi è successo quello che è successo e così mi sono messo a cercare persone in Italia da includere nel progetto. Su Internet ho trovato Thea, che ogni giorno faceva un'ora di diretta. Ho aspettato che venisse per un concerto in Puglia e sono andato a sentirla con mia madre».
E come è stato?
Risponde Thea: «La cosa bella è che quel giorno un mio caro amico, il maestro spirituale Giorgio Cerquetti, mi aveva detto che avrei dovuto conoscere Romina. Di Yari non sapevo nulla, non ho la tv a casa e non la guardo mai. E invece al secondo incontro mi sono trasferita da lui a Otranto. Mi ha chiesto: tu cosa vuoi fare? E io ho risposto: voglio vivere con te».
Yari, la storia si ripete.
«Se volete davvero paragonarci a mio padre e a mia madre, allora facciamo alla coppia degli anni 60-70, prima di Felicità , quando tra loro c'era collaborazione vera, scrivevano pezzi insieme, musica di alta qualità che in Italia non ha mai preso piede, ma all'estero sì: penso ad album come Atto I, 1978 , Aria pura . Erano dei veri spiriti liberi».
Che cosa ha preso dai suoi genitori?
«Da mio padre la miopia, ma dovrei dire anche la voce (confermiamo, ndr). Durante un concerto mi prese in contropiede dicendomi che avrei potuto fare le stesse cose che fa lui... Era un bel complimento. Da mia madre l'inglese shakespeariano».
Lei e Thea volete cantare i successi di Al Bano e Romina?
«Più che altro vorremmo cantare "con" Al Bano e Romina. Stiamo aspettando di trovare il pezzo giusto, che ci veda coinvolti anima e cuore, al di là di un ritornello». E qui si inserisce Thea: «Quando hai un diamante prezioso lo vuoi dare alle persone giuste con il messaggio giusto. Con Romina abbiamo già cantato insieme Don't Worry, Be Happy : un testo spensierato con un messaggio spirituale. Per noi è importante utilizzare, in senso buono, la nostra unione per trasmettere un messaggio che alzi il livello di coscienza degli altri».
Thea, va d'accordo con sua suocera?
«Per me è una cara amica, una donna meravigliosa, un esempio di donna cara e amorevole con la quale condivido l'interesse per la spiritualità».
Yari, ha presentato Thea a tutta la famiglia?
«Manca solo Cristèl, si sono parlate per telefono. Ad agosto Mogol è venuto a Cellino San Marco per festeggiare da noi il compleanno. Mio padre ci ha chiesto di esibirci davanti a lui, c'era anche mia madre. Abbiamo cantato Il mio canto libero e Mogol ha voluto spiegare il significato profondo del testo e ci ha chiesto di eseguirla di nuovo per farla riascoltare con maggiore consapevolezza».
Lei ha collaborato con molti artisti: da Renato Zero a Sean Lennon, da Jovanotti a Allen Ginsberg.
«Con lui eravamo vicini di casa a New York. L'ho visto per ultimo, sono entrato nel suo appartamento quando stava abbandonando il corpo: sono stato investito dalla sua anima, come un'onda d'acqua. Da lì sono partiti una serie di eventi che mi hanno portato in Tibet».
Il suo incontro con Thea è relativamente recente, ma sembrate molto uniti.
«Noi siamo insieme da molte vite. Il nostro è un reincontro, ci siamo ritrovati. E abbiamo deciso di condividere un lungo pezzo di strada».
Anticipazione stampa da “Oggi” l'8 ottobre 2020. «A mio figlio Yari e alla sua fidanzata Thea auguro l’amore che abbiamo avuto io e Romina, ma con un finale diverso. Io e Romina abbiamo vissuto gioie e tragedie, per loro vorrei un percorso netto, senza drammi». Nel numero di OGGI in edicola da domani, Al Bano Carrisi parla del suo "ragazzo", che ha messo su un duo canoro con la nuova fidanzata Thea Crudi (in arte Thea Mantra). E su «The Voice senior» (in onda da novembre), dove farà il coach in coppia con la figlia Jasmine: «Non vedo l'ora! Anche se torno un po’ mogio dalla Spagna, dove mi sono esibito per Antena 3: senza pubblico, con le mascherine e le distanze, sembrava più uno studio medico che un set televisivo». Infine, stuzzicato su eventuali progetti di nozze con la Lecciso, risponde: «Io e Loredana siamo sposati mentalmente. Quando hai un “matrimonio di mente”, a cosa ti servono le carte, i timbri? Certo, potrei cambiare idea, ma poi dovrei convincere a Loredana a sposarmi. Anche lei è contraria alle nozze».
· Alba Parietti.
Lucia Esposito per "Libero quotidiano" 21 dicembre 2020. Alba Parietti smaschera gli stronzi. Quei maschi che seducono e poi scappano. Affascinanti e pericolosi, bugiardi patologici e traditori seriali, manipolano i sentimenti e mortificano gli altri per gonfiare il proprio ego. Sono i narcisisti. Ogni donna ne ha incontrato almeno uno nella vita, Alba ne ha incrociati tanti. Li ha studiati così bene che ha scritto un libro su di loro. S' intitola La cacciatrice di narcisi. Mai dare soddisfazione agli stronzi (Baldini+Castoldi, 182 pp., euro 18): è il racconto dei suoi incontri-scontri con fidanzati, pretendenti, approfittatori e finti amici; c' è anche l' analisi del narcisista che non va liquidato come uno che ha qualche problemuccio di egocentrismo ma è un caso patologico. Questo libro è anche e soprattutto un manuale di autodifesa. Un "bugiardino dei bugiardoni" che aiuta le donne a riconoscere questi uomini e a scappare. Oppure a restare assumendosene i rischi. È un invito a non considerare l' uomo come unico obiettivo della propria vita, a volersi più bene.
Come possiamo riconoscere un narciso?
«Il narciso si presenta come un benefattore, una persona interessata a te, cerca di capire quali sono le tue debolezze per poi usarle contro di te quando deciderà di sottrarsi. Ti metterà su un piedistallo, ti illuderà di aver trovato il principe azzurro e di essere la sua principessa. Interpreterà alla perfezione il ruolo dell' uomo che hai sempre sognato salvo poi, improvvisamente, cambiare atteggiamento con una modalità che ti farà sentire prima disorientata e poi inadeguata».
Si è chiesta perché lei ne ha incontrati così tanti? Non crede di essere anche lei un po' narcisista?
«È molto semplice: questi uomini sono attratti dalle donne empatiche. Io sono sicuramente egocentrica ma sono fortemente empatica, soffro per gli altri e non mi è mai piaciuto far soffrire».
Quanto c' entrano la sua bellezza e il fatto di essere famosa?
«Più il piatto è ghiotto, più sei una donna forte, indipendente e libera, più il gusto del narciso nell' affossare la tua personalità sarà un meraviglioso regalo che farà al proprio ego. Spesso questi uomini si nutrono anche di donne affrante e bisognose, però il vero trofeo è prendere una donna di grande carisma e ridurla a uno zerbino».
Lei scrive che spesso le donne sono le peggiori nemiche delle donne. Secondo lei perché.
«Perché le donne hanno un bisogno costante di approvazione. L' uomo - che ha tutti i difetti del mondo - nutre una forma di solidarietà verso gli altri maschi. Non tradisce perché vuole sentirsi migliore di un altro. Sa quante amiche mi hanno tradito solo per una lusinga? È molto facile far cadere una donna mettendola a confronto con un' altra dicendole: "Tu sei meglio di"». Anche le donne, allora, sono narcisiste.
«La forma di narcisismo femminile è un po' meno diffusa ma spesso è anche peggiore perché una signora è pronta a tutto per appagare la propria vanità. Tradisce anche sua madre, sua sorella».
Come possiamo uscirne?
«C' è continua battaglia basata sul desiderio maschile. Tanto tu sei più giovane e più bella, tanto più le altre donne ti vedranno come una nemica. Questo nasce perché tu non hai certezza di te e così il primo cretino che passa ti mette in discussione. Le donne debbono imparare a costruirsi una propria identità forte e puntare alla propria indipendenza».
Lei è femminista?
«Non sono una femminista perché non considero gli uomini una razza superiore. Le battute sessiste mi scivolano addosso. Penso che le vere battaglie da fare siano quelle per il lavoro, gli asili, bisogna fare in modo che le donne possano denunciare un uomo violento e sentirsi tutelate. Detto questo, nessun uomo deve mai mai alzare le mani su una donna, ma noi dobbiamo imparare a rispettare noi stesse e a non apparire né essere comprabili».
Fa riferimento al caso Genovese?
«Certo. Conosco una delle ragazze coinvolte e ripeto: un maschio non deve mai permettersi di usare violenza, ma ci sono delle responsabilità delle famiglie molto gravi. Queste ragazze devono imparare a pensarsi come regine e non cortigiane, a essere libere e indipendenti. Perché un maschio che commette violenza è uno stronzo ma la donna che si mette in una condizione di ricattabilità è una cretina».
A 18 anni lei che cosa avrebbe fatto al posto di quelle ragazze?
«Andavo in giro con vestiti leopardati e facevo di tutto per sembrare disinibita, avevo molte ambizioni. Ma al mattino frequentavo il liceo e, dopo aver studiato, al pomeriggio andavo a guadagnarmi pochi soldi in una radio locale. Non sono mai salita su una Porsche a quell' età».
Non ha mai ricevuto proposte indecenti?
«Sono l' unica donna a non aver mai ricevuto la vera proposta indecente. Ho incontrato tanti coglioni, incluso lo sceicco arabo di cui parlo nel libro, che hanno cercato di comprarmi e che ho goduto a respingere. Ecco, in questo sono narcisista: mi piace rifiutare chi crede che io sia in vendita. Ho incontrato gli uomini più potenti, da Agnelli a Berlusconi, e sono stata sempre rispettata».
Ma non tutte sono in grado di difendersi.
«Infatti io difendo le donne che sono in una situazione di difficoltà e non hanno gli strumenti per difendersi, ma non quelle che sono disposte a diventare della merce. In questi giorni sto assumendo una ragazza senegalese bellissima che potrebbe fare la modella. Ma lei accetta di fare la colf perché cerca un lavoro non un uomo».
Cosa dobbiamo dire alle ragazze?
«Che l' unico modo per essere felici è esserlo con se stesse. Ho capito che la mia favola è la mia vita».
Lei dedica il libro al suo ex Giuseppe Lanza di Scalea che non annovera tra i narcisi. Che cosa aveva di speciale?
«Con lui e con Alessandro Stepanoff ho capito che cos' è l' amore. La loro vanità non era mai messa davanti al nostro rapporto».
Però le storie sono finite anche se loro non erano narcisi...
«La passione è finita ma è rimasta una bellissima amicizia. Quando Giuseppe è morto, ho perso un punto di riferimento».
Con Cristiano De André e Bonaga?
«Ci vogliamo molto bene e siamo rimasti amici. Cristiano è un fratello minore e Stefano un parente stretto. Però con loro ogni tanto la lite ci scappa».
Nel libro parla anche di Mourinho.
«Sarebbe stato il mio sogno. Non ci siamo mai visti, ma c' è stata una conoscenza attraverso i social molto divertente e lui è stato un gran signore».
Ezio Bosso?
«L' uomo più affascinante, istrionico e complicato che abbia conosciuto in vita mia. Preferisco non dire altro».
Lambert?
«È stata una storia molto passionale e divertente ma sarebbe stato meglio se l' avessimo vissuta una volta sola. Non ha funzionato riscaldare la minestra dopo 20 anni».
Mi dice un politico narciso?
«Faccio prima a dirle chi non lo è».
Berlusconi?
«È l' uomo più buono e simpatico che abbia conosciuto. È anche il più generoso. Sono pazza di lui. Negli anni ho capito che perfino nelle sue storie più assurde non ci ha mai messo della cattiveria, semmai è stato mal consigliato. E molte persone oggi lo rimpiangono».
La sinistra come sta?
«È ancora alla ricerca della sua identità».
Ha mai pensato di fare politica?
«Me lo hanno chiesto e ci ho pensato a lungo. Ma amo troppo la libertà per tuffarmi in un incarico che va fatto con la massima serietà».
Un suo rimpianto?
«Ho rifiutato di firmare un contratto da nove miliardi per lavorare in esclusiva con Berlusconi. Lui stava fondando Forza Italia e pensai che sarebbe stata una limitazione alla mia libertà di pensiero. Bonaga che era con me era tutto contento, io uscii da quell' incontro convintamente e inutilmente povera. Fu una scelta senza senso anche perché poi quell'anno lavorai più con Berlusconi che con la Rai».
Non ne va fiera?
«Bonaga dice che dovrei dire che l' ho fatto per coscienza. Ma non riesco a mentire nemmeno a me stessa: non riesco a essere fiera di un sacrificio inutile».
Da liberoquotidiano.it il 13 dicembre 2020. Un dramma, quello che Francesco Oppini ha raccontato a Silvia Toffanin, nel corso dell'ultima puntata di Verissimo, quella in onda su Canale 5 sabato 12 dicembre, in cui si è presentato in studio insieme alla madre, Alba Parietti. L'origine del dramma è la morte della sua fidanzata, Luana, scomparsa quando lui aveva appena 20 anni. Episodio terribile che, ovviamente, ebbe pesantissime conseguenze. "Inizialmente, io non sapevo neanche dove fossi. Non so ancora bene come ho fatto a uscirne. I miei genitori, Giuseppe e i miei amici mi hanno raccolto da terra e mi hanno fatto tornare a vivere. Poi è arrivata Cristina. Quando l'ho rivista dopo il Gf Vip mi sono messo a piangere, è stato molto bello", ricorda Oppini, in un racconto toccante e durissimo. Dunque, sulla separazione dei genitori, Alba Parietti e Franco Oppini, spiega: "Quando si sono lasciati i miei genitori io avevo tra gli 8 e i 10 anni, ma non mi hanno fatto sentire il distacco. Mia madre aveva preso una casa a due chilometri da mio padre, così io potevo scegliere dove stare. Sulla morte di Giuseppe Lanza di Scalea mi devo un attimo trattenere. È stato la storia più importante di mia madre, dopo mio padre. È stata una persona importante per me anche dopo il rapporto. Da lui c'era solo da imparare", ha concluso Francesco Oppini.
Maria Corbi per “la Stampa” l'11 novembre 2020. Alba Parietti entra nella casa del Grande Fratello Vip come mamma di Francesco Oppini. E il confronto tra lei e il figlio, 39 anni, diventa virale sui social. Dove brilla anche la rissa con Antonella Elia asfaltata da una battuta che archivia la tanto citata solidarietà femminile nella casella delle pratiche incompiute: «La mia età è certa. Mentre tu sei una donna di una certa età», le dice . E sono soddisfazioni. Certamente lo è molto di più pubblicare un altro libro. Titolo: La cacciatrice di Narcisi (in uscita per Baldini+ Castoldi il 19 novembre). Sottotitolo: «Mai dare ragione a uno stronzo». E allora la prima domanda è obbligata. Ma come signora Parietti, proprio lei accusa i maschi di essere narcisisti. Qualcuno direbbe «da che pulpito». «Io non sono narcisista, ma egocentrica. Come spiego nel libro il narcisismo è una patologia seria non un banale difetto del carattere. E se proprio vogliamo usare questo termine anche per me allora diciamo che il mio è un narcisismo benevolo».
Il suo manuale aiuta le donne a riconoscere un narcisista. Ci sintetizzi i segnali del pericolo.
«Lui ti cerca se non ti vede e scappa se sei presente. Non è empatico e gode della mortificazione altrui».
Posso dire che lunedì in studio al Grande Fratello anche lei sembrava godere della mortificazione di Antonella Elia?
«Posso diventare spietata e molto cattiva ma solo per ritorsione. La paragono a Baby Jane, una spietata bambina vecchia».
Ha tirato fuori le unghie per difendere suo figlio Francesco che però qualche critica se la è tirata con quelle sue frasi maschiliste sulle donne, non crede?
«Certo, e sono stata la prima a condannarlo. Gli uomini quando sono tra di loro perdono il controllo. E anche un ragazzo come Francesco cresciuto da me nel culto della parità di genere e del rispetto alla fine scivola. Non per difenderlo, ma se mi riprendessero 24 ore al giorno qualche cazzata uscirebbe anche a me. E la stessa Elia ne ha dette di peggio sulle donne, come quando ha dato della "gatta in calore" alla Gregoraci».
Suo figlio le ha detto in diretta «ti voglio bene».
«Non so se era la prima o la seconda volta che me lo diceva. Siamo torinesi e non siano abituati ad aprire le nostre emozioni. Sono sempre stati i fatti quello che contano».
Ultima domanda su Francesco e sui baci sulla bocca dati all' altro concorrente Tommaso Zorzi.
«A me urta di più quando mio figlio si inerpica in giustificazioni inutili. Se ha voglia di baciare un uomo che lo baci. Sono retaggi culturali di cui non siamo in grado di liberarci».
Torniamo al libro. I protagonisti delle storie li ha nascosti dietro a nomi di fantasia Tutti suoi fidanzati?
«Molti. Ho messo solo i nomi di chi potevo parlare bene. Vorrei che il libro mantenesse una sua eleganza. Ma leggendo le storie in molti possono riconoscersi o essere riconosciuti. E alla fine c' è un breve romanzo autobiografico, "In to the wild"».
Non ho trovato, per esempio, il nome di Stefano Bonaga, il filosofo con cui ha avuto una lunga storia. E nemmeno quello di Christopher Lambert. Presumo che siano quindi nella lista dei Narcisi "cattivi"?
«A Bonaga voglio un bene dell' anima. Il nostro rapporto si è basato sulla vanità reciproca. Questo vale anche per Christopher. Davanti al proprio ego perdono il lume della ragione e non possono volerti veramente bene».
Tra i «buoni» chi mettiamo?
«Giuseppe Lanza di Scalea è stato l' uomo migliore che io abbia mai incontrato. La sua scomparsa, il mese scorso, è un dolore difficilmente rimarginabile. Siamo sempre rimasti vicini. Lo lasciai presa da una passione».
Dalla sicurezza di un bel rapporto immobile all' instabilità di uno travolgente? Per citare le sue parole nel libro?
«Ho pagato i conti di queste scelte. Se penso a un compagno della vita oggi non è certo quello che mi ha fatto impazzire. Quando arrivi a 60, con la menopausa che è una benedizione e ti rende più lucida, cambiano le tue priorità. Io rivorrei la serenità che ho avuto con Giuseppe. Ma sono consapevole che non c' è una persona come lui».
Tra i citati c' è anche Mourinho.
«Un signore. Si creò un pettegolezzo assolutamente falso su di noi che io assecondai con una battuta. E lui non mi fece fare la figura della cretina».
Cita anche padre Georg...
«Eravamo nella stessa carrozza in treno e lo fissai tutto il viaggio. In stazione me lo presentarono e io gli chiesi l' assoluzione per aver fatto pensieri peccaminosi su di lui. Non ho mai fissato tanto un uomo in vita mia».
La ha assolta?
«No. Mi chiese se mi ero pentita. E io non lo ero».
Dagospia il 3 novembre 2020. Da raiplayradio.it. Alba Parietti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte, dalla mezzanotte alle sei del mattino.
La Parietti ha parlato un po' di se: "Come sto vivendo questo momento? Cerco di informarmi il più possibile, vivo a Milano, qui la situazione è pesante, ho molti amici medici, molti amici che lavorano negli ospedali, le notizie non sono rassicuranti. E' allarme rosso, forse è più facile curarsi rispetto a prima, conosciamo di più questo virus, ma sul numero delle persone che vengono infettate poi si arrivano al disastro, bisogna stare attenti, bisogna che si infettino il minor numero di persone possibile. Le strutture sanitarie non sono messe bene, bisogna evitare che arrivino al collasso, ogni gesto che facciamo è responsabilità per la comunità. Bisogna stare attenti, non creare danni al prossimo, tenere altissima la guardia".
Sul momento che stanno attraversando le donne: "Con il lockdown le donne pagano un prezzo ancora più alto. Sono madri, casalinghe, se un bambino rimane a casa quasi sempre ricade su una donna. A novembre uscirà il mio libro sui narcisisti, il titolo iniziale è "La cacciatrice di narcisi", ne ho incontrati tantissimi, un diluvio universale di narcisi. Ho incontrato pochi uomini che mettessero la vanità in secondo piano rispetto alla loro identità. Ho conosciuto di rado uomini in grado di rinunciare alla loro vanità per un amore. Spesso la vanità negli uomini la fa da padrone. La vanità ferisce e mortifica. E in un narcisista è l'unico motivo di vita, perché i narcisisti non ne hanno altri".
Ancora sugli uomini: "Nel mio libro racconterò il peccato ma non il peccatore. Se c'è mai stato qualcuno che ha fatto cilecca a livello sessuale con me? Tranne un paio, giuro, tutti! Rassicuro i futuri, se ce ne saranno mai. E soprattutto sono proprio i narcisisti che hanno fatto spesso cilecca. Hanno una tale aspettativa su se stessi che si caricano di una grossa aspettativa. Comunque, almeno l'ottanta percento degli uomini che sono stati con me hanno fatto cilecca al primo colpo. Non racconto quasi mai i miei fatti personali, soprattutto sessuali, credo che il sesso si faccia e non si racconti. Diciamo che poi si sono molto rifatti nel tempo, ma la prima volta è stata abbastanza complicata per tutti. Ma non perché fossero innamorati, ma perché pensavano 'ho la Parietti, devo dimostrare il mio valore'. Una volta Sgarbi disse che io sono un monumento nazionale, e che se dovessi rifarmi qualcosa, dovrei chiedere il permesso alle belle arti".
Sui miliardari che chiedono indietro regali fatti alle fidanzate: "Lo trovo volgare. Già un uomo che ti fa regali tanto costosi, non mi piace. Molti uomini, soprattutto ricchi, pensano che fare regali importanti equivalga a comprarsi le persone. Non solo le donne, ma anche gli amici. Io non ho mai accettato regali costosi, ho amato solo i regali molto pensati. Evidentemente queste persone hanno un senso di mercificazione dei rapporti".
"Non ne posso più di essere offesa": Alba Parietti all'attacco dell'ex marito. Botta e risposta tra Franco Oppini e l'ex moglie Alba Parietti dopo l'ingresso al Gf Vip del figlio Francesco. L'ex marito accusa la showgirl di protagonismo, lei replica difendendo il suo ruolo di madre e sui social è bagarre. Novella Toloni, Martedì 22/09/2020 su Il Giornale. Volano stracci tra Alba Parietti e l'ex marito Franco Oppini. L'ingresso nella casa del Grande Fratello Vip di loro figlio, Francesco Oppini, ha riacceso vecchie acredini tra i due che ora mettono in piazza le loro divergenze. Motivo del contendere l'incursione telefonica della Parietti in diretta nella serata di ingresso nella Casa di Francesco. Lei si è giustificata: "L’intento era favorirlo e toglierlo dall’imbarazzo di difendermi con la contessa"; l'ex marito però la attacca: "Ogni tanto fai più la madre ed evita di essere la Parietti" e in tutto questo - a farne le spese - è stato il figlio, passato in secondo piano. Ospite di Domenica Live Franco Oppini non si è risparmiato dall'accusare la ex di voler offuscare il figlio durante il reality, chiamando in diretta e prendendosi tutta la scena: "Ogni tanto dico lascialo un po' respirare 'sto ragazzo. Non è più un bambino ha quasi 40 anni". Le parole di Oppini non sono proprio piaciute ad Alba Parietti, che ha deciso di replicare all'ex marito nel luogo per eccellenza degli sfoghi, i social network: "Non ne posso più di essere offesa". Dura e decisa, la showgirl allo "sputtanamento immotivato" non ci sta e con un lungo post è passata al contrattacco, difendendo il suo ruolo di madre single: "Io credo, nel bene e nel male, di essere stata una buona madre e aiutato mio figlio sempre. Sono sempre stata al suo fianco e spesso da sola. Sono stata poco ringraziata per questo, ma solo criticata e ingiustamente. I conflitti li hai con chi passa la vita con te non con chi vedi poco e a distanza". Alba Parietti ha ribadito che la telefonata in trasmissione le era stata richiesta e che, nonostante la perplessità, ha trovato simpatico intervenire. Ben vengano dunque le critiche alla sua decisione, ma l'attacco frontale dell'ex compagno Alba proprio non lo giustifica e così ecco riemergere vecchi dissapori e rancori giovanili: "Non capisco perché ogni volta trovo Franco inelegantemente a fare commenti negativi su di me. Non credo proprio di meritarmelo e soprattutto mancandomi di rispetto come sempre. Si tende sempre malamente a sfruttare il mio nome, dicendo che sono io a sfruttare mio figlio addirittura, al quale, mai farei del danno. Perché sciacquare vecchie ruggini il primo giorno sulla pelle di Francesco? Giuro che mi viene da piangere a sentire il mio ex marito che dovrebbe sostenermi, continuare a sputtanarmi ingiustamente, appoggiato da personaggi piccoli e inutili". Nel chiudere il suo lungo commento di sfogo sulla sua pagina Instagram Alba Parietti si è detta amareggiata da tutta la situazione e a Oppini ha lanciato l'ultima stoccata: "Spero Franco almeno si renda conto che non può far pagare a Francesco i vecchi rancori nei miei confronti evidentemente mai sopiti".
Dagospia il 9 ottobre 2020. Da Radio Cusano Campus. L’attrice Alessia Fabiani è intervenuta ai microfoni della trasmissione “Cosa succede in città”, condotta da Emanuela Valente su Radio Cusano Campus. Sulle parole di Francesco Oppini al Gf vip (“Alessia Fabiani l’ho lasciata io, non ci sentiamo più”). “Ormai sono passati una ventina d’anni. Sono felice che abbia ancora questa memoria. Sinceramente non lo sto seguendo e non sapevo che avesse parlato di me. Non è assolutamente vero che mi abbia lasciato lui, così come il fatto che io gli lasciavo le rose in concessionario, qui ha romanzato, io non ho mai comprato rose a nessuno, sono allergica alle rose. Inoltre non è vero che io avessi un brutto rapporto con Alba Parietti, avevamo davvero un bel rapporto. Mi fa strano che lui aveva sempre detto che lui non avrebbe mai fatto tv e io amavo questa cosa. Invece si è contraddetto e questo un po’ mi dispiace, evidentemente è cambiato e non ce l’ha fatta a non sentire questa voglia di venir fuori in qualche modo”. Sul ritorno in tv. “Io in tv faccio solo quello che mi piace e che mi va di fare. Scelgo quello che non è troppo impegnativo, che non va a rompere degli equilibri. Ho trovato la mia serenità in teatro e non mi va di tornare indietro sul personaggio Alessia Fabiani. La tv di oggi ha dei contenuti davvero… semplici, sono stata buona”. Gli effetti della pandemia sul teatro. “Purtroppo la sala dimezzata è ormai la realtà del teatro –ha affermato-. E’ giusto denunciarlo, in modo che ci sia una spinta che convinca ad andare a teatro. Il teatro è sicuro, i posti sono distanziati, non c’è alcun rischio. Senza il pubblico il teatro viene ucciso. Mi ha fatto particolarmente effetto partecipare ad una prima senza vedere tanta gente”. Riguardo ai suoi figli. “Quando ho iniziato la mia carriera artistica avevo la stessa età dei figli, 8 anni, chissà che anche loro non possano replicare la mia esperienza. Non c’è niente di studiato e calcolato. Se anche loro avranno una spinta artistica sono contenta perché saprei come indirizzarli. Ma io faccio quello che i miei genitori hanno fatto con me, cioè lasciar decidere a loro cosa vogliono fare”.
Alba Parietti: Io non credo di dovere spiegazioni a nessuno, ma oggi mi trovo a commentare mio malgrado , l’ennesimo sputtanamento immotivato da parte di Franco Oppini alla mia persona. Io credo che nel bene e nel male di essere stata una buona madre e aiutato mio figlio sempre. Sono sempre stata al suo fianco e spesso da sola . Sono stata poco ringraziata per questo , ma solo criticata e ingiustamente . Fare la madre e il padre negli anni dell’adolescenza spesso sola non e’ facile. Ma Francesco è molto carino ed educato. I conflitti li hai con chi passa la vita con te non con chi vedi poco e a distanza. Non capisco perché ogni volta trovo Franco inelegantemente a fare commenti negativi su di me. Non credo proprio di meritarmelo e soprattutto se Franco non vuole si parli di me per dare spazio a Francy , sarebbe opportuno che non parlasse affatto sopratutto mancandomi di rispetto come sempre . @barbaracarmelitadurso sa che le ho chiesto durante @livenoneladurso di non parlare mai di @grandefratellotv per lasciare che lui abbia lo spazio che merita. La telefonata mi è stata richiesta , ero perplessa ma l’ho fatta perché ero stata più volte citata ed è’ stata simpatica. Sono amareggiata dal fatto che si tenda sempre malamente a sfruttare il mio nome , dicendo che sono io a sfruttare mio figlio addirittura , al quale , mai farei del danno. Perché sciacquare vecchie ruggini il primo giorno sulla pelle di francesco? Non lo capisco non lo capirò mai. Giuro che mi viene da piangere a sentire il mio ex marito che dovrebbe sostenermi , continuare a sputtanarmi ingiustamente, appoggiato da personaggi piccoli e inutili come la Cascella che vivono sparlando del nulla e di ciò che non conoscono. Non mi sembra questo il modo di aiutare @francesco_oppini_82 , vecchia storia e triste purtroppo. Sono amareggiata . Spero Franco almeno si renda conto che non può far pagare a Francesco i vecchi rancori nei miei confronti evidentemente mai sopiti . Ma perché poi mi domando ? Cosa ho fatto? Trovo molto peggio invece di parlare della bella figura che Francesco sta facendo , di buttare cattiverie su di me . Mi spiace davvero tantissimo.
Da leggo.it il 21 settembre 2020. La giornalista aveva commentato la condivisone con la frase "un pube sbattuto in faccia", ma la Parietti ha voluto difendere l’amica cantante, ingaggiando una lite con lei. Fra accuse e battutine, la Collovati ha commentato: “Io faccio la giornalista, non so qual è il tuo lavoro. Minigonne, seduta sugli sgabelli, poi parli di cronaca nera, poi vai al bagno a farti le foto. Che lavoro fai?” Il battibecco è stato interrotto dalla conduttrice, poi la Parietti ha parlato del caso che l’ha vista ultimamente protagonista, cioè delle foto postate sui social con sospetto di fotoritocco: “La maggior parte della persone che postano - ha spiegato - hanno voglia di vedersi al meglio, i paparazzi vogliono sorprenderti al peggio. Le foto erano a mezzogiorno, sotto al sole…”. La Collovati sottolinea che fino a poco tempo prima la Parietti aveva parlato di “accettarsi per come si è”, e Alba non ha gradito: “Sei un rumore di sottofondo, una poveretta”.
Valeria Morini per tv.fanpage.it il 21 settembre 2020. Battibecco a Live – Non è la D'Urso, con protagoniste due primedonne senza peli sulla lingua. Nella puntata del 20 settembre si sono scontrate Alba Parietti e Caterina Collovati, nell'ambito di un dibattito che si è concentrato sull'esposizione del corpo femminile sui social, tra body shaming e filtri Instagram, ponendo a confronto chi nasconde le imperfezioni e chi le mostra con orgoglio. La Collovati, che già via social aveva criticato lo scatto con le forme di Arisa in primo piano, è tornata ad attaccare la cantante: "Quella è la foto di un pube, si piace a gambe aperte?". La sua posizione non è piaciuta alla Parietti: A quel punto, è scoppiata la bagarre, a colpi di insulti: "Nemmeno io ho capito che lavoro fai tu", ha incalzato la Collovati, "Sei passata dagli sgabelli, oggi commenti cronaca nera e tre minuti ti metti in bagno per fare una foto. Dobbiamo ascoltare continuamente i tuoi vaniloqui. La tua arroganza è nota. Pensa a fotografarti meno". Non meno sferzante è stata la Parietti: Hai mai pensato di andare da un analista bravo? Stai dando uno spettacolo terribile, basso livello. Un discorso da sciacqualattughe… Discutere con te non mi fa onore, preferisco chiuderla qua. Tra le due, del resto, ci sono vecchie ruggini. A maggio 2020, Caterina Collovati si era risentita con la Parietti, che aveva contratto il coronavirus ed era risultata positiva dopo un'ospitata a Live – Non è la D'Urso in cui era presente anche la giornalista: "Se Alba Parietti si erge a scrupolosa cittadina, consapevole più degli scienziati della gravità del virus, le ricordo che ha compiuto un’azione molto grave, visto che esisteva l’obbligo di segnalare i casi e di mettere in allerta i contatti avuti". La risposta di Alba non si era fatta attendere: Mi tocca mio malgrado di occuparmi di una persona per la quale non nutro nessuna stima. Io mi sono ammalata inconsapevolmente, senza potere avere diagnosi come quasi tutti, nonostante le enormi attenzioni e precauzioni. (…) Non c’erano protocolli di comportamento, ho mantenuto dopo distanziamento sociale e tutto ciò che potevo, infatti i miei più stretti collaboratori non sono stati contagiati nonostante la convivenza. Nel caso specifico della signora Collovati mi limito a dire che da lei il distanziamento l’ho praticato molto prima del coronavirus perché la ritengo una persona insopportabile, cattiva d’animo e poco intelligente.
Da oggi.it il 25 luglio 2020. Alba Parietti, in vacanza a Ibiza, mette in mostra sui social le sue gambe da urlo. In versione riveduta e corretta. Nelle immagini esclusive del settimanale Oggi, infatti, la showgirl 59enne appare per come è nella realtà. Non perfetta, ma bellissima. Solo che poi lei posta le immagini simili sui suoi social. Con molte, moltissime differenze: guardare per credere…
ALLA SOGLIA DEI 60 ANNI - Vederla su Instagram, stretta in un costume intero, con lo stacco coscia degli anni d’oro, fa urlare «Wow!». Il problema è che l’Alba Parietti che vediamo in questi giorni sui social è un po’ diversa da com’è davvero. La base è reale, perché a 59 anni Alba è splendida; ma c’è un “tocco” artificiale.
CON IL GIOVANE AMICO INSEPARABILE - Si mette in posa su un pontile di Ibiza. Il violinista Cristiano Urso, giovane amico da cui è inseparabile, la ritrae in pose sexy; poi, lei scorre le immagini, seleziona quelle migliori e le pubblica sui profili social. Il raffronto con la realtà dimostra, però, che prima d’andare in Rete le foto vengono migliorate, la pelle viene levigata, le masse un pochino rassodate e modellate ad arte. Tra i suoi follower (sono 312 mila) qualcuno la sgrida: «Perché? Sei bellissima come sei».
Dagospia il 26 luglio 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, noto con piacere che il settimanale “Oggi”, da sempre impegnato ad alzare il livello del gossip, dopo aver celebrato aulicamente le chiappe sode di Olivia Paladino, compagna del premier Conte, svela al mondo, attraverso alcune mie foto rubate a Ibiza, che i personaggi famosi, talvolta, migliorano i propri scatti prima di pubblicarli sui social. Certo, magari una donna di 59 anni presa con la luce peggiore e l'angolazione peggiore non è l'esempio più adatto a sostenere la tesi. Un tempo si sarebbe detto che non è nemmeno il massimo dell'eleganza. E, credo, sarebbe stato più eclatante smascherare qualche ventenne che utilizza gli stessi escamotage. In ogni caso suggerisco al direttore Brindani, che certamente è un uomo di spirito, di istituire il premio “culetto d'oro dell'estate” diviso, per onestà intellettuale, nelle categorie “under” e “over”. Mettendomi, ovviamente nelle “under”. Ci tengo ancora, come dimostrano le foto che pubblico, a sentire “i complimenti del playboy” quando vado al bar.
La Parietti "ruggisce" dopo gli scatti dei paparazzi: "Avete scelto le foto peggiori". Alba Parietti pubblica gli scatti dei paparazzi a Ibiza e si domanda se siano stati scelti quelli peggiori per la pubblicazione sul settimanale, visto che la differenza con quelli condivisi da lei è notevole. Francesca Galici, Sabato 25/07/2020 su Il Giornale. Alba Parietti è una splendida showgirl vicina alla sesta decina. Ha compiuto 59 anni lo scorso 2 luglio ma il tempo che passa non ha intaccato la sua bellezza. Si mostra sempre bellissima su Instagram e non nega di piacersi, così come ha più volte ammesso di provare piacere nel piacere. Non c'è nulla di male per una donna che da decenni calca i palcoscenici più importanti della televisione italiana e che da sempre è abituata a essere un sex-symbol. Eppure anche lei è caduta nelle maglie dei paparazzi durante la sua recente vacanza estiva e gli obiettivi dei fotografi sono stati impietosi nei suoi confronti. Osservando gli scatti condivisi dalla showgirl sui suoi profili social e quelli pubblicati dal settimanale Oggi la differenza è notevole e non può essere negata. Per quanto Alba Parietti sia una bellissima donna in entrambe le versioni, le fotografie dei paparazzi la mostrano al naturale, senza pose e senza filtri, che lei stessa ha ammesso di utilizzare quando condivide le foto sui social. Non è certo un reato, anzi, tanto più che sono soprattutto le giovanissime a utilizzare gli artifici elettronici offerti dagli smartphone e dalle app per migliorare la loro immagine, levigando la pelle e spesso modificando i lineamenti. Dopo il clamore suscitato dagli scatti pubblicati sul settimanale, Alba Parietti è voluta intervenire in prima persona nella polemica e non l'ha fatto cercando di negare l'evidenza ma mostrando un'altra prospettiva dalla quale guardare questa vicenda. "Ohhhhh allora Oggi pubblica le foto fatte ovviamente a mia insaputa sulla spiaggia di #ibiza. Ecco il "re è nudo" , finalmente avete le foto non selezionate, con la luce del sole a picco (per la cronaca la luce peggiore) dall’angolazione peggiore, senza ritocchi, anzi magari scelte impietosamente tra le peggio?", esordisce la showgirl pubblicando una selezione degli scatti pubblicati sul settimanale. Secondo lei, per fare pià clamore, sarebbero state scelte le fotografie più impietose tra quelle del servizio e così lei stessa ha deciso di pubblicarle, non senza una vena polemica nei confronti di tutti quelli che, sotto ogni sua foto, la accusano di abusare del fotoritocco: "Ecco finalmente la 59 enne senza filtri, anzi al suo peggio. Volevo farvi passare un bel sabato sera. Fatevi una risata e passate un felice fine settimana". Effettivamente gli scatti dei paparazzi non sono patinati, non sono filtrati ed evidenziano quelle che sembrano delle imperfezioni ma ai fan di Alba Parietti lei piace comunque, anche senza artifici digitali.
Da liberoquotidiano.it il 14 maggio 2020. “La tv mi ha dato della Cassandra e non mi ha più invitato”. Parola di Alba Parietti. Che adesso è arrabbiatissima. La sua intervista a Oggi è di fuoco. L’attrice e opinionista, che da anni presenzia i salotti televisivi Rai e Mediaset, è scomparsa dai radar della televisione da un mese e mezzo. Il motivo sarebbe legato al Coronavirus. Insomma, Alba l’avrebbe contratto ai primi di marzo e di non essere stata più chiamata in tv. Oggi, però, sta bene. Le sue dichiarazioni hanno spaccato il mondo della televisione. Infatti, alcuni utenti della Rete (sempre molto attenti) si sono resi conto delle sue ospitate ai primi di marzo, quando la pandemia non era ancora scoppiata. E hanno attaccato duramente la Parietti. Che ha sempre raccontato di aver mantenuto le distanze sociali, utilizzando guanti, mascherina e gel igienizzante in ogni spostamento. “Gli altri mi hanno preso in giro: ‘Alba, non fare l’esibizionista’. In tv, nei talk show, ero l’unica a prendere sul serio il coronavirus e ho litigato con virologi, che minimizzavano”, tuona sulle colonne di Oggi. Ma per lei sarebbe arrivato un brusco stop alle ospitate. “Mi hanno detto che terrorizzavo la gente, che ero una Cassandra rompiscatole. E nessuno mi ha più invitato nei programmi sull’argomento”. Ma a Vieni da me, il programma della Balivo, la Parietti è tornata sull’argomento (e anche in televisione) facendo chiarezza. “Probabilmente - ha spiegato - ho avuto il coronavirus qualche mese fa, ma ho avuto sintomi lievissimi e mi sono messa subito in autoisolamento. Non chiesi il tampone, perché mi sembrava immorale vista l'emergenza sanitaria. Recentemente ho fatto il test sierologico e ho scoperto di essere immune. Quindi ho ricondotto il covid a quell'alterazione. Ho deciso di donare il mio plasma per i malati di coronavirus”.
Da leggo.it il 6 maggio 2020. Ospite a Carta Bianca, Alba Parietti ha rivelato di aver avuto il coronavirus e di essere guarita, ma di averlo scoperto solo ora. Tutto è iniziato il 9 marzo quando sono comparsi i primi sintomi, compresa la febbre alta curata con la Tachipirina. “Mi sono chiusa in camera, sigillata, isolandomi dal resto della mia famiglia. Ho fatto una quarantena autonoma per quattordici giorni, per scelta mia” ha detto. Su Instagram ha poi aggiunto: “Ho scoperto di essere stata sicuramente infettata, dopo un mese e mezzo, grazie un test sierologico fatto a pagamento in una clinica”. Quel test però non era preciso, così si è rivolta al San Matteo di Pavia dove contro il Covid-19 si sta portando avanti con successo la cura sperimentale con il plasma dei guariti. Le analisi hanno confermato che Alba oggi è guarita e che ha gli anticorpi neutralizzanti. Da qui la scelta di donare il suo plasma per aiutare gli altri pazienti.
Lettera di Caterina Collovati a Dagospia il 6 maggio 2020. Ieri sera ho ascoltato atterrita la favoletta della signora @albaparietti, andata in onda a #Cartabianca su Rai 3. A parte il fatto, che d’un tratto si è scoperto che la Parietti rientra nel novero dei virologi di maggior spicco del Paese. Parla di anticorpi neutralizzanti, plasmaforesi con la naturalezza del medico che ha speso la propria vita in corsia, non nei salotti tv. Fin qui , mi direte, si può cambiar canale. Meno male non l’ho fatto. Sono sconvolta, perché esattamente il giorno antecedente la comparsa dei sintomi di cui riferisce, ero con lei ed altri, presente alla trasmissione Mediaset, Live Non è la D’Urso. La signora Parietti racconta di aver avuto il giorno dopo, il 9 marzo, febbre, mal di gola ,spossatezza e di aver deciso autonomamente di mettersi in quarantena comprendendo le difficoltà degli ospedali e degli ambulatori medici. Mi chiedo come mai, abbia omesso di avvertire da sola o tramite Mediaset, tutti coloro i quali la domenica 8 marzo , erano venuti in contatto con lei. Se la memoria non mi tradisce si trattava della sottoscritta, di Gianluigi Nuzzi, Candida Morvillo, Carmelo Abbate , Mario Giordano, senza dimenticare trucco, parrucco e l’intero staff che a quell’epoca ancora circolava negli studi. Se Alba Parietti si erge a scrupolosa cittadina, consapevole più degli scienziati della gravità del virus, le ricordo che ha compiuto un’azione molto grave, visto che esisteva l’obbligo di segnalare i casi e di mettere in allerta i contatti avuti. Parla di quarantena volontaria, chiusura in una stanza per evitare di infettare la domestica, salvo uscire molto rapidamente dalla camera, infilarsi il vestitino, e recarsi da Barbara D’Urso a Live il 22 marzo nemmeno allo scadere del 14 esimo giorno di clausura e il 29 marzo ancora. Ora , fortunatamente, a me non è successo nulla, agli altri non so, ma vorrei smetterla di sentire lezioni su come ci si comporta, sull’utilità della mascherina e su quanto sono stupidi gli italiani, tranne lei, ben inteso.
DAGO-AGGIUNTA: Il 6-7 marzo, due giorni prima della partecipazione a ''Live-Non è la D'Urso'', e tre giorni prima dell'apparire dei sintomi, Alba Parietti era a Courmayeur con Cristiano De André, sulle piste, nei rifugi e nei bar e ristoranti. Avrà avvertito gli avventori della nota località sciistica?
Alba Parietti a Dagospia il 6 maggio 2020: Mi tocca mio malgrado di occuparmi di una persona per la quale non nutro nessuna stima. Io mi sono ammalata inconsapevolmente, senza potere avere diagnosi come quasi tutti, nonostante le enormi attenzioni e precauzioni. Ho sempre mantenuto le distanze , dal giorno 8 mi sono truccata da sola . Le norme non imponevano, da nessuna parte , ancora mascherine obbligatorie e io le mettevo comunque . Rompevo le scatole al mondo intero con disinfettanti, distanziamento e precauzioni. Di questo mi e testimone anche la stessa Sala trucco, produzione, ufficio legale ecc ... alla quale ho chiesto con insistenti messaggi e ottenuto con spirito enormemente collaborativo di avere materiale di protezione e prevenzione . Di questo sono testimoni la produzione, i colleghi degni di essere definiti tali da @candida Morvillo che viene citata senza essere stata interpellata a Nuzzi, ai microfonisti che non ho mai avvicinato come le ragazze della produzione da prima del 9 marzo. Ero al limite della paranoia. Io non mi sognerei mai di puntare il dito contro qualcuno che inconsapevolmente mi avesse contagiato perchè per alcune persone sono state tragedie , immense e totalmente involontarie. A tutti può essere capitato di sottovalutare problema, nessuno fino all’8 usava adeguatamente protezioni. Non c’erano .Nessuno si metteva in quarantena per un raffreddore. Io sì. Non c’erano protocolli di comportamento. Ho avuto poche linee di febbre , un giorno , ho fatto auto isolamento volontario e ho mantenuto dopo distanziamento sociale e tutto cio che potevo , infatti i miei piu stretti collaboratori non sono stati contagiati nonostante la convivenza. Nel caso specifico della signora Collovati mi limito a dire che da lei il distanziamento l’ho praticato molto prima del corona virus perchè la ritengo una persona insopportabile , cattiva d’animo e poco intelligente. Quindi escludo con lei qualsiasi contagio possibile. Detto questo ho fatto 14 giorni di isolamento volontario per un sintomo, di un giorno che chiunque avrebbe sottovalutato e non dichiarato. Fine della questione che la qualifica per quello che e sempre stata. Una donna che vive dicendo cattiverie inutili.
Dagospia il 6 maggio 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Gentilissimi colleghi, non mi sembra opportuno essere ricoperta di ingiurie, offese e insulti lesivi della mia immagine e dignità dalla signora Alba Parietti. Evidentemente le mie parole hanno colpito nel segno. Ho semplicemente sottolineato l’omissione della segnalazione che mi pareva doverosa e mi riguardava. In quanto se Alba Parietti fosse stata una persona civile come dichiara di essere, avrebbe certamente saputo come comportarsi. Quanto alle distanze dalla sottoscritta, sono siderali e questo per me è motivo di orgoglio: non essere stimata dalla signora Parietti è una medaglia che mi appunto fieramente sul petto.
PS. Decida era febbriciattola o Covid? come ci ha raccontato ieri sera. Cordialmente Caterina Collovati.
Selvaggia Lucarelli: "Alba Parietti con il coronavirus, cosa non torna". Date, foto e ospitate in tv, coincidenze molto sospette. Libero Quotidiano il 7 maggio 2020. Dopo Caterina Collovati, anche Selvaggia Lucarelli mette in dubbio il contagio da coronavirus dichiarato da Alba Parietti. A non tornare, spiega la Lucarelli, sono le date nella confessione rilasciate dalla Parietti a #Cartabianca di Bianca Berlinguer, messe a confronto con i post pubblici sui social della showgirle e le sue presenze in tv. Alba ha dichiarato di aver avvertito i primi sintomi del Covid il 9 marzo e di essersi messa in auto-quarantena per 14 giorni ("chiusa in camera, non sono mai uscita per mia scelta") e di aver scoperto di aver avuto effettivamente il coronavirus tramite un test sierologico un mese e mezzo dopo. Come fa notare la Lucarelli in un lungo articolo su TPI, la Parietti il 7 marzo era a sciare a Courmayeur e l'8 ospite a Live Non è la D'Urso. Il giorno dopo, evidentemente, si è sentita male. Ci può stare, ma perché nonostantei 14 giorni di quarantena dichiarati il 22 marzo, appena 13 giorni dopo i primi sintomi, era di nuovo in studio dalla D'Urso? "Inoltre - continua la Lucarelli - è tornata in studio, in tv, il 29 marzo, senza aver fatto tamponi e di nuovo senza sapere se era contagiosa o no. Infine, in una foto Instagram del 10 marzo, quindi dopo un giorno dalla comparsa dei sintomi, chiede dove può andare a donare il sangue. Strano per una che da 24 ore pensa di avere il Covid. Ma lei si giustifica dicendo che 'era per il futuro'". Coincidenze molto sospette. Anche perché in pieno isolamento, ed evidentemente con un po' di apprensione per le proprie condizioni, il 20 marzo Alba scrive: "La vita scorre ugualmente: un film, ginnastica in casa, tinta comprata al supermercato, piccola uscita di 5 minuti col cane, cuciniamo…". Non esattamente clausura.
Alba Parietti il 7 maggio 2020: L’immancabile @selvaggialucarelli si accoda. La foto che ha pubblicato , non è nemmeno pubblicata in quelle date , (solita mistificazuine e voglia di perseguitarmi ), non c’entra con il periodo di autoquarantena e io non sono affatto uscita di casa. Ripeto sono stata 2 settimane chiusa in una stanza. Sally è uscita con il cane 5 minuti, io nel giardino di casa mia da sola , dopo qualche giorno , in casa mia ripeto, il resto del tempo chiusa, relegata sola in una stanza con sintomi ridicoli , senza febbre , subito dopo poche ore, ma comunque io non la incontravo, non incontravo nessuno. In casa con la mascherina tutti sempre . Infatti la mia colf ha 65 anni sta benone.. Mi accusa di non avere fatto il tampone , ma a chi l’avrebbero fatto con 37 e 6 per un giorno? Se me l’avessero fatto avrebbe detto che avevo privilegi che nessuno aveva. Nessuno ti faceva un tampone , nemmeno a 38 per giorni e sintomi peggiori. Ho avuto il buon gusto di non chiederlo. Auto isolamento come mi sembrava opportuno senza indicazioni , perché all’epoca non si parlava di asintomatici e sembrava un banale raffreddamento. Nonostante ciò ero sola chiusa e attentissima. Nessun infetto. Non basta .Insomma la Lucarelli e la Collovati sono perfettamente allineate nel cercare di infangarmi e come ha già fatto con la DeSio riportando post , è alla ricerca di qualcuno da fare odiare. E che lei me l’abbia giurata lo testimonia il suo accanimento che ci ha portato in tribunale . Per me testimoniano le persone , il mio comportamento testimoniato dal fatto che non ho infettato nessuno, con la massima attenzione anche senza avere avuto sintomi , da Candida Morvillo, presente a Mediaset , che contraddice @Caterina Collovati dalla mia collaboratrice che convive con me ed è’ sana e mai stata contagiata con distanziamento, attentissimo autoquarantena di due settimane in casa senza nessuna diagnosi , ma sintomi simili a un raffreddamento qualunque ( se avessi avuto scheletri avrei tolto le foto ) pubblica foto fuori dal periodo e dal contesto e come sempre cerca di farsi pubblicità , salvo poi querelarmi se le rispondo. @selvaggialucarelli . Leggetevi il post su fb di @candida Morvillo.
Alba Parietti il 7 maggio 2020. La foto utilizzata per screditarmi ed è il caso di dire “ smascherarmi “ pubblicata dalla mia migliore amica @selvaggialucarelli sulla sua pagina , dove io sarei uscita , ( tra l’altro dietro casa mia con il cane ) dichiarandomi invece in autoquarantena risale esattamente al 16 aprile . 1 mese e 5 giorni dopo il mio unico giorno di febbre e fuori ovviamente dall’auto quarantena di due settimane ripeto volontaria e praticamente asintomatica salvo 1 giorno . . Ecco la grande autorevolezza e credibilità delle sue fonti, per altri accessibili anche ai più fessi. Solito lavoretto di mistificazione . Parlerò con il mio avvocato . Vediamo se possiamo farci in altre 4/5 cause inutili. Dice “Non c’è evento su cui Alba Parietti non abbia qualcosa da dire o su cui abbia un’esperienza da raccontare a telecamere accese, per cui anche in piena emergenza Covid si ripete lo stesso schema” ..... Salvo il mio tentativo di andare a fare la spesa bardata con mascherina e guanti , da me raccontato ingenuamente in assenza di sintomi ,m@selvaggialucarelli infatti non perde il colpo , non c’è evento che mi riguardi dove lei non cerchi di intromettersi con la sua solita carica di veleno , salvo poi querelarmi se le rispondo a tono . Anche le notizie sul suo aborto raccontato ( dove per altro avevo fatto un post di solidarietà per onestà intellettuale ) erano fatti suoi personali, così come quelle dei suoi libri sui suoi fidanzati, ma evidentemente quando parla di se stessa non se la fila nessuno e non riesce a ottenere attenzioni. Quindi ben venga per lei continuare a scrivere male , malissimo di personaggi famosi che interessano all’opinione pubblica. Tutti hanno diritto a campare. Lei cita morti e funerali , in modo sibillino , ma lei si accoda molto volentieri sempre e da sempre. Poi magari ti trascina in tribunale chiedendoti risarcimenti record. Anche quello fa cassa...e soprattutto le permette di esistere, male ma di esistere.La Berlinguer non solo ha verificato il racconto ma da ben 15 giorni aveva il risultato del mio sierologico e tutte le mie analisi complete del giorno prima al San Matteo che confermavano il precedente.
Alba Parietti il 7 maggio 2020. I primi di marzo se dicevi di avere 37 e 6 per poche ore e supponevi di essere stato contagiato , ti prendevano tutti in giro , mio figlio per primo, nessuno mi dava retta , ti dicevano che eri ipocondriaca, detto questo@bianca.berlinguer aveva al contrario di ciò che dice quella cara persona di @selvaggialucarelli le mie analisi da quindici giorni del sierologico. “E qui iniziano i problemi. La redazione del programma, probabilmente fidandosi della Parietti, non verifica il racconto e la Parietti, “ viceversa tutto coerente . Due settimane esatte di auto isolamento. Senza avvicinare,mai nessuno l’11 ? Sono andata in giardino ,a casa mia Poi ? Chiusa in camera sempre. Sally e’ anziana sono stata attenta per scrupolo. Il 18 si , sempre attentissima, bardata a fare spesa , che non ho fatto perché c’era rischio di non rispettare distanze sono stata solo all’aperto in una strada di campagna. Distanziata . . Il responso l’ho avuto per mio scrupolo a solo 15 giorni fa..,Analisi fatte privatamente. I sintomi lievi all’epoca considerati poco indicativi quasi inesistenti . Per inesperienza generale . Nessun protocollo da seguire fino ad allora il assenza di sintomi . Sono uscita una volta in sicurezza sola con guanti , mascherina e guanti a cercare di fare la spesa, per non fare uscire Sally , che era molto preoccupata , sono tornata subito a casa perché c’era gente , fila con distanziamento , non volevo , rischiare , ho poi optato per farmela portare a casa e a loro ho spiegato il perché con una telefonata al supermercato. Mai contattato da vicino nessuno nonostante stessi bene. Ho riflettuto sul da farsi e abbiamo aspettato di avere la certezza della diagnosi del SanMatteo di Pavia. Che non solo confermavano la presenza di anticorpi igg ( 150 di anticorpi neutralizzanti) ma anche l’assenza, come da esame precedente di contagio alla mia convivente collaboratrice @cartabiancarai3 verifica le fonti , ma sopratutto io e @bianca.berlinguer ci fidiamo e ci rispettiamo a vicenda . In ogni caso ho voluto io fornirle tutti i documenti. Che dite verrò bruciata viva ? Non ho nulla da rimproverarmi. Ne riparleremo da Bianca martedì prossimo @instarai3
Selvaggia Lucarelli il 7 maggio 2020. “Avevo i sintomi. Sono stata chiusa in camera in quarantena dal 9 marzo per 14 giorni”. (vedere le date dei post) Peccato che il 18 raccontasse di essere andata al supermercato e di non uscire da una settimana, quindi dall’11. Il 22 era in tv, in studio. E non commenterò, dico solo che ognuno è libero di raccontare quello che vuole e la tv di credergli ( il problema non è credere al test ma alla storiella della quarantena in camera), ma qui ci sono migliaia di morti e una tragedia senza fine. C’è bisogno di rigore, onestà e sobrietà, non si può giocare.
Tutto quello che non torna nel racconto di Alba Parietti sul Coronavirus. Da tpi.it il 7 maggio 2020. Non c’è evento su cui Alba Parietti non abbia qualcosa da dire o su cui abbia un’esperienza da raccontare a telecamere accese, per cui anche in piena emergenza Covid si ripete lo stesso schema, con siti, programmi e giornali che le vanno dietro senza verificare le dichiarazioni antecedenti. Questa volta “la notizia” viene data in diretta a Carta Bianca. La ex showgirl, come narrato dalla conduttrice Bianca Berlinguer, le invia un messaggino ieri sera per comunicarle che ha avuto il Covid e come di norma scatta l’ospitata tv per annunciarlo in esclusiva. E qui iniziano i problemi. La redazione del programma, probabilmente fidandosi della Parietti, non verifica il racconto e la Parietti, in sintesi, in tv ieri dice questo: Io sono sempre stata una cittadina modello con mascherine e cautele, mi rendevo conto da febbraio che la situazione era grave. I primi di marzo ho contratto il virus. Il 9 marzo ho avuto i sintomi. Ho intuito che forse ero infetta perché avevo mal di gola, raffreddore, spossatezza. Qualche giorno dopo ho avuto per un giorno 37, 2 di febbre e con la Tachipirina sono guarita. Per 14 giorni mi sono chiusa in camera in auto-isolamento. Non sono mai uscita per mia scelta. Ho scoperto di essere stata infettata da un test sierologico fatto un mese e mezzo dopo. Infine, elogiata per la sua serietà, butta lì la frase complottista: “Sono stata così accusata di allarmismo che non ho più potuto parlare in tv di Coronavirus fino a questa sera!”. Finisce la puntata e gli spettatori iniziano a far notare una serie di contraddizioni che erano già stati fonte di polemiche con la Parietti sulle sue pagine social a inizio emergenza. La Parietti infatti ha affermato di essere stata terrorizzata fin da febbraio dal pericolo epidemia, ma a marzo, fino alla vigilia della chiusura del paese il 7, era a sciare a Courmayeur con gli amici. Le numerose foto postate sulla sua pagina senza mascherina lo confermano. In base al suo racconto, durante quella vacanza, se i sintomi sono apparsi il 9, lei era già infetta, quindi avrà (forse) infettato qualcun altro. Se fosse rimasta prudentemente a casa e dintorni come molti italiani in quei giorni in cui già c’erano contagiati e morti, non sarebbe accaduto. Ed era dunque (inconsapevolmente si presume) infetta anche l’8 marzo quando ha partecipato in studio a una puntata di Live- Non è la D’Urso. Guarda caso, i sintomi sono iniziati proprio il giorno dopo. Dice di aver sospettato di avere il Covid dal giorno 9 marzo ma, come afferma Caterina Collovati ospite dello stesso programma, non ha avvisato nessuno del suo sospetto, né Mediaset né gli ospiti che erano con lei il giorno prima. Afferma, dal 9, di aver fatto una quarantena di 14 giorni chiusa in camera ma il 22 marzo era già ospite di Barbara D’Urso in studio. Il 22 marzo, se la matematica non è un’opinione, sono 13 giorni dopo la comparsa dei sintomi che ha riferito, per cui non è stata 14 giorni chiusa in camera ma col sospetto di avere il virus è andata in tv, viaggiando e entrando in contatto con persone nello studio. Inoltre, la Parietti non lo sa, ma la quarantena non andrebbe fatta da quando compaiono i sintomi ma possibilmente da quando scompaiono del tutto. Inoltre è tornata in studio, in tv, il 29 marzo, senza aver fatto tamponi e di nuovo senza sapere se era contagiosa o no. Infine, in una foto Instagram del 10 marzo, quindi dopo un giorno dalla comparsa dei sintomi, chiede dove può andare a donare il sangue. Strano per una che da 24 ore pensa di avere il Covid. Ma lei si giustifica dicendo che “era per il futuro”. Il 20 marzo posta un selfie e scrive: “La vita scorre ugualmente: un film, ginnastica in casa, tinta comprata al supermercato, piccola uscita di 5 minuti col cane, cuciniamo…”. Insomma, a 11 giorni dalla comparsa dei sintomi dice di stare bene e di uscire, non di essere chiusa in camera. E in effetti molti commentatori le ricordano che a marzo postava foto in cui usciva di casa. Caterina Collovati ha così commentato la vicenda: “Se Alba Parietti si erge a scrupolosa cittadina, consapevole più degli scienziati della gravità del virus, le ricordo che ha compiuto un’azione molto grave, visto che esisteva l’obbligo di segnalare i casi e di mettere in allerta i contatti avuti. Parla di quarantena volontaria, chiusa in una stanza per evitare di infettare la domestica, salvo uscire molto rapidamente dalla camera, infilarsi il vestitino, e recarsi da Barbara D’Urso a Live il 22 marzo nemmeno allo scadere del 14 esimo giorno di clausura e il 29 marzo ancora. Ora, fortunatamente, a me non è successo nulla, agli altri non so, ma vorrei smetterla di sentire lezioni su come ci si comporta, sull’utilità della mascherina e su quanto sono stupidi gli italiani, tranne lei, ben inteso”.
· Alberto Fortis.
Da leggo.it il 10 marzo 2020. NYente Da DiRe. Si scrive proprio in questo modo il nuovo singolo di Alberto Fortis che uscirà il 13 marzo. Gioca sul titolo e ripercorre la sua storia musicale di 40 anni (a giugno spegnerà 65 candeline) tra Italia, Stati Uniti e Inghilterra. Tra successi - La sedia di lillà, Il Duomo di notte, Milano e Vincenzo, La neña del Salvador - oltre un milione e mezzo di dischi venduti e sperimentazione. Collaborazioni con George Martin (produttore dei Beatles), Claudio Fabi e Carlos Alomar (produttore di David Bowie), gli incontri con Paul McCartney e Bob Dylan. Ed è con questo singolo, primo di una serie, che il cantautore originario di Domodossola si prepara all'uscita del nuovo disco nei prossimi mesi.
Innanzitutto bentornato, Fortis. Certo, il momento che stiamo vivendo non è tra i migliori.
«Da figlio di medici, e da ex studente in medicina, è uno scenario grave. Senza precedenti. Una situazione con grandi punti interrogativi sui rimedi. E un insieme di ipotesi (pure quella del complottismo). Ma quello che conta adesso è rispettare le regole e non diventare gregge di influencer vari. Qualsiasi sia la realtà, è una manifestazione di una malattia dell'esistenza».
In che senso?
«C'è una società che viaggia a una velocità sempre maggiore. Cerchiamo di non arrenderci e approfittiamo per dare oggi più che mai un aspetto terapeutico all'arte».
Che pensa dell'hashtag girato sui social, #Milanononsiferma?
«È una reazione mentale giusta per evitare psicosi. Dopodiché vanno rispettate le regole. Io sto a casa. E se proprio devo uscire, uso disinfettante, metto mascherine ed evito luoghi affollati».
È d'accordo con le misure di protezione?
«Assolutamente sì. Bisogna salvare gli umani senza paralizzare un paese. L'atteggiamento dei giovani che stanno a casa da scuola e che affollano le discoteche è un esempio sbagliato. Si fa appello alla coscienza civica e personale. E qui ci sarebbe tanto da dire».
Cosa può fare la musica?
«Non smettere di suonare. Sarebbe bello un tour surreale. A porte chiuse e in streaming. In poche città. Magari con un trio acustico davanti alle porte dei teatri. Per non cadere in depressione».
C'è il suo nuovo singolo in uscita.
«NYente Da DiRe, titolo dalle varie sfaccettature. NY di New York. La foto in copertina, scattata a Greenwich Village (posto a Manhattan che mi è caro). Un pop ritmico che vuole essere un messaggio: in un mondo dove sono tutti dei piccoli Einstein, io dichiaro di non avere nulla da dire».
Un po' forte. Perché?
«Perché è importante recuperare la sostanza delle cose e abbandonare il sensazionalismo. Dobbiamo riscoprire la profondità. Viviamo assetati di simultaneità. Non a caso la mia dedica a Seneca, filosofo sempre attuale. Paradossalmente, nella sua drammaticità, questo virus maledetto può farci riscoprire l'essenza di tutto: della vita, degli affetti, delle canzoni».
A proposito di canzoni, Sanremo?
«Ha fatto gol e questo conforta perché evidenzia oltre gusti e generi, che la qualità è premiata. Tosca, ad esempio, ne è prova».
Nel suo nuovo singolo canta Sbiaditi rapper melassa in amaro.
«E aggiungo La grancassa del potere e l'inganno».
A chi si riferisce?
«Adoro la provocazione ed essere fuori dal coro. Non mi piace uniformarmi e non mi piace che l'arte e i cantanti si uniformino».
Qualche nome fuori dal coro?
«Anastasio. Ha credibilità».
E Achille Lauro?
«Non entro nello specifico di ognuno. Ma credo sia facile fare i fenomeni per creare polemica o scatenare scenate d'avanspettacolo. Il paragone con David Bowie o Renato Zero, con codici e parametri ovviamente diversi, corre veloce».
Ha nostalgia della musica dei suoi inizi?
«Oggi è tutto molto veloce. Allora c'era una competenza maggiore. Ho una convinzione, di memoria spielberghiana, che se togliessimo volgarità e la sostituissimo con cose con sale in zucca, alle nuove generazioni piacerebbe».
Lei ha aperto concerti di James Brown e ha vissuto tanto in America.
«Ho respirato lo scenario losangelino e di tutta la musica del tempo. Me lo ricordo ancora quando mi proposero di aprire il suo concerto di Modena. Suonare nel 1979 in uno stadio dove volava di tutto, a me faceva terrore».
Come finì?
«Finì che volarono mutandine. Come a Woodstock. Lì ho capito che ero sulla strada giusta (ride, ndr)».
E Paul McCartney?
«Registravamo negli studi 1 e 2 degli Abbey Road di Londra. Lui Tug of War e io Fragole infinite con Claudio Fabi e la supervisione di George Martin, produttore dei Beatles. Era il 1982. Me lo ritrovai all'improvviso davanti. Andò in uno stanzino. E tornò con un microfono grande anni 60 che sostituì con quello con cui stavo cantando: era lo stesso che John Lennon aveva usato per Strawberry Fields Forever a cui il mio disco era dedicato».
E con Bob Dylan?
«Ho suonato prima del suo concerto a Genova, per il 500esimo anniversario dalla nascita dell'America. Mi disse: chi fa musica crea avendo antenne alte per captare cose nuove».
È vero?
«Sì. Solo così si può sperare in un Rinascimento musicale. Non sentirsi mai appagati e avere fame. Ricercando e sperimentando continuamente. Senza dimenticare il passato».
· Aldo Savoldello, in arte Mago Silvan.
Alessandra Menzani per “Libero quotidiano” il 14 dicembre 2020. Aldo Savoldello, in arte Mago Silvan, veneziano, il prestigiatore italiano per eccellenza, riassume tutto il suo impressionante sapere in un libro, La nuova arte magica, oltre 400 pagine per La Nave di Teseo, in cui racconta la storia e i segreti dell' illusionismo da Pitagora a San Giovanni Bosco, dallo stregone tartaro a Mosè, dal druido celtico alla Belle Epoque. «Ho impiegato nove anni a scriverlo», dice l' artista che ormai centellina le apparizioni in tv. Le illustrazioni, i reperti archeologici e le foto incluse nel volume sono una moltitudine e ti rapiscono; la prefazione è di Vittorio Sgarbi.
Silvan, lei fa risalire la magia all' antico Egitto. Allora quali incantesimi si facevano?
«Tetterà di tettetù di tettuusenerefu: è il nome storpiato dalle varie traduzioni linguistiche di un mago celeberrimo che si esibì nel 2500 a.c davanti al Faraone Cheope. Tagliava la testa a due oche, una bianca e l'altra nera, facendo starnazzare viva l'oca nera con la testa bianca».
Qual è stata l'epoca storica più importante per la magia?
«La magia intesa come prestidigitazione fine '800 - fine '900».
Ecco, ci spiega la differenza tra mago, prestigiatore e illusionista?
«Passando dalla nostra lingua al latino praesto esse vuol dire "essere pronto": dunque è l' arte "di essere pronto con le dita". Sarebbe logico pensare a praestigiator, come testimonia Plauto, e il suo derivato italiano prestidigitatore. Oggi si usa comunemente prestigiatore, mago o illusionista. Che sono sinonimi. I francesi dicono escamoteur o prestidigitateur. Gli anglosassoni usano legerdemain attinto dal francese, ossia leggero con le mani, o nelle favole wizard, equivalente di stregone, ma il termine più popolare negli Stati Uniti è magician. L'illusionista inganna con molta onestà il suo pubblico, consapevole che il mago si avvale di un trucco per stupirlo e trarlo piacevolmente in inganno».
Quando ha capito che sarebbe diventato mago?
«Avevo sette anni, a Bassano del Grappa, dove trascorrevo le vacanze estive con la famiglia. Ci recammo in un tipico ristorante del paese. Sulla pedana salì un mago in marsina meridionale (una specie di frac, ndr) alla Sik Sik di Eduardo, per intenderci. Mi invitò a salire. Mi posò, contandole a voce alta, alcune monete nel palmo della mano e nonostante stringessi il pugno che le conteneva, nel contarle erano magicamente aumentate. Il pubblico mi applaudì. Un fremito mi avvolse dentro, esplose una scintilla, il bacillus magicus. Da grande avrei fatto il mago, dissi».
Da quale bisogno psicologico nasce la voglia di credere nella magia? Lei pensa che l'uomo «preferisca credere piuttosto che sapere», ma come se lo spiega?
«Dai primi anni della nostra infanzia assorbiamo nel nostro subconscio tutto ciò che ascoltiamo: personaggi magici delle fiabe, non favole di Esopo, ma vere fiabe raccontate in dialetto dai nostri nonni o mamme. Queste fiabe sedimentano nel nostro subconscio per riemergere con degli stimoli al momento opportuno».
Se non fosse mago che lavoro farebbe?
«Mi ritengo soltanto a metà strada, quindi illusionista. Per diventare più bravo seguo il detto socratico: "Chi più sa"».
Cosa fa nel tempo libero quando non fa sparire oggetti e persone?
«La cosa prioritaria sono i figli, i nipotini, la famiglia. Amo il teatro, il cinema, i concerti, il piacere delle riletture. Gli amici, i viaggi, Venezia. Alla sera dedico due ore alla manipolazione».
Ha fatto numeri impressionanti, mi viene in mente la levitazione dei corpi. Riuscirebbe a fare sparire il Covid, se lo volesse?
«Neanche i maghi citati nella Bibbia avrebbero questa capacità».
Ma lei ha paura di questo morbo?
«Come tutti. Mio padre, nel 1918, è rimasto orfano dei genitori entrambi colti dalla "spagnola". I negazionisti? Ho sempre rispettato ogni opinione. Chi non ha avuto paura si è lasciato andare come Johnson e Trump, per citare solo qualcuno: sappiamo come è finita».
Hanno trovato il vaccino del Covid: la scienza è una magia?
«Certo, gli studiosi sono maghi: esistono e sono in mezzo a noi. Gli scienziati hanno portato avanti l' umanità. Ricordi: prima nasce l' uomo, poi la magia, poi la religione e poi la medicina».
Lei fa parte del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale. Lotta contro truffatori e ciarlatani. La battaglia di cui va più fiero?
«"Battaglia" è un termine improprio, dobbiamo soltanto verificare se ciò che ci viene raccontato risponde a verità, e poi il Cicap indaga scientificamente. In realtà noi tutti vorremmo che ciò che si racconta fosse vero: si aprirebbe una nuova luce per il progresso umano, ma purtroppo non è così. Da ragazzo ho sempre cercato la vera magia per impadronirmene. Nel mio girovagare per il mondo ho incontrato una moltitudine di paragnostici di ogni cultura. Purtroppo sono rimasto sempre deluso».
È vero che nessuno è a conoscenza dei suoi trucchi, nemmeno sua moglie?
«Non tutti. Mio figlio Stefano, regista dei miei spettacoli, ne conosce di più».
Mandrake, Houdini, Copperfield: chi è il suo mito?
«Lo era Mandrake, proprio perché credevo a tutto ciò che faceva».
Ha mai fatto numeri di magia a leader politici? Ho letto di Reagan (di cui indovinò quanti soldi aveva in tasca, con sommo stupore di Ronald). E poi?
«Menzionarli toglierebbe alla loro personalità il fascino, il carisma, l' intelligenza con la quale hanno conquistato il podio mondiale. Per raccontarli le pagine di questo bel giornale non sarebbero sufficienti».
· Aldo, Giovanni e Giacomo.
Da corriere.it il 4 maggio 2020. Il comico e autore ha raccontato a Mario Calabresi la malattia che lo ha colpito, insieme alla moglie Daniela, a inizio marzo e che è stata superata. «Torneremo in teatro e ripartiremo con il mio ultimo spettacolo ”Chiedimi se sono di turno” dedicata agli undici anni in cui ho lavorato come infermiere. Ma con un nuovo prologo dedicato a questa vicenda: perché io so che cosa possono avere passato». Prima il Coronavirus e adesso la promessa di portare il suo ultimo spettacolo negli ospedali. Anche Giacomo Poretti si è ammalato, a inizio di marzo e ha raccontato la sua esperienza chiacchierando con Mario Calabresi sulla sua pagina «Altre storie». Al ritorno da una settimana bianca ha cominciato ad avere la febbre e «tantissima stanchezza: un mattino non sono riuscito neppure a svitare la moka del caffè, per darti l’idea di come mi sono sentito». Anche la moglie Daniela si è ammalata «ma le donne reagiscono meglio, sono davvero sempre più forti di noi». Prima del lockdown, Poretti stava seguendo l’uscita dell’ultimo film realizzato con Aldo e Giovanni, l’attività del Teatro Oscar, preso in gestione da poco insieme a Luca Doninelli e Gabriele Allevi, e il tour di «Chiedimi se sono di turno», opera teatrale scritta e legata ai racconti della sua precedente vita da infermiere: undici anni di lavoro da ausiliario a caposala e poi la decisione di mollare il posto sicuro e cercare di seguire la passione del teatro comico. «Non so - dice ora Giacomo dalla sua casa di Milano - quando potremo ripartire, ma mi piacerebbe farlo continuando la mia tournée negli ospedali. Sarà un modo per stare vicino a tante donne e tanti uomini che hanno vissuto settimane intere in trincea, ad affrontare un nemico sconosciuto e a doversi occupare di persone malate che, oltre a questo, sono rimaste separate dai loro affetti».
Da oggi.it il 9 settembre 2020. «Paura di morire? Un po’ sì. Non sono un ipocondriaco, è che si tratta di una malattia ancora misteriosa e letale. Mi turbava parecchio la raccomandazione di stare attentissimo ai problemi respiratori: se li avessi avuti, allora il virus stava vincendo... Per fortuna qui brutti sintomi non sono mai arrivati. L’ansia più grande era per mio figlio, tredicenne. Anche mia moglie ha preso il virus. Avevamo il terrore di aggravarci e finire in ospedale. Cosa ne sarebbe stato di Emanuele?». Così Giacomo Poretti in un’intervista a OGGI, in edicola da domani. Il settimanale l’ha intervistato a Bergamo dove il comico del trio con Aldo e Giovanni è tornato in scena con il monologo «Chiedimi se sono di turno» dove ripercorre anche i suoi 11 anni di lavoro come infermiere: «La mia missione era diventare calciatore e vincere la Coppa dei Campioni. Poi, si sa, nella vita ci sono i compromessi. Anche perché c’erano una cinquantina di mestieri che non ho potuto intraprendere a causa della mia statura».
· Alex Britti.
La chitarra suonata con il cuore. Alex Britti torna con "Una parola differente". L’artista ha stupito tutti al concerto del Primo Maggio esibendosi da solo in piazza San Giovanni con il volume al massimo: «Ho messo il volume “a cannone” e ho iniziato...». Ora esce il suo singolo dopo «l’esperimento» di Brittish con Salmo. Paolo Giordano, Domenica 10/05/2020 su Il Giornale. Difficile che Alex Britti deluda le aspettative e non ci riesce neppure stavolta con il nuovo singolo «Una parola differente». È uscito in questi giorni quasi a bruciapelo senza che siano in previsione un nuovo disco né, tantomeno, un tourn. «Ce l’avevo in testa e l’ho registrato», spiega lui che nella sua carriera ha un filo conduttore essenziale: la chitarra. Non a caso è considerato uno dei migliori chitarristi italiani in circolazione, sicuramente l’unico che riesca a inserire assoli rock o blues anche in brani che poi finiscono in alta rotazione sui principali network. Ad esempio, stavolta in «Una parola differente» c’è un fraseggio grezzo e ripetuto che ha una marcata radice blues e poi un assolo che nella svisa finale ricorda addirittura lo stile di Eddie Van Halen. «Il titolo di questo brano - spiega - combacia con quanto viviamo in questo periodo, nel quale pensiamo sempre più ad apparire e sempre meno a vivere a fondo le nostre emozioni». Dicono sia anche colpa dei social. «In realtà tanti li incolpano ma siamo noi che li frequentiamo e li consultiamo. Nelle foto le donne sono tutte belle, gli uomini tutti fighi. L’importante sarebbe rendersi conto che i social non sono il male, ma devono essere considerati semplicemente un gioco». In sostanza, sin dai tempi in cui apriva i concerti di Billy Preston o BB King, Alex Britti, romano del 1968, è uno che gioca la propria partita senza vestire una casacca ben precisa. Insomma è un solista. Lo era nella prima parte della carriera e lo è rimasto anche quando ha macinato un singolo di successo dopo l’altro. Da «Solo una volta» del 1998 passando per «La vasca» del 2000 oppure «7000 caffè» che un testo alla sua maniera: ironico, scatenato e pure un po’ goliardico. Un musicista che spariglia le carte, pur rimanendo legato a una matrice sonora tradizionale e legata ai suoni del Mississippi e del Delta del »Blues. E lo ha dimostrato anche durante il Concertone del Primo Maggio, quello che ha chiuso suonando da solo, lui e la chitarra, in una Piazza San Giovanni deserta di pubblico ma piena di note. Un effetto strano e potentissimo che ha colpito molti. «Ho portato i miei amplificatori, li ho accesi e sin dalle prove sentivo che il suono era quello giusto, con le note che rimbalzavano sui palazzi e giravano per la piazza deserta. Poi ho messo il volume a cannone e via, anche se c’era molta negatività ovviamente a causa dell’epidemia. Spero di averla spazzata via per qualche minuto». Molto americano. Anzi molto british, no «Brittish» come la canzone divertimento che ha pubblicato qualche mese fa con la produzione (anche) di Salmo. Anche il ritornello era una citazione divertita del British della Dark Polo Gang e conferma che Britti è uno che si prende poco sul serio quasi sempre, salvo quando suona la chitarra: «Oggi sono il cosiddetto “cantante famoso” ma allora, quando ero ragazzo, non è stato facile scegliere di non imboccare la strada del “turnista“ ossia del musicista che va in studio a suonare per altri. Ho scelto la strada più difficile e ho fatto comunque tanta fatica». E, difatti quando parla, conserva quella vocazione da musicista molto attento alla qualità dei suoni e degli arrangiamenti. «Fino al 2003/2005 c’è stata una altissima ricerca sonora, poi c’è stato un appiattimento e ora mi accorgo che dei dischi interessa sempre meno». Figurarsi ora, che la musica è in letargo e le prospettive sono incerte: «Come tutti gli artisti, ho una squadra che lavora con me e siamo tutti fermi. Sono preoccupato soprattutto per loro: io qualche mese senza stipendio posso resistere, loro molto meno, speriamo davvero che arrivi qualche segnale nei prossimi giorni per il nostro settore che non è così marginale come a qualcuno fa comodo credere».
· Al Pacino.
Filippo Brunamonti per “la Repubblica” il 27 aprile 2020. Intervista del 9 marzo 2018. “Volete licenziarmi? Provateci». Quello sullo schermo, con aria di sfida, non è più Al Pacino ma un ultracorpo: il viso ha il colore di una vecchia brioche, il tronco panciuto, i capelli grigi. Nel film diretto da Barry Levinson per Hbo, Paterno - prossimamente su Sky Cinema - Pacino si trasforma nella leggenda Joe Paterno, l'ex allenatore italoamericano entrato nel Guinness dei primati con il più alto numero di vittorie nella storia del football major-college. Fino all'accusa di aver coperto uno dei suoi assistenti, Jerry Sandusky, colpevole dell'abuso di quaranta bambini negli spogliatoi della Pennsylvania State University, dove "JoePa" era un'istituzione dell' atletica giovanile. La faccia invecchiata da ore di make-up fa saltare tutti i personaggi nati in quarant'anni di carriera: «Vengo dalla strada, dal South Bronx, dove abitavo con mia madre e i nonni emigrati da Corleone a New York, prima di essere accolto da Lee Strasberg all' Actor' s Studio», racconta Pacino, 77 anni. Con il gangster Michael Corleone, Tony Montana di Scarface e il poliziotto Serpico, Paterno «ha in comune il senso di solitudine che provavo io da bambino, quando mi chiudevo in una stanza a reinterpretare i film che vedevo al cinema». Da allora ci sono stati un Oscar, vari Golden Globe e la reunion de Il padrino: «Lo studio non mi voleva. Troppo basso come gangster, dicevano». E a proposito di mutazioni, nel 2019 ritroveremo Pacino e De Niro (l'ex Vito Corleone) insieme tra mafia e corruzione in The Irishman di Martin Scorsese, ringiovaniti e invecchiati dagli effetti della Industrial Light & Magic.
Pacino, che rapporto ha con il tempo?
«Rispetto a quand'ero giovane, e improvvisavo le mie commedie teatrali nelle vetrine dei bar del Village, oggi ho l'opportunità e il privilegio di scegliere. Avevo 23 anni, forse ero infelice. Cercavo di spingermi verso una direzione, e quella direzione spesso era il cinema. Adesso è il cinema che viene verso di me, a dirmi: io ti salvo. È di grande aiuto poter dire sì o no quando ti offrono un copione; questo lo scelgo, questo lo scarto. Mi godo la grande lotteria dello spettacolo. Non faccio più film perché devo».
Dalle vetrine dei bar è arrivato a interpretare "Il mercante di Venezia" a Central Park.
«In passato ero un recluso, un timido. Il teatro mi ha riconciliato con il pubblico e con la mia identità. Ma la penso un po' come Orson Welles: una volta che cominci a fare cinema, non torni indietro».
Ha già interpretato personaggi realmente esistiti. Perché Joe Paterno?
«Ogni progetto è diverso: per Hbo sono stato l'avvocato gay Roy Cohn in Angels in America, poi il Dr. Morte, il padrino del suicidio assistito Jack Kevorkian (un Emmy, ndr) diretto da Barry Levinson, e il produttore e musicista Phil Spector, riconosciuto colpevole di omicidio. Se c'è un legame tra loro? Io che li interpreto! La regola aurea è evitare la replica. Non imitare. Anche se dovreste ascoltarmi cantare Al Johnson o Sinatra Su Paterno ho fatto molte ricerche: la squadra di football Penn State Nittany Lions, le fotografie, i ritagli di giornale, documentari. Ma non ho incontrato di persona la comunità che ha amato Paterno al punto da dedicargli una statua. Era un imperatore, un re. Lì la vicenda scotta ancora. L'annuncio di dimissioni di Paterno è arrivato un anno prima della sua morte per cancro ai polmoni».
Secondo gli investigatori, Paterno tentò di insabbiare gli abusi. Era davvero al corrente ed è rimasto zitto?
«Recitare è una delle cose più complicate al mondo. In Paterno ho dovuto fare una scelta: credo a Paterno o lo considero un bugiardo? Conosco diversi coach, li ho contattati uno a uno per prepararmi: tutti parlano esattamente come Paterno. Ripetono le stesse parole. La più citata è "focus". Infatti focalizzano l' attenzione sul campo, le strategie, il gioco. Non esiste altro, soltanto lo sport. È probabile che Paterno non si sia mai accorto di ciò che accadeva negli spogliatoi. Nel film, a un certo punto, sua moglie lo provoca e dice: "Jerry Sandusky è stato in piscina con i nostri bambini, un giorno. Se tu avessi saputo che era colpevole, non lo avresti lasciato andare. Giusto?"».
Paterno era un italoamericano, come lei.
«Non mi stancherò mai di ripeterlo: io sono completamente italiano. Dentro! L' Italia è la mia casa, la mia patria».
In "Ogni maledetta domenica" di Oliver Stone il suo personaggio, Tony D' Amato, ispirato al coach Vince Lombardi, diceva: "O noi risorgiamo come collettivo o saremo annientati individualmente".
«Credo nello spirito di squadra in tutti i settori della vita. Mio nonno, James Gerardi, era un imbianchino e mi ha insegnato la gioia del lavoro, del fare gruppo. Ho smesso di bere nel '77 proprio grazie al mestiere dell' attore. Ecco perché non ci faccio caso quando parlano di rivalità con Robert De Niro. Bobby è un genio puro».
DAGONEWS il 18 febbraio 2020. È finita tra l’'attrice israeliana Meital Dohan, 40 anni, e Al Pacino, 79 anni: a mettere un punto sarebbe stata lei che non riusciva più a fare i conti con la loro insormontabile differenza d’età. In un’intervista alla rivista israeliana La'Isha, Dohan ha confermato la fine della relazione: «la differenza di età è difficile. Ho provato a negarlo, ma lui è già un uomo anziano. Quindi, anche con tutto il mio amore, non poteva durare». Alla domanda se Al Pacino le avesse fatto dei regali costosi, Dohan è scoppiata a ridere: «Come posso dire educatamente che non gli piaceva spendere soldi? Mi ha comprato solo fiori». L’attrice ci ha tenuto a sottolineare che è stato un onore trascorrere del tempo con lui e che comunque sono rimasti in buoni rapporti e lo considera un amico. I due erano stati visti insieme alla premiere di The Irishman a Los Angeles nell’ottobre 2019. Prima di Dohan, l’attore aveva avuto una relazione decennale con l'attrice argentina Lucila Solá, madre di Camila Morrone attuale fidanzata di Leonardo DiCaprio. Al Pacino ha anche frequentato Diane Keaton, Jill Clayburgh, Penelope Ann Miller, Kathleen Quinlan e Lyndall Hobbs. Ha tre figli: Olivia e Anton, due gemelli di 18 anni, avuti con l’ex Beverly D'Angelo, con la quale ha avuto una relazione di sette anni. Ha anche una figlia trentenne, la produttrice Julie Marie, che ha concepito insieme alla sua ex coach di recitazione Jan Tarrant.
Meital Dohan lascia Al Pacino: «In due anni mi ha regalato solo fiori». Pubblicato mercoledì, 19 febbraio 2020 su Corriere.it da Simona Marchetti. Sarà anche Al Pacino – ovvero, una leggenda di Hollywood – ma è pur sempre un uomo di 79 anni e per giunta con il braccino corto quando si tratta di spendere soldi, ecco perché la compagna Meital Dohan ha deciso di mollarlo dopo due anni di storia. A confermare la rottura è stata la stessa 40enne attrice israeliana in un’intervista alla rivista «LaIsha», ripresa dal «Times of Israel», dopo che agli Oscar Pacino ci era andato da solo. «È difficile stare con un uomo così vecchio, persino se si tratta di Al Pacino – ha detto la Dohan – perché la differenza d’età è pesante. Ho cercato di negarlo, ma a dire il vero ora lui è già un uomo anziano, quindi, pur con tutto il mio amore, non è durata». A parte i 39 anni di differenza (che per la verità c’erano anche quando i due si sono messi insieme nell’estate del 2018, dopo essersi conosciuti a una festa a Hollywood), a spingere l’attrice a dire addio alla star de «Il Padrino» è stata anche la scarsa propensione di lui ad aprire il portafoglio, a dispetto della sua fortuna, stimata in 180 milioni di dollari. Insomma, niente regali costosi o comunque memorabili durante la loro relazione. «Mi ha comprato solo dei fiori – ha detto infatti la Dohan - . Come posso dire educatamente che non gli piaceva spendere soldi?».
L’attrice ha comunque tenuto a precisare che spera di rimanere in buoni rapporti con Pacino, che vanta una sfilza di ex da fare invidia a un’app di incontri (giusto per fare qualche nome, Diane Keaton, Jill Clayburgh, Penelope Ann Miller, Beverly D’Angelo, Jan Tarrant e Lucila Solà, mamma di Camila Morrone, che sta con Leonardo DiCaprio), ma non si è mai sposato. «Abbiamo litigato e l’ho lasciato – ha concluso la Dohan – ma ovviamente lo amo e lo apprezzo molto ed ero felice di esserci per lui quando aveva bisogno di me. È un onore per me, sono contenta di aver avuto questa relazione con lui e spero resteremo buoni amici». Una delle ultime volte che i due sono stati visti insieme è stato a ottobre dell’anno scorso, alla prima a Los Angeles del film «The Irishman» e in quell’occasione Pacino aveva voluto al suo fianco sul red carpet anche la figlia Julie Marie, nata dalla relazione con la Tarrant.
M.Cor per la Stampa il 25 febbraio 2020. Le donne non perdoneranno a Meital Dohan di avere distrutto un mito. Immaginarsi Al Pacino con il «braccetto tirato» capace di comprare alla fidanzata 40enne (39 anni meno di lui) solo dei fiori, e anche un po' sonnolento, trasforma tutto in una macchietta. Gli uomini devono invece ringraziare Meital per avergli spiegato in maniera elementare il perché le donne giovani e belle si fidanzano con uomini che potrebbero essere i loro nonni. E non è certo per farsi regalare dei fiori. Perché anche gli uomini più intelligenti fanno di tutto per dimenticarsi il vero motivo. E non si fanno la domanda cruciale: se invece di una star o di un miliardario fosse un comune mortale, magari con la tuta da garagista, avrei lo stesso successo con l' altro sesso? La storia è antica e si ripete alla rivista LaIsha: «È difficile stare con un uomo così vecchio - ha detto Meital - persino se si tratta di Al Pacino perché la differenza d' età è pesante». E ancora: «Ho cercato di negarlo, ma a dire il vero ora lui è già un uomo anziano, quindi, pur con tutto il mio amore, non è durata. Mi ha comprato solo dei fiori. Come posso dire educatamente che non gli piaceva spendere soldi?». Ma stare con un principe d' argento sembra sempre più una missione difficile, soprattutto in tempi in cui le donne hanno capito che la vera felicità sta nell' indipendenza economica. Certo non per tutte è così e qualcuna si innamorerà veramente, ma sicuramente sono molte quelle che a un certo punto abbandonano il vecchietto e si riprendono la gioventù. Lo ha fatto anche la moglie di Michele Placido, Federica, oggi 37enne, la metà degli anni del marito che ha spiegato come troppa distanza anagrafica logori alla distanza: «L' amore cambia. Quando è agli inizi non ci pensi: che un giorno quella differenza d' età vi dividerà per forza di cose, che tra voi ci sarà la vecchiaia, e che sarà abissale». Ha spiegato che «Cambia il corpo, cambiano i muscoli, le forze. Cambia la testa, può togliere i pensieri e il ricordo a un uomo che ha fatto la cultura nel mondo al pari di mostri d' intelletto come Monicelli, Albertazzi. Cambiano i desideri. Le voglie non sono più comuni. È raro che usciamo, ma l' altra sera per esempio eravamo a un concerto di Ermal Meta. Ballavo. Mi ha guardato: "Fede, ma che stai a fà? Che te balli?"». Non hanno retto nemmeno Eros Ramazzotti ed Erica Pellegrinelli (57 anni lui, 32 lei). Lui assicurava che «lei è più molto più matura della sua età», dando così una spiegazione all' abisso anagrafico tra i due. Ma non basta cantarsela occorre anche che l' altra condivida la tua playlist. E con oltre 30 anni di differenza non è poi così facile. Nella politica sono tanti gli esempi di queste unioni. Prossimamente sposi a Tel Aviv Claudio Martelli, ex ministro socialista e la parlamentare del Pd Lia Quartapelle. Quasi 40 anni di differenza (77 anni lui, 38 lei) colmati dalla passione comune per la politica. Basterà? Certamente meritano un «in bocca al lupo» che però, come la storia insegna, potrebbe non bastare perchè è difficile rinunciare alla propria giovinezza anche in nome di un grande amore. Come quello tra Richard Gere, 70 anni e Alejandra Silva, figlia dell' ex presidente del Real Madrid Ignacio Silva che dell' eroe di Pretty Woman dice: «È il mio eroe nella vita reale. Ero un po' persa, senza luce, ha dato un senso alla mia vita. Oggi ci apparteniamo». Figuriamoci poi quando a indicare la via dell' altare sono altre ragioni. E non è un segreto, ma un dato statistico il fatto che sempre più vecchietti, anche non famosi, sposano le loro attente badanti. Agli uomini vip piace pensare che non sia così ma in questo campo le regole sono uguali per tutti. Chi aveva chiare le dinamiche degli amori sbilanciati era Mario Monicelli, classe 1915 che si mise nel 1978 con una donna più giovane di lui di 40 anni, Chiara Rapaccini. Venne lasciato anche lui alla soglia della quarta età, e ormai 92 enne spiegò a Vanity Fair che «è facile per un vecchio mettersi con una giovane. Chi è il vecchio che si rifiuta? Sì, forse, quelli che hanno paura. Paura di essere lasciati e di rimanere soli». E alla domanda se si fosse posto il problema prima di intraprendere la relazione: «Guardi che io sono abbastanza superficiale, non sto ad approfondire più di tanto. Tutti gli uomini, in realtà, lo sono. E quelli che dicono di non esserlo, di solito lo sono più degli altri. Per quanto riguarda la storia con Chiara, nessuno la obbligava a stare con me e io ho messo in conto che lei potesse stufarsi. Infatti oggi sono solo». M.Cor.
Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano” il 24 aprile 2020. È passato da gigolò a ufficiale e gentiluomo, da romantico seduttore a padre-nonno all' età di 70 anni. La carriera e la vita di Richard Gere si possono riassumere con un fotogramma per ogni decennio: nel 1980 diventa sex symbol grazie al ruolo in American Gigolò, nel 1990 è il miliardario affascinante che conquista Julia Roberts in Pretty Woman, dieci anni dopo gioca a fare il marito in Se scappi, ti sposo e mette al mondo il primo figlio, un decennio più tardi manda all' aria il suo secondo matrimonio. Ieri infine è diventato padre per la terza volta con la sua terza moglie. Alejandra Silva, sposata nel 2018, dopo Alexander nato lo scorso anno, ha avuto dall' attore un altro figlio. Cui lui ora potrebbe fare anche da nonno. Non stiamo qui a sindacare sulle scelte private di un attore famoso che, in quanto tale, ha sicuramente più possibilità, non solo economiche, di vivere più vite in una sola. Stiamo piuttosto giudicando la sua responsabilità etica di genitore: che futuro potrà dare a un figlio un padre che si avvia verso il tramonto? Quale presenza potrà assicurare in termini di durata, di forza, di vicinanza generazionale a una creatura che dovrebbe essere cresciuta e amata e non con una data di scadenza? Non stiamo gufando, beninteso, auguriamo a Richard Gere vita lunga e in salute; così come siamo consapevoli che la vecchiaia del padre sarà compensata dagli agi che egli indiscutibilmente saprà garantire al figlio. Gli stessi che hanno consentito ad altre star di Hollywood, vedi Robert de Niro, padre a 68 anni, o il regista George Lucas, papà a 69, di concedersi il lusso della paternità a un' età molto avanzata. Ma, al di là del benessere materiale, qui stiamo parlando di un principio che qualunque persona, ricca e famosa o meno, dovrebbe applicare verso una nuova vita. Ciò è vero a maggior ragione se si pensa alle campagne portate avanti dallo stesso Gere. Non puoi batterti cioè pubblicamente per una sessualità responsabile e fare iniziative per l' uso del preservativo, come quelle promosse in India nel 2007, e poi applicare quella regola in modo discutibile nella tua vita di uomo over 70. Né puoi dar sostegno alle ong per assistere i minori scappati dall' Africa, e compiere gesti simbolici come quello dello scorso agosto di salire a bordo della Open Arms e portare loro viveri e poi sostanzialmente condannare la tua prole a una analoga e precoce sorte di orfanità. Non puoi predicare bene sul barcone e razzolare male nel lettone, non puoi dire che quei giovani migranti senza genitori «hanno toccato il mio cuore» e poi candidarti ad essere padre a breve termine. È la solita ipocrisia dei terzomondisti: proclamano l' amore per il genere umano, ma hanno atteggiamenti molto poco umani verso i propri cari. E allora Richard, prima di essere buddista, vegetariano, di fare il filo-migranti e di sentirti dalla parte giusta del mondo, ricordati che nella vita come al cinema si diviene modelli da imitare se non si sbagliano i tempi, ma si fanno le cose al tempo opportuno.
Lorenzo Soria per la Stampa il 25 febbraio 2020. In tv, su Amazon Prime Video, Al Pacino proprio in questi giorni è il cacciatore di nazisti in Hunters, una nuova serie ambientata nell' America degli Anni 70: i nazisti non sono scomparsi e non sono rifugiati nei villaggi delle Ande. Sono a Washington, nei palazzi del potere. Sono a New York e in California, e conducono vite all' apparenza normali. Hanno pure una Fuhrer, Lena Holin pronta a proclamare l' avvento del Quarto Reich. E Al Pacino è pronto a tutto per sconfiggerla.
Nella realtà, l' attore sta per compiere 80 anni e viene dalla fine della relazione con l' attrice israeliana Meital Dohan che ha chiuso con parole non proprio lusinghiere nei suoi confronti. Cosa è successo Pacino con la sa ex fidanzata?
«Non lo so, per fortuna non ho letto le sue dichiarazioni, mi sono state risparmiate. Di solito le mie relazioni durano a lungo, e quando invecchi parli di periodi molto lunghi, ma qui è stato impossibile continuare insieme. Basta così, di solito non parlo di queste cose. Lo sanno tutti, non parlo neanche di politica. Semplicemente sono cose personali, non mi interessa parlarne a tutto il mondo».
Niente amore e niente politica?
«Non c' è bisogno di parlare tanto: qualsiasi persona attenta può capire i miei sentimenti osservando il mio lavoro. Mi piace l' espressione di Joe Louis, il grande campione dei pesi massimi degli Anni 30: "Parlo sul ring". Quando Picasso dipinse Guernica lo stesso: quello era il suo modo di parlare, la sua Arte».
Lei tra due mesi compie 80 anni. «Grazie per avermelo ricordato! È solo un numero, tutto dipende da dove ti porta la tua vita, da come ti comporti specialmente quando hai a che fare anche con la fama, una cosa a cui ti devi adeguare. Ricordo che negli Anni 70 il grande Lee Strasberg, una volta in cui mi sentivo un po' fuori dalla mia pelle, mi disse: tesoro, devi semplicemente adattarti. E' semplice, si tratta di adattarsi alle cose che accadono» Il peso degli anni lo sente?
«Ho notato una differenza a metà dei miei 70 anni, è lì che le cose sono un po' cambiate.
Per le altre persone succede a metà dei 50 o dei 60 . Per me, a metà degli anni '70 le cose hanno iniziato a cambiare un po ': il modo in cui percepisco le cose, il modo in cui le guardo. Comunque mi piace dove sono ora, come penso alle cose. Vorrei avere avuto questa prospettiva prima, 20 anni fa. Gli 80? So che ci faranno sopra storie, non i media ma la mia gente, i miei amici. Va bene, spero che si divertano. Ma io non mi sento vecchio, non so come mi sento. Certo, sino a che ho appetito intendo continuare a lavorare».
Francesca Scorcucchi per il “Corriere della Sera” il 28 febbraio 2020. In mezzo secolo di carriera Al Pacino ha interpretato italiani, portoricani, cubani, buoni, cattivi, poliziotti e mafiosi. Mai prima d' ora aveva vestito i panni di un ebreo cacciatore di nazisti. Succede ora, in Hunters , visibile su Amazon Video, serie tv prodotta da Jordan Peele (il regista rivelazione di Scappa-Get Out e Noi (Us ). Vagamente ispirato a una storia vera, Hunters racconta di una squadra di ebrei impegnata nella caccia di un gruppo di nazisti che negli Stati Uniti sta cercando di creare il Quarto Reich. Siamo negli anni Settanta a New York. Un giovane assiste impotente alla morte della nonna, sopravvissuta ai campi di sterminio. Jonah Heidelbaum interpretato da Logan Lerman, scoprirà presto che dietro alla morte violenta della nonna non c' è una rapina finita male ma ben altro. La donna faceva parte di una rete di cacciatori di nazisti capeggiata da Meyer Offerman, interpretato da Al Pacino. Guardando oltre la trama di un thriller dal sapore quasi fumettistico, con i cacciatori di nazisti che inventano metodi fantasiosi e vendicativi farsi giustizia - come apportare modifiche nelle tubature dei loro carnefici per fare uscire gas, al posto dell' acqua della doccia - la serie offre spunti di riflessione: «L' antisemitismo è un male che esiste da sempre - dice Al Pacino - ma in questi ultimi anni stiamo assistendo a una legittimazione di certi pensieri e di certe azioni che trovo molto pericolosa, non so se una serie tv possa fare qualcosa a riguardo ma parlarne è sempre un bene». Il dibattito e le polemiche, infatti, non sono mancati. Pochi giorni dopo il debutto della serie sulla piattaforma di streaming, l'associazione Auschwitz Memorial ha criticato la rappresentazione fittizia di quanto successo nel lager, descrivendo come pericoloso questo racconto troppo creativo della realtà. In particolare non è piaciuta una scena, che descrive una partita a scacchi con gli ebrei usati come pedine umane, uccise nel momento in cui una mossa determina una cattura. In un tweet Auschwitz Memorial ha fatto sapere che quei luoghi erano intrisi di sofferenze e dolori ben documentati dai sopravvissuti e che inventare un falso gioco perverso non solo può essere pericoloso ma può diventare anche utile ai negazionisti. Rischio reale se si pensa che un recente studio ha rivelato che il 60% degli americani ha posizioni antisemite (e anche in Italia, Eurispes fa sapere che un italiano su sei sostiene che la Shoah non sia mai esistita). Il creatore della serie, David Weil, la cui nonna è una sopravvissuta all' Olocausto come la parente del protagonista, ha risposto alle critiche spiegando che il racconto ha tratto aspirazione da eventi reali ma non ha mai avuto aspirazioni documentaristiche e che la principale preoccupazione della produzione era quella di raccontare la persecuzione ebrea senza attingere da esperienze personali. «Quello che era importante per me - dice l' autore - era rappresentare il sadismo e la violenza perpetrata dai nazisti nei confronti degli ebrei e di altri gruppi di popolazione».
Per Al Pacino si tratta di sterili polemiche: «Quando ho letto il copione del primo episodio ho capito subito che si sarebbe trattato di un progetto significativo e importante. Amo quando riesco a percepire un racconto personale nelle sceneggiature che ricevo. Questa storia lo è e così ho voluto saperne di più e poi farne parte». Del suo personaggio, il ricco Meyer Offerman, dice: «Si tratta di una personalità complessa e misteriosa che si scoprirà man mano che la serie proseguirà con gli episodi». Offerman ripete spesso un detto ebreo: la migliore forma di vendetta è la felicità, salvo poi correggersi. «Non è vero, la migliore forma di vendetta è la vendetta». Per David Weil il fine ultimo è fare arrivare lo spettatore a porsi delle domande: «Se cacciamo i mostri, se li uccidiamo per vendetta, se placchiamo così la nostra sete, rischiamo di diventare a nostra volta dei mostri?».
Gianmaria Tammaro per “la Stampa” il 28 febbraio 2020. Racconta Al Pacino che gli sono sempre stati offerti ruoli televisivi. «E li ho rifiutati a malincuore, anche quando si trattava di grandi parti. Ho detto di no perché io, semplicemente, non ero quella cosa lì; "non ero da tv". Ma parliamo di trent' anni fa». Con Hunters, la nuova serie di Amazon Prime Video, è andata diversamente. «Mi ha colpito la scrittura, e poi mi hanno colpito le idee. Io vengo dal teatro, e per me la prima cosa è la sceneggiatura». Al Pacino si è convinto quando David Weil, il creatore di Hunters, i produttori e i registi gli hanno raccontato la storia: il suo Meyer Offerman è un ricco imprenditore naturalizzato americano, è ebreo, e dopo essersi ritirato dagli affari, decide di mettere insieme una squadra di cacciatori di nazisti. Siamo a New York, negli Anni '70. Alla corte di Meyer, arriva Jonah Heidelbaum (Logan Lerman), il vero protagonista, e tutto, da quel momento, è destinato a cambiare. Perché Jonah vuole vendetta. Meyer gli dice che c' è bisogno di giustizia, perché quello che è successo durante la II Guerra mondiale non si ripeta mai più. Comincia così una corsa contro il tempo, tra enigmi, indagini, operazioni speciali. Jonah riesce a mettere insieme i pezzi di un puzzle invisibile, a decifrare codici, a trovare una scia fatta di briciole e di ricordi sbiaditi. Nella squadra che Meyer ha radunato, ci sono un attore (Josh Radnor), una suora (Kate Mulvany), due pensionati (Carol Kane e Saul Rubinek), un veterano del Vietnam (Louis Ozawa Changchien) e una ragazza-madre (Tiffany Boone). I nazisti sono ovunque. Infiltrati ad ogni livello. Aiutati a cambiare nome e a cominciare una nuova vita dal governo americano. C' è una cospirazione in atto: la minaccia di un nuovo Reich. E gli hunters, i cacciatori, devono fermarla. Per quanto assurdo possa sembrare, però, la cosa più incredibile di Hunters non è la storia. O meglio: non è solo la sua storia. Ci sono anche regia e sceneggiatura, il continuo richiamo al cinema e alla televisione più pulp, con tantissimo sangue, tantissimi stacchi e montaggi serrati, e una ricerca estetica da B-Movie. Hunters è fumettoso, appassionante, pieno di colori. È adrenalinico, è eccessivo, è travolgente. La linearità del racconto viene interrotta di continuo: da una cosa che immagina Jonah, per esempio; oppure dall' altra trama: quella che procede parallelamente e che vede protagonisti i nazisti. In dieci episodi, si alternano giusto e sbagliato, torto e ragione. Dove inizia il perdono e dove finisce la pietà tendono a confondersi, e a coincidere. Il regista Jordan Peele (Get out, Us) è tra i produttori esecutivi, e si notano, anche se solo in parte, anche se in modo quasi marginale, il suo tocco e la sua presenza. In Hunters si respira una libertà creativa estrema. C' è il dramma, c' è la commedia, c' è una specie di docu-racconto, con ricostruzioni d' epoca e materiali d' archivio; c' è una vena profonda che ricalca il genere dell' heist movie, con colpi di scena misuratissimi e precisi; ci sono citazioni e riferimenti, non solo a Quentin Tarantino, ma a tutto un filone del grande e piccolo schermo che ha avuto fortuna durante gli Anni '70 e 80. E poi Hunters è una serie che parla di memoria, dell' importanza e della necessità di ricordare, e che trova in un ragazzo, orfano, il suo eroe. Diviso tra quello che bisogna fare e quello che, invece, vorrebbe essere. Innamorato, deluso, senza neanche più sua nonna che l' ha sempre accudito. Vorrebbe lavorare in un negozio di fumetti, ma è costretto a spacciare per pagare l' affitto. In Hunters, Al Pacino è l' ago della bilancia, volto e voce del Virgilio di Jonah: è lui che lo guida e lo sostiene. La sua parlata lenta, la voce sporcata dal forte accento e lo charme con cui riesce a tenere la scena lo mettono al centro di ogni momento. Non c' è palco troppo piccolo per lui. E ogni inquadratura ci ricorda perché sia uno dei più bravi.
· Alena Seredova.
Alena Seredova incinta: la showgirl aspetta un figlio da Alessandro Nasi. Pubblicato mercoledì, 29 gennaio 2020 su Corriere.it da Federica Bandirali. Alena Seredova, 41 anni, sceglie Instagram per dare il lieto annuncio: la showgirl ceca naturalizzata italiana, ex signora Buffon, aspetta un bambino dal compagno, Alessandro Nasi, imprenditore e manager di successo, che le ha ridato il sorriso dopo la fine del suo matrimonio con il portiere bianconero. Alessandro e Alena convivono da anni insieme ai figli di lei, Louis Thomas e David Lee, avuti dalla modella nel suo precedente matrimonio con Gigi Buffon, durato dal 2011 al 2014. Ora la famiglia si allarga: «Noi. Tu. Quando l'amore regala la vita. Per sempre», ha scritto la modella a corredo di una foto in bianco e nero della sua pancia da futura mamma in evidenza (l'altra immagine ha la didascalia in ceco). Dolcissime le mani del compagno che accarezzano il ventre dell’innamorata. Se la showgirl è sempre stata molto attiva sui social, il compagno è decisamente più riservato: non possiede nemmeno profili social e le uniche sue foto presenti su Instagram sono quelle che si trovano sull’account della compagna. Nasi, erede della famiglia Agnelli ( è cugino di Lapo e John Elkann) è nato a Torino nel 1974 ma è cresciuto negli Stati Uniti, a New York. La storia con Alena è iniziata nel 2015. Tantissimi i commenti e le congratulazioni sotto la foto di Alena: non soltanto fan e follower, ma anche volti noti del mondo dello spettacolo, della moda e dello sport, tra cui Laura Torrisi, Federica Fontana, Eva Cavalli e Claudio Marchisio.
Sara Faillaci per ''F'' il 15 febbraio 2020. Lei mi intervista sempre quando sono incinta». Alena Seredova sorride. Sono passati 12 anni dal nostro primo incontro: all’epoca era la compagna del portiere della Juventus e della Nazionale Gigi Buffon, e aspettava il loro primo figlio. Già “mamma” dentro, mentre posava nel giardino di una villa sulle colline di Torino, si preoccupava di non prendere troppo freddo. Stava coronando un sogno: arrivata in Italia ventenne dai concorsi di bellezza (nel ’98 si classifica quarta a Miss Mondo), dopo aver lavorato nella moda e nel cinema nostrano a 29 anni non ha esitato a mettere da parte la carriera per dedicarsi alla famiglia. Da quel giorno molte cose però sono cambiate. Dopo il primo figlio ne è arrivato un altro, poi il matrimonio con Buffon nel 2011. Improvvisamente qualcosa nella coppia si rompe e per Alena il risveglio è amaro: nel 2014 scopre dalla radio che il marito frequenta un’altra donna, la conduttrice Ilaria D’Amico. La separazione è inevitabile. Alena si chiude in un silenzio che ha un solo scopo: proteggere i loro figli. Fino al giorno in cui al suo fianco compare un altro uomo, il manager Alessandro Nasi, cugino di John Elkann. La coppia, sempre senza rumore né clamore mediatico, si frequenta. Passano 5 anni e pochi giorni fa, l’annuncio su Instagram: aspettano un bambino, il terzo per Alena, il primo per lui. Quando la incontro è raggiante.
Diventerà di nuovo mamma a giugno. Immagino sia stata una gravidanza cercata.
«Non ho mai negato che mi sarebbe piaciuto. Ma all’inizio della storia con Alessandro non l’avrei mai fatto: il benessere degli altri miei due figli è sempre venuto prima di tutto, non sarebbe stato il momento giusto per loro, avevano bisogno di me e non avrebbero potuto condividermi con un bebè. Inoltre volevo essere sicura anche che il mio compagno fosse l’uomo giusto. Per fare un passo così importante devi avere delle certezze. La cosa strana è che è arrivato adesso, quando forse non me lo aspettavo nemmeno più».
In che senso?
«Quando lo abbiamo cercato non è arrivato subito. Io poi ho sempre detto che non capisco chi fa i figli tardi. E invece è accaduto proprio a me, incinta a 41 anni! Al di là della mia età, però, penso sia davvero il momento giusto: la nostra famiglia è pronta, solida, i ragazzi sono più grandi, tutte cose che avrei voluto pensando a un altro figlio».
Pensa che a 40 anni sarà una mamma diversa rispetto a 30?
«Sicuramente sarò una mamma con meno tempo perché non voglio togliere nulla ai miei due ragazzi: tornei di calcio e partite domenicali faranno sempre parte della mia vita. Ma non penso sarò diversa, nemmeno più apprensiva. Il bebè avrà lo stesso trattamento».
Il suo compagno non ha figli. Immagino che lui ci tenesse particolarmente a diventare padre.
«Credo di sì ma non mi ha mai fatto pressione. E questa cosa mi è piaciuta tantissimo di lui. Ha sempre avuto rispetto, sapeva che avevo già due cuccioli da coccolare. Penso che la voglia di diventare padre gli sia venuta vivendo con noi: passa tanto tempo con i miei figli, vede che mamma sono io e quanto è bella la vita di famiglia».
Un figlio per coronare un amore?
«Un percorso naturale di un amore. Alessandro ha 45 anni e ha aspettato tanto per diventare padre, era un desiderio legittimo e penso che oggi questo figlio voglia davvero goderselo. Io sono nata per fare la mamma e in questi ultimi anni avevo poca materia sotto mano quindi... ci voleva».
So che non vuole dire il sesso del bimbo.
«In questo momento è ancora un nostro segreto e mi piace l’ idea di condividerlo con i miei ragazzi».
Immagino però sognasse la femmina.
«La femmina la desideravo molto come primo figlio e per fortuna mi è nato un maschio perché il mio primogenito è come me e una donna con la mia testa non la raccomando a nessuno! Oggi il sesso mi è del tutto indifferente, basta che sia sano e felice».
Vivete già insieme con Alessandro?
«No, ma passiamo già il 90 per cento del tempo libero insieme. Lui per lavoro viaggia tantissimo ma io sto bene anche da sola, sono abituata fin da piccola a essere autonoma. Poi, certo, quando c’è, ne approfitto per mollare un po’ e prendermi qualche coccola. Ora stiamo finendo una casa dove andremo a vivere tutti insieme tra qualche mese. Un anno fa ho lasciato la casa dove sono nati i miei figli: ci ero molto legata ma non sentivo più una bella energia. Ho fatto bene perché staccarmi da lì mi ha aiutato a fare quell’ultimo passo per essere davvero libera».
Ha fatto capire, in altre interviste, di aver sofferto molto per la separazione.
«Ho sempre creduto alla famiglia del Mulino Bianco e non ho mai pensato che potesse accadere a me, anche perché non vedevo grossi problemi nel mio matrimonio. Un divorzio non avrei mai voluto facesse parte della mia vita, soprattutto per le difficoltà che vivono i bambini, la confusione. Non si può proprio dire che i genitori separati non creino nessun problema. Poi dipende dai genitori gestirlo e saperlo rendere meno doloroso ma che sia un sogno, no».
Quindi bisognerebbe restare insieme anche se non ci si ama più?
«Questo non lo so ma di certo oggi si arriva alla separazione troppo velocemente, manca il dialogo, le coppie non parlano dei loro problemi. È una malattia dei tempi moderni e del benessere. Perché costa mantenere due famiglie. Un tempo nessuno poteva permetterselo ma c’erano anche più valori. Bisognerebbe dare più importanza a certe promesse. Io sono stata cresciuta in maniera diversa».
Parlava dell’importanza del dialogo.
«Vale per la coppia ma anche per i figli. Molti oggi non si fermano più a chiacchierare con i ragazzi, se li sono persi. Viaggiano tutti con i telefonini, li lasciano da soli con la tecnologia. Non si insegna il rispetto verso gli adulti, i nonni, gli insegnanti».
Lei ha avuto un’educazione severa?
«Io vivevo totalmente in un altro mondo: la Praga degli Anni ’80, dove era appena finito il regime. I ragazzi ribelli lì non potevano esistere. Io ero una ragazza molto educata e tranquilla, di certo non c’erano le possibilità che hanno i miei figli oggi qui. Ma i valori che insegno ai miei figli sono quelli che mi hanno trasmesso i miei genitori, ci tengo molto».
È soddisfatta, alla fine, di come ha gestito queste difficoltà familiari?
«Penso che, nel male, sia andata bene per tutti. Oggi ci sono due famiglie serene, ognuna fa la propria vita, i nostri ragazzi stanno bene. Certo, da mamma, non mi fa piacere avere i miei figli un capodanno sì e l’altro no, li vorrei sempre con me».
Come si fa a far prevalere la mamma sulla donna ferita in amore?
«Mettendo da parte l’egoismo e le ferite, tanto certe ferite non guariranno mai».
Chi l’ha aiutata a superare quel momento di grande crisi?
«Ho la fortuna di avere tante amiche che sono state al telefono con me anche alle 4 del mattino, a turno, nelle notti difficili. Ma ho anche qualche amico maschio, uno che conosco da 18 anni e con cui passo ore e ore a parlare. Con gli uomini mi sono sempre trovata bene».
Uomini che non si innamorano di lei?
«Non sono mai stata la cosiddetta “gatta morta”, amo i rapporti franchi e diretti. Quindi poi divento amica anche delle loro mogli e i miei amici adorano Alessandro».
A proposito di Alessandro, come è nato l’amore tra voi?
«Dal mio punto di vista molto con calma. Avevo bisogno di tempo e dei miei spazi, dovevo prima smettere di avere paura degli uomini e dell’amore. Alessandro in realtà lo conoscevamo già tutti perché è il cugino del marito della mia amica (Lavinia Borromeo Elkann, ndr). Era molto piacevole e ha saputo aspettare. Penso di essere stata la sua conquista più difficile, avevo creato un muro. Quindi oggi lo devo ringraziare per la sua pazienza, per non avermi mai costretto a fare o dire cose che non mi venivano».
La voleva proprio.
«Lo penso anche io perché con noi ha cambiato del tutto la sua vita, si è preso una donna ferita e con figli. Un uomo che arriva a 40 anni senza una famiglia, quando decide di averla sa che cosa vuole, è una scelta consapevole. A 40 anni diventano maturi anche gli uomini».
E lei, alla fine, come si è convinta?
«Io che sono sempre stata una donna che fa tutto veloce, mi sono concessa del tempo per riflettere. E alla fine, un bel giorno, ho capito che lui è il mio uomo. L’unico uomo rimasto sulla terra che mi poteva salvare. Non sono una donna da avventure. In lui ho visto un porto sicuro».
Si risposerà?
«Non ne abbiamo ancora parlato. Il bebè è più importante per una coppia. Un figlio è per sempre».
Non ha paura che un figlio possa turbare il vostro equilibrio familiare e anche la vita a due?
«No. Siamo una famiglia complice e oggi i miei figli si sentono sicuri anche del rapporto con Alessandro. La nuova creatura si inserirà senza traumi, anche perché ha un bellissimo ruolo: da lei non ci si aspetta nulla, solo la felicità di stare tutti bene insieme».
· Alessandra Amoroso.
Alessandra Amoroso e Stefano Settepani si sono lasciati: l’annuncio su Instagram. Pubblicato venerdì, 31 gennaio 2020 su Corriere.it da Federica Bandirali. Alessandra Amoroso, con una Instagram Stories, conferma le voci, che circolavano nei giorni scorsi, della fine della sua relazione con Stefano Settepani. Una storia d'amore iniziata nel 2015 e tutelata, per volontà, per molto tempo da una grande privacy. «Io e Ste non stiamo insieme da un mese per motivi che non per forza devo esplicitare sui social - ha scritto la cantante -. Leggo e ascolto cose non vere sul nostro rapporto e mi dispiace perché credevamo nella famiglia e in un futuro in egual modo tutti e due! Ci abbiamo provato fino in fondo, purtroppo non è finita come pensavamo… L’entusiasmo comunque salva la vita ed essa è troppo preziosa per non continuare ad amarla». La Amoroso, 33 anni, ha conosciuto Settepani, (classe 1976), produttore di «Amici di Maria de Filippi», negli studi Mediaset nel 2015. Da tempo circolavano voci sulle nozze tra Alessandra e Stefano. Il matrimonio che sembrava già programmato per l'estate 2018 in Puglia, è poi stato rimandato e la cantante, allora, aveva precisato che il suo focus era ancora sul lavoro. Per i follower e i fan della cantante questa separazione arriva dunque come un fulmine a ciel sereno: Alessandra è stata più volte fotografata con i due figli di lui, avuti da un matrimonio precedente. C'è chi sostiene che la loro separazione potrebbe essere causata dalla volontà di lei di avere un figlio, mentre lui è molto impegnato con il lavoro, come ha scritto il settimanale «Chi». Al momento i due, oltre alla Instagram Stories di lei, non hanno fatto altre dichiarazioni ma Alessandra ha dato un nuovo colore ai suoi capelli: e se li è tinti di grigio.
· Alessandra Cantini.
Un bimbo per strada mi ha chiesto se riuscirò a “far funzionare l’Italia”. Gli ho risposto che ci stiamo impegnando con tutte le nostre forze. E lo stiamo facendo soprattutto per loro, per i più piccoli, per i nostri figli. .twitter.com — Giuseppe Conte il 2 luglio 2020.
(DIRE il 2 luglio 2020) - Un bagno di folla con decine di foto. E un piccolo fuori programma...Il premier Giuseppe Conte si concede una pausa di lavoro, tra il vertice di maggioranza e il preconsiglio dei ministri sul dl semplificazioni, per uno spuntino a base di bresaola e parmigiano in un locale a via della Croce, a due passi da palazzo Chigi. Il tragitto è l'occasione per scambiare due chiacchiere con i molti cittadini che lo fermano. Un imprenditore chiede consigli per velocizzare i tempi delle banche. Il premier ne approfitta per rivolgere un appello alla collaborazione agli istituti di credito. La signora lo implora di arrestare gli allarmi a suo dire ingiustificati degli scienziati sul Covid. "Noi non facciamo terrorismo. Ma la mascherina e' sempre meglio tenerla appresso per poterla utilizzare all'occorrenza", dice Conte e assicura che in vista della possibile seconda ondata il governo è relativamente tranquillo, grazie al piano di controllo. Un bambino gli chiede se lui riuscirà a far funzionare le cose. "Se corriamo ce la faremo. E ore ci mettiamo a correre", dice il premier. "Vengo da Lucera. Mia moglie è di Volturara", è la voce del compaesano, in gita a Roma con il figlio. Per lui un abbraccio, di gomito, particolarmente caloroso. Su via del Corso le commesse di un negozio di abbigliamento insistono: "Presidente, le vogliamo regalare una camicia", dicono. Conte si arrabbia: "Ma come regalare? Voi dovete ven-de-re. Anzi vengo io a comprare". Niente da fare la cortesia delle lavoratrici è incontenibile. Il premier deve accettare una borsa in tela. Lui ringrazia riconoscente. Quando mancano pochi passi alla sede del governo, si avvicina una avvenente ragazza. Senza mascherina, prendisole giallo, cappello a larghe tese, stile Vacanze Romane. "Ho sostenuto l'esame di diritto privato con lei a Firenze", dice al presidente del consiglio. Ma la giovane, evidentemente, non è più così interessata agli studi giuridici. "Dovrei togliermi mutande e reggiseno per fare foto di questo tipo. Facciamoci un selfie", dice e si stringe al premier. Conte non lascia passare che una frazione di secondo, quindi ristabilisce il distacco. "Manteniamo la distanza", dice.
Ecco chi è la ragazza del selfie osé con Conte. Si chiama Alessandra Cantini la ragazza che ha avvicinato il premier in via del Corso chiedendogli una foto "spinta": è la giovane che fece scandalo da Chiambretti. Alberto Giorgi, Venerdì 03/07/2020 su Il Giornale. "Ho sostenuto l’esame di diritto privato con lei a Firenze. Dovrei togliermi le mutande e il reggiseno per fare foto di questo tipo: facciamoci un selfie!". Così nella giornata di ieri una giovane ragazza ha avvicinato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a passeggio per le strade di Roma. Spieghiamo. Il premier, ieri, si è concesso una pausa dopo il vertice di maggioranza e prima del pre-consiglio dei ministri sul decreto Semplificazioni. Accompagnato dalla scorta, l’inquilino di Palazzo Chigi è passato per via del Corso, dove è stato più volte fermato. Ecco, ma chi è la ragazza protagonista del selfie osé? L’ex studentessa dell’avvocato e professore all’Università di Firenze è Alessandra Cantini. Si tratta della stessa persone che tempo fa fece scandalo in televisione in occasione dell’ultima puntata de La Repubblica delle Donne di Piero Chiambretti, visto che si alzò la gonna e mostrò il lato b a favore di telecamera. All’epoca dei fatti venne invitata in trasmissione in qualità di scrittrice, avendo dato alle stampa "Sacro Maschio". Andando sul profilo Instagram di Alessandra Cantini, di sé dice: "Dottoressa e artista, protettrice e musa dell’uomo. Niente mutandine, niente ipocrisia, nessuna codardia. Pornopolitica, Venusiana". Come riportato da Dire, ha due lauree e parla sei lingue; inoltre è contraria alla campagna del #MeToo. Ma come ha reagito Conte alle parole di quella ragazza che gli si è avvicinata per il selfie peraltro senza mascherina? Con freddezza. E qualche attimo dopo l’ha appunto freddata con un "manteniamo le distanze", concedendole comunque il selfie insieme. L’ultima parola, però, se l’è presa la Cantini, che ha postato il selfie con il sedicente avvocato del popolo sul proprio profilo Instagram, scrivendo: "Prof si tenga pure la museruola, io non ne ho bisogno e a meno di un metro vi sbranerei già (non mi avete allontanata abbastanza) peccato che non ho tempo di togliermi le mutande e fare scandalo... adesso...".
Dagospia il 3 luglio 2019. Da “la Zanzara – Radio24”. “Macchè Efe Bal. E’ un uomo, come Luxuria. Io sono una donna e sono il testimonial perfetto per Matteo Salvini e la legalizzazione della prostituzione. Scelga me, sono pronta. E’ ora che Matteo se ne accorga”. Lo dice Alessandra Cantini, show girl, scrittrice ed ex candidata in Toscana per Forza Italia, a La Zanzara su Radio 24. “Un uomo che va a puttane – dice – fa benissimo. Meglio di farsi un’amante, dilapidare tutto il patrimonio e magari lasciare la moglie. La prostituta è una psicoterapeuta. Il rapporto è chiaro. D’altra parte è sempre colpa della moglie se il marito va a puttane. Il compito della moglie è quello di appagare l’uomo, spingerlo a dare il meglio di sè e l’uomo se non è appagato va altrove. La colpa è della donna. L’uomo ha bisogno di esternare la sua mascolinità e tante donne castrano l’istinto maschile e le prostitute sono sacre, sono favorevolissima alla legalizzazione per motivi ovvi tra cui quello del controllo sanitario”. “Nel 2014 – dice ancora – a Montecarlo in un locale e un russo cominciò a srolotarmi banconate da 500 euro. Mi offrì alla fine 10mila euro. Rifiutai, ma fui una scema. Non c’è niente di male, li avrebbe spesi meglio su di me che in altro champagne. Ancora oggi ricevo proposte ma non mi sento offesa. Chi è brutta non ha nemmeno questa possibilità e si può prostituire solo intellettualmente che è ancora peggio. Leggo che alcune esponenti del Pd sostengono sia degradante usare il corpo e legalizzare la prostituzione. Ma il degrado è tutto loro. Il loro è terrorismo femminista. Dov’è il rispetto per le donne meretrici? Che scelgono di afre questo mestiere per rendersi economicamente indipendenti?”. Poi annuncia: “A Livorno vorrei fare una lista che si chiama Mutande Pazze, in onore delle mie mutande che tolgo sempre. Al primo posto c’è la necessità di creare delle zone per le prostitute, magari con camper attrezzati in un’area. Adibire dei parcheggi come zona a luci rosse”.
Dagospia il 3 luglio 2020. Da La Zanzara – Radio 24 . “Quando c’è stato il lockdown mi sono trovata in albergo, a Livorno. C’era un cameramen molto giovane, 20 anni, Gregory, ci stavamo annoiando e abbiamo deciso di girare un porno. Poi l’ho messo su Onlyfans”. Dunque ti sei data al porno?: “Non lo so. Intanto dico: non adottate un cane, ma un toy boy, prendetene uno giovane”. “Io ho 28 anni – dice a La Zanzara su radio 24 Alessandra Cantini, showgirl, ex candidata di Forza Italia in Toscana – e lui venti. Stiamo girando ancora. Lui ha un pisello di 24 centimetri, una cosa notevole. Nei video c’è di tutto tranne l’anale”. E i tuoi genitori?: “La mia famiglia mi ha detto non vergognarti di quello che sei, per quello ci sono i tuoi genitori. Detto questo, mia madre è piuttosto furbetta mentre mio padre è un po’ puritano. Vedremo”. E adesso?: “Finora abbiamo girato tre scene, ma presto saranno pure su Pornhub e simili. Ho anche contattato Rocco Siffredi per alcune idee di porno. Per me è come continuare a fare politica, non è molto diverso. E’ incredibile che in Italia si possa fare pochissimo porno, solo perché c’è il Vaticano”.
Da dilei.it il 30 novembre 2018. Si chiama Alessandra Cantini è una bella ragazza bionda livornese con una laurea breve in scienze politiche e una specializzazione in relazioni internazionali. Parla 5 lingue, ha debuttato al cinema nel film premio Oscar di Virzì La Prima cosa bella, è stata candidata nelle liste di Forza Italia ma ha raggiunto la notorietà quest’anno, dopo aver scritto un libro – Sacro maschio– ispirato al concetto del neo-maschilismo e promosso al grido di “sempre senza mutande”. Che sia un fenomeno (dice Francesca Barra), una furbacchiona (Iva Zanicchi) o semplicemente priva di cervello (Alda D’Eusanio) tanto per citare alcuni commenti delle opinioniste in studio a #Cr4 La Repubblica delle Donne di Chiambretti, dove Alessandra è stata ospite mercoledì sera 28 novembre 2018, e ha scatenato il finimondo, ancora non si è capito. Lei, sguardo serafico e occhioni languidi, si presenta in tv senza mutande, e non si vergogna a darne prova in diretta, e con un candore quasi disarmante dice le peggio cose senza preoccuparsi delle conseguenze. In un momento si è appena affievolito l’eco del #metoo ma le manifestazioni femministe sono in primo piano, con tanto di corteo nazionale a Roma sabato 24 novembre e relativa campagna mediatica #nonunadimeno, la domanda nasce spontanea: c’era davvero bisogno della Cantini? Una che parla ammiccando alla telecamera, dando la sensazione di recitare un copione studiato ad hoc per provocare e basta. E che con due frasi manda in pappa 30 anni di campagne femministe. Con dei libri in mano e una vagina una donna può ottenere ciò che vuole. Così scrive Alessandra nel suo libro. D’altronde prima ancora aveva aperto un blog, The Venusians, ispirato dal principio del neo-maschilismo. Si legge sul blog: “Il nome del sito deriva dal pianeta della bellezza e della femminilità, e infatti, l’idea è quella di dare valore alla donna in quanto tale, come complementare all’uomo; la difesa dell’uomo è volta ad esaltarne la mascolinità ed il ruolo che gli spettano per Natura, e questo è un compito che spetta alle vere Donne, fiere di avere uomini potenti e ambiziosi in ambito lavorativo e familiare”. “L’idea che le donne sono più efficaci utilizzando il metodo della pornopolitica è una sfida neo-maschilista che Alessandra intraprende per dissacrare le quote rosa, che sono da lei paragonate ad un grado di invalidità civile”. C’era davvero bisogno, di Alessandra Cantini?
LA BIOGRAFIA DI ALESSANDRA CANTINI SUL SUO BLOG “THE VENUSIANS”. Il nome Alessandra deriva dal greco alexéin, “proteggere”, e andròs, “uomini”, ed è dunque traducibile come “protettrice dei propri uomini.” La fondatrice di questo blog, che dal suo nome ha creato una causa a scopo universale, è una personalità piuttosto eclettica che ha affrontato diverse carriere, tutte richiedenti una qual sorta di talento artistico, prima di dedicarsi ad un fine sociale e benefico con il presente movimento: Nel 2010, a 17 anni, esordisce sul grande schermo nel film candidato all’Oscar “La prima cosa bella” di Paolo Virzì, dove interpreta Elena Talini, colei che seduce in maniera molto spinta il protagonista da giovane. Non avendo alcun ruolo nei casting, neanche come comparsa, si presenta direttamente al regista durante la prima scena facendogli una ramanzina sull’inefficienza del suo staff che non l’aveva scelta. Non contenta di essere stata presa come comparsa, il giorno dopo si presenta con delle foto e in meno di 24h passa il provino che avrebbe tolto un ruolo già dato. Decide, forse erroneamente, di seguire un corso di teatro a Livorno, e nel 2011 si iscrive alla facoltà di scienze politiche “Cesare Alfieri” a Firenze all’indirizzo Comunicazione Media e Giornalismo. Si laurea con una tesi in comunicazione politica: “V per Vendetta: da Hollywood alla Videopolitica,” con il noto professore Marco Tarchi. Nel 2015 viene invitata a candidarsi nelle file di Forza Italia per le elezioni regionali in Toscana nella circoscrizione di Livorno e in un mese di campagna elettorale ottiene un notevole successo nonostante decida di non spenderci un centesimo a favore di una strategia mediatica. Un comizio sulla statua del conte di Cavour nel cuore di Livorno le assicura visibilità in cronaca nazionale e un invito in televisione alla trasmissione “Mezzogiorno di fuoco.” Nel frattempo si era iscritta alla specialistica all’indirizzo Relazioni Internazionali e Studi Europei, e nonostante debba integrare alcuni esami si laurea in pari nel maggio 2017 con una tesi in teoria della politica internazionale per la quale traduce dal russo all’ inglese diverse parti di opere non tradotte: “The great war of continents: Russia’s manifest destiny according to Alexander Dugin‘s works,” e ha come relatore Luciano Bozzo e come correlatore ancora Marco Tarchi. Tra un Erasmus e una vita trascorsa in diverse città tranne che Firenze, apprende e perfeziona diverse lingue: inglese, francese, russo, spagnolo, ebraico. Dopo un anno passato alla stregua di Kate Middleton tra la lordship inglese, decide di mollare tutto e dedicarsi alla stesura di un libro sul neo-maschilismo, ma il progetto va oltre quando si accorge del potenziale delle idee che porta e apre questo blog, The Venusians. Il nome deriva dal pianeta della bellezza e della femminilità, e infatti, come Vittorio Sgarbi farà notare in un articolo sul Giornale, l’idea è quella di dare valore alla donna in quanto tale, come complementare all’uomo; la difesa dell’uomo è volta ad esaltarne la mascolinità ed il ruolo che gli spettano per Natura, e questo è un compito che spetta alle vere Donne, fiere di avere uomini potenti e ambiziosi in ambito lavorativo e familiare. La situazione esplode dopo gli incoraggiamenti ricevuti a Milano nel febbraio 2018, dove è volontaria ad un evento dello YEPP, e assume proporzioni sempre più vaste due settimane dopo nell’attacco al terrorismo di genere e alla doppia prostituzione emersi platealmente nel #metoo e capeggiati da Asia Argento, che denuncia su un giornale spagnolo e pochi giorni dopo nella prima intervista a La Zanzara. Questo intervento le fa ottenere la giusta attenzione mediatica, e si rende conto che parlare ed usare i media a dovere per esprimere questi concetti è la strada giusta per portare giustizia agli uomini e proteggerli, come vuole il significato del suo nome. Siccome l’interesse è anche politico, decide di aprire un canale YouTube, ma è solo in giugno che gli dedica una corretta attenzione. L’idea che le donne sono più efficaci utilizzando il metodo della pornopolitica è una sfida neomaschilista che Alessandra intraprende per dissacrare le quote rosa, che sono da lei paragonate ad un grado di invalidità civile.
Giada Oricchio per iltempo.it il 30 novembre 2018. Tutto all’aria a “#Cr4, La Repubblica delle Donne”: Piero Chiambretti, in prima serata su Rete4, scopre il lato B di Alessandra Cantini. Ma cosa è successo? Chiambretti ospita Alessandra Cantini, che ha scritto un libro sul potere della vagina, e ogni volta legge tre frasi strampalate e “storzellate” sulle donne. La scrittrice si è presentata in puntata senza mutande perché "le donne per essere libere non devono indossarle" e per prima cosa manda su tutte le furie la non-santa Cecilia Rodriguez: “Oh ma questa accavalla e scavalla le gambe davanti al mio fidanzato, si vede tutto…”, poi accetta il guanto di sfida di Iva Zanicchi che la ritiene “una gran furbacchiona che dice certe cose perché sa dove vuole arrivare e fa bene a dirle”. La cantante la provoca: “Voglio dire un’altra cosa, qui dicono tutti che sei senza mutande, se sei una donna veramente coraggiosa facci vedere” e la Cantini si alza, si volta e tira su il vestito mostrando a tutto il pubblico, presente e a casa, le "ciapet". E con le due mele rotonde a favore di telecamera saltella sul palco non una, ma tre volte. Ops! “Noooo, mi fanno chiudere” sussulta Chiambretti cercando di coprire l’infoiata scrittrice.
· Alessandro Bergonzoni.
Alessandro Bergonzoni per “il Venerdì - la Repubblica” il 26 maggio 2020. Un consiglio. Aspettate una vita prima di confermare la morte, restate con l' allibito dopo esservi stupiti, spaziate nel costretto, sommate le orecchie agli occhi, moltiplicate le braccia per le dita, portate al cuore una mano e alla bocca un regalo. Guardate quel che c' è d' inviso in voi senza approfittare dello specchio, andate a spasso con lo spasso stesso. Fate un giro su voi stessi poi scendete e fatene uno su voialtri, calandovi nella parte quando va via: riuscirete così a scoprire la differenza tra tori e genitori, tra oste ed ostetrica, tra pietà e pietanza, tra fame e appetiti. Vedrete finalmente che esistono nuovi giochi per le regole e che basta solo confondere consenso con nonsenso e si entrerà nel nuovo paradiso extra terrestre, dove ogni cane ne è anche il padrone, ogni iniziato ne è sua pura conclusione, dove in ogni grembo paterno s' aspetta qualcuno ma senza certezza, lasciando tutto così come non è. Perché non vogliamo mica andare su Venere, vogliamo andare con Venere su Saturno, per Giove, portando l' altruismo alle stelle.
Alessandro Bergonzoni per “la Repubblica” il 10 aprile 2020. La terra ferma. Non esiste. La gente adesso sembra esserlo. Che strano: i terremoti ci spingono ad uscire di casa e cercare il riparo del cielo. I virus ci chiedono di stare in quella casa, al riparo: le nostre prigioni? E le altre prigioni? Cos' è protezione, cos' è civile? I deliri di certe ennesime potenze economiche sono adesso delirio d' impotenza. Non ci resta che capire bene, in questa disperanza. Non vedo la luce in fondo al tunnel: ma devo diventare quella luce, dentro al tunnel. Non è importante solo uscirne ma come. È la fine del modo non del mondo. Tutto torna come dopo. L' uomo è in pericolo? No, l' uomo è il pericolo. Persone in strada? Nemmeno l' ombra ma la luce la creerà. Intanto gli alberi continuano a fare ombra, alla radice del problema. Il sole scalda comunque, la luna c' è imperterrita, consapevole-inconsapevole. L' aria sembra diventata pura e crede siamo stati noi a decidere di salvarla: non sa che è stato un vantaggio collaterale di un danno mondiale. Le piante continuano a morire e a nascere (come noi?), gli animali sentono e si avvicinano di più all' uomo, circospetti, come giaguari ma già guariti. La pioggia non cambia tragitto, non c' è verso, se non poetico. Vorrei continuare a vedere un Papa camminare tutti i giorni per le vie di Roma e la gente dalle finestre che lo prega e lo chiama. Il cammino continui. Le gambe? Potrebbero andare ovunque e chissà se si chiedono perché non andiamo più lontano. Lontano comunque lo siamo, da tutto. Eppure siamo vicini, di muro, di pochi metri. I muri che dividono e andrebbero abbattuti, ora ci preservano. Né ironia né destino. Possiamo solo imparare. Ci tocca non toccarci, ma un urlo potrebbe toccare le orecchie di tanti: facciamolo! Anche se non basterà. Ci sono felicità che ci fanno sollevare un metro da terra, ma non c' è nessuna felicità ancora se stiamo a un metro dagli altri. Và inventata subito, và cercata, và creata, ora. La radio trasmette, e noi? Possiamo trasmettere ancora di più e con più frequenze. Alle televisioni tolgo le tele e mi faccio di visioni. La divisione non è più solo una operazione ma una umana condizione. La moltiplicazione ricorda contagi. La somma una delle ennesime previsioni. La parola "mortorio" ha assunto troppi significati diversi. Non so se essere retto significhi virtù o solo esser sostenuto da qualcosa o da qualcuno che ci salverà, tenendoci in braccio. Parlo per nessuna esperienza. Mi sembro una desinenza in cerca del verbo, non so ancora bene chi è soggetto e a cosa. Il tempo restituito lo regalo, il tempo imposto non so dove metterlo. Il tempo perso finalmente l' abbiamo trovato. La libertà? Ride. La decisione è presa, in giro. Siamo ancora separati ma non è detto che divorzieremo. Il processo evolutivo adesso è velocissimo seppur virulentissimo. Chi ha detto che non possiamo uscire, di testa? Forse lo eravamo più prima, fuori, in tutti i sensi. E allora qual' è il problema? La soluzione stessa. E con tutte le mie ossa, rimembro, nell' ozio sforzato, in questo salato far niente, apparente. Carezzo questa nuova nata sanità nazionale e con loro tutti i profughi di cui nessuno parla più, i senza tetto, gli anziani e non solo ma anche chi non avrà più l' età a causa di questa letalità. Non li vedo ma li sento: senz' azione. Che vita ci aspetta, se ci aspetta? Dipende dal nostro ritardo universale accumulato prima. Ecco perché i mesi non sono più unità di misura ma solo unità. Le ore impazzano, le mete cambiano, a ritmo cessante, i progetti perdono senso e i sensi svengono, ma li dobbiamo rianimare con la nostra respirazione bocca a bocca, quando la fortuna e il suo bacio saranno di nuovo possibili. È l' occasione per rifare l' amore, da capo. È tutto qui? Tutto ora è qui, e non è poco il tutto. Odio gli uccelli far festa? Che stagione è mai questa? Ultima era, e a seguire, l' è stato. Ci vediamo dopo, dopo tutti gli intanto. Non vedo la luce in fondo al tunnel: ma devo diventare quella luce. E trovare il tempo perso.
· Alessandro Gassmann.
Alessandro Gassman: «Mio padre e la ebraicità nascosta: mia nonna dovette cambiare cognome e perdemmo due parenti ad Auschwitz». Stefania Ulivi il 15/8/2020 su Il Corriere della Sera. L’attore si racconta mentre presenta il film «Non odiare», in cui interpreta un medico ebreo che non salva un paziente nazista: «Ma ora dobbiamo provare a dialogare». L’anno scorso ci andò insieme a un piccolo grande film, «Mio fratello rincorre i dinosauri» di Stefano Cipani. Quest’anno Alessandro Gassmann torna a Venezia con un’altra opera prima, «Non odiare» di Mauro Mancini con Sara Serraiocco, unico film italiano in concorso alla Settimana della critica. Lì un racconto (vero) di maturazione di un adolescente grazie al fratello affetto da sindrome di Down. Qui la messa in scena di un dilemma morale terribile: salvare o no la vita a qualcuno che ritiene giusto sterminare quelli come te? «Lo spunto è una vicenda accaduta in Germania — racconta Gassmann — un chirurgo ebreo si è rifiutato di operare un paziente con un tatuaggio nazista che aveva sulla spalla. Anche il mio personaggio è un chirurgo, Simone Segre, che si trova per caso a decidere della vita o della morte di un uomo con una svastica tatuata sul petto. Anche lui non lo salva e dovrà fare i conti, grazie al contatto con i figli di quest’uomo, con le sue radici e i suoi valori».
E lei cosa farebbe?
«Io Alessandro, forse lo salverei. Ma non sono Simone Segre, non ho un padre che è stato chiuso in campo di concentramento e si è salvato curando i nazisti. È un tema molto complesso. “Non odiare,” dovrebbe essere l’undicesimo comandamento. È importante, tanto più ora dove odio e violenza verbale (e non) sono sempre più presenti e l’avversario è sempre un nemico di abbattere. Chi ha la possibilità e la cultura per discernere deve metterci la faccia, favorire il dialogo. Non siamo bestie, possiamo ragionare. Sta scomparendo la generazione che visse gli orrori del fascismo e della guerra. Maestri preziosi come Camilleri, luce che ci manca molto. Lo stiamo già capendo ora con gli effetti della pandemia».
Che clima vede?
«Pericoloso. Il virus ha acuito problemi e difetti. La crisi economica è pesante, per alcuni terribile. Siamo un paese impaurito e disinformato, quello con meno laureati d’Europa. Abbiamo già dimostrato di essere capaci di pagine orrende, complici ignoranza e paura».
Questo film è anche un’occasione per lei per fa i conti con la sua storia.
«Che non ho mai affrontato, come peraltro mio padre. Sua madre era ebrea, dovette italianizzare in Ambrosi il suo cognome, Ambron. E dopo la morte di mio nonno si trovò in difficoltà economica con due figli a carico. Se la cavarono perché mio padre giocava bene a pallacanestro, era nazionale. Ma lui non ha mai smesso di avere paura. L’unica volta che ha messo la kippah fu al matrimonio di mia sorella Vittoria, figlia di Shelly Winters, ebrea e credente. Per lui fu un gesto molto importante. La Shoah non va dimenticata. Io l’ho scoperta anche grazie ai racconti di mia nonna, viveva a Pisa nel ghetto, due nostre parenti della famiglia Ambron furono deportate e uccise nei campi di concentramento».
A proposito di famiglia, lei è un fan accanito di suo figlio Leo.
«Sono ammirato di come sappia coltivare la sua passione. E pensare che detesto il pop. Ma l’amore paterno è talmente forte che ho cambiato i gusti… La trap? No, quella non ce la faccio».
E il suo nuovo film da regista?
«Se tutto va bene il 3 novembre sarò sul set a Napoli per “Il silenzio grande” adattamento del testo teatrale. Con un grande cast. Ho lottato per non esserci come attore, è la prima volta e ne sono felice».
«Non odiare» sarà in sala il 10 settembre.
«Non vediamo l’ora. E più avanti uscirà “Ritorno al crimine” di Max Bruno. Farà ridere, ne abbiamo bisogno. Per ora sono tornato sul set, per “I bastardi di Pizzofalcone”. I protocolli sono durissimi, un tour de force. Ma l’importante era ricominciare».
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” il 31 marzo 2020. Alessandro Gassmann è da tre settimane in una casa che ha in Toscana, «in Maremma. Ma non a Capalbio». Per un attimo sorride al telefono, pensando alle malizie che avrebbe potuto innescare il buen retiro degli intellettuali in un momento come questo. Ma poi si fa serio, ragionando intorno alla vita al tempo del coronavirus.
Il Papa ieri ha pregato per coloro che hanno paura.
«Io ne ho molta, c' è qualcosa di sbagliato in chi non la ha. La paura porta a una reazione e speriamo alla soluzione. Sia Johnson che Trump hanno fatto una doppia capriola, senza nemmeno chiedere scusa. Prima non avevano paura, si vede che pregavano per i mercati dei loro paesi. Spero che molti abbiamo paura, ti porta a essere più serio e ligio nei comportamenti e nelle indicazioni del ministero della Salute. I bisticci politici non servono, li ignoro, non portano alcun vantaggio. Io ascolto solo i medici. Dobbiamo tutti remare nella stessa direzione».
Ha trovato la mascherina?
«Qui non sono disponibili ma presto attenzione ai contatti, io sono quello che va a fare la spesa, mi metto sciarpa e guanti di gomma, quando torno a casa levo le scarpe e disinfetto le buste. Siamo in quattro, io, mia moglie Sabrina, con cui continuiamo a condividere la stanza, nostro figlio Leo e la sua fidanzata».
La vediamo su Sky, vestito da soldato della prima guerra mondiale, e...
«Lo so dove vuole arrivare. Ha fatto impressione anche a me, mi sono visto allo specchio e, ragazzi, c' è poco da fare, sono identico a mio padre. Ho fatto la campagna di Sky cinema».
Che cosa fa nel video?
«Attraverso tutti i generi, ricostruendo in pochi secondi film di guerra e d' amore, western, horror, fantascienza: per Ritorno al futuro abbiamo usato l' auto originale di cui è proprietario un signore di Firenze, un prototipo che usa quotidianamente».
Ma la divisa che indossa.
«E' proprio come quella che indossavano Ugo Tognazzi e mio padre Vittorio in La grande guerra di Monicelli: un loro fan mi ha mostrato gli incassi a oggi, cifre impressionanti, fu il primo a incassare più di un miliardo di lire».
Come avrebbe affrontato il virus suo padre?
«Papà era del 1922, la generazione sopravvissuta alla guerra. Dopo un orrore come quello, non ti perdi d' animo.
Quali film consiglia in un periodo in cui tanta gente ha più tempo libero?
«Comincerei da Martin Scorsese. Mean Streets fu il primo film per Joe Pesci, che faceva il broker di Robert De Niro, quando Scorsese lo vide disse, ecco, pensavo proprio a una faccia così. Poi italiani non dico meno ricordati come Pietrangeli, lo stesso Comencini padre e Zurlini: Il deserto dei tartari tra l' altro racconta di un fortino dove non succede niente».
Quello che stiamo vivendo diventerà un film?
«Sarà un' occasione di raccontare storie incredibili, ho un' idea che sto sviluppando. Ma è difficile concentrarsi, vivo con una popstar (il figlio Leo ha vinto per le Nuove proposte a Sanremo, ndr ), canta nove ore al giorno e alla trentesima volta dello stesso pezzo non lo mando a quel paese ma esco in terrazzo. Ecco, mi sorprende la diversa reazione dei ragazzi, penso a Hollywood Party, mia moglie ed io ci contorcevamo dalle risate ma per Leo quella lentezza comica non passa, è una questione di ritmo, di cultura tecnologica, vanno più veloci di noi».
Il cinema cambierà?
«Sarà più difficile fare commedie, anche se sarebbe salvifico e beneaugurante. Già vedo fiction un po' retoriche e celebrative, ma se si tratta di rendere omaggio a medici e infermieri ben vengano. Io sarò un medico in Non odiare , opera prima di Mauro Mancini. Sono un medico di origini ebraiche che assiste a un incidente stradale ma si rifiuta di salvare un uomo con la svastica tatuata sul petto. Lo lascia morire. Da lì comincia un viaggio sul senso di colpa e la voglia di capire chi fosse la sua famiglia, non un avvicinamento ma un tentativo di comprensione che migliorerà la sua condizione umana».
E la vita cambierà?
«Quando ne usciremo, spero il prima possibile, le cose non torneranno come prima. Ci sarà più consapevolezza di quello che avevamo, di quello che possiamo permetterci e delle rinunce che dovremo fare. Magari pensando un po' di più a chi resta su questo pianeta dopo di noi».
Pensa che avrà nostalgia del traffico romano?
«Non credo, invece il fatto che le nostre città nel vuoto abbiamo riacquistato la loro bellezza ci farà pensare a quanto le trattiamo male. Dovremo ragionare sulla qualità della vita, sul rispetto della natura, sull' inquinamento».
Secondo lei, come ci stiamo comportando tutti?
«Molto bene. Mostriamo di avere gli attributi nelle difficoltà, in questo piccolo paese col record di morti nel mondo. Ci siamo caricati sulle spalle un dramma che resterà nella storia dell' Italia».
Cosa le manca?
«Parlarci senza WhatsApp . Quando mi sveglio faccio un tweet su una poesia, poi devo rifare Il Grinch per il figlio di un amico. Mi manca un abbraccio, il non poter vedere tante persone».
Chi è Sabrina Knaflitz, bellissima moglie di Alessandro Gassmann. Notizie.it il 06/08/2020. Sabrina Knaflitz è un'attrice e moglie di Alessandro Gassmann. Tutto quello che c'è da sapere su di lei. Classe 1968, Sabrina Knaflitz è la moglie di Alessandro Gassmann. Attrice come il marito, Sabrina è anche la mamma di Leo Gassmann, giovane promessa del mondo della musica che ha conquistato il Festival di Sanremo 2020.Sabrina Knaflitz è la compagna di vita di Alessandro Gassmann: i due si sono sposati nel 1998 (anno di nascita del figlio, Leo) e condividono la passione per la recitazione. Sabrina è nata a Roma (il cognome Knaflitz è dovuto alle origini austriache del padre, nato in Piemonte) e fin da giovanissima ha recitato per il cinema e per il teatro: il suo esordio è avvenuto nel 1988 nel film I Picari, di Mario Monicelli. A seguire ha partecipato anche I pavoni (di Luciano Mannuzzi) e a I Laureati (film di Leonardo Pieraccioni), così come ad altre numerose pellicole. Lei e Alessandro Gassmann sono una delle coppie più “longeve” del mondo del cinema, e forse il loro segreto è dovuto alla grande serietà e alla grande discrezione con cui hanno deciso di vivere la loro storia fin dall’inizio. Sul suo rapporto con la moglie Alessandro Gassmann ha affermato: “C’è attrazione, incastro chimico. Dopo però i cervelli, lavorando vicini, funzionano nello stesso modo… Sia chiaro: litighiamo vivacemente, ci mandiamo a quel paese, però ci rendiamo conto alla svelta e ci stoppiamo. Il 70 per cento delle occasioni in cui discutiamo ha ragione lei e io le chiedo scusa. Eppure finisce che le chiedo scusa pure quando ho ragione io: do in tali escandescenze da trascendere”, ha confessato l’attore.
· Alessandro Mahmoud in arte Mahmood.
Marinella Venegoni per “la Stampa” il 4 aprile 2020. Alessandro Mahmoud in arte Mahmood, in realtà ha già sentito la necessità di raccontare la propria vita al tempo del virus. In queste settimane rintanate ha scritto Eternantena e da poco l' ha messa su YouTube («E non su Spotify, perché è una specie di regalo») per i seguaci. «Ciò che vedo qua con i miei occhi sembra la fine... Ho dato un calcio alla porta della cucina/ Da un mese e mezzo non vedo più un' anima... Guardo il sole e il mondo pregando Apollo/ Sai tu che ore sono? Quattro e non ho sonno». Nervosismo, insofferenza, insonnia. Ci si potrebbero riconoscere in tanti. Per un ragazzo di 28 anni è ancora più difficile che per il resto degli umani: ma l' idea di trasformare tutto in creatività si è fatta strada.
Come passa questi lunghi giorni, Alessandro?
«Sono giorni tutti uguali. Mi alzo tardissimo, rispondo alle mail, gioco un po' con Nintendo, poi mi dedico alla scrittura. All' inizio ho proprio avuto un blocco, poi la terza settimana mi è uscita questa Eternantena che non c' entra con l' album che sto preparando ma è un modo per stare in contatto con chi mi segue. E' la prima volta che registro a casa, sono abituato a scrivere sempre in giro. Provo anche a scrivere dei ritornelli per il futuro, poi quando li risento non mi piacciono. In breve, se ne va la creatività».
Però poi questa canzone è nata, e comincia con un «Vivrei come gli dei di Pompei».
Lei mette spesso nei testi rimandi inaspettati alla mitologia.
«Sono appassionato di mitologia fin da piccolo. Anche in questo periodo sto leggendo Mithos di Stephen Fry, che racconta in maniera moderna i miti greci. Ora però ho avuto anche un blocco nella lettura. Così parlo con i miei amici con cui scrivo canzoni, e loro mi dicono che abbiamo tante strofe però mancano i ritornelli. Il ritornello è sempre uno sbattimento: essendo l' apice, nell' indie come nel rap e nel pop, è il focus della canzone».
Con Soldi il ritornello è andato piuttosto bene... E così quando non scrive cosa fa?
«Ho scaricato Houseparty. E' una app che ti permette di connetterti in videochiamate con fino a 8 persone. Una specie di Grande Fratello, entrando vedi quelli che stanno parlando e ti inserisci».
Ma poi è in casa con la sua mamma, Anna. Come va la convivenza?
«Ogni tanto ci scanniamo ma abbiamo trovato un nostro ritmo. Tutti e due ci alleniamo, ma a giorni alternati. Quanti anni ha? 57, è stata fortunata con il DNA, non ha una ruga. Però ha la fissa dei dolci, li mangia e io la sgrido».
Chi cucina?
«La mamma mi ha cucinato le lasagne e le fa buonissime. Anch' io faccio, ma cose basiche: uova, insalate, bistecche. E' difficile perché abbiamo i ritmi sballati. Io vado a letto all' 1 e mi addormento alle 5, poi mi sveglio alle 2 e faccio colazione, lei pranza. Ho un fuso americano, ma mi dà fastidio svegliarmi alle 2, sento tanto la mancanza del tempo perduto».
Guarda la tv?
«Più che altro le serie, su Netflix. Una delle ultime è Elite, spagnola, che parla di un omicidio ai tempi del college. In realtà guardo poco anche le serie: se vedi una puntata devi andare avanti e diventa una schiavitù. Poi guardo la cronaca delle brutture che viviamo. Resisteremo. Abbiamo la responsabilità di rispettare quelli che rischiano la vita tutti i giorni, ho un caro amico medico, vedo le foto che posta, e mi racconta. Bisogna aspettare e rispettare, la gente sta morendo. Alla fine, in casa, siamo come bambini che non sono mai felici».
Bisogna imparare a trovare un po' di felicità dappertutto.
«Usciremo diversi da questa esperienza. Da quando sono in casa non bevo e non fumo. Tendo ad aver paura di rovinarmi la voce».
Quale è il suo personaggio mitologico preferito?
«Forse Narciso. Ci sono varie versioni sulla sua fine: mi piace quella secondo la quale non è morto annegato, ma un dio per pietà visto che si guardava sempre nel lago e si piaceva, lo ha trasformato in un fiore, appunto il narciso».
Tutti gli artisti sono un po' dei narcisi. Lei?
«Ogni tanto mi guardo un po' troppo».
· Alessandro Preziosi.
Alessandro Preziosi, morto il padre Massimo: fu sindaco di Avellino e fece l’avvocato col figlio prima dei successi in tv e al cinema. Pubblicato mercoledì, 11 dicembre 2019 da Corriere.it. È morto a 77 anni, dopo una lunga malattia, Massimo Preziosi, avvocato, ex sindaco di Avellino e padre dell’attore Alessandro Preziosi. Preziosi era stato sindaco di Avellino nel 1975, a soli 33 anni, carica che aveva ricoperto anche il padre, Olindo, anche lui noto penalista, anche lui primo cittadino del capoluogo irpino dopo la fine della guerra. Aveva lasciato poi la politica per dedicarsi all’attività forense fino a quando non decise di candidarsi al Senato nel collegio che vide l’elezione di Nicola Mancino nel 1996. Tredici anni dopo, nel 2009, si candidò nuovamente per la carica di primo cittadino ad Avellino, ma non rivinse. Nello suo studio di Preziosi si sono formati i i tre figli Olindo, Valerio. E Alessandro. Il quale però, dopo la laurea in Giurisprudenza ha scelto invece la carriera di attore, diventando protagonista al cinema e in televisione. I funerali di Massimo Preziosi si terranno giovedì 12 dicembre, alle 10,30, nella chiesa del Rosario in via Matteotti, ad Avellino.
Emilia Costantini per il “Corriere della Sera” il 28 ottobre 2020. Non voleva fare l'attore, ma il giornalista. Non voleva fare l' avvocato, però ha preso la laurea a pieni voti in Giurisprudenza. «La mia carriera scolastica al liceo è stata un vero disastro - racconta Alessandro Preziosi -. Quasi ogni anno venivo rimandato in qualche materia e, di conseguenza, venivo severamente punito dai miei».
Per esempio?
«La punizione più dura: mentre ero costretto a fare le ripetizioni per sostenere poi l' esame a settembre, non potevo uscire di casa. Ma io trasgredivo...».
In che modo?
«Le lezioni ovviamente avvenivano d' estate quando tutta la nostra famiglia si trasferiva a Capri. Ve lo immaginate un ragazzetto che, in quel meraviglioso luogo di vacanza, se ne sta chiuso senza poter andare con gli amici a divertirsi? Ebbene: io, nottetempo, mi calavo dalla finestra della mia camera. Però una sera, chi ti incontro per strada? Papà e mamma. Un disastro».
Punizione ancora più pesante?
«Ovvio. Tuttavia, ora che sono padre, capisco i miei genitori, perché ne combinavo di tutti i colori e, devo aggiungere, che in certi casi ero pure molto sfortunato. Quella unica volta che presi di nascosto la macchina di mia madre, durante il tragitto si ruppe il cambio: l' auto si bloccò davanti alla staccionata di un parco. Io tornai a casa in punta di piedi, senza avere il coraggio di riferire subito quanto era accaduto e, quando mia madre andò a cercare l' auto in garage, le dissi sommessamente: devi andartela a riprendere in quel posto. Altro putiferio. Ma non basta. Un' altra volta ho sottratto, sempre senza consenso, il motorino a mio fratello maggiore. Lo parcheggio nel luogo dove ero diretto e, quando torno, non lo trovo più: l' avevano rubato. Una sfiga perenne».
Perché si è laureato in Legge se non voleva fare l' avvocato? E perché ha frequentato l' Accademia dei Filodrammatici di Milano se non voleva fare l' attore?
«Discendo da una stirpe di avvocati, sin da bambino ho mangiato "pane e diritto". Dunque era inevitabile che i miei volessero che continuassi la stirpe: li ho accontentati, ho fatto il mio dovere e, stavolta, anche con ottimi risultati, prendendo 110 e lode. Ma sono andato a Milano perché volevo andarmene via da casa: pur amandola molto, la famiglia mi stava stretta. Lessi per caso sul Corriere della Sera , quotidiano che non mancava mai sulla scrivania di mio padre, dei provini aperti ai Filodrammatici: mi iscrissi, superai la prova e venni preso».
I genitori contenti?
«Mia madre, anche lei avvocato, fu drastica: "Vuoi fare l' attore? Quella è la porta. Se oltrepassi la soglia, non torni più indietro". Però poi, sia lei, sia mio padre, furono i miei primi spettatori. Ricordo il monologo con cui debuttai in un teatrino-off milanese: la prima cosa che vidi, appena si aprì il sipario, furono le scarpe di papà seduto in prima fila. Non solo sono stati spettatori assidui, pure commentatori delle mie performance: se nella recitazione qualcosa non li convinceva, me lo dicevano chiaro e tondo. Le loro osservazioni critiche mi sono sempre servite per migliorarmi e, a volte, mi chiedo: ma non è che ho intrapreso questo mestiere per dimostrare proprio ai miei che ero capace di fare altro, oltre all' uomo di legge?».
In altri termini, non una vera e propria passione per il palcoscenico.
«In verità, posso dire di aver iniziato facendo l' imitatore. Avrò avuto 16-17 anni e, nelle sere in cui scappavo di casa, mi divertivo nei piano bar a rifare il verso a personaggi famosi: ero bravissimo a imitare Mike Bongiorno, Massimo Troisi, Fantozzi, Carlo Verdone... La passione per il palcoscenico è arrivata in seguito e la devo al regista Antonio Calenda, quando mi affidò il ruolo di Laerte nell' Amleto. Lo ringrazio non solo per avermi dato una grossa opportunità, ma soprattutto per avermi liberato dalla timidezza e avermi arricchito di cultura umanistica, riempiendo di contenuti quello che era solo nozionismo scolastico».
Va bene il teatro con Shakespeare, però lei è diventato famoso in tv nei panni del conte Fabrizio Ristori, in Elisa di Rivombrosa, accanto a colei che sarebbe diventata poi una donna importante anche nella vita, Vittoria Puccini.
«Una donna importante e madre di mia figlia Elena. Il successo di quella fiction è stato fondamentale, mi sentivo un miracolato. La mia mira, la mia attenzione restavano tuttavia rivolte al teatro e, quando proprio Calenda mi propose di interpretare Edmund nel Re Lear ho dovuto e voluto fare una scelta: per la seconda serie della fiction mi offrivano una cifra gigantesca, ma era impossibile fare l' uno e l' altro, frequentare il set e andare in tournée. Così accettai di girare solo una scena in cui il mio personaggio moriva e partii con la compagnia. I teatri dove andavamo erano pieni di pubblico, proprio perché la gente veniva a vedere, dal vivo, l' amato beniamino televisivo, il fascinoso conte Ristori».
La bellezza è stata, ed è, un aiuto nella sua carriera?
«Da qualcuno sono stato definito un "piacione", appellativo che non amo: io non voglio piacere, non sono un seduttore».
Si stenta a crederlo.
«Il Don Giovanni, personaggio che ho incarnato, è il seduttore per definizione: ha dentro di sé un virus tremendo, ovvero la sua incapacità, la non volontà ad ascoltare l' altro. Non credo di essere stato colpito da tale virus e, attraverso il Cyrano de Bergerac, che ho voluto recitare senza indossare il celebre naso, ho capito una cosa fondamentale: la bellezza, non è esclusivamente legata alla prestanza fisica, bensì ai pensieri positivi che illuminano una persona. Il protagonista di Rostand non è brutto per il via del suo naso, ma perché nutre brutti pensieri di invidia nei confronti dell' universo-mondo. Sei bello o brutto per come ti senti dentro e non per come appari all' esterno. Per quanto mi riguarda, so di avere un bell' aspetto, ma spero soprattutto di trasmettere più che la bellezza, la luce di ciò che sento nell' animo».
Una luce molto apprezzata dai suoi fan...
Ride: «Sì, ogni tanto mi appioppano una nuova fidanzata. Una battuta di Alessandro Bergonzoni, dice: le donne sono il sale della vita perché, quando l' acqua bolle, le cali dentro... A parte la boutade, ho amato e sono stato amato e, nel bene e nel male, sono grato alle mie partner che mi hanno sopportato e supportato».
Non solo le donne, anche gli uomini a volte subiscono molestie da registi o produttori. Le è mai capitato?
«Per fortuna, non mi è mai successo di vivere un' esperienza diretta di avances da parte di uomini. Piuttosto, mi sarebbe piaciuto averle da parte di qualche bella compagna di scena, e purtroppo non è avvenuto. Invece, mi è capitato di assistere a qualche atteggiamento da parte di attrici che, consce del loro fascino, facevano capricci con i registi, ottenendo a volte dei privilegi».
Invidioso?
«Bè, lo ammetto: come Cyrano, qualche volta l' invidia l' ho provata anch' io, quando ho avvertito quella provata nei miei confronti da qualcun altro. Non conoscevo questo brutto sentimento e ne sono stato sorpreso: è come un infido intruso che ti invade. Tuttavia sono contento di averla incontrata: se la conosci la eviti e posso affermare di essere un grande sostenitore dei colleghi».
Adesso anche lei si è cimentato come regista. Da fine novembre dovrebbe essere nelle sale, compatibilmente con le restrizioni pandemiche, il suo docu-film «La legge del terremoto», già presentato alla Festa del Cinema di Roma, dove racconta vari sismi, a partire da quello dell' Irpinia, vissuto in prima persona.
«Il 23 novembre 1980, avevo 7 anni. In quel periodo vivevo con i miei ad Avellino, dove mio padre era sindaco. Erano le 7 di sera e mi trovavo a casa di un amichetto, giocavamo sui letti a castello nella sua camera. Comincia una danza sussultoria e ondulatoria. Irrompe nella stanza la mamma del mio amico, lo prende in braccio, lo porta via, dicendo a me di correre fuori con loro. Quando sono uscito, mi sono voltato e ho visto una crepa enorme che tagliava in due il palazzo in cui mi trovavo un minuto prima. Stranamente non avevo paura, non capivo, né mi rendevo conto di quanto stesse accadendo. Mi dirigo verso la mia casa, mi imbatto nel portiere che stava scappando e mi avverte che i miei si trovavano già in strada: ero distante da loro solo trecento metri, eppure non riuscivo a vederli, poi per fortuna mia madre mi intravede nel buio... Ci trasferimmo subito a Napoli, da mio nonno, dove poi siamo rimasti. Ma negli anni successivi, sono tornato ad Avellino e, per molto tempo, ho visto quel palazzo spaccato in due».
Perché ha voluto tornare, con la memoria, tra quelle macerie?
«Noi siamo tuttora terremotati. La nostra terra ha tremato più volte e continuerà ad accadere. Ci vuole coraggio per prendere decisioni forti e preventive, che invece vengono prese nel momento del disastro, senza fare seria prevenzione. Nel nostro Paese non si ha la forza, la convinzione di compiere scelte drastiche, per evitare che questi eventi drammatici, spesso tragici, continuino a segnare la nostra storia. E dopo ogni cataclisma, il vero rischio è l' indifferenza. È quanto sta avvenendo per il Covid-19. Siamo terrorizzati: la fondata ipotesi è di richiudere la cerniera e lasciarci nuovamente tutti dentro in lockdown . In preda al terrore si compiono scelte sbagliate e l' incertezza genera confusione».
· Alessia Marcuzzi.
La Marcuzzi dà consigli a Temptation ma non convince: "Non sei credibile con tre mariti". Il reality dei sentimenti entra nel vivo e la conduttrice viene attaccata sui social network per il suo ruolo all'interno del programma. Novella Toloni, Giovedì 24/09/2020 su Il Giornale. Alessia Marcuzzi è finita di nuovo nel mirino della rete. La sua conduzione di Temptation Island non convince e qualcuno la spara grossa. Gli ascolti premiano il programma di Canale 5 ma il popolo del web, si sa, è spesso ingrato e così la conduttrice è finita sotto la forca della critica. A mettere in discussione il suo ruolo di "guida" delle coppie nel loro viaggio nei sentimenti sono stati alcuni internauti, che fino ad ora non hanno reputato credibile la sua conduzione, soprattutto per i trascorsi burrascosi nella sua vita privata. Il programma gode di popolarità, macina ascolti e fa parlare non solo per i presunti tradimenti tra fidanzati e fidanzate. La stessa Alessia Marcuzzi è finita al centro di una brutta polemica per colpa di un commento scritto sotto il suo ultimo post Instagram. La conduttrice ha pubblicato sulla sua pagina personale uno scatto dalla Sardegna poco prima della messa in onda della seconda puntata di Temptation Island. Ma a saltare agli occhi è stato il giudizio negativo espresso da un follower, al quale Alessia Marcuzzi non ha potuto non rispondere. "Onesto, te che dai consigli dopo tre mariti, figli con chiunque mi sai dire a me che credibilità hai... Al di là che sei e sarai sempre una bella donna..", sono state le dure parole dell'utente sotto al post social della Marcuzzi. Un attacco frontale legato forse più alle recenti indiscrezioni sul presunto flirt con Stefano De Martino e la crisi con il marito Paolo, che non al passato della conduttrice. Alessia Marcuzzi non ha mai fatto mistero di avere vissuto alti e bassi nella sua vita privata, ma le parole dell'uomo scritte su Instagram l'hanno spinta a replicare con pacatezza e intelligenza. "I consigli che si danno agli altri sono sempre imparziali - ha commentato lei - che banalità dire questa cosa. E allora gli psicoterapeuti hanno tutti la famiglia del mulino bianco? Ma figurati!". Una risposta che ha incontrato il favore di molti altri fan, che l'hanno virtualmente sostenuta. E così - anche lei che normalmente non si espone - alla fine ha ceduto alla nuova tendenza tra i volti noti di lavare i panni sporchi sul web.
"Con De Martino? Una storia surreale". E ora la Marcuzzi rompe il silenzio. E ora è Alessia Marcuzzi a prende la parola dopo un lungo silenzio, rivelando tutta la verità dietro il gossip con De Martino e Belen Rodriguez. Carlo Lanna, Lunedì 21/09/2020 su Il Giornale. Poco dopo la fine del lockdown la vita di Alessia Marcuzzi è stata letteralmente sconvolta. La conduttrice delle reti Mediaset è stata coinvolta in uno dei gossip più infuocati di questa estate, dato che, più e più volte, è stata "accusata" di essere la donna che si è intromessa nella love story tra Stefano De Martino e Belen Rodriguez. Una vicenda che ha messo in moto una serie di rumor e indiscrezioni che non hanno mai trovato nessun fondamento. Almeno fino ad ora. Nella puntata di sabato 19 settembre, Alessia Marcuzzi è stata ospite nel salotto di Verissimo, e di fronte a Silvia Toffanin, ha snocciolato la questione di cui è stata indirettamente protagonista.
La liaison Marcuzzi-De Martino? Tutti negano, ma spunta un fiore. Infatti, fino ad ora, solo Stefano De Martino aveva cercato di mettere a tacere i pettegolezzi in una diretta sui social. Tutto questo però non è bastato. Tanti sono stati i rumor che si sono letti in giro per il web. La Marcuzzi a quanto pare, su quanto è accaduto, è molto categorica e non si perde in chiacchiere. "Quella storia era surreale – esordisce durante la sua intervista -. Le persone preferiscono credere a una vicenda romanzata invece che alla realtà dei fatti. Io sono rimasta esterrefatta – aggiunge -. Quella cosa ha creato solo caos. Non sono intervenuta perché smentire non avrebbe fatto altro che creare altri pettegolezzi". La conduttrice smentisce qualsiasi coinvolgimento nella vicenda di Belen e De Martino. "Non potevo essere libera di postare qualcosa sui social, ma la verità di come ho vissuto quel momento la conosco solo io e la mia famiglia", continua. E durante l’intervista, Alessia Marcuzzi conferma che i rumor di una possibile relazione con l’ex di Belen sono trapelati nel momento in cui la sua storia con Paolo Calabresi era in crisi. Ma anche su questo si è fatta chiarezza. "Abbiamo avuto il nostro momento difficile durante la quarantena – ammette -. Abbiamo passato attimi un po’ particolari. Nulla di eclatante, però. Paolo è andato a dormire per qualche giorno dalla nonna, che vive vicino casa – e aggiunge -. Anche in quel caso, quando ho letto la notizia, entrambi siamo rimasti sconvolti. Comunque ora siamo sereni", conclude. Con queste parole si mette la parola fine al gossip più chiacchierato dell’estate in tempo di Covid.
Da "Chi" l'1 settembre 2020. Sul numero di Chi in edicola domani Alessia Marcuzzi, impegnata nella conduzione di “Temptation island”, il programma di Maria De Filippi che torna il 9 settembre su Canale 5, si confessa a tutto campo. A partire dal gossip che ha tenuto banco per tutta l'estate, il presunto triangolo fra lei, De Martino e Belen. «Non presto il fianco al gossip perché so che fa parte del mio lavoro», dice, «la cosa che mi stupisce è che, spesso, la gente preferisca credere più a ciò che ascolta rispetto che a ciò che vede, forse perché è più stuzzicante». La sua conduzione di “Temptation”, che guida per il secondo anno nella versione autunnale, sarà come l'anno scorso molto partecipe. «L'altro giorno ho sentito una ragazza dire: “Mi sono sempre messa al secondo posto nella coppia”. Avrei voluto andare da lei a dirle che bisogna imparare a splendere e a mettersi al primo posto, perché questo non significa amare di meno, significa farlo più consapevolmente». «Poi, certo, vedendo le coppie da fuori siamo bravissimi a giudicare. Diciamo: “Ma quella è pazza a restare!” anche se poi, quando tocca a noi, non siamo oggettivi e, magari, commettiamo lo stesso errore, anche se in maniera meno evidente». La Marcuzzi spiega come è nella coppia. «Sono maturata, sono meno irrequieta. E non sono così sicura di me: sono tanto fragile, anche se gli altri non lo vedono. Sono una che sorride sempre, non chiedo mai aiuto, piuttosto mi chiudo in camera e piango da sola. Perché mi sento fortunata: ho avuto tanto amore, ho due figli stupendi, ho una sicurezza economica. Se mi facessi vedere sofferente qualcuno potrebbe dire: “Ma vaffan...!”». «Per me la tentazione in una coppia è restare uniti, lasciarsi è più facile. Anche se sono indipendente: nella vita ho ottenuto tutto con le mie forze, non devo dire grazie a un uomo e non ho mai avuto rapporti di convenienza. Se sto con una persona, quindi, è per essere più felice. Mio marito, Paolo, lo sa e mi ama anche per questo, perché è consapevole di essere scelto e sa che, se le cose non vanno, non resto a soffrire. Ma questo è pericoloso anche per me, la mia indipendenza mi rende schiava del mio stare bene con me stessa». Alessia chiarisce anche perché ha lasciato l'"Isola dei famosi": «Dopo l’ultima edizione ho capito che, per me, era finito un ciclo e, quando Maria De Filippi mi ha chiamata per “Temptation island”, penso avesse intuito che sarebbe stata la mia dimensione ideale. Mi piace vedere le persone negli occhi e ascoltarle da vicino. A volte le parole dette a distanza possono essere fraintese, possono ferire, si possono dire in modo sbagliato». La Marcuzzi, infine, parla di Nadia Toffa: la scorsa stagione delle “Iene” è iniziata proprio con un monologo di Alessia per ricordare la collega. «Quel giorno lei era con me, c'è stata una serie di coincidenze incredibili. La storia di Nadia ti fa capire che dobbiamo imparare a dire ogni giorno le cose alle persone che amiamo, perché il nostro tempo non è infinito. Non dovremmo dimenticare mai di essere felici e di volerci bene, di dire grazie e di non dare le cose per scontate. Credo nelle cose belle e voglio stimolare gli altri a cercarle, non voglio cedere al peggio».
· Alfonso Signorini.
Grande Fratello Vip, ci mancava solo Signorini. Il direttore del principato del gossip si dà molto fare nel prendere per i capelli il celebre reality e cercare con forza di trascinarlo a fondo. Beatrice Dondi il 03 febbraio 2020 su la Repubblica. «Come diceva mia nonna un gentiluomo gode e tace» ripete Alfonso Signorini dallo studio del Grande Fratello Vip, imbustato nella sua giacca di velluto. E sorride alle telecamere. Ma di gentiluomini si sa, la nostra televisione non sente il bisogno. Così il direttore del principato del gossip, eletto a sorpresa nella serie A della conduzione serale, si dà da fare nel prendere per i capelli il celebre reality e cercare con forza di trascinarlo a fondo. Non che ci voglia chissà quale sforzo, per carità. Ma come spesso accade, quando credi di aver fatto il tuo meglio per il peggio, scopri che la discesa può continuare serena. Cresciuto a Cormano, luogo per lo più noto agli ascoltatori del Cis viaggiare informati, Signorini ha nel suo bagaglio professionale anche l’insegnamento del latino e del greco. E in qualche modo da quella cattedra non è più sceso. Una carriera luminosa nel mondo del giornalismo, donatore di perle inarrivabili come lo scoop che vedeva l’allora ministra Marianna Madia mangiare un cono gelato, il nostro è passato da opinionista multicanale a reuccio della Casa nel ventennale di celebrazioni. Senza mai abbandonare quel gusto per il rimprovero bonario, il dito che sceglie dal registro il malcapitato da interrogare, i cocchini del maestro e i Franti senza redenzione. Che poi il programma sia uno dei pochi reali motivi per cui la tv andrebbe spenta, non giustifica il fatto che questo sporco lavoro si potrebbe pur sempre fare con un briciolo di mestiere in più. In onda due volte alla settimana, tipo medicina, si aggirara nello studio con vaghezza, discettando di corna e dintorni, disperdendo ritmo, polso e dialettica. Tra novità esplosive inserite c’è quella di appellare i concorrenti Vipponi e chiamare il programma gieffe, come la marca di un piumino. Ma la sua conduzione, a onor del vero, ha anche dei difetti. Al punto che gli ascolti traballano, ma meglio non dirlo ad alta voce perché sulla carta è stato sbandierato “il cast migliore di sempre”. Pur di lasciare un segno indelebile, Signorini, autore tra l’altro del tomo “Costantino desnudo”, ha impartito al pubblico una dura lezione contro il sessismo. Tipo il pugno di ferro di “Petrus l’amarissimo che fa benissimo.” Poi all’interno del condominio si continua a dire di tutto, ma il momento gogna è stato concesso, e come in ogni interrogazione a salti che si rispetti non si torna due volte sulla stessa sgridata. Perché Signorini è equo. E sparge come verbo la giusta dose di inutilità senza guardare in faccia nessuno. L’importante è non cedere mai alla volgarità in fascia protetta. Basta solo inserire quel briciolo di pausa nella pronuncia, tra pro e tetta. E il gioco è fatto.
Laura Rio per il Giornale l'8 gennaio 2020. Alfonso Signorini, il re del gossip italiano, il giornalista che conosce tutti i segreti dei divetti italiani, da stasera su Canale 5 sarà sul ponte di comando del Grande Fratello versione Vip. Insomma, l' uomo giusto al posto giusto. Nonché il primo uomo a guidare il capostipite dei reality.
Navigare tra le star è il tuo lavoro, hai fatto l' opinionista per anni del Gieffe medesimo: sarà una passeggiata o ti senti una responsabilità in più?
«Diciamo tutte e due. Ho fatto così tante cose nella mia vita, sperimentato tante situazioni, affrontato pure una difficile malattia, che non posso spaventarmi di fronte a una nuova conduzione. Però sento anche una forte responsabilità perché in questo progetto ho creduto molto e ci metto la faccia come autore. Sarò un presentatore sui generis».
In cosa il tuo Gieffe sarà diverso dai precedenti?
«Ho lavorato moltissimo sul cast. È difficile convincere personaggi famosi a mettersi metaforicamente (e non) a nudo davanti alle telecamere, passare mesi insieme ad altre persone, loro così abituati a privacy e a privilegi. Mi sono dovuto spendere molto per assicurare loro che si troveranno in situazioni dignitose. Ho limitato quel che non mi piaceva: la leggerezza non è stupidità».
In effetti, a volte, in passato nel reality si sono viste degenerazioni vertiginose.
«Io non mi voglio certo mettere in cattedra. Questo è un reality fatto di leggerezza, gioco, amorazzi. Ci si deve divertire. Però mi è sembrato importante chiamare nel cast persone che hanno una storia interessante da raccontare, una vita particolare, anche i belloni, come Andrea Denver o le belle, come Fernanda Lessa, sono stati scelti al di là dell' aspetto fisico».
Chi è stato più difficile da convincere?
«Sicuramente Barbara Alberti. Non è certo una signora da reality, che lei ha sempre considerato il simbolo della perdizione televisiva. Ma si è dimostrata una donna di grande apertura. E noi vogliamo dimostrare che il mondo degli intellettuali e quello dei reality non è agli antipodi. Altrettanto complicato è stato convincere Rita Rusic e anche Michele Cucuzza che saranno vere sorprese».
Avete invitato alcuni ex concorrenti del passato (Pasquale Laricchia, Patrick Ray Pugliese, Salvo Veneziano e Sergio Volpini). Anche un omaggio a Big Brother che compie vent' anni.
«Sarà divertente vedere come riusciranno a interagire con i Vip. Soprattutto con la Alberti.Per il novanta per cento è il cast che avrei voluto. Rimangono alcuni sogni irrealizzati. Ma potremmo avere degli assi nella manica: Cristina Plevani (che si è sfogata via web perché non è stata richiamata) potrebbe essere la nostra Rita Pavone di Amadeus» (il riferimento è la sorpresa annunciata dal conduttore di Sanremo l' altra sera - ndr).
Nessun personaggio eccentrico come Malgioglio?
«È il mio preferito tra tutti i concorrenti dei Gieffe passati. Devo dire, però, che io non amo certi stereotipi, non ho voluto nel cast gay con paillettes e lustrini, penso si possa raccontare il mondo omosessuale anche in modo più normale. Per esempio attraverso l' esperienza - quella femminile è poco raccontata in tv - di Licia Nunez, per sette anni legata a Imma Battaglia».
Come opinionisti hai scelto Pupo e Wanda Nara.
«Volevo due volti fuori dal giro dei reality. Pupo farà a gara con me a fare le domande giuste, lo vidi come inviato della Fattoria e mi conquistò subito. Wanda mi incuriosisce perché è una donna che lavora in un ambiente molto maschilista come quello del calcio, ha una marcia in più, è simpatica».
Ami l' alto e il basso, fai il direttore di Chi e il regista della Turandot..
«Ma questa è la vita, ho due anime differenti: sono quello che si fa il bagno con le salsicce insieme a Malgioglio e quello che ama l' opera. La vita è fatta di emozioni, di storie, di vissuti, ma anche di leggerezza e cazzeggio. Mi piace divertirmi in modo intelligente. E credo che mi divertirò anche con questo programma».
Il tuo settimanale ha svelato per primo l' intera lista dei cantanti a Sanremo, facendo infuriare tanti.
«Le notizie non si tengono nel cassetto. E pensare che sapevo anche che Rita Pavone sarebbe stata la sorpresa di Amadeus. Lo sapevo perché l' avrei voluta come opinionista al Gieffe ma mi ha dovuto dire no per il Festival. Ma questo mica l' ho scritto, non volevo rovinare la sorpresa».
· Alvaro Vitali.
Da tgcom24.mediaset.it il 4 febbraio 2020. Ha debuttato con Federico Fellini in "Fellini Satyricon" e "Amarcord", ma per tutti è il pestifero Pierino delle commedie sexy anni 70. Compie 70 anni Alvaro Vitali, attore e cabarettista tra i più popolari della nostra commedia, ha segnato un'epoca diventando il simbolo di un genere che tra gli anni 70 e gli 80 ha spopolato. Negli ultimi anni ha confessato di essersi sentito abbandonato dal mondo del cinema. Per anni il suo volto dai lineamenti caratteristici, le sue smorfie e le sue battute scollacciate sono state il contraltare di alcune delle più prorompenti bellezze del nostro cinema: da Carmen Russo a Gloria Guida, da Anna Maria Rizzoli a Michela Miti. Alvaro Vitali è stato uno degli attori simbolo (insieme a Lino Banfi, Renzo Montagnani e Mario Carotenuto) della commedia sexy che ha spopolato tra gli anni 70 e 80. Considerato per anni genere di serie B salvo poi venir rivalutato con il passare del tempo. E pensare che a scoprire Vitali, ancora studente ma con una spiccata passione per il canto e per il ballo, era stato nientemeno che Federico Fellini. Dopo averlo notato in un provino lo fece esordire nel 1969 in "Fellini Satyricon", per poi dirigerlo anche in "Roma" (dove interpreta un ballerino di tip-tap d'avanspettacolo), ne "I clowns" e in "Amarcord". Il colpo di fulmine con la commedia sexy avviene dopo essere stato notato dal produttore Luciano Martino ne "La poliziotta", con Mariangela Melato. Messo sotto contratto dalla Dania film, dalla seconda metà degli anni 70 Vitali inanella una serie di titoli diventati famosissimi, come "L'insegnante", "La liceale", "La dottoressa del distretto militare", "L'infermiera di notte". Nel 1981 poi assurge al ruolo di protagonista incarnando il personaggio con cui per anni sarà identificato: Pierino, il ragazzino terribile delle barzellette. "Pierino contro tutti", "Pierino colpisce ancora" e "Pierino medico della Saub" sono di fatto film che mettono in pellicola sketch tratti da barzellette popolari, ma che proprio per questo, riscuotono un grande successo. Vitali proverà poi a recuperare il personaggio nel 1990, con "Pierino torna a scuola", ma ormai la fortuna del genere è andata scemando. Diventato sempre più difficile il rapporto con il cinema, negli ultimi anni Vitali si è consolato con qualche partecipazione televisivo. Nel reality "La fattoria", nei panni di Jean Todt a "Striscia la notizia", e come ospiti di qualche salotto televisivo, spesso per commentare qualche polemica che lo ha visto coinvolto. Ma l'amore per il cinema non lo ha mai lasciato, tanto che più volte ha accusato chi invece, dopo averlo sfruttato, lo ha dimenticato.
· Amadeus.
Marco Salaris per tvblog.it il 13 febbraio 2020. Sono passati solo 4 giorni dalla chiusura di un'edizione che non esitiamo a qualificare come indimenticabile per Sanremo 2020 sotto tanti punti di vista: colpi di scena, musica, ospiti e (soprattutto) polemiche. Amadeus - nonostante il suo volto si veda tutte le sere a Soliti Ignoti - si sta prendendo qualche giorno di detox dal lavoro (e ci crediamo bene!) ma c'è tempo per le interviste post evento, soprattutto se a fargliela è un'emittente radiofonica che per anni è stata casa sua: RTL 102.5. Stamani durante il programma Non stop news condotto da Fulvio Giuliani, Giusi Legrenzi e Pierluigi Diaco il conduttore è intervenuto per commentare, fare una disamina del Festival che è stato. "Nella conferenza stampa di chiusura tu hai parlato di felicità - dice la Legrenzi - proviamo ad esplorarla".
Amadeus: La felicità è data da una serenità che uno acquisisce, da un clima bello, dalle persone che ti vogliono bene, anche non quelle che hai comunemente vicino sempre in tutti i momenti positivi e negativi ma l’affetto della gente che è tantissimo. quello ti dà uno stato di felicità notevole. La felicità è data anche da un lavoro fatto bene, sono tante cose: il lavoro, lo sport, la passione, la soddisfazione per un obbiettivo raggiunto. Abbiamo diritto a provare ad essere felici. I risultati d'ascolto (è risaputo) hanno dato ragione ad un grande lavoro organizzativo iniziato ad agosto 2019, giorno in cui al conduttore è stato dato in affido la conduzione e la direzione artistica della kermesse canora.
I numeri però non sono l'unico elemento a bastare: Quando io ho cominciato a lavorare a Sanremo - afferma Amadeus - già ad agosto avevo le idee ben chiare, nel senso che ho lavorato per questo ed era questo il Sanremo che volevo fare, malgrado le polemiche che capivo essere assolutamente sterili perché io so come sono. Io ero tranquillo, sereno e non ho mai avuto una reale preoccupazione perché stavo per fare la cosa che ho sempre sognato per tutta la vita. Ero tranquillo e mi sono goduto questo momento che sarà per me indimenticabile.
Il pensiero che persiste già dalla scorsa settimana è uno: Amadeus farà il bis? Sul dilemma lui frena, non vuole sbilanciarsi ma, per usare una metafora, la porta lascia entrare uno spiraglio: Ci vuole pazienza. In questo momento qualsiasi mia risposta positiva potrebbe essere dettata dall’entusiasmo e quindi è pericoloso e qualsiasi no potrebbe essere dettato dalla stanchezze e altrettanto pericoloso. Adesso ci si prende qualche giorno di tempo e poi si riflette, è pur vero che per come sono fatto io sono felice di essere tornato alla mia quotidianità fatta del mio Soliti Ignoti tutti i giorni, dalla famiglia e dalle cose che amo fare tutti i giorni. Sanremo è un grande evento e se uno deve prepararlo come un evento è difficile farlo due anni di seguito. Però attendo di capire da me stesso, dopo ancora qualche giorno di riposo, che cosa è meglio fare per il Festival, per me e per tutti quanti. Bisogna avere la mente carica per poterne fare un altro nel migliore dei modi perché i risultati, ovviamente, capodanno l’obbligo di doverlo fare, quando sarà un altro, al meglio.
Oltre la musica e la gara che ora proseguirà per la sua strada in radio e nelle piattaforme digitali, Sanremo ha collezionato in 5 giorni una quantità importante di momenti emozionanti. Si cita il ricordo di Fabrizio Frizzi cui è stato tributato una standing ovation nel giorno del suo compleanno: Io sono contento che si ricordi questo perché quelle sono cose che nascono spontanee. Io non riesco a mentire, non amo le ipocrisie o le cose pompose per fare audience o pubblicità o per mettermi una medaglia al petto. quando faccio una cosa l’idea è di farla con il cuore e quando ho chiamato Carlotta Mantovan dicendole che avrei avuto piacere perché era il compleanno di Fabrizio lei mi ha risposto “solo perché me lo hai chiesto tu e mi hai spiegato come lo vuoi fare vengo volentieri”. L’ho fatto esattamente come ho spiegato a lei, come si dovrebbe fare tra due amici e gli amici non siamo solo io e Fabrizio ma il pubblico perché credo sia una delle persone più amate della storia della televisione e il pubblico avrebbe festeggiato così, anche perché lui non amava le cose pompose ma era una persona assolutamente discreta e di una simpatia contagiosa.
E di Paolo Palumbo, il 22enne sardo malato di Sla ospitato nella seconda serata del 5 febbraio per poter portare sul palco il suo brano scartato a Sanremo Giovani: Io sono Paolo. La stessa cosa per Paolo, l'ho invitato il giorno dopo che non era passato alle selezioni successive dei giovani e anche con lui ci siamo sentiti più volte al telefono e doveva essere lui il protagonista non solo per la canzone ma per permettergli di raccontare ciò che ha voluto raccontare. Ha scritto quella lettera e mi ha chiesto di poterla leggere e gli ho detto assolutamente sì, non ho pensato all’audience o ad altro ma solo la possibilità di realizzare il suo sogno come io stavo realizzando il mio.
Amadeus chiude l'intervista con uno dei passaggi più forti della settimana sanremese, l'arrivo di Roberto Benigni: Ci siamo sentiti una volta dove lui mi ha fatto sapere che stava riflettendo sul fatto di venire al Festival di Sanremo e questa cosa mi ha sorpreso, era quasi nove anni che non veniva e allora ci siamo incontrati. Abbiamo fatto un piacevolissimo pranzo insieme, è una persona di una semplicità e simpatia travolgente, e mi ha detto Se a te fa piacere vorrei venire a Sanremo. Io gli ho detto Mi fa piacere e ti vengo a prendere ovunque tu sia perché per me è una grande gioia” e non ho voluto sapere minimamente che cosa avesse presentato. Ho detto ‘No Roberto, per me sei un assoluto fuoriclasse, sei un premio Oscar, tu puoi venire sul palco di Sanremo e dire e fare ciò che desideri. Io non voglio sapere niente e sarà una sorpresa anche per me”. Devo dire che è stata una cosa molto alta, particolare, fortissima che rimarrà nella storia del Festival.
· Amandha Fox.
Gabriella Sassone per Dagospia il 6 giugno 2020. Che ci faceva sere fa la bombastica Venere polacca Amandha Fox a bordo di una potente Jaguar F- Type bianca che sfrecciava in zona Roma Prati? A guidarla un uomo mascherato (e non certo con la mascherina chirurgica di protezione). Tra la curiosità dei pochi passanti, la coppia si è poco dopo esibita, col favore delle tenebre, in pose esplicite. Insomma, i due si sono spogliati e "allacciati" per praticare sesso sul cofano anteriore dell'auto. Che succede? Bollori improvvisi post quarantena e astinenza sessuale? Non proprio. La Venere a luci rosse è tornata a lavorare per Pink'o Club, di cui è già stata star in passato. Rudy Franca, considerato la mente più illuminata dell’adult-entertainment italico nonché patron della Pink’o Club (la casa di produzione italiana nota nel mondo) ha partorito un format in stile americano denominato “Frame Leaks“, ovvero video trapelati. Il protocollo della Pink’o prevede che i protagonisti di questi frame (e parliamo di pornostar di fama internazionale) vengano dotati di mini telecamera (OSMO) che li riprenda live durante i vari amplessi sessuali, senza bisogno di cameramen, datori luci e altri terzi incomodi. Ovunque scatti la "voglia matta": nel bagno di un ristorante, allo stadio, durante un concerto, oppure in un pub, in un parco, ma anche nella classica alcova d’amore che è il letto. A detta del manager della Fox, Cosimo Pavese, anche la scena della Jaguar girata a Roma, che non è certo l'unica di Amandhona nostra, sarà prossimamente pubblicata dalla Pink'o sul suo sito pinkoclub.com per la gioia dei "porcini" vojeur di tutto il mondo. Insomma, ai tempi del Coronavirus anche il porno è ufficialmente cambiato. Quando l'Italia all'inizio di marzo ha annunciato il lockdown nazionale come risposta alla pandemia generata dal Covid-19, Pornhub, il sito di porno gratuito più grande al mondo, ha immediatamente reso disponibile gratuitamente il servizio premium in tutto il nostro Paese. In un solo giorno, il consumo di materiale adult è aumentato del 57percento. Del resto, sia single che coppie non conviventi, si son dovute astenere dai rapporti sessuali causa quarantena. In questo senso le moderne frontiere della sessualità (sexting e video chiamate) sono divenute il territorio privilegiato per coloro che vivono il loro amore a distanza ma anche per quelli in cerca di nuove avventure. E allora come cambierà il mondo del porno nell'epoca del “distanziamento sociale” e delle mascherine che hanno generato questi stravolgimenti sociali? Sempre negli ultimi quaranta giorni sono aumentate le denunce per violazione della Legge 69 del 19 luglio 2019, più specificamente la violazione dell’art 612 ter rubricato “Diffusione illecita di video o immagini di sesso esplicito”. Ai posteri l'ardua sentenza!
· Amanda Lear.
Leonardo Martinelli per “la Stampa” l'11 luglio 2020. È appena arrivata nella sua casa a Saint-Tropez, dopo che è rimasta rintanata per il confinamento nella campagna della Provenza, in quella dimora dove vive gran parte dell' anno, piena di ricordi.
Una liberazione per Amanda Lear?
«In realtà, ora che possiamo uscire ed è quasi tutto finito, provo un sentimento di ansia e di paura. La gente che fa rumore non ci siamo più abituati. Poi io da sola sto bene».
Per tre mesi ha dipinto, una grande passione. E si è occupata dei suoi gatti, «facevo da mangiare, il bucato, pulivo. Una massaia perfetta». Neppure voglia di parlare ai giornalisti: di cosa? Ma adesso, sulle principali piattaforme, è appena uscito on demand Si muore solo da vivi, regista Alberto Rizzi (e con Alessandro Roja e Alessandra Mastronardi), dove c' è pure lei, Amanda, «un bel film, ci credo molto». Intanto si prepara a ritornare in studio di registrazione per il nuovo album. Cominciamo dal film: che storia è?
«Quella di un uomo che, a causa del terremoto in Emilia, ha perso tutto e deve ricominciare da capo. È un musicista, ma da anni non ha più la sua band. La vuole ricostituire e contatta la sua vecchia manager musicale. Sono io, Giusi Ganaglia».
E chi è Giusi?
«Una che se la tira un po', ma non è antipatica. Abbiamo girato a Correggio, in Emilia. Io tra lì e la Romagna, 40 anni fa, feci le mie prime tournée, quando ero la regina della disco music. Mi chiamò dalla Germania, dove registravo gli album, un manager vero, Luciano Tosetto. Fu un periodo meraviglioso: era la prima volta che mi esibivo in pubblico, dal vivo. Erano piccole discoteche, non era facile, dalla sala mi dicevano di tutto. Ma è stata una bella gavetta.
A proposito di musica, quando uscirà il nuovo album?
«Ci stavo lavorando, ma il lockdown ha bloccato tutto. Sarà il diciottesimo della mia carriera. In realtà non volevo più cantare, ormai mi piace troppo recitare, da una decina d' anni a teatro in tutta la Francia. Ma ho ancora tanti fans che aspettano da me un album. Ho registrato già tre brani: uno di Ritz Ortolani, era stato completamente dimenticato. Ritornerò negli studi a settembre».
Ancora musica disco?
«Macché, a me non piace, non mi è mai piaciuta. Lo so, ancora oggi la fanno tutti. Ma per me è finita. Preferisco canzoni d' amore, melodiche. Voglio far sognare, piangere, innamorare».
La sua voce è ancora quella di Tomorrow, bassa e profonda?
«Quarant' anni fa il mio produttore tedesco mi diceva: canta alla Marlene, devi essere la Dietrich della disco music. Mi spingeva verso una voce artificiale, sempre più bassa, che ha fatto il mio successo. Mi faceva fumare e si registrava alla quattro di notte e lui era contento.
Oggi è diverso».
In che senso?
«Sono cambiata facendo teatro. Al mio primo spettacolo a Parigi, il regista si mise nel balcone più alto e, quando parlavo, mi diceva: non si sente. Ho imparato a piazzare la voce più alta e più forte. Poi la voce è un muscolo e io, grazie al teatro, l' ho allenata. Canto meglio oggi di quaranta anni fa».
Il film di Rizzi racconta la storia di una persona che perde tutto. È capitato anche a lei.
«Sì, era la notte tra il 15 e il 16 dicembre 2000. Scoppiò un incendio nella mia casa in Provenza. Morì mio marito, Alain-Philippe Malagnac. E bruciarono i ricordi di una vita, tutto. Io ero a Cologno Monzese, negli studi di Canale 5, a registrare un programma. Corsi lì, ma non c' era niente da fare».
Quale fu la sua prima reazione?
«La rabbia, la rivolta: cosa ho fatto di male, per meritarmi tutto questo? Poi capisci che, sebbene tu sia famosa, non sei intoccabile. È stata una grande lezione di vita: sono diventata più comprensiva, prima ero una bambina viziata. E quella casa l' ho voluta ricostruire».
Quali ricordi ha di Alain?
«Era una persona meravigliosa, pieno di qualità e di difetti. Era tenero, molto vulnerabile. Prima e dopo ho avuto tante storie, anche molto belle. Ma di grandi amori nella vita ne hai uno solo».
Pochi mesi dopo si ritrovò a New York, l' 11 settembre 2001. Crollarono le torri gemelle.
«La mattina in una galleria c' era il vernissage di una mia mostra di pittura. Ricordo il fumo fuori ovunque. Scapparono tutti, rimasi lì da sola come una cretina in mezzo ai miei quadri. C' era quell' odore di bruciato, come all'indomani dell' incendio a casa mia. Ma il fuoco brucia e anche pulisce. Dopo si deve ricostruire. Si ricomincia».
Dagospia il 20 giugno 2020. Da Un Giorno da Pecora. Amanda Lear, artista, cantante, pittrice tra le più note in Italia ed in Europa, oggi si è raccontata ad Un Giorno da Pecora, la trasmissione di Rai Radio1, che l'ha raggiunta telefonicamente nella sua abitazione in Provenza. “Sono nella mia casa nel sud della Francia, con i miei gatti. Ne ho avuti fino a 13, ho avuto anche qualche capretta, perché amo gli animali”, ha esordito la Lear. E' vero che giovedì ha festeggiato il suo compleanno? “No, il mio compleanno è il 18 novembre, compirò 74 anni”.
Secondo alcuni lei farebbe gli anni il 18 giugno...
“No, assolutamente no”, ha precisato l'artista a Un Giorno da Pecora. Come passa la maggior parte del suo tempo a casa? “Io adoro dipingere. In passato dipingevo molti nudi, sia femminili che maschili”.
A proposito di uomini, ultimamente ne sta frequentando qualcuno?
“Scherzando in passato dicevo 'ho chiuso "la boutique", ma non è così. Vi assicuro che anche passati i 60 o i 70 ci sono comunque tanti ragazzi che ti fanno i filo. Una donna ha sempre fascino, anche con l'ironia, la sicurezza e la voglia di vivere si può sedurre, al di là dell'età”.
Quand'è stata l'ultima volta che ha avuto un flirt con un uomo?
“Diciamo che in questa bella casa che ho in Provenza ho cinque stanze, dunque c'è sempre posto per aver qualche amico che passa a farmi compagnia, non mi sento mai sola”.
Lei ha avuto una carriera straordinaria: si è mai fatta il conto delle cifre che ha guadagnato?
“Ho guadagnato tantissimo. Ma ho anche speso tantissimo: sono una spendacciona. Spendo per tutto, per la casa, per gli animali, per i viaggi, che spesso ho regalato”.
Qual è il viaggio più costoso che ha regalato?
“Una viaggio lunghissimo, in prima classe, dove andammo anche in India. Queste cose costano...”
Lei conobbe molto bene Salvator Dalì. Che tipo era?
“Molto passionale, molto spagnolo, ogni domenica andava alla corrida ed era un macho spagnolo tipico, un maschilista. Ma ha avuto una grandissima influenza nella mia vita, siamo stati insieme 16 anni e da lui ho imparato tantissimo, ho imparato come pubblicizzarmi, far parlare di me. Tantissime cose".
Le piacevano i suoi iconici baffi?
“Lui si metteva una specie di cera per farli tenere su dritti. E ogni mattina si truccava i baffi, con la matita nera. Tanto che quando mi dava il bacio della buonanotte mi rimaneva il segno sulla fronte”.
Politicamente lei si sente più di destra o di sinistra?
"Non faccio politica, ho un passaporto britannico, adoro la regina anche se Boris Johnson è un cretino totale. La regina Elisabetta è meravigliosa, politicamente sono royalista, penso che il meglio per un paese sia aver un re meraviglioso che stia lì fino alla morte, così non c'è bisogno di cambiarlo ogni cinque o sei anni”.
Donald Trump le piace?
“Mi fa un po' paura, cambia idea ogni cinque secondi, non è il mio genere di uomo, prepotente...”
STEFANIA ULIVI per il Corriere della Sera il 19 giugno 2020. «Capisco bene la voglia di non arrendersi raccontata nel film di Alberto Rizzi. Il protagonista ha perso tutto nel terremoto in Emilia ma non si arrende all'idea che tutto debba finire così. Anche io ho avuto una tragedia terribile nella vita. Ho perso tutto nell'incendio della mia casa, mio marito (Alain-Philippe Malagnac, ndr , i ricordi, i quadri, tutto. Ma devi farti forza e ricominciare, lo so». Amanda Lear è nel cast della commedia Si muore solo da vivi, prodotto da Nicola Fedrigoni e Valentina Zanella, per KPlusFilm distribuito da Fandango, on demand da domani sulle principali piattaforme, con Alessandro Roia e Alessandra Mastronardi.
È un'opera prima, come l'hanno convinta?
«Amo lavorare con i giovani, hanno luce e quando sentono il mio nome non si fermano ai cliché. Accetto volentieri, come ho fatto con Metti una notte di Cosimo Messeri. Non si sa mai, forse sono gli Scorsese e Coppola di domani, il talento va incoraggiato».
Lei fa un cameo, che personaggio è?
«Sono Giusi Ganaglia, una specie di impresaria musicale che se la tira un po' a cui si rivolge il protagonista, ex leader di una band. Girare in Emilia, a Correggio, è stato bello. Mi hanno raccontato questa stor