Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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ANNO 2020

 

LE RELIGIONI

 

SECONDA PARTE

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

  

 

 

L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

     

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2019, consequenziale a quello del 2018. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

GLI ANNIVERSARI DEL 2019.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

LE RELIGIONI

INDICE PRIMA PARTE

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Scienza e fede religiosa.

I Templari e L’Ordine di Malta.

I Patriarcati Ortodossi.

Non solo Burqa.

Il Vaticano e le donne.

Le Suore.

L’estinzione della Cristianità.

La Riscoperta del cristianesimo.

I Papi cinematografici.

Il Papa Santo.

Il Papa Emerito.

Il Terzo Papa.

666: il nome dell’Anticristo.

Il Papa Comunista.

I Preti Comunisti.

I Preti non Comunisti.

I Comunisti e la Chiesa.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

Dio, Patria, Famiglia Spa.

Il Vaticano e gli Hacker.

Il Vaticano e le Divisioni interne.

Il Vaticano e gli Scandali.

Il Vaticano e la Pedofilia.

Il Vaticano e l’omosessualità.

Il Vaticano e l’Aborto.

Il Vaticano ed i divorziati.

Il Vaticano e l’Immigrazione Clandestina.

Il Vaticano ed i poveri.

Il Vaticano e le Associazioni Cattoliche.

Il Vaticano ed il Fisco.

Il Vaticano e la Medicina.

Il Vaticano e la Morte.

Radio Maria.

Il Vaticano e l’Islam.

Il Vaticano e gli Ebrei.

La Sinistra e gli Ebrei.

La sinistra e l’Islam.

Amico Terrorista.

Il lato oscuro degli Amish.

Gli Evangelici.

I Mormoni.

«E non abbandonarci  alla tentazione»: così cambia il Padre Nostro.

La morte di Cristo è ancora un "caso".

Chi non vuole i simboli Cristiani?

La Mattanza dei Cristiani.

In odor di Santità.

Islam. Quei Paesi senza diritti.

Odio e Suprematismo Religioso.

L’India e la Religione.

Il Canada e la Religione.

La Francia e la Religione.

La Cina e la Religione.

I Buddisti.

La Chiesa sposa l'ecologismo.

Il Veganesimo è una Religione.

Religioni alternative. Chi sono i Pastafariani.

Una “Setta per scopare”.

Tra Sacro e Profano: Miracoli, fatture, malocchi, riti occulti e stregonerie.

 

 

 

 

LE RELIGIONI

 

SECONDA PARTE

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Dio, Patria, Famiglia Spa.

Dialogo con un mussulmano in Italia.

«Perché tu sei così radicale?

Perché non abiti in Arabia Saudita???

Perché hai abbandonato già il tuo Paese musulmano?

Voi lasciate Paesi da voi definiti benedette da Dio con la grazia dell’Islam e immigrate verso Paesi da voi definiti puniti da Dio con l’infedeltà.

Emigrate per la libertà …

per la giustizia …

per il benessere …

per l’assistenza sanitaria ..

per la tutela sociale …

per l’uguaglianza davanti alla legge …

per le giuste opportunità di lavoro …

per il futuro dei vostri figli …

per la libertà di espressione ..

quindi non parlate con noi con odio e razzismo ..

Noi vi abbiamo dato quello che non avete …

Ci rispettate e rispettate la nostra volontà, altrimenti andate via».

Qualcuno afferma che queste frasi le abbia pronunciate Julia Gillard (primo ministro australiano) ed abbia rilasciato queste affermazioni nel 2005 rivolgendosi ad un Islamista radicale estremista in Australia.

Qualcun altro decreta che sia una bufala e che Julia Gillard non abbia mai proferito quelle frasi.

Se nessuno fino ad oggi ha dato paternità a queste frasi, allora dico: sono mie!

Dio, Patria, Famiglia Spa. Report Rai PUNTATA DEL 20/04/2020 di Giorgio Mottola collaborazione di Norma Ferrara e Simona Peluso. Con l’esplosione della pandemia il fronte sovranista che si professa ultracattolico è tornato all’attacco di Papa Francesco. Sui siti della destra religiosa americana non hanno dubbi: il coronavirus è la punizione divina per il tradimento di Bergoglio. È solo l’ultima delle accuse mosse al Pontefice, e arriva dopo i violenti attacchi lanciati contro le posizioni assunte su migranti, divorziati, difesa dell’ambiente e omosessuali. Quello degli anti-bergogliani è un network potente che comprende giornali, siti, associazioni, fondazioni e un fiume di soldi che dagli Stati Uniti negli ultimi anni è approdato in Europa e in Italia. Report svelerà in esclusiva quali sono i gruppi politici italiani sostenuti da Oltreoceano e chi sono i cosiddetti dissidenti da Bergoglio all’interno delle gerarchie vaticane e i leader politici che stanno offrendo sponda.

“DIO PATRIA FAMIGLIA SPA” Di Giorgio Mottola Consulenza Andrea Palladino Collaborazione Norma Ferrara – Simona Peluso

PAPA FRANCESCO - BENEDIZIONE URBI ET ORBI 27/03/2020 Dio onnipotente e misericordioso guarda la nostra dolorosa condizione, conforta i tuoi figli e apri i nostri cuori alla speranza.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Sotto ad un cielo cupo coperto da nuvole cariche di pioggia, per la prima volta nella storia, un Papa ha parlato di fronte a una piazza san Pietro completamente vuota.

PAPA FRANCESCO - BENEDIZIONE URBI ET ORBI 27/03/2020 Non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Dopo l’esplosione della pandemia, il Papa concede l’indulgenza plenaria ai credenti nel mondo. Ma in alcuni ambienti del cattolicesimo è il Papa stesso ad essere considerato la causa del coronavirus.

JOHN-HENRY WESTEN- DIRETTORE LIFESITENEWS È sensato immaginare che, anche solo in parte, questa epidemia sia la conseguenza del tradimento compiuto dal Papa contro nostro Signore?

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Insomma, con il coronavirus Dio avrebbe punito gli uomini per il tradimento del Papa. Ad affermarlo è il direttore di Lifesitenews, uno dei siti ultracattolici più seguiti nel mondo.

JOHN-HENRY WESTEN- DIRETTORE LIFESITENEWS Il pontefice ha dato il suo consenso alle comunioni sacrileghe, concedendo la sacra comunione a divorziati e risposati. Questa profanazione della sacra comunione ha un collegamento diretto con la punizione divina.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Da settimane questa tesi viene rilanciato da decine di siti ultracattolici e da numerosi predicatori americani del web.

TAYLOR MARSHALL – TEOLOGO YOUTUBER Abbiamo avuto un Papa che per la prima volta nella storia ha introdotto l’idolatria a San Pietro e ha fatto un accordo sconsiderato in Cina.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Le accuse di idolatria contro Bergoglio sono iniziate qualche mese fa, quando, in occasione del sinodo sull’Amazzonia, il pontefice ha accolto in vaticano le statue di Pachamama, un’antica divinità Inca, che oggi per i popoli amazzonici simboleggia madre terra.

JOHN-HENRY WESTEN- DIRETTORE LIFESITENEWS Lo sanno tutti che, poco prima dell’esplosione del coronavirus, il Papa abbia acconsentito all’ingresso dell’idolatria nel Vaticano. L’idolatria di Pachamama.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Per il fronte ultraconservatore il sacrilegio compiuto da Bergoglio non poteva restate impunito e così, un ultracattolico austriaco, Alexander Tschugguel, si è filmato mentre ha rubato le statue di Pachamama dalla chiesa di Santa Maria in Traspontina dove erano esposte per poi gettarle nel Tevere.

TAYLOR MARSHALL – TEOLOGO YOUTUBER Dio non è contento di noi e non è contento del Papato. Vuoi fare false adorazioni? Ti faccio vedere chi devi adorare davvero.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ma se il coronavirus è davvero la punizione divina per il tradimento compiuto dal Papa, allora l’ira di Dio deve aver sbagliato clamorosamente mira. All’inizio dell’epidemia infatti, a risultare positivo al Covid è stato proprio Alexander Tschugguel. L’uomo che ha buttato le statue di Pachamama nel Tevere.

TAYLOR MARSHALL – TEOLOGO YOUTUBER Alexander Tschugguel ha il coronavirus ed è a letto con febbre alta da una settimana. Si sente davvero molto male e mi ha chiesto di pregare per la sua guarigione.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Le campagne anti-Bergoglio sul Coronavirus non nascono a caso, ma germogliano dalle dichiarazioni rilasciate da alcuni esponenti delle gerarchie vaticane, come l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti. In varie interviste ha indicato il Coronavirus come punizione divina contro peccati mortali come l’aborto, il divorzio e l’omosessualità. Posizione condivisa e rilanciata da Ralph Drollinger, consulente della Casa Bianca sugli studi biblici, in un documento ufficiale ha collegato di recente l’epidemia al dilagare di omosessualità e lesbismo. Esattamente l’opposto di quanto aveva dichiarato giorni prima il Papa durante un’intervista alla tv spagnola.

PAPA FRANCESCO Dio perdona sempre, noi altri perdoniamo qualche volta. La natura non perdona mai. Cioè, la natura è in crisi. Quindi dobbiamo prenderci cura della natura.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Nessun riferimento a omosessuali, all’ira e alla punizione divina dei peccati. Tanto è bastato perché le parole del Papa scatenassero la furia dei media ultracattolici statunitensi.

JOHN-HENRY WESTEN- DIRETTORE LIFESITENEWS Quando ho sentito per la prima volta Papa Francesco dire che il coronavirus rappresenta una rivolta della natura, provocata dal nostro mancato rispetto dell’ambiente, non potevo credere alle mie orecchie. Ha già sbagliato tante altre volte su argomenti di fede come contraccezione, convivenza, divorziati e risposati e omosessualità.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Nel dibattito ha preso una posizione netta anche il cardinale statunitense Raymond Burke. In un documento ufficiale sul Coronavirus spiega: “È fuori discussione che grandi mali quali la pestilenza siano effetto del peccato originale e dai nostri attuali peccati. È così, scrive il cardinale, che Dio ripara il caos introdotto dal peccato nelle nostre vite e nel nostro mondo”. Le parole di Burke solleticano gli istinti più belligeranti degli ultracattolici americani, e subito iniziano a propagare online il verbo del cardinale.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Un verbo al quale sono sensibili alcuni politici italiani. E qualcuno è anche finanziato, vedremo chi. Insomma, però sentire accusare Papa Bergoglio di essere addirittura la causa della diffusione del virus è un’esperienza che sinceramente ci mancava. E però la lista, la galleria di personaggi che critica Bergoglio è ricca. A partire dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, secondo il quale la diffusione del virus è legata a peccati, una punizione contro i peccati, quali l’aborto, il divorzio, l’omosessualità e sulla stessa linea è anche il consulente della Casa Bianca per gli studi biblici, Ralph Drollinger, per il quale il diffondere dell’epidemia è da collegarsi alla omosessualità, il dilagare dell’omosessualità e il lesbismo. Però il punto di riferimento del mondo ultraconservatore che critica di più Bergoglio è da cercarsi a pochi metri da dov’è il Papa nel Vaticano. Ed è il cardinale Raymond Leo Burke. Burke che appartiene anche al collegio del conclave è patrono dell’Ordine Sovrano Militare di Malta, ordine a cui appartengono anche diversi… son appartenuti diversi politici italiani molto importanti e che si comporta un po’ come uno stato a sé, può rilasciare documenti, patenti, passaporti e ha anche dialoghi con gli stati come se fosse uno stato indipendente. Ecco, non è piaciuta a Bergoglio la gestione degli ultimi tempi di questo ordine ha di fatto aperto una commissione per indagare e di fatto l’ha commissariato. Burke però è colui che ha più criticato apertamente il Papa soprattutto per la sua apertura, per il suo dialogo con le altre religioni, per la sua politica sull’accoglienza degli immigranti, e soprattutto per la sua apertura nei confronti dei divorziati. Burke che ha anche criticato il Papa di idolatria, ha detto, ha scritto addirittura spiegando della ragioni della diffusione del virus, “siamo testimoni anche all’interno della Chiesa di un paganesimo che rende culto alla natura. Ci sono quelli, all’interno della Chiesa, che si rivolgono alla terra chiamandola nostra madre, come se noi venissimo dalla terra, un’accusa neanche troppo poco velata insomma. E Burke è stato anche, è presidente di una fondazione per lo più sconosciuta, la Fondazione Sciacca che se da una parte fa attività di beneficienza, opere di beneficienza, dall’atra tesse relazioni. Dentro ci sono finiti i servizi di sicurezza, banchieri e magistrati. Burke è stato anche presidente dell’associazione Dignitatis Humanae, quella che fa riferimento a Steve Bannon, stratega di Trump, è colui che ha fondato Cambridge Analytica, quella che avrebbe violato 50 milioni di profili Facebook e avrebbe condizionato l’esito delle elezioni presidenziali e anche la Brexit. Poi, dopo aver discusso con Trump, cacciato da Trump, ha deciso di porre in Italia la sua scuola internazionale di sovranismo. Ecco, dove l’ha posta? L’ha posta nella splendida Abbazia del 1200 di Trisulti. Una gestione che però avrebbe ottenuta attraverso la presentazione, come ha raccontato Report, di documentazione anomala, non pagando un euro di canone né in ristrutturazione. Ecco, come guardiano ci ha messo quello che possiamo considerare ormai un nostro amico, Benjamin Harnwell. L’unico che ai tempi del coronavirus può passare in completo isolamento la sua quarantena. Il nostro Giorgio Mottola gli ha portato generi di conforto.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Fino a pochi mese fa, Raymond Burke presiedeva la Dignitatis Humanae, l’associazione legata a Steve Bannon che ha preso in gestione la Certosa di Trisulti, in provincia di Frosinone. Qui, nella solitudine dell’antica abbazia, dove la quarantena non ha modificato di una virgola le sue giornate, vive ancora Benjamin Harnwell, l’uomo che per conto dell’ex capo stratega di Trump, Steve Bannon, è diventato custode e concessionario della Certosa di Trisulti, con l’obiettivo di trasformarla in una scuola politica di sovranismo. Vivendo completamente isolato, lontano da supermercati e negozi, l’unica condizione che Benjamin Harnwell ci pone per accettare l’intervista, è un piccolo rifornimento di viveri e sigari.

GIORGIO MOTTOLA Visto che Bannon ti ha abbandonato in quarantena, Report ha pensato a te. Ti ho portato un po’ di viveri, come avevi chiesto, e soprattutto i sigari che mi avevi chiesto.

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Sì, grazie, ma devo mettere i guanti.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO A causa delle irregolarità del bando per l’assegnazione della Certosa che Report aveva portato alla luce, lo scorso giugno il Ministero ci aveva garantito che nel giro di qualche settimana Harnwell e la Dignitatis Humanae sarebbero stati costrette a lasciare la Certosa.

DA REPORT DEL 6 GIUGNO 2019 GIORGIO MOTTOLA Sfratterete Steve Bannon e Benjamin Harnwell dalla Certosa?

GIANLUCA VACCA – SOTTOSEGRETARIO MINISTERO DEI BENI CULTURALI Chiederemo ovviamente la restituzione della Certosa. Cercheremo di capire anche come valorizzare questa stupenda Certosa, questo stupendo monumento che è ricco di tesori al proprio interno.

GIORGIO MOTTOLA Eravamo convinti l’ultima volta di non trovarla più qui.

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Ancora... ci siamo ancora.

GIORGIO MOTTOLA Infatti, fa un sorriso bello furbo, mi pare di capire. Finora ci ha fregati tutti. BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Finora siamo ancora qua.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO In attesa dell’ennesima sentenza del Tar, che a causa del coronavirus è ovviamente slittata, Benjamin Harnwell continua a portare avanti le sue idee sul Papato di Bergoglio.

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Il Papa dice le cose che non hanno nessuna radice nella storia della Chiesa.

GIORGIO MOTTOLA Secondo lei Bergoglio dice cose non cristiane.

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Dice delle cose che non sono cristiane.

GIORGIO MOTTOLA È forte come espressione, che il Papa dice cose non cattoliche e non cristiane.

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Giorgio, non so perché lo fa. Può darsi per malizia. Perché è un nemico della Chiesa.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO La tesi di Bergoglio nemico della Chiesa nasce e si consolida oltre oceano. Tale posizione infatti, fin dall’elezione di Trump, ha come capofila politico Steve Bannon, e nonostante il suo isolamento nella Certosa, Benjamin Harnwell ci fa sapere che continua a sentirlo tutti i giorni.

GIORGIO MOTTOLA Steve Bannon del Papa che cosa pensa?

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Steve pensa che in certi rispetti questo Papa sia inadeguato.

GIORGIO MOTTOLA In questa battaglia contro il Papa Bannon ha trovato sponda anche dentro la Chiesa?

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Senz’altro sì.

GIORGIO MOTTOLA E una delle sponde è il cardinale Burke.

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Su queste cose non mi sento sicuro di parlare.

GIORGIO MOTTOLA È Bannon che ha presentato Burke a lei?

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE No, io ho presentato Steve Bannon al Cardinale.

GIORGIO MOTTOLA Mi dica la verità, lei avrebbe preferito vedere sul trono pontificio Burke, al posto di Bergoglio. BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Sì.

GIORGIO MOTTOLA Questo è il suo sogno proibito.

BENJAMIN HARNWELL – DIRETTORE ASSOCIAZIONE DIGNITATIS HUMANAE Nella pienezza del tempo chi sa.

GIORGIO MOTTOLA Siamo lì che aspettiamo il prossimo conclave insomma.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Patrono dell’Ordine di Malta e punto di riferimento mondiale del fronte ultraconservatore, all’interno della curia romana, il cardinale Burke è una delle voci più critiche nei confronti di Papa Bergoglio. Con documenti ufficiali da tempo ha espresso il suo disappunto riguardo alle aperture del pontefice su divorziati, su dialogo tra le religioni e accoglienza dei migranti. In più di un’occasione, il Cardinale ha chiamato i fedeli alla resistenza contro i cambiamenti che il Pontefice sta provando ad apportare in Vaticano.

RAYMOND BURKE - CARDINALE PATRONO ORDINE DI MALTA Chiaramente in un tempo di grande confusione e errore nella cultura e perfino nella Chiesa siamo veramente chiamati a difendere e combattere per le verità della fede.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Il cardinale Burke coltiva rapporti molto stretti con esponenti dell’amministrazione Trump, sebbene con Steve Bannon la relazione si sia di recente molto raffreddata. In Italia, invece, Burke non ha mai nascosto le sue simpatie per Matteo Salvini. Quando era ministro dell’Interno, durante i blocchi in mare delle ONG, il cardinale lo ha più volte difeso in pubblico.

GIORNALISTA Lei è d'accordo con le azioni del ministro dell'Interno italiano?

RAYMOND BURKE - CARDINALE PATRONO ORDINE DI MALTA Beh, io penso che sia comprensibile. La nazione deve prendersi cura innanzitutto dei propri cittadini e poi esaminare attentamente chi sono questi immigrati se sono davvero rifugiati politici o se sono persone che emigrano soltanto per… per… come dire, migliorare le loro condizioni.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO In Italia Burke presiede anche la Fondazione Sciacca, un’organizzazione filantropica cattolica di orientamento ultraconservatore che ha firmato protocolli d’intesa con il ministero della Giustizia e con la Agenzia Industrie Difesa, l’ente pubblico che si occupa di fornire munizioni ed esplosivi all’esercito. È una fondazione completamente sconosciuta, tranne però, almeno pare, nei posti e tra la gente che davvero conta in Italia. Negli organismi direttivi c’è infatti il capo dei servizi segreti Gennaro Vecchione, generali dell’esercito, giudici del Consiglio di Stato e banchieri come Ettore Gotti Tedeschi, ex direttore dello Ior. L’anima della fondazione è questo prete, Don Bruno Lima. Famoso a L’Aquila per le messe in latino che officia ogni domenica.

GIORGIO MOTTOLA Sono Giorgio Mottola, sono un giornalista di Report, Rai3.

DON BRUNO LIMA AL TELEFONO Mi dica la domanda, io non faccio interviste telefoniche.

GIORGIO MOTTOLA Io volevo soltanto chiederle: come avete fatto nella fondazione a mettere insieme così tanti pezzi grossi, capi dei servizi segreti…

DON BRUNO LIMATOLA AL TELEFONO Non sono interessato alle sue domande, buona sera.

GIORGIO MOTTOLA Però siamo interessati noi a capire come ha fatto, Don Bruno.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Per la sua fondazione infatti Don Bruno nel 2018 ha fatto un nuovo prestigioso acquisto, come testimonia questo video inedito recuperato da Report.

PREMIO INTERNAZIONALE “GIUSEPPE SCIACCA” 27/10/2018 PRESENTATORE A premiare sarà il Ministro Matteo Salvini, presidente del comitato scientifico della Fondazione Giuseppe Sciacca. Buonasera Ministro, intanto siamo contenti e onorati ovviamente di averla quest’anno nella famiglia del premio Sciacca e come presidente del comitato scientifico.

MATTEO SALVINI - EX MINISTRO DELL'INTERNO Ma sono io che mi sento onorato e anche inadeguato, sono l’ultimo dei buoni cristiani. Infatti, quando don Bruno mi ha proposto questa cosa ho detto: "Don Bruno stia attento ho poco da testimoniare, sono un peccatore di quelli…”

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Chissà cosa fa il presidente di un comitato scientifico di una fondazione come quella Sciacca. Ecco sta di fatto però che Salvini che è un divorziato, che per noi non c’è nulla di male, lo chiariamo, viene nominato presidente da chi critica Bergoglio per la sua apertura nei confronti dei divorziati. La fondazione Sciacca va detto che ha effettuato varie iniziative di beneficienza, questo da una parte. Dall’altra però il dubbio che sia tessitrice di una rete di relazioni. E ci ha scritto l’ufficio stampa, ci ha scritto una nota dove esprimono la solidarietà al cardinale Burke, si dicono indignati per il fatto che sia stato accostato ai cosiddetti nemici del Papa. “Sua Eminenza”, scrivono, “è un insigne giurista e teologo noto in tutto il mondo, svolge i suoi alti incarichi istituzionali a servizio della Santa Sede e con spirito di obbedienza verso il Santo Padre”. Poi accusano anche Report di diffondere fake news, va tanto di moda in questo periodo. Una notizia invece emerge da un’intercettazione della Direzione Investigativa Antimafia. Il cardinale Burke viene intercettato a sua insaputa, finisce per una coincidenza in un’intercettazione, non è indagato, lo chiariamo subito, mentre c’è chi gli chiede una spintarella per far avere un incarico di governo a un Senatore un po’ controverso.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Lo scorso anno vi avevamo mostrato le immagini della trasferta italiana di Steve Bannon del 7 settembre 2018: nel viaggio in auto verso il Viminale, si trova con un emissario della Lega, Federico Arata, figlio di Paolo: colui che secondo la procura di Palermo sarebbe socio occulto del re dell’eolico, Vito Nicastri, presunto prestanome di Matteo Messina Denaro. Paola Arata è accusato di aver pagato al sottosegretario leghista Armando Siri una mazzetta da 30mila euro per inserire un emendamento a favore dell’eolico. Ed è proprio con il figlio Federico che Bannon parla di strategie elettorali.

DA “THE BRINK” DI ALISON KLAYMAN STEVE BANNON - EX CAPO STRATEGA CASA BIANCA Intendiamo fornire inchieste, analisi di dati, messaggi dal centro di comando.

FEDERICO ARATA È l’idea che con questo possiamo diventare il partito numero uno in Italia. E poi dovrete dir loro che dobbiamo pianificare. “Pianificare” è la parola chiave… la vittoria per le elezioni europee.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Queste immagini che avete appena visto fanno parte del documentario “The Brink” di Alison Klayman, che Report vi mostra in esclusiva per l’Italia. Dimostrerebbero che Arata è il vero artefice dei rapporti tra Bannon e la Lega.

MISCHAËL MODRIKAMEN - PORTAVOCE THE MOVEMENT Sono Mischaël, dal Belgio. Sono di The Movement.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Per conto di chi Federico Arata fa da intermediario tra Steve Bannon e la Lega? Nei mesi successivi a questo incontro Giancarlo Giorgetti ha assunto Arata a Palazzo Chigi, come consulente esterno. A che titolo?

GIANCARLO GIORGETTI – SOTTOSEGRETARIO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO (06/2018-09/2019) I requisiti sono ben documentati da un curriculum che è stato pubblicato credo in tutti i giornali, in tutti i media, e che dimostra come questa persona avesse oltre che tre lauree, un’esperienza internazionale di tutto livello.

GIULIANO MARRUCCI E senta come si giustifica il fatto che Arata avrebbe fatto da mediatore tra Bannon e Salvini.

GIANCARLO GIORGETTI – SOTTOSEGRETARIO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO (06/2018-09/2019) Io questo non lo so, dovete chiedere a Bannon, non a me.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ma oltre che a Bannon, forse bisogna domandare anche al cardinale Burke. Nel 2018, al momento della distribuzione delle nomine ministeriali, è infatti al monsignore statunitense che si rivolge Paolo Arata. Come emerge dalle telefonate intercettate dalla Dia di Trapani, a Burke, Arata chiede di far arrivare pressioni a Giorgetti per far ottenere al figlio Federico un incarico governativo.

INTERCETTAZIONE 6 APRILE 2018 Il 6 aprile del 2018 Paolo Arata telefona al cardinale Burke. “Io coglievo l’occasione per ricordarle se può fare quel famoso intervento su Giorgetti dagli Stati Uniti” - dice. E la risposta del cardinale è: “Sì, sì, quando è il momento giusto io sono pronto. Quando lei mi dice, io invierò subito”.

GIORGIO MOTTOLA Buona sera Monsignore, sono Giorgio Mottola sono un giornalista di Report, RaiTre. Volevo farle qualche domanda sulle sue telefonate con Paolo Arata.

RAYMOND BURKE – CARDINALE PATRONO ORDINE DI MALTA No.

GIORGIO MOTTOLA Come no...sua Eminenza. Chi è l'americano a cui lei telefona per raccomandare il figlio di Paolo Arata, sua Eminenza. Mi dice soltanto questo. Come ha conosciuto Paolo Arata?

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ma la cura delle anime ha la priorità, aspettiamo in religioso silenzio e alla fine delle benedizioni proviamo a riproporre i nostri prosaici argomenti terreni.

GIORGIO MOTTOLA Sua Eminenza mi scusi, come mai si è messo a disposizione di Paolo Arata. Ok. Stavo solo facendo alcune domande…

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Secondo la Dia, l’intervento che Paolo Arata chiede a Burke su Giorgetti sarebbe innanzitutto per far ottenere un ministero a un senatore della Lega: Armando Siri.

GIORGIO MOTTOLA Lei conosce molto bene il cardinale Burke, Raymond Burke?

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Il cardinale? No, non lo conosco.

GIORGIO MOTTOLA Strano perché si è impegnato davvero tanto, almeno sembra essersi impegnato davvero tanto per la sua nomina a Sottosegretario.

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Mah, io non lo so... io non lo conosco...

GIORGIO MOTTOLA E però lo conoscono molto bene Federico Arata e Paolo Arata e lei ha chiesto a Federico Arata una mano per essere nominato…

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Ah, ma lei sta dicendo Burke!

GIORGIO MOTTOLA Sì, chiama Burke in realtà è americano.

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Ah, si chiama "Burke". GIORGIO MOTTOLA Lei ha chiesto a Federico Arata di fare pressione sull'ambasciatore americano affinché lei venisse nominato sottosegretario.

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Addirittura... e cosa c'entra l'ambasciatore americano con il sottosegretario italiano?

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ecco però il testo della telefonata che Federico Arata fa al padre: “Armando mi ha chiamato, mi ha detto se potevo fargli arrivare qualche sponsorizzazione presso l'Ambasciatore americano”. Su questa richiesta però Burke si dimostra pessimista e gli Arata, padre e figlio, ipotizzano di chiedere la spintarella a Bannon. E poche settimane dopo le telefonate in questione, Federico Arata viene assunto a Palazzo Chigi e Armando Siri diventa sottosegretario alle Infrastrutture.

GIORGIO MOTTOLA La sua nomina a sottosegretario quando dipende dall'intervento di Burke?

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Credo che la mia nomina a sottosegretario dipenda da Matteo Salvini che è segretario della Lega e che ha deciso che io dovessi fare il sottosegretario. È la cosa più logica in assoluto.

GIORGIO MOTTOLA Però se dipendeva solo da Salvini, perché ha chiesto aiuto a Federico Arata? Evidentemente lei non era così convinto che Salvini l'avrebbe nominata sottosegretario...

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Ma no assolutamente...ma io non ho chiesto assolutamente nulla a nessuno. Guardi che queste sono cose che dice lei.

GIORGIO MOTTOLA Dalle telefonate sembra il contrario però…

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Eh, ma sa, nelle telefonate... chissà quante cose dice lei nelle telefonate...

GIORGIO MOTTOLA Non di diventare sottosegretario sicuramente.

ARMANDO SIRI - SENATORE LEGA SALVINI PREMIER Eh, magari di avere qualche altra cosa....

GIORGIO MOTTOLA Sicuramente non di diventare sottosegretario…

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Anche perché Il nostro Giorgio fa bene il suo mestiere. Insomma cosa è emerso che Paolo Arata che è il consulente, l’esperto della Lega per le politiche energetiche, finisce sotto intercettazioni della Direzione Investigativa Antimafia perché è accusato di corruzione e soprattutto perché accusato di avere come socio occulto Vito Nicastri. Vito Nicastri a sua volta è accusato di aver finanziato la latitanza del capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. Ora i magistrati dicono che Paolo Arata avrebbe proprio portato in dote al suo socio occulto, i suoi rapporti con la Lega, in particolare con Armando Siri con il quale è indagato per corruzione perché avrebbero tentato di infilare, tentato invano, di infilare un emendamento nella legge di bilancio del 2019 in base al quale avrebbero fatto percepire degli incentivi a tutti coloro che avevano aperto campi eolici nel 2017. Una norma retroattiva della quale avrebbero beneficiato anche loro stessi, Arata e il suo socio. E bene. Che cosa fa Arata? Chiede a Burke, al cardinale Burke una mano perché si rivenga nominato… abbia un incarico di governo. Burke si mette a disposizione, dice sì quando è il momento giusto, io sono pronto. Certamente Burke non conosceva i rapporti di Arata con Vito Nicastri, quello che ha finanziato la latitanza del boss. Tuttavia Arata chiede anche un’altra cortesia. Chiede a Burke di far avere al figlio, Federico, per il nuovo nascente governo della Lega un incarico. E anche qui Burke si dice disponibile, non sappiamo se poi abbia fatto, sia intervenuto. Sta di fatto che quando arriva Steve Bannon a Roma nel 2018 Arata lo va ad accogliere nei panni di consulente della Presidenza del Consiglio. E parla con lui di strategie elettorali come fosse un leader di partito. A che titolo lo fa? Va anche detto che in base anche alle mail che ha raccolto Report in esclusiva dal database del consorzio OCCRP emerge anche che Arata, Federico Arata aveva dei suoi rapporti con gli Stati Uniti già a partire dal 2017, novembre del 2017. È lui che cerca, si presenta come spin doctor della Lega e dice di voler innalzare la Lega a una dimensione internazionale, prepara il viaggio negli Stati Uniti, che poi non si è effettuato, di Giorgetti e Salvini e scrive a Ted Malloch. Ted Malloch è il faccendiere che è stato coinvolto nel Russiagate, colui che ha avuto un ruolo anche nelle mail hackerate dai Russi che erano compomettenti, Hillary Clinton. Insomma, è questo il contesto. E poi Ted Malloch ha contribuito alla campagna elettorale di Trump, è stato in contatto con l’estrema destra americana e anche con quella religiosa, dai cui media partono gli attacchi a Bergoglio. Questa volta le critiche arrivano perché si è deciso di chiudere le chiese per evitare la diffusione del contagio.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Dall’inizio della quarantena le porte delle chiese sono serrate e le messe sospese. Ma a Roma c’è chi si è inventato un modo per continuare a pregare in pubblico senza violare l’isolamento.

SUORE SACRO CUORE DI GESÙ Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Oh Santissima…

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Tutti i giorni, alle dodici in punto, le suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù, salgono sul tetto del loro convento e, per qualche minuto cantano inni di preghiera per il pubblico affacciato alle finestre. GIORGIO MOTTOLA Si può celebrare la Pasqua anche stando a casa?

SUORA - SACRO CUORE DI GESÙ Assolutamente sì, io penso che si può vivere anche in modo più intenso quest’anno.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO In modo completamente diverso la pensano invece i media del mondo ultracattolico americano che sulla chiusura delle chiese in Italia hanno lanciato una violenta campagna che ha come obiettivo Papa Bergoglio.

TAYLOR MARSHALL – TEOLOGO YOUTUBER E la nostra risposta è stare zitti: chiudiamo le porte delle chiese, sospendiamo i sacramenti cosi tutti i mezzi per la grazia divina sono… puffff…

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO La campagna sulla riapertura delle Chiese contro governo e Santa sede è partita dai media ultracattolici americani come Lifesitenews e Churchmilitant ed è dilagata su siti come Breitbart, l’organo di informazione dell’estrema destra americana fondato da Steve Bannon. Gli stessi slogan e le stesse parole d’ordine hanno poi attraversato l’oceano e sono sbarcati in Italia. I primi a rilanciarli sui loro social sono stati i neofascisti di Forza Nuova, capeggiati da Roberto Fiore.

GIORGIO MOTTOLA Salve.

ROBERTO FIORE – PRESIDENTE FORZA NUOVA Salve. Salutiamo tutti…

GIORGIO MOTTOLA Lei sta così “nature” senza mascherina, senza guanti.

ROBERTO FIORE – PRESIDENTE FORZA NUOVA Io ho fede.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Lo scorso anno Fiore si è reso protagonista di una serie di campagne contro il Papa e con l’arrivo del coronavirus il suo partito ha lanciato la teoria del complotto contro i cattolici, avallato da alcune gerarchie vaticane.

ROBERTO FIORE – PRESIDENTE FORZA NUOVA La chiesa ha dovuto cedere a dei poteri forti internazionali che le hanno imposto di chiudere, di non dire più messa, di non dare sacramenti, che è una cosa, ripeto, inedita nella Storia, cioè l’ha fatto il comunismo ma il comunismo è stato più onesto, nel senso: noi siamo atei materialisti non crediamo a ste cose, non le potete fare se no vi sbattiamo in carcere.

GIORGIO MOTTOLA Questi invece vi chiudono le chiese con la scusa dell’emergenza sanitaria?

ROBERTO FIORE – PRESIDENTE FORZA NUOVA Con la scusa dell’emergenza sanitaria, esattamente.

GIORGIO MOTTOLA Vogliono chiudere le Chiese per sempre, secondo lei, è questo l’obiettivo?

ROBERTO FIORE – PRESIDENTE FORZA NUOVA Oh Dio, oh Dio, attenzione, sicuramente questa è un qualche cosa che loro stessi, sto parlando dell’Oms che secondo me è il cuore dell’operazione, stanno vedendo… è in fieri.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Per sventare il complotto anticristiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e degli altri poteri forti su CitizenGO, piattaforma di fondamentalisti cattolici, Forza Nuova ha lanciato una petizione che ha raccolto l’appoggio di Vittorio Sgarbi, Carlo Taormina, e dei principali esponenti italiani del fronte anti-bergogliano. Fiore e gli altri firmatari chiedono la riapertura immediata delle Chiese e il ripristino delle messe.

GIORGIO MOTTOLA E questa vaga contro-argomentazione per cui invece riaprendo le chiese si rischia di aumentare il contagio come la consideriamo? ROBERTO FIORE – PRESIDENTE FORZA NUOVA Una follia. Il collegamento fra ciò che è fisico e ciò che è spirituale ci dice ma questa è la prima cosa che più una persona è forte spiritualmente e più reagisce alle malattie. Quindi già da quel punto di vista uno dovrebbe dire: non dite scemenze.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO E visto che la fede rende immuni al Coronavirus pochi giorni prima di Pasqua, sui profili social del movimento di Fiore iniziano a comparire post minacciosi come questi.

GIORGIO MOTTOLA Avete annunciato che a Pasqua violerete la quarantena.

ROBERTO FIORE – PRESIDENTE FORZA NUOVA Domenica in modo pacifico, cattolico, noi celebreremo la Pasqua. Il nostro sacrificio perché alla fine sarà un sacrificio di carattere economico, qualsiasi carattere sia, però è una cosa che noi facciamo per tutti.

GIORGIO MOTTOLA Da fascista diventa ghandiano, in qualche modo.

ROBERTO FIORE - FORZA NUOVA No, non è ghandiano. Se il popolo lì non reagisce come ha detto a badilate e allora loro possono dire: domani noi facciamo tutto. Invece noi dobbiamo fare vedere che il popolo reagisce.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO E il giorno di Pasqua ci sono anche le telecamere di Report a documentare l’annunciata processione di Forza Nuova davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Ma del sacrificio di Fiore non vi è traccia. Tra i militanti venuti a violare la quarantena manca proprio il leader. AGENTE DIGOS Ragazzi, a casa. Se ce ne avete una!

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Alla fine, i militanti devoti e neofascisti sono solo uno sparuto gruppo e arrivano alla spicciolata.

GIULIANO CASTELLINO - DIRIGENTE FORZA NUOVA Volevamo avere la libertà di ricordare la santissima Pasqua, solamente perché abbiamo detto che questa era la prima libertà che noi vogliamo riprenderci. Io invito tutti i romani e tutti gli italiani a fare attenzione, stiamo vivendo sotto dittatura.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Fatto il comizio in favore di telecamere la Digos se li porta via.

GIULIANO CASTELLINO - DIRIGENTE FORZA NUOVA Viva la libertà, viva l’Italia!

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Tra i leader che siedono in parlamento ce n’è solo uno che ha offerto sponda alla campagna di Forza Nuova, rilanciando la petizione sulle Chiese sulle tv nazionali.

MATTEO SALVINI - INTERVISTA SKY Io sostengo le richieste di coloro che dicono in maniera ordinata, composta, sanitariamente sicura, fateci entrare in Chiesa, per Pasqua fateci assistere anche in tre, in quattro, in cinque, alla messa di Pasqua. Mi dicono: si può andare da tabaccaio, perché senza sigarette non si sta. Eh, per molti anche la cura dell’anima oltre che la cura del corpo è fondamentale.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO L’intervento di Salvini non è arrivato a sorpresa: negli ultimi anni la destra italiana ha iniziato ad usare costantemente la religione come strumento di battaglia politica. Nemmeno ai tempi della vecchia Democrazia Cristiana è accaduto che leader nazionali in campagna elettorale brandissero simboli religiosi come armi di lotta politica.

MATTEO SALVINI E io personalmente affido l’Italia, la mia e la vostra vita al cuore immacolato di Maria che son sicuro ci porterà alla vittoria.

GIORGIA MELONI – PRESIDENTE FRATELLI D’ITALIA Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana, non me lo toglierete.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO E soprattutto mai avremmo immaginato che leader politici potessero arrivare a recitare preghiere in diretta televisiva.

BARBARA D’URSO - LIVE NON È LA D’URSO Tutte le sere io faccio il rosario, non me ne vergogno, anzi sono orgogliosa di dirlo. Quindi l’eterno riposo dona loro signore...

MATTEO SALVINI - LIVE NON è LA D’URSO Siamo in due Barbara.

BARBARA D’URSO - LIVE NON E’ LA D’URSO Splenda per essi la luce perpetua, riposino in pace amen.

MATTEO SALVINI - LIVE NON E’ LA D’URSO Splenda ad essi la luce perpetua, riposino in pace.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Tuttavia, a tanta devozione cattolica finora sono corrisposte altrettante critiche aspre nei confronti del capo della Chiesa.

MATTEO SALVINI Però il Papa è Benedetto, il suo Papa è Benedetto, il mio Papa è Benedetto. Papa Benedetto sull’Islam e sulla convivenza fra i popoli aveva delle idee molto chiare. Quelli che invitato gli Imam in chiesa non mi piacciono.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ma esattamente quando e come è accaduto che la destra sovranista italiana ha iniziato ad avere una improvvisa vocazione religiosa e a nutrire al contempo un così forse sentimento anti-bergogliano.

PAPA FRANCESCO – TV2000 Ma la xenofobia è una malattia. E le xenofobie tante volte cavalcano sui cosiddetti populismi politici, no? Delle volte sento in alcuni posti, discorsi che somigliano a quelli di Hitler nel ’34. Si vede che c’è un ritornello.

DONALD TRUMP – PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA Il Papa? Il Papa era in Messico lo sapevate? Ha detto cose negative su di me. Se e quando il Vaticano sarà attaccato dall’ISIS e tutti sanno che per ISIS il trofeo più ambito vi garantisco che il Papa si augurerà e pregherà soltanto che Donald Trump sia presidente.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO L’elezione di Trump è stata uno spartiacque: Report ha consultato i bilanci delle più importanti fondazioni della destra religiosa statunitense. E il risultato è davvero impressionante. Da quando Bergoglio è diventato Papa dalle organizzazioni ultra cristiane degli Stati Uniti sono arrivati in Europa oltre un miliardo di dollari.

PETER MONTGOMERY - SENIOR FELLOW RIGHT WING WATCH Si tratta di associazioni cristiane integraliste ricchissime, che vogliono vietare l’aborto e cancellare le leggi in favore degli omosessuali in America e nel mondo. Sicuramente tra i loro obiettivi c’è la destabilizzazione dell’Unione Europea.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Alcune delle fondazioni che hanno inviato denaro in Europa fanno parte del World Congress of Families, l’organizzazione ultra-cristiana che ha avuto nuova vita nel 2013 grazie Konstantin Malofeev, l’oligarca russo estremamente vicino a Putin che Matteo Salvini ha provato ad avere come ospite d’onore al congresso in cui è stato eletto segretario per la prima volta.

DA REPORT DEL 21 OTTOBRE 2019 GIORGIO MOTTOLA Quando ha incontrato Salvini la prima volta?

KONSTANTIN MALOFEEV - FONDATORE MARSHALL CAPITAL Molti anni fa. Sarei dovuto andare al congresso quando fu eletto.

GIORGIO MOTTOLA Era stato invitato?

KONSTANTIN MALOFEEV - FONDATORE MARSHALL CAPITAL Sì, ma non andai perché avevo altri impegni e non riuscii a venire in Italia.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Lo stesso anno in cui Salvini viene eletto segretario, Malofeev vola negli Stati Uniti e come abbiamo ricostruito grazie alle mail che abbiamo ritrovato nel database del consorzio Occrp, in quel viaggio l’oligarca russo ha incontrato deputati repubblicani come Chris Smith, rappresentanti del Family Research Council, una delle più importanti associazioni antiabortiste americane, Nation For Marriage di Brian Brown, presidente del World Congress of Families e rappresentanti dell’Heritage Foundation e del Leadership Institute, due delle più importanti fondazioni repubblicane.

GIORGIO MOTTOLA Qual era l’argomento di questi incontri?

KONSTANTIN MALOFEEV - FONDATORE MARSHALL CAPITAL Abbiamo discusso di come difendere le famiglie dal totalitarismo dell’agenda sodomita che si sta diffondendo in tutto il mondo.

GIORGIO MOTTOLA Quindi è in quel momento che è nata la Santa Alleanza?

KONSTANTIN MALOFEEV - FONDATORE MARSHALL CAPITAL Sì, l’idea è nata lì.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Di questa Santa Alleanza fanno parte anche le fondazioni della destra religiosa americana che hanno mandato più dollari in Europa. Si tratta di associazioni finanziate dai multimiliardari che hanno sostenuto a suon di milioni la campagna elettorale di Donald Trump. La famiglia Koch, industriali ultraconservatori che hanno sborsato per le ultime presidenziali americane quasi un miliardo di euro e la famiglia Mercer, fondatore di Cambridge Analytica ed editore di Breitbart, la rivista di estrema destra già diretta da Steve Bannon.

PETER MONTGOMERY - SENIOR FELLOW RIGHT WING WATCH Le associazioni della destra religiosa americana e i miliardari conservatori hanno stipulato anni fa un’alleanza per ottenere il controllo del Partito Repubblicano. E oggi con la presidenza di Trump hanno ottenuto il loro scopo.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Le fondazioni sostenute dai Koch e dai Mercer in Europa non hanno finanziato solo associazioni religiose. Consultando i bilanci di tutti i partiti del parlamento europeo i loro soldi, 43 mila euro tra il 2016 e il 2017, sono arrivati anche ad un gruppo parlamentare: l’alleanza dei riformisti e conservatori di cui Fratelli d’Italia fa parte dal 2019. Secondo quanto ha scoperto Report, l’alleanza dei Riformisti e Conservatori è l’unico partito a Bruxelles finanziato da Heritage Foundation e da Atlas Network, le potenti e danarose fondazioni legate ai miliardari trumpiani. Ma quello tra il mondo trumpiano e il gruppo europeo della Meloni è un rapporto che sembra essersi molto intensificato negli ultimi anni. Questo è l’intervento fatto dall’ex capo stratega di Trump, Steve Bannon nel 2018 alla festa nazionale di Fratelli d’Italia.

STEVE BANNON – EX CAPO STRATEGA CASA BIANCA Io vi posso aiutare focalizzandoci sulle prossime europee per vincerle. Vi possiamo fornire e far realizzare sondaggi e analisi di big data. Preparare cabine di regia. Tutto quello di cui si ha bisogno per vincere le elezioni. Vi aiutiamo in modo gratuito.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Questa invece è la più importante conferenza della destra americana. L’attrazione principale è l’intervento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L’anno scorso a scaldare il pubblico c’era anche un politico italiano.

GIORGIA MELONI – PRESIDENTE FRATELLI D’ITALIA Signore e signori, grazie per avermi invitato. GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Insieme all’artefice della Brexit, Nigel Farage, Giorgia Meloni è stato l’unico politico europeo invitato a parlare alla conferenza.

GIORGIA MELONI – PRESIDENTE FRATELLI D’ITALIA La crisi dell’Unione Europea è una crisi di democrazia e di sovranità popolare. Questa entità sovrannaturale e antidemocratica ha imposto sulle nazioni europee le scelte di élite globaliste e nichilistiche guidate dalla finanza internazionale.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO E chi sa se il riferimento era anche alle stesse élites finanziarie che pagano la conferenza. Come l’NRA, la lobby delle armi, che compare come sponsor principale sul palco accanto a compagnie assicurative ultra-cristiane e criptovalute giapponesi. In Europa da qualche tempo le fondazioni della destra americana hanno iniziato a esercitare un ruolo politico sempre più attivo. A inizio febbraio, in uno degli hotel più lussuosi di Roma, le americane Edmund Burke Foundation e l’International RaeganThatcher society hanno organizzato un mega evento politico internazionale tenuto a battesimo da Giorgia Meloni.

GIORGIA MELONI – PRESIDENTE FRATELLI D’ITALIA Questo evento è un evento che sono molto orgogliosa di aprire, come sapete è un evento dedicato al mondo conservatore internazionale, sapete che Fratelli d’Italia in questi anni ha lavorato molto a livello internazionale nella tessitura di una serie di rapporti.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Alla conferenza sponsorizzata dalle fondazioni americane partecipano pezzi grossi della scena conservatrice europea. Come Marion Maréchal-Le Pen, astro nascente dell’ultra destra francese e soprattutto, il premier ungherese Viktor Orban. Che in patria, di recente, per l’emergenza coronavirus, ha assunto pieni poteri. Il titolo della manifestazione è di ispirazione religiosa. “Dio, onore e patria”. E ovviamente il Papato di Bergoglio è uno dei principali argomenti.

GIORGIO MOTTOLA Onorevole, potremo semplificarla con…

ADDETTO STAMPA Facciamo un attimo parlare anche gli altri giornalisti.

GIORGIA MELONI – PRESIDENTE FRATELLI D’ITALIA No, ma lui mi vuole bene. Dimmi, dimmi. Ci tengo. Come vuole semplificare lei?

GIORGIO MOTTOLA Qui ci saranno anche altre figure molto critiche nei confronti di Bergoglio. Qual è la sua posizione? Lei non ha mai espresso pubblicamente una posizione su Bergoglio.

GIORGIA MELONI – PRESIDENTE FRATELLI D’ITALIA Non ho da esprimere una posizione su Bergoglio perché io faccio politica, non faccio il cardinale. Penso che il Papa debba portare avanti le sue… il suo lavoro, ecco. E la politica debba fare un altro lavoro.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ma alla tavola rotonda iniziale il tema è proprio il Vaticano. E le posizioni su Bergoglio vengono esposte in modo estremamente esplicito.

ROBERTO DE MATTEI – PRESIDENTE FONDAZIONE LEPANTO Se noi compariamo i due leader della nostra epoca, Papa Francesco e il presidente Donald Trump, scopriamo che abbiamo a che fare con un’inversione di ruoli: Papa Francesco ha rinunciato a essere un leader spirituale, subordinando i valori morali, come la vita e la famiglia, a istanze politiche e sociali. E perciò Papa Francesco è diventato il leader della sinistra internazionale. Dall’altro lato, Donald Trump, si sta avviando alla sua rielezione attribuendo una maggiore valenza morale al suo mandato politico.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Papa Francesco è identificato come leader della sinistra internazionale. Forse senza girarci troppo intorno i motivi, il segreto degli attacchi a Papa Bergoglio sono racchiuse in queste parole che il nostro Giorgio Mottola ha registrato nell’intervento di un relatore al convengo dove era ospite Giorgia Meloni. Nel vuoto lasciato da alcuni partiti che incarnavano dei valori come quello dell’accoglienza, dell’abbattimento delle disuguaglianze, del socialismo, della difesa dell’ambiente violentato, anche un Papa che abbraccia l’ideale francescano può diventare il bersaglio dell’estrema destra. E poi abbiamo visto anche che c’è chi lo finanzia questo tiro al bersaglio. L’abbiamo sentito dalle parole dell’oligarca ultranazionalista vicino a Putin, Malofeev, l’ha detto che è in contatto dal 2013 con la Lega di Salvini e lui stesso ha ammesso, ho fatto dei viaggi negli Stati Uniti, ho incontrato deputati, ambienti dell’ultra destra americana, quello delle fondazioni più conservatrici, ecco. Con lo scopo di difendere la famiglia dall’attacco sodomita. E in questo viaggio ha incontrato anche fondazioni fra qui, Heritage e Atlas Network. Come ha scoperto Report hanno finanziato direttamente o indirettamente dal 2016 al 2017 per circa 50 mila euro l’alleanza dei conservatori riformisti europei. È il gruppo europeo al quale ha aderito anche Giorgia Meloni nel 2019. È un po’ il cavallo di Troia di Trump all’interno dell’Europa. È poca roba, ma non bisogna dimenticare che Report ha anche scoperto pochi mesi fa che da quando Papa Bergoglio è diventato Papa dalle fondazioni d’ambienti conservatori americani sono arrivati in Europa una pioggia di dollari, circa un miliardo di dollari hanno finanziato dei movimenti della destra, dell’estrema destra anche ultra religiosi per, da una parte, far implodere l’Europa, dall’altra per mettere in crisi il Papato di Bergoglio. Proprio dopo per aver aderito a questo movimento europeo Giorgia Meloni, dopo anche aver instaurato rapporti con Bannon, è stata invitata alle più importanti convention repubblicane. Ecco a febbraio scorso ha partecipato al prestigioso National Prayer Breakfast, l’evento annuale di politica e preghiera che viene organizzato a Washington, dalla potente controversa fondazione Fellowship e c’era anche il presidente Trump. L’onorevole Giorgia Meloni era tra i pochi politici europei presenti. Ma se l’humus è questo, è facile che germogli anti-bergogliani possano sorgere, spuntare qua e là. Ma c’è un filo che li unisce a partire da quello che c’è all’interno di un prestigioso istituto di ricerca dove c’è chi evoca il fumo di Satana fino ad arrivare alla sede di una televisione online Gloria TV che dietro al celestiale nome che evoca la preghiera di lode, però nasconde tre teste, una delle più attive degli attacchi di Bergoglio. Ha una testa in Svizzera, l’altra in Moldavia, la terza in un paradiso che però non è terrestre.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Il fronte degli americani anti-bergogliani ha il suo quartier generale qui a Roma, dietro l’antica basilica di Santa Balbina. Varcata la soglia del cortile interno c’è la sede della Fondazione Lepanto, presieduta dal professor Roberto De Mattei, esponente dell’aristocrazia romana, nominato da Berlusconi nel 2008 vicepresidente del CNR, nonostante l’opposizione del mondo accademico.

GIORGIO MOTTOLA Mi pare di capire è su posizioni anti-evoluzioniste?

ROBERTO DE MATTEI – PRESIDENTE FONDAZIONE LEPANTO Assolutamente. L'evoluzionismo è un mito, è una leggenda.

GIORGIO MOTTOLA Ma in che senso è una leggenda?

ROBERTO DE MATTEI - PRESIDENTE FONDAZIONE LEPANTO È una pura frottola. Tutti gli uomini che esistono discendono da Adamo ed Eva.

GIORGIO MOTTOLA Lei ha anche una teoria interessante sulla caduta dell'impero romano. Che sarebbe la punizione per la diffusione dell'omosessualità nell'impero, è vero?

PRESIDENTE FONDAZIONE LEPANTO L'omosessualità è sicuramente un peccato grave, condannato da Dio. E che può determinare la fine di una civiltà.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Dallo scorso anno la fondazione Lepanto ha iniziato ad organizzare preghiere di protesta in piazza contro la gestione della chiesa da parte di Bergoglio. Si auto definiscono Acies ordinata esercito regolare. La più affollata si è tenuta lo scorso settembre a Roma nel piazzale di Castel Sant’Angelo. Erano presenti i rappresentanti delle più potenti associazioni americane e i direttori di Lifesitenws e di Church Militant, i siti che hanno indicato nella punizione divina inflitta al Papa la causa del coronavirus.

ROBERTO DE MATTEI -PRESIDENTE FONDAZIONE LEPANTO Papa Francesco sta indubbiamente contribuendo a determinare la confusione all'interno della Chiesa.

GIORGIO MOTTOLA Lei ha scritto: il fumo di Satana sta avvolgendo il campo di battaglia.

ROBERTO DE MATTEI -PRESIDENTE FONDAZIONE LEPANTO Normalmente nelle situazioni di confusione che la Chiesa ha conosciuto nella sua storia i Papi sono sempre stati la soluzione dei problemi. Oggi noi ci troviamo per la prima volta nella storia in una situazione in cui il Papa invece di essere la soluzione del problema è la causa del problema. Perché è egli stesso, Papa Francesco, purtroppo tragicamente un fattore di autodemolizione della Chiesa e quindi di diffusione del fumo di satana all'interno della Chiesa.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO La propaganda anti-bergogliana corre e cresce innanzitutto sul web. Ci sono quotidiani on line monotematici con decine di giornalisti e budget illimitati, pagine Facebook contro il Papa e piattaforme on line come Gloria Tv che ogni giorno produce un telegiornale che spesso dà fake news su Bergoglio. TG GLORIA TV Il problema di Papa Francesco sono le sue parole ambigue ed equivoche, la sua reticenza, astuta e sleale, la sua opportunistica negligenza. E il fatto che dia l’impressione di approvare comportamenti omosessuali. In questo modo Papa Francesco sta compromettendo seriamente il suo compito pastorale.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Gloria TV è uno dei siti più violenti e virali della galassia online anti-bergogliana. Funziona come un social network e tutti i giorni pubblica vignette contro Bergoglio come questa, in cui viene rappresentato come un pagliaccio, o questa, in cui il Papa si fa un selfie con il diavolo. O ancora questa, in cui Bergoglio abbandona la cristianità per correre tra le braccia di Satana.

ALEX ORLOWSKI – ESPERTO PROPAGANDA ONLINE Ma c’è una cosa in comune qua. È questa paperella gialla, che ai più non dice nulla ma agli esperti di comunicazione online, la paperella gialla è il simbolo delle proteste contro Putin e la corruzione di Mosca. Per cui praticamente simboleggia il fatto che Bergoglio è contro Putin. È un nemico del popolo russo, è un nemico di Putin e fa capire esattamente da che parte sta Gloria TV.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO La redazione di Gloria TV ha sede in un piccolo paese del cantone tedesco della Svizzera, al piano terra di questa casa. Fuori c’è l’insegna, ma dentro la stanza sembra vuota.

GIORGIO MOTTOLA C’è qualcuno di Gloria Tv?

DONNA No, non c’è nessuno. Proviamo a suonare il campanello.

GIORGIO MOTTOLA E da quando non si vede nessuno? DONNA Non c’è nessuno da un anno.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO I responsabili di Gloria Tv non sono irreperibili solo per noi. In Italia hanno ricevuto diverse denunce ma i loro server sono registrati in Moldavia.

ALEX ORLOWSKI – ESPERTO PROPAGANDA ONLINE E la cosa interessante è che adesso siamo qua nella pagina italiana, se andiamo nelle lingue…

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ci sono tutte le lingue del mondo.

ALEX ORLOWSKI – ESPERTO PROPAGANDA ONLINE Tutte le lingue del mondo. E ovviamente chiunque sia pratico del web e sappia quanto costa gestire queste migliaia di contenuti in queste lingue, più il sistema come un social network, sa che sono cifre di centinaia di migliaia di euro.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Ma capire chi ce li mette tutti questi soldi è un’impresa impossibile. L’unica cosa che sappiamo, infatti, è che il dominio appartiene a Church Social Media, una società completamente anonima che ha sede nel Delaware, il paradiso fiscale americano. E pensare che ufficialmente a fondare e gestire il sito è questo semplice prete di provincia, Reto Nay, sostenitore della messa in latino, sospeso dalla Chiesa Cattolica per le sua posizioni estremiste.

RETO NAY- FONDATORE GLORIA TV Il punto importante non è fare il bene, fare il bene è un punto assolutamente secondario! Dunque smettete questi discorsi socialisti, comunisti, di gente povera, del povero. Il primo povero della tua vita sei tu.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Mentre siamo davanti la sede di Gloria TV vediamo un uomo che prende la posta dalla cassetta della redazione. Ci sembra incredibilmente somigliante a una delle foto più recenti in cui compare Reto Nay. GIORGIO MOTTOLA È lei don Reto Nay?

GEMELLO RETO NAY No no.

GIORGIO MOTTOLA No, è lei, è proprio lei.

GEMELLO RETO NAY No, non sono io.

GIORGIO MOTTOLA Però mi scusi, sembra lei.

GEMELLO RETO NAY Sembra, sembra. Siamo fratelli.

GIORGIO MOTTOLA Siete identici.

GEMELLO RETO NAY Siamo, siamo, come si dice, zwilling.

GIORGIO MOTTOLA Perché volevo chiedere chi finanzia Gloria Tv.

GEMELLO RETO NAY Ah, no no no! Non c’entro. Non mi interessa, andate via.

GIORGIO MOTTOLA Come mai la società ha sede nel Delaware.

GEMELLO RETO NAY Non mi interessa. Arrivederci. GIORGIO MOTTOLA Anche i server sono registrati in Moldavia, come mai?

GEMELLO RETO NAY Andate via! Vaffanculo! Non mi interessa. GIORGIO MOTTOLA Ma come vaffanculo, non mi dica così.

GEMELLO RETO NAY Arrivederci! Ciao!

GIORGIO MOTTOLA Però non mi spinga così!

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Dal web alla politica il passo è breve Dal 2016 il fronte anti-bergogliano in Europa ha anche un partito ufficiale di riferimento. Si chiama Coalition pour la vie et la famille e lo ha fondato il belga Alain Escada, estremista di destra noto per le sue posizioni antisemite.

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE L’obiettivo del Papa è rovesciare la chiesa. Insieme a noi ne sono consapevoli cardinali, vescovi, capi di stato cattolici, capi di partito, presidenti di associazioni e movimenti cattolici del mondo. Tutti hanno capito che il Papa è un sovversivo. E quindi bisogna agire per fare in modo che abbandoni il trono pontificio. Dobbiamo al più presto sbarazzarci di Bergoglio.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Destituire il Papa non è un obiettivo da poco. Per questo la Coalition, che in Europa è presente in otto paesi, ha chiesto soldi al Parlamento Europeo, e nel 2017 Bruxelles ha stanziato per il partito di Escada e per la fondazione collegata quasi 500 mila euro. Fondi però, sostiene Escada, che non sarebbero mai veramente arrivati. Nonostante ciò, la macchina di propaganda contro Bergoglio non si è mai fermata.

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Non è escluso che questo Papa sia manovrato da forze occulte.

GIORGIO MOTTOLA Che intende per forze occulte?

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Alle Organizzazioni giudaico-massoniche che agiscono nell’ombra per opporsi all’influenza della chiesa cattolica.

GIORGIO MOTTOLA Quindi Papa Francesco è l’espressione di un piano giudaico-massonico in Europa?

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Oggi Papa Francesco partecipa e collabora al piano del nuovo ordine mondiale.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Cofondatore e segretario della Colation pour la vie et la Famille, è un italiano, Stefano Pistilli.

STEFANO PISTILLI – AMMINISTRATORE DELEGATO ARKUS NETWORK Salve a tutti, sono Stefano Pistilli, amministratore delegato di Arkus Network, amministratore unico di Amanda Tours.

GIORGIO MOTTOLA FUORI CAMPO Con le sue società di cui è amministratore lo scorso anno Pistilli ha partecipato all’acquisto del Palermo calcio, senza però riuscire a salvarlo dal fallimento. Ma che c’entra un manager di azienda e aspirante dirigente calcistico come Pistilli con il più anti-bergogliano dei partiti europei, che usa argomenti così neo-nazisti?

GIORGIO MOTTOLA Come ha conosciuto Stefano Pistilli?

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Una persona che forse conoscete, Roberto Fiore.

GIORGIO MOTTOLA Lo consociamo molto bene.

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Mi ha presentato molte persone.

GIORGIO MOTTOLA E nella coalizione lui rappresenta Roberto Fiore?

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Sì, certo. Ma io sono legato anche a molta gente nella Lega.

GIORGIO MOTTOLA Lei con chi ha rapporti nella Lega?

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Molti europarlamentari della Lega che mi hanno messo in contatto con l’ex ministro per la famiglia Lorenzo Fontana.

GIORGIO MOTTOLA Ha rapporti anche con Fratelli d’Italia? Giorgia Meloni?

ALAIN ESCADA – PRESIDENTE COALITION POUR LA VIE ET LA FAMILLE Certo! Ammiro profondamente la signora Meloni, una vera paladina della famiglia tradizionale.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO E siamo sempre là insomma. Chi è che attacca Bergoglio in nome dell’integralismo cattolico? Ecco c’è l’estremista di destra, il francese Alain Escada che ha in qualche modo fondato il partito, il movimento, la coalizione per la vita e la famiglia. Ha un cofondatore un italiano Stefano Pistilli, che è quello che ha rilevato il Palermo calcio, poi è fallito. E anche l’amministratore delegato di Arkus, un network che fa riferimento all’imprenditore Salvatore Tuttolomondo, un imprenditore coinvolto in vari fallimenti, tra cui quello della Fiscom, la finanziaria legata alle attività di Enrico Nicoletti, considerato il banchiere della banda della Magliana. Poi Pistilli lo troviamo anche in un trust con la figlia di Roberto Fiore. Un trust londinese. Insomma il giro è quello. E poi c’è Gloriai Tv, una tv online che strizza l’occhio alla Russia di Putin, sforna fake news, attacca continuamente Bergoglio, però ha la proprietà in Delaware. Ecco tra le virtù che predica, manca sicuramente la trasparenza. L’unico a metterci la faccia è il fratello dell’anchorman, fratello gemello che però quando gli chiedi spiegazioni, ha il vaffa facile. Almeno in questi casi, pare che l’integralismo cattolico nasconde invece quello politico. Fa eccezione invece chi osserva con rigore la dottrina cattolica il cardinale Raymond Burke però anche lui, quando gli vai a chiedere spiegazioni sulle intercettazioni imbarazzanti dove Paolo Arata gli chiede raccomandazioni per Siri e il figlio, glissa o preferisce negare. È ovvio che se vai a vedere dal buco della serratura la vita di ciascuno di noi, anche quella dei santi, qualche macchia la trovi. Noi preferiamo non entrare nelle critiche di natura teologica, perché è materia delicata e non è nostra competenza. Tuttavia registriamo che le critiche a Bergoglio nascono soprattutto da ambienti ultranazionalisti vicini a Putin e quelli dell’estrema e della destra ultra-cristiana vicini a Trump. E qua vengono rilanciati da ambienti neofascisti e nazi-fascisti. Insomma, più che un obiettivo al centro di una diatriba teologica Bergoglio sembra essere l’obiettivo di una guerra fredda. Proprio oggi che la Chiesa deve essere unita e deve sembrare unita. Perché ci sarà da raccogliere i cocci di un’umanità quando si uscirà dal virus. Non bisogna dimenticare, come dice lo stesso Francesco, che il vero potere è il servizio, prendersi cura delle persone più anziane, delle persone più fragili, quelle che abitano alla periferia del nostro cuore. E ora invece vediamo come le ha raccolte queste persone, la vita di queste persone, un fotografo, Tony Gentile, che ha osservato la vita degli altri dalla finestra, mentre consumava la sua quarantena. È stato il fotografo dei due Papi, soprattutto quello che ha immortalato Falcone e Borsellino, in quello scatto che è diventato simbolo della resilienza alla mafia.

·        Il Vaticano e gli Hacker.

Papa Francesco, il like dal suo account Instagram alla foto spinta della modella brasiliana? Indagine in Vaticano. Libero Quotidiano il 20 novembre 2020. Ora, si apre una sorta di indagine. Il caso, piuttosto clamoroso e ancor più curioso, è quello del "like galeotto" di Papa Francesco a una foto di Natalia Garibotto, super-modella brasiliana. Un like partito dall'account del Pontefice a una foto che risale allo scorso 6 ottobre, in cui si mostrava in tre quarti, con una minigonna che non nascondeva sostanzialmente nulla. Un look da sexy-alunna in lingerie. Foto molto spinta, insomma. Come detto, dall'account Instagram ufficiale di Bergoglio, "franciscus", è partito il cuoricino, il like di apprezzamento. Come è possibile? Escluso il fatto che Papa Francesco brighi direttamente con uno smartphone e metta, o gli sfugga, un like alla foto spinta di una modella, restano solo altre due possibilità: un hackeraggio. Oppure un disastroso errore di chiunque svolga il ruolo di social media manager per il Pontefice. Come detto, si apprende che il Vaticano avrebbe aperto un'indagine su quanto accaduto. E ancora, avrebbe chiesto spiegazioni ufficiali a Instagram per il sospetto hackeraggio. Resta il fatto che, di dichiarazioni ufficiali, ancora non ne siano arrivate.

Gli hacker cinesi all’attacco del Vaticano? Emanuel Pietrobon il 30 luglio 2020 su Inside Over. Da alcune settimane sono in aumento le indiscrezioni secondo cui le diplomazie del Vaticano e della Repubblica Popolare Cinese sarebbero al lavoro per il rinnovo dell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi siglato il 22 settembre 2018. I negoziati avrebbero ricevuto un impulso dall’imprevisto scoppio della pandemia, la quale si è rivelata un’occasione per testare le potenzialità di un eventuale sodalizio e ha dimostrato che la chiesa cattolica e l’impero celeste possono collaborare efficacemente ed aiutarsi in maniera concreta e reciproca. Nonostante l’accordo sui vescovi, e il miglioramento dei rapporti bilaterali occorso durante la pandemia, le prospettive di successo dell’agenda cinese di Papa Francesco sono rimaste basse poiché è la diffidenza, e non la fiducia, che ha continuato, e continua, a caratterizzare la complicata relazione sino-cattolica. Ad alimentare ed incrementare i dubbi sulla riuscita del piano del pontefice giunge la pubblicazione di un documento di Recorded Future, un’agenzia per la sicurezza cibernetica che monitora il web, denunciante una serie di hackeraggi a scopo spionistico presumibilmente condotti da Pechino contro i computer vaticani negli ultimi tre mesi.

Le accuse. Il rapporto è stato pubblicato il 28 luglio e, in breve, afferma che gli analisti della compagnia hanno scoperto una serie di hackeraggi, e tentati hackeraggi, compiuti dai soldati cibernetici di Pechino ai danni dei server vaticani con l’intento di rubare informazioni sensibili utili per capire che clima si respira nelle stanze dei bottoni della Santa Sede e quali progetti ha il pontefice per Taiwan e Hong Kong. Gli attacchi sarebbero cominciati a inizio maggio e avrebbero colpito le banche dati e i server del Vaticano, della diocesi di Hong Kong, del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME), della Missione di Studio su Hong Kong (MSHK) e di altre organizzazioni legate alla chiesa cattolica. A compiere gli hackeraggi sarebbe stato un gruppo specializzato nella guerra informatica legato al Partito Comunista Cinese (PCC) e noto come RedDelta. I metodi impiegati da RedDelta sarebbero stati i più comuni, e per questo anche i più sottovalutati, come l’invio di email fasulle associate alla Segreteria di Stato e l’uso di malware accuratamente nascosti per entrare negli archivi di arcivescovi ed enti. In un’occasione, gli hacker cinesi avrebbero falsificato, oppure trafugato, una lettera firmata da Pietro Parolin, il numero due del Vaticano, poi infettata con un malware ed inoltrata alla Mshk. La strategia avrebbe permesso agli agenti di Pechino di accedere alla posta della diocesi di Hong Kong, della Mshk e persino della Santa Sede; le infiltrazioni nel Pime sarebbero state tali da causare malfunzionamenti nell’utilizzo della posta per diverse settimane. La compagnia avrebbe anche fatto luce sui malfunzionamenti e i tentativi di hackeraggio denunciati nei mesi scorsi dal sito web AsiaNews, un portale mediatico vicino al Vaticano: sarebbero stati commessi dagli agenti di RedDelta. La conclusione del rapporto di Recorded Future è univoca: gli hacker avrebbero conseguito l’obiettivo stabilito dal Pcc, riuscendo ad accedere alla documentazione sensibile sui rapporti fra il trono petrino e i cattolici cinesi e hongkongesi e a leggere le lettere private dei principali diplomatici aventi come contenuto il rinnovo dell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi. Per questi motivi, in sede negoziale, i portavoce di Xi potrebbero godere di una posizione di vantaggio rispetto agli omologhi vaticani.

Recorded Future: chi sono? La Recorded Future è una compagnia privata con sede in Massachusetts che opera nei campi della sicurezza informatica e del monitoraggio del web. Ufficialmente non ha legami con il governo degli Stati Uniti, ma la tempistica con cui è stato pubblicato il rapporto, che avviene all’apice delle tensioni fra la Casa Bianca e Pechino, alimenta legittimamente i dubbi sulla sua genuinità. Questo, comunque, non significa che una campagna di attacchi non sia avvenuta, anche perché la compagnia ha presentato le prove per ogni accusa avanzata nei confronti del RedDelta. La Santa Sede ha preferito mantenere un profilo molto basso sulla questione. Un diplomatico vaticano, parlando ai microfoni di AsiaNews sotto anonimato, si è limitato a dichiarare: “Dire che la Cina spia il Vaticano è come scoprire l’acqua calda: ormai lo spionaggio e gli hacker sono divenuti un problema internazionale con cui convivere”. Molto più dura è stata invece la presa di posizione di Pechino. Wang Wenbin, il portavoce del ministero degli esteri, ha dichiarato che si tratta di congetture e che “dovrebbero essere presentate prove sufficienti” prima di avanzare accuse gravi quali quelle di un hackeraggio ai danni della chiesa cattolica.

Le ragioni di Pechino. Secondo Recorded Future, gli hacker cinesi non sarebbero stati mossi soltanto dal desiderio di entrare nella mente del rivale ma anche da quello di scoprire i suoi segreti, ovvero capire quale ruolo la Santa Sede ha giocato e sta giocando all’interno delle proteste di Hong Kong e quale all’interno delle chiese sotterranee. L’attenzione dedicata dagli hacker cinesi su queste ultime sarebbe “indicativa degli obiettivi del Pcc di consolidare il controllo sulla chiesa cattolica sotterranea […] e diminuire l’influenza percepita del Vaticano all’interno della comunità cattolica della Cina”. Con il termine “chiesa sotterranea” ci si riferisce a tutte quelle comunità di cattolici che agiscono nella clandestinità per evitare la persecuzione religiosa e che vengono considerate una minaccia per la sicurezza nazionale da Pechino in quanto non censite e operanti al di fuori dei controlli orwelliani delle autorità. I numeri, del resto, parlano chiaro. Sebbene l’Associazione dei Cattolici Patriottici Cinesi (ACPC) e il Movimento delle Tre Autonomie (il principale organo di rappresentanza dei protestanti) abbiano rispettivamente 6 milioni e 500mila membri e 20 milioni di iscritti, i cattolici sarebbero verosimilmente più di 12 milioni e i protestanti sarebbero oltre quota 60 milioni. Altre proiezioni, provenienti da centri di ricerca ed università della Cina continentale, stimano invece la comunità cristiana come compresa fra i 50 e i 130 milioni e, pur divergendo sulle sue dimensioni attuali, concordano su una previsione: entro il 2040 più di un terzo della popolazione totale potrebbe indossare una croce, ossia circa 579 milioni su 1 miliardo e 421 milioni di abitanti. Nel Pcc vige la consapevolezza che il messaggio cristiano è portatore di un messaggio rivoluzionario che nei secoli ha rovesciato governi e riscritto l’identità di interi imperi, contribuendo in ultima istanza al crollo del blocco sovietico nell’Est Europa, e il timore che l’assenza di controllo sopra di esso possa determinare la fine dell’esperienza comunista in Cina è tale da aver convinto gli strateghi al servizio di Xi Jinping che l’unico modo per evitare un simile scenario sia la costruzione di un “cristianesimo dalle caratteristiche cinesi“, ovvero deprivato di tutti quegli elementi che lo rendono pericoloso. Nel caso del cattolicesimo, la sinizzazione implica la riscrittura delle sacre scritture in chiave materialistica, la de-divinizzazione di Gesù e della Madonna e il rifiuto del primato petrino. Quest’ultimo è il motivo per cui il pontificato ha lottato per il raggiungimento dell’accordo del settembre 2018, che per la prima volta dal 1951 (l’anno del congelamento dei rapporti bilaterali) ha garantito al vescovo di Roma il diritto alla nomina dei vescovi, come accade nella maggior parte del mondo, e sta lavorando affinché venga rinnovato e funga da testa di ponte per la conclusione di ulteriori trattati funzionali alla fine della persecuzione anticristiana.

Massimo Franco per il ''Corriere della Sera'' il 30 luglio 2020. Forse il Vaticano aveva avuto un presentimento. Nell' estate del 2019, all' inizio dei moti di protesta, la Legatura apostolica di Hong Kong ha deciso di trasferire di nascosto nelle Filippine tutti i suoi documenti più riservati. E da lì sono stati portati in Vaticano, nell' ex Archivio segreto, oggi rinominato «apostolico», per paura che fossero sequestrati o distrutti dai militari e dall' intelligence cinesi. Può darsi che i vertici ecclesiastici percepissero non solo l' occasione storica ma le insidie di un rapporto ravvicinato con la Cina, formalizzato il 22 settembre 2018 con un patto di due anni mai reso pubblico per volontà di Pechino. Adesso, quella diffidenza sembra giustificata dalle notizie su un' infiltrazione nei server del Papa da parte di hacker cinesi, che sarebbe avvenuta a maggio: anche se Pechino parla di «congetture» senza prove. Già nel 1997, all' inizio della lunga transizione di Hong Kong da colonia britannica a isola cinese a tutti gli effetti, seppure con un' autonomia speciale, la Santa Sede aveva riempito decine di valigie diplomatiche per mettere al sicuro i dossier più scottanti: destinazione Manila, perché ufficialmente l' ufficio della Santa Sede a Hong Kong risulta come «missione di studio», una sorta di nunziatura informale, legata alle Filippine. Un anno fa, l' operazione è stata completata con il trasferimento dei dossier a Roma. Insomma, proprio mentre continuavano le aperture al regime di Xi Jinping, gli analisti vaticani erano arrivati alla conclusione che presto l' Esercito di Liberazione sarebbe intervenuto per normalizzare la situazione. La distensione è andata avanti in questi quasi due anni a dispetto del giro di vite cinese sia a Hong Kong, sia contro la minoranza musulmana degli Uiguri, nell' estremo ovest dell' Impero di Mezzo; e nonostante le pressioni degli Stati Uniti, convitato di pietra tra il pontefice argentino e il «nuovo Mao», per isolare Pechino. La Casa Bianca ha mosso le sue pedine geopolitiche in questi mesi, creando una sorta di «corona ostile» di nazioni asiatiche preoccupate dall' espansionismo cinese. E la guerra fredda in incubazione tra i due Paesi sta prefigurando scelte destinate a mettere in mora l' equidistanza vaticana dagli schieramenti strategici internazionali. Il fatto che i vertici della Santa Sede non abbiano mai preso una posizione ufficiale contro la repressione in atto nella ex città-stato è stato visto a Washington come la controprova della volontà di continuare la marcia di avvicinamento a Pechino. Il Vaticano ha optato fin da febbraio su una «diplomazia del coronavirus» che ha portato a colloqui con gli interlocutori cinesi e a scambi di cortesie, osservati con irritazione dagli Usa. E ha preso corpo l' ipotesi di un prolungamento tacito di altri due anni dell' accordo provvisorio e segreto in scadenza a settembre. La scoperta dell' infiltrazione cinese da parte della società americana di monitoraggio Recorded Future si inserisce su questo sfondo politico-diplomatico. Getta ombre pesanti sui negoziati per il rinnovo dell' intesa e la prospettiva ultima di stabilire relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cina: anche perché lo spionaggio cinese sarebbe cominciato due mesi fa, nel pieno della trattativa. In Vaticano sospettano che sia un siluro americano per sabotare l' accordo e ridare fiato a quel «partito anti cinese» tuttora radicato nel mondo cattolico; e protagonista dal 2018 di un martellamento contro la strategia di Francesco, accusato dal cardinale emerito di Hong Kong, Joseph Zen, di «svendere i cattolici cinesi». Di Zen in Vaticano si dice che abbia avuto milioni di dollari di finanziamenti per la Chiesa clandestina ostile a Pechino. Ma nei circoli occidentali viene considerato il portavoce delle preoccupazioni e dell' allarme di una vasta area cattolica. In realtà, gli stessi negoziatori vaticani ammettono che il manico del coltello è in mani cinesi. «Quando lo prendiamo, lo facciamo per la lama e sanguiniamo. Ma meglio un cattivo accordo che nessun accordo», ammettono. D' altronde, la motivazione che viene fornita per l' assenza di prese di posizione nette su Hong Kong è che le proteste sarebbero in parte spontanee, in parte fomentate strumentalmente dagli Stati Uniti. Per questo le reazioni sono state delegate alla Chiesa locale. A Roma si è imposta una prudenza che incrocia l' esigenza vaticana di non irritare Pechino, e che sa molto di realpolitik. Rimane da capire se le rivelazioni delle ultime ore, riportate dal New York Times , influiranno sulla strategia asiatica di Francesco. Se davvero è in atto un tentativo di condizionarla e magari farla deragliare, sono prevedibili altre sorprese: sebbene i documenti più scottanti su Hong Kong siano al sicuro da un anno nei meandri blindati dell' Archivio apostolico vaticano. Irraggiungibili perfino dai pirati informatici cinesi.

·        Il Vaticano e le Divisioni interne.

Franca Giansoldati per ilmessaggero.it il 26 novembre 2020. Papa Francesco parla a nuora perchè suocera intenda. All'udienza generale ha ripetuto che la Chiesa non è un «partito politico» dove tutto funziona secondo il meccanismo delle maggioranze rappresentative, delle cordate o delle primarie. «La Chiesa non è un mercato o un gruppo di imprenditori che lavorano in una ditta» ha detto. Il passaggio dell'udienza è tutto da decifrare ma è sembrato riferirsi a due voragini attualmente aperte. Da una parte la questione dei veleni che stanno agitando la curia, in primis per il caso Becciu che ormai appare per quello che è, una patacca costruita ad arte in una specie di congiura di Palazzo fatta di cordate. Dall'altra, invece, le parole sembrano descrivere quello che accade in Germania dove i vescovi hanno intrapreso un cammino rivoluzionario che sta mettendo in discussione capisaldi del magistero o della tradizione che vanno dall'abolizione del celibato sacerdotale, al sacerdozio femminile, dalla comunione con i luterani alla trasparenza nella gestione degli archivi diocesani, delle finanze o dei risarcimenti alle vittime della pedofilia. Insomma, una rivoluzione in fieri che sta creando non pochi grattacapi a Roma e sta spaccando gli stessi vescovi tedeschi. Alcuni giorni fa persino il cardinale di Monaco, Marx ha aperto – in via teorica – una breccia per una possibile abolizione del celibato sacerdotale al fine di far fronte al calo drastico delle vocazioni e al fatto che ormai, anche in tante diocesi tedesche, le parrocchie non hanno più preti a disposizione. Papa Francesco non è la prima volta che interviene sul cammino sinodale tedesco. Lo aveva fatto anche con una lettera formale, indirizzata all'episcopato l'anno scorso per chiedere unità di intenti e di vedute. Aveva anche ricevuto, a giugno di quest'anno, il presidente della conferenza episcopale e nel corso del lungo colloquio lo aveva incoraggiato ad andare avanti ma tenendo conto il tema dell'unità. Stamattina Francesco ha ricordato i capisaldi sui quali si fonda la vita ecclesiale: «l'ascolto dell'insegnamento degli apostoli, la custodia della comunione reciproca, la frazione del pane e la preghiera. Tutto ciò che nella Chiesa cresce fuori da queste "coordinate", è privo di fondamenta, è come una casa costruita sulla sabbia . E Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere. E la parola di Gesù che riempie di senso i nostri sforzi. E nell'umiltà che si costruisce il futuro del mondo». Francesco ha anche confessato di sentire "tristezza” quando vede «qualche comunità che pensa di fare chiesa con i raduni, come un partito politico: 'Ma cosa penserà la maggioranza e la minoranza?'. Mi chiedo: ma dove è l'amore comunitario? La Chiesa non è una ditta per maggioranza o minoranza. La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione. Se manca lo Spirito Santo non c'è sinodalità. C'è un club, non c'è la Chiesa». La Chiesa tedesca ha intrapreso un complesso percorso per far fronte alla continua emorragia di fedeli. Solo nel 2019 hanno lasciato la Chiesa cattolica 272.771 persone.  Il cardinale Marx, durante il sinodo sulla Famiglia, spiegando la necessità di ripensare il rapporto tra la base e le istituzioni ecclesiali aveva sbottato: «non sarà di certo Roma a dirci cosa dobbiamo fare». Le cifre ufficiali della emorragia sono state pubblicate di recente dalla Conferenza episcopale. Il calo dei fedeli risulta in aumento rispetto alle 216.078 persone che hanno lasciato nel 2018. Il numero totale dei cattolici in Germania alla fine del 2019 era di 22,6 milioni, pari al 27,2% della popolazione, in calo rispetto ai 23 milioni, pari al 27,7%, del 2018. Le statistiche dei vescovi tedeschi hanno fatto affiorare anche altri aspetti negativi per la vita della Chiesa. Il numero dei cattolici che partecipano regolarmente alle messe è sceso al livello più basso di sempre - 9,1% nel 2019, contro il 9,3% del 2018 - come anche i matrimoni in chiesa (-10%), le cresime (-7%) e le prime comunioni (-3%). Anche il numero dei battesimi cattolici è calato nel 2019 a 159.043 nel 2019 rispetto ai 167.787 del 2018, così come le ammissioni (2.330 nel 2019 rispetto ai 2.442 del 2018) e le riammissioni (5.339 nel 2019 rispetto ai 6.303 del 2018) alla Chiesa. La Chiesa cattolica non è stata la sola a subire un esodo di massa di fedeli. Lo stesso destino riguarda la Chiesa evangelica e i luterani. E' in atto un processo di «declino nella ricezione dei sacramenti» e di erosione dei legami personali della Chiesa.

Uno scisma può sconvolgere la Chiesa di Papa Francesco. Una crisi che rischia di travolgere il mondo cattolico. La sfida ora arriva dalla Germania. E per Roma è un problema. Francesco Boezi, Lunedì 26/10/2020 su Il Giornale.  "Scisma", nella storia della Chiesa cattolica, è una parola che si pronuncia con molta attenzione. Perché una divisione interna alla Ecclesia, dal punto di vista teologico-dottrinale, non può che essere interpretata alla luce dell'opera del demonio. Solo che da qualche tempo quel termine viene ventilato dalle cronache con una certa continuità. Il che succede non tanto per via delle critiche che provengono dalla destra ecclesiastica, ma soprattutto a causa di un'iniziativa dell'episcopato tedesco. La stessa che rischia di far discutere gli ambienti ecclesiastici almeno da qui alla fine del prossimo anno, cioè quando il "Concilio interno" dovrebbe avere fine. I vescovi tedeschi, in buona sostanza, sembrano pensare che le istituzioni cattoliche debbano procedere con un cammino evolutivo, che si dimostri in grado di modificare alcuni paradigmi essenziali, andando incontro "al mondo" ed alla cultura contemporanea. Il che dovrebbe accadere tanto all'interno della vita ecclesiastica quanto all'esterno, ossia nel rapporto tra i consacrati ed i laici. Il "Sinodo biennale" è un appuntamento che il cardinale Reinhard Marx ed i suoi hanno voluto fortemente. Marx è, oltre ad un porporato progressista, anche uno degli uomini più fidati della "cerchia" di papa Francesco. E questo è uno degli elementi che fa discutere. Se non altro perché Roma non può non essere preoccupata dal fatto che i teutonici, nonostante siano dottrinalmente prossimi alla "dottrina Bergoglio", vogliano decidere da soli sul futuro di alcune materie di stretta competenza universale. Quelle per cui spetterebbe decidere proprio al pontefice di Santa Romana Chiesa. Lo strumento scelto è quello della convocazione di un'assemblea che analizzi il momento, che è particolare, e tiri fuori delle soluzioni innovative. Il fattore di fondo è uno: la Chiesa vive una crisi, che è anche vocazionale, dunque deve adattarsi per non scomparire. La strada è già segnata, e qualche prima riflessione collegiale è balzata agli onori delle cronache. C'è già stato inoltre una sorta di ping pong tra le due parti, Berlino e Roma), ma nonostante le preoccupazioni provenienti dalla mura leonine, vale la pena segnalare come da parte tedesca non sia mai stata palesata una volontà d'interruzione dei lavori. Neppure il Covid-19, a dire il vero, sembra influire più di tanto sul progetto germanico. E i tradizionalisti, con toni critici, hanno persino paventato l'ipotesi secondo cui dalle parti del cardinale Marx stiano cercando una sorta di "nuovo Lutero".

I cattolici lanciano l'allarme: rischio "scisma" in Germania. Una figura, insomma, capace di dare una scossa al cattolicesimo globale. Sempre il "fronte conservatore" risulta tuttavia allarmato per via del presunto processo di "protestantizzazione", cioè di avvicinamento alla prassi protestante, che si starebbe consumando. Un fenomeno - quest'ultimo - che coinvolgerebbe tanto la Chiesa tedesca quanto la Santa Sede. Ma cosa vorrebbero approvare in concreto i vescovi della Chiesa teutonica? E perché tra i cattolici si teme uno "scisma"?

Il rapporto tra Benedetto XVI e la Chiesa tedesca. Facciamo prima un piccolo passo indietro. Un pontefice tedesco si è dimesso sette anni fa dal soglio di Pietro. La Germania, insomma, ha avuto la sua grande occasione di "germanizzare" la Chiesa. Il problema, semmai, era che Benedetto XVI la pensava e la pensa in maniera diametralmente opposta rispetto alla visione delle correnti della sinistra ecclesiastica che spopolano nella sua nazione d'origine. Un esempio può valere per tutto: Joseph Ratzinger ha di recente contribuito alla stesura di "Dal Profondo del Nostro Cuore", un libro che si schiera contro l'abolizione del celibato sacerdotale. Ecco, il "Sinodo biennale", tra i suoi punti cardine, ha proprio la volontà di rivedere quella regola. Non è tutto: l'emerito avrebbe anche voluto rivedere l'obbligatorietà della tassa ecclesiastica, che potrebbe essere il vero motivo per cui la Chiesa tedesca pesa così tanto sul consesso mondiale. Interpellato da IlGiornale.it su il rapporto tra l'Ecclesia della Germania e l'ex pontefice, Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior e pensatore che ha contribuito alla stesura di Caritas in Veritate, ci ha detto quanto segue: "..ricordo che nel periodo fine 2011 inizio 2012 il Santo Padre ricevette "sollecitazioni " affinché dimostrasse una "apertura" al luteranesimo tedesco per render più facile un rapporto politico con la Germania. Mi fu detto che non fu sensibile a queste sollecitazioni". I progressisti tedeschi, dopo il passo indietro di Benedetto XVI, avrebbero insomma mano libera o quasi. E questo sarebbe vero nonostante dal Vaticano siano arrivate precise richieste (e una lettera firmata da Jorge Mario Bergoglio) a tema "Sinodo biennale". Sono parole - quelle della Santa Sede - che non nascondono qualche inquietudine. Arriviamo al punto della questione: cosa vorrebbero fare i tedeschi? E perché Santa Marta non può che guardare con attenzione allo sviluppo dei lavori assembleari? C'è veramente il rischio di uno scisma?

Cosa vorrebbe approvare l'ala sinistra della Chiesa tedesca. "La situazione della Chiesa tedesca è confusa per non dire caotica. Da decadi le comunità e associazioni di base di orientamento progressista contraddicono apertamente il magistero, soprattutto per quanto riguarda la morale sessuale, l’intercomunione con i protestanti, il celibato sacerdotale, l’ordinazione delle donne. Una dissidenza dottrinale ripetuta come un ritornello senza fine". A circoscrivere in questi termini il momento odierno della Chiesa teutonica è Mathias Von Gersdorff, il presidente dell'associazione tedesca Tradizione, Famiglia e Proprietà. Le questioni aperte dal cardinale pro migranti Reinhard Marx e dagli altri sono proprio quelle elencate: dal rapporto tra dottrina ed omosessualità, passando per l'abolizione del celibato sacerdotale, per la creazione di "sacerdotesse", per la realizzazione di un rito comune che possa essere considerato valido tanto dai protestanti quanto dai cattolici e per l'estensione della gestione laicale degli ambienti parrocchiani.

"La Chiesa già vive uno scisma e il Papa parla come l'Onu". I tedeschi sono talmente sicuri del loro percorso da aver già iniziato, in alcune circostanze, a benedire coppie formate da persone omosessuali. Il che, in linea teorica, contrasterebbe con gli insegnamenti del Catechismo e con la dottrina sostenuta dal Papa. Von Gersdorff prosegue nella sua analisi, spiegando come sia composto l'ambiente progressista tedesco e da quali leve culturali sia mossa la tendenza dottrinale in oggetto: "L’ala sinistra dell’episcopato si rifiuta di censurare chiaramente questi gruppi. Anzi, mantengono con essi un dialogo cordiale e riconoscono ufficialmente veri “sindacati” cattolici, come il Comitato Centrale dei cattolici tedeschi( ZdK)". Il cuore della "divisione", quindi, non risiede tanto nelle convinzioni dei vescovi filo-Marx, ma in alcuni emisferi con cui però l'episcopato dialoga volentieri. Il punto vero di tutta questa storia - quello che può comportare una frattura anche a livello di scisma - è che il "Sinodo biennale" dovrebbe mettere nero su bianco quei cambiamenti, puntando ad una riforma nazionale del magistero. Come reagirà Roma, in caso? Attorno a questo quesito ruota il futuro del cosiddetto "scisma". Verranno pubblicati dei documenti. E dal Vaticano arriveranno delle repliche. Siamo probabilmente alle soglie di uno scontro, che può essere mitigato da una marcia indietro della Germania. Marx, nel frattempo, si è anche dimesso da presidente dell'equivalente della nostra Cei.

Gli attriti tra i progressisti ed i conservatori. Com'è normale che sia, non tutti gli ecclesiastici, tedeschi o no, pensano che adottare quei cambiamenti serva o sia necessario. Cardinali come l'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Gherard Mueller, Walter Brandmueller e Rainer Maria Woelki sembrano, sulla scia del pensiero ratzingeriano, disposti a battagliare per evitare che un quadro scismatico possa prendere effettivamente piede per via del "concilio interno". Esiste insomma chi sostiene che la Chiesa tedesca non abbia il diritto di minare alle basi l'unità della Chiesa cattolica, provando a fare di testa sua fino a provocare un vero e proprio scisma. Tutto questo avviene, come racconta Von Gersdorff, anche per via del venir meno di alcuni equilibri curiali: "Tuttavia negli ultimi anni si è operato un cambio importante. Vescovi seppur progressisti del calibro del defunto cardinale Karl Lehman (presidente della conferenza episcopale dal 1987 al 2008) avevano l’autorità e il prestigio per addomesticare le frange estreme. Insomma, il card. Lehmann sapeva fino a che punto andare avanti senza destare il sospetto che si stava sull’orlo dello scisma e dell’eresia. Non succede lo stesso con i suoi successori i quali non riescono a imporsi sulle teste più calde, sicché danno sempre più l'impressione di essere burattini nelle loro mani". I progressisti di prima, in sintesi, erano meno progressisti dei vescovi odierni.

Ora il Papa teme uno "scisma" tedesco. E la tendenza alla "protestantizzazione" avrebbe a mano a mano conosciuto sempre meno ostacoli lungo il suo cammino, mentre le acredini tra i conservatori ed i progressisti sarebbero divenute più evidenti. Ma è tutto qui? "Non solo - risponde l'esponente teutonico di Tradizione, Famiglia e Prorietà - . Credono (questi vescovi progressisti tedeschi, ndr) che cedendo un tanto eviteranno il peggio e così sono entrati in un meccanismo che gli fa fare promesse sempre più audaci sugli argomenti detti prima. Questa strategia di cedimento continuo è stata persino istituzionalizzata con il “cammino sinodale” che va prendendo sempre più l'aspetto di uno pseudo-sinodo". Un "cedimento" che da parziale sarebbe diventato completo, con l'interessamento indiretto di certe ideologie. Marx, per dirne una, ha volentieri incontrato i leader dei Verdi dopo i risultati delle passate elezioni valevoli per il Parlamento europeo.

La crisi dei numeri. Qual è, a questo punto, il risultato che deriva da quella che sembra essere una confusione generale, signor Von Gersdorff? " Il risultato - rivela l'esperto studioso cattolico - è la situazione deplorevole che vediamo. I progressisti sono sempre più esigenti con i conservatori che accusano giustamente l’episcopato “liberal” di rischiare lo scisma e l'eresia. In mezzo alla polemica, la grande massa dei fedeli va perdendo l'interesse nella Chiesa. Fuori dai recinti più stretti, la Chiesa in Germania è sempre meno rilevante". E in effetti i dati raccontano di un numero abbastanza cospicuo di fedeli disposti ad abbandonare la Chiesa teutonica. Anche perché, differentemente da come succede nelle altre realtà nazionali, in Germania bisogna versare una parte del proprio reddito ogni anno, nel momento in cui si dichiara allo Stato di appartenente alla confessione religiosa cattolica. Tanti fattori lasciano supporre che la Chiesa tedesca assomigli nel tempo sempre di più alla realtà protestante, che appunto da uno scisma è nata. Gli stessi fattori che suggeriscono pure però come il futuro della Germania possa essere privato dal cattolicesimo per com'è comunemente inteso e per come l'Europa l'ha conosciuto.

Ruini: «La Chiesa italiana è in declino. Criticare papa Francesco? Non significa essergli contro». Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 5 ottobre 2020. Il cardinale: «La corruzione, specialmente in alto loco, è una delle più gravi piaghe della Chiesa». «No a un partito dei cattolici, la Meloni sciolga il nodo Europa».

Cardinale Ruini, il nuovo libro di Massimo Franco parla del declino politico-culturale della Chiesa italiana. Lei è d’accordo?

«Sì, purtroppo. La dimensione culturale è strettamente legata alla fede e la dimensione politica ha un’ovvia connessione con quella culturale. Questo declino non può non preoccupare. Occorre reagire: un compito che spetta ai laici credenti, ma anche alla Chiesa come tale. Oggi è più difficile di qualche anno fa; ma non è impossibile».

Lei ha la sensazione che i temi storicamente cari ai cattolici, a cominciare dalla difesa della vita e della famiglia, non facciano più parte dell’agenda politica?

«Direi che ne fanno parte assai meno di prima. Ma non sono spariti, e nemmeno lo potrebbero: nel contesto dell’Occidente contemporaneo sono inevitabilmente oggetto di dibattito. È di pochi giorni fa una buona notizia, almeno dal mio punto di vista: la Santa Sede ha ribadito con forza il rifiuto dell’eutanasia».

Ma l’emergenza Covid non ha restaurato la centralità, se non della Chiesa, della missione dei suoi sacerdoti?

«Per assistere le persone colpite dalla pandemia hanno perso la vita, accanto a tanti medici e infermieri, anche molti sacerdoti e religiose. La Chiesa italiana si è confermata anche in questa occasione una Chiesa vicina alla gente».

In questi mesi abbiamo avuto un po’ tutti paura della morte. Lei ci ha pensato? Ha avuto paura? Siamo usciti dalla fase acuta della pandemia più forti, o almeno più consapevoli?

«Ormai da anni alla morte penso ogni giorno. Anzi, più volte al giorno, soprattutto quando prego. La morte mi fa sicuramente paura. Ma accanto alla paura, e più forte della paura, sento in me la speranza nell’amore e nella misericordia di Dio. La fede in Dio cambia in profondità il nostro rapporto con la morte: oggi ne parliamo troppo poco. La pandemia ci ha fatto riflettere sulle cose che contano veramente. Speriamo di non dimenticarcene troppo presto».

Che cos’ha provato nel vedere i portoni chiusi delle chiese?

«Li ho visti solo in tv: esco raramente di casa. Ne ho avuto un’impressione triste, mitigata dalla fiducia che il Signore possiamo trovarlo ovunque. Anzi, lui per primo trova sempre la strada per incontrarci».

Torniamo al declino della Chiesa. Cosa dovrebbero fare i cattolici per contare di più, sia nella politica che nella discussione culturale? Come si ferma la scristianizzazione?

«Dobbiamo avere più fiducia nella bontà e nell’attualità di una cultura che abbia il cristianesimo alle sue radici. Un rapporto sano e fecondo tra cattolici e politica passa attraverso la mediazione della cultura. Poi naturalmente occorrono capacità politiche e un grande amore per la libertà. Fermare la scristianizzazione è molto difficile. Non si può farlo solo a livello culturale e tanto meno politico. Decisiva è una testimonianza cristiana autentica, personale e comunitaria. In ultima analisi, decisiva è la grazia di Dio».

Non solo Venezia, Torino, Genova, ma persino Milano oggi non ha un cardinale. Non è anche questo un segno di declino?

«Cent’anni fa era italiana la maggioranza assoluta dei cardinali. Con Pio XII è iniziata l’internazionalizzazione, più in sintonia con la cattolicità o universalità della Chiesa, che con Papa Francesco sta conoscendo un ulteriore sviluppo. Naturalmente deve esserci un limite anche a questo processo. Non sarebbe bene che l’Italia fosse sottorappresentata. Anche perché Roma, sede dei successori di Pietro, è la capitale d’Italia».

Qualche cardinale straniero ha teorizzato che il peso degli italiani dovesse diminuire: «Meglio venire da Tonga che da Milano». È diventato un problema essere italiani?

«Non credo che i vescovi italiani avvertano un problema del genere. A ogni modo, la nazionalità sia italiana sia non italiana non deve essere né una colpa né un titolo di merito. Ce lo chiede la natura stessa della Chiesa».

Qualche guaio però in Curia gli italiani l’hanno combinato. Che idea si è fatto del caso Becciu?

«Non ho elementi per una mia valutazione personale. Vorrei dire però che i mezzi di comunicazione sono comprensibilmente attenti alle vicende negative; ma esiste nella Chiesa una moltitudine di persone e di comportamenti che sono invece decisamente positivi, e che la gente conosce perché ne fa esperienza. Per questo la Chiesa è sopravvissuta nei secoli alle sue peggiori crisi».

Però nella Chiesa la corruzione esiste.

«La corruzione, specialmente in alto loco, è una delle più gravi piaghe della Chiesa. Da giovane pensavo che si trattasse di un problema del passato ormai remoto; ma mi illudevo. Continuo a sperare che ne usciremo, con l’aiuto di Dio e facendo ciascuno la propria parte».

Non abbiamo un Papa italiano da quasi mezzo secolo. Essere italiano è ormai un handicap per diventare Papi?

«Penso proprio di no. Direi piuttosto che non è più un vantaggio, o addirittura un pre-requisito; ma è bene che non lo sia più. Papa deve essere eletto colui che è ritenuto più degno e idoneo, indipendentemente dalla nazionalità».

Esiste un movimento conservatore internazionale contro Francesco?

«In qualche modo, esiste; ma ha varie accentuazioni e sfaccettature. Solo pochi possono davvero essere considerati “contro” Papa Francesco: ad esempio, non tutti coloro che hanno formulato qualche critica con intenti costruttivi».

C’è spazio oggi in Italia per un partito dei cattolici? Magari al seguito del premier Conte…

«Non vedo uno spazio del genere. I cattolici devono puntare sui contenuti dell’azione politica, individuati anche alla luce di una visione cristiana dell’uomo e della società; e devono collaborare con chi, cattolico o no, condivide tali contenuti. Oggi purtroppo in larga misura manca proprio l’attenzione a una visione cristiana».

Lei un anno fa disse al Corriere che con Salvini bisognava dialogare. L’hanno molto criticata per questo. Si è pentito? Ora Salvini appare un po’ ridimensionato…

«Non mi sono pentito affatto. Dialogare bisogna. A Salvini e a Giorgia Meloni, che adesso meritatamente è sulla cresta dell’onda, vorrei dire che se vogliono fare il bene del Paese e arrivare al governo devono sciogliere il nodo dei loro rapporti con le forze che sono stabilmente alla guida dell’Unione europea».

Lei cos’ha votato al referendum sul taglio dei parlamentari? È stata una vittoria dell’antipolitica?

«Ho votato No. È stato un successo del desiderio, comprensibile ma ingenuo, di ridurre i costi della politica».

Ora si parla del ritorno a una legge elettorale proporzionale. Lei cosa ne pensa?

«È una proposta sbagliata e soprattutto pericolosa. Fin dall’inizio la nostra Repubblica ha avuto seri problemi di governabilità. Quando De Gasperi aveva la maggioranza assoluta dovette affrontare una crisi di governo all’anno, perché non solo ogni partito ma ogni corrente si sentiva libera di pretendere sempre più spazio. È facile immaginare cosa accadrebbe adesso, quando nessuna forza politica può aspirare all’autosufficienza».

Sarebbe meglio una legge maggioritaria?

«Penso di sì. A mio parere, il maggioritario è stato il principale tra i pochi progressi della Seconda Repubblica».

Cosa ci aspetta per i prossimi mesi? Si annuncia un Natale difficile, con la distanza sociale, la paura per la seconda ondata…

«L’Italia era in difficoltà già prima del coronavirus. Speravamo che la pandemia fosse in via di superamento e che con l’aiuto dell’Europa potessimo riprenderci abbastanza alla svelta. Adesso la minaccia del coronavirus sta di nuovo montando, in Italia ma soprattutto nei Paesi intorno a noi. È difficile fare previsioni. La nostra gente finora ha reagito in modo molto positivo, eccezioni a parte. È il momento di impegnarci tutti ancora di più. Il Bambino che a Natale viene tra noi rimane la nostra più grande speranza, anche per i problemi di oggi».

I bambini e i ragazzi rischiano di pagare il prezzo più alto. Per decenni i giovani italiani si sono formati negli oratori. Oggi la Chiesa cosa può fare per parlare con loro?

«Gli oratori sono ancora un ottimo luogo di formazione. Il problema è che ci sono troppi pochi sacerdoti giovani. Bisognerà affiancarli con dei laici; possibilmente anche loro giovani. Le più difficili sfide per la Chiesa riguardano oggi la fede delle nuove generazioni e le vocazioni al sacerdozio. Il punto sta nel riuscire a esprimere i contenuti della fede nel linguaggio dei giovani, raggiungendo i loro interessi».

Schiaffo al Papa sulla tomba di San Francesco. La sua Enciclica svelata da un sito "contestatore". Il Pontefice ad Assisi per l'attesa «Fratelli tutti». Ma, prima della firma, lo sgarbo...Serena Sartini, Domenica 04/10/2020 su Il Giornale. Assisi Lontano dagli scandali e dai veleni vaticani. Il Papa esce dalle mura leonine, in questi giorni travolte dall'operazione di dossieraggio su Angelo Becciu, e sceglie di firmare la sua terza Enciclica, Fratelli tutti, ad Assisi, sulla tomba di San Francesco. Una prima assoluta, una giornata storica, non solo perché l'Enciclica viene «bollata» fuori dal Vaticano, ma anche perché è la prima volta che un Papa celebra messa sulla tomba di San Francesco. L'Enciclica Fratelli tutti è ispirata al santo di Assisi di cui Bergoglio ha voluto prendere il nome. Il pontefice ne ha autografate sei copie: tre regalate ai frati della Basilica, e tre per la Segreteria di Stato. Sarà diffusa ufficialmente questa mattina, dopo l'Angelus, ma ieri intorno alle 15, poco prima che il Papa ancora la firmasse, è stata diffusa dal sito tradizionalista Infovaticana - spesso critico nei confronti di Francesco che ha violato l'embargo pubblicando integralmente il documento. Uno sgarbo al Pontefice? In serata è lo stesso Bergoglio a lanciare un messaggio, su Twitter: «Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole». Ad Assisi il Papa il volto molto sofferente, forse anche per tutto ciò che sta vivendo in questi giorni il Vaticano - celebra una messa semplicissima nella cripta, davanti a una quindicina di persone. Niente omelia, niente discorsi. Poche parole, importantissime, pronunciate prima della firma dell'Enciclica. E un ringraziamento, non casuale, alla Segreteria di Stato, proprio quella presieduta, fino al 2018, da Angelo Becciu, il cardinale licenziato da Francesco al centro dello scandalo finanziario su soldi dell'Obolo di San Pietro investiti in palazzi a Londra. C'è un altro messaggio che, tra le righe, il Papa sembra voler lanciare al mondo intero. Diverse donne cattoliche - da ultimo il Catholic women's Council - hanno criticato la scelta di intitolare la nuova enciclica senza includere, cioè, anche le «sorelle». Chissà se proprio per rispondere a queste critiche, e per dimostrare la sua attenzione anche al mondo femminile, che il Papa ieri ha fatto due visite fuori programma: la prima dalle clarisse del Monastero di Spello; la seconda dalle monache della basilica di Santa Chiara ad Assisi. «Una giornata storica, una giornata di festa», ha commentato padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Sacro Convento, riferendo che il Papa prima di fare rientro in Vaticano ha bevuto un «mate», la tipica bevanda sudamerica, offerta dall'economo dei francescani, Jorge, anche lui argentino.

Lo "Stato profondo" del Papa: ecco chi comanda in Vaticano. Mons. Viganò ha parlato di Chiesa profonda. Un pezzo di Vaticano impegnato a disegnare il futuro e il trono di Pietro. Francesco Boezi, Martedì 22/09/2020 su Il Giornale. Monsignor Carlo Maria Viganò, nella sua lettera a Donald Trump - quella che il presidente degli States ha rilanciato sui social - ha parlato di una "deep Church", ossia di una "Chiesa profonda". Un emisfero che potrebbe essere associato al Vaticano. Uno "Stato profondo" che si oppone, secondo l'analisi dell'ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, anche alla riconferma del candidato repubblicano alla Casa Bianca. Uno strato che guida i processi che incidono sul globo, nonostante non si palesi di fronte a tutto. Il "deep State", nella narrativa sovranista, è composto dai potentati che non accettano che un anti-sistema come Trump possa governare la nazione più importante del mondo. Lo stesso discorso varrebbe per la Santa Sede. In questo secondo caso, però, per "Stato profondo" o "Chiesa profonda" bisognerebbe intendere anche gli autori di una spinta ideologico-culturale che punterebbe a destrutturare la Chiesa cattolica per come l'abbiamo conosciuta in nome del progressismo. Esiste una cerchia più o meno ristretta che influisce sulle posizioni di Papa Francesco e sull'avvenire del cattolicesimo: questa è la convinzione del "fronte tradizionale". Carlo Maria Viganò, nella sua missiva, ha scritto quanto segue: "E non stupisce che questi mercenari siano alleati dei figli delle tenebre e odino i figli della luce: come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio. Così, il nemico invisibile, che i buoni governanti combattono nella cosa pubblica, viene combattuto dai buoni pastori nell’ambito ecclesiastico". La Chiesa cattolica americana appare divisa in vista delle elezioni presidenziali: i conservatori sostengono apertamente The Donald, mentre i progressisti ed i cattolici democratici propendono per Joe Biden. Si tratta di una storia antica, ma la spaccatura interna adesso è più visibile che mai. Jorge Mario Bergoglio insiste nel dire che dividere è opera del diavolo. Gli appelli degli ecclesiastici progressisti in favore del candidato dei Dem, tuttavia, non si contano più. Così come quelli dei pro life in favore di Trump. Chi è, dunque, che sta alimentando le divisioni nella Ecclesia? Il quesito è attuale.

La "guerra santa" di Francesco: così il Papa sfida i sovranisti. A prescindere dalle elezioni americane, il ragionamento vale per molti aspetti della vita ecclesiastica, compresi quelli dottrinali. La partita, in poche parole, avrebbe un valore "universale". Questa "Chiesa profonda" sarebbe accomunata dalla battaglia contro il sovranismo, che viene percepito alla stregua di un pericoloso nemico. E sarebbe dunque abitata dalla sinistra ecclesiastica. Nello stesso tempo, questo "deep State" del Vaticano starebbe infatti spingendo per una revisione complessiva della struttura gerarchica ecclesiale, con accenti posti anche su quello che i conservatori chiamano stravolgimento dottrinale. Si tratta o no di una boutade? Possibile che la Chiesa cattolica sia così immersa nelle logiche correntizie? E quali risvolti avrebbe l'esistenza di una "Chiesa profonda" da un punto di vista squisitamente politico?

Che cos'è uno "Stato profondo". Non è semplice comprendere quali siano i protagonisti di questa stagione. Conosciamo le personalità più importanti della gestione del pontefice argentino, ma comprendere da chi sia animata la "Chiesa profonda", sempre nel caso esistesse davvero, non è un'operazione semplice. Alcune fonti con cui abbiamo parlato si sono limitate ad affermare di non essere nella posizione di comporre un elenco con precisione. Se non altro perché queste fonti non hanno alcun ruolo in quello che sarebbe lo "Stato profondo" della Chiesa cattolica. C'è una certa logica dietro all'impossibilità di diramare un vero e proprio quadro preciso di fondo: soltanto chi opera nella presunta "deep Church" è consapevole di come agisca la presunta "Chiesa profonda". Si può domandare, però, cosa si intende per "Stato profondo", e dunque in questa specifica circostanza per "Chiesa profonda".

La "partita" decisiva per la Chiesa: chi può succedere al Papa. Julio Loredo, presidente per l'Italia di Tradizione, Famiglia e Proprietà, pensa che " si sta diffondendo nel linguaggio giornalistico l’espressione Deep State, cioè Stato Profondo, per designare le strutture di potere nascoste dietro (o dentro) gli organismi dello Stato. Il concetto non è per niente nuovo. Già gli antichi greci parlavano di kratos en kratei, il potere dentro al potere. Nel suo senso moderno l’espressione proviene dal turco derin devlet, e fu usata all’epoca di Kemal Atatürk in riferimento a circoli di potere – servizi segreti, vertici militari, vertici giudiziari, mafia, ecc. – che agivano indipendentemente dallo Sato". Sì, ma nel contemporaneo? "Nel suo senso moderno, Deep State si riferisce a quelle strutture di potere che un governo non può cambiare e che, quindi, vanno avanti imperterrite, costituendo un vero Stato dentro lo Stato che condiziona gli indirizzi del paese, indipendente da chi sieda sulla poltrona presidenziale. Un esempio classico sono gli Stati Uniti, dove ci sono 2,7 milioni di funzionari pubblici, dei quali non più di 30mila sono sotto l’autorità del Presidente e del Congresso. Questo per non parlare dei poteri finanziari, industriali e pubblicistici, che non dipendono per nulla dal verdetto delle urne. I governi passano. Il Deep State permane". Ma non è tutto. Sì, perché "Stato profondo" e "Chiesa profonda" sarebbero in qualche modo alleati. E forse è questa la suggestione più rilevante tra quelle alimentate dalla cosiddetta narrativa sovranista.

Ma esiste davvero una "Chiesa profonda"? Quando monsignor Carlo Maria Viganò ha messo nero su bianco l'espressione "deep Church", in molti si sono scandalizzati. Come può, del resto, esistere una Chiesa nella Chiesa? Un Vaticano nel Vaticano? In linea di principio, non sarebbe neppure possibile presentare un'ipotesi di questo tipo senza ventilare un frazionamento del mondo ecclesiastico. E le "divisioni" tra consacrati rimangono un tabù per definizione. Come l'ex arcivescovo di Buenos Aires ribadisce spesso in questo periodo. E infatti c'è chi, come il religioso Rosario Vitale, smentisce di netto: "Leggere di una “Chiesa nella Chiesa” mi sembra quanto di più fantasioso si possa sperare. La Chiesa per vocazione è una Santa, cattolica ed apostolica. Mi risulta davvero difficile anche solo pensare che alcuni credano a teorie di complotti per installare questo o quel politico, o di piani segreti che porterebbero ad un utopico sovranismo mondiale, che non si sa bene quale obiettivo avrebbe se non quello di alimentare la confusione, che già regna negli ambienti secolari".

Quell'ultimo muro della Chiesa che non si inchina alla sinistra. Come interpretare, allora, il contesto odierno? "In questo come sempre - aggiunge Vitale - ci viene in aiuto la Sacra Scrittura, con il Vangelo di Marco al capitolo 3: 'Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi'. Si commenta da solo, e aggiungo che chiunque tenti di alimentare la divisione all’interno della Chiesa non sta facendo altro che appoggiare i piani del maligno che ci vuole soli e deboli. Seguiamo gli insegnamenti di Cristo che si è fatto prossimo di tutti e per tutti. Le chiacchiere, beh come dice il Santo Padre, anche quelle sono opera del diavolo che come sappiamo significa Il divisore". Il presidente Julio Loredo, per circoscrivere il significato di quel passaggio della missiva destinata al presidente Usa, parte dal piano letterale: "Mons. Carlo Maria Viganò utilizza l’espressione nella sua lettera aperta al presidente Trump: 'Pare che i figli delle tenebre — che identifichiamo facilmente con quel deep state al quale Ella saggiamente si oppone e che ferocemente le muove guerra anche in questi giorni — abbiano voluto scoprire le proprie carte, per così dire, mostrando ormai i propri piani'". Quindi cosa voleva dire Viganò? "Come si vede, l’ex Nunzio a Washington utilizza l’espressione deep state in un senso leggermente diverso e, secondo me, più profondo e coerente con una corretta lettura della storia moderna. Egli si riferisce alle forze rivoluzionarie che, tirando i fili senza mostrare la faccia, hanno sollevato contro Trump una vera e propria rivoluzione di carattere socialista e anarchico. È impossibile, per esempio, che gli stessi moti siano scoppiati in tutti gli Stati nello stesso giorno, con le stesse modalità, gli stessi simboli e gli stessi slogan, senza che vi sia un piano e una mente coordinatrice". Una visione certamente netta quella di Loredo, che però può spiegarci come una parte importante del mondo conservatore cattolico guardi a quanto sta succedendo negli Stati Uniti. Una visione quasi escatologica in cui si affrontano temi che in Italia sembrano distanti anni luce dal dibattito politico, ma che in un mosaico complesso come quello americano possono fare la differenza. E che aiutano anche a comprendere come si muove questo grande cosmo religioso e culturale.

Qualche esempio storico. Il presidente di Tradizione, Famiglia e Proprietà pensa che, pescando nell'armadio della storia, sia lecito far presente come degli "agenti" esistano. Il tutto - ci tiene a sottolineare - senza scadere in "teorie cospirazioniste". Ma qualcosa che muove in una direzione piuttosto che in un'altra c'è, tanto che "questi agenti (quelli del "deep State", ndr) operano, di solito celati, sia nella società temporale sia in quella spirituale. Fa parte della storia, per esempio, il patto segreto sottoscritto dai cattolici liberali sotto l’egida di mons. Félix Dupanloup per opporsi al beato Pio IX e al Concilio Vaticano I, smascherato solo molti anni dopo. Fa pure parte della storia quel “clandestinum foedus” denunciato da san Pio X nel motu proprio Sacrorum Antistitum in riferimento ai modernisti che agivano, appunto, come una società segreta, peraltro vantata dal Fogazzaro ne "Il Santo", dove l’autore vicentino lancia l’idea di una “frammassoneria cattolica”. Poi, Loredo, passa a tempi recenti, con "il “Patto delle catacombe”, sottoscritto da alcuni Padri conciliari nel 1965, impegnandosi a sovvertire la Santa Chiesa dalle fondamenta. E ancora gli accordi, allora segreti, di quella “mafia di San Gallo” che pare abbia condizionato l’ultimo conclave. E questo è solo la punta dell’iceberg". Il "gruppo di San Gallo" - secondo i suoi detrattori una "mafia" - era un gruppo di cardinali progressisti che secondo le accuse avrebbe influito sull'elezione di un pontefice di stampo progressista. Il nome deriva dalla località svizzera in cui si incontravano, appunto San Gallo. Il loro obiettivo è stato per anni quelli di contrastare le pulsioni centralista della Chiesa di Roma, a partire dalla riduzione del potere del Consiglio delle conferenza dei vescovi d'Europa. Uno dei principali avversari di questo gruppo su proprio Joseph Ratzinger, considerato un problema per la sua influenza romano-centrica sulla Chiesa nel periodo di debolezza fisica di Giovanni Paolo II. "Questi cospiratori, poi, tirano i fili che muovono realtà dichiaratamente progressiste, e l’enorme rete di cripto-progressisti, di para-progressisti, di filo-progressisti e di utili idioti, presenti un po’ ovunque", chiosa Loredo, che poi specifica: " Proprio a ciò si riferiva mons. Viganò nella lettera sopra citata: “Come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio”. In questo senso, la denuncia di mons. Viganò non è una novità. Ciò che costituisce novità è il coraggio che ha avuto nel parlarne".

I laici che oggi contano in Vaticano. Il Vaticano ed i laici triangolano: non è un mistero. Le complicazioni, semmai, sorgono nel momento in cui si cerca di comprendere i "perché" ed i "come". Anzi, durante questo pontificato, si sta discutendo sull'allargare la gestione ecclesiastica al laicato, con l'episcopato tedesco che è in prima linea in questa battaglia. Ma come si declina questa collaborazione sul piano politico-culturale? Il presidente di Tradizione, Famiglia e Proprietà parte da un presupposto: "Il Vaticano ha sempre potuto contare sulla collaborazione di laici fidati. Come non ricordare, per esempio, la splendente figura del Conte Stanislao Medolago-Albani, stretto collaboratore di Leone XIII e poi, soprattutto, di san Pio X in ciò che riguarda le questioni sociali ed economiche? Papa Sarto lo riteneva un vero braccio destro". E ancora: "Anche oggi ci sono laici esterni al Vaticano che vi esercitano un’influenza non indifferente. Purtroppo, spesso sono di un orientamento opposto a quello di Medolago-Albani. Potremmo quasi esclamare: “dimmi con quali laici vai e ti dirò chi sei”. Qualche nome che ha asusnto in questi anni un ruolo di primo piano in Vaticano? "Credo che possiamo cominciare da Eugenio Scalfari. Alcune sue interviste al Pontefice – che egli stesso riconosce non essere ipsis verbis bensì una sua personale reinterpretazione –, nonostante smentite da parte vaticana, sono state annoverate nelle Acta Apostolicae Sedis. Credo sia la prima volta nella storia che un laicista di sinistra detta il magistero della Chiesa". Non basta: " In campo economico, ecco Jeffrey Sachs, un ambientalista radicale di scuola maltusiana. Sachs è assessore di Bernie Sanders, il candidato dell’estrema sinistra alle presidenziali americane. Un altro laico vicino a Francesco è Paul Ehrlich, autore di "The Population Bomb", partigiano di una drastica riduzione della popolazione mondiale, anche con l’aborto selettivo. O ancora Hans Schellnhuber, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, promotore della teoria di Gaia. Secondo lui, la terra non dovrebbe avere più di un miliardo di abitanti". Il che ha fatto discutere, soprattutto negli ambienti tradizionalisti. Loredo passa ad un'altra questione particolarmente dibattuta, ossia il contributo dato da alcuni laici nella stesura dell'enciclica Laudato Sii, che è associata all'introduzione dell'ecologia quale caposaldo dottrinale: "E parlando della Laudato Sii, possiamo menzionare Leonardo Boff – ormai ex-frate francescano e, quindi, un “laico” – un padre intellettuale dell’enciclica. Boff è uno dei principali esponenti della Teologia della liberazione di ispirazione marxista. “Dobbiamo introdurre il marxismo nella teologia. (…) Vedo segni del Regno nel socialismo sovietico”, diceva." Un laicato di sinistra cui Francesco guarderebbe con spiccato interesse e che rappresenta uno dei possibili grandi elementi di frattura all'interno del Vaticano.

Il Papa adesso è in "trappola": ecco cosa ha fermato Bergoglio. I progressisti spingono per le riforme, mentre i conservatori tifano Trump e sovranisti: papa Francesco alla prova delle pressioni delle correnti interne. Francesco Boezi, Mercoledì 16/09/2020 su Il Giornale. Il dibattito è aperto sin dai tempi del lockdown, ma già da prima ci si chiedeva quale fosse il futuro della "Chiesa in uscita", la Chiesa cattolica promossa da papa Francesco. I progressisti non hanno smesso di sperare che il futuro sia quello che si sono sempre augurati. Un avvenire riformistico, dove modificare la dottrina non rappresenti un tabù. Perché il mondo che cambia necessita di adattamenti. La convinzione dei conservatori - come noto - è quella opposta. Le cronache dei retroscenisti raccontano di come Jorge Mario Bergoglio fosse stato eletto con questo presupposto: dare il la alla riforma. Quella a cui Ratzinger, in fin dei conti, non era stato disposto. Ma sono mesi ormai che alcuni media si soffermano su come si sia arrestata quella che la Civiltà Cattolica ha chiamato "spinta propulsiva". La rivista diretta da padre Antonio Spadaro - quella no - non pensa affatto che il papato sia oggetto di un "tramonto", come ha invece titolato IlFoglio. Quando ha salutato per la prima volta il suo successore, Benedetto XVI ha consegnato nelle mani del nuovo pontefice un dossier, un'inchiesta portata avanti da tre cardinali, dopo gli scandali che hanno animato quella stagione. Parliamo degli scandali curiali. Ecco, non abbiamo mai saputo quali conclusioni avessero tratto i tre cardinali individuati ai tempi da Benedetto XVI per l'indagine interna. E non sappiamo, quindi, se Francesco sia intervenuto o meno. Questo è solo un elemento. Si è spesso sollevato il tema della Costituzione apostolica, quella cui sta lavorando il C9 e che dovrebbe fornire nuovo impulso alle regole della gerarchia ecclesiastica, ma per ora niente. Il "fronte tradizionale" che all'inizio ha sperato che Bergoglio continuasse ad operare per quello che Ratzinger non era riuscito a concretizzare pensa che una "spinta propulsiva" non sia mai esistita, e che molte delle aspettative siano derivate dalla comunicazione. La mediaticità, insomma, avrebbe ingannato. Ma i tradizionalisti - si sa - sono di parte in questa storia. Dal punto di vista dei progressisti le cose non cambiano poi molto: le aperture di Bergoglio, a conti fatti, sono state mezze aperture. Almeno secondo i parametri della sinistra ecclesiastica. Francesco non ha aperto ai preti sposati, alle diaconesse, alla Messa ecumenica, alla teoria gender, alla revisione in senso relativista della piattaforma bioetica, alla laicizzazione della gestione ecclesiale, alla protestantizzazione del rito e così via. Le aperture, quelle che hanno contraddistinto questi primi sette anni di pontificato, hanno riguardato altri tavoli, come quello diplomatico o quello appunto mediatico-comunicativo. Chi pensava che, con Francesco, la Chiesa avrebbe occupato in modo diverso il terreno culturale dell'ortodossia dottrinale si è ritrovato un vescovo di Roma ecologista sì, ma non disposto alla rivoluzione in senso stretto. Progressisti per antonomasia sono i tedeschi, che hanno organizzato un "Sinodo" apposito per tentare di approvare le modifiche sostanziali su cui Roma non vuole cedere. Una bella spia di come neppure i progressisti, in fin dei conti, stiano esultando troppo per l'andazzo. Sono emersi così due fronti: quello conservatore, che ritiene quanto fatto da Bergoglio troppo a sinistra per non essere criticato; quello progressista, che ritiene quanto fatto da Bergoglio troppo poco di sinistra per non provare a fare qualcosa di più. Sono semplificazioni che in Vaticano non piacciono, perché riducono la Chiesa, che è di Dio, ad un contesto politico, ma il senso di quello che sta accadendo tra le mura leonine ed altrove in questi ultimi mesi andrà pur semplificato in qualche modo. E ognuno dei due fronti preme. Se la Chiesa teutonica continua imperterrita nella sua marcia autocefala, la parte conservatrice, in chiara contrapposizione con le indicazioni date dal pontefice in questi sette anni, organizza rosari per Donald Trump. In mezzo ai due fuochi, risiede il vertice supremo della Chiesa cattolica.

Ci sono due Chiese parallele? Ecco cosa succede in Vaticano. Tra teorici della continuità e teorici della discontinuità, la Chiesa, con Bergoglio e Ratzinger, vive oggi un momento del tutto atipico. E il rischio paventato è quello di una divisione tra la base dei fedeli di uno e i sostenitori dell'altro. Francesco Boezi, Giovedì 10/09/2020 su Il Giornale. Una situazione atipica: un pontefice regnante ed uno emerito che abitano all'interno delle stesse mura. Jorge Mario Bergoglio e Joseph Ratzinger non sono in lotta, ma le loro "tifoserie" in qualche modo sì. La situazione è tanto strana da aver spinto le gerarchie dal Vaticano alla riflessione sulle regole da seguire per un Papa che si è dimesso. Poi non se n'è fatto niente, ma per qualche settimana in Santa Sede hanno ragionato su come normare gli interventi di Benedetto XVI (e di tutti i possibili pontefici emeriti del futuro). Quand'è che un Papa che non è più Papa può parlare? Possibile che il discorso venga ripreso. C'è chi incolpa Ratzinger per aver alimentato la "confusione" con i suoi interventi. E c'è chi, al contrario, ritiene che la "confusione", più che gerarchica, sia dottrinale e dipenda tutta da papa Francesco e dalla sua spinta progressista. La domanda che circola da sette anni tra gli addetti ai lavori è sempre la stessa e riguarda la "continuità" o la "discontinuità" tra i due pontificati. Una questione che non è semplice da dipanare. Quando Benedetto XVI ha rinunciato al soglio di Pietro, in molti hanno pensato ad una successione naturale. Invece è stato eletto l'ex arcivescovo di Buenos Aires. I retroscena sul Conclave in cui è stato eletto Ratzinger hanno raccontato anni dopo di come i progressisti avessero opposto a quella del teologo tedesco proprio la candidatura dell'argentino. Poi Bergoglio si è ritirato dalla corsa, dando il via libera all'elezione dell'uomo che tanto aveva significato durante il pontificato di San Giovanni Paolo II. Una versione - questa dello "scontro" al Conclave del 2005 - che ha fornito più di qualche assist ai "teorici della discontinuità". Esiste una "battaglia" tra conservatori e progressisti, ma Francesco e Benedetto XVI sono o no i riferimenti dell'uno e dell'altro fronte? Dal punto di vista comunicativo, forse sì. Ma in realtà il duo, che tiene molto all'unità della Chiesa cattolica, non ha mai combattuto. Anzi, Ratzinger ha sfruttato ogni occasione per affermare la "continuità" con il suo successore. Sono le posizioni prese da Benedetto XVI in quanto emerito, semmai, ad aver fatto pensare il contrario. Dal caso della "lettera tagliata" al libro contro l'abolizione del celibato sacerdotale: sono le volte in cui Joseph Ratzinger ha tuonato ad aver suggerito l'ipotesi che le "Chiese" fossero divenute due?

Papa Benedetto parlerà ancora. Ecco la strategia di Ratzinger. Uno "scisma", a ben guardare, è stato ventilato sì, ma per via delle fughe in avanti di certi episcopati. In particolare, il "Sinodo interno" dei tedeschi sembra preoccupare i sacri palazzi. I ratzingeriani, categoria giornalistica oltre che dottrinale, non hanno mai pensato di separarsi dallla Chiesa universale o di provare ad approvare riforme prescindendo dall'opinione del pontefice regnante. In un recente testo pubblicato da Rizzoli, Papa Francesco. Benedetto XVI Papa emerito. Una sola Chiesa, il cardinale e segretario di Stato Pietro Parolin ha introdotto le argomentazioni che propendono per una "continuità" che in fin dei conti sarebbe assoluta. Ma non tutti la pensano alla stessa maniera, in specie nel campo laico.

Elementi di continuità. Bergoglio e Ratzinger sono in continutà per quel che riguarda l'aspro combattimento per la trasparenza in Vaticano ed in relazione alla battaglia contro gli abusi sessuali ai danni dei minori e degli adulti vulnerabili. Questo è un elemento riconosciuto dai più. La "linea della tolleranza zero" è stata introdotta da Ratzinger sulla scia di quanto messo in campo come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede durante il pontificato di San Giovanni Paolo II. Ratzinger è il papa recordman per numero di consacrati ridotti allo stato laicale in seguito all'emersione di evidenza di prove riguardanti episodi legati ad abusi. Francesco ha continuato l'azione del suo predecessore. All'interno delle "mura leonine", peraltro, non sembra essere svanito il "tappo" che ha impedito a Benedetto XVI di riformare la Curia nel profondo. Papa Francesco sta cercando di far approvare una nuova Costituzione apostolica, che modificherebbe gli equilibri interni ai sacri palazzi. Ma per ora, nonostante gli annunci, sembra permanere qualche difficoltà. Un segno della presenza di forze concentriche che spingono affinché i pontefici non mutino le regole della vita ecclesiastica ai più alti livelli? Possibile. O almeno quella è una delle letture che circolano. Un fattore di coincidenza tra i due pontificati, ancora, è costituto dalla ferma volontà di entrambi i successori di Pietro di realizzare pienamente il Concilio Vaticano II. Gli anti-conciliari, loro sì, si sono opposti sia a Benedetto XVI sia a Jorge Mario Bergoglio. Una lettura che preveda un Benedetto XVI "restauratore" e schierato su una zona diametralmente opposta a quella di un "rivoluzionario" Bergoglio è stata spesso presentata. L'antropologo Roberto Libera, intervistato da ilGiornale.it, spiega che molto del pontificato di Francesco ruoti attorno a questa storia del Vaticano II: "Mi capita di leggere spesso sui media, o ascoltare da commentatori, anche qualificati, considerazioni riguardo il pontificato 'rivoluzionario' di Francesco. Personalmente - ha aggiunto l'esperto - non condivido affatto questa diffusa opinione. Ritengo che basterebbe leggere i contenuti dei documenti prodotti dalla Chiesa cattolica al termine del Concilio Ecumenico Vaticano II per comprendere che l’attuale pontefice, in realtà, sia impegnato in una azione di attuazione dei capisaldi delle costituzioni e dei decreti nati dai lavori conciliari. La vera questione, io ritengo, sia quella della ancora incompiuta realizzazione di quanto auspicato dal Concilio Vaticano II, cioè un cammino di trasformazione, nella Tradizione, di una Chiesa che, come Paolo VI aveva auspicato, volge la mente verso la direzione antropocentrica della cultura moderna, senza, per questo, disgiungere questa attenzione “dall'interesse religioso più autentico”.

Nuovi dubbi sulla sua rinuncia. Ma Benedetto è ancora Papa? La mancata natura "rivoluzionaria" del regno di Bergoglio, insomma, sarebbe la prova effettiva della continuità con Benedetto XVI. L'ex arcivescovo di Buenos Aires inoltre, stando a quanto dichiarato dall'antropologo Libera, non sarebbe poi così "di sinistra": "Il Concilio Vaticano II, almeno nelle intenzioni, diede ampio spazio a realtà ecclesiastiche fortemente impegnate nel sociale, come quella dei 'preti operai', ad esempio. L’intento non era solo quello di dare spazio al pensiero sorto nell’ambito di ambienti ecclesiastici 'progressisti' nella seconda metà dell’Ottocento, quello del cosiddetto movimento modernista. Uno dei motivi dell’apertura 'a sinistra' che sembrava scaturire dalle decisioni conciliari era anche quello di conquistare degli spazi nel mondo del proletariato dominato dalle rivendicazioni comuniste. Ma vorrei chiudere con due riflessioni, a proposito dell’entusiasmo da parte progressista verso l’attuale pontefice, la prima è che in realtà le attenzioni verso i più deboli, i sofferenti, i diversi, sono parte integrante e imprescindibile dell’opera del Cristianesimo, fin dalle sue origini, anzi, costituiscono il messaggio rivoluzionario del Cristo stesso, questo avveniva qualche millennio prima della nascita dell’ideologia marxista; infine, mi permetto di affermare che sbagliano quanti sono soliti attribuire appartenenze di 'destra' o di 'sinistra' ai pontefici, la Chiesa opera su piani molto distanti da quelli politici, la sua visione del mondo deve essere, necessariamente, altra e alta rispetto alle contingenze della politica".

Elementi di discontinuità. Non è un mistero: i membri di un insieme culturale e religioso - quello che nel tempo è stato chiamato "fronte tradizionale" o "fronte conservatore" - pensano che Joseph Ratzinger e Bergoglio siano in assoluta discontinuità. Dalle posizioni politiche, alla centralità cui è stata destinata l'Europa nel corso del regno del tedesco, passando per le posizioni sui migranti (Ratzinger era anche per il "diritto a non emigrare", mentre Bergoglio è per una linea più aperturista, cosiddetta linea "erga omnes", verso tutti): il piano della discussione interessa questi aspetti, oltre a quelli prettamente dottrinali. Gli stessi su cui spesso e volentieri Francesco e Benedetto XVI la penserebbero in maniera diversa. Come giudicare, allora, i tentativi della Santa Sede, e di molti esperti del settore, di continuare a porre accenti sulla "continuità" tra l'attuale Santo padre ed il precedente?

Perché la lettera di Ratzinger ha fatto infuriare i progressisti. Marco Tosatti, vaticanista di lungo corso e oggi animatore del seguitissmo blog chiamato Stilum Curiae, spiega a ilGiornale.it: "A mio modesto parere c’è una fortissima discontinuità fra i due pontificati. Punto. Cercare di affermare il contrario, sia pure con le migliori intenzioni del mondo, per non creare divisioni all’interno della Chiesa, per non esacerbare sensibilità in sofferenza, per evitare di creare un polo in un certo senso di silenziosa, muta, ma permanente critica e resistenza nei confronti non tanto della persona di Jorge Mario Bergoglio, ma dei frutti dell’azione del suo entourage, vicino e lontano, mi sembra meritevole da un punto di vista morale, fatta salva la sincerità delle intenzioni, e purché non sia un semplice atto di cortigianeria ; ma assolutamente non corrispondente alla realtà". Le diversità tra l'emerito ed il regnante sarebbero dunque sotto gli occhi di tutti. E basterebbe guardare per accorgersi di tutte queste differenze.

Il dibattito in corso. Marco Tosatti incalza: "Posto che di recente è uscito un libro tutto impegnato a dimostrare la continuità, e per non tediare il lettore con risposte eccessivamente lunghe, mi limiterò alla discontinuità. In breve: mentre il pontificato di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI rappresentavano una sfida continua alla cultura dominante, e che si è imposta nel mondo occidentale – grazie all’appoggio incondizionato dei mass media, contigui o collusi – i temi prevalenti del regno di Bergoglio, quali migrantismo, ecologia, “culto” della Madre Terra e così via sono quanto di più omologo e omogeneo con quanto predica la cultura dei poteri che prevalgono – per ora – nel mondo occidentale". Anche il piano fattuale renderebbe bene l'idea di come i due pontificati non possano in alcun modo essere equiparati sulla base della non pacifica "teoria" della "continuità": "Basta osservare quanto è stato fatto nel campo della difesa della vita - continua il vaticanista - , e come è stato smantellato quello che era il principale strumento di controcultura nei confronti di aborto e uso degli esseri umani come oggetti per rendersene conto".

Vaticano, Francesco prepara l'attacco al capitalismo finanziario. Poi, ovviamente, c'è il macro-tema della gestione dei fenomeni migratori. Un altro ambito in cui Ratzinger e Bergoglio, come i loro rispetti pontificati, non andrebbero d'accordo: "Per non parlare del migrantismo: un fenomeno che ha evidenti connotazioni di tratta di esseri umani e di sfruttamento degli stessi, e in cui la Chiesa, invece di esaltare e dare preminenza a quanto dicono da tempo vescovi e cardinali africani si rende di fatto complice del fenomeno, anche nei suoi risvolti più venali. Credo che sarà qualcosa di cui dovrà rendere conto alla storia (quella con la lettera maiuscola, ndr). E credo che sia qualcosa che sconcerta molti cattolici, qui ed ora". Al contrario, nel libro edito da Rizzoli, Parolin ha rimarcato, come fatto anche da Libera, il trait d'union dettato dal Concilio: "È l’interpretazione autentica del Concilio da parte del pontefice che l’ha indetto, condivisa dal papa che l’ha concluso, Paolo VI, ed espressa da papa Benedetto XVI nella formula 'novità nella continuità'. E la continuità del magistero papale è il solco percorso e portato avanti da papa Francesco, che nei momenti più solenni del suo pontificato si è sempre richiamato all’esempio dei suoi predecessori...". Il commento del segretario di Stato si può approfondire su Avvenire.

Le voci di "scisma" e il problema della convivenza. I due "schieramenti vaticani" potrebbero dare vita ad uno "scisma"? Ratzingeriani e bergogliani potrebbero davvero optare per due percorsi separati? No. Non c'è alcun pericolo che accada. Questo, almeno, è quello che si deduce dalle scelte, dalle dichiarazioni e dalle mosse di ambo le "parti". Per quanto delle voci riguardanti uno scisma si siano abbattute in questi anni su piazza San Pietro e limitrofi. Un "però" però esiste: quello rappresentanto dalle preoccupazioni del "fronte conservatore" per via del ritorno delle chiese nazionali. Realtà autocefale che sembrano procedere ognuna per conto suo o quasi. Il caso d'esempio è, ancora una volta, quello tedesco, dove il "concilio interno" e l'eventuale approvazione di mofiche nazionali a materie di competenza universali costituirebbero due spade di Damocle poste sull'unità ecclesiastica. Cosa accadrà se la Germania deciderà in via autonoma di abolire il celibato sacerdotale? La Chiesa tedesca sarà in caso considerata come a sé stante? Ecco, questo sembra essere l'aspetto più impellente. Con un distinguo: i ratzingeriani sono preoccupati per la spinta progressista che proviene dalla terra teutonica e da altre realtà, mentre gli episcopati coordinati da esponenti della cosiddetta "sinistra ecclesiastica" hanno sempre guardato con favore al pontefice regnante. Si vede bene, dunque, come il problema della "convivenza" non derivi tanto dalla differenza di vedute dell'emerito rispetto alla visione del regnante, ma dalle diverse reazioni delle "basi" a quello che accade all'interno della Chiesa cattolica.

IL PAPA: “BASTA CHIACCHIERICCIO NELLA CHIESA, È UNA PESTE PIÙ BRUTTA DEL COVID”. Di Fabio Beretta su ilfaroonline.it. "Le chiacchiere chiudono il cuore della comunità. Il grande chiacchierone è il Diavolo che sempre va dicendo le cose brutte degli altri. Perché lui è un bugiardo che cerca di disunire la Chiesa, allontanare i fratelli e non fare comunità. Facciamo lo sforzo di non chiacchierare. Il chiacchiericcio è una peste più brutta del Covid. Facciamo uno sforzo: niente chiacchiere". Papa Francesco torna a mettere in guardia i credenti dalle male lingue e dal "vizio" delle chiacchiere. In passato aveva paragonato il pettegolezzo a veri e propri atti di "terrorismo" perché "distrugge tutto e soprattutto distruggono il tuo cuore, che diventa arido. E' come lanciare una bomba". Oggi, affacciandosi in piazza San Pietro per la preghiera dell'Angelus, lo paragona a una malattia peggiore del coronavirus.

20 ottobre 2019 - PAPA FRANCESCO: “CHIACCHIERE E PETTEGOLEZZI INQUINANO”. “Siamo chiamati ad avvicinarci a Dio e agli altri: a Dio, l’Altissimo, nel silenzio, nella preghiera, prendendo le distanze dalle chiacchiere e dai pettegolezzi che inquinano“: solo le parole di Papa Francesco, pronunciate in occasione dell’omelia della messa per la Giornata Mondiale Missionaria.

2 settembre 2013 - PAPA FRANCESCO - MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE: LA MINACCIA DEL PETTEGOLEZZO (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 200, Lun. - Mart. 2-3/09/2013)

La lingua, le chiacchiere, il pettegolezzo sono armi che ogni giorno insidiano la comunità umana, seminando invidia, gelosia e bramosia del potere. Con esse si può arrivare a uccidere una persona. Perciò parlare di pace significa anche pensare a quanto male è possibile fare con la lingua. Si potrebbe chiudere così, col noto motto di origine medievale, l’insistenza al limite dell’ossessione del Papa nel condannare il pettegolezzo: “excusatio non petita, accusatio manifesta” (vale a dire, “scusa non richiesta, accusa manifesta”). Magari recuperando la famosa battuta del compianto monsignor Marcinkus, uno che la Santa Sede la conosceva benissimo: “Il Vaticano è un paese di 500 lavandaie”. Tramontati i tempi di Ratzinger, un pontefice che al minimo accenno di gossip, parole scortesi o di vociare coatto faceva un secco inchino e girava i tacchi, con l’approdo di Jorge Bergoglio sul sagrato di Pietro dicerie, pettegolezzi, maldicenze hanno preso il sopravvento. E se c’è una comare suprema, golosissima di storielle, è proprio il gesuita argentino. Tant’è che quando era in Argentina aveva un filo diretto con lo spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer che gli svelava il chiacchiericcio intorno alla sua persona da parte della Curia romana. Una volta diventato vicario di Cristo in terra, Bergoglio ha ricompensato Ladaria promuovendolo da segretario del Sant’Uffizio a prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che è il dicastero più importante della Chiesa. Nomina che ha portato al pensionamento anticipato, tra polemiche, del cardinale Gerhard Müller e all’allontanamento dei quattro suoi collaboratori, i più stretti e preparati. Per essere sempre ben aggiornato su pettegolezzi e maldicenze della Curia, Jorge Mario Bergoglio ha nominato il fedelissimo monsignor Giacomo Morandi a numero due della Congregazione per la dottrina della fede. Che si è fatto notare per aver scritto una lettera che invitava i vescovi di non cestinare le missive anonime, meglio archiviarle, non si sa mai...Cestinata l’era della “confidente” Immacolata Chaouqui, silurato il capo dell’Intelligence del Vaticano Domenico Giani, nel cerchio magico del Papa brilla la vaticanista ed editorialista di ‘’Avvenire’’, la ciellina Stefania Falasca. Al suo fianco c’è il marito Gianni Valente, giornalista dell'Agenzia Fides che collabora con il sito "Vatican Insider’’ de ‘’La Stampa’’ e con la rivista di geopolitica ‘’Limes’’. Molto si favoleggia sull’influenza della Falasca su Bergoglio, determinante al punto che a lei si deve la scelta delle nomine più esclusive (ormai sono anni che la designazione dei vescovi italiani non passa più per la Congregazione della Curia) come di bruschi allontanamenti che hanno suscitato risentimenti e veleni. Autrice di diversi libri, tra cui “La smemoratezza di Dio, papa Francesco conversa con Stefania Falasca”, nel 2017 la Piemme edita "Papa Luciani. Cronache di una morte". Un volume che avrebbe fatto incavolare monsignor Enrico Dal Covolo, all’epoca Rettore della Pontificia Università Lateranense nonché postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I. Nel suo libro la Falasca, che è vicepostulatrice della causa di beatificazione di Papa Luciani, avrebbe incluso testimonianze secretate sul processo di beatificazione. E comunque contravvenuto alla norma che impedisce ai postulatori di lucrare su quello che apprendono durante il processo. Risultato della diatriba: dal 15 gennaio 2019 l’illustre filologo di fama internazionale Dal Covolo si deve accontentare di ricoprire la carica di assessore del Pontificio comitato di scienze storiche. Al suo posto, come Rettore dell’Università Lateranense, siede il prof. Vincenzo Buonomo, un ex seminarista, noto raccoglitore e narratore di chiacchiere di sacrestia. Nel cerchio magico di Bergoglio non poteva mancare il gesuita Antonio Spadaro all'anagrafe Antonino, giornalista, teologo, critico letterario e accademico italiano, attuale direttore della rivista ‘’La Civiltà Cattolica’’ e mons. Marco Mellino segretario aggiunto del Consiglio di Cardinali e membro del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Che cosa raccontano al Papa? Sono in tanti nella Chiesa Italiana e nella Curia che, leccandosi le ferite della loro caduta in disgrazia, si dicono: “ah, saperlo!”. La nomina nel 2018 del fidato Franco Massara ad arcivescovo di Camerino-San Severino Marche e in seguito nominato anche amministratore apostolico della diocesi Fabiano-Matelica, ha invece dato molti dispiaceri al Papa per essere finito nell’inchiesta del magistrato Gratteri chiamata ‘’Scott-Rinascita’’ sulla ’ndrangheta vibonese. Da quanto emerge dalle oltre mille pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip distrettuale Barbara Saccà a carico di 334 indagati - ricostruisce la Gazzetta del Sud -, sul finire dell’agosto del 2017 una riunione si sarebbe addirittura svolta a casa del parroco di Limbadi a cui avrebbero preso parte il “supremo” Luigi Mancuso. All’epoca a guidare la parrocchia del centro del Vibonese “feudo” dei Mancuso era don Franco Massara (il quale non risulta tra le persone indagate) che si era insediato cinque mesi prima. E non è un caso che Bergoglio abbia ricevuto in udienza privata il 13 giugno 2020 Federico Cafiero de Raho, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. A proposito di guai giudiziari. Nel 2015 l'Istituto per le Opere dei Religione (Ior) incaricò Paola Severino, avvocato rinomato ed ex ministro della Giustizia nel governo Monti, delle questioni di tipo penale. Era successo che il Promotore di Giustizia del Tribunale vaticano, Gianpiero Milano, aveva aperto un'indagine penale nei confronti dell'ex presidente dello IOR Angelo Caloia e dell'ex direttore generale Lelio Scaletti in merito ad un'ipotesi di peculato per operazioni immobiliari avvenute nel periodo 2001-2008 per 23 milioni di euro. Ebbene, sembra che la somma Severino, scaduto il suo mandato di consulenza, sia stata rimpiazzata da un avvocato calabrese alle prime armi, grazie al fatto di essere nipote del cuoco pasticciere che ogni mattina prepara la colazione a Casa Santa Marta a Bergoglio…

Vittorio Macioce per ''Il Giornale'' il 7 settembre 2020. Le strade dell'inferno sono lastricate di gossip. Non che Papa Francesco usi esattamente queste parole. È chiaro, però, che il pettegolezzo lo irrita. Ci vede il marcio di questo tempo. È qualcosa di diverso da un peccato. È la carta d'identità di una civiltà dove si sparla per sentirsi vivi. Ci torna e ci ritorna, magari come ha fatto durante l'Angelus in piazza San Pietro. «Il chiacchiericcio contro gli altri è una peste più brutta del Covid». È un contagio, una malattia, un veleno. Il capomastro dei chiacchieroni, dice, è il diavolo. Siccome non si può intervistare Lucifero o Belzebù, non resta che rivolgersi a chi da lontano vagamente gli assomiglia. Non per l'anima, ma per la barba e per quello sguardo che, se lo incroci, un po' ti scava dentro. È uno che sulle chiacchiere ha costruito una rivoluzione editoriale. Dagospia, se la guardi senza pregiudizi, è una strada della conoscenza. Svela i segreti del potere. Roberto D'Agostino è a Sabaudia e da casa sua sente il mare. Qualche volta è convinto che parli. È lo stesso suono delle storie che gli raccontano. Sta rileggendo un romanzo di Gay Talese. Lo scrittore che ama di più.

«Peccato che in Italia non sia tradotto abbastanza».

La prima cosa che ti dice sulle parole del Papa è: «Ancora?». Ancora. Ripetere aiuta.

«Sì, ma cosi è una fissa. Ogni tanto si affaccia e spara queste prediche contro il chiacchiericcio. Me ne ricordo una nell'ottobre dell'anno scorso, quando disse che i pettegolezzi inquinano. Lo fece addirittura durante la messa per la giornata missionaria».

Non si può?

«Mi chiedo che c'entrano le chiacchiere con i missionari. Non è importante. La prima volta che puntò l'indice contro il gossip fu il 2 settembre 2013 a Santa Marta. Disse che le chiacchiere minacciano la comunità umana, seminando invidie e gelosie, fino a dire una cosa forte. Il pettegolezzo può uccidere una persona».

Ma te le segni tutte?

«È che questa ossessione di Francesco mi incuriosisce. Mi chiedo perché».

Perché cosa?

«Da dove nasce».

Ti sarai dato una risposta.

«È che lui si ritrova al centro delle chiacchiere».

Stai rimproverando qualcosa al Papa?

«Dico solo che la Chiesa è il regno dei pettegolezzi e lui di quel regno è il capo. Lo sai cosa diceva il compianto monsignor Marcinkus?».

No.

«Il Vaticano è un paese di cinquecento lavandaie. Dagospia è niente al confronto. Solo Benedetto XVI ha cercato di frenare la fabbrica del gossip di San Pietro. Quando qualcuno spettegolava, salutava, si girava e se ne tornava nelle sue stanze».

La fonte?

«Me lo hanno raccontato».

Dì la verità: ti scoccia passare per grande peccatore?

«Figurati. Come tutti ho una vita di peccati. Ho sempre pagato per quello che ho svelato. Però siamo sicuri che quello che chiamiamo pettegolezzo sia spazzatura? Il romanzo più bello del secondo Novecento per me è Fratelli d'Italia di Alberto Arbasino. Mi riferisco alla prima edizione. È il racconto di tutti i pettegolezzi d'Italia. Lo stile poi, certo, fa la differenza. Quello che dico sempre è che da mille portinai può nascere un Proust. Ora ti leggo una cosa, da un Cretino in sintesi di Fruttero e Lucentini».

Vai.

«Noi non scartiamo l'ipotesi che nella maldicenza si debba vedere l'estremo rifugio dell'individuo indipendente (...). Tagliare i panni addosso agli altri è forse l'ultima trincea del libero pensiero».

Cos' è il gossip?

«Gli americani lo hanno sempre detto: il gossip è una bugia che dice la verità».

Ma è o non è una bugia?

«Qualche volta è una mezza verità, altre una verità e mezza. Tutta la letteratura, e il giornalismo, è una storiella che qualcuno ti ha raccontato».

Come nasce?

«Ti faccio un esempio. L'altro giorno mi chiamano da piazza San Lorenzo in Lucina: guarda che c'è Renzi che è entrato nella gioielleria di Pomellato. Ecco, da qui partono le domande. Che è andato a fare? È andato a comprare un bel regalo alla dolce Agnese?».

Saranno affari suoi.

«Certo, ma siccome è un uomo di potere riguarda tutti. Dagospia fa questo. Ti racconta quello che sta accadendo in Mediobanca, quello che fa Casalino. È conoscenza. La conoscenza è potere e resistenza contro il potere. Il gossip è curiosità. C'è una notizia che non trovi da nessuna parte e che vorrei capire».

Quale?

«Paola Severino non è più l'avvocato dello Ior. Al suo posto c'è un ragazzo di trent' anni. Che sta succedendo? Come nasce questa scelta della Santa Sede? Di chi è amico il nuovo avvocato? Cosa c'entrano i gesuiti? Domani lo scrivo».

Cosa dà fastidio ai potenti?

«Le foto. Io le scelgo brutte, così si incavolano. Sapessi quanti mi chiamano per chiedere: ti posso mandare una mia foto ufficiale? Poi scrivi che rubano e non si fanno manco sentire».

C'è un pettegolezzo di cui ti sei pentito?

«Mi è capitato all'inizio, per inesperienza. Poi, come dicono a Roma, anche le breccole maturano. Raccontai la scappatella estiva di una conduttrice televisiva a Porto...».

Dove?

«Lasciamo stare. Il problema è che non avevo indagato sul suo stato di famiglia. Non immaginavo che questa era sposata, con figlia, e mi sono poi ritrovato in tribunale con il marito che rivendicava la patria potestà sulla pupa. Te lo giuro: avrei fatto mille volte a meno di scrivere su quella scappatella».

Mai arrivate polpette avvelenate?

«Valanghe. Fa parte del gioco. Solo che chi te le invia poi deve stare attento».

Esce dal gioco. Fonte sporca.

 «Non solo. Io non sono cattivo, ma stronzo. Molto stronzo. Se mi fanno qualche scherzo mi applico su di loro e li massacro fino all'ultimo giorno».

Quella mano tedesca sulla Chiesa. Francesco Boezi il 20 agosto 2020 su Inside Over. Le statistiche sui fedeli aderenti alla istituzione ecclesiastica in sé non sono positive (si sta assistendo ad una diminuzione), ma la Chiesa cattolica tedesca sta influenzando l’intero panorama ecclesiastico mondiale. Per paradosso, quando il pontefice era tedesco, l’episcopato teutonico contava molto meno. Non che oggi i cardinali provenienti dalla Germania abbiano occupato posizioni particolarmente rilevanti nella curia romana: non è questo il cuore del ragionamento. Semmai sono le tendenze dottrinali del progressismo teologico sbandierato in quella zona di mondo ad aver monopolizzato il dibattito interno agli ambienti ecclesiastici. Dalla Chiesa tedesca è partito l’input sulla fine dell’obbligo del celibato dai sacerdoti. E sempre in quegli ambienti dottrinali è scaturita l’indicazione per far sì che tanto le donne quanto i laici acquisissero spazio all’interno delle dinamiche gerarchiche del Vaticano. Un appello – quest’ultimo – che papa Francesco ha recepito almeno in parte. La partita più grande è quella del “Sinodo interno”: un appuntamento biennale che i vescovi progressisti tedeschi hanno deciso di organizzare, prescindendo pure dalle preoccupazioni fatte pervenire dalla Santa Sede. Due anni che potrebbero persino comportare uno “scisma”. Se non altro perché i tedeschi sembrano voler procedere con delle modifiche sostanziali non condivise da Roma. Il cardinale Reinhard Marx, vero demiurgo del concilio della realtà ecclesiale teutonica, si è dimesso da vertice dei vescovi, ma rimane comunque il più attivo nel campo della ventilata rivoluzione. Se la Chiesa dovesse assumere il volto indicato dai tedeschi – dicono da parte conservatrice – diventerebbe più simile ad una Ong che ad una istituzione spirituale. Per comprendere la radice del dissidio tra i tradizionalisti ed i “modernisti” teutonici, bisogna tornare indietro nel tempo, e più precisamente al dibattito post-conciliare che ha coinvolto da una parte il cardinal Walter Kasper e dall’altra l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger. Lo scontro in atto oggi è una puntata di uno scontro che va avanti da qualche decennio. Ma qual è il rapporto tra i vescovi tedeschi e Jorge Mario Bergoglio? Il papa, almeno sino a questo momento, non ha dato troppo ascolto alle voci di chi vorrebbe una “protestantizzazione” della dottrina. Di Messa ecumenica – cioè di un rito valevole per tutte le confessioni cui si sarebbe dedicata una commissione ad hoc presieduta proprio da Kasper – non si parla più, ma la pastorale Lgbt – uno dei cavalli di battaglia del progressismo ecclesiastico – è ormai una prassi che ha esordito in numerose comunità diocesane, comprese quelle italiane. Bergoglio, insomma, sta cercando di tenere una posizione mediana, ma le spinte riformiste che vorrebbero pure una pronunciata gestione laicale all’interno delle parrocchie del mondo sono molto forti. E vale la pena tenere in considerazione pure come, stando a più di qualche retroscena, i cardinali tedeschi abbiano giocato un ruolo importate per l’elezione al soglio di Pietro dell’ex arcivescovo di Buenos Aires. Tanto la Germania quanto il Sud America avrebbero fatto quadrato attorno al nome di Bergoglio ormai quasi sette anni fa. Kasper e Marx sono sicuramente due “bergogliani”. il “Sinodo interno” serve a modificare parte della dottrina. In Germania non sono tutti d’accordo. Persino lo stesso cardinale Kasper sembrerebbe aver espresso più di qualche perplessità. Il dato di fondo è che la materia su cui l’episcopato vorrebbe intervenire è di stretta competenza pontificia. Il papa decide se modificare o no il Catechismo. E sempre al papa spetta al limite la rielaborazione del rapporto dottrinale, giusto per fare un esempio, con l’omosessualità. La “minoranza creativa” di Joseph Ratzinger è decisamente prioritaria, mentre avanzano le velleità di chi vorrebbe una Chiesa completamente inserita “nel mondo”.La Chiesa cattolica tedesca, che è potente e ricca finanziariamente per via del meccanismo della tassa ecclesiastica, pensa che per traghettare il cattolicesimo al di là del guado della secolarizzazione serva un bagno nella società, con le conseguenti contaminazioni. L’andazzo culturale preferito dalle alte sfere del Vaticano, tedesche o no, sembra procedere proprio in quella direzione.

La "partita" decisiva per la Chiesa: chi può succedere al Papa. In Vaticano ragionano sul futuro della Chiesa. Già da adesso può iniziare la partita per il dopo Bergoglio. Francesco Boezi, Domenica 09/08/2020 su Il Giornale. Parlare del prossimo Papa con Jorge Mario Bergoglio ancora regnante può essere percepito come un esercizio privo di senso, ma di questi tempi alcune case editrici stanno pubblicando alcuni libri che trattano proprio del "Next Pope", del consacrato che sarà chiamato a regnare sul soglio di Pietro. "Perché?", ci si potrebbe chiedere. Le ragioni possono essere soprattutto due: c'è chi evidenzia che i cardinali non si conoscano tra di loro e quindi abbiano bisogno in anticipo dei profili degli altri porporati per scegliere in futuro, ma c'è anche chi pensa che papa Francesco possa persino dimettersi. Joseph Ratzinger ha aperto una breccia nella storia. Benedetto XVI ha creato una figura nuova, il pontefice emerito. E nessuno, a ben vedere, può dare per scontato che Joseph Ratzinger rimanga l'unico papa ad optare per quella scelta dopo la rinuncia del 2013. Quando abbiamo intervistato il vaticanista del National Catholic Register per Inside Over, Edward Pentin ci ha detto che la scelta di lavorare alla sua ultima fatica, "The Next Pope" appunto, è dipesa pure dal fatto che "Ii un conclave, di solito, non è solo il pubblico ad avere poca o nessuna conoscenza del futuro Papa. Forse, sorprendentemente, nemmeno i cardinali che stanno votando per lui. Nell’ultimo conclave del 2013, un cardinale ha dichiarato in modo memorabile di aver trovato confuse le informazioni ricevute e altri si sono lamentati della mancanza di informazioni su chi votavano". Questa è una delle spiegazioni che riguardano la ratio di una delle pubblicazioni comparse sul prossimo vescovo di Roma. L'altra causa di questi libri può essere rintracciata per esempio su quanto scritto anche da Italia Oggi di recente: in Santa Sede avrebbero già iniziato a pensare a qualche nome. E magari anche papa Francesco può aver fatto qualche ragionamento sul suo successore. Ma perché viene ventilata l'ipotesi che il Santo Padre possa intraprendere lo stesso percorso scelto da Joseph Ratzinger? Esiste almeno un motivo per pensare che Jorge Mario Bergoglio possa diventare il prossimo "emerito"?

La lezione di Ratzinger in foto. Dalle ventilazioni dei giornalisti considerati "amici" del pontefice argentino, alle riflessioni che lo stesso papa Francesco ha presentato in relazione alla mossa del 2013 di Ratzinger: questa eventualità non viene del tutto esclusa dalle cronache vaticane, che se ne sono occupate e che ogni tanto tirano fuori questo scenario. Per comprendere cosa potrebbe accadere non è ovviamente sufficiente indagare gli umori dei vari "fronti" che operano sul piano dell'opinione pubblica - ricorderete di come un arcivescovo, Carlo Maria Viganò, abbia persino domandato le dimissioni del Santo Padre - . Non si può che lasciare che il tempo fornisca le risposte. Il cardinale americano Timothy Dolan, stando a quanto riportato dalla Cna, ha inviato ai suoi fratelli cardinali il libro di George Weigel, un altro "The Next Pope". Qualche movimento, se non altro dal punto di vista culturale, sembra esserci. Il fatto che vengano pubblicati libri non dimostra che il papa stia per dimettersi. Certifica, al limite, che il dibattito sull'avvenire ecclesiastico è aperto. Nel corso di questo pontificato, si è parlato spesso pure di "complotti" contro il vescovo di Roma. Tanto i "progressisti" quanto i "conservatori" sono stati accusati di remare in direzione opposta rispetto a quella di Papa Francesco. Un'ultima considerazione è necessaria prima di passare alla disamina sugli "schieramenti vaticani": chi è cattolico può giustamente ritenere che le logiche ecclesiastiche non influenzino il Conclave, perché è lo Spirito Santo, in fin dei conti, a guidare la scelta dei cardinali riuniti in assemblea. Joseph Ratzinger, però, ha dichiarato quanto segue sul tema: "Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto". Questa dichiarazione è stata rilasciata ai tempi da Joseph Ratzinger ad Avvenire.

Come funziona il Collegio cardinalizio. Non tutti i cardinali votano. C'è un limite anagrafico: i porporati che hanno ottant'anni o più non possono esprimere la loro preferenza. Quelli che hanno meno di ottant'anni, invece, sono parte attiva del Conclave. I cardinali che partecipano al voto, in linea di principio, dovrebbero essere 120, ma non è detto che il Collegio cardinalizio sia composto esattamente da 120 persone. Queste sono le regole di base, che preludono alle celebri "fumate", che possono essere bianche o nere a seconda dell'esito "elettorale". Per eleggere un pontefice è necessario, stando alle regole vigenti, che due terzi dei cardinali votino per la stessa persona. E se l'accordo non si trova? Si continua a tentare sino al trentaquattresimo scrutinio, dove si vota mediante i meccanismi di quello che in politica verrebbe chiamato ballottaggio. I cardinali vengono scelti direttamente dal Papa. La tradizione, nel corso degli anni, è stata parzialmente modificata. La sensazione - quella che viene riportata anche dagli ambienti tradizionali - è che il primo Papa sudamericano della storia proceda molto autonomamente. I condizionamenti, se mai sono esistiti, ora non hanno residenza in Vaticano. Papa Francesco ha soprattutto dimostrato di scegliere prescindendo dalla provenienza diocesana. Alcune realtà ecclesiastiche che hanno spesso donato un cardinale Chiesa cattolica non sono attualmente rappresentate. La Francia, per citare il caso più eclatante, non dovrebbe esprimere cardinali (Philippe Barbarin si è dimesso dall'arcidiocesi dopo un presunto scandalo, mentre l'arcivescovo emerito di Parigi, André Armand Vingt-Trois, compierà ottant'anni tra due anni. Bisognerà vedere se il Papa nominerà cardinali francesi nel corso di un prossimo concistoro. Milano, Venezia e Torino, in cui sono stati spesso incaricati cardinali, sono diocesi gestite da arcivescovi: Cesare Nosiglia, Mario Delpini e Francesco Moraglia non sono stati creati cardinali. Almeno sino all'ultimo concistoro, che ha sancito l'esistenza di una "maggioranza" di cardinali "bergogliani", nel senso di consacrati che l'ex arcivescovo di Buenos Aires ha nominato nell'assemblea cardinalizia. Jorge Mario Bergoglio potrà dunque contare su un successore in linea con i temi della sua pastorale? Impossibile da prevedere. A logica, però, si direbbe di sì.

Lo schieramento progressista. Abbiamo già avuto modo di scriverlo e ci sembra corretto ripeterlo: la Chiesa cattolica non funziona come un partito politico. Per quanto delle diverse correnti di pensiero possano spingere in quella o in questa direzione. Il percorso che il cattolicesimo ha dinanzi a sé prevede due possibilità: continuare con la "Chiesa in uscita" di papa Francesco, e quindi andare incontro al mondo ed alle "periferie economico-esistenziali", oppure "essere del mondo" ma solo in termini di minoranza creativa, che è la via "ratzingeriana". Quella che prevede un restringimento del peso dell'Ecclesia e del numero dei fedeli ma che, nell'ottica dei conservatori, consentirebbe di evitare contaminazioni. Questa è, con buone probabilità, la questione che il prossimo Conclave potrebbe essere chiamato a risolvere. Il che non significa che Jorge Mario Bergoglio e Joseph Ratzinger siano in contrapposizione, ma solo che gli ambienti ecclesiastici - nel corso di qualche ventennio - si sono spesso spaccati attorno al tema che questa dicotomia - "Chiesa in uscita"/"minoranza creativa" - è capace di sintetizzare. Per "schieramento progressista" si intende quella parte di emisferi ecclesiastici meno ortodossi in materia dottrinale, più inclini a possibili riforme e più sensibili ad argomenti quali l'ambientalismo, la gestione aperturista dei fenomeni migratori e la prossimità culturale alle questioni sociali. È lecito affermare che l'azione di papa Francesco sia perfettamente coincidente con le volontà della corrente progressista? Per i tradizionalisti sì, per altri commentatori meno schierati no.

Qualche nome "papabile" tra i progressisti. Una volta esposta questa ampia premessa, diviene più semplice elencare dei nomi: il cardinal Luis Antonio Tagle viene percepito dai conservatori alla stregua di un "delfino" di papa Francesco. E il fatto che Bergoglio abbia scelto il cardinale filippino per Propaganda Fide ha alimentato questa narrativa. I cardinali italiani dati in lizza sono essenzialmente due. Entrambi, con qualche distinguo, vengono spesso inseriti tra i "progressisti". Sono il cardinal Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, ed il cardinal Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e proveniente da Sant'Egidio. Parolin si è distinto per la linea del multilateralismo diplomatico, mentre Zuppi è considerato un cardinale inclusivo, che ha già dato prova di essere favorevole all'accoglienza dei migranti ed alla inclusione erga omnes. Parolin, per alcuni addetti ai lavori, potrebbe anche rappresentare una buona sintesi tra le due principali anime del Vaticano. Zuppi, d'altro canto, sarebbe più "schierato" con il cattolicesimo democratico. Tra i progressisti non si può non annoverare il cardinale Peter Turkson, ghanese e prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Buona parte dei documenti di questo pontificato relativi ai migranti passano per il Dicastero che Turkson presiede. Il vertice del C9, il coordinamento di cardinali che sta lavorando alla riforma della Curia romana e che è stato fortemente voluto da Francesco, è presieduto dal cardinal Oscar Rodriguez Maradiaga, che è honduregno. Un discorso a parte lo merita il cardinal Reinhard Marx, che si è dimesso da presidente dell'episcopato tedesco, ma che sta portando avanti con forza un "sinodo interno" per cui qualcuno, anche all'interno della mura leonine, sembra temere uno "scisma". E ancora vale la pena citare tre nomi: il cardinal Konrad Krajewski, polacco, elemosiniere del Papa balzato agli onori delle cronache per via della storia del contatore riallacciato in uno stabile occupato di Roma; il cardinal Jean Claude Hollerich, presidente dei vescovi europei ed europeista convinto; il cardinale Michael Czerny, canadese, molto attivo a sua volta sul fronte della pastorale sui migranti. Chiudono la lista, che non è e non può essere esasutiva pure per via di quello che potrebbe succedere in futuro, tre porporati degli Stati Uniti: Kevin Farrell, Blase Cupich e Joseph Tobin. Si vocifera infine che il cardinale Donald Wuerl, americano e progressista come gli ultimi tre, abbia giocato un ruolo decisivo nel Conclave che ha eletto Bergoglio (il ruolo che nel Conclave di Ratzinger sembrerebbe essere stato svolto dal compianto cardinale Meisner), ma Wuerl si è dimesso dopo un presunto scandalo da arcivescovo di Washington.

"La Chiesa non sia di sinistra". La rivolta silenziosa dei fedeli. Lo schieramento conservatore. I cardinali conservatori sono eccleasiastici che vorrebbero una Chiesa cattolica meno preoccupata di porre accenti sul piano economico-sociale e più attenta alla spiritualità. Conservatore non è solo chi osteggia dottrinalmente lo "spirito del Concilio", ma anche chi, sul piano politico, ha una visione non proprio in linea con il filo-ambientalismo, cob quello che viene definito "migrazionismo" o con la trasformazione dell'Ecclesia in una Ong. Come nel caso dei progressisti, semplificare può non essere esaustivo: non è neppure corretto definire questi cardinali come "ratzingeriani". Certo è che Benedetto XVI rappresenta un simbolo della strenua lotta per la difesa della civiltà-occidentale. È comune leggere di porporati conservatori che si rifanno alle idee o ai moniti del predecessore di Jorge Mario Bergoglio. Un ultimo dettaglio prima di passare ai "papabili": il fronte conservatore è minoritario all'interno del Collegio cardinalizio.

Qualche nome "papabile" tra i conservatori. Il cardinal Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, è un conclamato sostenitore dell'eclissi dell'Occidente. In più di una circostanza, cercando una figura che potesse incarnare la visione del mondo dei conservatori, i retroscenisti hanno fato il nome del porporato africano. Il cardinal Raymond Leo Burke è noto per le sue battaglie dottrinali: dai dubia su Amoris Laetitia in poi, il cardinal Burke non ha mai tergiversato quando si è trattato di sollevare perplessità sulla presunta "confusione" imperante. Il cardinal Rainer Maria Woelki è tedesco, ma non la pensa esattamente come il cardinal Marx. Sul "sinodo interno", Woelki e Marx sembrerebbero avere idee diametralmente opposte. Poi ci sono il cardinale olandese, Willem Jacobus Eijk, ed il cardinale ungherese Péter Erdő. Un nome di spicco è sicuramente quello di Gherard Ludwig Mueller, ex prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. Mueller non è stato confermato da Francesco dopo il primo mandato all'ex Sant'Uffizio. Ma papa Francesco ha inoltrato di recente una lettera al cardinale teutonico, dove Bergoglio sembra cercare una sorta di pacificazione o di alleanza con il mondo conservatore. Altri due nomi che potrebbero corrispondere al profilo ricercato dai conservatori sono quello del cardinale brasiliano Odilo Scherer, che era dato per "papabile" anche in relazione allo scorso Conclave, e quello del cardinale canadese Marc Ouellet. Di recente è balzato agli onori delle cronache un altro cardinale africano, che ha pronunciato un'omelia che ha fatto drizzare le orecchie al mondo conservatore: "Abbiamo occupato i posti dei bianchi, ma non abbiamo usato il potere per servire il popolo", ha tuonato, secondo quanto ripercorso da Tempi, il cardinal Fridolin Ambongo Besungu, che è congoloese. Ambongo si riferiva alla situazione interna della sua nazione.

La "palude". Esiste infine un vasto insieme di cardinali che non possono, per via di mancate prese di posizione, per il moderatismo espresso o per altre ragioni, essere incasellati in questo o in quello "schieramento". Possibile che il futuro Conclave possa essere deciso proprio dall'opinione di questa "palude", intesa come zona non naturalmente circoscrivibile. Dal cardinale Sean Patrick O'Malley, cardinale cappuccino già ventilato quasi sette anni fa come "papabile", al cardinal Luis Francisco Ladaria Ferrer, gesuita, spagnolo e prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede scelto da Bergoglio ma abbastanza conservatore, considerate le non riforme dottrinali cui stiamo assistendo in questa fase, passando per il cardinale americano Timothy Dolan e da un altro cardinale spagnolo, cioè Juan José Omella y Omella: tanti alti ecclesiastici potrebbero essere individuati come successori di Francesco. Ma è possibile che il nome che verrà eletto in un Conclave (che non è previsto e che rimane impronosticabile anche durante il suo svolgimento) non sia neppure tra questi ultimi.

Guerra nella Chiesa, asse tra Trump e monsignor Viganò contro Papa Francesco. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 13 Giugno 2020. Una coppia che più strana non si può: il presidente Trump e l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, passato nelle file dei contestatori di papa Francesco. L’antefatto di qualche giorno fa (6 giugno) è una lettera a Trump scritta da mons. Viganò, ex nunzio apostolico negli Usa, e pubblicata sul sito cattolico conservatore LifeSiteNews. La tesi è: sostegno a Trump, Presidente dalla parte del “bene” mentre il “male” è rappresentato dal coronavirus (dietro il quale c’è un complotto) e dalle manifestazioni contro il razzismo dopo la morte di George Floyd. Il presidente Trump ha accusato “ricevuta” via Twitter due giorni fa: «sono onorato per l’incredibile lettera di mons. Viganò. Spero venga letta da tutti, religiosi o meno». Di più: mons. Viganò sostiene che la sua è una lettura “biblica”: la battaglia in atto nel mondo è tra «i figli della luce e i figli delle tenebre», schieramenti che «ripropongono la separazione netta tra la stirpe della Donna e quella del serpente». E i figli delle tenebre, seppur in minoranza, hanno in mano un notevole potere dato che «ricoprono spesso posti strategici nello Stato, nella politica, nell’economia e anche nei media». Divisione presente anche nella Chiesa e tra “i figli delle tenebre” ci sarebbe papa Francesco soprattutto da quando ha firmato un documento congiunto negli Emirati Arabi nel 2019 sulla pace e sulla fratellanza umana. Mons. Viganò ed i siti tradizionalisti Usa – con i loro epigoni in Europa, Italia soprattutto – hanno alzato il tiro in vista delle presidenziali statunitensi. Nel 2018 hanno cominciato una campagna per far dimettere papa Francesco. E siccome finora non ci sono riusciti, saldano il fronte conservatore cattolico e non, facendo chiaramente sponda al Presidente Trump. Del resto devono alzare il tiro dopo che il 2 giugno Trump ha ricevuto la pesante sconfessione di mons. Gregory, arcivescovo di Washington, che ha criticato l’uso strumentale della religione di un presidente che si è recato a visitare il Santuario dedicato alla Madonna, scegliendo i simboli religiosi per opporsi alle proteste antirazziste. Il giorno prima si era fatto fotografare con una Bibbia in mano davanti alla chiesa episcopaliana della capitale, collezionando le critiche dei protestanti. E da Roma padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, non le ha mandate a dire, sempre via Twitter: «Lo schema teopolitico fondamentalista vuole instaurare il regno di una divinità qui e ora. E la divinità ovviamente è la proiezione ideale del potere politico». In un secondo commento ha aggiunto: «Il presidente Trump guida la lotta contro un’entità collettiva più ampia e generica dei “cattivi” o persino dei “molto cattivi”. A volte i toni usati dai suoi sostenitori in alcune campagne assumono significati che potremmo definire “epici”». Trump, da Viganò, incassa la definizione di «sostenitore della vita» e la lettera dell’arcivescovo ha avuto oltre 2,5 milioni di visualizzazioni dal 6 giugno, data di pubblicazione. Siamo davanti ad un altro episodio nella battaglia senza esclusione di colpi che i conservatori cattolici Usa hanno ingaggiato con il papa e contro la linea “verde”, di un’ecologia sostenibile e circolare, a difesa di sviluppo e diritti umani per tutti i popoli, sintetizzata dall’Enciclica Laudato Si’ del 2015. È un fronte trasversale: decine di vescovi cattolici negli Usa, e non solo, appoggiano il network rappresentato da LifeSite: un canale televisivo, più siti collegati, giornali, posti in diversi consigli di amministrazione (compreso il Santuario nazionale di Washington). Con una strizzata d’occhio a quanto accade in Italia, dove ci sono tanti siti ed anche, di nuovo, la scuola di formazione di Steve Bannon nella Certosa di Trisulti. Tra l’altro il Tar ha dato torto nei giorni scorsi al Ministero dei Beni Culturali dichiarando valido il contratto stipulato dai frati con l’associazione Dignitatis Humanae. Il tutto con le elezioni statunitensi in vista. E nei prossimi mesi assisteremo ad ulteriori contrasti e polemiche senza esclusione di colpi.  Del resto mons. Viganò non ha niente da perdere. Da nunzio in pensione può tranquillamente sfogare la sua ira come ha fatto con le prime accuse: 18 pagine fitte pubblicate nell’agosto 2018 per dire come lui avesse fatto di tutto da Nunzio, negli Usa, per segnalare in Vaticano il cardinale di Washington Theodore McCarrick, accusato di abusi. Da lì un profluvio di accuse contro papa Francesco, che peraltro ha preso provvedimenti decisi e inediti proprio contro gli abusi, ad esempio estromettendo McCarrick dal collegio cardinalizio e riducendolo allo stato laicale. Mai avvenuto prima. Ma tant’è: le accuse servono ad altro, a coprire i rilevanti interessi economici in gioco in una elezione presidenziale. E ad occultare la linea di papa Francesco: un mondo sostenibile, verde, impostato sull’economia circolare, sarebbe un mondo migliore per tutti ma con meno affari basati sul consumo, sullo spreco, sullo sfruttamento senza regole delle risorse.

Critiche a Bergoglio frutto di interessi economici più che teologici. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 12 Maggio 2020. Abbiamo a che fare con un «pontificato ideologico» che si rivolge a «soggetti vittime di situazioni negative: ai popoli, ai movimenti popolari, o ad altri interlocutori analoghi» e abbandona la «dottrina sociale» come via di mezzo tra capitalismo e socialismo?  La tesi è stata avanzata domenica da Ernesto Galli della Loggia in un ampio e articolato commento sul Corriere della Sera.  Vorrei presentare alcune contro-obiezioni.

Primo. È vero che il Papa si rivolge ai «popoli» e ai «movimenti popolari» ma è una caratteristica specifica della teologia di cui padre Jorge Mario Bergoglio è portatore. La «teologia del popolo» è la via argentina della più ampia teologia della liberazione dell’America Latina. Nasce da una riflessione originale dei teologi Juan Carlos Scannone, Ciro Enrique Bianchi, Rafael Tello, Víctor Manuel Fernández. La «teologia del popolo» non è «populismo» e neppure una idealizzazione dei «popoli» e dei «movimenti popolari», salvatori dell’umanità. Certo in Occidente – fuorviati come siamo dal populismo in politica e dalla diffidenza verso tutto ciò che viene «dal basso» – stentiamo a comprendere la portata di questa esperienza. Dal versante ecclesiale, precisa Scannone nel suo libro La teologia del popolo (Queriniana, 2019), la «teologia del popolo» è intesa «a partire dall’unità plurale di una cultura comune, radicata in una comune storia, e proiettata verso un bene comune condiviso. Ma sono i poveri coloro che, almeno di fatto in America Latina, conservano come strutturante, della loro vita e convivenza, la cultura propria del loro popolo, e i cui interessi coincidono con un progetto storico di giustizia e di pace». Lungi dall’essere una questione limitata a un’area geografica precisa, le tre affermazioni (opzione per i poveri come categoria teologica; pietà popolare come locus theologicus; e l’interrelazione tra loro e con l’inculturazione della teologia) sono universalmente valide.

Secondo: la Dottrina sociale. In realtà su questo tema il pontificato sta proponendo a tutta la Chiesa un passo in avanti. La Dottrina sociale sta diventando il «cardine» di un approccio globale ai problemi della vita umana in senso ampio.  Non siamo più nella «bioetica» classica. Per intenderci è la bioetica dei «comportamenti»: ho un problema, come lo risolvo? Ad esempio devo o no abortire, sono lecite le tecniche di procreazione medicalmente assistita, come gestire le fasi finali della vita tra accanimento terapeutico, proporzionalità delle cure, eutanasia, suicidio assistito?

Questi temi restano certamente centrali però vengono «svincolati» dalla «casistica» ed inseriti in una prospettiva di «Bioetica Globale». Cioè la Chiesa protegge e tutela la vita umana ma si preoccupa anche della «qualità» della vita delle persone, delle loro possibilità di crescita umana, economica, spirituale, sociale. Non è un cambiamento da poco. Perché prende almeno due direzioni: vengono interrogati i sistemi sociali (e soprattutto la sanità) per verificare se lavorano per tutti o solo per chi può pagare; ci si preoccupa dello sviluppo tecnologico in quanto strettamente collegato alle possibilità di migliorare globalmente la qualità della vita o di approfondire il divario economico e sociale.

La «Bioetica Globale» inserisce lo sviluppo e la tutela della vita umana all’interno di una precisa presa di posizione ambientale. Anche qui, riassumendo, si potrebbe dire così: ognuno di noi ha a disposizione una sola vita da vivere ed un solo pianeta sul quale viverla. Pianeta che non è «nostro» ma lo abbiamo in prestito dalle generazioni future ed è l’habitat che ci consente di vivere, appunto. Dunque va tutelato.  Dove si trovano queste «radici» del Pontificato? Posso indicare tre documenti e due Dicasteri, solo come indicazione. Il primo documento è l’Enciclica Laudato Si’ (2015) sulla «cura della casa comune» in cui Papa Francesco tematizza la connessione tra crisi ambientale della Terra e crisi sociale dell’umanità. Il secondo documento è la Lettera Humana Communitas (2019) alla Pontificia Accademia per la Vita dove indica i temi del rapporto tra etica, tecnologia, vita.

Il paragrafo 13 li salda così: «La medicina e l’economia, la tecnologia e la politica che vengono elaborate al centro della moderna città dell’uomo, devono rimanere esposte anche e soprattutto al giudizio che viene pronunciato dalle periferie della terra. Di fatto, le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato.  Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo».

Il terzo documento è la Veritatis Gaudium (2018), il documento programmatico che definisce le modalità di lavoro delle Università Pontificie e delle Facoltà teologiche nel mondo, chiamando ad una formazione che sia «inter e trans disciplinare». I due Dicasteri che più degli altri rappresentano la «frontiera» di quanto abbiamo detto sono da un lato la Pontificia Accademia per la Vita e dall’altro il Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale. In questo impegno Papa Francesco non è solo. Certamente ha qualche problema «interno» nel coinvolgere la Chiesa in un percorso nuovo, perché la teologia e la riflessione e il Magistero, non sono immutabili. Il Vangelo è sempre lo stesso; siamo noi che lo comprendiamo meglio in rapporto alle esigenze dei nostri tempi. Sul piano della Dottrina Sociale applicata ai sistemi sanitari esiste un illuminante volume a più voci pubblicato negli Usa: Catholic Bioethics and Social Justice (2018), che mostra come l’assistenza sanitaria sia il settore dove si deve vedere in azione la Dottrina sociale ispirata ai princìpi di solidarietà, equità, accesso ai trattamenti, lotta alle disuguaglianze.

Applicato alla sanità statunitense, il libro disegna percorsi concreti innovativi e evidenzia l’ingiustizia strutturale di un’assistenza pensata per chi può pagarla. «Gli eccessi problematici dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti sono più facilmente visti da una prospettiva globale – notano i curatori del volume. Una prospettiva globale rivela anche in che modo l’economia densamente neoliberista ha avuto un impatto negativo sugli esiti sanitari per le persone dei paesi “poveri delle risorse” e ha modellato la struttura dell’assistenza sanitaria e della bioetica statunitensi. Stando in uno spazio non statunitense, si può vedere più facilmente come la bioetica neoliberista è stata esportata – nelle pratiche globali di ricerca medica, uso delle risorse, organizzazione dei servizi – che sono in gran parte invisibili alla bioetica americana».

Non a caso si parla anche di ristrutturare i servizi sanitari su base «locale». Ed intercetta il dibattito italiano sulla «medicina territoriale» che risponderebbe meglio a situazioni come quelle di pandemia globale.  E qui si comprendono i motivi degli attacchi che subisce il Papa da parte dei settori conservatori della Chiesa, soprattutto in Nordamerica, che a loro volta si saldano con i tradizionalisti nostrani ed europei. I loro interessi sono economici – non «teologici» e neppure spirituali – perché una Chiesa «verde» e a favore di una visione equa dei rapporti sociali scardina «naturalmente» un sistema di interessi finanziari e privati. Tuttavia c’è un dato nuovo: l’emergenza Coronavirus. Ora abbiamo compreso il valore della vita umana – proprio quando è minacciata la vita di tutti noi, non solo quella dei bambini non ancora nati! – e abbiamo capito meglio l’interconnessione «globale». Da qui l’esigenza di un nuovo «equilibrio» mondiale. La Chiesa ha qualcosa da dire, nonostante tutto. Il pontificato segna una strada, tutta da valutare, ma stimolante. Liquidarla sbrigativamente come «ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico» non è certo la soluzione migliore.

Gian Guido Vecchi per il ''Corriere della Sera'' il 9 maggio 2020. «Ma dove volete che vada? Io resto qui, Genova è casa mia». Il cardinale Angelo Bagnasco, 77 anni, sorrideva ieri mattina ai giornalisti che gli chiedevano che cosa avrebbe fatto ora. La decisione era attesa, i vescovi raggiungono l' età della pensione al compimento dei 75 anni, il cardinale aveva presentato la «rinuncia» a Francesco il 14 gennaio 2018 ed era in proroga da più due anni. Dalla Santa Sede è arrivato l' annuncio ufficiale: il Papa ha «accettato la rinuncia» e nominato come nuovo arcivescovo di Genova il francescano Marco Tasca, 62 anni, già ministro generale dei Frati minori dal 2007 al 2019. Per Bagnasco, già presidente della Cei dal 2007 al 2017 e arcivescovo dal 2006, non è né potrebbe essere un addio alla sua città, comunque. «Andrò alla casa del clero con altri sacerdoti e lì continuerò l' ultima rampa della vita. Sapete che esiste un' ultima rampa, vero?». È nato a Pontevico, nel bresciano, solo perché i genitori erano sfollati per la guerra. Ma a Genova sono le sue radici e qui è cresciuto con i genitori e la sorella Anna, Salita Montagnola della Marina 4, dietro il porto, la mamma Rosa casalinga e il papà Alfredo che lavorava in una fabbrica di pasticceria. La vocazione precoce, il liceo classico nel seminario arcivescovile di Genova, l' incontro con il cardinale Siri che lo manda a studiare filosofia all' università Statale per fare esperienza del mondo là fuori. Fino al 2021 Bagnasco rimarrà presidente dei vescovi europei. Ma certo comincia una nuova fase della vita. «Occupare il tempo libero non sarà un problema, mi dedicherò alla preghiera, la meditazione, la lettura. E poi sarò a disposizione secondo i servizi che ogni sacerdote è chiamato a fare», dice. «Quando uno non cerca mai niente è libero. Il che non significa essere insensibili, ma avere il dono della serenità. Anche in questo momento ci si sente e si sa nelle mani del Signore, quindi siamo in buone mani». Con il successore si sono sentiti più volte, «anche lui è in trepidazione come me quando dovevo andare a Pesaro e poi a Genova, è naturale. Bisogna affidarsi alla Provvidenza, e questo è il suo atteggiamento fondamentale». Il nuovo arcivescovo, padre Marco Tasca, è nato a Sant' Angelo di Piove di Sacco, nel padovano. Farà ingresso in città entro tre mesi. Nel frattempo ha scritto una lettera alla diocesi: «Porto con me, come povera dote, ciò che ho cercato di imparare e di vivere in questi ormai quasi quarant' anni di vita religiosa francescana, che si riassume nella fraternità. Come vostro vescovo, desidero essere padre e fratello, con il cuore sempre aperto all' ascolto e all' accoglienza tanto di coloro che verranno a bussare alla mia porta, come - vorrei dire, soprattutto!- di coloro che si trovano o si sentono lontani dalla nostra comunità ecclesiale». Troverà una Genova «sempre più unita», dopo l' ultima tragedia del ponte Morandi e la ricostruzione, la dignità dei genovesi «capaci di dare il meglio di sé» nel dolore. Degli anni da arcivescovo, Bagnasco ricorda «le visite in città di Benedetto XVI e Francesco» e i momenti di sofferenza tra la sua gente, «la crisi economica, le alluvioni, il ponte». Al successore indica il tema del lavoro: «Il rapporto della Chiesa di Genova e del suo arcivescovo con la città è molto particolare, e quello con il mondo operaio non è così da nessuna parte». Resta la pandemia. «Ho vissuto il dopoguerra, in mezzo alle macerie della Genova vecchia. Però la gente si poteva e voleva incontrare, nelle case e nelle chiese, per le strade. Oggi è diverso. Una situazione surreale che si sta risolvendo, almeno lo speriamo tutti».

La Chiesa adesso è a rischio: uno scisma minaccia l'Europa. Dal "concilio" dei vescovi tedeschi alle accuse dei tradizionalisti. La Chiesa di Papa Francesco si sta spaccando. Francesco Boezi, Martedì 28/01/2020, su Il Giornale. "Scisma" per la Chiesa cattolica rimane una parola impronunciabile. Eppure, da qualche tempo a questa parte, di "scisma" si parla e si scrive con continuità. Mentre si avvicina una delle fasi più complesse di questo pontificato, ossia la rivoluzione delle logiche curiali mediante la pubblicazione della nuova Costituzione Apostolica, con cui Jorge Mario Bergoglio intende rivoluzionare l'assetto romano, i vescovi tedeschi hanno indetto un "concilio interno" della durata di due anni. La parola d'ordine è una sola: riforma. Gli effetti potenziali, invece, sono molteplici. I presuli teutonici hanno deciso di percorrere una strada che può avere come meta delle "decisioni vincolanti". Quello, almeno, è l'obiettivo dichiarato. Poi bisognerà attendere la reazione di Roma. Il Vaticano, sin da principio, ha sollevato più di una perplessità. Il cardinale canadese Marc Ouellet, conservatore e prefetto della Congregazione dei vescovi, lo ha messo nero su bianco: decisioni di così grossa portata non possono essere prese senza tenere in considerazione i pareri - quelli sì "vincolanti" - della Santa Sede. Altrimenti si tornerebbe alle Chiese nazionali, con tanto di autogestione. Un vescovo italiano, Filippo Iannone, lo ha ribadito: "È facile vedere che questi temi non riguardano la Chiesa in Germania ma la Chiesa universale e – con poche eccezioni – non possono essere oggetto di deliberazioni o decisioni di una Chiesa particolare senza contravvenire quel che è espresso dal Santo Padre nella sua lettera". Le dichiarazioni del cardinal Marc Ouellet e di monsignor Filippo Iannone sono approfondibili su Askanews. Papa Francesco stesso, nel mentre Marx era già certo di procedere con il "concilio", ha scritto una missiva al "Popolo di Dio in cammino". La stessa lettera cui si è riferito Iannone. Le gerarchie della Santa Sede sembrano aver interpretato lo scritto del pontefice argentino alla stregua di un monito, per quanto fraterno, diretto al cardinale Rehinard Marx, che è il vero protagonista di questi sviluppi. I tradizionalisti, stando alla loro visione delle cose, evidenziano come episcopato tedesco e vescovo di Roma siano stati spesso d'accordo sulle svolte dottrinali da adottare. Quasi come se tra alcune realtà progressiste presenti nella Compagnia di Gesù, cui pure Bergoglio sarebbe ascrivibile, e le frange teologico progressiste - quelle nate e sedimentatesi in Germania - fosse esistita ed esistesse un'armonia d'intenti. E questo è un aspetto su cui converrà tornare dopo.

Di cosa stanno discutendo i vescovi in Germania. Per capire i perché dietro la palese esitazione del Vaticano, bisogna comprendere quali siano gli oggetti di discussione dell'episcopato tedesco. Il primo punto sollevato nel "cammino sinodale", da un punto di vista cronologico, riguarda il rapporto tra dottrina cristiano-cattolica ed omosessualità, che nel corso delle fasi preliminari del "concilio interno" è già stata dichiarata, in maniera diversa da quanto si trova scritto sul Catechismo, una "forma normale di predisposizione sessuale". Il cardinale Reinhard Marx, nel corso di questi anni, ha per esempio aperto a delle eccezioni sulla benedizione delle coppie gay. Altri vescovi teutonici hanno persino considerato la chance teorica di arrivare all'ordinazione di preti omosessuali. La morale sessuale tutta, a ben vedere, rischia di essere sottoposta a modifica complessiva. In Germania sembra esistere terreno fertile per l'abolizione del celibato sacerdotale, per l'istituzione di un diaconato femminile e per la laicizzazione della gestione parrocchiale. I tedeschi sono partiti dal dramma degli abusi commessi negli ambienti ecclesiastici. I conservatori pensano - come Ratzinger - che le violenze siano dovute alla contaminazione con l'ideologia sessantottina. I progressisti danno la colpa al rigidismo clericalista. Sconvolgere tutto può essere la strada buona per mettere la parola "fine" al "collasso morale". Questa è la tesi di fondo di chi persegue l'ammodernamento a tutti i costi. Perché una Chiesa meno rigida, più aperta al mondo e meno ancorata alla prassi costituita, sarebbe in grado di uscire dall'oscurantismo, che produce clericalismo, dunque abusi. Com'è deducibile con facilità, le questioni di base non possono essere circoscritte alla vita di una chiesa particolare, ma dovrebbero essere sottoposte quantomeno ad un Sinodo universale. La preoccupazione di piazza San Pietro e limitrofi sembra essere più che giustificata. Le risultanti, da qui a due anni, potrebbero essere le seguenti: preti sposati e/o viri probati, diaconesse, parificazione degli incarichi tra uomini e donne, benedizione delle coppie omosessuali e, magari, anche celebrazione dei matrimoni tra persone omosessuali. C'è una possibilità che le vellietà progressiste dei tedeschi restino soltanto delle volontà inefficaci? Sì, ma il fronte tradizionale sventola comunque lo spauracchio dello "scisma".

L'antico scontro teologico tra Joseph Ratzinger e Walter Kasper. Quando il Papa emerito Benedetto XVI ha deciso di condividere con il cardinale Robert Sarah la stesura di "Dal Profondo del Nostro Cuore", con buone probabilità, ha pensato alla "sua" Germania, dove l'abolizione del celibato sacerdotale può divenire una realtà concreta. La mossa di Joseph Ratzinger - un'opera libraria in cui vengono spiegate le ragioni di fondo del celibato, che Sarah chiama "mistero di Dio", e attraverso cui il duo conservatore si è opposto a qualunque progetto di abolizione - è la seconda in poco tempo: l'ex pontefice era già sceso in campo alla fine del 2019, decidendo di coadiuvare la nascita di una fondazione a tutela del giornalismo cattolico. L'iniziativa nascerà attorno al Die Tagespost. Benedetto XVI è preoccupato per le sorti del cattolicesimo tedesco? È molto più di una eventualità. Il teologo bavarese è sempre stato il vertice di una corrente teologica conservatrice, che è poi convogliata nel cosiddetto "ratzingerismo". Dall'altra parte della barricata si è spesso seduto il cardinal Walter Kasper, cui Papa Francesco avrebbe persino affidato lo studio di una commissione per la "messa ecumenica", ossia per un rito valido tanto per i cattolici quanto per i protestanti. Ma di quella commissione, adesso, si è persa ogni traccia. Il "fronte tradizionale" ne è certo: i cardinali Walter Kasper e Reinhard Marx hanno sostenuto l'ex arcivescovo di Buenos Aires nell'ultimo Conclave. E per questa ragione, tra i vertici progressisti tedeschi ed il Papa, non può che esistere un clima di concordia. Anche perché - sostengono sempre da parte tradizionalista - le battaglie del cardinale Marx sono molto simili a quelle portate avanti da alcuni gesuiti nordamericani. James Martin, consultore statunitense della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, oltre ad essere un gesuita, combatte da tempo per una riforma in senso progressista della parte della dottrina che si interessa di morale sessuale. L'espressione più esemplificativa è la seguente: per Martin bisogna edificare un "ponte" la Chiesa cattolica e l'universo Lgbt. Lo schematismo - dicono coloro che correlano la strategia di Marx a quella di Bergoglio - è anche sin troppo semplice da individuare. E basta una rapida ricerca per comprendere in quali parti di mondo abbiano attecchito certe sincronie teologiche, che si sono radicate a partire dal 68' e che vengono associate pure alla teologia della liberazione. E poi c'è l'epico scontro teologico tra Ratzinger e Kasper, che starebbe culminando nel "concilio interno" della Chiesa tedesca. Il secondo, nel lontano 1992, aveva domandato a Giovanni Paolo II di liberalizzare, per così dire, la comunione per i divorziati risposati. All'epoca ha vinto la linea Wojtyla-Ratzinger. Con l'elezione al soglio di Pietro di Jorge Mario Bergoglio, è nato lo spazio per "Amoris Laetitia, cioè l'esortazione in cui l'istanza kasperiana è stata in parte recepita. Le sfumature nella Chiesa cattolica sono all'ordine del giorno: il cardinale Walter Kasper non risulta favorevole né all'abolizione del celibato né a "decisioni vincolanti" in grado di destrutturare quella che è sempre stata la linea del cattolicesimo sulla morale sessuale. Ma che la parte sinistra delle istituzioni ecclesiastiche stia spingendo per travalicare le resistenze conservatrici è un fatto evidente.

Il ruolo di Jorge Mario Bergoglio. Jorge Mario Bergoglio potrebbe dover gestire, tra meno di due anni, una sorta di unicum della recente storia ecclesiastica: una Chiesa dichiaratasi autocefala o quasi, che comunica al Vaticano di aver deliberato in favore di "decisioni vincolanti". Fino a prova contraria, è il Papa ad avere l'ultima parola in circostanze come queste. Ma la Chiesa tedesca vuole proseguire in maniera autonoma. Torniamo per un attimo a quanto dichiarato da mons. Filippo Iannone qualche mese fa: "È chiaro dall'articolo della bozza degli statuti che la Conferenza episcopale ha in mente di fare un concilio particolare che persegua i canoni 439-446 ma senza usare il termine. Se la Conferenza episcopale tedesca è giunta alla convinzione che è necessario un Concilio particolare - ha aggiunto il vescovo - , dovrebbero seguire le procedure previste dal Codice al fine di arrivare a una deliberazione vincolante". I tedeschi, per semplificare, stanno dunque dando vita ad un concilio nazionale. Se fosse vera la ricostruzione dei tradizionalisti - quella sulla presunta alleanza stipulata tra Papa Francesco e il cardinale Reinhard Marx - il pontefice argentino si troverebbe in una situazione abbastanza spinosa: dire di "no" al cardinale Reinhard Marx romperebbe il fronte progressista; dire di "sì" al cardinale Reinhard Marx, quindi alle "decisioni vincolanti", costituirebbe un precedente niente male. In questo secondo caso, altre realtà episcopali potrebbero sentirsi in diritto di organizzare un loro "concilio interno". E si creerebbe così un problema legato al ritorno delle Chiese nazionali. Con tutto quello che ulteriori "decisioni vincolanti" comporterebbero in termini di confusione dottrinale. Lo scenario più probabile prevede che le parti trovino sul filo del gong una quadra capace di evitare strappi. Una variabile indipendente dai buoni auspici prescrive invece che, al traguardo di questo tortuoso percorso biennale e dinanzi ad un "no" proveniente dal Vaticano, la Chiesa tedesca opti davvero per la corsa in solitaria.

La paura di uno "scisma tradizionalista" (che non sembra essere nei piani). Dai cinque dubia dei quattro cardinali su Amoris Laetitia alle prese di posizione di Carlo Maria Viganò: da tempo i progressisti vanno raccontando di un imminente "scisma" provocato da quel tradizionalismo che è tanto critico sul papato odierno. Per ora, però, il "fronte tradizionale" ha sempre rimarcato la necessità dell'unità ecclesiastica, pur scatenando più di qualche bufera pubblica in contrasto con l'andazzo. Uno "scisma tradizionalista" è davvero poco probabile. Il cardinale Reinhard Marx, con il suo "cammino sinodale", ha però servito un facile assist ai tradizionalisti, che adesso possono far notare come, a cercare di prendere decisioni autonome, non siano certo loro. E in effetti il "fronte tradizionale" non ha mai organizzato un "Sinodo interno". Il Papa stesso, comunque la si veda, ha ammesso di non aver paura di uno "scisma". Per quanto Jorge Mario Bergoglio abbia anche specificato di pregare affinché un evento scismatico non si palesi mai. Ma se c'è un lato del campo in cui un processo divisivo pare essere stato avviato, quella è la fascia sinistra. E questa è un'argomentazione che il "fronte tradizionale" non poteva farsi scappare. Un quadro complessivo - questo - in cui, poche ore fa, hanno risuonato con forza le parole pronunciate dal cardinal Gualtiero Bassetti, che è il presidente della Conferenza episcopale italiana: "Se a qualcuno non piace questo Papa lo dica perché è libero di scegliere altre strade. Criticare va bene ma questo distruttismo no", ha tuonato il vertice della Cei. E ancora: "C'è troppa gente - ha argomentato, stando a quanto riportato dall'Adnkronos - che parla del Papa e a qualcuno io ho detto 'fai la scelta di evangelico, se non ti va bene la Chiesa cattolica, se è troppo stretta questa barca. I nostri fratelli protestanti non hanno né il Papa né il vescovo, ognuno faccia le sue scelte. Scusatemi per lo sfogo ma l'obiettivo di tutti deve essere quello di cercare risposte per il bene della Chiesa e dell'umanità". Bassetti, con questa riflessione, non si voleva certo riferire ai tedeschi, cui il Papa piace, ma appunto ai cosiddetti "anti-Bergogliani". Le riflessioni del porporato italiano hanno un peso specifico rilevante. Se non altro perché quei virgolettati segnalano come, all'interno delle alte sfere cattoliche, qualcuno sia disposto a perdere qualcosa in termini numerici, pur di ritrovare l'unità di visione, che sembra essere stata perduta.

Chi si oppone al "cammino sinodale" tedesco. C'è un ultimo elemento da analizzare in maniera certosina: un conto è uno scisma de iure, quello riconosciuto dalle istituzioni, un conto è uno scisma de facto, quello che non ha bisogno di essere battezzato con tutti i crismi dell'ufficialità, in quanto già strisciante per conto suo. Mons. Luigi Negri, in un'intervista rilasciata a La Verità, ha lanciato un allarme, supponendo la presenza di situazioni scismatiche nella Chiesa universale. L'arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio ha parlato del caso in cui un sacerdote non reciti il Credo durante una celebrazione. Qualcosa che, stando a quanto raccontato da Negri, già accade. Rapportando questo discorso al caso germanico, si può immaginare uno spaccato per cui, prescindendo dalle disposizioni che proverranno da Roma, alcuni capisaldi del cattolicesimo vengano comunque riformati. Ma c'è un fronte che si oppone al "percorso sinodale" di Marx e del suo episcopato. I cardinali tedeschi che sembrano più che perplessi sono tre: Gherard Ludwig Mueller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Walter Brandmueller, storico ed amico di Benedetto XVI ed il cardinal Rainer Maria Woelki, che ha proprio votato contro l'istituzione di un "concilio interno". Poi i consueti ambienti tradizionalisti, che hanno organizzato una vera e propria manifestazione di protesta in una piazza bavarese, con tanto di presenza dell'ex nunzio apostolico Carlo Maria Viganò. In quella occasione, è stata avanzata la proposta di uno sciopero fiscale nei confronti dell'apparato ecclesiastico teutonico. La Chiesa tedesca, infatti, può vantare il recepimento di una tassa ecclesiastica obbligatoria che corrisponde a circa l'8% del reddito annuo di una persona che si professa cattolica. Questa è una delle particolarità per cui l'Ecclesia di Germania può essere definita più potente delle altre. Il professor Roberto De Mattei, presidente della Fondazione Lepanto, è il primo ad essere convinto della bontà di uno sciopero fiscale: "Il criterio di appartenenza alla Chiesa cattolica - ha fatto presente in Baviera, come ripercorso sul blog di Marco Tosatti - si fonda sulla fede che ogni cattolico riceve con il battesimo e non può essere ridotto al pagamento di una tassa. Solo un’istituzione profondamente secolarizzata può stabilire un’equazione tra l’appartenenza alla Chiesa e il pagamento di una quota del proprio reddito. La Chiesa tedesca, economicamente ricca, ma spiritualmente sempre più povera, appare agli occhi del cristiano, come un apparato aziendale e burocratico sottomesso all’opinione pubblica e alle autorità civili. Inoltre chi subordina la vita sacramentale al pagamento di un’imposta cade nel peccato di simonia, quella vendita di beni spirituali che ha caratterizzato tutte le epoche di grave crisi nella Chiesa". Contrastare Marx smettendo di pagare le tasse? L'intento sembra recitare così. Si narra spesso di come (ma sono per lo più affari interni), nel corso del suo pontificato, Benedetto XVI avesse provato, senza riuscirci, ad abolire la tassa ecclesiastica in Germania.

"La Chiesa già vive uno scisma e il Papa parla come l'Onu". La Chiesa cattolica deve confrontarsi con il "concilio interno" dei tedeschi. Ma il cammino sinodale teutonico è solo uno degli elementi che preoccupano. Francesco Boezi, Lunedì 27/01/2020, su Il Giornale. La Chiesa cattolica vive una fase davvero complessa. Il "concilio interno" dei vescovi tedeschi alimenta le ricostruzioni di chi teme uno scisma. Aldo Maria Valli, vaticanista di lungo corso, è uno di quelli che segnalano la persistenza di una "confusione" evidente. All'interno della sua ultima opera libraria, che è un romanzo, il giornalista disegna la parabola di una Chiesa del domani, che è tristemente immersa nelle "cose del mondo". Una Chiesa, dunque, che ha abdicato a se stessa e al suo ruolo. D'altro canto, però, esistono anche ambienti che non hanno alcuna intenzione di mollare la presa sulla dottrina cristiano-cattolica. Sembra un racconto, ma forse è cronaca pura.

Signor Valli, lei ha da poco dato alle stampe un romanzo edito da Fede e Cultura. "L'ultima battaglia" è un'allegoria della fase ecclesiastica a noi contemporanea?

«Certamente sì. È ambientato in un futuro imprecisato, nel quale alcune tendenze della Chiesa attuale sono portate alle estreme conseguenze. Preti che si possono sposare anche fra uomini, il messaggio di fede ridotto a una vaga consolazione sentimentale, cedimento totale al pensiero del mondo, divieto di pregare e benedire in pubblico, piazza San Pietro ribattezzata piazza del Dialogo. Di fronte a questa deriva, qualcuno decide di resistere».

Che storia racconta nel suo libro?

«Appunto la storia di una Chiesa volutamente svenduta al mondo. Dietro c’è un complotto, da parte di chi di fatto vuole neutralizzare la Chiesa cattolica. Ma non tutti sono disposti ad arrendersi. Un “piccolo gregge” si organizza e passa al contrattacco. L’impresa sembra impossibile, ma il buon Dio non farà mancare il suo aiuto provvidenziale».

Papa Francesco e Benedetto XVI. Pare di poter dire che lei è solito cogliere più di una differenza...

«Le differenze sono evidenti. Da parte di Francesco ambiguità concettuale e dottrinale, con il relativismo che fa il suo ingresso nell’insegnamento papale. Da parte di Benedetto XVI la difesa a oltranza della retta dottrina e l’argine al relativismo. Per quanto molti cerchino di convincerci che tra i due c’è continuità, siamo di fronte a una netta frattura. Che ci porta a interrogarci anche su quale può e deve essere, in generale, il rapporto fra due papi, uno regnante e uno emerito».

Ritiene che quella di Bergoglio per i migranti sia una fissazione?

«È una delle fissazioni. L’altra è quella per l’ecologismo. Nel complesso abbiamo un Papa che parla come il segretario generale delle Nazioni Unite o il capo di un’organizzazione mondialista. Spesso è davvero difficile trovare nella sua predicazione un contenuto cattolico. Ma trovo che l’aspetto peggiore di questo pontificato non sia legato a un tema specifico, bensì alla costante ambiguità, come si vede bene nell’esortazione apostolica Amoris laetitia del 2016. Francesco dice che per lui è più importante “avviare processi che occupare spazi”. Ma che significa? Il successore di Pietro deve confermare i fratelli nella fede, non deve “avviare processi”, qualunque cosa voglia dire».

"The Economy of Francis". L'appuntamento di marzo ad Assisi può modificare il corso di questo pontificato? E se sì, come?

«Temo che sarà un altro passo in direzione della confusione e del cedimento al mondo. Questo papa che ama chiacchierare con Eugenio Scalfari non parla della salvezza dell’anima e della legge di Dio (oppure ne parla in termini ambigui se non eretici) ed ha una prospettiva tutta orizzontale. Inoltre invita nelle accademie pontificie sociologi ed economisti della scuola mondialista, in certi casi apertamente anti-cattolici. In tutto ciò c’è qualcosa di sconvolgente».

La situazione tedesca è burrascosa. Crede davvero che i vescovi teutonici possano arrivare ad uno scisma?

«Non lo so, ma uno scisma di fatto c’è già. Da una parte una Chiesa in preda alle eresie moderniste, dall’altra i cattolici che non vogliono cedere al mondo. La Chiesa tedesca è economicamente molto forte e in grado di influenzare anche altre aree del mondo, come si è visto nel caso del sinodo amazzonico. Sotto molti aspetti, come il celibato sacerdotale e il sacerdozio femminile, un cardinale come Marx, presidente dei vescovi tedeschi, ha posizioni che non si distinguono troppo da quelle luterane. E questo che cos’è se non uno scisma di fatto?»

La questione del libro di Sarah e Ratzinger è passata agli archivi. Secondo lei, perché ad un certo punto è stata domandata la rimozione della firma del papa emerito?

«Perché sono state fatte pressioni da parte di Santa Marta (la casa di Francesco in Vaticano). Ma il cardinale Sarah, carte alla mano, ha dimostrato di essersi comportato correttamente con Ratzinger. D’altra parte, sarebbe stato folle da parte sua strumentalizzare in qualche maniera Benedetto XVI. Al di là della questione specifica di cui si occupa il libro, ovvero il celibato dei preti, la vicenda dimostra che la compresenza dei due papi è alquanto problematica».

Le chiederei, infine, un commento sulla nomina del cardinale Tagle come prefetto di Propaganda Fide.

«Il cardinale Tagle è un bergogliano di ferro, espressione del misericordismo imperante. La sua promozione fa parte di un disegno che Francesco ha avviato da tempo, come si vede anche nella nomina del nuovo arcivescovo di Philadelphia, Perez, al posto di monsignor Charles J. Chaput, dipinto come “ultraconservatore”. Tagle è considerato un papabile e la promozione al ruolo di “papa rosso” (come viene chiamato il prefetto di Propaganda Fide) va in questa direzione. Nel nuovo regolamento della Curia romana Propaganda Fide avrà il primo posto, prima ancora della Congregazione per la dottrina della fede: per Tagle una vera rampa di lancio. Ma si sa che, come dice un vecchio adagio, “chi entra in conclave da papa ne esce cardinale”. Speriamo».

Gian Guido Vecchi per il Corriere della Sera il 26 gennaio 2020. «Se a qualcuno non piace questo Papa lo dica perché è libero di scegliere altre strade. Criticare va bene, ma questo "distruttismo" no». Il cardinale Gualtiero Bassetti, 77 anni, presidente dei vescovi italiani, è un uomo di indole mite e alza la voce assai di rado. Così, quello che lo stesso arcivescovo di Perugia definisce «uno sfogo», dà la misura della tensione che si respira nella Chiesa per la fronda ricorrente della parte più tradizionalista al pontificato attuale: «C' è troppa gente che parla del Papa e a qualcuno io ho detto "fai la scelta di evangelico, se non ti va bene la Chiesa cattolica, se è troppo stretta questa barca". I nostri fratelli protestanti non hanno né il Papa né il vescovo, ognuno faccia le sue scelte», ha esclamato, prima di sorridere: «Scusatemi per lo sfogo, ma l' obiettivo di tutti deve essere quello di cercare risposte per il bene della Chiesa e dell' umanità». Il cardinale parlava nella sua città, mentre spiegava ai giornalisti il senso dell' incontro «Mediterraneo, frontiera di pace» organizzato dalla Cei a Bari fra il 19 e il 23 febbraio. I vescovi dell' area parleranno anche della tragedia dei naufraghi «che si consuma nel silenzio assordante delle acque del mare». Ma non tratta soltanto delle denunce del Papa in favore dei migranti. Ogni occasione è buona, come dimostra il recente pasticcio editoriale legato alla pubblicazione del libro del cardinale conservatore Robert Sarah, «Dal profondo del nostro cuore», con relative polemiche intorno al fatto che Benedetto XVI ne fosse o meno il «coautore» e quindi all'«ingerenza» sul magistero del successore Francesco. Il Sinodo sull' Amazzonia ha proposto in ottobre di permettere l' ordinazione sacerdotale di uomini sposati nelle zone più remote, per compensare la carenza di clero, l'ultima parola spetterà al Papa e il documento di Francesco è atteso a giorni. Era inevitabile che la pubblicazione del libro, che si oppone a qualsiasi eccezione sul celibato sacerdotale, fosse vista come una forma di pressione sul Papa, dato che si fondava sul nome del predecessore. L'arcivescovo Georg Gänswein, parlando di un «malinteso», ha chiamato il cardinale Sarah per chiedergli «su indicazione del Papa emerito» di «togliere il nome di Benedetto XVI come coautore del libro stesso»: Ratzinger, su richiesta di Sarah, aveva solo concesso come contributo un saggio sul sacerdozio già scritto. Sarah ha sempre sostenuto che Benedetto XVI fosse d' accordo su tutto, ha detto di averlo incontrato e che «non c' è stato alcun malinteso». Al di là delle versioni contrapposte, sul clima che si respira in questi giorni la dice lunga già solo il fatto che un cardinale abbia chiesto al Papa emerito un testo per un libro che si oppone alle proposte del Sinodo prima che si pronunci il Papa in carica. Francesco, peraltro, appare tranquillo. Ieri, parlando alla Rota Romana, ha invitato a evitare «una pastorale di élite che dimentica il popolo» e a «svegliare dal torpore e dal sonno i pastori, forse troppo fermi o bloccati dalla filosofia del piccolo circolo dei perfetti: il Signore è venuto a cercare i peccatori, non i perfetti».

Adesso uno “scisma” può colpire il cristianesimo globale. Francesco Boezi su Inside Over il 22 gennaio 2020. Il cristianesimo statunitense non se la passa meglio del cattolicesimo tedesco. In Germania, per via del “concilio interno” dell’episcopato teutonico, viene paventata un’ipotesi: c’è un rischio “scisma”. Il rapporto tra la dottrina e la morale sessuale può essere il motivo di una divisione interna, che pare esistere de facto, ma che per ora si ferma sul piano delle reciproche rimostranze. Lo strappo istituzionale sembra essere dietro l’angolo, ma non è ancora avvenuto. Forse qualcosa accadrà nel corso del prossimo biennio, che è il tempo che i vescovi di quella nazione si sono concessi per rivedere parti consistenti dell’assetto dottrinale. I progressisti, guidati dal cardinale Reinhard Marx, stanno reinterpretando alcune certezze, che sono contenute nel Catechismo. L’omosessualità, per esempio, è già stata equiparata dai padri conciliari ad un comune orientamento sessuale. I tradizionalisti manifestano contrariati, scendendo persino nelle piazze bavaresi. Roma potrà cassare le decisioni dei tedeschi oppure avallarle senza colpo ferire. Un discorso simile – con l’assenza del parere vincolante di una massima autorità spirituale – vale per la Chiesa metodista americana, che ancora per qualche altro tempo potrà essere definita “Chiesa metodista unita”. Siamo nel campo protestante, cui è attribuita una certa influenza politico-elettorale. Hillary Clinton è metodista. Le persone che nel mondo professano la confessione metodista sono milioni. Tredici secondo una recente disamina pubblicata su IlFoglio. Più o meno la metà di quei tredici risiede negli Stati Uniti. La presidenza di Donald Trump ha coadiuvato un processo di polarizzazione dell’opinione pubblica. The Donald, un convinto pro life, è vicino al cosiddetto “cristianesimo della prosperità”. La predicatrice evangelica Paula White ha persino ricevuto in incarico presso la Casa Bianca. E la religione, in generale, ha assunto una posizione in grado di tracciare una linea di separazione sul terreno dei valori: da una parte i conservatori, dall’altra i progressisti. E questo sta succedendo a prescindere dal tipo di Chiesa di riferimento. Il metodismo è solo una delle correnti protestanti, ma la frattura che sta per concretizzarsi può essere utile anche a comprendere come vadano le cose, in relazione alle grandi questioni etiche, quando mancano solo pochi mesi alle elezioni presidenziali. La Germania – dicevamo – rischia di fare scuola: la Chiesa metodista a stelle e strisce si sta spaccando sull‘omosessualità. Per farla breve: i conservatori metodisti rimangono fedeli alla linea delle origini: l’omosessualità – sostengono, un po’ come sbandierato dai cattolici tradizionalisti in Occidente – non può essere ammessa, in specie per ciò che concerne i matrimoni tra persone dello stesso sesso. I progressisti metodisti, d’altro canto, sono di tutt’altro parere. E questo è il nocciolo della questione che può comportare uno “scisma” interno. Perché nessuno dei due fronti è disposto a cedere un centimetro alla controparte. E gli attori delle due diverse fazioni hanno già reso noto un progetto di scissione pacifica. A riportarlo, tra gli altri, è stato il New York Times. Se il quadro appena esposto dovesse essere confermato, le Chiese metodiste diventeranno due. Colpi di scena dell’ultim’ora – almeno sino a questo momento – non sono previsti. E una parte di fronte protestante si frantumerebbe proprio a ridosso dell’appuntamento elettorale più importante dell’anno, quello che avrà luogo a novembre del 2020 e che vedrà contrapposti Donald Trump e il candidato vincente delle primarie democratiche. Progressismo e conservatorismo – com’è intuibile – stanno giocando una partita su larga scala, che non riguarda soltanto il futuro del cristianesimo-cattolico e che non è riconducibile soltanto ai confini europei. Una battaglia che in alcuni casi, come nel contesto americano, può essere risolta mediante un accordo interno. In Germania, invece, la strada sembra lastricata da difficoltà maggiori. Il rischio di “scisma” in quel caso è meno evidente: si cercherà di evitare una vera e propria separazione.

Marco Marzano per il “Fatto quotidiano” il 20 gennaio 2020. L'ennesima puntata del tormentone sui I due papi è terminata. La disperata marcia indietro compiuta da monsignor Gaenswein non ha cambiato di una virgola la sostanza di quello che è avvenuto e cioè che Joseph Ratzinger ha deciso di entrare, con tutto il suo peso della sua autorevolezza spirituale e politica, nel confronto in atto dentro la Chiesa sul tema del futuro dell' ordinazione sacerdotale. L'ex papa lo ha fatto mostrando di aderire completamente alle tesi dei "cattoapocalittici", ovvero di quella parte della gerarchia e del popolo cattolico che considera inaccettabile, su questo come su altri terreni, anche la più minuscola innovazione organizzativa. Concedere la possibilità, pur in via del tutto eccezionale, ai vescovi dell'Amazzonia di ordinare sacerdoti alcuni diaconi sposati è ritenuto da costoro il "principio della fine" per il celibato del clero cattolico, la minuscola slavina che innescherebbe la valanga di una miriade di richieste analoghe da molte altre parti del mondo. Da qui la supplica rivolta a Francesco di fare muro, di dire no a questo cambiamento. A tinte completamente invertite, dal nero profondo della disperazione al rosso vivo della gioia incontenibile, quello immaginato dagli ultraconservatori è lo stesso scenario dipinto dagli ultraprogressisti. Questi ultimi sperano proprio che accada quel che i conservatori radicali temono: cioè che dall' Amazzonia si propaghi dentro la Chiesa un 'ondata di rinnovamento che giunga a rendere il celibato ecclesiastico, sul modello delle chiese ortodosse, una mera opzione. L' occasione del prossimo scontro è già nota: sarà il sinodo che la chiesa tedesca si appresta a celebrare tra poche settimane avendo in agenda, tra gli altri, proprio il tema rovente della revisione del celibato. In questa situazione è obbligatorio chiedersi cosa pensi papa Francesco, quale sia l' orientamento che il sovrano cattolico ha maturato rispetto a questo conflitto. In molti danno per scontato un profondo conflitto di opinioni tra lui e Ratzinger. Io credo che la differenza esista, ma che non sia così acuta come appare in tante drammatiche rappresentazioni giornalistiche. Tra poche settimane leggeremo probabilmente il documento che il papa avrà prodotto sul tema. Nel frattempo possiamo fare però qualche congettura. Esattamente un anno fa, nel gennaio 2019, nel corso di una conferenza stampa in aereo, un giornalista chiese a Francesco se ritenesse possibile, per il futuro, aprire ai preti sposati. Il papa argentino rispose che quella domanda gli faceva venire alla mente una frase di Paolo VI : "Preferisco dare la vita che cambiare la legge sul celibato". E aggiunse che riteneva il celibato un "dono per la chiesa" e che era assolutamente contrario a renderlo una mera opzione. Qualche eccezione poteva essere pensata, concluse Bergoglio citando le "isole del Pacifico", per dei posti sperduti e remoti, dove fosse impossibile disporre di un numero adeguato di preti celibi e risultasse dunque pregiudicata la possibilità per i fedeli di accedere con regolarità all' eucaristia. In questi luoghi, e solo in questi, potrebbero essere forse in futuro ordinati preti, ma con facoltà e poteri fortemente ridotti, degli adulti sposati. Questa è esattamente la situazione dell' Amazzonia, un luogo dove non è pensabile che un prete dica messa in due parrocchie, perché la distanza tra l' una l' altra è di migliaia di chilometri. Come si può facilmente costatare, tra i due papi (e tra i diversi settori della gerarchia) non sembra esistere in realtà una distanza incommensurabile (quella che invece pare sussistere con la sinistra interna). Entrambi sono a favore del mantenimento del celibato obbligatorio del clero. Le differenza sono per così dire tattiche e non strategiche, di opportunità e non ideologiche. Se anche accogliesse l' indicazione che nel frattempo è provenuta dalla stragrande maggioranza dei partecipanti al Sinodo per l' Amazzonia e concedesse ai vescovi di quella regione di ordinare sacerdote (casomai con facoltà ridotte e in via sperimentale) qualche uomo sposato, Bergoglio, a meno che non abbia cambiato idea in questi dodici mesi, non aprirebbe nel modo più assoluto al celibato opzionale. Per questa ragione è anche assai probabile che egli sia disposto a opporre una decisa resistenza dinanzi a una richiesta analoga proveniente dalla Germania. Non esiste nessun automatismo per il quale quello che viene concesso in un' area molto peculiare come l' Amazzonia debba essere garantito anche agli abitanti di una delle terre più densamente popolate al mondo. Per risolvere il problema del deficit di clero in Europa esistono molte altre vie che possono essere tentate: l' importazione di clero dal secondo e terzo mondo, la chiusura di alcune chiese e la concentrazione del numero sempre più ridotto di fedeli in poche grandi parrocchie, per le quali serva meno personale clericale. E così via. Lo abbiamo già scritto più volte: abolire l' obbligatorietà del celibato significa cambiare radicalmente la forma della chiesa cattolica e di conseguenza accettare la possibilità di scismi, divisioni, lacerazioni molto più profonde di quelle viste in questi giorni. Possiamo sbagliarci, ma non ci sembra che papa Francesco, giunto a questo punto del suo pontificato, ne abbia né la forza né la volontà.

Stefano Filippi per “la Verità” il 13 gennaio 2020. Monsignor Luigi Negri è una delle voci più forti e ascoltate dell' episcopato italiano. Allievo di don Luigi Giussani, è stato vescovo di San Marino e arcivescovo di Ferrara-Comacchio. Ha insegnato all' università Cattolica, ha scritto numerosi libri, ha presieduto la Fondazione internazionale Giovanni Paolo II. Ora, a 79 anni, da «pensionato» è tornato nella sua Milano dove non smette di scrivere e insegnare anche attraverso il sito Luiginegri.it.

Nel recente discorso alla Curia romana papa Francesco ha ripetuto che «quella attuale non è un' epoca di cambiamenti ma un cambiamento d' epoca».

«Non è il solo ad aver detto questa frase».

Che ne pensa?

«Mi sembra che il problema in questo momento non sia quello di cesellare meglio le espressioni. Il problema è molto più radicale».

Cioè?

«Sono venuti meno, più o meno improvvisamente, alcuni riferimenti di fondo su cui l'uomo fino a un certo periodo ha posto la sua fiducia, e in forza di questa fiducia ha affrontato la vita. Oggi l'uomo su che cosa poggia? Ecco la tragedia: su niente. E nessuno se ne accorge, meno che mai l'uomo stesso».

Che si dovrebbe fare?

«Bisogna che qualcuno dica all'uomo di oggi che deve recuperare il senso della sua esistenza, il "mestier duro d'esser uomo", come diceva Cesare Pavese. Il mestiere di affrontare l'esistenza cercando di assecondare le grandi domande che porta nel cuore: il senso del vero, del bene, del bello, del giusto. Queste cose non sono finite, non c'è cambiamento d'epoca che tenga».

Che cosa intende?

«Cambiamento d' epoca non vuol dire che sono sparite le grandi domande, ma eventualmente che è cambiato l'uomo, il quale può anche non porsi più tali domande. Il problema è l'uomo, che cosa vuole, che cosa desidera».

Chi può rispondere a questi interrogativi?

«Bisogna che l'uomo si rimetta in gioco e capisca da che parte andare. Se affrontare la sfida del mistero, di ciò che non conosce se non approssimativamente ma che pure innegabilmente domina comunque la sua vita, oppure se stare quieto nelle proprie quattro cose sistemando e risistemando le quali pensa di trovare una qualche consolazione all'esistenza, come ha più volte sottolineato da par suo il grande Benedetto XVI».

Sintetizzi.

«La questione è questa: che cosa vuole l'uomo per sé. È questa la grande rivoluzione iniziata con la venuta del Signore Gesù Cristo, che ha chiamato l'uomo di ogni tempo a prendere coscienza della sua vita per affrontare dignitosamente gli aspetti della sua esistenza».

Il Papa dice che compito della Chiesa è «lasciarsi interrogare dalle sfide». Le sembra sufficiente?

«Mi pare pochino. Le sfide non sono acqua che, come mi ricordava spesso don Giussani, piove sul marmo lasciando tutto come prima: esse sono provocazioni perché l' uomo si rimetta in moto e vada cercando nelle vicende piccole della vita la grande questione del senso. "E io che sono?", si chiedeva il pastore errante di Leopardi».

Lei dice: cambiano le epoche, ma non cambia la questione umana. È così?

«Ecco. L'uomo senza Dio perde la sua consistenza, non sa più chi è. Questo è quello che mi ha insegnato Benedetto XVI con una profondità e un rigore di cui gli sarò sempre grato».

La Chiesa quali sfide deve affrontare in un mondo che non riconosce più Dio?

«La Chiesa, come io stesso e come chiunque, deve affrontare la sfida della propria identità. Qual è la sfida che ci portiamo addosso per il fatto di essere vivi? Che dobbiamo sapere chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, che senso ha il vivere di ogni giorno, il lavorare, il sentire, il morire. La questione umana risorge continuamente nel variare delle circostanze, per cui fare grandi analisi sulle circostanze serve molto poco».

Don Giussani rilanciò una domanda del poeta Thomas Eliot: «È la Chiesa che ha abbandonato l'umanità, o è l'umanità che abbandonato la Chiesa?». Lei che risposta dà?

«Quella che umilmente ho sempre dato: entrambe. La Chiesa abbandona l'uomo nella misura in cui non vive la responsabilità di proporgli il senso ultimo della sua vita. Di contro, l'uomo può dimenticare sé stesso se insegue i problemi personali, affettivi, sociali, culturali, etici, pensando di trovare una soluzione adeguata secondo quello che il mondo suggerisce».

I cristiani devono restare fuori dal mondo?

«Mi ha colpito molto, qualche anno fa, quanto mi diceva un esegeta al termine di un convegno. Mi chiese se sapessi qual era l' espressione che statisticamente ricorre più spesso nei testi di San Paolo».

Qual era?

«Questa: "Non conformatevi alla mentalità di questo mondo". Paolo ha insegnato della prudenza, della carità, della castità, dei costumi, ha insegnato tutto il quadro della morale cattolica. Ma la questione fondamentale è che l'uomo dia un senso adeguato al proprio vivere».

E quali sono le responsabilità della Chiesa nell'abbandono dell' umanità?

«Le possiamo concentrare in un punto unico: se la Chiesa vive la sua identità come presenza nel mondo del mondo nuovo di Dio, oppure se evita questa fatica e rincorre problemi importantissimi ma particolari non illuminati dalla domanda sul senso della vita umana».

Intende temi come, per esempio, i cambiamenti climatici o i flussi migratori?

«Dev'essere chiara la gerarchia. A un figlio di 3 anni, un padre non può spiegare un trattato di trigonometria, ma prende il pane e il latte e dice: mangia. Bisogna ricuperare questa fondamentale sanità».

La Chiesa è in pericolo?

«Sì. Si è messa in pericolo, perché nessuno può mettere in pericolo la Chiesa se non sé stessa. La Chiesa non è in pericolo perché ci sono problemi, sono cambiate le epoche o la assediano forze eversive: non c'è periodo della storia in cui la Chiesa non fosse presa d'assalto. Ma la Chiesa di oggi ha pensato che il problema della sua esistenza sia tentare di risolvere i problemi del mondo anziché vivere lo spettacolo sempre nuovo della sua identità».

C'è un rischio di scisma?

«In ogni momento della Chiesa è possibile uno scisma. Ritengo che ci siano spazi, nella Chiesa cattolica, in cui si vive già in una situazione di scisma, non so quanto consapevolmente».

A che cosa si riferisce?

«Io ho dovuto costringere dei preti della diocesi in cui ero vescovo a riprendere a dire durante la messa il Credo, minacciando di togliere loro la facoltà di celebrare».

La messa di precetto senza Credo non è invalida?

«Non è legittima, cioè non è detta secondo il canone».

Insomma, dilaga l' arbitrio.

«Come no».

Tra i preti?

«Non solo, non facciamoli più cattivi di quello che sono. Dilaga l'arbitrio perché l' unica cosa che l' uomo ha a disposizione in questo momento è di fare quello che gli pare e piace».

Non si parla più di valori non negoziabili. È un passo avanti o indietro?

«Non è un caso che i valori non negoziabili di cui ha parlato Benedetto XVI siano scomparsi con lui. Forse la sua estromissione dipende anche dal fatto che tali valori fossero proposti in termini tassativi».

C'è bisogno di un nuovo Ruini?

«Abbiamo bisogno di ecclesiastici che siano uomini di fede. Ruini ha dato questa grande testimonianza: ha camminato nel mondo con la sola preoccupazione che la fede del popolo italiano non si esaurisse perché altrimenti si sarebbe esaurita la civiltà e la cultura italiana. Ruini, Biffi e altri come loro sono stati grandi uomini che hanno segnato il punto».

Cioè?

«Che la Chiesa non può mai rinunciare a mettere al primo posto la fede. Anche se ci fossero 850 milioni di migranti, la Chiesa non potrà mai dire che allora il suo problema sono i migranti, ma che il suo problema è la fede e da ciò tirare fuori la soluzione ai problemi, compreso quello dei migranti. Essere costretti a ripetere queste cose dice l'abbandono di quella che il povero e grande San Tommaso chiamava la grandezza del pensare cristiano. Il pensare cristiano è grande non perché pensa Dio, ma perché imposta il problema della totalità dell'esistenza dell' uomo».

Lei è stato pensionato in modo repentino.

«Sono stato pensionato velocemente, ma verso il Papa attuale, del quale pure non condivido tutto, nutro rispetto e gratitudine: è un uomo libero che lascia libera la sua gente. Non ho ricevuto mai, né per iscritto, né a voce, né surrettiziamente, una sottolineatura negativa a quello che ero e che facevo. Di uomini che lasciano liberi gli altri io sono lieto, perché Dio si comporta così».

Come svolge oggi il suo ministero?

«È un impegno abbastanza intenso. Mi chiamano spesso a parlare della famiglia, gravemente in crisi e abbandonata dalla considerazione normale della Chiesa, dove si parla di tutto fuorché di questo: famiglia, matrimonio, educazione. Tengo delle catechesi in cui cerco di evocare un cammino di comprensione ed espressione della fede. Il cristiano di oggi rischia di avere un grande tesoro, che è la sua fede, ma siccome non l' hanno educato a capirne tutta la potenza, essa rimane nel sottofondo. La fede giace in una sorta di semi abbandono che rimane la grande occasione perduta per la maggior parte dei cristiani».

·        Il Vaticano e gli Scandali.

Antonio Palma per fanpage.it il 18 dicembre 2020. Otto mesi di reclusione ma libero grazie al beneficio della condizionale, questa la condanna inflitta dal Tribunale di Parigi a Monsignor Luigi Ventura, ex nunzio apostolico in Francia finito a processo con l’accusa di aggressione sessuale su diversi uomini durante il suo mandato. Una pena inferiore a quella proposta dall’accusa che per lui aveva chiesto 10 mesi di carcere con la condizionale. Lo scandalo era scoppiato nel febbraio del 2019 quando, in mezzo a molteplici scandali sessuali che hanno colpito la Chiesa cattolica, un ragazzo si era fatto avanti denunciando di essere stato molestato a più riprese dal prelato e ambasciatore della Santa sede in Francia. Si tratta dell'aggressione ad un funzionario comunale che Ventura avrebbe compiuto all'inizio dell’anno scorso durante un ricevimento organizzato dal municipio di Parigi per tutte le autorità civili e diplomatiche. La vittima aveva raccontato di mani sui glutei in almeno tre occasioni durante la cerimonia di auguri alle autorità diplomatiche. Poco dopo si erano fatti avanti altri quattro uomini, tra cui un altro funzionario vittima della stessa scena l’anno precedente. I fatti contestati a Monsignor Ventura risalgono al periodo che va dal 2018 al 2019 cioè nel pieno delle sue funzioni di nunzio apostolico. Secondo l’accusa, in diverse occasioni e durante i suoi impegni diplomatici e pubblici in Francia il prelato avrebbe messo in atto molestie sessuali ai danni di alcuni giovani con palpeggiamenti e commenti a sfondo sessuale. Tra di loro anche un seminarista di 20 anni che ha riferito palpeggiamenti durante e dopo una messa. Accuse che hanno scatenato furibonde polemiche ma che si sono trasformate in procedimento giudiziario solo nel luglio dello scorso anno dopo che il Vaticano ha revocato l’immunità al nunzio. Il 76enne Ventura, che si è poi dimesso dal suo incarico su invito del Vaticano, dal suo canto ha sempre rigettato ogni accusa ma non si è mai presentato davanti ai giudici dopo l’inizio del processo il 10 novembre scorso. L'ex nunzio ha prodotto una nota medica in cui affermava che era troppo pericoloso per lui viaggiare da Roma a Parigi in piena pandemia di coronavirus.  Per questo è stato condannato in contumacia. La condanna prevede anche l’iscrizione nel registro degli autori di reati sessuali, il pagamento di 13mila euro di danni morali a quattro delle vittime che si son costitute al processo e il pagamento di 9mila euro di spese legali.

Una Chiesa piena di scandali: ecco gli "incubi" di Francesco. Dagli abusi alle "coperture" fino ai crac finanziari. Per molti la colpa è di Francesco. Ma c'è chi nega: "È il contrario". Francesco Boezi, Sabato 14/11/2020 su Il Giornale. Il pontificato di papa Francesco, come buona parte degli ultimi pontificati, è stato interessato da parecchi scandali. Un assunto che può essere letto attraverso almeno due differenti interpretazioni: le notizie di questi tempi fuoriescono dalle mura leonine per via della maggiore trasparenza introdotta in Vaticano; la "coorte" di Bergoglio - come pensano i tradizionalisti - è stata coinvolta da scandali in misura maggiore rispetto ad altre "cerchie" papali. E questo non sarebbe avvenuto per caso. Sono due proposizioni molto difficili da provare. Entrambe, in ogni caso, rientrano spesso nelle varie letture giornalistiche che vengono presentate. Jorge Mario Bergoglio, nella circostanza dello scandalo legato al palazzo di Londra, che è poi quello che sarebbe in qualche modo collegato alla gestione dell'Obolo di San Pietro, è stato entusiasta che in Santa Sede abbiano "scoperchiato la pentola" da dentro. Il pontefice argentino ha notato che, per far venir fuori la verità o comunque alcuni dettagli della questione, non fosse stato necessario l'intervento di attori esterni. Il tutto, stando alla disamina dei "papisti", rientra nella battaglia per la trasparenza che Francesco sta combattendo dentro le mura leonine, sulla scia di quanto messo in campo dal predecessore Joseph Ratzinger. Chi critica Bergoglio, invece, accusa il Santo Padre per le sue scelte. E rispetto al caso Becciu, i critici tendono ad evidenziare più gli anni di collaborazione tra il pontefice ed il cardinale che le fattispecie sollevate per l'allontanamento del cardinale. Dallo scandalo abusi della Chiesa cilena a quello simile per contenuti che si è sviluppato negli anni a macchia d'olio in alcune diocesi americane, passando alle cronache sui fondi della segreteria di Stato, dunque alla sospensione di alcuni funzionari, alla fuga di notizie e al cambio della guardia per il comandante della Gendarmeria vaticana: gli elementi per un'inchiesta giornalistica ci sono tutti. E in realtà i commentatori in questi anni hanno potuto lavorare su qualcosa di più di un unico grande filone. In una recente intervista rilasciata all'Adnkronos, Sua Santità ha fotografato così la situazione:"La Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice. Diciamo meglio: una parte di essa, perché la stragrande maggioranza va in senso contrario, persegue la giusta via. Però è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici della Chiesa, hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli". Bergoglio non nega gli scandali, ma ricorda la continuità storica con cui la Chiesa cattolica è stata costretta ad avere a che fare con condotte non proprio inappuntabili. La differenza, rispetto al passato, dimorerebbe nella ferma volontà di fare pulizia. GlI insegnamenti su cui Francesco si baserebbe sarebbero quelli della linea della "tolleranza zero" di Bendetto XVI. Ma non sono tutti convinti di poter operare mediante similitudini per descrivere la gestione degli scandali da parte dei due ultimi pontefici. La "cacciata" del cardinal Angelo Becciu è solo uno degli ultimi episodi. Un caso condito anche dalla vicenda di "lady Becciu", che è tornata libera dopo essere stata accusata di peculato. L'esperta di geopolitica avrebbe "svilito" il suo incarico, affidatole dall'ex sostituto della segreteria di Stato. Ma sono molti i cardinali che nel corso di questi sette anni e mezzo sono stati interessati dalle cronache. Uno fra tutti è Theodore McCarrick, che ora non è più porporato. "Zio Ted" - com'è noto ai più - è stato "scardinalato" da Papa Francesco dopo essere stato ritenuto colpevole di abusi ai danni di seminariti negli Stati Uniti. Proprio in queste ore il Vaticano ha pubblicato un documento che tende a smentire le ricostruzioni dei critici del Papa su McCarrick. Quella di McCarrick è la vicenda più inflazionata sui media. Tuttavia, sono purtroppo anche altri gli alti ecclesiastici coinvolti in scandali durante il regno di Bergoglio. Si pensi, per fare un ulteriore esempio, al cardinale Donald Wuerl, ex arcivescovo di Washington, che si è dimesso dal suo incarico per via di accuse inerenti alla gestione di alcuni casi di abusi. Per quanto sul sito ufficiale del Vaticano, stando a quanto risulta per esempio ad IlSismografo, Wuerl compaia ancora come arcivescovo in carica della capitale americana. Il "fronte conservatore" tende a sottolineare l'appartenenza cardinalizia dei porporati che hanno presentato al Papa le proprie dimissioni: questi alti ecclesiastici apparterrebbero tutti all'insieme di cardinali che hanno votato Bergoglio nel Conclave in cui è stato eletto. Nello stesso rapporto McCarrick, c'è un passaggio in cui viene rivelato come il cardinale guardasse volentieri al Sud America quale continente da cui eleggere un pontefice. Questi cardinali al centro di scandali sarebbero, insomma, tutti "bergogliani". Ma spesso c'è troppa approssimazione in questo modo di procedere con l'analisi.

La vera "guerra" nel Vaticano: il caso che scoperchia tutto. Il cardinale ed ex arcivescovo di Lione Philippe Barbarin, per esempio, ha rinunciato per accuse di insabbiamenti a cui i tradizionalisti sembrerebbero non credere, mentre il cardinale polacco Gulbinowicz, che come riporta l'Aci è stato accusato di aver abusato un minore, è considerato dottrinalmente vicino ai pontificati precedenti. In buona sostanza, non è un esercizio semplice, e forse neppure utile, questo di riempire le caselle dei riferimenti correntizi. Se non altro perché il Vaticano, in cui tuttavia esistono degli "schieramenti", non può essere raccontato alla stregua di una bagarre tra fazioni o partiti. Un focus che la destra ecclesiastica ripropone spesso riguarda invece la continuità con cui la cosiddetta "coorte" di Bergoglio sarebbe inciampata in scandali. Un altro discorso, invece, è circoscrivere i fatti avvenuti durante un particolare periodo storico: i primi sette anni e mezzo di Francesco sul soglio di Pietro. Vatileaks 2, lo scandalo del palazzo di Londra, con la cacciata di Becciu sono i principali avvenimenti di cui si è dibattuto a mezzo stampa. Per quel che concerne il "cerchio magico", invece, rischiamo di dover andare indietro nel tempo. Nel corso di una delle sue ultime dissertazioni, come ripercorso da Stilum Curiae, monsignor Carlo Maria Viganò ha presentato una sorta di elencazione in cui accusa alcuni tra i più importanti uomini vinco al Papa di abusi o di tendenze nascoste. Fra questi, secondo l'ex nunzio apostolico, vi sarebbe monsignor Maradiaga, che per chi non lo sapesse, è il vertice del C9, il consiglio ristretto di cardinali che papa Francesco ha voluto per riformare nel profondo la Curia di Roma. I presunti fatti citati da Viganò sarebbero in ogni caso avvenuti prima che il Papa scegliesse Maradiaga per quel ruolo. Sempre Viganò ha deciso anche di lanciare un'altra "bomba", questa volta sul nuovo sostituo della segreteria di Stato, Edgar Peña Parra, che secondo l'ex nunzio apostolico negli Stati Uniti sarebbe stato invischiato in una presunta espulsione dal seminario legata ad accuse interne alla Chiesa. Accuse naturalmente prive di conferme e che sono state lanciate da Viganò in una fase in cui il monsignore ha ingaggiato una durissima battaglia dottrinale e politica contro il pontificato di Francesco. Ma sono parole che fanno ben comprendere il clima estremamente duro e inquieto che pervade tutta la Chiesa di Roma e su cui è scagliato proprio il pontefice in diverse omelie e discorsi. L'ex nunzio apostolico negli States cita anche altri episodi, ma quelli segnalati bastano per comprendere quale sia l'opinione dei "conservatori" almeno su alcuni degli uomini selezionati da Francesco in questi anni per incarichi di vertice.

Vaticano, Viganò accusa il papa di chiamare pure collaboratori gay. Stando ai tradizionalisti, Bergoglio sbaglierebbe dunque nelle scelte. Sempre nel corso di questo pontificato, il cardinale George Pell è stato costretto a non occuparsi più della segreteria per l'Economia per accuse da abusi provenienti dalla sua nazione d'origine, ossia l'Australia. Pell è stato tuttavia scagionato del tutto al termine dei tre gradi di giudizio, dopo un periodo trascorso in prigionia. Che cos'è, in fin dei conti, che muove le accuse dei conservatori? E perché Bergoglio non sarebbe - come invece raccontano le cronache vaticane - il continuatore naturale dell'opera di pulizia messa in campo da Benedetto XVI? Ne abbiamo voluto parlare con una fonte, che ha preferito tuttavia rimanere anomina. L'esordio, nel corso della chiacchierata, si è rivelato tutto un programma: "Viviamo nella assoluta dicotomia tra realtà e finzione: fedeli arrabbiati, disgustati, che non versano più l' otto per mille, che non vanno alle udienze... E giornali che esaltano il sovrano sempre più solo e sempre più bisognoso di elogi, film, documentari e interviste su di sé. Un papa che diventa soggetto cinematografico, che applaude i suoi celebratori". La fonte cita la questione della torta, riferendosi ai festeggiamenti organizzati per il documentario "Francesco", che farebbero da contraltare all'immagine dei cardinali che secondo la fonte contraria a questo pontificato, sarebbero stati "perseguitati". Lo stesso documentario per cui è scoppiata la vicenda dell'apertura dottrinale di papa Francesco sulle unioni civili. E sul caso Becciu? La risposta è lapidaria:"Becciu è stato innalzato per anni, mentre Pell prima è stato accantonato e poi accolto di malanimo ma rimesso in naftalina. Come con Becciu così con McCarrick: amico sino all' evidenza della colpevolezza, poi scaricato. Senza mai fare chiarezza: perché Becciu è stato per anni così potente al suo fianco? Perché su McCarrick non si è ancora voluto fare chiarezza? (Abbiamo parlato con la fonte prima della pubblicazione del rapporto da parte del Vaticano, ndr)...". Le considerazioni finali perseguono lo stesso percorso delle premesse, e bocciano l'operato papale: "Francesco ha cercato sin da subito un appoggio dei giornalisti soprattutto di sinistra, ma non solo, per far raccontare il suo pontificato per l'opposto di ciò che è: unitivo, mentre è divisivo, sinodale mentre è tirannico, aperto mentre è ideologico, nemico della corruzione mentre è stato lui a bloccare ogni tentativo di pulizia, a promuovere Becciu, ad abbandonare Pell... che oggi Viganò, cioè l' uomo che voleva fare pulizia già nel 2011, sia il suo avversario più noto, la dice lunga...".

La difesa del Santo Padre. Sino a questo punto, abbiamo posto per lo più accenti sulla visione di chi è solito opporsi all'azione del regnante. Esiste una larga parte di opinione pubblica, di ecclesiastici e di laici che invece difendono le modalità mediante cui Francesco ha affrontato gli scandali, siano queste ultime curiali o no. Il religioso e studioso Rosario Vitale, che è stato interpellato in merito da IlGiornale.it, è tra questi: "Certamente Papa Francesco, che viene come lui stesso ha detto 'dall’altra parte del mondo', non si sarebbe potuto immaginare che genere di situazioni avrebbe trovato nell’Urbe, lui che arrivava proprio da una diocesi con ben altri problemi, eppure ha dovuto fare i conti con ruberie, pedofilia, corruzione, clericalismo, acquisti pazzi, e ogni altro genere di malaffare".

Bergoglio non poteva immaginare quali situazioni avrebbe dovuto affrontare, ammette Vitale, che poi insiste:"La risposta del Santo Padre di fronte a situazioni poco chiare è sempre stata quella della trasparenza, della carità, ma anche quella dell’azione decisa, come si agirebbe in una famiglia, senza ipocrisie, guardandosi negli occhi e se necessario chiedendo scusa". Ecco la tesi più in voga: Papa Francesco starebbe combattendo una battaglia per la trasparenza della Chiesa.

Papa Francesco: "La corruzione nella Chiesa è male antico". Anche per quanto concerne l'atteggiamento di Francesco, a differenza dell'altra fonte, Vitale ha poco da segnalare: "Il Papa ha sempre affrontato con coraggio e determinazione anche situazioni dolorose, come quelle che hanno interessato i cardinali O’Brien (un altro porporato che si è dimesso per "comportamenti sessuali inappropriati") e McCarrick, tanto per citare i casi che sono balzati a favor di cronaca, senza stancarsi di dire che 'il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore'". In conclusione, possiamo asserire che questo pontificato viene analizzato con due lenti d'ingrandimento diverse: una che, guardando, si rende conto della presunta contiguità tra l'azione di Bergoglio, in specie quella relativa alle nomine, ed alcuni alti ecclesiastici in odore o immersi negli scandali; un'altra che invece, ritenendo la Chiesa da sempre immersa in vicende di questo tipo, rimarca come papa Francesco stia combattendo la medesima battaglia di Ratzinger per la pulizia e la trasparenza.

Fabio Marchese Ragona per ''il Giornale'' il 6 novembre 2020. La Segreteria di Stato Vaticana rimane «senza portafoglio»: addio alla gestione delle finanze, degli investimenti e del tanto discusso Obolo di San Pietro, finito al centro degli ultimi scandali finanziari che hanno scosso le sacre stanze, con il defenestramento del cardinale Angelo Becciu e un'inchiesta che vede indagati laici e monsignori. È una decisione storica quella di Papa Francesco che con una lettera al cardinale Pietro Parolin datata 25 agosto ma diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede soltanto ieri, ha trasferito l'intera gestione del tesoretto della Segreteria di Stato, composto da beni mobili e immobili, all'Apsa, la Banca Centrale Vaticana, guidata da monsignor Nunzio Galantino e quindi sotto il controllo della Segreteria per l'Economia, ufficio che fu guidato dal cardinale Pell e che oggi vede alla testa il gesuita padre Guerrero Alves. Un'operazione di accentramento delle finanze vaticane voluta da Bergoglio in persona che incorona un unico, grande, vincitore morale di tutta la vicenda: proprio il cardinale George Pell che da «Ministro dell'Economia» del Vaticano, tre anni fa, prima di esser rispedito in Australia a difendersi dalle accuse, rivelatesi false, di pedofilia, avrebbe voluto che quei fondi passassero proprio sotto il controllo del dicastero economico che guidava. All'epoca si scatenò una guerra intestina, con accuse e pugni sui tavoli, fino al congedo del «ranger» australiano, che ha scontato anche un anno e mezzo di carcere nel suo Paese. Di ritorno a Roma, Pell, qualche settimana fa ha incontrato il Papa con il quale ha discusso anche di faccende economiche. Nel documento firmato da Francesco si fa un chiaro riferimento anche allo scandalo del palazzo di Sloane Avenue a Londra che ormai da oltre un anno tiene la Segreteria di Stato sotto i riflettori di tutto il mondo. Bergoglio, infatti, nella lettera dice senza troppi giri di parole: «Una particolare attenzione meritano gli investimenti operati a Londra ed il fondo Centurion (un fondo maltese attraverso il quale il Vaticano ha investito i soldi dei poveri in giocattoli, robotica, cinema, ecc., ndr), dai quali occorre uscire al più presto o, almeno, disporne in maniera tale da eliminarne tutti i rischi reputazionali». Francesco, svuotando la Segreteria di Stato, chiede anche ai suoi vertici di «valutare la necessità dell'esistenza dell'ufficio amministrativo», quello che fino a oggi ha fatto partire tutti i pagamenti disposti dal dicastero, fino a poco tempo fa guidato da monsignor Alberto Perlasca, anche lui allontanato e oggi indagato nell'inchiesta finanziaria d'Oltretevere per vari pagamenti sospetti. Un chiaro depotenziamento della Segreteria di Stato che da adesso in poi dovrà render conto alla Segreteria per l'Economia di ogni operazione, non avendo più alcuna autonomia sui fondi, il cui utilizzo era sempre stato a discrezione dei vertici del dicastero. Una mossa, però, che di certo alleggerisce di responsabilità e toglie qualche rogna al Segretario di Stato, Pietro Parolin, e al suo numero due, il Sostituto monsignor Edgar Peña Parra. Francesco, nella sua lettera di agosto, aveva chiesto che il passaggio dei fondi da una struttura all'altra, avvenisse entro il 1° novembre scorso. Richiesta che non è stata realizzata: per questo Bergoglio, qualche sera fa, ha indetto una riunione durante la quale ha istituito una «Commissione di passaggio e controllo», formata da Peña Parra, Galantino e Guerrero Alves, per «portare a compimento, nei prossimi tre mesi, quanto disposto».

“UNA DOMANDA VIENE SUSSURRATA IN VATICANO: SE IL PAPA DOVESSE AMMALARSI, COSA ACCADREBBE?” Dagospia il 26 novembre 2020. Esce oggi per Chiarelettere Il libro del Vaticano (pp. 1.164, 25,00), che raccoglie in una nuova edizione con testi inediti i cinque titoli di Gianluigi Nuzzi (Vaticano S.p.A, 2009; Sua Santità, 2012; Via Crucis, 2015; Peccato originale, 2017; Giudizio universale, 2019) che hanno svelato il volto sconosciuto della Chiesa, fatto di trame di potere, scandali sessuali, speculazioni finanziarie, incroci di mafia e massoneria, persino omicidi mai chiariti. Anticipiamo uno stralcio dell' introduzione.

Estratto del libro di Gianluigi Nuzzi, “il libro nero del Vaticano”, pubblicato da “la Stampa”. Questo libro racconta la storia della Curia romana, della capacità bulimica di sottrarre credibilità alla Chiesa con gli scandali e risorse finanziarie con il malaffare. Questo lavoro si basa unicamente su carte e testimonianze raccolte in dieci anni di inchiesta, partita nel 2008 con Vaticano S.p.A. e arrivata fino agli ultimi scandali che coinvolgono personaggi di primo piano, come il cardinale Becciu. Questo libro documenta, ricostruisce e analizza con migliaia di atti inediti la vita di quel mondo dei sacri palazzi rimasto fuori dallo spettro visivo di una stampa che - quantomeno fino al 2015-2016 - era fortemente orientata, protettiva nei confronti del Vaticano e dei suoi peggiori protagonisti. È un viaggio senza precedenti che intreccia fatti clamorosi di sangue, come l'omicidio di Emanuela Orlandi, morti sospette, come quella di Albino Luciani dopo trentatré giorni di pontificato, fino agli affari più subdoli portati avanti da cordate di spregiudicati porporati. È un'opera completa frutto non solo di un faticoso quanto necessario approfondimento, ma anche figlia del sacrificio di tante persone che pur di rendere noto quanto stava accadendo in Vaticano hanno corso dei rischi. È bene ricordare che per tutti questi saggi raccolti ora in un unico volume non è mai stato pagato un euro alle fonti informative che hanno collaborato cedendo segreti, storie, copie di documenti. Anzi, diversi di loro, da Paolo Gabriele, maggiordomo di Benedetto XVI, a monsignor Ángel Vallejo Balda, coordinatore della commissione d' inchiesta battezzata da Francesco nel 2013 per far luce proprio sui conti della Santa Sede, hanno accettato processo e carcere per aver reso noto fatti che, a differenza del loro agire, avrebbero meritato indagini e manette. Questa inchiesta - in altre parole - ha avuto anche un prezzo altissimo in termini di libertà personale, visto che alcune persone ne sono state private, dopo processi sommari che hanno avuto eco mondiale. Anche il sottoscritto, con il collega Emiliano Fittipaldi, è stato processato, sempre in Vaticano, uscendo prosciolto e assolto nel 2016 da accuse prive di fondamento, come quella di mettere a rischio la sicurezza economica della Santa Sede. Ma c'è anche da credere che questo atteggiamento oscurantista, con il processo a fonti e giornalisti che pubblicano notizie, sia ormai in declino. Per la famosa legge del contrappasso, nel 2017, infatti, avevo portato la prima copia del saggio Peccato originale (la quarta inchiesta ospitata in questo libro) al promotore di giustizia, Gian Piero Milano, che leggendolo ha deciso di aprire un' inchiesta su alcuni fatti denunciati, i presunti abusi ai danni dei chierichetti del Papa ospitati nel preseminario San Pio X, a palazzo San Carlo, in Vaticano. Così, dopo aver interrogato decine di persone, il promotore di giustizia ha disposto il processo contro i presunti responsabili, che si è aperto nell' ottobre del 2020. Per farlo celebrare è intervenuto direttamente papa Francesco che, con un provvedimento senza precedenti, nel luglio del 2019 ha tolto la prescrizione al reato di abusi sessuali contestato a uno dei sacerdoti chiamati in giudizio. Se quindi prima venivano processati i ladruncoli che borseggiavano i fedeli in San Pietro e i giornalisti che pubblicavano notizie fastidiose, oggi l' iniziativa giudiziaria assume uno spettro ben più ampio. Del resto è proprio papa Francesco che tante volte è intervenuto contro la corruzione nella Chiesa, ripetendo accuse che già Benedetto XVI lanciava contro chi abusa della tonaca per saccheggiare il patrimonio dei fedeli. Ecco che proteggere la salute del Papa diventa fondamentale. Per fortuna il gesuita argentino è accorto, cadenza la sua giornata a Santa Marta incontrando pochissime persone. Piazza San Pietro vuota. Papa Francesco nella sua stanza, pochissimi contatti con l' esterno. Il Covid che si aggira come uno spettro in Vaticano non guarda in faccia nessuno, colpisce scrivani, segretari, impiegati e monsignori, suore e vescovi, amici e nemici di Francesco. Una domanda viene sussurrata con gli occhi rivolti proprio alla residenza del Pontefice, è un interrogativo che crea profondo disorientamento: se il Santo padre dovesse ammalarsi, cosa accadrebbe? Cosa succederebbe alla Chiesa che sta vivendo il periodo di maggior difficoltà, il più complesso della storia contemporanea? La crisi che sta attraversando - una crisi della fede, soprattutto, acuita dagli scandali che hanno investito personaggi di rilievo - annuncerebbe un declino forse irreversibile. Per la più grande confessione cristiana al mondo, mai come oggi il Santo Padre assume un rilievo centrale. A lui è affidata la missione di rilanciare la Chiesa, invertendo quella spirale discendente ogni giorno più chiara a partire dal calo delle offerte e delle vocazioni. Solo immaginare un conclave in piena pandemia, con gli anziani cardinali che devono esporsi a viaggi intercontinentali e riunioni plenarie, è impensabile. Ma, soprattutto, l' opera di Francesco non può essere interrotta. Anche gli scandali, nati dalla compravendita di una grossa proprietà immobiliare a Londra, e ampiamente trattati dai media di tutto il mondo, segnano che ormai l' azione di Francesco colpisce persone ritenute a lui molto vicine nell' immaginario collettivo. A differenza di Wojtya e Ratzinger, Bergoglio ha mantenuto le deleghe temporali, teologiche ed evangeliche, caratterizzando fortemente questo pontificato, incentrato sulla sua figura. Se, ad esempio, Benedetto XVI aveva affidato a un nutrito gruppo di cardinali la gestione degli affari economici e finanziari, allontanandosi dalla quotidianità dei giochi di potere e quindi rimettendo alla segreteria di Stato la cura della salute della monarchia, Bergoglio, conscio dei disastri provocati e della situazione drammatica dei conti, studia, vigila e controlla in prima persona. Una posizione che ha necessariamente ridisegnato la mappa del potere interno.

Da corriere.it il 24 novembre 2020. È morto a 54 anni Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo di papa Benedetto XVI, che fu ribattezzato il «corvo» dello scandalo Vatileaks. L'uomo è deceduto alle 9.30 di lunedì mattina al Pronto soccorso del Policlinico Gemelli, dov'era arrivato per le conseguenze di una lunga malattia. Arrestato per avere passato al giornalista Gianluigi Nuzzi notizie e documenti trafugati dai cassetti papali, Gabriele, nella cui abitazione vennero ritrovate migliaia di fotocopie di documenti riservati, venne condannato dal Tribunale Vaticano a 18 mesi di reclusione nell’ottobre 2012 per il furto dei documenti e il 22 dicembre fu «graziato» dal Papa. Una volta scarcerato, l’ex aiutante di camera di Bergoglio, non ha più potuto risiedere né lavorare in Vaticano. La vicenda legata al trafugamento di documenti che è valso all’ex aiutante di camera l’appellativo di «corvo» è andata avanti con undici mesi di indagini. Oggetto dello scandalo fu la scoperta dell'esistenza di profonde divisioni e contrasti interni sugli indirizzi di governo del Vaticano e sulla gestione della sua banca (lo Ior, Istituto per le Opere di Religione). Il libro di Nuzzi «Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI», in particolare, riportava molti dei documenti privati del Papa. Pochi giorni dopo l’uscita del libro, l’allora portavoce vaticano padre Federico Lombardi annunciava che la Gendarmeria Vaticana aveva trovato un uomo in possesso di carteggi riservati del Papa e che aveva proceduto al suo interrogatorio e al suo fermo. L'uomo è risultato poi essere appunto Gabriele, aiutante di camera del Papa dal 2006.

Lucetta Scaraffia per il “Quotidiano Nazionale” il 23 novembre 2020. Domanda: per un cattolico normale, che non conosce né i cardinali né le complesse alchimie vaticane, cioè per quasi tutti noi, è più consolante sapere che ci sono stati gravi sperperi di denaro anche da parte di personaggi di primo piano, ma che ora coraggiosamente l'istituzione stessa fa pulizia (come appariva a chi avesse letto i giornali fino a qualche giorno fa), oppure che questa storia più che una coraggiosa denuncia è una vicenda sporca e confusa, piena di personaggi loschi e di coincidenze inspiegabili? Certo, ognuno di noi vorrebbe che fosse vera la prima ipotesi, e sarà forse per questo che i giornali nel loro complesso stanno ignorando le terribili e inquietanti notizie che la citazione a giudizio depositata dai legali del cardinale Angelo Becciu contro L'Espresso ha reso di pubblico dominio. Non pochi giornalisti hanno ripreso da quell'atto giudiziario solo un elemento che di per sé è ovvio: perdendo i diritti relativi al cardinalato Becciu non dovrebbe partecipare al conclave né come elettore né come potenziale eletto. Al fine di sbeffeggiarlo scrivendo che credeva di diventare papa… Forse sperando così di cancellare l'onta per il giornalismo italiano di avere pubblicata e presa per vera quella che potrebbe essere una clamorosa truffa, poi diffusa in tutto il mondo. Nella citazione legale infatti la prima 'narrativa', quella diffusa da L'Espresso e sollecitamente ripresa da non pochi media, è completamente rovesciata. Il cardinale non ha ricevuto avvisi di garanzia, né da parte del tribunale vaticano né da parte italiana. Ma il particolare più inquietante è che la notizia delle sue dimissioni, richieste come ormai è noto da papa Francesco durante l'udienza a Becciu iniziata alle 18.02 di giovedì 24 settembre, era stata anticipata da L'Espresso in due pagine web recanti il titolo «Si è dimesso»: una predisposta con 7 ore e 50 minuti di anticipo sugli avvenimenti; un'altra pubblicata online 2 ore e 18 minuti prima che il cardinale fosse ricevuto a Casa Santa Marta. Come facevano a saperlo, prima del cardinale stesso e forse perfino prima del Papa, il direttore del settimanale, Marco Damilano, e l'autore dell'inchiesta, Massimiliano Coccia? Sembrava molto ben informata di quello che sarebbe accaduto anche Geneviève Putignani, amica di monsignor Alberto Perlasca - coinvolto nell'indagine sul palazzo di Londra - che già da luglio aveva bersagliato il cardinale e un suo fratello con messaggi e telefonate minacciosi. In uno di questi specificava, addirittura fin dal 10 settembre, che Becciu avrebbe perso la carica fra il 15 e il 30 di quel mese. Tutti più informati del Papa stesso, si direbbe. Cosa sta succedendo in Vaticano? Ha il diritto di chiedersi ognuno di noi. Questa non sembra proprio un'operazione di pulizia e di trasparenza. Per ora nessuno ha risposto alla citazione dell'avvocato di Becciu, nessuno ha spiegato come mai molti sapevano prima del cardinale stesso e del Papa. E nessuno ha chiesto scusa per aver indicato come indagato una persona che non lo è. Se vogliamo trovare una buona notizia, dobbiamo guardare a monsignor Galantino, che qualche giorno fa, intervistato dal Tg2, ha assicurato a tutti i fedeli che nessuna somma di denaro destinata ai poveri è stata stornata per scopi illeciti. Ma allora? Certo tutti vorremmo che i soldi destinati ai poveri vadano a buon fine, ma non basta. Non c'è infatti solo la necessità di soccorrere i poveri. Esiste anche un'esigenza di verità e di giustizia, che non deve essere calpestata con tanta disinvoltura. Anche perché, se a queste domande non arriva una risposta seria e convincente, c'è il pericolo che soldi per i poveri non ne arrivino più.

Renato Farina per “Libero quotidiano” il 26 novembre 2020. Chi firma questo articolo è solo l'umile e stupefatto dattilografo a cui Radio 1 (Rai) ha offerto lo spettacolo giornalistico di un' intervista esemplare. Gianni Minoli che nell' ora canonica di Garcìa Lorca, alle cinque della sera (il Mix delle Cinque) ha chiamato alla sua Plaza de Toros la professoressa Lucetta Scaraffia. Durata cinque minuti e cinque secondi che se diffusi in mondovisione, o magari dalla Radio vaticana, potrebbero sconvolgere il mondo o, come minimo, il più piccolo Stato del mondo. Emerge nei suoi contorni precisi e nella sua sostanza, senza riccioli né morbidi distinguo, il caso del cardinal Angelo Becciu e delle sue dimissioni imposte dal Papa per indegnità. Quest' affaire era partito il 24 settembre dal sito internet dell'Espresso, ed era stato esposto alla contemplazione dell' opinione pubblica generale e soprattutto del popolo cattolico (1,285 miliardi di fedeli) il nome e il volto di un uomo come «ladro dei soldi del Papa destinati ai poveri». Ora però, dopo l'inchiesta di Vittorio Feltri su Libero, lo scandalo si è capovolto e ha due facce. La prima: trattasi in realtà di un linciaggio ordito contro un cardinale scomodo dall'interno delle mura vaticane, coinvolgendo la buona fede del Santo Padre. La seconda: il silenzio agghiacciante dell'unico giornalone italico e in fin dei conti internazionale. Nessuno dei coristi osa anche solo proporre ai lettori, cui aveva venduto l'anima maledetta del cardinale, un punto di domanda, almeno un "forse". C'è stata un'eccezione notevole, che abbiamo già segnalato. Su Qn, diretto egregiamente da Michele Brambilla, Lucetta Scaraffia ha aperto una breccia nel muro. Infine ieri è stata ospite da Minoli. Eccone la trascrizione.

Gianni Minoli: Lucetta Scaraffia, 72 anni, è stata insegnante di storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma, si è occupata del ruolo delle donne nella storia, ha diretto il mensile dell' Osservatore Romano "Donne, Chiesa e Mondo". Professoressa Scaraffia, che io sappia, oltre a Feltri su Libero, lei è l' unica giornalista che ha rotto il muro del silenzio sul caso Becciu. Ma perché un muro così impenetrabile?

Lucetta Scaraffia: Guardi, non lo so, mi ha molto stupita, perché in realtà quando è uscita la prima denuncia al cardinale Becciu su l'Espresso tutti i giornali l'hanno ripresa, mentre invece il dubbio che è stato seminato da Feltri non è stato ripreso da nessuno. Questo fa un po' dubitare che la libertà di stampa in Italia abbia dei limiti.

Minoli: In realtà il cardinale Becciu, screditato sulla stampa di tutto il mondo, non ha nemmeno ricevuto un avviso di garanzia da nessuno. Come si spiega un'operazione così violenta, si è fatta un'idea?

Scaraffia: La mia idea è che c'è sotto qualcosa di grosso, non so che cosa ovviamente. È chiaro che il cardinale è stato scelto come capro espiatorio per nascondere qualcosa di grosso e dare un' idea del Vaticano, rinfrescare l'immagine del Vaticano, diciamo così, come luogo dove si fa giustizia colpendo anche le cariche più alte.

Minoli: L'Espresso ha scritto che Becciu si era dimesso, lo ha scritto sette ore e cinquanta minuti prima che il cardinale addirittura incontrasse il Papa, una magia giornalistica praticamente.

Scaraffia: Sì, suppongo che non lo sapesse ancora neanche il Papa, quindi questo mi ha stupito tantissimo e chiaramente questa è una coincidenza che fa pensare a un complotto.

Minoli: Quando le è venuto il dubbio che più che di una coraggiosa denuncia quella contro Becciu sia una vicenda sporca e confusa? Appunto, quando ha visto le sette ore e cinquanta minuti?

Scaraffia: Sì, quello mi ha veramente convinta che c'era qualcosa di losco in questa storia, e poi il silenzio con cui tutto questo è stato accolto mi ha confermato.

Minoli: Perché quasi tutti i media del mondo hanno ripreso invece degli atti giudiziari, che ci sono, solo il fatto che Becciu, degradato, non potrà partecipare al Conclave né come elettore né come potenziale eletto?

Scaraffia: Sì, questa era una ovvietà però è stata ripresa sempre contro Becciu, per prenderlo in giro, è un aspetto ancora di questo attacco all' immagine del cardinale.

Minoli: Professoressa Scaraffia, i media potrebbero aver preso per vera, nella migliore delle ipotesi, quella che potrebbe essere invece solo una clamorosa truffa.

Scaraffia: Questo è evidente, mi stupisce che i media poi non si siano domandati quando la truffa è stata poi rivelata da queste date, da queste coincidenze sbagliate e che non abbiano detto andiamo a vedere cosa c' è dietro. Il silenzio che è succeduto agli articoli fa pensare che i media non abbiano nessuna intenzione di rivedere quello che avevano già scritto.

Minoli: Anche in Vaticano nessuno ha chiesto scusa per avere indicato come indagata una persona che non lo è. Anche lì, spiegazioni poche.

Scaraffia: Sì, nessuna spiegazione e poi una evidenza, che evidentemente tutto 'sto materiale è uscito dal Vaticano.

Minoli: Lei scrive: «Esiste un'esigenza di verità e giustizia che non deve essere calpestata con tanta disinvoltura». Quindi neanche dal Vaticano, che invece la sta calpestando.

Scaraffia: Bé, sì, il Vaticano ha messo avanti una esigenza vera dei fedeli che è quella di dire i soldi che diamo per i poveri devono arrivare ai poveri. Contro la corruzione. Però né ci sono solo i soldi, né ci sono solo i poveri, c'è anche il bisogno di sapere la verità. E che ogni essere umano, cardinali compresi, siano trattati con giustizia.

Minoli: In tutta questa storia, il Papa può essere stato ingannato e portato fuori strada volutamente, suo malgrado, fino a questo punto?

Scaraffia: Io voglio pensare quello naturalmente, io sono una cattolica e penso che il Papa sia stato anche lui, diciamo così, ingannato, attraverso questa uscita di fonti, queste cose, sia stato ingannato. Spero che adesso, se non lo fanno i giornali italiani, di riflettere sulla situazione, di voler vedere con più chiarezza quello che è successo, spero lo voglia fare il Papa.

Minoli: Un'ultima cosa: siamo solo, quindi, secondo lei, alla prima puntata di questa incredibile e orrenda telenovela.

Scaraffia: Sì, non è la prima, lei sa che da quando è successo il caso del povero Paolo Gabriele (il maggiordomo di Benedetto XVI condannato e poi graziato dallo stesso per la fuga di documenti riservati, nota come Vatileaks 1, ndr) che è morto ieri, in Vaticano non fanno più uscire notizie stranissime, escono dal Vaticano che fanno parte di una guerra, ormai la stampa è diventata la mano armata delle guerre interne al Vaticano.

Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera” il 18 novembre 2020. Il denaro della Santa Sede alla cooperativa presieduta dal fratello Antonino? «Nessuna elargizione a lui, i 600 mila euro sono stati erogati a favore della Caritas di Ozieri (la diocesi di origine del cardinale Angelo Becciu, ndr ), regolarmente valutati da una commissione e dal cardinal Angelo Bagnasco»; i lavori di falegnameria dati all'altro fratello, Francesco, in Angola, dove il cardinale è stato nunzio apostolico? «Poca cosa e per nulla remunerativa, il cardinale ha preferito il fratello in virtù del rapporto di fiducia»; i favori a un terzo fratello, Mario, produttore di birra? «Il finanziamento non ha nulla a che vedere con la Santa Sede, trattandosi di somme elargite dall'imprenditore angolano Antonio Mosquito». E poi l'investimento fallimentare nel palazzo londinese di Sloane Avenue («Fu gestito da Tirabassi e monsignor Perlasca e approvato dai superiori») e il caso di Cecilia Marogna («Soldi destinati a finalità umanitarie»). La versione del cardinale Angelo Becciu, dimesso da prefetto della Congregazione per le cause dei santi lo scorso 24 settembre al termine di un drammatico incontro con papa Francesco, è in un documento depositato lunedì scorso al Tribunale civile di Sassari a firma dell'avvocato Natale Callipari, che lo assiste. Si tratta di un atto di citazione al settimanale Espresso , il giornale che per primo aveva dato la notizia delle dimissioni, al quale il cardinale chiede 10 milioni di danni «da destinare a opere di carità». L'ipotesi di partenza è roboante: «L'articolo, anticipato al Santo Padre, è stato la causa della richiesta di dimissioni», scrive il legale. Possibile che non ci fosse nient' altro, avvocato? «Abbiamo ricostruito ogni passaggio». Callipari mette poi in fila le conseguenze dello scandalo: «Non può partecipare a un Conclave e alle riunioni dei cardinali, ha perso il proprio ufficio presso il Sovrano Ordine di Malta...». E infine la chance sfumata: «Grazie al suo curriculum poteva risultare fra i papabili».

Maria Antonietta Calabrò per huffingtonpost.it l'1 dicembre 2020. Ieri sera, prima domenica d’Avvento, Papa Francesco ha telefonato a casa a monsignor Angelo Becciu. Dopo lo scoppio dello scandalo del Palazzo di Londra e le “dimissioni” dai diritti e doveri del cardinalato, un colpo di scena. Forse. Sicuramente, un’iniziativa che ha aperto il cuore all’arcivescovo sardo, così ha raccontato, “visto che i pensieri del Santo Padre, sono stati ben altri da quelli dei giornalisti”. La chiamata da Casa Santa Marta è arrivata al termine di un fine settimana duro per Becciu caratterizzato in Vaticano dal nuovo Concistoro (la creazione dei nuovi cardinali), cui sua eminenza, vista la sanzione che gli è stata comminata a fine settembre dal Papa in persona, non ha potuto partecipare (come, allo stato, non potrà partecipare ad un futuro Conclave) . In più il Papa nel Concistoro aveva avuto parole dure nei confronti di chi è un’eminenza ma sbanda e finisce “fuori strada”. Ma il Vangelo di Marco letto durante la celebrazione - ha sottolineato il Papa nella sua omelia - mostra non solo i discepoli che fanno a gara a chi è più grande ma anche l’atteggiamento di Gesù che - come ha ricordato Francesco - non si arrabbia, ma con pazienza, educa gli apostoli non a sbandare, ma a seguirlo su quella strada che lo porterà a Gerusalemme e alla morte in croce. Del resto nell’ultimo libro del Pontefice che esce proprio domani in tutto il mondo ( e in Italia per Piemme -Il quotidiano La Repubblica “Ritorniamo a sognare”) racconta della sua esperienza di governo da provinciale gesuita, lui si era comportato in modo molto duro e a causa di quel suo stile di governo, gli venne imposta “ una speciale quarantena — un anno, dieci mesi e tredici giorni — trascorsa all’inizio degli anni Novanta in una residenza gesuita a Córdoba, in obbedienza ai superiori”. «La cosa più strana» in quella circostanza, annota Francesco nel libro, è stata la lettura dei trentasette tomi della Storia dei Papi di Ludwig von Pastor:  «Avrei potuto scegliere un romanzo, qualcosa di più interessante. Da dove sono adesso mi domando perché Dio mi avrà ispirato a leggere proprio quell’opera in quel momento. Con quel vaccino il Signore mi ha preparato. Una volta che conosci quella storia, non c’è molto che possa sorprenderti di quanto accade nella curia romana e nella Chiesa di oggi. Mi è servito molto!». Insomma anche Bergoglio a suo tempo subì una quarantena imposta per disciplina, ma da una crisi, si può uscire migliori. “ Ne ho imparato che soffri molto, ma se lasci che ti cambi ne esci migliore. Se invece alzi le barricate, ne esci peggiore», ha scritto il Pontefice. Del resto, l’Avvento è il tempo della speranza.

Lo stupefacente attacco di Becciu a L'Espresso (e al Papa). L'ex cardinale querela il nostro giornale accusandolo di aver influenzato Francesco nella decisione di licenziarlo. Marco Damilano su L'Espresso il 18 novembre 2020. Angelo Becciu ha fatto arrivare oggi da parte dei suoi legali un atto di citazione nei confronti dell'Espresso, con la richiesta di risarcimento di dieci milioni di euro. Come cittadino italiano ne ha piena facoltà, sarà un tribunale a decidere sul merito e questo giornale non ha nulla da temere. Siamo sicuri di aver compiuto il nostro lavoro e il nostro dovere di informazione, con correttezza e professionalità, consapevoli della eccezionale rilevanza pubblica della questione. Ma Angelo Becciu non è un cittadino comune, come recita la prima riga dell'atto. Si qualifica come Sua Eminenza Reverendissima cardinale Giovanni Angelo Becciu. È un cardinale della Chiesa cattolica, residente in Vaticano, che querela un giornale italiano sentendosi diffamato. Ancora più stupefacenti le motivazioni che il cardinale Becciu espone per spiegare la sua decisione. I lettori conoscono bene la storia: giovedì 24 settembre, due mesi fa, alle ore 18 il cardinale, in quel momento prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco. Poco più di due ore dopo, alle ore 20.20, l'Ansa ha dato la notizia che Becciu si era dimesso dalla carica curiale e perfino dal cardinalato, annunciata un'ora prima dal bollettino vaticano, aggiungendo che «la decisione del Papa è stata comunicata poco fa dallo stesso Bergoglio a Becciu in una udienza choc». Intanto era in preparazione l'uscita del nostro settimanale per la domenica successiva, con la copertina con il titolo “Fuori i mercanti dal tempio” e l'inchiesta di Massimiliano Coccia sullo scandalo vaticano. Nessuno sa cosa si siano detti il Papa e il cardinale in quell'udienza, a eccezione di loro due. Almeno fino a oggi, quando è arrivato l'atto di citazione. I legali di Becciu affermano di voler procedere contro l'Espresso perché «una copia dell'Espresso era in mano al Santo Padre ed era la copia che costui aveva in mano al momento del “licenziamento”». “Costui” è il Papa in persona: così si riferisce al Papa un cardinale da lui creato che gli ha promesso fedeltà “usque ad sanguinis effusionem”, fino all'effusione del sangue, come recita la formula del giuramento. Invece, per il cardinale Becciu, il romano pontefice, successore dell'apostolo Pietro, vicario di Cristo, sarebbe una persona suggestionabile, influenzabile, facilmente condizionabile al tal punto che basta un articolo giornalistico per fargli capovolgere il giudizio su un suo uomo di fiducia. Siamo consapevoli del nostro lavoro e orgogliosi di esercitarlo con piena libertà e autonomia, ma questa sembra un'enormità che da sola descrive la drammaticità dello scontro in atto in Vaticano e l'entità della posta in gioco. Se infatti un cardinale importante come Becciu non esita a trattare in pubblico il Papa in questo modo, cosa resta poi da aggiugere? C'è un salto logico in questo ragionamento: se il cardinale possiede il curriculum così puntigliosamente riportato nel documento dei suoi legali e un'immagine specchiata, per quale motivo Papa Francesco ha deciso di credere a un'inchiesta giornalistica e non a lui? Inoltre, era stato lo stesso cardinale Becciu a fornire una versione completamente diversa dei fatti. In pubblico, durante la conferenza stampa di venerdì 25 settembre, dopo il licenziamento. «Il Papa mi ha detto di aver avuto la segnalazione dei magistrati che avrei commesso peculato. Dalle carte, dalle indagini fatte dalla Guardia di finanza italiana emerge che io abbia commesso il reato di peculato», disse in quell'occasione. Perché ora ha cambiato idea? Perché due versioni così diverse su un momento così delicato come l'udienza con il Papa che lo ha costretto a dimettersi? Forse il cardinale dovrebbe farsi queste domande, invece di accanirsi su chi ha condotto un'inchiesta giornalistica solida e ben documentata. Sul merito, sarà il tribunale a stabilire dove sia la verità dei fatti. C'è da aggiungere, in conclusione, che i legali del cardinale Becciu quantificano l'entità del risarcimento alludendo alla cosiddetta chance, la «effettiva occasione di conseguire un determinato bene»: ovvero «la circostanza che il cardinale, sulla base del proprio prestigioso curriculum e in virtù del citato percorso, ben avrebbe potuto risultare tra i Papabili». Così il cardinale svela la sua ambizione. E l'Espresso viene accusato di condizionare non solo il Papa in carica ma anche lo Spirito Santo che avrebbe potuto scegliere Becciu come suo successore, se non fosse intervenuto un articolo a bloccarne l'ascesa. Il soglio di Pietro, per la prima volta, viene valutato: dieci milioni di euro. Verrebbe da dire al cardinale, con l'antico adagio, di non scherzare con i santi. Ma di santi se ne vedono pochi in giro, in questa storia. E di questa storia continueremo ad occuparci, nonostante la chiara volontà di intimidazione di un cardinale che si comporta, anche in questo caso, come il più spregiudicato dei fanti.

Angelo Becciu è stato incastrato? Sacro imbroglio in Vaticano, Vittorio Feltri: le carte che assolvono il cardinale. Ombre su Papa Francesco. Libero Quotidiano il 19 novembre 2020. Il cardinale Angelo Becciu è stato incastrato? Accusato di aver rubato le elemosine in Vaticano, non risulta indagato: stando alle carte in possesso di Libero, i soldi servivano infatti a liberare persone vittima di rapimento. E non solo: L'Espresso diede conto delle sue dimissioni da cardinale ben 7 ore e 50 minuti prima dell'incontro con Papa Francesco, un faccia a faccia decisivo per il passo indietro, voluto da Pontefice: una magia, quella dell'Espresso? A scrivere del "sacro imbroglio", su Libero in edicola oggi, giovedì 19 novembre, è Vittorio Feltri. Più di un sospetto: qualcuno ha incastrato il porporato, portando a Bergoglio l'inchiesta dell'Espresso e innescando il meccanismo che portò alle dimissioni di Becciu. Una vicenda oscura, con troppi aspetti poco limpidi e molti misteri.

Renato Farina per “Libero quotidiano” il 2 dicembre 2020. Che cosa accade dentro le Mura Leonine a proposito del caso Becciu? Si palpa un silenzio carico di presagi. L' Espresso, portavoce unico delle carte avvelenate, è stato tenuto a digiuno. Dopo settanta giorni di mitraglia, è rimasto senza cartucce. È comprensibile, dopo che le bombe cartacee che aveva depositato nel suo archivio gli sono esplose sotto i piedi grazie alla contro-inchiesta di Vittorio Feltri su Libero (18, 19 e 20 novembre). Stiamo parlando - per coloro cui fossero sfuggite le puntate precedenti - del cardinale Angelo Becciu, 72 anni, già sostituto della Segreteria di Stato (numero 3 della Santa Sede) e prefetto per le Cause dei Santi, privato dei suoi diritti e costretto alle dimissioni dalle sue cariche il 24 settembre scorso alle ore 18 e 25, dopo una drammatica udienza con il Papa. Al quale erano state accreditate come verità evangeliche e prove giuridicamente inconfutabili i documenti dell' Espresso contro il prelato sardo, impiccato da quelle carte come predatore dei soldi destinati ai poveri onde deviarli verso i propri parenti voraci. Niente di tutto ciò è accaduto, come ora riconosce l' autorità economica del Vaticano, l' arcivescovo Nunzio Galantino. Resta da capire chi e come abbia potuto tendere una simile trappola. Dopo che Libero ha potuto provare che accuse farlocche sono state messe a disposizione di un falsario certificato per tale dal Tribunale di Roma. Di certo, da dentro i Palazzi apostolici non si sono mosse nuove carte spedite all' Espresso da manine unte dal sacro crisma. Si è interrotto il canale by Vatican City. E così il settimanale diretto da Marco Damilano, dopo la cilecca rimediata nel numero precedente, ha girato i suoi cannoni da un' altra parte. La contro-inchiesta di Libero ha trovato eco in Qn diretto da Michele Brambilla, quindi su Radio 1 Rai grazie a Giovanni Minoli con un' intervista a Lucetta Scaraffia, e sul sito korazym.org. Ma è stata ampiamente censurata dall' universo internazionale dei mass-media politicamente corretti che aveva bevuto come oro colato la fake news, un vero e proprio assassinio morale (character assassination) del cardinale, che ha avuto però la consolazione di una telefonata di Francesco il 29 novembre, prima domenica di Avvento. In attesa che bersaglieri laici cerchino di riaprire una nuova breccia di Porta Pia nel muro dell' omertà difeso dagli zuavi vaticani, segnaliamo:

1. la Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano conservatore tedesco di forte prestigio, che a firma di Matthias Rüb ha cominciato a sollevare ampi dubbi sul caso Becciu, citando Vittorio Feltri e il legale Natale Callipari.

2. Fresca di stampa e rintracciabile sul web è la corrispondenza da Roma della Voce di New York. Nicola Corradi fornisce ai lettori italo-americani un quadro chiaro della vicenda la cui unica certezza è oggi la fotografia delle tenebre e delle opacità da cui è stretto Francesco. Titolo: «Francesco e il "caso" Becciu: il cardinale messo alla gogna potrebbe essere la vittima». Sommario: «Costretto alle dimissioni dal Papa per una "inchiesta" pubblicata dall' Espresso poi querelato. Emergono particolari sospetti e non è da escludere la montatura».

Scrive Corradi: «Per qualche settimana la notizia sembra avviarsi verso un assurdo cono d' ombra, fino a quando, sulle pagine di Libero, Vittorio Feltri torna a scrivere del caso. Lo fa con articoli puntuali, precisi e dettagliati, sollevando questioni alle quali è necessario venga data una risposta. Con una contro-inchiesta prova a riabilitare la figura di Becciu. In particolare, Feltri pone all' Espresso 12 domande. Agli articoli di Libero, però, non segue il clamore mediatico che aveva accompagnato le accuse mosse a fine settembre da parte del settimanale di Damilano. Anzi, tutto tace. Alla stampa pare che la vicenda non importi più. O, forse, sono le nuove pieghe assunte dai fatti ad aver allontanato l' interesse dei media». Eccole, le « nuove pieghe». La telefonata del Papa a Becciu con parole «ben diverse da quelle dei giornalisti». E il brusio dentro le Mura: «Qualcuno inizia a parlare di complotto, una congiura ideata dagli alti membri del conclave, in accordo con i giornalisti dell' Espresso, per mettere fuori gioco un collega con alti incarichi all' interno delle mura di San Pietro». La conclusione: «La storia non finirà qui. Anzi, questo sembra essere soltanto uno dei primi capitoli di una serie che potrebbe scuotere dalle fondamenta le rigide istituzioni del Vaticano». Vedremo.

Vittorio Feltri per Liberoquotidiano.it il 10 dicembre 2020. Pare che i magistrati vaticani abbiano finalmente individuato il gravissimo reato di cui si sarebbe macchiato il cardinale Angelo Becciu, bruscamente silurato da papa Francesco lo scorso 24 settembre. Tenetevi forte, perché, quando mi è stata riferita la circostanza, ho temuto di avere un problema otologico: «Offesa al Re». Proprio così, Re, con tanto di maiuscola. L'indiscrezione, uscita come al solito dal Vaticano, circola con insistenza in queste ore. Il mio dovere di cronista m' impone di riferirla, sia pure con notevole sprezzo del ridicolo. È evidente infatti che qui non siamo più in ambito giudiziario, bensì teatrale: farsa o vaudeville, fate voi. Lo so, vi starete chiedendo anche voi, insieme a me: ma l'ultimo Papa Re non fu Pio IX, che vide crollare lo Stato Pontificio a Porta Pia, sotto i colpi dei bersaglieri, nel 1870? E da allora l'unico "In nome del Papa Re" non si udì nel film con Nino Manfredi, girato a più di un secolo dalla fine del potere temporale del Pontefice? Nossignori. Becciu sarebbe stato incriminato in base all'articolo 122 del codice penale del Regno d'Italia, il quale è tuttora una delle fonti del diritto nello Stato della Città del Vaticano. Ve lo trascrivo: «Chiunque, con parole od atti, offende il Re è punito con la reclusione o con la detenzione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinquecento a cinquemila». In valuta attuale, farebbero 2,58 euro, nella peggiore delle ipotesi. Applicheranno l'indice di rivalutazione monetaria dell'Istat? Dopo che questo giornale ha svelato il sacro intrigo ai danni del cardinale Becciu, era logico attendersi la reazione dei complottisti. E chi, se non la solita manina che agisce da sempre all'ombra del Cupolone, poteva loro fornire nuove cartucce? Ecco, nelle ultime ore gira voce che il porporato sia finalmente in procinto di ricevere, o forse abbia già ricevuto, quell'avviso di garanzia per peculato che tutti i giornali hanno dato per certo fin dall'inizio, cioè da quasi tre mesi, ma che finora non era mai stato emesso e di cui l'attuale indagato nulla sapeva. Già che c'erano, e giusto per non dar torto all'Espresso, i promotori di giustizia (parola grossa) del Tribunale vaticano avrebbero comunque deciso di spingersi oltre nel compulsare il codice firmato dal ministro Zanardelli nel 1889, e così al ridicolissimo 122 sembra abbiano aggiunto gli articoli 168, 175 e 176, che riguardano rispettivamente il peculato, l'abuso d'ufficio e l'interesse privato. Certo, se si fossero presi la briga di leggere anche le 73 pagine dell'atto di citazione depositato per conto del cardinale Becciu fin dal 16 novembre scorso presso il Tribunale di Sassari, avrebbero trovato elencate pignolescamente tutte le risposte a queste tre ipotesi di reato, prove inconfutabili che dimostrano come il porporato non abbia commesso nessuno degli ignominiosi illeciti finanziari che i suoi detrattori gli hanno cucito addosso. Ed è scandaloso che nessun giornale italiano, dico nessuno, a parte Libero, si sia sentito in dovere di esaminare le prove addotte dal porporato a propria difesa. Se questo imbroglio vaticano non è una congiura, ditemi voi che altro è. Ma interessarsi alle ragioni del cardinale Becciu avrebbe costretto gli zelanti pm circonfusi d'incenso a smontare, al pari dei giornalisti amici del giaguaro, l'infernale tritacarne mediatico messo in piedi da Marco Damilano, il direttore dell'Espresso che da 18 giorni si rifiuta di rispondere alle 12 domande postegli da Libero (ovvio: non può, non ne è capace), con la collaborazione di tale Massimiliano Coccia, un tizio dai trascorsi a dir poco equivoci, mai stato iscritto all'Ordine dei giornalisti, attualmente assegnato in prova ai servizi sociali per ordine del Tribunale di Roma. L'autore della pseudo inchiesta al gusto di velina si era già macchiato in passato del reato punito dall'articolo 476 del nostro codice penale (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici). Mica male come referenza professionale. Sono proprio questi due, Damilano e Coccia, insieme con il gruppo editoriale Gedi, a essere stati chiamati in causa da Becciu, con una richiesta di risarcimento dei danni pari a 10 milioni di euro, da devolversi in opere di carità. E sono sempre loro a non aver mai chiarito alcuni particolari decisivi: è vero o non è vero che alle ore 10.12 del 24 settembre, con 7 ore e 50 minuti di anticipo sull'udienza in cui Francesco fece dimettere il cardinale, sul sito dell'Espresso fu creata una pagina con il titolo «Si è dimesso»? Come faceva il settimanale a conoscere ciò che il Papa non aveva ancora comunicato al diretto interessato? Qualcuno lo aveva informato di ciò che sarebbe accaduto? Chi? È vero o non è vero che alle ore 15.44 dello stesso 24 settembre fu pubblicata sul medesimo sito una pagina con il titolo «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso»? Come fece L'Espresso a divulgare questa notizia ben 2 ore e 18 minuti prima che cominciasse l'incontro fra il Papa e il cardinale? Naturalmente, mai aspettarsi troppo da promotori di giustizia arrivati non si sa come in Vaticano, uno dei quali tiene da una quindicina di giorni sulla sua scrivania una trentina di domande della nostra Brunella Bolloli: dopo aver chiesto che gli venissero formulate per iscritto, si è guardato bene dal rispondere, da buon emulo del taciturno Damilano. Sì, strane cose accadono in quel sacro organo di giustizia, presieduto da un ex procuratore capo dello Stato italiano che collabora abitualmente con Repubblica (quotidiano edito guarda caso dallo stesso gruppo che pubblica L'Espresso), congedatosi dai ruoli della magistratura tricolore con l'inchiesta denominata Mafia Capitale, nella quale, sempre guarda caso, uno dei succitati promotori di giustizia ora al servizio del Papa difendeva i ben più prosaici interessi di uno dei principali imputati, il famoso Salvatore Buzzi. E che dire del fatto che lo stesso ex procuratore capo, oggi presidente del Tribunale vaticano, non disdegnava di presentare un suo libro facendosi intervistare a Radio Radicale dal falsario Coccia? Come sosteneva Agatha Christie, che di gialli se ne intendeva, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, o no? E sempre a proposito di indizi ormai divenuti prove grazie al nostro giornale, come mai il Tribunale vaticano ha insabbiato l'esposto presentato da Enrico Rufi, giornalista di Radio Radicale, al quale il Coccia, inventandosi l'identità di un prete che non esiste, don Andrea Andreani, promise di fungere da intermediario per fagli ottenere un'udienza da papa Francesco, dopo che Rufi aveva perso tragicamente la figlia di 16 anni al ritorno dal viaggio in Polonia per la Giornata mondiale della gioventù? Si mosse persino il ministro della Giustizia del Vaticano, che da quelle parti si chiama prefetto della Segnatura Apostolica, il cardinale Dominique Mamberti, per segnalare a Bergoglio che in Vaticano impazzava un mitomane di nome Coccia. Lo stesso Mamberti assicurò per iscritto a Rufi, a proposito di quella denuncia tuttora inevasa: «Sia sicuro che non l'ho dimenticata». Lui magari no, ma i magistrati della Santa Sede di sicuro sì. E qui siamo al punto cruciale di tutta questa farsa. Posto che il Tribunale vaticano non lavora per la giustizia - il caso Coccia ne è un drammatico esempio - ma solo per assurgere all'onore della ribalta, ci si chiede come sia possibile che abbia trascinato la figura del Sommo Pontefice nella formulazione di un'ipotesi di reato, quella di cui si diceva all'inizio, che grida vendetta al buon senso prima che al cielo: «Chiunque, con parole od atti, offende il Re» eccetera eccetera. Quando, come e in quali forme il cardinale Becciu si sarebbe macchiato di questa ridicolissima colpa? In attesa che saltino fuori le prove, se mai ce ne sono, non resta che procedere per congetture. L'unica persona ad avere accusato il porporato sardo di una simile infamia è tale Genoveffa Cifferi Putignani, che si firma Geneviève, forse perché ritiene che il nome alla francese le conferisca maggiore credibilità, e che va dicendo in giro di aver lavorato per i servizi segreti. Con telefonate e messaggi minatori, la signora aveva pronosticato a Becciu (e persino a suo fratello Mario) la perdita della berretta cardinalizia «fra il 15 e il 30 settembre», perché a suo dire egli non aveva convinto il Papa a reintegrare monsignor Alberto Perlasca, l'economo della Segreteria di Stato licenziato da Francesco per lo scandalo dell'investimento immobiliare londinese. Non contenta, la Ciferri lo scorso 22 novembre, dopo che Libero aveva scoperto i suoi altarini, era corsa a sfogarsi con La Verità, che le ha attribuito in un titolone questa frase: «Becciu bestemmiava e insultava il Papa». E nel testo quest' altra: «Bestemmiava Dio e urlava contro il Papa». Ma dài! Ora, sarà perché a me scappa davvero qualche moccolo quando qui in redazione mi fanno incazzare o l'Atalanta perde, da umile battezzato, benché ateo praticante, mi chiedo: ma bestemmiare il Principale non è infinitamente più grave che insultare il suo amministratore delegato, cioè Bergoglio? E allora perché scomodare l'articolo 122 sull'offesa al Papa Re quando semmai Becciu meriterebbe di essere spretato per empietà? Misteri della fede. Per tornare alle cose serie, ma davvero il Tribunale vaticano può essersi mobilitato sulla base delle farneticazioni di un'anziana signora, probabilmente invaghita del monsignore, che va a spifferare consimili deliri ai gazzettieri? Andiamo! C'è da mettersi a piangere se i miei colleghi sono scesi così in basso da raccogliere le stronzate di una tizia che Dagospia classificherebbe senza incertezze come svalvolata. Eppure a questo siamo arrivati. Non soltanto La Verità, foglio fieramente antibergogliano, ha dato credito alla schiodatella, l'ha fatto pure L'Espresso, il cui direttore è ormai abituato a rifugiarsi sotto la candida veste di Francesco, con la benedizione della firma più nobile del settimanale che fu di Arrigo Benedetti, quell'Eugenio Scalfari che vorrebbe convertire il Pontefice e dunque va a fargli visita un giorno sì e uno no a Casa Santa Marta. Nel numero in cui Damilano avrebbe dovuto, ma non ha saputo, rispondere alle 12 domande di Libero - intanto sull'inchiesta del falsario Coccia è sceso il pietoso velo del silenzio - è addirittura apparsa un'intera pagina a firma Geneviève Ciferri Putignani, nella quale la signora ha reiterato nero su bianco i suoi spropositi: «Confermo che, nel corso dell'incontro, intercalò più volte in modo blasfemo, ed espresse valutazioni irriguardose verso la persona del Pontefice, del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, di S. E. il Sostituto Edgar Peña Parra, e valutazioni di merito negative nei confronti della natura del Tribunale Vaticano, e nei confronti dei Magistrati vaticani titolari dell'inchiesta, con particolare biliosità rivolta maggiormente verso il magistrato Dott. Alessandro Diddi». Che spettacolo. «Venghino, signori, venghino: più gente entra, più bestie si vedono», come urlava il buttadentro del circo dei 7 Fratelli Pivetta. L'ultimo dei nominati dalla mitomane, sempre guarda caso, potrebbe essere proprio colui che ora ha formulato la surreale imputazione di «offesa al Re». A me pare che qua sussista un'unica offesa: all'intelligenza. Il più grave dei delitti. Infatti la sola fonte di questa accusa, la predetta Genoveffa Ciferri Putignani, in arte Geneviève o alias Mata Hari, risulta attualmente denunciata alla Procura della Repubblica di Roma, insieme con La Verità e con L'Espresso, per diffamazione aggravata a mezzo stampa. E ora lasciate che un miscredente quale sono si rivolga all'unica Autorità morale che da sempre riconosce sulla faccia del pianeta: il Papa. Santità, ma a lei, che passa addirittura per comunista, quale effetto fa vedersi sprofondare in una vicenda tanto grottesca da aver trasformato la sua augusta persona in una marionetta, nel fantasma di Luigi XVI? Dica alle toghe che ha dintorno di darsi una calmata. Il giustizialismo porta alla ghigliottina. Adesso che l'hanno promossa a monarca assoluto, la prospettiva dovrebbe inquietarla. Non dimentichi mai che coloro i quali oggi fingono di difenderla sono i degni eredi dei senzadio che tentarono di scaraventare nel Tevere la salma di Pio IX, l'ultimo Papa Re.

Maria Antonietta Calabrò per huffingtonpost.it il 27 novembre 2020. Nuovo punto di svolta dell’ultimo scandalo finanziario vaticano, quello relativo all’acquisto dell’immobile di Sloane Avene 60 a Londra. Con una decisione datata 15 ottobre, ma depositata nei giorni scorsi, il Tribunale federale svizzero ha deciso che il Vaticano ha diritto a ottenere tutta la documentazione bancaria relativa alla cassaforte di Lugano del finanziere Enrico Crasso, l’uomo che per decenni ha amministrato i fondi riservati della Segreteria di Stato , cioè alla Az Swiss & Partners. Az è una fiduciaria ticinese controllata al 51 per cento da Azimut, una società italiana di gestione di fondi quotati in borsa. Crasso, dopo aver lasciato il Credit Suisse nel 2014, si era messo in proprio creando a Lugano la sua impresa, la Sogenel Capital Holding, venduta nel 2016 ad Az Swiss & Partners. Per meglio comprendere le transazioni finanziarie che si sono svolte in relazione agli investimenti della Segreteria di Stato, la Santa Sede aveva presentato quasi un anno fa (dicembre 2019) una rogatoria concernente la società di Crasso. La richiesta è stata accettata dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC) nel giugno scorso (2020) ma la fiduciaria si è opposta, rifiutando l’invio di una parte dei documenti. Il 15 ottobre 2020, il Tribunale penale federale ha respinto il ricorso, di cui ha dato per primo notizia il settimanale elettronico svizzero specializzato in reati finanziari Gotham City. Adesso tutta la documentazione di Az verrà trasferita in Vaticano. Nella motivazione della decisione - visionata da Huffpost - il Tribunale svizzero ha spiegato che la finanziaria di Crasso Az voleva consentire la trasmissione soltanto di una piccola parte della documentazione ma che questa disponibilità è stata ritenuta insufficiente prima da MPC e poi dallo stesso Tribunale “vista la natura dei reati contestati agli indagati, di trasmettere tutta la documentazione litigiosa” .

Necessità di consegnare al Vaticano la documentazione completa. Il Tribunale spiega: “Da consolidata prassi, quando le autorità estere chiedono informazioni per ricostruire flussi patrimoniali di natura criminale si ritiene che necessitino di regola dell’integralità della relativa documentazione, in modo tale da chiarire quali siano le persone o entità giuridiche coinvolte (v. DTF 129 II 462 con-sid. 5.5; 124 II 180 conidi. 3c inedito; 121 II 241 consid. 3b e c; sentenze del Tribunale federale 1A.177/2006 del 10 dicembre 2007 consid. 5.5; 1A.227/2006 del 22 febbraio 2007 consid. 3.2; 1A.195/2005 del 1° settembre 2005 in fine; sentenza del Tribunale penale federale RR.2019.257 del 12 febbraio 2020 con-sid. 2.1). Lo Stato richiedente dovrebbe in linea di principio essere informato di tutte le transazioni effettuate attraverso i conti coinvolti. Si tratta di quei conti, come nel caso in esame, suscettibili di un utilizzo con finalità criminali. L’autorità richiedente ha un interesse a essere informata di qualsiasi transazione che possa far parte del meccanismo delittuoso messo in atto dalle persone sotto inchiesta (decisione del Tribunale penale federale RR.2014.4 del 30 luglio 2014 consid. 2.2.2). Naturalmente è anche possibile che i conti contestati non siano stati utilizzati per ricevere proventi di reati o per effettuare trasferimenti illeciti o riciclare fondi, ma l’autorità richiedente ha comunque interesse a poterlo verificare essa stessa, sulla base di una documentazione completa, tenendo presente che l’assistenza reciproca è finalizzata non solo alla raccolta di prove incriminanti ma anche a discarico (sentenza del Tribunale federale 1A.88/2006 del 22 giugno 2006 consid. 5.3; decisione del Tribunale penale federale RR.2007.29 del 30 maggio 2007 consid. 4.2)”.

I due prestiti, gli schemi finanziari sospetti tra novembre 2018 e maggio 2019. La sentenza dei giudici di Bellinzona contiene dettagli molto interessanti e inediti sulla rogatoria vaticana. Secondo gli inquirenti della Santa Sede, citati nella decisione svizzera, l’operazione finanziaria eseguita con i consigli di Enrico Crasso corrisponde a “schemi d’investimento che non sono né trasparenti né conformi alle normali pratiche di investimento immobiliare”. Il fatto che non siano stati utilizzati i fondi dell’Obolo di San Pietro depositati in svizzera, invece di essere una circostanza che alleggerisce i sospetti suscitati dall’operazione, secondo gli inquirenti, li aumenta. Non sono stati utilizzati i soldi dei poveri, si è detto, e questo magari da un punto di vista mediatico può fare notizia, ma dal punto di vista finanziario per le autorità vaticane essa costituisce un forte indizio che si trattasse di un escamotage per occultare la “distrazione compiuta”, pari a circa 300 milioni di euro.

Le operazioni in questione sarebbero avvenute “tra novembre 2018 e maggio 2019”. Ecco il testo della rogatoria vaticana citata nella sentenza del Tribunale penale federale svizzero: “Il ricorso a questa struttura finanziaria, realizzata attraverso la costituzione in pegno dei fondi vincolati anziché attraverso l’impiego diretto delle disponibilità liquide (cd. Credito Lombard), a parere di questo Ufficio, rappresenta la forte evidenza indiziaria del fatto che essa abbia rappresentato un escamotage per non rendere visibile – come del resto avvenuto per moltissimi anni – la distrazione compiuta. Appare inspiegabile il fatto che, a fronte di liquidità disponibili presso la banca M. per oltre 450 milioni di euro e concesse in pegno alla banca, la Segreteria di Stato abbia fatto ricorso ad un finanziamento” (atto 01-00-0039 e 0040 incarto MPC). Dopo aver fornito i dettagli delle tre fasi sopraelencate (v. atto 01-00-0040, 0041 e 0042 incarto MPC), l’autorità rogante - continua la sentenza - afferma che “allo stato delle indagini i danni arrecati al patrimonio della Segreteria di Stato per effetto delle condotte distrattive sopra descritte, risultano di importo ingente (attualmente quantificabili in non meno di 300 milioni di euro)” (atto 01-00-0042 incarto MPC). Adesso la parola passa nuovamente agli inquirenti vaticani.

I reati contestati. Vale la pena infine ricordare quali sono i reati contestati dall’autorità giudiziaria vaticana, così come sono riportati nella rogatoria, nel capo A. “Abuso d’autorità (art. 175 CP/VA), peculato (art. 168 CP/VA), corruzione (art. 171-174 CP/VA), riciclaggio di denaro, autoriciclaggio e impiego di proventi di attività criminose (art. 421, 421 bis e 421 ter CP/VA) e associazione a delinquere (art. 248 CP/VA)”.

Maria Antonietta Calabrò per huffingtonpost.it il 6 dicembre 2020. La condanna a otto anni per riciclaggio, autoriciclaggio e peculato è stata chiesta dal promotore di giustizia Alessandro Diddi per l’ex presidente dello IOR, Angelo Caloia e l’avvocato Gabriele Liuzzo, oltre alla confisca diretta dei 32 milioni di euro già sequestrati sui loro conti anche presso lo IOR, e la confisca per equivalente di altri 25 milioni di euro. Motivazione: essersi appropriati di gran parte del patrimonio immobiliare della cosiddetta banca vaticana, “svenduto” a loro stessi attraverso una complessa operazione di schermatura tramite società offshore e lussemburghesi e dopo che il denaro ha girato per mezza Europa. Sono finiti nella loro disponibilità praticamente tutti gli immobili di proprietà dello IOR (in particolare appartamenti di pregio a Roma e Milano). Sei anni di carcere sono stati chiesti per il figlio di Gabriele Liuzzo, il professore Lamberto (per riciclaggio ed autoriciclaggio). È la prima volta che in Vaticano viene chiesto il carcere per un reato finanziario: gran parte della pena ( 6 anni ) riguarda infatti il reato di riciclaggio e 2 anni per il peculato, per Caloia e Liuzzo padre. A seguito delle notizie sull’inchiesta Caloia, (dirigente di prima grandezza nel sistema bancario italiano e per vent’anni Presidente dello IOR, dopo l’uscita di scena di Paul Marcinkus, e al vertice dell’Istituto quando di lì transitò la maxitangente Enimont) si è dovuto dimettere da tutte le cariche societarie ed accademiche in Italia e anche dalla Veneranda fabbrica del Duomo, proprio il giorno di Sant’Ambrogio del 2014. La requisitoria di Diddi (che è il pubblico ministero dell’indagine sul palazzo di Londra acquistato dalla Segreteria di Stato, al centro dell’ultimo scandalo finanziario vaticano) è arrivata al termine delle due ultime udienze (1 e 2 dicembre 2020) del processo - che è iniziato in Vaticano il 9 maggio 2018 - davanti al Tribunale vaticano presieduto da Giuseppe Pignatone. Anche questa indagine, come quella del palazzo di Londra è stata avviata a seguito della segnalazione dell’Istituto per le opere di Religione, rappresentato dall’attuale Direttore generale Gianfranco Mammì , uomo di assoluta fiducia di Papa Francesco. Lo IOR, insomma, negli ultimi anni sembra essersi trasformato (trasformando la sua fama negativa) in un motore della trasparenza finanziaria vaticana. Lo IOR si è costituito parte civile nel processo sugli immobili svenduti, secondo l’accusa, da Caloia e i due Liuzzo, difeso dall’avvocato Alessandro Benedetti, mentre la Sgir - la società di gestione immobiliare totalmente partecipata da IOR, che era proprietaria degli immobili - è rappresentata nel processo dagli avvocati Roberto Lipari e Marcello Mustilli. L’avvocato Benedetti, nelle conclusioni finali, ha parlato per cinque ore e mezza, ha chiesto una provvisionale (cioè la somma di denaro liquidata dal giudice alla parte danneggiata, come anticipo sull’importo che le spetterà in via definitiva. di circa 35 milioni di euro (complessivamente per IOR che per Sgir). Ma ha commentato con Huffpost che “prima dell’aspetto economico-risarcitorio l’interesse dello IOR è stato l’accertamento delle responsabilità degli imputati e la compiuta ricostruzione dei fatti, tanto che, prima che si instaurasse il processo, è stata respinta da IOR, una proposta risarcitoria avanzata dagli imputati.” Questo processo insomma contiene anche un messaggio, secondo Benedetti. “Il messaggio è che la festa è finita e che c’è oggi c’è tolleranza zero nei confronti di comportamenti che hanno depredato l’Istituto”. Al termine della requisitoria di Diddi, Pignatone ha annunciato che il Tribunale emetterà la sua sentenza il prossimo 21 gennaio 2021. Il processo, iniziato il 9 maggio 2018, ha visto svolgersi due anni e mezzo di udienze, complesse perizie della società di revisione Promontory, chiamata dall’allora presidente IOR von Freyberg, e negli ultimi due anni i risultati delle tre rogatorie presentate in Svizzera, il cui ultimo rendiconto, ha detto Diddi, è arrivato il 24 gennaio 2020, all’inizio di quest’anno. Ebbene il Ministero pubblico della Confederazione ha quantificato in 18, 9 e 7 milioni il contenuto dei conti relativi a due imputati. Il Promotore di giustizia vaticano aveva incriminato anche l’ex direttore generale Lelio Scaletti, ma Scaletti, è morto alla fine del 2015 (soleva dire:”Se parlo io crolla l’Italia”). Fu lui il protagonista di un’operazione “mostruosa” di trasferimento di contante in Vaticano, da Milano, di domenica con una macchina di servizio dello IOR: ben 1 milione e 800 mila euro. “Avete idea di cosa vuol dire?” chiede Diddi. “Hanno tradito per arricchimento personale , per ingordigia”. In effetti gli immobili di maggior pregio sono finiti nelle loro personali disponibilità. Diddi (che pure è un avvocato in Italia, e che quando si tratta di richiedere il carcere soppesa bene la richiesta di pena) parla di “assoluta colpevolezza”. “Caloia ha nascosto in modo astuto e maniacale tutte le loro operazioni al consiglio d’amministrazione”. Caloia ha tentato di giustificare i milioni di euro trovati sui suoi conti con un’eredità della suocera. “Ma durante il suo interrogatorio davanti al Tribunale, non ricordava nemmeno il nome della suocera”. Ad “incastralo”, tra l’altro, proprio quanto dichiarato allo IOR nell’estate 2014, durante le procedure antiriciclaggio rafforzate dopo l’arrivo di Papa Francesco, cioè quando invece non barrò la casella “eredità” per giustificare i milioni di euro rimasti sul suo conto nella Torre di Niccolò V. Liuzzo non ha mai voluto usufruire della volontary disclosure del 2015 per permettere al suo immenso patrimonio di rientrare in Italia dalla Svizzera, perché avrebbe dovuto dichiarare l’origine dei beni. E per questo dal 2016 anche in Svizzera è aperto un processo per riciclaggio e autoriciglaggio in relazione agli immobili “svenduti” che erano dello IOR.

Papa Francesco, il dossier di esplosivo di Viganò sul successore di Becciu: Bergoglio, "cerchio magico di personaggi ricattabili". Libero Quotidiano il 06 novembre 2020. Dopo aver denunciato lo scandalo del cardinale abusatore McCarrick, Mons. Carlo Maria Viganò pubblica un nuovo dossier esplosivo, ricco di date, riferimenti e situazioni che coinvolgono, stavolta, il successore del Card. Becciu, Mons. Edgar Peña Parra, insieme ad altri nomi eccellenti del ”cerchio magico” bergogliano. Il panorama che emerge è sconcertante. Lo riportiamo integralmente: "In un mio recente intervento per la Catholic Identity Conference a Pittsburg, ho parlato dell’eclissi che oscura la Chiesa di Cristo, sovrapponendole una anti-chiesa di eretici, corrotti e fornicatori. Il Cattolico sa che la Chiesa deve ripercorrere le orme del suo Capo, Gesù Cristo, sulla via della Passione e della Croce, e che gli ultimi tempi saranno segnati da una grande apostasia che colpirà il corpo ecclesiale sin nei suoi vertici. Così, come sul Golgota il sinedrio pensava di aver sconfitto Nostro Signore facendolo condannare a morte da Pilato, oggi il sinedrio vaticano crede di poter abbattere la Chiesa consegnandola nelle mani della tirannide globalista anticristiana. Dobbiamo quindi valutare quanto oggi avviene con uno sguardo soprannaturale, alla luce della battaglia che l’élite sta conducendo contro la civiltà cristiana. L’attacco inizialmente mosso dall’esterno contro il monolite cattolico si è evoluto, dal Concilio Vaticano II in poi, in un’azione di infiltrazione capillare, nella società civile con il deep state e in quella religiosa con la deep church. Il nemico è riuscito a penetrare all’interno dello Stato e della Chiesa, ad ascendere ai vertici, a costituire una rete di complicità e connivenze che tiene tutti i suoi membri legati dal ricatto, avendoli scelti proprio in ragione della loro corruttibilità. Non a caso i funzionari onesti sono sistematicamente ostacolati, emarginati, fatti oggetto di attacchi. In queste ultime settimane, la stampa ha dato notizia dell’ennesimo scandalo finanziario vaticano, a seguito del quale Jorge Mario Bergoglio ha rimosso dai suoi incarichi ufficiali e privato delle prerogative cardinalizie Giovanni Angelo Becciu. Chi pensa che questa rimozione servirà a contrastare la corruzione della Curia Romana rimarrà sconcertato dall’apprendere che chi ha preso il suo posto come Sostituto e che dovrebbe sanare i disastri della malagestione e degli intrallazzi di Becciu è altrettanto, anzi ancor più ricattabile del suo predecessore. Questa ricattabilità è il requisito indispensabile per poter essere manovrabili da chi, pur presentandosi come riformatore della Curia e castigatore di un non meglio identificato clericalismo, si è di fatto circondato di personaggi corrotti e immorali, promuovendoli e insabbiando le indagini che li riguardano. Quando arrivò a Roma nel 2018, chiamato da Bergoglio per ricoprire la carica di Sostituto alla Segreteria di Stato al posto di Angelo Becciu, l’Arcivescovo venezuelano era già “chiacchierato”. Un rapporto sul suo conto segnalava la sua condotta immorale: in quanto Delegato per le Rappresentanze pontificie, mi erano pervenute informazioni preoccupanti sul Monsignore e prontamente ne riferii al Sostituto Sandri. Ne ho parlato pubblicamente il 2 Maggio del 2019, nella mia intervista al Washington Post, ma il giornale preferì omettere i passaggi su Peña Parra. Visto che in Vaticano i dossier compromettenti sembrano destinati a non esser consultati, cerchiamo di conoscere meglio quale sia il curriculum che ha condotto questo Monsignore fino alla Segreteria di Stato. Il giovane Edgar Peña Parra, alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, era già segnalato come omosessuale notorio, al punto che nel febbraio 1985 l’Arcivescovo Roa Pérez riferì al rettore del Seminario Leon Cardenas di avere da tempo dubbi sul candidato, di aver appena ricevuto segnalazioni in tal senso, oltre ad aver appreso che già al terzo anno di formazione era stato espulso dal Seminario San Tommaso d’Aquino. La notizia di questa espulsione era stata nascosta, secondo l’assistente spirituale padre Leyre, da un altro sacerdote, don Roberto Lückert Leon, che avrebbe falsificato il rapporto. Lückert Leon, nel frattempo, è diventato Arcivescovo, ora emerito, di Coro e potente presidente della Commissione per le Comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Venezuelana. Le segnalazioni inviate al superiore di Peña Parra non gli impediscono di essere ordinato sacerdote il 23 Agosto 1985 e di essere successivamente inviato alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, dove si formano i futuri diplomatici della Santa Sede. Nel 1990, il 24 Settembre 1990, viene accusato di aver sedotto due seminaristi minori della parrocchia di San Pablo, che sarebbero dovuti entrare quello stesso anno nel Seminario Maggiore di Maracaibo. Il fatto avvenne nella chiesa della Madonna del Rosario, dove era parroco il reverendo José Severeyn; fu denunciato alla polizia dai genitori dei due giovani e fu esaminato dal rettore del Seminario Maggiore, reverendo Enrique Pérez, e dal direttore spirituale, reverendo Emilio Melchor. Il reverendo Enrique Pérez, ex rettore del Seminario Maggiore, ha confermato per iscritto l’episodio. Nell’Agosto del 1992, quando era alunno della Pontificia Accademia Ecclesiastica, Edgar Peña Parra è coinvolto con lo stesso José Severeyn nella morte di due persone, un medico e un certo Jairo Pérez, uccisi da una scarica elettrica nell’isola di San Carlos, nel lago di Maracaibo. Nel dossier si aggiunge il particolare che i cadaveri furono trovati nudi, vittime di macabre pratiche omosessuali. Severeyn viene poi rimosso dalla parrocchia dall’allora arcivescovo monsignor Roa Pérez, e viene nominato Cancelliere dell’arcidiocesi, trovandosi così nella posizione di poter distruggere o contraffare i documenti riguardanti questi casi. Nel Gennaio 2000, il giornalista di Maracaibo Gastón Guisandes López mosse gravi accuse contro alcuni sacerdoti omosessuali della diocesi di Maracaibo, fra i quali Peña Parra. Nel 2001, GastónGuisandes López chiese per due volte di essere ricevuto dal Nunzio Apostolico in Venezuela monsignor André Dupuy, ma il Nunzio si rifiutò di riceverlo, ma l’anno successivo riferì in Segreteria di Stato questi episodi scandalosi in cui era stato coinvolto Edgar Peña Parra. La relativa documentazione si trova pertanto negli archivi della Nunziatura in Venezuela, dove, a partire da quella data, si sono succeduti come Nunzi gli Arcivescovi Giacinto Berloco (2005-2009), Pietro Parolin (2009-2013) e l’attuale nunzio Aldo Giordano. Essi hanno avuto a disposizione i documenti relativi a queste accuse nei confronti del futuro Sostituto, come pure ne hanno avuto conoscenza i Segretari di Stato i Cardinali Tarcisio Bertone e Pietro Parolin, e i Sostituti Leonardo Sandri, Fernando Filoni e Giovanni Angelo Becciu. Nonostante i dossier inviati alla Segreteria di Stato, dal 2003 al 2007 Peña Parrapresta servizio presso la Nunziatura di Tegucigalpa in qualità di consigliere: da qui nasce il rapporto con il Cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga e con mons. Juan José Pineda, il quale fu consacrato Vescovo nel 2005, quando Peña Parra era in Honduras. Maradiaga è noto alla cronaca per scandali finanziari, tra i quali spiccala truffa ai danni di Martha Alegria Reichmann,vedova dell’ex Ambasciatore dell’Honduras presso la Santa Sede. Il Cardinale è uno dei principali consiglieri di Bergoglio, è un personaggio chiave del Consiglio di Cardinali a cui è affidata la riforma della Curia e della Chiesa, e ha svolto un ruolo decisivo in nomine importanti, come quella del Cardinale BlaseCupich (insieme con McCarrick) a Chicago e del nuovo Sostituto alla Segreteria di Stato, l’Arcivescovo Peña Parra. Ricordo inoltre che nell’aprile 2015 la fondazione Open Society di Goerge Soros ha versato 650mila dollari a due organizzazioni cattoliche progressiste, PICO e FPL, per «influenzare singoli vescovi in modo da avere voci pubbliche a sostegno di messaggi di giustizia economica e razziale allo scopo di iniziare a creare una massa critica di vescovi allineati con il Papa». Il Card. Maradiaga, in relazioni con PICO, non fu estraneo nemmeno a questa interferenza del menzionato sedicente filantropo nella politica americana, con la complicità della parte filo-bergogliana dell’Episcopato. Le due organizzazioni destinatarie dei versamenti sono state scelte – spiegano i documenti – perché impegnate in progetti a lungo termine che hanno lo scopo di cambiare «le priorità della Chiesa cattolica statunitense». La grande occasione è data dalla visita del Papa negli Stati Uniti e la fondazione di Soros punta esplicitamente ad usare i buoni rapporti di PICO con il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, tra i principali consiglieri di papa Francesco, per «impegnare» il Pontefice sui temi di giustizia sociale e anche avere la possibilità di inviare una delegazione in Vaticano prima della visita di settembre in modo da far ascoltare direttamente al Papa la voce dei cattolici più poveri in America. Pineda è invece accusato di illeciti finanziari, di molestie e abusi sessuali, oltre che di coltivare una rete di relazioni con omosessuali (anche prostituti) in Honduras e all’estero, ai quali avrebbe anche donato appartamenti, automobili, moto e viaggi con i fondi della Diocesi. È parimenti accusato di aver difeso e coperto altri casi di abusi commessi da chierici. Il 28 maggio 2017 un gruppo di 48 seminaristi ha denunciato un modello diffuso e radicato di pratica omosessuale, lamentandosi degli assalti di Pineda. Inutile dire che il Cardinale Maradiaga non ha voluto tener in alcun conto le accuse, nonostante il suicidio di un seminarista di Santa Rosa de Copán, dopo che questi aveva scoperto che il suo amante in Seminario aveva iniziato un’altra relazione. Non basta: si deve ricordare che Maradiaga, nel Dicembre 2017, aveva affidato a Pineda il governo dell’Arcidiocesi, durante le sue continue e prolungate assenze dalla diocesi; e che la maggior parte degli incontri sessuali del suo Ausiliario avvenivano a Villa Iris, residenza del Cardinale. Nello stesso anno 2017, Pineda è stato rimosso dall’incarico di Vescovo ausiliare di Maradiaga senza dare alcuna motivazione ai fedeli di Tegucicalpa. Il Visitatore apostolico mons. AlcidesCasaretto ha consegnato a Bergoglio un corposo rapporto sul suo conto, assieme alle accuse di un gruppo di Cattolici, scandalizzati dal silenzio della Santa Sede. Dal 1993 al 1997 Peña Parra è inviato con incarichi diplomatici alla Nunziatura in Kenya. Nel 1995 diventa Monsignore, nel 1999 viene inviato a Ginevra come membro della Rappresentanza Pontificia alle Nazioni Unite. Nel 2002 è nominato membro della Nunziatura in Honduras e nel 2006 viene mandato alla Nunziatura in Messico. Nel 2011 riceve la Consacrazione episcopale e viene nominato Nunzio in Pakistan, poi nel 2015 in Mozambico. Il 15 Ottobre 2018 Bergoglio lo nomina Sostituto in Segreteria di Stato, su raccomandazione del Cardinale Maradiaga. Emiliano Fittipaldi su Domani ricorda che Peña Parra, in base alle carte dei magistrati della Santa Sede, avrebbe avuto dal 2018 al 2019 un ruolo chiave in alcune scelte finanziarie che causarono alle casse vaticane perdite per oltre cento milioni di euro. I magistrati parlano anche di trattative segrete del Sostituto venezuelano. Sarebbe stato proprio Peña Parra, uno degli uomini più potenti del Vaticano e scelto personalmente da Bergoglio, ad «aprire il cancello del pollaio a volpi fameliche», per usare un’espressione di Fittipaldi. Particolarmente sconcertanti e gravi appaiono il comportamento e le responsabilità del Segretario di Stato Card. Parolin, che non si è opposto non solo alla nomina di Peña Parra a Sostituto – cioè a suo primo collaboratore – ma prima ancora a quella di Arcivescovo e Nunzio apostolico, nel gennaio 2011, quando Parolin era Nunzio a Caracas. Prima di tale importante nomina viene infatti istruito un rigoroso processo informativo per verificare l’idoneità del candidato. Ma ancor più inquietante è che Bergoglio, per un ruolo così importante nella Chiesa, abbia scelto un collaboratore accusato di crimini tanto gravi. Le recenti esternazioni di Bergoglio circa le unioni civili omosessuali; il numero impressionante di Prelati omosessuali dei quali si circonda persino nella sua residenza di Santa Marta, a partire dal segretario personale Mons. Fabian Pedacchio, improvvisamente rimosso e sparito nel nulla; gli scandali che quotidianamente emergono circa la lobby omosessuale vaticana: tutti questi elementi lasciano intendere che l’Argentino voglia legittimare l’ideologia LGBTQ non solo per assecondare l’agenda mondialista e demolire i principi immutabili dalla Morale cattolica, ma anche per depenalizzare i crimini e gli abusi dei suoi collaboratori, proteggendo il cerchio magico che coinvolge Maradiaga, Pineda, Peña Parra, Zanchetta e tutta la lavender mafia vaticana. Mi chiedo se lo stesso Bergoglio, del quale molti ignoravano l’esistenza fino al 13 Marzo 2013, non sia sotto ricatto da parte di chi beneficia così impunemente della sua clemenza. Questo spiegherebbe il motivo che porta colui che siede sul Soglio ad infierire con tanta spietatezza nei confronti della Chiesa di Cristo, mentre usa tutti i riguardi con personaggi notoriamente corrotti, pervertiti e quasi sempre implicati in reati sessuali e finanziari. L’alternativa – circa la cui plausibilità si vanno giorno dopo giorno raccogliendo inquietanti elementi – è che la scelta di Bergoglio di circondarsi di persone viziose e quindi ricattabili sia deliberata, e che lo scopo ultimo che egli persegue consista nel demolire la Chiesa Cattolica, sostituendola con una sorta di ONG filantropica e ecumenica asservita all’élite mondialista. Dinanzi a questo tradimento da parte di chi ricopre il Papato, un’opera di trasparenza e di chiarezza non può escludere, per essere efficace, colui che da oltre sette anni proclama a parole di voler far pulizia in Vaticano e nella Chiesa.

Maria Antonietta Calabrò per huffingtonpost.it il 5 novembre 2020. La lettera inviata dal Papa al Segretario di Stato Pietro Parolin era data 25 agosto 2020, ma sono dovuti passare due mesi e le dimissioni dai diritti del cardinalato richieste da Francesco a monsignor Angelo Becciu, e una riunione presieduta dallo stesso Papa Francesco ieri sera 4 novembre perché venisse nominata una commissione per attuare il passaggio di tutti i beni mobili ed immobili della Segreteria di Stato alla gestione del patrimonio della Sede Apostolica ( Apsa, presieduta da Nunzio Galantino) sotto il diretto controllo della Segreteria dell’Economia. Entro l’inizio del 2021, quindi, la Segreteria di Stato rimarrà un dicastero senza portafoglio, secondo quanto già dal luglio 2014 aveva chiesto avvenisse, l’allora prefetto dell’economia, cardinale George Pell. Dopo più di sei anni Pell (rientrato in Vaticano pochi giorni dopo le dimissioni di Becciu) può vedere adesso realizzato il suo progetto di unificazione di tutti gli asset vaticani sotto il controllo della Segreteria dell’Economia. Il cambiamento è davvero epocale, visto che i fondi della Segreteria di Stato (il cosiddetto fondo Paolo VI, l’Obolo di San Pietro eccetera) erano considerati in Vaticano quasi quelli una terza banca (dopo l’Apsa, che ha dovuto azzerare già da un po’ di tempo la sezione straordinaria, cioè quella finanziaria, e lo IOR), in gran parte depositati in Svizzera. Si parla di una stima di oltre un miliardo di euro. E’ stato proprio grazie a questi fondi dati in garanzia per ottenere due grossi mutui, che stato acquistato il palazzo londinese di Sloane Ave 60, al centro dell’ultimo scandalo finanziario vaticano. Il fatto che sia dovuto intervenire due volte direttamente il Papa (con la lettera di agosto e la riunione di ieri) dimostra quanto il cambiamento inciderà nel profondo. È stato annunciato in tarda mattinata da una dichiarazione del Direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni. Alla riunione di ieri sera hanno partecipato Parolin, Segretario di Stato; Mons. Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato (negli ultimi giorni nuovamente sotto accusa da parte dell’ex nunzio negli USA Carlo Maria Viganò), Mons.Fernando Vergez, Segretario generale del Governatorato dello Stato Città del Vaticano; Nunzio Galantino, Presidente dell’Amministrazione della Sede Apostolica; Padre Juan Antonio Guerrero Alves, dal febbraio scorso nuovo Prefetto della Segreteria per l’Economia. Nella stessa riunione il Papa ha costituito, come detto, la ‘Commissione di passaggio e controllo’, che entra in funzione con effetto immediato, per portare a compimento, nei prossimi tre mesi, quanto disposto nella lettera al Segretario di Stato, di cui è stato reso noto il contenuto. “È mia volontà - scriveva il Papa - che in futuro: la Segreteria di Stato trasferisca all’Apsa la gestione e l’amministrazione di tutti i fondi finanziari e del patrimonio immobiliare, i quali manterranno in ogni caso la propria finalità attuale”. “Una particolare attenzione - sottolineava Francesco - meritano gli investimenti operati a Londra ed il fondo Centurion, dai quali occorre uscire al più presto o, almeno, disporne in maniera tale da eliminarne tutti i rischi reputazionali”. “Tutti i fondi che finora sono stati amministrati - proseguiva il Pontefice nella lettera a Parolin - dalla Segreteria di Stato siano incorporati nel bilancio consolidato della Santa Sede”. La Segreteria per l’Economia, aggiungeva, “attui il controllo e la vigilanza in materia amministrativa e finanziaria su tutti gli Enti della Curia Romana” e “questo comporta che la Segreteria di Stato (...) in materia economica e finanziaria non avrà responsabilità di vigilanza e controllo di nessun Ente della Santa Sede”. Infine, “tenendo conto che la Segreteria di Stato non dovrà amministrare né gestire patrimoni, sarà opportuno che ridefinisca il proprio Ufficio Amministrativo, oppure valuti a necessità della sua esistenza”. Proprio quel’ Ufficio amministrativo era stato il motore dello scandalo di Londra. Insomma la Segreteria di Stato sarà d’ora in poi un dicastero senza portafoglio. E lo stesso segretario di Stato non fa più parte della rinnovata Commissione di cardinalizia di vigilanza sullo IOR. Riunificare nell’Apsa tutti i beni della Santa Sede (dovranno confluire anche i conti detenuti dalle Congregazioni vaticane e dagli organicismi centrali presso lo IOR) permetterà anche una migliore valutazione del Comitato Moneyval che deve depositare il suo report durante la prossima primavera. In ogni caso la vendita del Palazzo di Londra dovrà avvenire in modo che non vengano aggirati i protocolli internazionali antiriciclaggio. Come anticipato da Huffpost e annunciato dal Papa stesso nella recente intervista al direttore dell’AdnKronos, GianMarco Chiocci l’operazione di pulizia non è ancora finita e altri cambiamenti sostanziali avverrano entro pochi mesi.

Estratto dell’articolo di Mario Gerevini e Fabrizio Massaro per corriere.it il 5 novembre 2020. (…) È stata anche diffusa la lettera indirizzata a Parolin con la quale lo scorso agosto Papa Francesco aveva disposto questo passaggio. «Nel quadro della riforma della Curia ho riflettuto e pregato sull’opportunità di dare un impulso che permetta una sempre migliore organizzazione delle attività economiche e finanziarie, continuando nella linea di una gestione che sia, secondo i desideri di tutti, più evangelica». Francesco definisce «di somma importanza» che sia definita in maniera chiara la missione di ciascun ente economico e finanziario «al fine di evitare sovrapposizioni, frammentazioni o duplicazioni inutili e dannose». La lettera spiega che «la Segreteria di Stato è senza ombra di dubbio il Dicastero che sostiene più da vicino e direttamente l’azione» del Papa «nella sua missione, rappresentando un punto di riferimento essenziale nella vita della Curia e dei Dicasteri che ne fanno parte. Non sembra, però, necessario, né opportuno che la Segreteria di Stato debba eseguire tutte le funzioni che sono già attribuite ad altri Dicasteri. È preferibile, quindi, che anche in materia economica e finanziaria si attui il principio di sussidiarietà, fermo restando il ruolo specifico della Segreteria di Stato e il compito indispensabile che essa svolge».

Uscire dal fondo Centurion e vendere il palazzo. Alla luce di ciò, Francesco ha stabilito che la Segreteria di Stato «trasferisca all’Apsa la gestione e l’amministrazione di tutti i fondi finanziari e del patrimonio immobiliare, i quali manterranno in ogni caso la propria finalità attuale. Una particolare attenzione — si legge nella lettera — meritano gli investimenti operati a Londra e il fondo Centurion, dai quali occorre uscire al più presto, o almeno, disporne in maniera tale da eliminarne tutti i rischi reputazionali». Aveva destato scandalo l’uso di decine di milioni di euro del Vaticano — provenienti anche dall’Obolo di San Pietro — utilizzati per comprare azioni della società di Lapo Elkann, Italia Independent, o per finanziare il film su Elton John. E persino investiti nella società che controlla Giochi Preziosi, per 3 milioni di euro.

I fondi della Segreteria nel bilancio consolidato della Santa Sede. Ancora, il Papa ha stabilito che «tutti i fondi che finora sono stati amministrati dalla Segreteria di Stato siano incorporati nel bilancio consolidato della Santa Sede» e che in materia economica e finanziaria la Segreteria di Stato operi «per mezzo di un budget approvato attraverso i meccanismi abituali, con le procedure proprie richieste a qualsiasi Dicastero, salvo per ciò che riguarda le materie riservate che sono sottoposte a segreto, approvate dalla Commissione nominata a questo scopo». I dati del bilancio — pubblicato a inizio ottobre e reso noto da Guerrero — mostrano fra le altre cose che i fondi della Segreteria si sono ridotti a circa 360 milioni di euro.

La proposta della Cosea del 2014. Il controllo e la vigilanza spettano alla Segreteria per l’Economia su tutti gli enti della Curia Romana. La Segreteria di Stato, in materia di vigilanza economica e finanziaria «non avrà responsabilità di vigilanza e controllo di nessun ente della Santa Sede, né di quella ad essa collegati». In sostanza il Papa porta a compimento le proposte che erano state presentate nel 2014 dalla Cosea, la commissione che era stata creata per esaminare lo stato e la struttura delle finanze vaticane.

«Chiudere l’ufficio amministrativo della Segreteria». Tenendo conto che «la Segreteria di Stato non dovrà amministrare né gestire patrimoni, sarà opportuno che ridefinisca il proprio Ufficio amministrativo, oppure valuti la necessità della sua esistenza». È l’ufficio finito sotto inchiesta da parte della magistratura vaticana che da un anno conduce un’inchiesta su come sono stati gestiti le centinaia di milioni di euro dei fondi riservati della Segreteria di Stato e dell’Obolo di San Pietro e che ha portato lo scorso giugno all’arresto in Vaticano — per otto giorni — del broker Gianluigi Torzi e, lo scorso ottobre, della manager Cecilia Marogna che ha ottenuto 500 mila euro da parte della Segreteria per ordine del cardinale Becciu. Intanto l’inchiesta dei promotori di giustizia vaticani, Gian Piero Milano e Alessandro Diddi (ai quali si è affiancato da poco il professor Gianluca Perone) prosegue. Nella mattina di giovedì 5 novembre c’ è stat una nuova acquisizione di documenti riferiti a Raffaele Mincione, il finanziere italo-londinese indagato sulla compravendita dell’immobile di Sloane Avenue. A renderlo noto è stato lo stesso Mincione — al quale già a luglio scorso, su richiesta dell’Ufficio del promotore di giustizia vaticano, erano stati sequestrati cellulari e ipad — spiegando che «nella mattinata odierna è proseguita l’attività richiesta dalle autorità della Santa Sede per l’acquisizione di documenti e informazioni» e che «è stata fornita tutta la collaborazione richiesta. Si è certi — prosegue la nota — che le verifiche compiute confermeranno la totale estraneità di Mincione rispetto a quanto ipotizzato dalle autorità della Santa Sede».

Pioggia di cemento sul parco del Vaticano. La Regione Lazio approva. Il Parco dell'Acquafredda al centro di una lottizzazione voluta dall'ex cardinale Becciu. Massimiliano Coccia su L'Espresso il 09 ottobre 2020. Nei giorni scorsi è stata approvata dalla Giunta regionale del Lazio guidata da Nicola Zingaretti una delibera di Giunta riguardante il piano della Riserva Naturale dell'Acquafredda di Roma, un'area sottoposta a vincolo nel 1997 al termine di una lunga battaglia intrapresa dall'esponente dei Verdi Angelo Bonelli. Secondo quanto appreso da "L'Espresso" consultando il piano di assetto modificato e che sarà al vaglio del Consiglio Regionale nei prossimi giorni, è previsto al fine di realizzare strutture sanitarie ricettive la cementificazione dell'area di 180 mila metri cubi di proprietà della Santa Sede, che da decenni è stata oggetto di contenzioso tra gli agricoltori e le istituzioni vaticane. La pratica del cambio di destinazione d'uso fu seguita da Monsignor Mauro Carlino, officiale della Segreteria di Stato e dall'ex cardinale Angelo Becciu, che ha seguito l'iter a stretto contatto con il Presidente della Regione. "Il piano - denuncia - il leader dei Verdi Angelo Bonelli - prevede l'edificazione di sei ettari per fare alberghi, residenze assistenziali per un totale di 180 mila metri cubi di cemento. Visto lo scandalo in corso e la rinuncia ai diritti del cardinalato del promotore di questo operazione, il Cardinale Becciu, ho scritto a Papa Francesco per segnalare questo caso. Vista la sua sensibilità a questi temi sono sicuro che sarà stato tenuto all'oscuro su questa vicenda così come su altre come dimostrano le inchieste di questi giorni". Nel frattempo il consigliere Marco Cacciatore del Gruppo Misto presenterà un emendamento per cancellare la lottizzazione. 

Così una "manina" ha cambiato i piani e autorizzato il cemento nel parco del Vaticano. Documenti in esclusiva spiegano come la richiesta di non edificare la riserva dell'Acquafredda sia diventata il suo opposto, nella delibera di giunta. E mostrano gli interessi sull’area della Segreteria di Stato, all’epoca diretta da Angelo Becciu: edificare un polo residenziale sanitario collegato al Bambin Gesù. Massimiliano Coccia su L'Espresso il 19 ottobre 2020. Dieci giorni fa abbiamo raccontato di come la Giunta regionale del Lazio guidata da Nicola Zingaretti abbia approvato in una delibera il piano di riassetto della Riserva Naturale dell'Acquafredda di Roma che, al suo interno, mantiene il progetto di oltre 17 anni fa che prevedeva la possibilità di edificare nell’area. In una nota, diffusa in reazione alla nostra inchiesta, il gruppo del Partito Democratico in Consiglio regionale del Lazio ci invitava ad approfondire la vicenda per evitare usi strumentali, avendola messa in relazione alle pressioni che la segreteria dell’ex sostituto degli Affari Generali della Segreteria di Stato del Vaticano, Angelo Becciu, per mezzo del suo assistente Monsignor Perlasca, ha mosso alla politica regionale per salvare il progetto di edificazione. Da allora, grazie a documenti di cui siamo venuti possesso, abbiamo riscontrato delle irregolarità importanti che hanno riguardato gli uffici della Regione Lazio, nonché ulteriori precisazioni circa i progetti di edificazione che sull’area dell’Acquafredda aveva la segreteria di Stato. L’8 luglio 2020 Roma Natura, ente regionale preposto alla tutela e alla gestione dei Parchi, invia una nota in cui chiede «alcune parziali modifiche e/o integrazioni alla documentazione di Piano», in particolare «lo stralcio/revoca della scheda progetto n. 9» dichiarando la sostanziale incompatibilità con la zona che è di «notevole valenza ambientale» e quindi «in evidente antitesi con gli interventi di trasformazione urbanistico/edilizia così come previsti dalla Scheda Progetto n. 9, fra l’altro descritti in maniera troppo generica». Una richiesta, questa dello stralcio, che tuttavia cade nel vuoto, perché qualcuno negli uffici della Regione fa sì che quel documento di Roma Natura, insieme coi successivi nei quali si mantiene il parere relativo alla scheda progetto n. 9, venga interpretato, nella determina dirigenziale inclusa nel parere di Giunta, non come una integrazione nella quale l’ente chiede il superamento del progetto, ma come una smentita della nota in cui Roma Natura fa quella espressa richiesta di stralcio. In pratica «l’antitesi» tra gli interventi di edificazione previsti e la «notevole valenza ambientale» viene cancellata. Grazie a questa inversione che ne falsifica il senso, quindi, arriva in Giunta un progetto senza osservazioni che la maggioranza di Nicola Zingaretti approva senza batter ciglio e che successivamente, dopo il nostro scoop, dichiara di voler stralciare in commissione – la cui prossima riunione è prevista per domani, martedì 20 ottobre. A tuonare adesso sulla vicenda è Angelo Bonelli, che nel 1997 da capogruppo dei Verdi fece approvare la legge che tutela la Riserva e negli anni del suo assessorato ha sempre respinto al mittente le pressioni sull’edificazione di quell’area: «La difesa dalla speculazione edilizia dell’Acquafredda , tra gli Ottanta e i Novanta, gli anni più bui ed inquietanti della politica e urbanistica romana, è frutto di una forte mobilitazione del movimento ambientalista», ricorda. E, con riguardo all’oggi, aggiunge: «Non è vero, come sostiene il Pd, che non sono state presentate osservazioni contro l’edificazione all’Acquafredda . Lo hanno fatto i Verdi chiedendolo alla giunta, lo ha fatto Roma Natura, lo hanno fatto i cittadini del comitato dell’Acquafredda . Richieste rimaste inascoltate . Ora il Pd si assuma le sue di responsabilità, perché dentro un parco non è ammissibile realizzare colate di cemento». Una vicenda che assume quindi contorni inquietanti e ci racconta come il progetto di edificazione di quell’area fosse al centro di interessi incrociati che partono da molto lontano e arrivano a coinvolgere lo staff dell’ex Sostituto agli Affari generali Angelo Becciu, che incarica più volte persone a lui vicine di seguire il progetto con gli uffici regionali. Nei carteggi che abbiamo visionato c’era l’intenzione di creare in quegli spazi un polo residenziale sanitario collegato al Bambin Gesù, un nuovo ampliamento che avrebbe dovuto coinvolgere molti dei protagonisti delle vicende collegate all’acquisto del palazzo di Londra in Sloane Avenue. Il pentito della Segreteria di Stato, monsignor Perlasca, già stretto collaboratore di Becciu, davanti agli inquirenti avrebbe rivelato che il mondo della sanità era un asset centrale per gli affari dell’ex sostituto e che lo stesso Gianluigi Torzi, il broker molisano poi accusato di estorsione, oltre alla ristrutturazione del credito di numerosi enti o cooperative sanitarie vicine alla Santa Sede avrebbe puntato alla partita più grossa: una edificazione ex novo. Da quanto emerge nelle ultime ore, nei piani di controllo dell’ex sostituto ci sarebbe stata anche la partita della presidenza del Bambin Gesù, dove lo stesso Perlasca siede in consiglio di amministrazione. A questi interrogativi si sommano ora anche quelli che dovrà dipanare la Regione Lazio per comprendere quale “manina” abbia ritenuto i documenti di Roma Natura sostitutivi e non integrativi del diniego spalancando così le porte ad un sacco immobiliare di cui la politica non si era accorta o che ha fatto finta di non vedere.

Scandalo in Curia, obiettivo Bambin Gesù. La cordata di affaristi protetta dall’ex cardinale Angelo Becciu aveva nel mirino il ricco business della sanità vaticana. Ecco come è stata sventata la manovra. Massimiliano Coccia su L'Espresso l'11 dicembre 2020. Certi soldi non finiscono, fanno dei giri immensi e non ritornano. Sembra essere questa parafrasi di una famosa canzone la sintesi perfetta della ragnatela di interessi e relazioni che, una volta saltato il sistema politico ed economico facente capo all’ex Sostituto degli Affari Generali, l’ex cardinale Angelo Becciu, sta venendo a galla dalla complessa inchiesta dei promotori di Giustizia della Santa Sede e in particolare dai documenti frutto delle rogatorie in Svizzera. Obiettivo la sanità di Francesco. Intanto trapela la volontà dei magistrati vaticani di indagare il porporato per vilipendio: l’offesa sarebbe contenuta nelle dichiarazioni del cardinale che ha sostenuto in pubblico la tesi del pontefice “manipolato”. Becciu afferma di non saperne nulla e ha querelato l’Espresso che in queste settimane si è limitato a riportare i fatti con rigore senza essere mai smentito. Papa Francesco ha riconfermato prima della scadenza naturale l’attuale presidente dell’ospedale romano, avversaria della cordata dell’ex Sostituto di Stato. Attorno alla sanità ruotavano interessi enormi e uno scontro di potere: al centro sembra esserci un uomo legato all’ex cardinale, Guido Carpani, capo di gabinetto della ministra della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone (M5S). dopo aver ricoperto lo stesso incarico con la ministra Giulia Grillo, anche lei del Movimento Cinque Stelle, nel governo gialloverde Conte uno. Carpani fu nominato dal Vaticano nel 2018 vicepresidente dell’Istituto Toniolo che controlla l’università Cattolica e dal governo italiano suo rappresentante nel consiglio di amministrazione della stessa Università. Anche se non c’è una formale incompatibilità, rappresenta due Stati diversi. Intanto, sul fronte delle indagini, trapela la volontà dei magistrati vaticani di indagare il cardinale Becciu per vilipendio al capo dello Stato (che in Vaticano è associato al Re): l’offesa sarebbe contenuta nelle dichiarazioni del cardinale che, dopo essere stato costretto dal Papa a dimettersi, ha sostenuto in pubblico la tesi del pontefice “manipolato”. Un’accusa gravissima e incompatibile con la porpora che Becciu ha ricevuto giurando fedeltà fino alla morte al Papa che ora in pubblico afferma di considerare debole e influenzabile. Sul piano giudiziario, il nuovo procedimento andrebbe ad aggiungersi alle ipotesi di reato di abuso d’ufficio, peculato e interesse privato, come ha scritto il giornale che in modo zelante si è assunto il ruolo di avvocato mediatico del cardinale: una pessima difesa. Becciu afferma di non saperne nulla e ha querelato l’Espresso che in queste settimane si è limitato a riportare i fatti con rigore senza essere mai smentito.   A smontare la bugia di Becciu, semmai, è stato lo stesso Becciu che il 25 settembre così motivò la sua cacciata: «Il Papa mi ha detto di aver avuto la segnalazione dei magistrati che avrei commesso peculato. Dalle carte, dalle indagini fatte dalla Guardia di finanza italiana emerge che io abbia commesso il reato di peculato», disse in una conferenza stampa. Che ora ha dimenticato. 

La cricca del Vaticano prova ad accusare papa Francesco per salvarsi. Il gruppo affaristico che operava intorno all'ex cardinale Becciu vuole chiamare in causa direttamente il Pontefice. Mentre emergono le trame intorno alle nomine all'ospedale Bambin Gesù. Massimiliano Coccia su L'Espresso il 13 novembre 2020. I giorni passano e cambia la strategia difensiva dell’«associazione a delinquere», come la definiscono le carte dell’inchiesta, nata attorno alla compravendita del Palazzo di Sloane Avenue a Londra e che ha depredato le casse della Segreteria di Stato e l’Obolo di San Pietro. Ora si cerca di alzare il tiro e si tenta di incolpare direttamente Papa Francesco di ogni decisione presa sulla gestione della compravendita dell’immobile londinese. Un disegno difensivo che vede come protagonista proprio l’ex cardinale Angelo Becciu, che nella conferenza stampa dopo le dimissioni auspicò che il Santo Padre agisse in piena autonomia, quindi non condizionato da esterni, e che prosegue con Monsignor Mauro Carlino, prelato pugliese, segretario e braccio destro dell’ex porporato di Pattada. Carlino, classe 1976, leccese, era il vero filtro tra il mondo esterno e Becciu, con il quale prendeva tutte le decisioni di indirizzo che riguardavano la gestione dei denari della Segreteria di Stato, i rapporti da tenere e le strategie da attuare. Secondo gli investigatori vaticani, di monsignor Carlino è da notare «non solo la particolare disinvoltura con la quale si muove nelle alte sfere della gerarchia dello Stato, ma anche l’incessante attività con personaggi del mondo della finanza per realizzare nuove iniziative di tipo imprenditoriale».

Renato Farina contro l'Espresso: fin dove si spinge per ravanare su presunte trame in Vaticano. Libero Quotidiano il 14 dicembre 2020. Dall'inizio Libero ha scritto che il caso Becciu è in realtà il caso-Espresso. Chi ha armato le pagine del settimanale per attaccare il cardinale sardo, fedele esecutore, come Sostituto della Segreteria di Stato, delle volontà dei Papi (prima di Benedetto XVI e poi di Francesco)? Questa la domanda posta da Vittorio Feltri notando come il diavolo dopo aver costruito le pentole si fosse dimenticato i coperchi. Da cui l'errore bambinesco, la classica pistola fumante, delle dimissioni annunciate prima ancora fossero state decise dal Pontefice, e la vanteria di attribuire a una copia dell'Espresso fatta leggere a Bergoglio il «merito» della defenestrazione ottenuta grazie all'articolo di un falsario condannato per tale e già segnalato da una denuncia ai promotori di giustizia vaticani e allo stesso Guardasigilli della Santa Sede, cardinale Dominique Mamberti. Come capita ai disperati che, secondo il motto romanesco, «nun ce vonno sta'», allo stesso modo si è comportato ancora in questi giorni il direttore che pur chiamandosi Damilano ha fatto suo quel motto alla vaccinara. E così ha ospitato un nuovo assalto alla baionetta di pastafrolla dell'autore dei servizietti ad uso dei calunniatori da dentro le Mura Leonine di Becciu, Massimiliano Coccia, a questo punto ridotto a manzoniano vaso di Coccia. Non è d'uso nostro storpiare i cognomi, ma impossibile sottrarsi alla tentazione, constatando la miseria del nuovo tentativo. Trattasi di un classico rinculo, detto anche ritirata strategica per salvare la faccia. L'amanuense che in passato si è spacciato per don Andrea Andreani, segretario del Papa, ha una sua strana potenza. Non dimentichiamo che è amico di Roberto Saviano ed è autore di interviste in ginocchio all'allora procuratore capo di Roma e attuale presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, assurto a questa carica senza competenze di diritto canonico e per meriti francamente piuttosto misteriosi, visto il clamoroso fiasco dell'inchiesta su Mafia-Capitale (niente mafia, ha sancito la Cassazione) cui doveva popolarità e prestigio. E così Marco Damilano, pur protetto dall'omertà dei media italiani sulla base dell'assunto cane lecca cane, specie se è grosso (e l'Espresso appartiene al gruppo Gedi-Agnelli, con Repubblica, Stampa, Secolo XIX, quotidiani locali, Radio e tivù), ha rimesso in campo il suo campione di turlupinature per tutelare la periclitante reputazione del periodico. E ha investito ancora sul tema mandando lo sventurato Coccia ad addentare la preda. Il risultato pubblicato con enfasi sul web e sul cartaceo è un depistaggio malaccorto. Per eterogenesi dei fini rivela due verità: 1) l'Espresso non ha più carte fresche, deve rimestare roba antica; 2) si capisce che Becciu era stato scelto come bersaglio perché leale e fedele al Papa, fuori però dal cerchio dei bergogliani che stanno pensando al proprio futuro post Francesco: l'attacco era a Becciu, uccidendo lui per indebolire la credibilità della Chiesa e lo stesso Papato, disarticolandone la struttura di governo nella sua giuntura più salda e al di sopra di qualunque diceria di corruzione. Se Becciu è marcio, tutta la Chiesa è marcia. Il suo cadavere - inteso come istituzione materiale - da distribuito a iene ed avvoltoi perché, ufficialmente, sia nuda e pura. In realtà svuotata del tesoro dei poveri per darlo ai ricchi adulatori. Ecco, il secondo punto è quello nuovo fiammante, ma in realtà di antico pelo predatorio. La sanità vaticana fa gola. È un boccone appetitoso. Come si fece a suo tempo nel 1993 con il patrimonio dello Stato italiano, che fini praticamente gratis nel piatto del capitalismo straccione e antipatriottico di Torino e quindi a Parigi e Londra, ora partendo da Becciu si profilerebbe lo smantellamento dei beni della Chiesa e il passaggio di mano delle sue opere: le quali - in nome del «beati i poveri» - ingrasserebbero i soliti ricconi abilissimi nel rendere onore a Francesco purché come Pinocchio affidi al Gatto e alla Volpe le monete d'oro. Si noti il titolo della cosiddetta inchiesta «Scandalo in Curia, obiettivo Bambin Gesù». È l'ospedale che è la gloria pontificia della cura disinteressata per gli innocenti malati. I quali spesso sono scaricati come merce di scarto da cliniche à la page perché senza chance di una vita «normale». L'articolo di Coccia cerca di mettere in relazione i traffici dei lupi intorno alla sanità cattolica mettendoli in conto alle trame di Becciu. Peccato non ci sia neppure non diciamo prova ma neppure indizio contro il piccolo prelato sardo. Il cardinale Angelo Becciu - e ciò vale per i Sostituti predecessori e per l'attuale - non ha mai avuto a che fare con ospedali e simili. La sanità è stata sempre area esclusiva dei Segretari di Stato. Soprattutto sul Bambin Gesù, carissimo ai Pontefici, il Sostituto non vi ha storicamente alcuna competenza, fa semplici accuse di ricevimento delle eventuali comunicazioni provenienti dall'ospedale e le trasmette più in alto. Sulle questioni opache della sanità all'ombra di San Pietro si è diffuso il sito di informazione vaticana più attento al tema (korazym.org), e ha concluso: Becciu non c'entra nulla, prima si smonteranno formalmente le accuse al cardinale, meglio sarà per la Chiesa e per il Papato. Francesco - a quanto ci consta - se ne sta accorgendo.

Vaticano, primo paese al mondo per consumo di alcol: Francia seconda per distacco, ecco le cifre. Renato Farina su Libero Quotidiano il 13 ottobre 2020. C'è un autorevole ente americano, il Californian Wine Institute, che censisce ogni due anni i consumi di vino, Stato per Stato. Non sindaca sulla qualità, probabilmente conta i vuoti. Da quando c'è questo concorso da osteria - dal 2012 - il Vaticano ha vinto i tutti i campionati. Il consumo pro-capite è di 73,8 litri a testa (diciamo cento bottiglie circa), dando un giro alla Francia, seconda con 50,7, e all'Italia, terza con 48,2. Non stupisce questo primato: il vino è l'unica bevanda di Dio, e dunque la sua mescita è nella cittadella dei Papi comprensibilmente larga: evito di scrivere allegra per rispetto, ma non è certo con tristezza, che è caratteristica dell'avarizia, che dentro le mura leonine si tira il collo ai fiaschi. L'istituto californiano non ha considerato - si noti - il vino da messa, che dunque non genera questa abbondanza statistica, così da non mescolare sacro e profano. Resta da capire come mai questa predilezione favolosa. Diciamo che il cristianesimo ha sempre apprezzato il bello. I Papi da sempre sono stati i mecenati delle più strepitose opere d'arte, da Michelangelo a Raffaello a Bernini, e lo stesso impegno posto nello scegliere pittori, scultori e architetti lo hanno posto nel selezionare vitigni ubertosi e vignaioli geniali.

DALLA BIRRA. È noto che le grandi birre ebbero i natali nelle abbazie benedettine, che ancora ne producono di meravigliose, e che fu Dom Perignon, anch' egli monaco, inventò lo Champagne. Molto meno è noto che sono stati i Papi nel passaggio dal Medio Evo al Rinascimento a promuovere, con scienza ed arte, la progenie dei grandi cru non solo d'Oltralpe. Lo fecero specialmente durante il loro esilio avignonese, che pertanto non fu così inutile. Lo racconta splendidamente su Nuova Bussola Quotidiana (Nbq) Chiara Marabini. Benedetto XII e Clemente VI, nel XIV secolo, coltivarono da Avignone cultura, arti e vigne. Petrarca se la prese con il primo, che definì non leggiadramente «ubriacone incallito fradicio di vino, grave d'età e cosparso di umori soporiferi». Il secondo, al secolo Pierre Roger, originario del Limousin, mescolò teologia ed enologia, e inaugurò, scrive Nbq, «l'Europa del vino: Beaune, Baumes de Venise, Cassis, Provence, Languedoc, ma anche Saint-Pourçain, Poitou, Rhin e Cinque Terre, in Liguria, figuravano sulla tavola pontificia. A lui è anche legato il primo terroir di Châteauneuf-du-Pape, il "Bois de la Vieille"». Gli esperti di sociologia osservano che il Vaticano è capofila di chi alza il gomito per ragioni estranee alla fede: i circa 900 abitanti sono in grande maggioranza maschi e su con l'età, cioè consumatori tipici di ombre di bianco e di rosso. Noi aggiungiamo che i residenti nello staterello, per lo più chierici, non hanno la possibilità - così si dice - di alternare Bacco con Venere.

SIGARETTE E AFFINI. Quanto al tabacco, che pure era amatissimo da San Pio X, il quale ne usava una presa per il naso - da alcuni anni Francesco ha vietato la vendita di sigarette e sigari nel supermercato del Vaticano, il cosiddetto "spaccio dell'Annona", dove invece i vini abbondano, e pure quelli di altissima qualità sono abbordabili, a prezzi inferiori che in qualsiasi Paese europeo, essendo sgravati di tasse e balzelli. Fatto sta che già nel 2016, quando per la terza volta il Vaticano stravinse contro il resto del mondo, il Daily Beast, pubblicando la classifica del Wine Institute scelse di titolare la notizia così: «Vatican Priests & Nuns Are Drowning In Wine». Cioè: «In Vaticano preti e suore annegano nel vino». Esagerato. Constatiamo però che di certo nel campo dei drink il dialogo con l'Islam latita alquanto. Com' è noto la sharia punisce con la verga, in Arabia Saudita e in Sudan e in certe zone del mondo musulmano, i sacerdoti che cerchino di introdurre minime quantità di vino per la messa. In attesa che qualche monsignorino astemio metta all'ordine del giorno questo tema con gli scribi musulmani, promuovendo la sostituzione del vino da messa con il tè alla menta, nelle cantine del clero - non solo dalle parti del Colonnato di San Pietro - si resta ancorati allo stile della Chiesa primitiva, preferendo in campo enologico rimanere attaccati alla memoria degli apostoli e dei patriarchi biblici.

L'AMICIZIA. Una vecchia, inestirpabile amicizia lega i fratelli maggiori ebrei, i fratelli minori cattolici, e fratello vino. La Genesi attribuisce a Noè se non l'invenzione enoica di sicuro la prima sbronza della storia. Lungi dal biasimarla, Jahvè approvò la punizione che Noè inflisse al figlio Cam, il quale ne aveva riso stupidamente, mentre Sem e Jafet, che si guardarono bene dallo schernire il costruttore dell'Arca, furono coloro da cui venne la stirpe eletta. Guai a rinunciare al vino. Impossibile. In questa vita e nell'altra. Il tempo eterno del Paradiso è prefigurato da Isaia come un banchetto dove più del cibo conta il succo della vite: «un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6). Il vino due volte, due bottiglie a testa. In Vaticano hanno obbedito.

IL BEONE. Del resto i farisei sostenevano che Gesù fosse letteralmente «un beone, amico dei peccatori» lo riferisce Cristo stesso (Matteo 11,19), e lo dice senza rifiutare l'accostamento che i suoi nemici moralisti avevano escogitato per denigrarlo e ferirlo. Mentre a noi, beoni e peccatori, questa predisposizione di Gesù piace molto. Tutti sappiamo, anche chi non frequenta gli inginocchiatoi, che il primo miracolo del Nazareno, istigato dalla Madonna, fu di trasformare l'acqua in vino alle nozze di Cana. Su YouTube si trova un breve filmato di Francesco - i cui antenati in provincia di Asti producevano Barbera - che commenta quel miracolo. Legge il discorso preparato per benino: «L'acqua è necessaria per vivere, ma il vino esprime l'abbondanza del banchetto e la gioia della festa». Poi alza gli occhi dal foglio: «A un certo punto il vino viene a mancare e la festa sembra rovinata. Immaginatevi di finire la festa bevendo tè. Una vergogna. Senza vino non c'è festa". Be', per una volta non si può accusare il Vaticano con tutti i suoi cardinali, vescovi e sacrestani, di non essere coerente. Sulla finanze e sulle lotte di potere, magari non lo è. Ma il giusto onore al vino lo dà, e i calici traboccano. 

La solitudine del Papa, tra la curia che gli si oppone e gli amici caduti in disgrazia. Paolo Rodari su La Repubblica il 25 settembre 2020. Dopo le dimissioni del cardinale Becciu, suo uomo fidato coinvolto nello scandalo del palazzo acquistato a Londra, un'analisi dei sette anni a Roma di Francesco. Passati cercando di riformare il governo vaticano e portare pulizia anche nelle finanze. Il mandato che il collegio cardinalizio diede a Francesco nel marzo del 2013 fu chiaro: riforma la curia romana, elimina la sporcizia, a cominciare dalle finanze. Tant’è che fu proprio dallo Ior che il Papa cominciò a ripulire, accorgendosi presto quanto l’operazione fosse difficile. «I Papi passano, la curia resta», è l’adagio delle sacre stanze. Per quanto chi siede al soglio di Pietro si arrabatti per cambiare ...

Il Papa e il segreto della scatola sacra. Ezio Mauro, Paolo Rodari e Carlo Bonini su La Repubblica il 05 ottobre 2020. Cosa nasconde il nuovo terremoto che ha investito le finanze del Vaticano e illuminato la corruzione della Curia. Avvisarono il cardinale della sera, con un messaggero che bussava alla sua porta. Il Papa voleva vederlo: subito. Sua Eminenza non conosceva il motivo dell'improvvisa convocazione. Era un uomo molto influente, autorevole e potente. Lui stesso aveva posto la tiara in San Pietro, la corona dei papi, simbolo della pienezza del potere temporale, sulla testa del nuovo Papa, che aveva già accanto la mitragliatrice, emblema della dignità episcopale. Quel mercoledì, entrando nella stanza del Santo Padre, era un cardinale di 81 anni. Quando è uscito, 20 minuti dopo, era solo un prete. Il Papa lo aveva invitato a dimettersi, e aveva lasciato sulla tavola del papa l'anello, la croce pettorale e soprattutto la zucca, colorata con il colore della passione di Cristo, nel cardinalato viola. Sembra la storia di Giovanni Angelo Becciu, fino a due anni fa un potentissimo Vice Segretario di Stato, improvvisamente detronizzato da Papa Francesco per sospetto di malversazione, dimesso dall'ufficio di Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, costretto a rinunciare alle prerogative e ai diritti di ogni cardinale, compresa la partecipazione al conclave che un giorno dovrà scegliere il nuovo papa. Si tratta, infatti, di una storia del 1927, e riguarda il contrasto tra Pio XI e il cardinale Louis Billot, teologo gesuita, per l'appoggio esplicito di quest'ultimo al movimento reazionario di "Action Française", contro le indicazioni del Papa. Becciu oggi ha perso ruolo e potere, ma ha mantenuto il titolo di cardinale, l'appartamento in Vaticano e il berretto rosso. Ma l'ordine pontificio di Francesco di partire, dato a uno dei principi della Chiesa. Uno strappo, dunque, o il richiamo di un'antica usanza ormai dimenticata nell'esercizio dell'autorità papale? È chiaro che un secolo dopo, e con il potere temporale svanito, l'autorità al vertice della Chiesa non è più quella del Papa Re, ma nasce da un potere spirituale conferito dalla libera scelta dei cardinali nel Conclave, ispirata dallo Spirito. Santo. Allo stesso tempo, i diritti delle persone, indipendentemente dal loro rango, hanno gradualmente acquisito spazio e peso rilevanti nella coscienza collettiva, a partire dal diritto alla difesa e al diritto a un giusto processo. Ma è anche vero che il Papa è prima di tutto un'autorità morale, e il criterio etico è per forza uno dei suoi parametri nel giudicare l'operato dei suoi collaboratori, insieme all'onestà e alla trasparenza davanti al popolo di fedele. In ogni caso, come dimostrano i fatti, non c'è dubbio che la detronizzazione di un potentissimo cardinale in piena modernità abbia riaperto la porta di bronzo alle domande ricorrenti di ogni scandalo nel perimetro protetto del Vaticano: cosa succede all'interno delle mura pontificie? Che gioco sta succedendo, che cos'è oggi, a sette anni dall'inizio del pontificato di Francesco, l'equilibrio interno del potere? Un viaggio nelle stanze sacre può aiutare a capire.

Lo zoo sacro. Becciu è quindi l'occasione clamorosa per un racconto generale dello stato del governo della Chiesa nell'era Bergoglio, una sensibile cartina di tornasole, un termometro della febbre cronica vaticana. Il Prefetto dei Santi si è probabilmente imbattuto nella sua invulnerabilità. Sette anni in Segreteria di Stato come Sostituto e la sua capacità di manovra, unita all'esperienza maturata nelle Nunziature, gli avevano conferito il potere di dirigere senza frontiere le vicende del Vaticano, che ancora riverberava i suoi lampi dal ruolo svolto nella Congregazione. Ha dovuto accettare due anni fa di lasciare la Terza Loggia per il nuovo ufficio: ma sembrava aver riacquistato la grazia quando il Papa lo ha nominato cardinale, nonostante il consiglio di un nunzio e di alcuni uomini di Curia di pensarci due volte. Un amico del cardinale deposto allarga le braccia. "Allora è venuto semplicemente alla nostra attenzione. Era il più intelligente di tutti, ma aveva una concezione antiquata della famiglia, che i cardinali stranieri non riescono a capire. È sinceramente convinto di non aver fatto nulla di male aiutando i suoi fratelli, e ancora oggi non si rende conto che ci sono operazioni finanziarie che non sono illegali ma comunque sbagliate, e comunque per le organizzazioni della Santa Sede che sono profondamente inadeguate. Ma d'altra parte chi c'è qui che non ha approfittato? L'ambiente finanziario del Vaticano è una specie di zoo sacro, con consulenti che non lavorerebbero da nessun'altra parte, ei preti non ne capiscono nulla. Tutte le encicliche sociali che hanno parlato di economia, hanno sollevato infinite polemiche, dalla Rerum Novarumalla Caritas in veritate , alla Populorum progressio . La verità è che la Chiesa deve occuparsi del mantenimento delle coscienze, non del mantenimento dei patrimoni ”. Poi Francesco arriva allo zoo. Alcuni dicono che sia stato ossessionato dal vegliare sul denaro fin da bambino, quando ha sentito la storia della nonna sul viaggio dal Piemonte all'Argentina con le poche banconote di famiglia cucite nella fodera del pastrano. Mette subito un suo uomo a gestire i fondi dell'8 per mille nella CEI. Poi annuncia una Chiesa "povera, per i poveri". Ha quindi nominato il cardinale George Pell Prefetto del Segretariato per l'Economia e ha iniziato la sua battaglia per la trasparenza e la pulizia, senza indulgenza. Bergoglio, che quando parla per la prima volta di se stesso dice: "Sono un peccatore, sul quale si è posata la misericordia di Cristo", distingue tra peccato e corruzione. Il primo è perdonato, il secondo no, perché i corrotti non si riconoscono peccatori e quindi non accettano misericordia. Ecco perché il Papa della Misericordia non aveva il sospetto che una forma di corruzione fosse operante nella parte superiore del Palazzo Apostolico. "Un vescovo avido di guadagni disonesti - ha detto profeticamente qualche tempo fa - è una calamità per la Chiesa, perché il diavolo esce dalle sue tasche". Il nocciolo della corruzione è l'idolatria, l'aver venduto l'anima al dio denaro ". Non solo un peccato di avidità, che causa un danno illegittimo, quindi: ma un laccio satanico, una tentazione permanente del Maligno, un vitello d'oro sistemato nella casa di Cristo.

Beati i poveri. Così si capisce perché Francesco possa dire che il suo programma è quello che Gesù ha dettato nelle Beatitudini: beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, i miti, i perseguitati, i misericordiosi, i puri di cuore, perché di loro è il regno dei cieli. Nella sua pratica quotidiana ha valorizzato il ruolo del mendicante del Papa, che è tornato concretamente a fare carità, si informa direttamente dei casi di disperazione umana di cui è venuto a conoscenza, la scorsa settimana ha chiamato di persona un uomo d'affari che gli aveva donato un rene a una bambina. I quattro pilastri su cui poggia il suo pontificato sono la sintesi di questa visione: povertà, disuguaglianza, migrazione e ambiente. Una visione che sta affrontando, oggi, un'obiezione culturale esplicita, che può diventare un'opposizione. In Vaticano, soprattutto dopo il caso Becciu, nessuno parla ad alta voce contro Francesco. Ma a bassa voce qualcuno va all'attacco.

“Va bene, tutto sacrosanto - obietta un cardinale straniero che non accetta di essere chiamato conservatore - a meno che il Papa non attribuisca questi problemi esclusivamente al capitalismo sfrenato degli ultimi decenni. Nella dottrina sociale della Chiesa, che si basa sul binomio creatore-creatura, l'economia è uno strumento utile per realizzare il benessere delle creature, a beneficio dell'uomo. Il Papa infatti stravolge questo schema, individuando un nuovo binomio: creatore-creato, con la creatura che diventa un semplice sfruttatore della natura creata da Dio. Quindi l'economia che doveva servire la crescita dell'uomo, per beneficiare della ricchezza e ridistribuirla, deve invece puntare sulla decrescita. Ma il cuore della dottrina sociale era il significato della vita come redenzione, la salvezza della vita eterna. Oggi è sempre la salvezza, ovviamente, del pianeta. Come se la Chiesa fosse diventata una sorta di WWF consacrato ”. È facile prevedere, a questo punto, che la partita per il potere in Vaticano sarà una sfida culturale. La Chiesa, secondo un sostenitore di Bergoglio, un italiano, arriva impreparata. “Il momento più alto della riflessione intellettuale e pastorale resta il Concilio, al quale avevano partecipato gli ultimi tre papi, Luciani, Wojtyla e Ratzinger, mentre Bergoglio non ne faceva parte ma ne ha come riferimento costante, forse più di tutti. Sa che in quell'occasione la Chiesa ha potuto capire la modernità, intercettarne le domande e trovare le risposte. Oggi il Papa si è reso conto che occorre un nuovo sforzo di adattamento culturale, ma mancano i grandi teologi, i grandi intellettuali laici e cattolici, i grandi vescovi che hanno animato quel passaggio. Vuole "la Chiesa in uscita" fuori dal recinto, ma non trova compagni di viaggio, paga la mediocrità delle classi dirigenti che coinvolge anche il nostro mondo, la bassa tensione culturale del momento. Gli uomini di Chiesa non riescono a fare una nuova sintesi culturale, mostrano un deficit di comprensione del mondo e di conseguenza rivelano un deficit di capacità argomentativa, possono solo ripetere valori non negoziabili senza creare nulla di nuovo: e questo proprio come il virus e la crisi solleva nuove preoccupazioni e nuove domande nella nostra gente. Per questo il periodo di Papa Francesco è un momento di rinascita annunciata, di rigenerazione: ma la nascita non avviene, resta il grande convulsioni ”. mostrano un deficit di comprensione del mondo e di conseguenza rivelano un deficit di capacità argomentativa, possono solo ripetere valori non negoziabili senza creare nulla di nuovo: e questo così come il virus e la crisi suscitano nella nostra gente nuove preoccupazioni e nuove domande. Per questo il periodo di Papa Francesco è un momento di rinascita annunciata, di rigenerazione: ma la nascita non avviene, resta il grande convulsioni ”. mostrano un deficit di comprensione del mondo e di conseguenza rivelano un deficit di capacità argomentativa, possono solo ripetere valori non negoziabili senza creare nulla di nuovo: e questo così come il virus e la crisi suscitano nella nostra gente nuove preoccupazioni e nuove domande. Per questo il periodo di Papa Francesco è un momento di rinascita annunciata, di rigenerazione: ma la nascita non avviene, resta il grande convulsioni ”.

Il voto del Conclave. Ma la nuova classe dirigente in formazione nella Chiesa non è figlia di Francesco e frutto delle sue scelte? Qui non veniamo ai voti del conclave, che restano segreti, ma al voto dei Padri della Chiesa, cioè all'investitura che hanno dato al nuovo papa insieme alla nomina: si potrebbe dire il mandato, se non fosse per il Papa è ovviamente gratuito da ogni ipoteca e da ogni vincolo se non il suggerimento del ispiratore Paracleto nella Cappella Sistina, dopo che è stato pronunciato l '"extra omnes". Ma se in un conclave si vota e non si discute, accade il contrario nelle Congregazioni che si riuniscono nel pre-conclave: qui è certamente presente il futuro Papa (anche se teoricamente si potrebbe scegliere un non cardinale, anche un non sacerdote) e quindi si parla apertamente in modo che i futuri eletti ancora sconosciuti conoscano le preoccupazioni di ciascuno e la resa di tutti. E Bergoglio in quelle ore prima della sua nomina, con l'avvicinarsi del tempo, percepì il fastidio dei cardinali di diversi paesi per gli intrighi italiani della Curia, l'impazienza per i giochi di potere romani, l'avversione per i anche lobby regionali (“a un certo punto - dice un vescovo - c'erano più cardinali in Liguria che in Germania”), per legami impropri e favoritismi, per consuetudine nazionale, tanto che dietro ogni italiano in In Curia c'è sempre una famiglia ". Come ha detto il cardinale Pell, che si è appena congratulato per la sfortuna di Becciu, Bergoglio è stato scelto perché aveva tutte le qualità per "pulire" la Curia romana. E nella sua totale libertà di sovrano il Papa sembra essere autonomamente convinto che la Curia debba essere controllata con briglie corte, in attesa che finalmente abbia inizio la riforma, il cui testo è pronto. Un pregiudizio anti-italiano? Ma Francesco è italiano nei suoi antenati. Piuttosto, il Papa ricorda l'omelia del Cardinale Ratzinger con il morente Wojtyla il Venerdì Santo, sulla necessità già dichiarata allora, e drammaticamente, di cambiare il governo della Chiesa. Non dimentica le umiliazioni del Segretario di Stato quando il Cardinale di Buenos Aires è venuto a Roma e non ha visto né il Segretario né il Sostituto, che lo ha rimandato dal giovane vescovo Pietro Parolin prima che partisse per il Venezuela. Ha ancora un'immagine nitida degli italiani nel conclave diviso sul nome italiano di Scola e cauto sul suo, le voci sulle telefonate notturne di ragazze che si offrono alle segretarie dei cardinali giunti a Roma a buon mercato uno scandalo preconfezionato da fare. Scoppiano a porte chiuse le fotocopie distribuite a tutti prima del corteo che si stava dirigendo verso la Sistina con l'attacco di un quotidiano inglese a un papabile italiano: ce n'è abbastanza per coltivare un po 'di diffidenza. La Curia, dunque, come atrio di recinzione, palestra degli esercizi del potere italiano, luogo di resistenza. E la Chiesa italiana come calamita di fondi, fabbrica di cardinali, quindi fucina privilegiata della curia e del conclave. Francesco agisce su due fronti. Gli appuntamenti diventano puntuali, il mandato dura tutti e cinque gli anni, poi cambia: una rivoluzione in un mondo che ha la misura del tempo e dell'eternità. E le cattedre episcopali più importanti d'Italia non generano più automaticamente la porpora cardinalizia, come avveniva in passato, rompendo il meccanismo della carriera, sostituita da una scelta per merito e caratteristiche, non per rendita di carica. Quindi Torino, Milano, Venezia, Palermo oggi non hanno cardinali, quasi un'umiliazione. Il livello dell'episcopato italiano scende, anche il suo peso.

La scatola dei due papi. Non ci sarà quindi nessun sovrappeso italiano nel prossimo conclave, quando sarà il momento. Ma cosa ha pesato sul "corpo e sullo spirito" di Benedetto XVI per portarlo all'abdicazione? "Non comprendiamo l'avvento di Bergoglio fino alle dimissioni di Ratzinger", dice un cardinale, facendo scattare l'Apple Watch al polso, "sono passati 7 anni e 8 mesi da quel giorno, e non è ancora finita. il mistero è risolto ”. Le ipotesi rimangono. Il peso insopportabile dello scandalo pedofilia? Il cardinale ha alzato le spalle: “Non posso sapere, sono quello che vedo. Ricordate quella scatola bianca che Benedetto ha consegnato a Francesco sugli schermi del telegiornale, subito dopo la consegna? Ebbene, ci sono i documenti raccolti dalla commissione che indaga sulla fuga di informazioni riservate, guidata dalIl cardinale Julian Herranz , con il mandato di agire in pieno campo su tutte le organizzazioni della Santa Sede. Tieni presente che i commissari facevano 4 o 5 udienze a settimana. Sai cosa significa? In quella scatola ci sono le testimonianze di tutti i passaggi oscuri, le malefatte, le malversazioni, l'abolizione della legge antiriciclaggio voluta dal Papa, la colpa e la responsabilità. È probabile che Benedetto, di fronte alla portata di quei risultati e al necessario intervento, abbia avuto un crollo di forze ”. Ed è possibile che quel palco fosse il pegno del passaggio tra i due Papi, e che Francesco se ne impossessò con la promessa a se stesso di combattere quei metodi e quell'usanza. Ecco perché, secondo i suoi uomini, ha reagito così duramente a Becciu: proprio perché gli aveva dato ampia fiducia, si è sentito tradito. E alcuni, fingendo all'epoca di immaginarlo, avanzano anche l'ipotesi che il Papa abbia intravisto l'ombra di una "confraternita di potere" per stringere patti e alleanze del fronte della resistenza, in vista di un futuro conclave, la nomina a a cui finiscono tutti gli intrighi vaticani, come in un imbuto benedetto. Ma chi sono gli avversari oggi? "Partiamo dagli amici - racconta un vecchio residente dei Palazzi Apostolici -, sono quasi tutti fuori dalla Curia, spesso anche fuori dalla Santa Sede,Antonio Spadaro , il direttore di "Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti, Guzman Carriquiry , un diplomatico uruguayano, Eugenio Scalfari , il fondatore di "Repubblica" al quale il Papa ha rivelato la formula dell'unico Dio ". Poi naturalmente l'amicizia di lavoro con il cardinale canadese Michael Czerny , sottosegretario Gesuiti della sezione migranti e porporato honduregno Oscar Maradiaga , Coordinatore del Consiglio dei Cardinali 9 (attualmente sono sette) e Filippino Luis Tagle , a cura del Prefetto della Congregazione dei evangelizzazione popoli, padre Guerrero Alves, anche un gesuita, capo della Segreteria per l'Economia, che ha accettato l'incarico chiedendo a Francesco il favore di non essere nominato vescovo, il cardinale brasiliano Claudio Hummes che era seduto accanto a Bergoglio in conclave e subito dopo l'elezione ha detto che si ricordava dei poveri. "Allora è venuto semplicemente alla nostra attenzione. Ci sono oppositori ideologici, ovviamente, che vogliono mantenere tutto com'è, anche ciò che funziona molto male. Ma poi ci sono tutti quelli in cui il Papa ha creduto all'inizio, che hanno promosso, che lo hanno deluso e sono stati tormentati. Sono gli insoddisfatti: dietro ognuno di loro c'è una cerchia di amici, aiutanti, fan. Moltiplica il numero degli insoddisfatti per 30 o per 40, in alcuni casi anche 50, e qui a Bergoglio avrà il fronte della resistenza ”.

Il seme e i frutti. Dentro, perché fuori, nel secolo, la popolarità di Francesco continua ad essere altissima, nonostante il Covid impedisca viaggi e contatti con la folla. Dal 9 marzo al 18 maggio, in mezzo al blocco delle messe aperte ai fedeli, il Papa ha deciso di far trasmettere alla televisione vaticana (poi seguita dalla RAI, poi rilanciata in streaming) la messa di mezz'ora celebrata ogni mattina alle 7 nel piccolo Cappella di Santa Marta, con un'omelia che normalmente non supera i 6 minuti: boom d'ascolto. È come se il popolo cattolico avesse fatto la sua classificazione tripartita: Wojtyla l'anima, Ratzinger la mente, Bergoglio il cuore. “Vero, ma attenzione - dice un assiduo frequentatore di Santa Marta, citando Spinoza - omnis determinatio est negatio, così non limitiamo il Papa all'empatia, all'umanità. Quando solleva questioni come il clima, le migrazioni, la povertà, le nuove forme di schiavitù, alza l'asticella del suo pontificato, sa che i risultati saranno molto difficili da ottenere nel breve termine. Ma poiché sente l'imperativo morale di farlo, lo fa ostinatamente, persino ostinatamente, senza calcoli di opportunità. Chiede di essere giudicato dai semi, non solo dai frutti, che probabilmente raccoglieranno alcuni dei suoi successori. E questa è davvero una stagione di grande semina ". che probabilmente raccoglierà alcuni dei suoi successori. E questa è davvero una stagione di grande semina ". che probabilmente raccoglierà alcuni dei suoi successori. E questa è davvero una stagione di grande semina ". Per gli avversari, infatti, grandine. Dicono che non esiste un programma concreto, che le riforme sono sconnesse, incomplete, il sistema viaggia a velocità diverse, il risultato è la confusione, l'incertezza, il terremoto permanente, causato anche dalle scelte impulsive del Papa ". troppo sudamericano ”. Aggiungono che è sospettoso, come se a Roma si muovesse "in partibus infidelium", non vuole fare affidamento su un solo segretario (in Argentina non aveva nemmeno un segretario) perché diventerebbe inevitabilmente un centro di potere: quindi ne ha due alternati, così che nessuno ha la chiave che apre tutto l'impegno pontificio e quindi del suo pensiero, e comunque le cambia ogni cinque anni, a differenza dei papi precedenti che hanno tenuto lo stesso collaboratore per tutta la durata del loro regno. Quando padre Spadaro ha chiesto anni fa a Francesco se voleva riformare la Chiesa, ha sentito un'altra risposta: “Voglio davvero molto di più, voglio mettere Cristo al centro della Chiesa. Poi lavorerà per cambiarlo ". Oggi Spadaro su "Civiltà cattolica" risponde alle critiche sull'impulsività latinoamericana del Papa spiegando il suo metodo di governo. Il modello è Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, per il quale è inutile cercare di cambiare le strutture se le persone non vengono cambiate dall'interno, perché la riforma se non si incarna nella vita delle persone diventa un ' ideologia. Non bisogna quindi credere a un modello astratto ma all'impatto della realtà, avere pazienza perché riformare significa avviare processi di cambiamento, e la strada si sceglie camminando.

Il metodo sacro. Quindi c'è un metodo, nell'epoca di Francesco. Ma c'è anche, rivela il visitatore di Santa Marta, il segreto del misticismo del Papa. La mattina subito dopo il risveglio alle 4:30, durante la messa delle 7, la sera prima di cena e poi prima di coricarsi, il Papa prega, anche per decidere. Nel senso che usa la preghiera come criterio di "discernimento", cercando e trovando quella che percepisce come la strada indicata dal Signore nella lettura dei fatti e degli eventi, in sintonia tra ciò che vuole e deve fare e ciò che sente nella preghiera. . Ha spiegato al suo staff che ha usato tre criteri per decidere: o chiarezza immediata, che non ha bisogno di ulteriori riflessioni, quando si è sentito in dovere di inchinarsi alla delegazione sudanese in visita. dopo aver baciato la sacra scarpetta del papa fino a sessant'anni fa; o pura razionalità, con un calcolo dei pro e dei contro di ogni scelta e una valutazione dei benefici; o proprio la riflessione affidata alla preghiera, in dialogo con il divino. Non è dunque istinto decidere, ma un criterio, che comunque non protegge dagli errori, come ha ammesso Francesco due anni fa nella lettera ai vescovi del Cile sugli abusi del clero: "Riconosco di aver commesso gravi errori di valutazione e percezione della situazione, per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate, chiedo scusa a tutti coloro che ho offeso, e spero di poterlo fare personalmente ”. Non è abbastanza per gli avversari. Ricordano che il Segretario di Stato, appreso dal telegiornale della sera, del licenziamento di Becciu, non ne fu informato né prima né dopo l'incontro del Papa con il cardinale. Affermano che il Papa decide troppo spesso da solo perché è davvero solo, manca di una struttura di sostegno, dialogo e confronto, passa molto rapidamente dalla fiducia al disprezzo e spesso alza la voce liquidando i suoi interlocutori. Chi va a Santa Marta ammette che Francesco a volte perde le staffe. D'altronde è stato lui a teorizzare che bisogna "accarezzare i conflitti", non temerli e non avere paura delle contraddizioni. Il conflitto, infatti, va gestito e non aggirato o nascosto, perché devi essere inquieto proprio quando tutto sembra calmo. Il Papa risponde alle sue critiche indirettamente ma molto duramente, mettendo in discussione il diavolo e le sue tentazioni. Il Maligno, spiega Francesco, per non scontrarsi con la saggezza dello Spirito, a volte cerca di provare sotto le spoglie del bene. In questo caso “la finezza del Nemico diventa estrema, perché chi è tentato crede di dover agire per il bene della Chiesa. La sottigliezza sta nel farci credere che la Chiesa viene distorta e nel cercare di convincerci che poi dobbiamo salvarla, forse anche suo malgrado. È una tentazione presente sotto un'infinità di maschere diverse ma che alla fine hanno tutte qualcosa in comune: la mancanza di fede nella potenza di Dio che vive sempre nella sua Chiesa ”. In questo caso “la finezza del Nemico diventa estrema, perché chi è tentato crede di dover agire per il bene della Chiesa. La sottigliezza sta nel farci credere che la Chiesa viene distorta e nel cercare di convincerci che poi dobbiamo salvarla, forse anche suo malgrado. È una tentazione presente sotto un'infinità di maschere diverse ma che alla fine hanno tutte qualcosa in comune: la mancanza di fede nella potenza di Dio che vive sempre nella sua Chiesa ”. In questo caso “la finezza del Nemico diventa estrema, perché chi è tentato crede di dover agire per il bene della Chiesa. La sottigliezza sta nel farci credere che la Chiesa viene distorta e nel cercare di convincerci che poi dobbiamo salvarla, forse anche suo malgrado. È una tentazione presente sotto un'infinità di maschere diverse ma che alla fine hanno tutte qualcosa in comune: la mancanza di fede nella potenza di Dio che vive sempre nella sua Chiesa ”.

Il rito del rimorchio. Ancora una volta, poi, "Salus extra Ecclesiam non est", e ovviamente "Ubi Petrus, ibi Ecclesia". Ma perché è necessario ribadire questi precetti, nel momento in cui Francesco conquista il cuore del popolo cristiano? Da dove viene la resistenza al Papa e alla sua azione? E fino a che punto può arrivare questa resistenza? Dovrebbe riflettere la reazione di Becciu alla condanna papale: poche ore dopo la defenestrazione, un cardinale della Santa Madre Chiesa, che fu uno dei primi collaboratori del Papa, lo negò in pubblico, convocando una conferenza stampa, di forte influenza. media accumulati negli anni trascorsi alla Segreteria di Stato. Becciu contesta le ragioni che consigliavano al Papa di allontanarlo, si difende dalle accuse come naturalmente è suo diritto, ribadisce che avrebbe "dato la vita" per il Papa ma subito dopo lo accusa di aver sbagliato, ribadendo di aver commesso "un errore", e arriva addirittura a sostenere che nonostante tutto "conferma la fiducia" in Francesco, ribaltando le formule, ruoli e costumi, perché Francesco aveva appena ritirato la sua fiducia e il suo incarico. La legittima difesa dell'ex Prefetto diventa così un attacco politico al Papa e una sfida aperta, come se sapesse di poter contare su un consenso sommerso, guardando quell'appartamento papale vuoto come una vacanza di potere, o almeno di autorità, logora. e perso nella vita senza filtro e senza distanza regale a Santa Marta. e si spinge addirittura a sostenere che nonostante tutto "conferma la fiducia" in Francesco, ribaltando le formule, i ruoli e le abitudini, perché Francesco aveva appena ritirato la sua fiducia e il suo incarico. La legittima difesa dell'ex Prefetto diventa così un attacco politico al Papa e una sfida aperta, come se sapesse di poter contare su un consenso sommerso, guardando quell'appartamento papale vuoto come una vacanza di potere, o almeno di autorità, logora. e perso nella vita senza filtro e senza distanza regale a Santa Marta. e si spinge addirittura a sostenere che nonostante tutto "conferma la fiducia" in Francesco, ribaltando le formule, i ruoli e le abitudini, perché Francesco aveva appena ritirato la sua fiducia e il suo incarico. La legittima difesa dell'ex Prefetto diventa così un attacco politico al Papa e una sfida aperta, come se sapesse di poter contare su un consenso sommerso, guardando quell'appartamento papale vuoto come una vacanza di potere, o almeno di autorità, logora. e perso nella vita senza filtro e senza distanza regale a Santa Marta. Gli amici di Francesco dicono che la verità è un'altra, molto più semplice: "Il prefetto delle cause di canonizzazione ha perso i suoi santi, e ha finito per perdere anche la testa". Certo, spiegano, il Papa sente la solitudine di responsabilità, tipica del vertice della Chiesa, che Paolo VI disegnò come la cuspide di una cattedrale gotica. Solo di fronte al dovere di decidere, un peso che era finalmente diventato insopportabile per le spalle indebolite di Benedetto XVI. Ma Bergoglio, aggiungono persone a lui vicine, ha messo reagenti chimici nel campo di quello che considera il vero pericolo, il momento in cui la solitudine si trasforma, diventando isolamento. E il primo antidoto è Santa Marta, una porta aperta al mondo che le permette di contaminarsi con la vita degli altri, di incontrarsi, ascoltare, vagliare e capire, anche con la sorpresa della sua coincidenza: spezzare il potere di interdizione dell'agenda, del rito, dell'ufficialità, della separazione che rischia di trasformare il Papa in un simbolo sacro piuttosto che in una presenza, irraggiungibile in Appartamento perché lontano e quasi incorporeo nelle sue apparizioni alla finestra. D'altronde qualcuno ricorda che quando Bergoglio dirigeva l'università dei Gesuiti in Argentina, un giorno fu trovato seduto alla porta della portineria, spiegando semplicemente che "devi venire qui, se vuoi davvero capire tutto". irraggiungibile nell'appartamento perché distante e quasi incorporeo nelle sue apparizioni alla finestra. D'altronde qualcuno ricorda che quando Bergoglio dirigeva l'università dei Gesuiti in Argentina, un giorno fu trovato seduto alla porta della portineria, spiegando semplicemente che "devi venire qui, se vuoi davvero capire tutto". irraggiungibile nell'appartamento perché distante e quasi incorporeo nelle sue apparizioni alla finestra. D'altronde qualcuno ricorda che quando Bergoglio dirigeva l'università dei Gesuiti in Argentina, un giorno fu trovato seduto alla porta della portineria, spiegando semplicemente che "devi venire qui, se vuoi davvero capire tutto". In fondo la solitudine è una pedagogia del potere e dell'umiltà, spiega chi conosce il Papa da molto tempo, sostituendosi quotidianamente all'antico rito del rimorchio che proprio nel giorno della sua consacrazione ricordava al nuovo papa la scadenza del potere universale ma transitorio che aveva ha appena assunto su di sé: "Quando il Papa è elevato alla più alta onorificenza - recita un esemplare del 1200 - si accende davanti agli occhi un lino che il fuoco brucia e consuma in un attimo, e gli viene detto" sic transit gloria mundi ”, quindi devi pensare a te stesso cenere e mortale”. Un monsignore che lavora in Vaticano ma non si unisce alle fazioni e si considera un "semplice osservatore dall'interno", dice che c'è nella Chiesa un unico criterio oggettivo per valutare lo stato del pontificato, e cioè gli uffici di Cristo. " cioè i compiti e le funzioni che secondo la Bibbia Gesù si assegnò nel mondo degli uomini, e che poi affidò agli Apostoli, trasmettendoli alla Chiesa fondata su Pietro. Sono i "Tria Munera" che valgono per ogni parroco, vescovo, cardinale e ovviamente anche per il Papa: i doveri del sacerdote, del Re e del profeta. “Ora non c'è dubbio che Francesco è naturalmente un sacerdote, cioè svolge pienamente il suo ufficio spirituale, così come è chiaro che sa leggere il segno dei tempi, così adempie alla funzione profetica, la più difficile e significativa. Resta il compito del Re, l'arte del governo, nella quale si batte di più, come il suo predecessore e come l'ultimo Wojtyla. Tre papi diversi, una sola resistenza, come se il Vaticano fosse ingovernabile ". e che poi ha affidato agli Apostoli, trasmettendoli alla Chiesa fondata su Pietro. Sono i "Tria Munera" che valgono per ogni parroco, vescovo, cardinale e ovviamente anche per il Papa: i doveri del sacerdote, del Re e del profeta. “Ora non c'è dubbio che Francesco è naturalmente un sacerdote, cioè svolge pienamente il suo ufficio spirituale, così come è chiaro che sa leggere il segno dei tempi, così adempie alla funzione profetica, la più difficile e significativa. Resta il compito del Re, l'arte del governo, nella quale si batte di più, come il suo predecessore e come l'ultimo Wojtyla. Tre papi diversi, una sola resistenza, come se il Vaticano fosse ingovernabile ". e che poi ha affidato agli Apostoli, trasmettendoli alla Chiesa fondata su Pietro. Sono i "Tria Munera" che valgono per ogni parroco, vescovo, cardinale e ovviamente anche per il Papa: i doveri del sacerdote, del Re e del profeta. “Ora non c'è dubbio che Francesco è naturalmente un sacerdote, cioè svolge pienamente il suo ufficio spirituale, così come è chiaro che sa leggere il segno dei tempi, così adempie alla funzione profetica, la più difficile e significativa. Resta il compito del Re, l'arte del governo, nella quale si batte di più, come il suo predecessore e come l'ultimo Wojtyla. Tre papi diversi, una sola resistenza, come se il Vaticano fosse ingovernabile ". del re e del profeta. “Ora non c'è dubbio che Francesco è naturalmente un sacerdote, cioè svolge pienamente il suo ufficio spirituale, così come è chiaro che sa leggere il segno dei tempi, così adempie alla funzione profetica, la più difficile e significativa. Resta il compito del Re, l'arte del governo, nella quale si batte di più, come il suo predecessore e come l'ultimo Wojtyla. Tre papi diversi, una sola resistenza, come se il Vaticano fosse ingovernabile ". del re e del profeta. “Ora non c'è dubbio che Francesco è naturalmente un sacerdote, cioè svolge pienamente il suo ufficio spirituale, così come è chiaro che sa leggere il segno dei tempi, così adempie alla funzione profetica, la più difficile e significativa. Resta il compito del Re, l'arte del governo, nella quale si batte di più, come il suo predecessore e come l'ultimo Wojtyla. Tre papi diversi, una sola resistenza, come se il Vaticano fosse ingovernabile ".

L'asino sacro. Ai suoi più insofferenti collaboratori, che vorrebbero forzare modi e tempi, il Papa risponde, sabato scorso, celebrando nella basilica superiore di Assisi la messa di benedizione della nuova enciclica davanti al Sogno di Innocenzo III di Giotto, che vede steso San Francesco pericolo di sostenere la caduta del Laterano, salvandolo. L'iconografia contiene profezie. E poi qualcuno, nella "famiglia" allargata del Papa, ricorda l'antico mosaico dell'abside di San Pietro con una fenice trionfante su sfondo verde, simbolo della resurrezione ma anche della capacità di autogenerarsi eternamente dopo che il fuoco ha attaccato il nido. Ma il saggio cardinale avverte che si dovrebbe piuttosto temere il volo di ritorno del corvo che è entrato nelle stanze di Benedetto scambiando le sue carte segrete, "E speriamo che questa volta non sia un avvoltoio." Anche se nel bestiario divino i tempi dicono che sarebbe piuttosto il tempo dell'asino, su cui nei rituali pontifici dell'alto medioevo sedeva invece a cavallo di un arciprete (i cardinali ancora non esistevano), che da quella posizione inversa doveva tentare per tre volte per afferrare i soldi nella bacinella davanti alla testa dell'animale: impossibile. Il prelato si contorse fino alla caduta, vinse il sacro asino e il popolo applaudì allo spettacolo eterno di infinito esorcismo contro l'avidità del clero. che da quella posizione inversa ha dovuto provare tre volte ad afferrare i soldi nella bacinella davanti alla testa dell'animale: impossibile. Il prelato si contorse fino alla caduta, vinse il sacro asino e il popolo applaudì allo spettacolo eterno di infinito esorcismo contro l'avidità del clero. che da quella posizione inversa ha dovuto provare tre volte ad afferrare i soldi nella bacinella davanti alla testa dell'animale: impossibile. Il prelato si contorse fino alla caduta, vinse il sacro asino e il popolo applaudì allo spettacolo eterno di infinito esorcismo contro l'avidità del clero.

DAGOREPORT il 7 ottobre 2020. Forse invidioso di Eugenio Scalfari, che com’è noto ogni tanto va a Casa Santa Marta per confessare Bergoglio, san Eziolo Mauro, successore di Barbapapà sul soglio di Repubblica, e ora emerito quanto Ratzinger e il Fondatore, s’è impancato a scrivere sul quotidiano che ha diretto per 20 anni tre-pagine-tre di romanzo vaticano. Siccome i republicones sono gente fina, la messa cantata è stata presentata sia in prima pagina che all’interno come «Longform», qualunque cosa significhi. Bisogna capirli: sono 44 anni che si credono il New York Times. Peccato che il polpettone, golosamente intitolato «Il Papa e il segreto della scatola sacra», abbia risentito delle scarse frequentazioni sacramentali di san Eziolo, cosicché le sottane d’Oltretevere da tre giorni si stanno tenendo la pancia dalle risate per gli svarioni storico-religiosi che è riuscito a infilarci. Siccome da quelle parti non si tengono un cecio in bocca (semmai una fava), un’anima pia ci ha segnalato l’elenco delle vatiminchiate sparse a piene mai dal venerato Mauro da Dronero nella sua chilometrica pezza. Eccole.

1. San Eziolo comincia parlando del cardinale Louis Billot, fatto dimettere nel 1927 da Pio XI. «Era un uomo molto influente, autorevole, potente. Proprio lui in San Pietro aveva appoggiato la tiara, corona dei pontefici simbolo della pienezza del potere temporale, sul capo del nuovo Papa». Sbagliato: fu il protodiacono Gaetano Bisleti.

2. Poi scrive: «È chiaro che a distanza di un secolo, e con il potere temporale svanito, l’autorità al vertice della Chiesa non è più quella del Papa Re, ma nasce da un potere spirituale». Sbagliato: l’ultimo Papa Re fu Pio IX.  E comunque lo Stato della Città del Vaticano, di cui il Papa resta sovrano, che cos’è se non potere temporale, rafforzato da Bergoglio con leggi, tribunali, indagini, processi, carcere e così via, fino ad arrivare ad assumere addirittura l’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone?

3. San Eziolo afferma che «l’autorità al vertice della Chiesa non è più quella del Papa Re, ma nasce da un potere spirituale conferito dalla scelta libera dei cardinali nel Conclave, su ispirazione dello Spirito Santo». Sbagliato: il prudente Benedetto XVI nel 1997, intervistato dalla televisione bavarese, chiarì una volta per tutte la faccenda: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci».

4. Secondo il venerato Mauro da Dronero, Bergoglio «non dimentica le umiliazioni della Segreteria di Stato quando il cardinale di Buenos Aires veniva a Roma e non vedeva né il Segretario né il Sostituto, che lo rinviavano al giovane vescovo Pietro Parolin prima che partisse per il Venezuela». Sbagliato: l’attuale segretario di Stato era un semplice monsignore, fino a quando non  fu nominato nunzio a Caracas.

5. Secondo san Eziolo, «Francesco agisce su due fronti. Le nomine diventano a tempo, il mandato dura per tutti cinque anni». Sbagliato: non per tutti. Fanno eccezione – si fa per dire – i fedelissimi del pontefice argentino, come Parolin, Baldisseri (fino al compimento degli 80 anni il 29 settembre scorso), Krajewski, Stella, ma anche curiali ereditati dal precedente pontificato, come Sandri, Versaldi, Bertello, Comastri, Mamberti, Piacenza, Sarah, Harvey, Koch, Ouellet, Ravasi, per limitarsi ai cardinali. «Poi si cambia: una rivoluzione», aggiunge l’agiografo di Repubblica. E dove sta allora la rivoluzione, considerate queste vistose preferenze che Francesco fa per i suoi pupilli?

6. Oltre che di religione, Ezio Mauro adesso mastica anche di nuove tecnologie. Infatti scrive: «“Non si capisce l’avvento di Bergoglio finché non si è capita la rinuncia di Ratzinger – dice un cardinale facendo scattare l’Apple Watch al polso – ecco, proprio oggi sono 7 anni e 8 mesi da quel giorno». Sbagliato: dal 28 febbraio 2013 fanno 7 anni e 7 mesi. Bisogna dire al cardinale o a chi per lui di restituire l’Apple Watch che va avanti di circa un mese.

7. San Eziolo cita «il porporato honduregno Oscar Maradiaga, coordinatore del Consiglio dei 9 cardinali (attualmente sono sette)». Sbagliato: sono sei, tanto che per il cosiddetto C9 diminuito a C6 soprattutto per gli scandali è nata la battuta vaticana: «Ci sei o ci fai?».

8. San Eziolo elogia Francesco «quando sente di doversi chinare a baciare i piedi alla delegazione sudanese». Sbagliato: era sudsudanese. Almeno come esperto di politica internazionale dovrebbe sapere che esistono il Sudan e il Sud Sudan.

9. Quindi il turiferario Eziolo si lancia nell’elegia pura: «In fondo la solitudine è pedagogia del potere e dell’umiltà, spiega chi conosce il Papa da molto tempo, sostituisce quotidianamente l’antico rito della stoppa che proprio nel giorno della sua consacrazione ricordava al nuovo pontefice la caducità del potere universale». Sbagliato: era l’incoronazione, perché veniva consacrato solo se non era già vescovo.

10. Non contento di aver rubato il mestiere a Scalfari, san Eziolo strappa di mano il pennello anche a Vittorio Sgarbi, spiegando che papa Francesco sabato scorso ha celebrato nella basilica superiore di Assisi la messa di benedizione della nuova enciclica davanti al Sogno di Innocenzo III di Giotto. Sbagliato: ha celebrato nella basilica inferiore, mentre l’affresco è appunto in quella superiore.

Ora la domanda che circola in Vaticano è: chi sarà la gola profonda che ha imbeccato Ezio Mauro con una tale quantità di sfondoni? «Sicuramente uno degli uomini più vicini al papa», è la risposta unanime. E chi è lo spin doctor ombra (più ombra che doctor) di Bergoglio se non padre Antonio Spadaro, il gesuita che dirige La Civiltà Cattolica? «È proprio vero: Dio li fa e poi li accoppia», alza gli occhi al cielo una delle sottane pettegole di lungo corso. Che sia stato dunque un romanzo di cappa e Spadaro, quello impapocchiato da san Eziolo? Ai posteriori l’ardua sentenza. Amen.

Vaticano, soldi e ricatti sessuali: quando è cominciato tutto, un grosso caso per Papa Francesco. Libero Quotidiano il 26 settembre 2020. Le dimissioni del cardinale Angelo Becciu per le presunte accuse di peculato rappresentano solo l'ultimo dei diversi scandali che, negli anni, hanno travolto il Vaticano. Ma quand'è che sono iniziati i veleni, le minacce, i ricatti a sfondo sessuale all'interno della Santa Sede? Secondo una ricostruzione del Giorno, all'origine c'è la riforma dello Ior, la banca vaticana, ad opera di Papa Benedetto XVI, il predecessore di Bergoglio. Da quel momento si sono susseguiti scandali, fughe di notizie, arresti improvvisi, processi farsa. Il quotidiano prova a fare un'ipotesi: se, come molti sospettano, lo Ior è stato utilizzato per decenni per ripulire il denaro sporco delle organizzazioni criminali, queste ultime difficilmente accetteranno che qualcuno vi metta mano facendo riforme e pulizia. A questo punto si può ipotizzare che vengano fatte delle minacce sulla rivelazione di tale attività sotterranea della banca vaticana ai fedeli di tutto il mondo. Questo spiegherebbe il fallimento di ogni tentativo di riforma economica in Vaticano. E infatti non appena si prova a intervenire, vengono fuori rivelazioni utili alle lotte delle fazioni interne. Spunta così il colpevole, quello che deve essere fatto fuori. E per fare questo, sempre secondo quanto riporta il Giorno, ci si appoggia ai media, che si occupano di diffondere la notizia. Di qui iniziano processi mediatici, non reali. Il quotidiano riporta l'esempio del palazzo comprato a Londra dal Vaticano. In quel caso scoppiò lo scandalo e fu trovato un capro espiatorio, il comandante dei gendarmi Giani, costretto alle dimissioni, non per un processo, ma per una fuga di notizie.

Franca Giansoldati per “il Messaggero” il 27 settembre 2020. Per Papa Francesco è un'altra grana che si accumula e si va ad aggiungere alla sfilza dei dossier in attesa di soluzione. L'effetto palude. Gli mancava pure dover far fronte alla grave crisi dei fedeli causata dal Covid. A denunciarla è stato il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi, e dunque buona sentinella delle performance della Chiesa, il quale lo ha ammesso senza girarci troppo attorno. «Il lungo digiuno eucaristico dovuto al lockdown ha fatto perdere l'abitudine della messa domenicale». Praticamente una campana a martello che è risuonata all'Assemblea delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee). L'incontro doveva tenersi a Praga, ma il picco dei contagi causati dal Covid nella Repubblica Ceca non ha permesso ai vescovi di raggiungere la capitale e così il summit è diventato una videoconferenza. Si tratta di un'altra brutta notizia approdata a Santa Marta, la residenza di Bergoglio diventato ormai un fortilizio. Francesco trascorre le giornate sempre più solo e isolato, privato dalle folle e dai viaggi internazionali, passa ore a studiare, scrivere, pregare e capire come uscire dalla palude dei micidiali problemi di governo che in quest' anno complicato gli si sono accumulati. A volte per rompere l'isolamento si collega in video conferenza con comunità estere; lo ha fatto anche l'altro giorno parlando all'Assemblea dell'Onu, ma certamente non è come avere un contatto diretto con la marea dei pellegrini ai quali era tanto abituato. La prospettiva che ha davanti non è delle migliori, visto che per oltre un anno tutto resterà congelato. Per questo pontificato partito sette anni fa con aspettative rivoluzionarie e prospettive di cambiamenti epocali e riforme radicali è certamente un bel grattacapo. A dare angustia non è solo il Covid con tutte le sue conseguenze, ma gli effetti di un cammino che sembra arrancare. La riforma della curia è al palo, la trasparenza finanziaria da sempre invocata è un obiettivo ancora da raggiungere, basta vedere come si sono sviluppate le vicende di alcune recenti decapitazioni illustri dentro all'Aif, l'authority di controllo. Senza parlare dei processi che non vanno avanti, se è vero che i sei dipendenti della Segreteria di Stato, licenziati il primo maggio perché sospettati di complicità nell'affare del palazzo di Londra, non hanno ancora ricevuto dai magistrati alcuna comunicazione. Di fatto ad oggi non sanno ancora se sono stati iscritti all'albo degli indagati, se verranno convocati o se verranno rinviati a giudizio. Il clima interno si è fatto sempre più cupo, nei dicasteri le persone che vi lavorano non fanno mistero di avere paura, tutti temono di essere spiati. E sicuramente anche l'ultima defenestrazione illustre, quella del cardinale Becciu, suo ex braccio destro, liquidato in modo tanto brutale, togliendogli anche i diritti alla porpora, non contribuirà di certo a migliorare l'atmosfera generale.

Papa Francesco, Franco Bechis e le dimissioni di monsignor Becciu: "Bergoglio ha solo voluto dare un segno". Libero Quotidiano il 26 settembre 2020. Prima l'edizione straordinaria del bollettino della sala stampa vaticana in cui si annunciano le dimissioni del cardinale Angelo Becciu, poi il giorno dopo la replica del diretto interessato. Per Franco Bechis si tratta di "due atti clamorosi e senza precedenti". A pretendere le dimissioni di Becciu, come già detto precedentemente, è stato niente di meno di Papa Francesco. Il motivo? Nei confronti di Becciu è pendente l'accusa di peculato per avere favorito direttamente o indirettamente con aiuti economici (800 mila euro almeno) e raccomandazioni di varia natura alcune attività imprenditoriali presiedute o amministrate da tre dei suoi fratelli: una cooperativa sociale, un'azienda di distribuzione alimentare e di produzione della birra e una falegnameria. "Secondo l'accusa - prosegue il direttore del Tempo - alcuni di quei fondi (100 mila euro) sono partiti dalla segreteria di Stato che amministra anche parte dell'Obolo di San Pietro". Nella sua difesa però Becciu ha precisato che non c'è stata alcuna "irregolarità o violazione di legge e riconoscendo al massimo un possibile conflitto di interesse almeno nelle raccomandazioni a favore dei fratelli". Nonostante questo per Bechis il "gesto compiuto non può essere stato di impulso per rabbia, amarezza o delusione personale, né inconsapevole delle conseguenze che avrebbe avuto. Molte cose difficili da capire e talvolta anche da digerire sono un segno del suo papato". Insomma, per il direttore del quotidiano romano lo scopo di Bergoglio era quello di dare l'esempio: nulla può più essere accettato.

Papa Francesco, la svolta in Vaticano: "Fare pulizia è cosa buona, ma si vada fino in fondo". Antonio Socci su Libero Quotidiano il 27 settembre 2020. Già Benedetto XVI cercò di fare pulizia nelle intricate e oscure questioni finanziarie del Vaticano e si ebbe la sensazione di un'impresa durissima ai limiti dell'impossibile, addirittura fino a suscitare in alcuni il dubbio che essa abbia influito nella "rinuncia" al pontificato. Jorge Mario Bergoglio, nel 2013, fu eletto anche «per far pulizia nelle finanze del Vaticano», come ha ricordato il cardinale George Pell. In effetti ci ha provato fin dall'inizio, ma questi sette anni sono stati un susseguirsi di tentativi e fallimenti. Anche qui con una serie di nomine, siluramenti, contraddizioni, errori e casi mai ben chiariti, fino a precipitare nel dramma di queste ore che ha investito uno dei principali collaboratori di papa Francesco: il cardinale Angelo Becciu, "licenziato" su due piedi dal pontefice per la gestione dei fondi del Vaticano. Lui che era - come scrive Matteo Matzuzzi - «il potentissimo cardinale, considerato più vicino e in confidenza con il Papa». È un caso tanto clamoroso - anche per i suoi possibili sviluppi - che ieri un giornale titolava: "La Chiesa è nel caos. Siamo al tutti contro tutti". C'è chi si rallegra, come il card. Pell, perché pensa che stavolta sia stata presa la strada giusta (peraltro Pell è ritenuto un conservatore) e chi ritiene di assistere a un incomprensibile sfacelo. Infatti i media che hanno sempre supportato papa Bergoglio non sanno più che spartito suonare, perché quella che viene chiamata "guerra per bande", esplosa con il "caso Becciu", è tutta interna all'establishment bergogliano. Ed è un significativo paradosso che tale guerra scoppi oltretevere proprio mentre il papa sta per firmare la sua nuova enciclica che si intitola Fratelli tutti. Guardando alla sua Curia verrebbe da commentare: fratelli coltelli. Quello che sconcerta nella vicenda di queste ore è - in primo luogo - la gravità delle accuse stavolta abbattutesi su uno dei più stretti collaboratori del papa, da lui sempre sostenuto e promosso cardinale; in secondo luogo la modalità del "siluramento" senza spiegazioni e senza condanne, che ha fatto firmare a Luis Badilla, direttore del sito ultrabergogliano Il Sismografo, molto ben introdotto in Vaticano, un editoriale di fuoco intitolato: "Vicenda Becciu: un tipico caso di cannibalismo mediatico animato dall'interno delle mura vaticane".

UN DRAMMA AGLI INIZI. Dopo aver ricordato che Becciu «non è sotto processo e non è indagato», Badilla scrive: «Il gesto di ieri del Papa assomiglia ad una "esecuzione": sei accusato di ma non puoi difenderti (tranne che tramite la stampa)». Secondo Badilla, «Becciu va processato come Pell e tutti devono attendere la sentenza finale definitiva. Il Papa, nonostante i suoi poteri, non è un giudice né un tribunale. Nonostante tutto, i diritti dell'accusato esistono e le garanzie anche così come la presunzione d'innocenza tanta cara a Francesco Occorre ricordare» ha aggiunto Badilla «che sono decine le persone, alcune collaboratori vicini a Papa Francesco, che hanno finito di colpo le loro mansioni, senza ricevere spiegazioni, prove o ringraziamenti Non si può andare avanti così anche perché causa un danno gigantesco nel cuore dei cristiani semplici, umili e fedeli». Il giudizio del bergogliano Badilla è simile a quello di Riccardo Cascioli, direttore del sito cattolico La nuova Bussola quotidiana: «Quella del cardinale Becciu è l'ennesima epurazione ai vertici della Santa Sede che accade in questo pontificato. Epurazioni degne di giunte militari sudamericane, che evitano di appurare la verità». Eppure stavolta, al di là della durezza del potere e delle formalità controverse, sembra di cogliere in papa Bergoglio una sorta di sbigottimento, di smarrimento e delusione, come di chi si trova di fronte a una mole di problemi imprevisti da cui si sente schiacciato, cosicché reagisce in modo sbrigativo e convulso. Lo ha fatto capire lo stesso Becciu nella sua conferenza stampa, dicendo: «L'ho trovato in difficoltà, ho visto che soffriva». Matteo Matzuzzi, vaticanista del Foglio, ha fatto un affresco drammatico: «Il declinante pontificato bergogliano sta assumendo i tratti della più cupa tragedia shakespeariana siamo alla nemesi del pontificato: dopo aver eliminato senza troppi complimenti gli oppositori dottrinari, magari leali, ma non troppo in linea» con la sua rivoluzione e «averli sostituiti con fidatissimi uomini d'apparato con poco odore di pecora e lunghe carriere tra gli uffici della curia, la mannaia è andata ora a colpire proprio questi ultimi». Il dramma è solo agli inizi, perché non si può pensare di riportare nel silenzio una vicenda così clamorosa senza chiarire tutte le responsabilità. Ma ora l'enormità del problema economico incombe sul papa anche da altri lati. Il 30 settembre - proprio mentre il segretario di Stato americano Mike Pompeo è a Roma per lo scottante problema dei rapporti Vaticano/Cina - inizierà pure l'ispezione del Comitato Moneyval del Consiglio d'Europa, che deve decidere sulla permanenza del Vaticano nell'elenco dei Paesi virtuosi per gestione dei bilanci, lotta a corruzione e riciclaggio.

OFFERTE IN CALO. Inoltre c'è un altro macigno: il crollo delle offerte dei fedeli. Il Vaticano teme che anche casi finanziari come quello in corso alimentino la forte sfiducia dei credenti che negli ultimi anni hanno già tagliato le offerte dell'8 per mille, dell'Obolo di San Pietro e delle altre donazioni: basti dire che l'Obolo di San Pietro è passato dai 101 milioni del 2006 ai 70 del 2015. Ormai i giornali agitano apertamente lo spettro del default vaticano, che sarebbe davvero un dramma singolare considerato che fin dall'inizio papa Bergoglio ha affermato di sognare una Chiesa povera. Adesso forse si capirà che l'ideale della povertà, dell'austerità della vita, dovrebbe essere semmai delle persone (dai semplici cristiani agli alti prelati), ma la Chiesa in quanto tale ha bisogno di grandi mezzi economici per le sue missioni, per le sue opere educative, caritatevoli e assistenziali, per sacerdoti e religiosi, per la sua presenza ai quattro angoli del globo.

È possibile un ripensamento del papa su molte sue parole d'ordine "rivoluzionarie" di questi sette anni? Vedremo. La Chiesa è nella tempesta e c'è chi ha notato che negli ultimi tempi sono arrivati segnali che farebbero pensare a un papa Bergoglio preoccupato della confusione in cui si trovano i fedeli dopo questi anni "rivoluzionari". Per esempio il suo stop all'ordinazione di uomini sposati o certe recenti prese di posizione sul fine vita e sull'aborto o il recente "no" vaticano all'intercomunione con i protestanti. Sono segnali che potrebbero far pensare a una correzione in corso del pontificato (gradita, per esempio, alla Chiesa americana). Ma anche segnali che aumenteranno l'irritazione (già palese nei mesi scorsi) dei settori cattoprogressisti (specie tedeschi). Su queste prese di posizione il papa sa di avere, anche da noi, l'appoggio di quella Chiesa fedele che non ha dimenticato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e che in questi anni è stata relegata ai margini. Quello è il popolo cristiano che resta sempre fedele.

"Il Papa è scandalizzato: farà pulizia. Più controlli e finanze centralizzate". Il cardinale tedesco: "All'elezione ha accettato questo mandato". Fabio Marchese Ragona, Mercoledì 30/09/2020 su Il Giornale. «Un gesto di vicinanza al cardinale George Pell, ma il Papa ha ben chiaro che le finanze vanno ripulite, è il mandato che ha accettato al momento dell'elezione. E andrà avanti finché non avrà terminato il suo compito». È da sempre considerato uno dei più stretti alleati di Papa Francesco all'interno della Curia Romana: il cardinale tedesco Walter Kasper, teologo di fama internazionale e considerato uno dei grandi elettori di Bergoglio, parla a Il Giornale dopo i recenti scandali e la defenestrazione del cardinale Angelo Becciu, accusato dalla magistratura vaticana, non ancora formalmente, di peculato per trasferimenti di fondi dall'Obolo di San Pietro alla Caritas di Ozieri, Sassari, per esser poi utilizzati dalla cooperativa sociale del fratello.

Cardinal Kasper, nel bel mezzo di questa tempesta il Papa ha chiamato il cardinale Pell dall'Australia.

«L'ho saputo, anche se non credo che tornerà a lavorare sulle finanze vaticane, ormai è emerito come me! Ma il Papa vuole sicuramente mostrargli vicinanza e amicizia per ciò che ha subito».

Il Papa però sta dimostrando che vuol fare pulizia, no?

«È vero, il Papa vuole ripulire il Vaticano, soprattutto in questo ambito della finanza, ma non ho seguito da vicino le ultime vicende del cardinale Becciu. C'è da dire però che Francesco da tempo ha intrapreso questa strada».

Ci può spiegare meglio?

«Quello di mettere a posto le finanze vaticane è un compito che ha accettato dai cardinali quando fu eletto. Se ne parlò nel pre-conclave, quando in tanti rimasero sconvolti per lo scandalo Vatileaks e per ciò che venne fuori. Da quel momento Francesco decise di pulire e rinnovare la Curia Romana. Ovviamente sappiamo tutti, ma lo sa bene anche lui, che questo è un processo molto duro e non facile».

Qualcuno insinua però che il Papa sia rimasto solo e che il pontificato perda pezzi.

«Non è affatto cosi! Figuriamoci! Il fatto è che rinnovare e riformare un'istituzione come la Curia Romana, che è molto antica e complessa non è cosa facile, il Papa fa ciò che può! Non è solo un problema organizzativo: ci vuole anche un cambiamento interno delle persone, cambiare la loro mentalità nel profondo, cambiare certi rituali e questo non può esser fatto da un giorno all'altro!».

In questi anni Francesco, non a caso, si è fatto tanti nemici in Curia.

«Ci sono delle persone che non vogliono le riforme, è evidente, ma non so sinceramente quanti siano. Il Papa è deciso ad andare avanti: un rinnovamento è necessario, non si può lasciare tutto così com'è, questo è chiaro. Già Benedetto XVI aveva iniziato il cammino di riforma e adesso Francesco prosegue».

Secondo lei la colletta per l'Obolo di San Pietro, il 4 ottobre, risentirà di questi ultimi scandali che riguardano proprio i soldi della carità del Papa?

«Ovviamente sono vicende terribili, rappresentano uno scandalo per i fedeli e anche il Papa ne è scandalizzato. Tutto ciò però non deve far fermare la Chiesa: è un processo difficile ma è necessario cambiare le cose in meglio, e sappiamo che non si può fare in un attimo, con un comando immediato».

Un modo per cambiare ad esempio è la centralizzazione delle risorse finanziarie, un processo di riforma che il Papa ha chiesto già due anni fa e su cui si sta lavorando. Secondo lei è la strada giusta?

«Penso sia necessario, ci vuole una organizzazione precisa, un centralismo e un certo controllo. In una istituzione come la Santa Sede è fondamentale. E soprattutto è importante che ci siano sempre più controlli sulle finanze: in Germania si fa ormai da tanto tempo, in Vaticano, per fortuna, le cose stanno andando anche in questo senso».

La Santa Sede in crisi. Gogna contro Becciu è per insabbiare il nepotismo diffuso in Vaticano. Tommaso D'Aquino jr su Il Riformista il 29 Settembre 2020. Certo se le accuse contro il cardinale Becciu, tali da provocarne il defenestramento, sono quelle che si leggono sull’articolo de L’Espresso uscito domenica, allora siamo davvero messi male. Lo stesso reportage nota in almeno un paio di occasioni che non ci sono reati, semmai comportamenti che hanno favorito la famiglia (nepotismo). Ora intendiamoci, in questi giorni se ne leggono (carta stampata e web) e se ne sentono (tv e via dicendo) di tutti i colori. Tre esempi per tutti: L’Espresso scrive che non sono stati commessi reati. Giusto, a sentire loro, ma secondo quale normativa? Italiana o vaticana? Non sono identiche. Poi si parla di possibile “avviso di garanzia” (anche il Tg2 domenica alle 13): e perché? Mica è indagato in Italia. E in Vaticano non esiste tale procedura. Terzo: si scrive e si dice che il cardinale avrebbe usato fondi dall’ottopermille. Che è una “cosa” tutta italiana e la Santa Sede non c’entra. Troppa confusione tra Italia, Conferenza episcopale italiana alla quale va l’ottopermille e Santa Sede che con questa normativa nulla ha a che fare. Atteniamoci ai pochi fatti noti. Il primo: un cardinale rimosso dal suo incarico si professa innocente e dice che al massimo è stato imprudente nel favorire la famiglia. Secondo: la ricostruzione de L’Espresso parla di fondi distribuiti che tuttavia erano nella disponibilità del cardinale quando ricopriva l’incarico di Sostituto (numero 3 della gerarchia vaticana, dopo Papa e Segretario di stato). E del resto se il numero 3 non può disporre di fondi, cosa sta a fare? Terzo: c’è di mezzo la nota vicenda del palazzo a Londra ma pare che si possa separare dalle questioni del cardinale e – quarto – la rimozione decisa in venti minuti di colloquio secondo uno stile da giustizialismo populista di altri emisferi. Che cosa abbiamo capito? Poco o niente, in verità. Allora ricominciamo a fare ordine e qualche domanda. Se i fatti addebitati sono solo questi, per medesima ammissione de L’Espresso, non ci sarebbero reati (non si capisce in base a quale legislazione, ma insomma sorvoliamo anche su questo). Ci sarebbe una questione di opportunità: sostenere parenti stretti non è il massimo: il nepotismo ha una storia antica e oggi appare fuori luogo. Così ora sembra che la soluzione sarà accentrare tutti i fondi, i conti corrente, le disponibilità, nelle mani della Segreteria per l’economia e dell’Amministrazione del Patrimonio (Apsa). In realtà la decisione non consegue da questa vicenda ma era già stata comunicata prima dell’estate. Resta da vedere se funziona e in che misura sarà possibile un vero accentramento. Ancora non siamo al punto vero. Potrebbe essere questo: come mettere fine al nepotismo? Qui ci vuole il cambiamento profondo – spirituale, delle coscienze, interiore – di cui parla papa Francesco, perché le norme contro il nepotismo esistono. Però non vengono applicate. Da decenni, ad esempio, il Regolamento generale della Curia romana vieta le assunzioni di parenti fino al quarto grado. Ciò non impedisce di avere figli e nipoti che si tramandano posti di lavoro; figli assunti mentre i genitori sono in servizio e via dicendo. Forse il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” non lo sa, o meglio: non glielo ha mai detto nessuno e lui non lo ha chiesto. È il caso di informarsi. Così come le ditte che svolgono degli incarichi o hanno degli appalti: in teoria si fanno fare diversi preventivi, in realtà si sceglie per preferenza o per interesse, non in base a efficienza e costi. Perché accade? Il Vaticano è meno efficiente o più inefficiente di altre realtà? No, lo snodo è teologico. Ogni riforma si affossa proprio sulla teologia. Nella Chiesa si lavora per adempiere il mandato evangelico. Si lavora a servizio del Papa. E l’evangelizzazione non si misura con gli strumenti dei consigli di amministrazione, con i ricavi, con i risultati positivi o negativi dei bilanci e con gli strumenti di gestione del personale. La qualità non conta per oggi, la qualità è proiettata su scala eterna. Lo dicono i papi, i vescovi, i preti, per giustificare la loro mancata efficienza: la Santa Sede non è un’azienda, il lavoro è per il Regno di Dio. Dunque non è un lavoro vero e proprio, è semmai una via di mezzo tra un lavoro e una missione. Tu sei al servizio della Chiesa e del Papa e ti deve bastare. Invece quando vai a fare la spesa e devi far quadrare il bilancio familiare, ti accorgi che lo stipendio non basta e allora tra il lavoro e la missione bisogna trovare dei modi per incrementare i redditi. Semplice? Semplice e triste. Si ricordi la battuta attribuita a Giovanni XXIII la volta in cui gli chiesero: quante persone lavorano in Vaticano? E il Papa rispose: circa la metà. Sappiamo che è vero, però gli stipendi pagati sono per il doppio della metà che lavora, cioè anche per chi non lavora. Non essendoci meritocrazia ma livellamento funzionale, non essendoci strumenti di valutazione della produttività, tutti gli abusi o i sotterfugi diventano possibili. Questa sarebbe l’essenza di una riforma: far capire a cardinali, arcivescovi, vescovi, preti di curia, che sarebbe necessario introdurre elementi oggettivi di valutazione. Ma introdurli davvero. Sulla carta ci sono, restano inapplicati e tutto rimane inalterato. Ecco allora lo spoil system. Sarebbe auspicabile una vera riforma del tipo: tutti i preti che lavorano in Vaticano, a qualsiasi livello, di qualsiasi grado, vadano nelle loro diocesi, se ne tornino da dove sono venuti. Lasciate i laici, prepensionate il più possibile in base a criteri rigorosi, e assumete persone qualificate. In base a un criterio semplice: se oggi ci sono 4 mila dipendenti, ne basteranno 1500, pagati un terzo di più, per avere un risparmio sostanzioso delle spese e un incremento della produttività. Certo il Regno di Dio avanza sulla terra non in base alla produttività dei dipendenti della Santa Sede, pardon dello Stato della Città del Vaticano (e già sulla distinzione ci sarebbe proprio da scrivere tanto…), però farla finita con nepotismi finanziari e non solo, aumenterebbe di molto la credibilità dell’istituzione. Come cambiare? All’interno di strutture ampie e complesse ci sono delle strade da percorrere per avviare un reale cambiamento. Possiamo usare tre parole-chiave: riparazione, riflessività, stile. Riparare vuol dire gestire il conflitto, nascosto o palese; si tratta invece di cominciare a collaborare davvero con tutti, per raggiungere obiettivi di valore collettivo. In questo senso “buttare fuori qualcuno” non è una soluzione tanto adeguata. Riflessività vuol dire far emergere i chiaroscuri (capacità di riflettere insieme) e collegare le conquiste “esterne” alle conquiste “interne” delle persone: il lavoro per ognuno è portatore di significato per la vita, contribuisce a conferire un ruolo sociale ed individuale. Il terzo passo è far crescere l’idea che la leadership è azione e impegno; un leader ha dei veri follower (tanto più nell’era dei social networks), seguaci effettivi, non seguaci per forza, per invidia, per opportunismo. Invece abbiamo assistito al giustizialismo populista: ti conosco da tanti anni, ti ho creato cardinale, dopo anni (!!) scopro che hai operato non in modo criminale ma quantomeno molto inopportuno, dunque ti caccio per dare un segnale a tutto il sottobosco vaticano. Penso di dimostrarmi forte e non comprendo quanto sono debole; agisco per istinto ed impulso: sono debolissimo. Inoltre in un colpo solo il Papa ha esautorato il Segretario di Stato che non sapeva niente, il Dicastero per la comunicazione che tace da una settimana, e grazie a 20 minuti di processo sommario ha affossato il Procuratore generale da poco nominato. E ha rivelato il vero volto di questo potere: monarchico-dittatoriale e fittizio con il risultato di avere una Curia disorientata e spaesata, impaurita fino alla paralisi operativa per non correre il rischio di fare la stessa fine del cardinale sardo. Mentre si pensava di risolvere un problema, la soluzione lo ha acuito. Come dicono gli psicologi cognitivi: la soluzione indica il problema. Se ne esce solo con un drastico spoil system e con una revisione profonda dei meccanismi in favore di un lavoro di squadra.

Papa Francesco, Becciu e lo Ior: "Chi tocca i soldi in Vaticano rischia la vita", ricostruzione inquietante. Andrea Morigi su Libero Quotidiano il 27 settembre 2020. Chi tocca i quattrini dei preti, si brucia. È successo a tutti coloro che si sono avventurati sul terreno insidioso delle transazioni finanziarie vaticane. A partire, nel maggio 2012, dall'inspiegabile licenziamento in tronco del presidente dello Ior, l'Istituto per le Opere Religiose, Ettore Gotti Tedeschi, ancora sotto il pontificato di Benedetto XVI, il quale nel settembre 2009 lo aveva voluto a capo della banca del Vaticano. Uscito dal torrione di Niccolò V per iniziativa dell'allora cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il banchiere temeva di essere ucciso e aveva consegnato a due amici un memoriale sui segreti dello Ior con una raccomandazione: «Se mi ammazzano, qui dentro c'è la ragione della mia morte». Bertone nel frattempo aveva voluto monsignor Angelo Becciu come proprio vice. Nel corso degli anni, dopo l'elezione di Papa Francesco, fu poi la volta di Libero Milone, l'ex revisore generale dei conti della Santa Sede, il quale aveva aperto un'indagine su conti bancari segreti con centinaia di milioni di dollari tenuti "fuori bilancio" da entità vaticane in Svizzera, ma poi fu indagato per peculato e messo alla porta nel giugno 2017 dal cardinale Angelo Becciu, allora sostituto alla Segreteria di Stato della Santa Sede, per appropriazione indebita e per aver incaricato una società esterna di «svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede». Tutte le accuse in seguito furono ritirate dalle autorità vaticane. Ma per risalire alle origini della vicenda che vede coinvolto il cardinale Becciu, occorre immergersi ancora una volta nel clima di veleni e vendette che nel 2015 condussero a Vatileaks, il processo contro Francesca Immacolata Chaouqui, detta la Papessa, e i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi.

LA PAPESSA IN GALERA. La principale imputata, che fu trattenuta in custodia cautelare all'interno delle mura vaticane, lo ha ricordato pochi giorni fa sulla sua pagina Facebook, anche se il vincolo della riservatezza non le consente di rivelare nulla sul lavoro svolto all'interno di Cosea, la Commissione Pontificia per lo studio dei problemi economici istituita nel 2013 da Papa Francesco per far luce sui conti della Chiesa cattolica. Lei stessa ne fu travolta, per aver tentato di scoperchiare gli interessi del sostituto alla Segreteria di Stato della Santa Sede e non lo nascose nemmeno davanti alla Corte di giustizia della Città del Vaticano. Ribadisce che «il Cardinale Becciu all'epoca ha usato il mio corpo, la mia carne (nel senso che non ha badato a che fossi incinta per montarmi contro quel circo disgustoso) il mio cuore, la mia anima per dimostrare due cose: la prima che Bergoglio non doveva fare nomine senza di lui, la seconda che nessuno, nemmeno un commissario pontificio poteva mettere il naso negli affari della Segreteria di Stato. Nelle sue scelte». Papa Francesco, dunque, potrebbe essere stato ingenuo oppure responsabile per omissione delle presunte malefatte del porporato sardo. In realtà, secondo chi gli è stato vicino nella ricognizione sui bilanci, Becciu lo aveva «obnubilato e imbrogliato». Ed è significativo che, dall'Australia, si sia rallegrato perfino il cardinale George Pell, già Prefetto della Segreteria per l'Economia della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, perché «il Santo Padre è stato eletto per ripulire le finanze vaticane. Va ringraziato e bisogna congratularsi per i recenti sviluppi. Spero che la pulizia continui». In fondo, chi aveva messo i bastoni fra le ruote a entrambi, nel tentativo di rendere trasparenti le casse della Chiesa, era stato proprio Becciu. La sua vittima principale, la Chaouqui, rimane muta ma ripubblica un post eloquente del 2019: «Io scoprii le opacità dell'obolo. Ne ho pagato il prezzo ma quattro anni dopo in Vaticano ogni singolo mio nemico è stato spazzato via dalla verità. Ognuno. Gli accusati sono diventati accusatori. I traditori i vincitori. Ed io, che decine di volte a Becciu ho chiesto in questi anni di spiegarmi come conciliasse l'eucarestia con il bisogno fisico di volermi morta, sono qua». Anzi, lo apostrofa con un «Fanculo se sono qua. Esattamente dove Sua Eminenza non voleva che stessi. Quattro anni dopo, stasera, affacciata al mio balcone, penso all'inchiesta in corso, alla giustizia fatta, penso a quel che ho fatto in Vaticano due giorni fa, e penso che ancora una volta la mia storia è una storia incredibile. Penso che chi pensava che avrei smesso di aiutare il papa per quattro giornalate sbagliava di grosso. Penso che nessuna donna ha mai affrontato la battaglia che ora sto vincendo in Vaticano e un po' di questo vado fiera».

SCONFITTA FINALE. A quei tempi si parlava ancora soltanto dell'investimento immobiliare di Londra e non delle ultime elargizioni. Troppo presto, insomma, per servire fredda la vendetta. Anzi, da parte della donna che fece tremare i Sacri Palazzi, c'è spazio per un atto di clemenza: «Penso che aver perdonato Becciu, non essermi vendicata sia un merito enorme. Al mio essere cristiana in primis. Tanto ci sta pensando la vita per bene. Non mollate mai amici miei. Mai. Resistere è uno stato mentale». Alla lunga, chi la dura la vince. E stavolta è il trionfo della linea intransigente del Pontefice, che non ha fatto sconti a nessuno e ha preteso che si svolgesse un'indagine seria e approfondita. Fino al 2018, in sei anni, il Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano ha segnalato 27 operazzioni sospette all'AIF, l'Autorità di Informazione Finanziaria, con "ipotesi di violazione dell'art. 421 bis c.p" la norma antiriciclaggio. Nove fascicoli sono stati archiviati e per altri sei è stata chiesta l'archiviazione. Ne rimangono 12 ancora aperti. E si attende, per il 29 settembre, la visita dietro il Portone di Bronzo degli ispettori di Moneyval, il comitato del Consiglio d'Europa che valuta l'aderenza agli standard internazionali di trasparenza finanziaria. Chissà dove vorranno andare a curiosare. Magari negli appartamenti cardinalizi ancora a disposizione di Bertone e Becciu.

Fabio Marchese Ragona per “il Giornale” il 4 ottobre 2020. «We have them on the ropes», li abbiamo messi alle corde. Lo aveva detto con fierezza, con tono sicuro, tirando finalmente un sospiro di sollievo, il cardinale George Pell, al termine di una lunghissima giornata fatta di riunioni e incontri riservati nel suo ufficio. «Dobbiamo garantire ciò che ci ha chiesto il Papa e cioè pulizia», era stato il suo ultimo commento prima di spegnere la luce e chiudere la porta della sua stanza. Era il 2017, il porporato australiano, chiamato dal Papa a Roma nel 2014 a capo della potentissima Segreteria per l' Economia, aveva appena ricevuto la prova schiacciante che inchiodava definitivamente chi aveva deciso di riportare il Vaticano ai tempi di monsignor Marcinkus, con acrobazie finanziarie e pesanti situazioni di malaffare. Sulla scrivania del «ranger» era arrivata documentazione scottante, scovata dall' ufficio del revisore generale dei conti, Libero Milone: tabulati e transazioni che riconducevano ad alcuni personaggi della Curia Romana, laici ed ecclesiastici, che avevano e stavano ancora mettendo le mani sul tesoro vaticano per operazioni spregiudicate, lontane dalla trasparenza tanto invocata da Papa Francesco. La mossa successiva di Pell, sarebbe stata quella di chiedere un incontro a Bergoglio per istituire una commissione d' inchiesta sulle finanze vaticane, che facesse luce su quanto accaduto in vari ambienti della Curia, com' era già successo ai tempi del Vatileaks, quando Benedetto XVI istituì una commissione cardinalizia per indagare su quanto stava avvenendo dentro le mura leonine. Prima di incontrare il Papa, però, c' era da catalogare tutta la documentazione e preparare una relazione dettagliatissima da mostrare a Francesco. Una copia di quelle carte, il porporato l' aveva subito inviata anche in Segreteria di Stato, per informare chi di dovere ma, a quanto pare, i documenti erano finiti anche nelle mani sbagliate, di chi insomma c' era dentro fino al collo. Poche settimane dopo, non a caso, Libero Milone si era dimesso dall' incarico, accusato di esser andato oltre le competenze previste dal suo ruolo. L'ex revisore generale si era subito difeso: «Sono stato costretto a dare le dimissioni e mi hanno impedito di parlare col Papa». A commentare la notizia a caldo era stato l' allora Sostituto della Segreteria di Stato, il cardinale Angelo Becciu: «Milone mi spiava e spiava anche altri superiori, se non si fosse dimesso avremmo dovuto perseguirlo legalmente». Nemmeno una settimana dopo era arrivato un secondo siluro, questa volta contro George Pell: dall' Australia la notizia che il porporato era stato incriminato per gravi reati sessuali su minori, una bomba che lo aveva costretto a congedarsi per tornare nel suo Paese e difendersi dalle accuse. A distanza di oltre tre anni, emerge quanto stava realmente accadendo, il perché, secondo le ultime carte uscite d' Oltretevere, 700mila euro furono inviati dal Vaticano in Australia: il sospetto è che alcuni esponenti della Santa Sede avrebbero fatto arrivare un lauto compenso agli accusatori di Pell, uno dei quali, nell' aprile del 2017, aveva acceso un mutuo per l' acquisto di una casa del valore di 350mila euro, stessa somma che gli sarebbe stata versata per puntare il dito contro il cardinale, in modo da tenerlo lontano dal Vaticano. Il porporato, nel 2019 è stato scagionato dall' Alta Corte australiana da ogni accusa, dopo un anno e mezzo di carcere, per scarsità di prove. «Il ritorno a Roma di Pell non è collegato al caso Becciu e alle ultime vicende finanziarie», ha commentato alcuni giorni fa il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, che ieri pomeriggio è tornato sull' argomento, parlando con i giornalisti: «Appoggiamo cordialmente le riforme, credo che la linea sia quella indicata dal Papa: correttezza e trasparenza nella gestione delle finanze». Non è da escludere quindi che, con il porporato australiano rientrato a Roma da qualche giorno, Francesco possa adesso decidere di istituire quella famosa commissione d' inchiesta sulle finanze che avrebbe voluto il «ranger» e di coinvolgere in prima persona proprio Pell. Questa volta, magari, in veste di commissario.

Pell e i presunti bonifici di Becciu ai suoi accusatori. Il legale: "Ora un'indagine internazionale". "Il mio unico interesse - ha detto l'avvocato Richter alla stampa australiana - è essere certi che i flussi denaro siano seguiti correttamente". Viola Giannoli su La Repubblica il 05 ottobre 2020. Il caso Becciu arriva in Australia. L'avvocato del cardinale George Pell, Robert Richter, ha chiesto un'indagine internazionale dopo le indiscrezioni, apparse sulla stampa, secondo le quali l'ex numero due della Segreteria di Stato vaticana, il cardinale Angelo Becciu, avrebbe disposto bonifici per 700mila euro inviati in Australia per "comprare" gli accusatori dell'ex prefetto della Segreteria per l'Economia nel processo per pedofilia nel quale Pell è poi stato assolto. Accuse e presunte interferenze nel processo che Becciu, per mezzo del suo avvocato, ha già smentito in modo categorico. È il "Financial Review", quotidiano australiano di affari e finanza, a raccontare che il legale di Pell ha chiesto alle autorità australiane e italiane di tracciare i 700mila euro che sarebbero arrivati in Australia nell'ambito del "complotto" che sarebbe stato ordito contro il cardinale Pell dal suo presunto rivale in Vaticano. "Il mio unico interesse - ha detto l'avvocato Richter in una intervista - è essere certi che i flussi di denaro siano seguiti correttamente. Credo che questi rapporti richiedano un'indagine adeguata da parte di tutte le autorità fiscali per monitorare il denaro in arrivo in Australia".  Il cardinale Pell è rientrato da pochi giorni in Italia dopo che è stato prosciolto, ad aprile scorso, dalle accuse di pedofilia. "Sono molto felice di essere tornato a Roma" ha detto a Repubblica uscendo dal suo appartamento accanto al Vaticano: giacca blu a quadretti, camicia bianca, pantaloni neri, occhiali e mascherina sul volto, un libro rilegato in una copertina scura in mano. "Vedremo se nei prossimi giorni vedrò il Papa..." ha risposto dietro un sorriso, dopo che l'incontro tra lui e Francesco era stato annunciato e poi smentito dal cardinale Parolin. Ma sul caso Becciu no comment: "Non voglio dire nulla" ha spiegato più volte mentre si recava, "scortato" da un prete, all'adorazione eucaristica nella chiesa di Santo Spirito in Sassia. Sugli "scandali vaticani", ormai, parlano gli avvocati.

Vaticano, «bonifici di Becciu agli accusatori nel processo per pedofilia a Pell». Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 3 ottobre 2020. Il denaro inviato in Australia per danneggiare il «rivale». I 700 mila euro inviati in Australia attraverso alcuni bonifici frazionati potrebbero essere stati utilizzati per «comprare» gli accusatori nel processo per pedofilia contro il cardinale George Pell. È l’ipotesi degli inquirenti vaticani che rischia di provocare una nuova e clamorosa svolta dell’indagine avviata sugli ammanchi da centinaia di milioni di euro dell’obolo di San Pietro e altre disponibilità della Segreteria di Stato. Le verifiche riguardano le movimentazioni disposte da monsignor Angelo Becciu, il Sostituto costretto la scorsa settimana alle dimissioni dall’incarico di Prefetto della Congregazione delle cause dei santi che ha perso anche i diritti connessi al cardinalato. E si allargano ai dipendenti della Segreteria, ma soprattutto ai faccendieri accusati di aver portato a termine «una manovra ben pianificata per realizzare una ingente depredazione di risorse finanziarie della Segreteria di Stato che non ha eguali».

Lo scontro. La rivalità tra i prelati Pell e Becciu non è mai stata un mistero all’interno e fuori dalla Santa Sede. Tanto che nel 2015, quando Pell — allora Prefetto della Segreteria per l’Economia — parlò al meeting di Rimini della necessità di «mettere in ordine i nostri affari in modo che possano essere mostrati al mondo esterno» e annunciò che «la prossima ondata di attacchi alla Chiesa potrebbe essere per irregolarità finanziarie», molti pensarono che si riferisse proprio alla gestione dei soldi destinati agli indigenti e invece utilizzati per investimenti immobiliari. Nessuno poteva però immaginare che all’epoca Becciu e gli altri componenti della Segreteria — primo fra tutti monsignor Alberto Perlasca — si fossero affidati a faccendieri come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi per acquistare palazzi e spostare soldi in conti esteri.

L’accusatore. E invece proprio analizzando le movimentazioni bancarie è stata trovata traccia di un bonifico partito da un deposito della Segreteria e finito su un conto Ior riconducibile a Becciu nel 2018, prima che il sostituto fosse destinato al nuovo incarico. Si è deciso così di analizzare anche quanto accaduto negli anni precedenti e sono stati scoperti altri bonifici che attraverso alcuni passaggi intermedi sarebbero arrivati, almeno in parte, a uno degli accusatori di Pell. A metà del 2017 il cardinale era stato inquisito per aver molestato sessualmente due ragazzi del coro nella sagrestia della chiesa di San Patrick, a Melbourne, al termine di una messa nel 1996. Uno dei due giovani è morto nel 2014 per overdose, l’altro ha confermato le accuse durante il dibattimento. Nonostante i dubbi e le campagne di stampa soprattutto in Australia sulla possibilità che il dibattimento fosse in realtà «una farsa», Pell è stato condannato a sei anni nel dicembre 2018 e chiuso nel carcere di massima sicurezza di Barwon. Sentenza annullata nell’aprile scorso dall’Alta corte australiana che ha liberato il cardinale ritenendo che la Corte di Vittoria ha «omesso di considerare se esistesse una possibilità ragionevole che il reato non fosse stato commesso», anteponendo così il principio fondamentale del «ragionevole dubbio». A pesare sul verdetto la rivelazione che prima di morire uno dei due coristi avesse confessato alla madre di non aver subito abusi.

La difesa. Le verifiche in corso riguardano anche alcuni investimenti immobiliari effettuati proprio in Australia e che potrebbero essere serviti a fare «pressioni» per l’esito del processo. Nelle ultime settimane contro Becciu si è scagliato monsignor Perlasca — anche lui impiegato nella Segreteria, che ha deciso di collaborare con i promotori di Giustizia vaticani forse per sfuggire all’arresto — che ha fornito centinaia di documenti sulla gestione economica della Segreteria e parlato di dossieraggi per screditare gli avversari. «Tutto falso, lo compatisco», ha reagito lo stesso Becciu. Ora dovrà forse trovare altri argomenti per difendersi.

BECCIU E IL PROCESSO A PELL IL SOSPETTO: TESTE COMPRATO. Valentina Errante per “il Messaggero” il 3 ottobre 2020. Adesso il sospetto è che il processo per pedofilia in Australia a George Pell sia stato organizzato per fare fuori quel prefetto della Segreteria per l'Economia della Santa Sede che, nel 2015, tuonava al Meeting di Rimini con una relazione su Chiesa e denaro, dicendo che era giunto «il momento di mettere in ordine i conti, perché «la prossima ondata di attacchi alla chiesa potrebbe essere per irregolarità finanziarie». La vicenda è all'esame degli inquirenti vaticani, la Gendarmeria sta lavorando per raccogliere tutti gli elementi che confermerebbero l'adagio circolato all'interno delle Mura Leonine negli anni delle accuse e delle condanne al porporato: «I cannoni sono in Australia ma i proiettili sono fabbricati in Vaticano». Il monito di Pell contro i cardinali, «che aprono le porte a ladri e incapaci e si disinteressano di come vengano impiegati i soldi della Chiesa», coincide proprio con gli anni dell'affare di Sloane Avenue, l'acquisto del palazzo di Londra e le trame ordite con il finanziere Raffaele Mincione, per drenare circa 500 milioni di euro dalle casse della Santa Sede. Ed è allora che dalla Segreteria di Stato partono i bonifici per l'Australia.

LE VERIFICHE. Gli accertamenti degli inquirenti Vaticani riguardano soprattutto le movimentazioni bancarie della Segreteria di Stato tra il 2013 e il 2019. Si va indietro nel tempo all'inizio dell'operazione del palazzo di Londra, quando Segretario di Stato era ancora Tarcisio Bertone. In un clima di veleni e accuse reciproche, le parole di monsignor Alberto Perlasca, inchiodato alle sue responsabilità e protagonista dell'operazione Sloane Avenue, hanno già determinato la richiesta di dimissioni da parte del Papa al cardinale Angelo Becciu. Tra le contestazioni mosse dal Santo Padre, i bonifici alla coop del fratello, che sarebbero arrivati tramite la Caritas di Ozieri, ma Becciu, nel 2017, prima di lasciare l'incarico di Sostituto, per diventare prefetto della Congregazione dei Santi, avrebbe fatto un bonifico anche a se stesso, sul suo conto privato allo Ior. Risalgono a un periodo precedente le rimesse che dalla Segreteria finiscono in Australia. Circa 700 mila euro frazionati. L'ipotesi degli inquirenti è che quei soldi, attraverso alcuni prestanome, siano finiti nelle tasche degli accusatori del processo a carico di Pell, per condizionarne l'esito. E liberarsi dell'ingombrante porporato.

IL PROCESSO. Il 29 giugno 2017 la polizia australiana conferma l'imminente stato d'accusa per il cardinale Pell per gravi reati sessuali su minori, fra i quali quello di uno stupro. La vicenda risale a venti anni prima. A puntare il dito contro il porporato è un trentenne, dopo la messa nella cattedrale di San Patrick, a Melbourne, quando aveva 55 anni, Pell, in sacrestia, avrebbe abusato di lui e un altro corista, allora tredicenni. Solo uno dei due chierichetti ha potuto testimoniare, l'altro è morto per overdose nel 2014. Ma aveva negato alla madre di essere stato abusato. La Santa sede annuncia che Pell partirà per l'Australia «per affrontare le accuse che gli sono state mosse». L'11 dicembre 2018 il cardinale viene giudicato colpevole dalla giuria della County Court dello stato di Victoria e il 13 marzo 2019 viene condannato a una pena detentiva di sei anni. Si dichiara innocente, annuncia il ricorso in appello, l'istanza viene respinta. Ma alla luce dei numerosi vizi formali nelle procedure processuali, la Corte Suprema dell'Australia decide di ammetter la richiesta di appello presentata dal cardinale. Il 7 aprile scorso Pell è stato assolto. Sette giudici hanno votato all'unanimità e ne hanno disposto la scarcerazione dopo più di un anno di prigione. Nelle motivazioni hanno concluso che esiste «una significativa possibilità che una persona innocente sia stata condannata perché le prove non hanno stabilito la colpevolezza al richiesto standard probatorio». Ora qualcuno dice che Papa Francesco abbia richiamato Pell e che il cardinale potrebbe tornare in Vaticano.

Estratto dell’articolo di Fabio Marchese Ragona per “il Giornale” il 3 ottobre 2020. (…) Nel 2017 il «ranger» australiano fu costretto a tornare in patria perché incriminato con l'accusa di pedofilia. Condannato a sei anni e mezzo di prigione, un anno e mezzo dopo fu scarcerato con un proscioglimento dell'Alta Corte Australiana: le accuse contro di lui, insomma, non reggevano. Forse perché, come sta iniziando ad emergere dall'inchiesta d'Oltretevere, erano accuse costruite ad arte per screditarlo e tenerlo lontano dal Vaticano, dove aveva impedito ad alcuni personaggi di mettere le mani sulle finanze del Papa. Dallo IOR, la banca vaticana, sarebbero partiti ben 700mila euro, transitati in altri conti correnti esteri con destinazione Victoria: proprio nello Stato federale dove si è celebrato il processo contro Pell. I soldi sarebbero stati suddivisi a diversi protagonisti della vicenda tra cui, parrebbe, alcuni personaggi corrotti della polizia locale che avevano provato a utilizzare le accuse contro il porporato, così come dimostrato da alcune email del 2014, per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica in un momento in cui il dipartimento era travolto da uno scandalo in cui figurava anche la 'ndrangheta. Una parte considerevole del tesoretto, 350mila euro, sarebbe invece stata versata a un testimone chiave che, proprio nel periodo in cui si era già costruito il castello di accuse contro Pell, era l'aprile del 2017, aveva stipulato un mutuo per l'acquisto di una casa. Dalle carte che Il Giornale ha potuto visionare viene fuori, infatti, che uno degli accusatori del porporato aveva acceso presso una banca locale un prestito da 470mila dollari australiani, l'equivalente allora di circa 350mila euro, per acquistare insieme alla compagna un appartamento. Altri soldi sarebbero stati versati ad un altro testimone che accusava Pell in un'altra vicenda di abusi, poi anche questa finita nel nulla. Non è un caso che all'indomani del licenziamento del cardinale Angelo Becciu, dimesso dal Papa che gli ha tolto anche i privilegi cardinalizi, il porporato australiano abbia diffuso un comunicato in cui si complimentava con Bergoglio per «i recenti sviluppi sulle finanze vaticane», invocando infine «ancora pulizia in Vaticano e a Victoria». Questo perché, appena uscito di prigione, Pell, da uomo libero, aveva avuto modo di confrontarsi con una serie di persone che durante la sua reclusione avevano indagato sulla vicenda, scoprendo appunto la possibilità che dietro quelle terribili accuse ci fosse ben altro. Il «ranger» aveva messo insieme i pezzi del puzzle e qualche giorno fa è arrivato a Roma, atteso anche da Papa Francesco. Tra i temi preparati per l'incontro col Pontefice anche questa storia e quella dei tanti nemici che in Curia avevano provato a sgambettarlo. Non sono pochi quelli che oggi puntano il dito contro il cardinale Becciu, perché lo stesso cardinale sardo, in conferenza stampa, ha rivelato che tra lui e Pell «c'erano modi diversi di vedere le cose», parlando di una sorta di «interrogatorio» sulla corruzione e sulla fedeltà al Papa a cui era stato sottoposto dal «ranger». Becciu, al momento, respinge ogni accusa di coinvolgimento in tutte queste ultime vicende, in attesa che i magistrati dicano come stanno veramente le cose.

Esclusivo - Ecco il piano di Becciu per estromettere il cardinale Pell. Dopo le dichiarazioni di monsignor Perlasca rese davanti alle autorità vaticane emerge la ragnatela che il prelato sardo avrebbe ordito ai danni dell'ex Prefetto della Segreteria per l'Economia. Massimiliano Coccia La Repubblica il 03 ottobre 2020. In queste ore le testimonianze di Monsignor Alberto Perlasca, assistente dell’allora cardinale Angelo Becciu all’interno della segreteria di Stato, davanti ai promotori di giustizia vaticani, aprono scenari inediti. La creazione di un sistema economico parallelo creato dalle consulenze milionarie fuori mercato, dalle donazioni ai familiari effettuate o con soldi della Santa Sede o tramite imprenditori e finanzieri a lui vicino, serviva a Becciu anche per gestire il potere, creare dossier per screditare rivali, funzionari o uomini vicini a Papa Francesco che avrebbero potuto interrompere i piani dell’allora Sostituto alla segreteria. Dalle rivelazioni di Perlasca si è arrivato ad individuare una serie di bonifici che l’ex cardinale di Pattada avrebbe indirizzato in Australia, nello stato di Victoria e che sarebbero serviti per finanziare sia i testimoni contro il grande rivale, il cardinale George Pell e sia per far montare la campagna mediatica per chiederne la condanna. Uno schema che nasce da lontano e che è stato, secondo le rivelazioni, preparato con l’ausilio di una rete di supporto in Australia che si incrocerebbe con alcune persone vicine ad ordini religiosi e associazioni contro la pedofilia. 

Maria Antonietta Calabrò per huffingtonpost.it il 16 dicembre 2020. Come la salamandra del famoso romanzo di Morris West, George Pell è passato nella prova del fuoco e ne uscito indenne. E nonostante due condanne infamanti annullate per essere del tutto infondate dall’Alta Corte australiana, e oltre 400 giorni scontati in carcere, ritrovo a Roma lo stesso identico uomo che per prima intervistai nel 2014 quando stava appena iniziando il processo della riforma delle finanze vaticane ed era al massimo del suo potere. Non vedo scatoloni. Infatti Il cardinale non sta affatto traslocando. George Pell continuerà ad abitare a lungo nel suo appartamento in Vaticano. Non è tornato a fine settembre per fare i pacchi e rientrarsene in Australia, come pure aveva dichiarato il segretario di Stato , cardinale Pietro Parolin. Non ha incarichi di Curia, ma se e quando lo riterrà opportuno, Francesco gli ha chiesto di scrivere, di scrivere per lui. Magari tornerà Down Under nei mesi estivi, durante la calda estate italiana, per poi fare rientro di nuovo.

C’è un punto fermo nella sua drammatica vicenda degli ultimi tre anni?

«È il pieno sostegno di Papa Francesco che ha sempre sperato che io fossi assolto. Domani viene pubblicato negli Stati Uniti il primo volume delle “sue prigioni”, il diario tenuto ogni giorno in carcere, “Prison Journal”, i diritti d’autore serviranno anche per pagare gli avvocati».

Il Vaticano non ha pagato per le sue spese processuali. È vero?

«È una regola, secondo le nostre norme in Australia quando un prete è sotto processo, paga lui le spese del suo processo».

Quando ci fu il caso Marcinkus e il mandato di cattura per il crack Ambrosiano, Papa Giovanni Paolo II s’è tenuto l’ex presidente dello Ior dentro le Mura vaticane e non lo ha consegnato alla giustizia italiana. Dovevano fare lo stesso con lei?

«Non sarebbe stato giusto. Io ero innocente e rimanere in Vaticano protetto dall’immunità avrebbe lasciato l’ombra del dubbio su di me, per sempre. Ho capito subito che dovevo rientrare nel mio Paese per difendermi nel processo».

Lei ha fatto un parallelo tra la sua vicenda e la morte dei banchieri Calvi e Sindona, teme per la sua vita?

«No».

Calvi e Sindona sono stati uccisi, ma loro stessi facevano parte di un network criminale…

«Con Calvi e con Sindona, faccio un parallelo alla lontana, loro sono stati criminali e io no, anche perché oggi, rispetto a tanti anni fa, si usa un’altra tecnica per eliminare una persona, quella del character assassination, della diffamazione, e di sporcare la reputazione. Io davo fastidio perché ho cercato - insieme al gruppo della Cosea- di evitare i furti e la depredazione dei beni della Santa Sede».

Il 28 giugno 2017 poche ore prima dell’incriminazione contro di lei il giorno di San Pietro e Paolo, in un’intervista al Daily Mail di Londra l’erede della famiglia mafiosa Gambino di New York ha dichiarato che il Papa non avrebbe dovuto minacciare la scomunica ai mafiosi, perché anche ai preti pedofili sudamericani si dà una seconda possibilità…

«Non lo sapevo. Sono molto impressionato, al momento non posso aggiungere altro, ma certamente è interessante».

Lei ha affermato che spera che non ci siano soldi del Vaticano, dietro le accuse contro di lei…

«Si, ma certamente scopriremo qualcosa. La mia stessa famiglia mi ha detto che se hanno cercato di incastrarmi la mafia, la massoneria, eccetera, è grave ma si comprende per l’opera di pulizia che stavo facendo, quello che sarebbe davvero gravissimo, è se nel complotto c’è qualcuno del Vaticano. Vede, molti soldi sono stati trasferiti dal Vaticano in Australia in due occasioni nel 2017 e nel 2018, in coincidenza con alcuni passaggi del mio processo: questi soldi sono già stati trovati. Il loro punto di arrivo in Australia è già stato trovato. E adesso sono in corso indagini della Polizia federale australiana per rintracciare dove sono finiti. Sono molti soldi: 2 milioni di dollari australiani, non solo i 700 mila dollari di cui ha riferito un quotidiano italiano, in base alle dichiarazioni rese agli inquirenti da monsignor Perlasca. Le indagini dovranno accertare se sono stati usati per scopi illegali. Certo, è un po’ anomalo. Normalmente i soldi partono dall’Australia e arrivano in Vaticano e non viceversa».

Monsignor Angelo Becciu, dopo essere stato dimesso dal Papa ha dichiarato in un’intervista di essere stato trattato peggio di un pedofilo. Era a lei che si riferiva?

«Spero di no».

Becciu è stato “dimesso” su due piedi dal Papa dai diritti e doveri del cardinalato. Va bene così?

«Io sono per il giusto processo, le sanzioni devono seguire l’accertamento dei fatti e non viceversa».

Per quello che lei ne sa come vanno adesso le finanze vaticane?

«La situazione è molto seria, a cominciare dal sistema pensioni. C’è un grave squilibrio nei conti notevolmente peggiorato dalla crisi del Covid. C’è carenza di cash, visto che i Musei vaticani sono fermi. La segreteria di Stato sembra aver perso quasi tutti i suoi fondi a seguito della vicenda di Londra, cui mi ero detto, da prefetto dell’Economia, fortemente contrario. Solo lo IOR dopo la pulizia sotto la guida del presidente De Fransu e del direttore generale Mammì è tornato a produrre utili in modo consistente».

Nicola Graziani per agi.it il 15 dicembre 2020. Parla George Pell, processato e condannato in Australia per pedofilia, prosciolto infine con formula piena e quindi tornato in quel Vaticano dai cui veleni – lascia capire – è stato quasi colpito a morte. Ad aprile, quando si seppe dell’assoluzione, Papa Francesco non nascose la propria soddisfazione, unita ad una certa indignazione per tutta la vicenda. Oggi il cardinale, in una intervista a Settestorie, afferma: Bergoglio mi ha sempre sostenuto. Anzi, mi ha detto che avevo ragione su molte cose. Bergoglio effettivamente lo ha ricevuto immediatamente dopo il suo arrivo a Roma. Ci si aspettava un reintegro nelle funzioni svolte prima che su di lui si abbattesse il ciclone giudiziario (accuse, rivelatesi indimostrabili, su fatti avvenuti una trentina d’anni fa), ma il porporato si schermisce: ho 80 anni e non è aria. Non rinuncia però a lasciar intendere di sentirsi al centro di un caso dai molti lati oscuri e probabilmente orchestrato da lontano. Ed evoca – non pare proprio a caso – due nomi molto noti: Calvi e Sindona. Non mi è capitato quello che è successo a loro, dice, ma perché sono altri tempi. Ora ti colpiscono nella reputazione". "Tutti i personaggi di maggiore peso che hanno lavorato insieme alla riforma finanziaria, ognuno di noi – credo con pochissime eccezioni – è stato attaccato dai media sul piano della reputazione in un modo o un altro”, sottolinea, “D’altronde ci ricordiamo tutti cosa è accaduto a Calvi che si è suicidato sotto il ponte di Londra con le mani dietro la schiena, strano modo di impiccarsi. E ricordiamo quello che è successo all’altro, Sindona, avvelenato in carcere… Tempi antichi … Oggi spesso si usa la distruzione della reputazione". Parole pesanti: Calvi e Sindona sono l’emblema di rapporti mai chiariti del tutto tra finanza e Vaticano, Ior e amicizie inconfessabili. Quando fu convocato da Francesco a fare chiarezza e ordine nei conti della Santa Sede “in Vaticano c’erano poche persone, se non addirittura nessuna, in grado di dare un quadro accurato di quella che era la situazione finanziaria”. Nasce “un consiglio di 15 cardinali che hanno gestito le finanze per anni e ci siamo battuti enormemente per avere chiarezza ma senza nessun successo”. Così si scopre che “c’erano soldi ovunque, nascosti.” A questo punto, nel pieno dell’operazione chiarezza, iniziano i problemi. “Un signore che ha lavorato con me e ha fatto un gran lavoro e si chiama Danny Casey (è un business manager a Sidney, molto efficiente e capace) si è trovato guarda caso l’auto bruciata davanti a casa”. Arriva l’accusa di pedofilia, e “criminali sono stati sentiti dire: ‘Pell è fuori gioco. Adesso abbiamo davanti un’autostrada’”. Non solo: “un altro criminale, fin dai primi giorni, diceva: "abbiamo la Corte Australiana per sistemarlo"”. Certo, “tutte queste non si possono ancora considerare prove, ma rimane una possibilità”. Legittimo avere sospetti, insomma, anche perché la stessa condanna per pedofilia "è stata una sorpresa enorme   Non solo i miei avvocati sostenevano che non ci fosse alcun modo per dichiararmi colpevole,  persino il magistrato che mi ha rinviato a giudizio disse che se le prove del mio cerimoniere e del sacrestano fossero considerate credibili, non ci sarebbe mai stata una giuria che mi avrebbe condannato". Ci si aspettava un giudizio sospeso ed un proscioglimento per insufficienza di prove, invece il giudizio sospeso è sfociato nella condanna. Un anno dietro le sbarre, poi il verdetto rovesciato in istanza superiore. A Roma, nel frattempo, che diceva il Papa? "Io ho sempre saputo che lui mi sosteneva, sapevo che credeva nella mia innocenza e che sperava che sarei stato liberato", ha risposto Pell, "E’ stata una grande consolazione. Il Papa mi ha sempre sostenuto attraverso queste difficoltà". Non solo questo: Penso che la prima cosa che mi ha detto è stata: "Grazie per la sua testimonianza". E io gli sono stato molto grato per questo. Più tardi mi ha anche detto: "Lei aveva ragione su molte cose", e io penso si riferisse alle questioni economiche sulle quali davvero non ci sono più molti dubbi". Ma la soluzione delle vicende finanziarie vaticane pare ancora di là da venire, e Pell analizza con fare distaccato: “sono soddisfatto di quello che abbiamo raggiunto nel lavoro. Abbiamo incontrato molti ostacoli, non abbiamo fatto tutti i progressi che avremmo voluto. La situazione economica del Vaticano in questo momento è seria, ma mi sono consolato pensando che abbiamo capito che almeno se giudichi con accuratezza dove sei, se hai gente intelligente e per bene, puoi capire come andare avanti al meglio in una situazione difficile”. Ma, attenzione, “se sei in un mondo di ipocrisia allora è molto difficile".

Salvatore Cernuzio per lastampa.it il 7 dicembre 2020. «Dio nostro Padre, dammi la forza per superare questo, e possa la sofferenza essere unita alla redenzione di tuo Figlio Gesù per la diffusione del Regno, la guarigione di tutte le vittime di questa piaga della pedofilia, la fede e il benessere della nostra Chiesa, e soprattutto per la saggezza e il coraggio dei vescovi». Era questa la preghiera che il cardinale australiano George Pell ha recitato la sera del 27 febbraio del 2019, prima notte trascorsa dietro le sbarre nel carcere di Melbourne. Quel giorno il Tribunale di Victoria aveva ordinato l’arresto dell’ex prefetto della Segreteria per l’Economia vaticana, revocando la libertà su cauzione accordatagli dopo l’incriminazione del dicembre 2018 per abusi sessuali su due chierichetti minorenni negli anni ’90. Accuse dalle quali il cardinale è stato prosciolto, ma solo dopo aver trascorso 404 giorni in cella. Dei primi cinque mesi (27 febbraio - 13 luglio 2019) dei tredici in prigione, il porporato - tornato ad ottobre a Roma - offre un dettagliato resoconto in “Prison Journal: the Cardinal makes his appeal”. Un libro, anzi, un diario che raccoglie riflessioni, meditazioni spirituali e dettagliate osservazioni della routine carceraria, di colui che fino al 2017 è stato uno degli uomini più potenti della Curia romana e che, nemmeno due anni dopo l’aver lasciato Roma per difendersi nel processo in Australia, si è dovuto spogliare delle vesti color porpora per indossare una tuta arancione da galeotto. Il volume è il primo di una collana edita da Ignatius Press, casa editrice dei gesuiti negli Usa, i cui ricavi dovrebbero essere utilizzati per pagare le spese legali del cardinale. La pubblicazione è prevista per il prossimo 15 dicembre. Vatican Insider-La Stampa ha potuto leggere in anteprima il volume in lingua inglese (la traduzione è a cura nostra).  Circa 350 le pagine divise per settimane, venti per l’esattezza, con una minuziosa ricostruzione di luoghi e situazioni in cui vengono citati nomi, cognomi, orari, documenti. L’introduzione è a firma di George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II ed esponente di spicco della Chiesa conservatrice statunitense, che esordisce: «Questo diario della prigione non avrebbe mai dovuto essere scritto». In effetti tutta la vicenda Pell rimane una pagina nera, considerandone l’intreccio - dalle contraddizioni della giuria alla campagna mediatica che ha pesato sull’intero processo - e soprattutto l’epilogo, cioè la sentenza dell’aprile 2020 dell’Alta Corte di Victoria che ha dichiarato il cardinale innocente. Una dimostrazione dell’«accanimento» subito, come egli stesso dichiara in queste pagine e come riconosciuto anche da Papa Francesco nell’udienza al cardinale del 12 ottobre scorso. Il primo volume di “Prison Journal” parte dalla notte precedente all’arresto, passata insonne da Pell che racconta di aver celebrato alle 6 la messa per affidarsi alla Madonna. La scena successiva è quella del Tribunale, dove ad accogliere il porporato c’era «una folla molto ostile, specialmente un pover’uomo di mezza età, la cui faccia era contorta dalla rabbia». «La discussione sulla sentenza è stata molto surreale e kafkiana, poiché il giudice ha elencato le molte ragioni per cui l’aggressione non era plausibile», scrive Pell. In serata era in carcere: «Sono stato arrestato e perquisito da due guardie filippine, entrambe rispettose della legge. Uno di loro mi ha detto di esser stato in Tribunale e di sapere che ero innocente». Pell è stato rinchiuso nell’Unità 8 di isolamento: «Sono stato giudicato a rischio autolesionismo, tenuto sotto regolare osservazione durante la notte». Il racconto si snoda tra i dettagli della vita carceraria: i test psicologici, l’orologio e il rosario sequestrati, gli esercizi in cortile, poi «il cibo molto abbondante, con almeno tre verdure di colori diversi», il letto e il gabinetto «molto bassi» e l’assenza di una qualsiasi sedia. «Questo mi faceva dolere i tendini della gamba sinistra, così ho chiesto una sedia più alta». Ma il direttore del penitenziario «mi ha spiegato che non voleva essere accusato di avermi dato una sedia più comoda. Io ho risposto che si trattava solo una sedia più alta! Tre sedie di plastica sono state sovrapposte l’una all’altra, il che è stato sufficiente». Più volte il porporato accenna a suor Mary O’Shannassy, la cappellana, che gli portava l’eucarestia visto che la più grande sofferenza era di non poter partecipare o celebrare la messa «per la prima volta in più di 70 anni». L’ex ministro delle finanze vaticane si paragona a Giobbe: nel breviario legge delle sue prove e riflette sulla sofferenza. Citando Kiko Argüello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale, dice: «Un’unica grande dottrina separa i cristiani dai laici, e cioè i diversi atteggiamenti nei confronti della sofferenza. I laicisti vogliono nascondere la sofferenza o porvi fine. Da qui l’entusiasmo per l’aborto e l’eutanasia. Noi cristiani crediamo che la sofferenza nella fede possa essere redentrice, che la salvezza ci sia stata guadagnata dalla sofferenza e dalla morte di Cristo, e che il peggio possa essere riscattato. Allo stesso modo, nessun gruppo lavora più duramente dei cristiani per alleviare il dolore». Dolore che il cardinale ammette di aver provato durante la reclusione ed in particolare nel corso del processo: in quei mesi, racconta, «ho provato un forte risentimento nei confronti del pubblico ministero, che ha offuscato e confuso, talvolta contraddetto i fatti per permettere alla giuria di prendere la sua bizzarra decisione». Per lui, per i giudici, ma anche per il suo accusatore e tutti  coloro che gli si sono dimostrati nemici, George Pell assicura di aver pregato. Da Roma non gli mancano gli aggiornamenti. L’ex tesoriere vaticano legge libri e riviste - limitati ad un numero di sei a settimana - e guarda tanta Tv, dove segue le partite di rugby o i servizi sul suo caso. Racconta di essersi informato sulla vicenda del cardinale Philippe Barbarin, ex arcivescovo di Lione, accusato di insabbiamenti di abusi, che aveva presentato le dimissioni: «Se lo facesse, sarebbe una perdita». Il cardinale commenta poi la vicenda di Lady Diana dopo aver visto un documentario, le notizie su Donald Trump che descrive come «un po’ un barbaro, ma per certi versi è “il nostro” barbaro (cristiano)» e la sconfitta politica di Tony Abbot, ex premier australiano e suo amico: «La prova del crollo del cristianesimo». A fine marzo Pell ammette di non aver conosciuto gli altri compagni di prigione: «Siamo in dodici nell’Unità 8. Tutti in isolamento. Non so chi siano gli altri, anche se Gargasoulas (James, condannato per l’omicidio di sei persone, conosciuto dal cardinale tramite lettere, ndr) è probabilmente uno di loro e forse anche un terrorista musulmano. Almeno una coppia è mentalmente disturbata». Pell ha ricevuto diverse visite in carcere: familiari, come il nipote George, parenti, amici. Nessun vescovo. Ognuna di queste visite era preceduta da una perquisizione: «Una procedura poco dignitosa». Come quella volta che una guardia gli ordinò di togliersi i calzini. Numerose le lettere recapitate al cardinale, «tutte molto incoraggianti»: «Hanno cambiato il mio tempo in prigione, il mio programma quotidiano, il mio pensiero e la mia preghiera, la mia pace mentale». Tra le missive c’era quella del cardinale Tim Dolan di New York e «un bel paio di pagine» del cardinale Roger Mahony, emerito di Los Angeles, che «ha ricordato che eravamo stati insieme nel Consiglio cardinalizio di 15 membri del Vaticano per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede ai tempi di Papa Benedetto XVI, quando tante delle nostre questioni non avevano mai avuto una risposta soddisfacente e le nostre raccomandazioni non sono mai state prese sul serio». A proposito di finanze, l’ex prefetto dell’Economia ricorda gli anni in cui lavorava «con il denaro» a Roma. Dice che con il maxi Dicastero, guidato dal 2014 al 2017, la situazione era «migliorata, ma non in misura sufficiente, in quanto gli sforzi per la riforma finanziaria sono stati vanificati e inconcludenti». Una critica aperta a certi meccanismi della Curia. La stessa che indirizza al doppio Sinodo sulla Famiglia, osteggiato allora per l’apertura ai Sacramenti per i divorziati risposati. Pell definisce «pericolose» le «interpretazioni “approvate” argentine e maltesi» dell’Amoris Laetitia e il 23 marzo appunta: «Nei due Sinodi sulla Famiglia alcune voci hanno proclamato con forza che la Chiesa era un ospedale o un porto di rifugio. Questo è solo un’immagine della Chiesa e tutt’altro che la più utile o importante, perché la Chiesa deve mostrare come non ammalarsi, come evitare i naufragi, e qui i comandamenti sono essenziali». Mentre redige queste pagine Pell non sa quale sarà la sua sorte: spera in un ripensamento dei giudici, ma il più delle volte ammette lo scoraggiamento per un esito positivo del suo appello. Il caso viene esaminato quotidianamente con «Robert» (Ritcher, l’avvocato) e si studiano strategie legali. Si fanno riferimenti alla presunta vittima che lo accusa di violenze sessuali, verso il quale sembra non mostrare risentimento. Il cardinale insiste però sul fatto che bisognerebbe «richiedere agli accusatori di provare il loro caso» in Tribunale. Questo «non vuol dire essere contro le vittime, ma stabilire che sono vittime», perché «molti sono stati falsamente accusati, me compreso». «Una signora mi ha suggerito che il Signore mi sta facendo fare la riparazione per McCarrick», riflette Pell, riferendosi all’ex arcivescovo di Washington, sporporato e spretato dal Papa per abusi su giovani e minori. «Sarei felice di svolgere un piccolo ruolo in questo, in quanto ha fatto molti danni». Il “Prison Journal” si conclude con una preghiera perché «il mio appello abbia successo e che i miei amici e il mio gruppo di sostegno sapranno avere la saggezza di andare avanti nel modo più efficace per garantire che quello che è successo a me, non succeda ad un altro innocente australiano».

La grande rivincita del cardinale Pell. Andrea Muratore il 29 settembre 2020 su Inside Over. Gettato dagli altari nella polvere, insultato e umiliato con la più grave delle accuse che può travolgere un alto esponente della Chiesa, la copertura della pedofilia, portata avanti con una durezza esasperata nella sua terra natale, l’Australia, anche in base a un’offensiva mediatica e giudiziaria a cui non è risultato estraneo un sensibile pregiudizio anti-cattolico. Il cardinale George Pell, dal 2014 al 2019 primo prefetto della Segreteria per l’Economia voluta da Papa Francesco per fare ordine nell’ircocervo finanziario del Vaticano ha visto franare, con l’inizio dei processi a suo carico, non solo una consolidata carriera nelle gerarchie episcopali ma anche un grande progetto di rinnovamento della gestione economica delle casse pontificie, troppo spesso vittima di operazioni spericolate o di avventurose sortite da parte di finanzieri quali Raffaele Mincione. Pell, che secondo le ricostruzioni più accreditate avrebbe convogliato su Bergoglio diversi consensi conservatori nel 2013, dichiarò al momento della nomina di voler fare piazza pulita. Il Vaticano, disse, deve diventare ‘modello di management finanziario anziché occasionale causa di scandali” quali quelli che hanno travolto l’Obolo di San Pietro a inizio anno e quello, ad esso indirettamente connesso, che ha provocato l’inaspettata caduta del cardinale Angelo Becciu. Becciu e Pell erano stati a lungo rivali nel momento in cui il cardinale sassarese affiancava Pietro Parolin come secondo uomo più importante alla Segreteria di Stato e il porporato australiano portava avanti un’azione di revisione troncata dall’inizio dei processi in Australia. All’origine dello scontro, nota con precisione Il Messaggero, “due diverse visioni della gestione dell’Obolo di San Pietro. Becciu e Parolin difendevano l’autonomia finanziaria della Segreteria di Stato, come è sempre stato dai tempi di Pio XI, mentre Pell puntava ad un controllo centralizzato di tutte le risorse finanziarie esistenti, da quelle della Segreteria di Stato a quelle dell’Apsa”.  A questo modello Pell opponeva “come obiettivo una riforma totale del sistema economico all’interno del Vaticano, puntando sulla totale trasparenza secondo i moderni criteri aziendali” e alla coerente gestione di fondi troppo spesso destinati al personalismo o ai favoritismi della Curia. Fumo negli occhi per Becciu, che da titolare della gestione della “banca riservata” dei papi, ovvero la cassa della sezione Affari Generali della Segreteria di Stato, forte di circa 700 milioni di euro di disponibilità avrebbe in questo modo perso rilevanza e potere nei Sacri Palazzi. L’operazione dell’immobile londinese di Sloane Avenue portata avanti in cooperazione con Mincione è solo l’ultima e la più grande delle problematiche azioni condotte dal Vaticano con i fondi dell’Obolo di San Pietro e la connivenza, secondo quanto risulta delle più recenti inchieste giornalistiche, di numerosi finanzieri amici. Pell si era scagliato duramente contro la prassi di destinare i fondi della carità ad attività for-profit e, secondo quanto riportato da Massimo Franco sul Corriere della Sera,la sua convinzione è che sussista un collegamento tra le inchieste alla base dell’offensiva giudiziaria portata avanti a cavallo tra 2019 e 2020 da parte delle autorità dello Stato australiano di Vittoria e la sua caduta in Vaticano. Dopo un lungo calvario, infatti, Pell ha potuto in due occasioni cantare vittoria. Dopo una condanna a sei anni nel dicembre 2018 e una conferma in appello nell’agosto 2019, tra fine 2019 e inizio 2020 il processo per pedofilia è gradualmente franato sotto le sue contraddizioni. Tempi ha a lungo sottolineato l’incoerenza delle prove, la durezza dell’accanimento mediatico e anche alcune equivoche mosse della polizia e della magistratura, intente più a cavalcare l’emotività del caso che a garantire a Pell un giusto processo, che sommandosi tra di loro hanno portato nello scorso aprile l’Alta corte di Canberra ad assolvere il cardinale con formula piena. 400 giorni in carcere e una lunga serie di umiliazioni sopportate non hanno scalfito la combattività di Pell, che anzi è tornato alla carica in occasione del siluramento di Becciu dal ruolo di prefetto della Congregazione delle cause dei santi e ai diritti e dalle prerogative del cardinalato, con conseguente rinuncia del porporato sassarese alla possibilità di partecipare a un futuro conclave, imposto da Papa Francesco. Pell si è congratulato con Bergoglio per la decisione e, stando a quanto riportano fonti vaticane sentite da Franco, avrebbe detto che “il Santo Padre venne eletto per pulire le finanze vaticane” e nel corso degli anni “ha fatto un lungo lavoro e deve essere ringraziato e congratulato per i recenti sviluppi. Spero che la pulizia nelle stalle prosegua sia in Vaticano che a Vittoria”. Una presa di posizione clamorosa ed estremamente dura: Oltretevere si sta aprendo una partita politica connessa alle istituzioni decisive per il futuro della Santa Sede come istituzione protagonista del contesto internazionale. La credibilità finanziaria e la razionalizzazione delle strutture decisionali si prefigurano come obiettivi chiari: la riforma interrotta di Pell ha in questo senso dettato la strada. E bisogna capire se ora Francesco avrà la capacità di percorrerla con rinnovata energia.

Il cardinale Pell: «Vi racconto le mie prigioni. Da innocente». Il Dubbio l'1 ottobre 2020. Il diario scritto dall’ex capo della segreteria per l’economica del Vaticano durante la prigionia – oltre 400 giorni – per abusi sessuali su minori, reato dal quale è stato assolto. «La mia cella è lunga sette-otto metri, larga più di due sul lato della finestra opaca, dove si trova il mio letto; un buon letto, con una solida base, un materasso non troppo sottile, lenzuola, etc., e due coperte. Siccome la finestra non può essere aperta, abbiamo l’aria condizionata». Così il cardinale George Pell nel suo diario scritto durante la prigionia – oltre 400 giorni – nel carcere di Barwon in Australia, per abusi sessuali su minori (Pell è stato scagionato dalle accuse dall’Alta corte australiana ad aprile scorso). Il manoscritto sarà pubblicato negli Stati Uniti nella primavera del 2021. In esclusiva per l’Italia il mensile di apologetica Il Timone (in uscita l’8 ottobre) pubblica alcuni estratti, per gentile concessione dell’editrice Usa Ignatius Press, e che l’Agi ha anticipato. Nel diario, Pell descrive la sua cella, la numero 11 dell’unità 8 della Melbourne Assessment Prison, «dove sono sta stato rinchiuso assieme a un terrorista musulmano (penso sia quello che ha cantato le sue preghiere stasera (giovedì 14 marzo 2019, ndr), ma potrei sbagliarmi) e Gargasaulas, l’assassino di Bourke Street», prosegue, fornendo anche i dettagli della cella. «Appena si entra, ci sono delle mensole sulla sinistra e un tavolo per la mia teiera e la televisione, e uno spazio per mangiare. Lungo la stretta corsia, sulla destra, c’è un lavandino con acqua calda e fredda, un water con una seduta alta e dei braccioli (viste le mie ginocchia), e un robusto vano doccia con una bell’acqua calda». Poi qualche cenno all’ambiente carcerario, con parole di simpatia per le guardie: «Almeno un paio di prigionieri nelle circa dodici celle spesso urlano disperatamente di notte, ma di solito non per molto. È interessante come ci si abitui a questo rumore, come diventi parte del contesto. Mi trovo in una cella d’isolamento, con il permesso di uscire per un po’ di movimento per il massimo di un’ora e per le visite dei legali, degli agenti, degli amici, dei medici, etc. Le guardie sono differenti nella loro capacita di comprensione, ma sono tutte corrette, molte di loro cordiali, alcune amichevoli e disponibili. Posso ricevere lettere e telefonate nel tempo della ginnastica». E infine un piccolo sfogo sugli spazi, comunque angusti: «Ho richiesto un po’ più di spazio e più congeniale (rispetto al cortile che utilizzo attualmente) per camminare, un rientro più tardivo in isolamento e un po’ di compagnia. Dato il mio status le ultime due richieste non sono possibili e una cella con la propria piccola area per fare movimento sembra essere l’unica opzione».

Maria Antonietta Calabrò per huffingtonpost.it il 28 settembre 2020. Il Papa ha chiesto al cardinale George Pell di rientrare subito  in Vaticano. E’ atteso domani a Roma. Non è  - come si potrebbe pensare -  solo una “compensazione”, la  conseguenza di una legge  del contrappasso,  viste le dimissioni imposte, giovedì sera,  al principale oppositore  di Curia del cardinale australiano, cioè Angelo Becciu, ex prefetto delle cause dei santi. Non è solo questo, è molto di più. Perché, i guai di Pell in Curia (prima e al di là delle accuse di pedofilia in patria) sono stati legati - questo risulta da fonti qualificate di Huffpost -  alle richieste di accertamento che il Ranger (così veniva soprannominato Pell per i suoi modi spicci) aveva avanzato proprio sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra. Il palazzo che dal 2019 è sotto la lente degli inquirenti vaticani dopo le denunce dello IOR e del Revisore generale. Né si tratta solo del fatto che la Segreteria di Stato ha potuto dai tempi di Paolo VI farsi forte sotto il profilo finanziario dei suoi fondi riservati (sempre rendiconti al Papa), un vero e proprio tesoretto di svariate centinaia di milioni di euro. Pell aveva denunciato pubblicamente l’esistenza di questi fondi extrabilancio già alla fine del 2014  in quanto secondo lui si tratta di una prassi “anomala” in base ai moderni criteri di gestione, che potenzialmente espone a possibili abusi ed opacità. Una prassi diffusa in maniera minore anche presso altri dicasteri di Curia e che adesso  - anche a causa della necessità di concentrare presso l’Apsa tutta la liquidità del Vaticano a causa della crisi economica - finirà, secondo quanto comunicato ufficialmente un paio di settimane fa dal nuovo prefetto dell’economia, Guerrero Alves, il gesuita, i “guai “ di Pell sono iniziati più di recente, (2016) quando  lui ha cominciato a fare precise  domande sull’operazione  di acquisto sulle sponde del Tamigi, dopo aver ricevuto informazioni poco tranquillizzanti da ambienti finanziari inglesi sulla rete di personaggi e di mediatori che giravano intorno all’affare, come il broker Torzi, finito da tempo nella lista nera delle autorità e alle banche coinvolte. E’ questa la storia che Pell dovrà raccontare al Papa a partire da domani, quando il suo rientro coinciderà con la festa di San Michele Arcangelo, il principe delle schiere celesti che sconfigge il diavolo. Adesso tutti si chiedono se Pell si stabilirà alla Casa Australia, un complesso che ospita prelati e seminaristi australiani nei pressi di piazza Indipendenza, o se sarà ospitato a Casa Santa Marta, il residence dove abita Francesco, a diretto contatto con il Pontefice , con cui potrà avere  colloqui  come e quando vorrà al riparo di occhi indiscreti.

La guerra interna in Vaticano: così hanno fatto fuori Becciu. Dal tentativo di Ratzinger di riformare lo Ior al caso Becciu: un decennio di scandali tra le mura leonine del Vaticano. Bergoglio era stato eletto per la svolta. Francesco Boezi, Domenica 27/09/2020 su Il Giornale. C’è stato un momento preciso in cui il Vaticano e gli scandali hanno iniziato a camminare insieme. Era la fine del primo decennio del nuovo millennio e Joseph Ratzinger aveva palesato l'intenzione di riformare lo Ior, la cosiddetta "banca vaticana". Poi la "pace" avrebbe smesso di dimorare tra le mura leonine. Il primo Vatileaks è del settembre del 2012. Il secondo della fine del 2015. Il resto è cronaca dei nostri tempi. I regni di Benedetto XVI e papa Francesco sono diversi per toni e contenuti della pastorale, ma qualche costante c'è. Una di queste è rappresentata dalla battaglia per la trasparenza. Il caso della "cacciata" del cardinal Becciu è solo l'ultima punta dell'iceberg. Anzi, è possibile che di "cacciate" si parli ancora. Perché Jorge Mario Bergoglio non ammette errori. Il pontefice, quando è emerso lo scandalo legato all'Obolo di San Pietro, si è detto soddisfatto, perché la "pentola" era stata scoperchiata dall'interno. Questa volta senza "ausilio" dei giornalisti o di altri fattori esterni. Tra gli addetti ai lavori c'è chi individua un "tappo" curiale. Una forma di resistenza nei confronti della spinta riformistica di Benedetto XVI prima e di Francesco poi. C'è pure chi, al contrario, pensa che il Papa regnante non abbia proseguito nell'opera di Ratzinger. L'ex arcivescovo di Buenos Aires, insieme ad un consiglio ristretto di cardinali, sta lavorando alla riforma della Curia di Roma, con la nuova Costituzione apostolica: quello, con buone probabilità, sarà il banco di prova in grado di fornire elementi sul cambio di passo in Santa Sede. C'è un fil rouge che collega tutto quello che avviene in termini di scandali nelle mura leonine? Molto difficile rispondere. In linea di principio, ogni vicenda risponde per sé. Cosa c'entra, del resto, il caso del maggiordomo Paolo Gabriele con le accuse di peculato che sarebbero state mosse nei confronti dell'ex sostituto della segreteria di Stato? Niente. Il problema del "tappo", però, è invariato, e gli scandali fanno spesso capolino dalle parti di piazza da San Pietro. Anche durante la "rivoluzione" del primo Papa gesuita della storia della Chiesa cattolica. Dal caso del cardinale George Pell, prima accusato di abusi e poi del tutto scagionato, a quello McCarrick, che si è da poco riaperto per via di un presunto "schema predatorio": di terremoti interni ai palazzi ne sono stati avvertiti parecchi. La "battaglia per la trasparenza", sì, ma anche quella per promuovere la linea della "tolleranza zero" in materia di abusi: gli ultimi due pontefici sono accomunati anche da quest'altro combattimento. Proprio il cardinale Pell, in queste ore, ha plaudito al pontefice argentino per la scelta su Becciu. E dagli antichi piani di Pell dipenderebbe pure il nuovo codice unico per i contratti e gli appalti del Vaticano. Un cardinale conservatore ed ex prefetto della Segreteria dell'Economia, simbolo per i tradizionalisti della resistenza a certi pregiudizi della giustizia, uscito dal carcere australiano dopo 13 mesi: Pell è uno dei volti delle cronache vaticane dell'ultimo ventennio. Una figura diversa da quella di McCarrick, prima "scardinalato" e poi invitato ad una vita di preghiera e penitenza lontano dal potere curiale. Perché rispetto a quel caso le accuse di abusi sono state ritenute credibili. "Scandalo", prescindendo dai vari esiti processuali, è una parola che accompagna le cronache sulla Santa Sede con stabilità. Tutto, dicevamo, è iniziato con il tentativo di Ratzinger di riformare lo Ior. Lo ha notato pure La Nazione. Poi è arrivato un tuono mai visto nell'epoca contemporanea: la rinuncia di un Papa per l'età che avanza, con la conseguente creazione dell'istituto del pontefice emerito. Vicissitudini impronosticabili, storia alla mano. L'elezione di Bergoglio, nei piani dei cardinali, avrebbe dovuto rasserenare il clima, con la spinta diretta ad una riforma non più rimandabile. Ma in questi sette anni le pentole scoperchiate dall'interno o meno hanno comunque segnalato la presenza di qualcosa da scoperchiare. Se davvero esiste un "tappo" in Vaticano è bello spesso.

Gianluigi Nuzzi per “la Stampa” il 27 settembre 2020. Il Covid19 s' aggira come uno spettro nei sacri palazzi. Aggredisce monsignori, sacerdoti, segretari. E isola forzatamente Papa Francesco. Lo fiacca e priva della carica che arriva dalle folle, da una piazza San Pietro solitamente colma. Una clausura alla quale non siamo abituati, ancor meno lui, pontefice dell'abbraccio. Ma Francesco è consapevole di come questa sia l'unica condizione per preservare, oltre alla vita, il proprio ruolo. Inimmaginabile un conclave in piena pandemia, esponendo anziani cardinali a rischi imprevedibili di viaggi, riunioni e assembramenti. Così il Vaticano, fino alla detonazione del caso di Angelo Becciu, sardo di Pattada, classe 1948, entrato in seminario a 12 anni, elevato cardinale da Francesco nel 2018. Becciu rinuncia alle prerogative da cardinale, a ogni incarico nella curia romana, al diritto di entrare nel futuro conclave. Perché? La ferita più profonda in Bergoglio non dev' essere provocata dal presunto malaffare, l'ipotizzato accaparramento familistico attribuito al porporato, il saccheggio celato e maleodorante del quale lo si accusa. Nemmeno dalla delusione psicologica per un uomo forse più narrato che ritenuto vicino. Bergoglio non è giudice terreno delle leggi. Non raccoglie indizi. Non misura prove in chiave giudiziaria. E così i fratelli cardinali che si stringono a lui godono dell'immunità proprio perché non è necessaria nel rapporto di fede e fiducia. Quindi, i flussi di soldi, attinti dall'Obolo di San Pietro e dirottati in Sardegna, l'accusa di peculato, indegna sì noi laici, ma tutto ciò a Santa Marta deve suonare più come effetti, aggravanti più che causa. Allora, perché? L'onta devastante, che pregiudica il rapporto, è la menzogna, il nascondimento. Il fatto che un cardinale menta al Papa, persino nella teologia di un pontefice assai radicato nell'indulgenza, nella misericordia del perdono, è insuperabile. Quando un cardinale mutila la verità di aspetti sostanziali, ne leviga l'essenza per quella che Joseph Ratzinger indica come «l'ambizione umana al potere», l'abbraccio fraterno diventa irricevibile. È quindi questa la chiave d'accesso più logica per interpretare quanto avvenuto, sino al clamoroso ridimensionamento di Becciu, esposto ora sì alla giustizia della uomini avendo privato il Papa della fiducia. La formazione del convincimento in Bergoglio è stata lenta, solitaria. Ma deve aver unito i punti. Ogni volta che sceglieva un uomo decisivo per portare avanti la riforma della curia, corridoio indispensabile per rilanciare la Chiesa nel mondo, ecco che questi veniva impallinato da scandali, accuse che poi puntualmente si rivelavano inconsistenti. Ed erano tutti nemici di Becciu. Così la scontro con George Pell, il cardinale australiano che stava svuotando i cassetti dei segreti e maneggi finanziari, scelto all'esordio del pontificato e messo in mora da un'inchiesta per pedofilia che si è vaporizzata definitivamente a processo. Pell è innocente, furibondo, convinto che dietro le accuse si sia celata una manovra curiale per screditarlo e anestetizzare la riforma del Papa. E in effetti così è stato. Con l'addio al Vaticano di Pell, tornato in Australia a difendersi, la segreteria per l'Economia che presiedeva è rimasto un monolite incompiuto. Creata proprio per bilanciare quella di Stato dove Becciu era eminenza grigia, priva di Pell, è stata di fatto via via rallentata nella crescita e svuotata nelle responsabilità. Sulle accuse a Pell ora corrono addirittura voci di bonifici che dal sud Italia sarebbero partiti alla volta del lontano continente: si vedrà se sono pettegolezzi, balle o verità. Di certo non è un caso isolato. Così lo scontro con Libero Milone, professionista serio, fondatore di Deloitte Italia dalla reputazione univoca. Era stato scelto da Francesco come primo revisore generale, super controllore di appalti e transazioni. Bergoglio lo incontrò nella sala d'aspetto di Santa Marta: «Vada avanti, non tema nessuno, non si fermi mai». Quando Milone ebbe l'ardire di scartabellare la contabilità dei forzieri, i conti dei porporati, a iniziare da quelli di Becciu, percepì che qualcuno lavorava per creare distanza tra lui e il pontefice, che prima incontrava tutte le settimane. Il freddo divenne presto gelo. Fu messo alla porta con la perfida minaccia «o si dimette o l'arrestiamo», facendo riferimento a una presunta indagine contro di lui. Peccato che di questa indagine non si è mai saputo nulla. Nemmeno se sia esistita davvero. La clamorosa defenestrazione conclude una partita cruciale nella storia della Chiesa, avviata da Benedetto XVI quasi dieci anni fa, quando percepì che la mondanità rapace era soverchiante, destabilizzante, capace di far brillare le colonne della Basilica. Quindi la meditazione, la rinuncia al pontificato, la messa in mora dell'italianità curiale, l'arrivo di Bergoglio. «Attenti ai preventivi, alle spese» tuonava Francesco in sala Bologna nel luglio del 2013 agli esterrefatti cardinali, abituati a papi che si occupavano di anime e non di gestire lo sterco del demonio, il denaro. Bergoglio, invece, li scuoteva. E cosi la battaglia a bassa intensità del gesuita argentino per il controllo della Curia con la falcidia inesorabile, silente, di chi con le mani sul Vangelo godeva di fiducia mal riposta. Alla fine, come già raccontato a luglio proprio su queste colonne, era rimasto lui del potente triumvirato delle tre B: Bertone (arroccato nell'attico), Balestrero (spedito in sud America) e appunto Becciu di Pattada, il paese conosciuto in tutto il mondo per i coltelli affilati. E che ora si sono spuntati. Per sempre.  

La cacciata di Becciu una mossa anti Papa, il cardinale licenziato in fretta e senza prove…Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 26 Settembre 2020. Il cardinale Angelo Becciu ieri si è difeso vivacemente, convocando i giornalisti. «Mi sembra strano essere accusato di questo. Quei 100mila euro, è vero, li ho destinati alla Caritas. È nella discrezione del Sostituto (incarico ricoperto dal 2011 al 2018, terzo per importanza dopo Papa e Segretario di stato, ndr) destinare delle somme che sono in un fondo particolare destinato alla Caritas, a sostenere varie opere. In 7-8 anni non avevo mai fatto un’opera di sostegno per la Sardegna (è originario di Pattada, diocesi di Ozieri, ndr). So che nella mia diocesi c’è un’emergenza soprattutto per la disoccupazione, ho voluto destinare quei 100mila euro alla Caritas». «Quei soldi sono ancora lì, non so perché sono accusato di peculato». Becciu ha spiegato che i soldi non sono transitati dalla Caritas alla cooperativa gestita dal fratello che collabora con la Caritas di Ozieri. E ancora: «Per il palazzo di Londra l’Obolo di San Pietro non è stato toccato, non è stato utilizzato. La Segreteria di Stato aveva un fondo, doveva crescere». Per la Caritas di Ozieri i 100mila euro arrivavano dall’Obolo ma era un fine “caritativo”, ha ribadito Becciu rispondendo comunque che con il Papa, nel colloquio durato “venti minuti”, non si è parlato del palazzo di Londra (operazione, sembra, da 225 milioni di dollari). Ed ha aggiunto che la vicenda è “surreale”, ribadendo poi stima e fedeltà nei confronti del papa che inaspettatamente gli ha chiesto di dimettersi. Sembra dunque che il nodo sia i presunti atti illegali del cardinale riguardo i rapporti tra i suoi fratelli, la chiesa italiana e la Santa Sede da dove avrebbero preso finanziamenti. Quanto all’entità, si parla di 100mila euro ma sembra anche ci siano di mezzo altri 600 mila euro destinati a cooperative riconducibili alla famiglia (i fratelli). Nonostante la ricostruzione del porporato, le domande non mancano. Per esempio: il laconico comunicato del 24 sera annuncia le dimissioni e la perdita dei diritti collegati al cardinalato (non entrerà in un conclave, ad esempio) non spiega il perché. In questo modo le illazioni si moltiplicano. Era proprio necessario tacere i motivi? Non si poteva dire di più? Tra la ricostruzione del cardinale (tutto regolare) e la decisione papale abbiamo una siderale distanza e neppure l’avvio di un processo o un procedimento (così sembra, almeno). Non si poteva aspettare? E se per il papa è tutto chiaro, non si poteva dire di più? I fratelli del cardinale, coinvolti a vario titolo in quanto gestori-percettori di parte delle somme, hanno annunciato vie legali. Ma contro chi? Vale o no, anche in Vaticano, l’idea che se ci sono reati vanno accertati e puniti in base ad una procedura legale? Certo il papa è allo stesso tempo detentore del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, però qualche passo avanti in duemila anni di diritto romano e a 270 da Montesquieu si potrebbe fare. Naturalmente poi c’è l’ambito dell’opportunità: forse non ci sono reati però si parla di una quantità di soldi rilevante e dell’opportunità o meno di metterli nelle mani di parenti, per quanto detentori di incarichi ecclesiali. Nell’accavallarsi delle voci, come sempre, si parla di lavori fatti per le Nunziature a Cuba e in Egitto, dove il cardinale avrebbe affidato appalti alle ditte di famiglia. Di tutto e di più sentiremo nei prossimi giorni. Ma appunto: nel clima di questi anni – da Benedetto XVI in poi, con l’adesione del Vaticano alle procedure di controllo e valutazione internazionale per evitare riciclaggio e reati finanziari – non si poteva essere rigorosi con rendicontazioni inoppugnabili? Oppure nonostante tutte le riforme esiste ancora una gestione un po’ personale del patrimonio ecclesiale? E se invece fosse qualcos’altro: ad esempio (lavorando di fantasia) una maniera per screditare l’operato del papa? Su tutto la considerazione dominante è quanta strada ci sia da percorrere tra il dire e il fare, tra il Vangelo e l’operare con i soldi, come papa Francesco aveva detto parlando alla Curia nel 2014. Se siamo allo stesso punto, sei anni dopo, qualche domanda sui criteri di scelta e selezione andrà pure fatta, prima o poi. E anche ci sarà da chiedersi quando finirà questa partita a scacchi, fintamente ingenua, dove dietro il denaro si vuole certamente coinvolgere sempre più papa Francesco. Lo capiremo nei prossimi mesi.

Che cosa c’è dietro le dimissioni del cardinale Becciu, e perché la tregua in Vaticano è finita. Massimo Franco il 26/9/2020 su Il Corriere della Sera. Il nome è grazioso: Casina del giardiniere. E l’edificio appare come un piccolo gioiello di mattoni rossi con la torretta, incastonato tra grandi putti di marmo bianco e guardato dall’alto da una statua nera di San Pietro, in una piccola conca dei Giardini vaticani. Ma a incrinare l’immagine vagamente bucolica è una garitta di vetro e alluminio, dove una sentinella si alterna ad altre guardie ventiquattr’ore su ventiquattro: c’è il timore che qualcuno si introduca di nascosto nel villino. Il viavai di tecnici e esperti informatici racconta mesi di indagini delicatissime: stanno analizzando e decifrando i computer sequestrati negli uffici vaticani, a caccia di misteri inconfessabili sugli intrecci finanziari di alcuni esponenti eccellenti della Santa Sede. È su questo sfondo cupo, gonfio di sospetti e di misteri, che si è consumata la defenestrazione traumatica del cardinale Giovanni Angelo Becciu. Si tratterebbe di una storia di soldi dell’Obolo di San Pietro dirottati su una cooperativa della Caritas gestita in Sardegna, la sua regione, da uno dei fratelli: un comportamento che ha portato a un’accusa di peculato e che ha provocato l’ira di papa Francesco. Jorge Mario Bergoglio lo ha «degradato» in un amen, togliendogli il cardinalato e sbarrandogli le porte di un futuro Conclave. Frase standard, inappellabile: «Lei non ha più la mia fiducia», sebbene pronunciata con una punta di sofferenza. E pensare che il pontefice lo aveva promosso due anni fa, dopo averlo tenuto fino al 2018 come sostituto segretario di Stato, una sorta di «ministro dell’Interno». Di fatto, lo aveva appoggiato anche nei passaggi più complessi degli ultimi anni. Quando nell’estate del 2017 si era spezzata la carriera di George Pell, cardinale australiano, «zar dell’economia» e avversario di molti, Becciu compreso, Francesco era apparso colpito e rassegnato. Di fronte alle accuse di pedofilia contro Pell e al processo al quale si era dovuto sottomettere in Australia, pur essendo perplesso aveva «congedato» uno degli uomini su cui aveva puntato per ripulire le finanze della santa Sede. E quando alcuni mesi dopo il supervisore generale Libero Milone, braccio operativo di Pell, disse di essersi dimesso perché era stato minacciato di arresto, puntando il dito sulla Gendarmeria e su Becciu, il Papa si era schierato con quest’ultimo. Ma Pell alla fine è uscito indenne e riabilitato dalle vicende giudiziarie. Sulla sua via crucis processuale si è allungata l’ombra di una manovra oscura gestita «con cannoni australiani e munizioni vaticane», a sentire un intellettuale amico del Papa e dello stesso Pell. E la settimana prossima l’ex plenipotenziario tornerà a Roma dalla sua Australia dopo oltre tre anni di assenza, senza più il suo incarico: proprio mentre Becciu è costretto a difendersi non solo da accuse imbarazzanti, ma da una reazione papale che negli ambienti vaticani ha lasciato tutti di stucco; e dopo che il 14 ottobre del 2019 è stato indotto alle dimissioni il capo della Gendarmeria, Domenico Giani, legatissimo al cardinale italiano, con motivazioni ufficiali che non hanno convinto tutti. La storia della cooperativa che ha inguaiato Becciu semina dubbi simili. «Se dovessimo far dimettere tutti i cardinali che danno soldi ai familiari, ne resterebbero pochi», è la battuta venata di cinismo curiale che si raccoglieva ieri tra le cosiddette Sacre Mura. Un’eco dello scontro senza esclusione di colpi che si è consumato in questi anni si è avvertita nella conferenza stampa di ieri mattina di Becciu. Oltre a difendere i versamenti di soldi per i quali è stato accusato di peculato,ha parlato delle tensioni del passato con Pell: tensioni che sembrano essere tuttora incandescenti, se è vera la dichiarazione lapidaria attribuita al cardinale australiano e diffusa ieri. Sono poche parole col sapore del fiele nei confronti di Becciu. «Il Santo Padre venne eletto per pulire le finanze vaticane», avrebbe scritto Pell. «Ha fatto un lungo lavoro e deve essere ringraziato e congratulato (sic) per i recenti sviluppi. Spero che la pulizia nelle stalle prosegua sia in Vaticano che a Vittoria». Lo Stato australiano di Victoria è quello dove, pare di capire, Pell ritiene gli sia stata preparata la trappola giudiziaria. Ma è il versante romano a lasciare presagire contraccolpi più duraturi e traumatici. La fase della resa dei conti si è riaperta in modo virulento; anzi, probabilmente era stata solo congelata durante l’emergenza del coronavirus. E il pontefice, per quanto indebolito, appare deciso a reagire con durezza agli scandali emersi nei mesi scorsi. La storiaccia del palazzo londinese di Sloane Avenue,sul quale il Vaticano ha tentato una sfortunata speculazione immobiliare, investendo oltre 300 milioni di euro, attinti in parte dall'Obolo di San Pietro, continua a sprigionare veleni. E c'è chi sospetta che dietro gli ultimi sviluppi ci sia anche quello scandalo. «Bisogna andare fino in fondo», ha ordinato Francesco, usando, sembra, parole più crude. Becciu è l'ultimo e il più pesante anello che si spezza nella catena di comando bergogliana di questi anni. Si intuisce che al Papa è costato molto sacrificarlo: l'ormai ex cardinale lo ha servito lealmente durante gran parte del pontificato. Ma è chiaro anche che l'ex «ministro degli interni» della Santa Sede si prepara a sua volta a difendersi. «Fino in fondo».

Gian Guido Vecchi per il ''Corriere della Sera'' il 25 settembre 2020. Il comunicato della Santa Sede è arrivato alle otto di ieri sera, tre righe senza spiegazioni per annunciare una cosa che ha rarissimi precedenti nella storia della Chiesa: «Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu». A Becciu è toccata una sorte analoga a quella del cardinale scozzese Keith O' Brien, il 20 marzo 2015: per una storia di molestie e abusi a seminaristi, Francesco ne aveva «accettato» la «rinuncia ai diritti e alle prerogative del cardinalato»: eleggere il pontefice in un Conclave, «collaborare» col Papa e così via. Un titolo cardinalizio svuotato. Perché? In Vaticano si parla di «peculato», e di un confronto drammatico tra il cardinale e il Papa, ieri pomeriggio: «Le ho sempre voluto bene, la stimo ma non posso fare altro». Becciu lascia filtrare poche parole: «Sono sconvolto, turbato. Un colpo per me, la mia famiglia, la gente del mio paese. Ho accettato per obbedienza ma sono innocente e lo dimostrerò, chiedo al Santo Padre di avere il diritto di difendermi». Tutto è legato al periodo, quasi otto anni dal 2011 a 2018, durante il quale Becciu è stato Sostituto della Segreteria di Stato e ne ha gestito i fondi, compresi quelli riservati e l' obolo di San Pietro. Le indagini del «promotore di giustizia» vaticano Gian Piero Milano e dell' aggiunto Alessandro Diddi erano cominciate l' anno scorso con lo scandalo del palazzo londinese al 60 di Sloane Avenue. Tra gli indagati c' è anche monsignor Mauro Carlino, capo ufficio Informazione e documentazione, per anni segretario personale di Becciu. È chiaro che nel corso delle indagini è stato passato al setaccio l' uso dei fondi, non solo per Londra. La situazione è precipitata perché l' inchiesta si è allargata. Nel corso delle indagini sono saltati fuori soldi su fondi speculativi e una vicenda legata ad una cooperativa sarda impegnata nell' aiuto ai migranti, la «Spes» di Ozieri presieduta da Tonino Becciu, fratello di Angelo. Al cardinale - così racconta chi gli è vicino - sarebbe stato contestato di aver preso 100 mila euro dai fondi riservati per darli (ma non sarebbero ancora arrivati) alla cooperativa presieduta dal fratello. C' è da considerare che Francesco, fin dall' inizio del pontificato, ha avuto parole durissime contro il «cancro» della corruzione: «Meglio peccatori che corrotti».

Fabrizio Massaro per il ''Corriere della Sera'' il 25 settembre 2020. Sereno e tranquillo, come sempre. Fino alle 18 di ieri. Così l' ormai ex cardinale Giovanni Angelo Becciu, 72 anni, viene descritto da chi l' ha visto prima delle dimissioni. Alle 18 era fissato un appuntamento con papa Francesco. Lì si sarebbe consumata la rottura. Ma qualche incrinatura era già latente dopo l' esplodere dello scandalo sul palazzo di Sloane Avenue a Londra e il procedere dell' inchiesta penale dei promotori di giustizia vaticana, che stanno passando a setaccio uno dei segreti più a lungo custoditi: la gestione della «banca riservata» dei papi, ovvero la cassa della sezione Affari Generali della Segreteria di Stato, stimata in circa 700 milioni. È il cuore del governo della Santa Sede, che gestisce anche i milioni dell' Obolo di San Pietro. Per sette anni, dal 2011 al 2018, gli Affari Generali sono sati diretti dall' allora arcivescovo Becciu. In questa fase che verrebbero contestati l' uso di fondi a favore di attività riconducibili ai fratelli. Ma anche un uso disinvolto dei suoi rapporti con la stampa. È lui il protagonista iniziale dell' avventura londinese che tiene ancora impegnato il Vaticano per oltre 350 milioni , secondo i calcoli dei pm del Papa. Proprio seguendo i soldi, i promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi avrebbero esteso l' indagine all' impiego di tutti i capitali della sezione, a cominciare dai circa 50 milioni nel fondo maltese Centurion del finanziere Enrico Crasso, che li ha usati tra l' altro per diventare socio di Lapo Elkann in Italia Independent e per finanziare il film su Elton John. Fu proprio Becciu - che non risulta indagato - a proporre nel 2012 di investire 200 milioni di dollari in una piattaforma petrolifera in Angola. I soldi erano presso il Credit Suisse dove allora lavorava Crasso, banker di fiducia della Segreteria. A chiedere di investire era stato l' amico-imprenditore Antonio Mosquito, conosciuto ai tempi della nunziatura in Africa. Per valutare l' affare Crasso chiamò Raffaele Mincione ma il finanziere lo giudicò estremamente rischioso. La soluzione alternativa fu di investire i 200 milioni nel fondo Athena, dello stesso Mincione, che li userà per comprare il 45% del palazzo di Londra e il resto per avventure di Borsa su Carige, Bpm, Retelit e Tas. Ma le speculazioni, anche sul palazzo, andarono male e a un certo punto il fondo comincia a perdere decine di milioni. Nell' estate del 2018 Becciu è nominato cardinale e sostituito con l' arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra. Si cambia linea. Il Vaticano vuole uscire dall' affare. A fine 2018 si raggiunge una transazione con Mincione tramite il broker Gianluigi Torzi. Parte da lì l' intrigo che porterà all' inchiesta con indagati anche due monsignori della Segreteria, Alberto Perlasca e Mauro Carlino e a giugno all' arresto di Torzi. Un' indagine che si allarga sempre più, partita da un' operazione «opaca», come l' ha definita il Segretario di Stato, Pietro Parolin. Accuse «infanganti», era stata la replica di Becciu, che ritiene di aver agito nell' esclusivo interesse della Santa Sede.

Case, fondi e pozzi offshore: gli affari (a rischio) del cardinale Becciu con i soldi vaticani. Mario Gerevini e Fabrizio Massaro  il 25/9/2020 su Il Corriere della Sera. Sereno e tranquillo, come sempre. Fino alle 18 di gioved 24 settembre. Cos l’ormai ex cardinale Giovanni Angelo Becciu, 72 anni, viene descritto da chi l’ha visto prima delle dimissioni. Alle 18 era fissato un appuntamento con papa Francesco. L si sarebbe consumata la rottura. Ma qualche incrinatura era gi latente dopo l’esplodere dello scandalo sul palazzo di Sloane Avenue a Londra e il procedere dell’inchiesta penale dei promotori di giustizia vaticana, che stanno passando a setaccio uno dei segreti pi a lungo custoditi: la gestione della banca riservata dei papi, ovvero la cassa della sezione Affari Generali della Segreteria di Stato, stimata in circa 700 milioni. il cuore del governo della Santa Sede, che gestisce anche i milioni dell’Obolo di San Pietro. Per sette anni, dal 2011 al 2018, gli Affari Generali sono sati diretti dall’allora arcivescovo Becciu. In questa fase che verrebbero contestati l’uso di fondi a favore di attivit riconducibili ai fratelli. Ma anche un uso disinvolto dei suoi rapporti con la stampa. lui il protagonista iniziale dell’avventura londinese che tiene ancora impegnato il Vaticano per oltre 350 milioni , secondo i calcoli dei pm del Papa. Proprio seguendo i soldi, i promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi avrebbero esteso l’indagine all’impiego di tutti i capitali della sezione, a cominciare dai circa 50 milioni nel fondo maltese Centurion del finanziere Enrico Crasso, che li ha usati tra l’altro per diventare socio di Lapo Elkann in Italia Independent e per finanziare il film su Elton John. Fu proprio Becciu - che non risulta indagato - a proporre nel 2012 di investire 200 milioni di dollari in una piattaforma petrolifera in Angola. I soldi erano presso il Credit Suisse dove allora lavorava Crasso, banker di fiducia della Segreteria. A chiedere di investire era stato l’amico-imprenditore Antonio Mosquito, conosciuto ai tempi della nunziatura in Africa. Per valutare l’affare Crasso chiam Raffaele Mincione ma il finanziere lo giudic estremamente rischioso. La soluzione alternativa fu di investire i 200 milioni nel fondo Athena, dello stesso Mincione, che li user per comprare il 45% del palazzo di Londra e il resto per avventure di Borsa su Carige, Bpm, Retelit e Tas. Ma le speculazioni, anche sul palazzo, andarono male e a un certo punto il fondo comincia a perdere decine di milioni. Nell’estate del 2018 Becciu nominato cardinale e sostituito con l’arcivescovo venezuelano Edgar Pea Parra. Si cambia linea. Il Vaticano vuole uscire dall’affare. A fine 2018 si raggiunge una transazione con Mincione tramite il broker Gianluigi Torzi. Parte da l l’intrigo che porter all’inchiesta con indagati anche due monsignori della Segreteria, Alberto Perlasca e Mauro Carlino e a giugno all’arresto di Torzi. Un’indagine che si allarga sempre pi, partita da un’operazione opaca, come l’ha definita il Segretario di Stato, Pietro Parolin. Accuse infanganti, era stata la replica di Becciu, che ritiene di aver agito nell’esclusivo interesse della Santa Sede.

Caso Becciu, Francesco non arretra «L’unica scelta è quella della verità». Gian Guido Vecchi su Il Corriere della Sera il 28 settembre 2020. Angelo Becciu lamenta di essere stato «già condannato» dal Papa senza un processo, ma il punto non è l’eventuale responsabilità penale. Per Francesco, evidentemente, le cose erano già abbastanza chiare da dirgli «non ho più fiducia in lei» e imporre al cardinale, oltre alle dimissioni, la rinuncia ai «diritti e le prerogative» della porpora. Bergoglio, spiegano Oltretevere, è determinato ad andare «fino in fondo» a un percorso avviato da tempo. C’è una frase che spiega tutto: «Al di là della eventuale illiceità».

La frase di febbraio.Per capirla bisogna risalire a pochi mesi fa, 15 febbraio 2020, giorno di inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale vaticano. Il Papa spiega che «la grande esortazione del Vangelo è quella di instaurare la giustizia innanzitutto dentro di noi, lottando con forza a emarginare la zizzania che ci abita». E fa notare tre cose. La prima, che la Santa Sede ha avviato «un processo di conformazione della propria legislazione alle norme del diritto internazionale» per «contrastare l’illegalità nel settore della finanza». La seconda, che proprio i «presidi interni di sorveglianza e di intervento» hanno fatto scoprire «situazioni finanziarie sospette»: l’inchiesta in corso della magistratura vaticana sull’acquisto del palazzo di Londra e l’uso dei fondi della Segreteria di Stato, gestiti come Sostituto da Becciu fra il 2011 e il 2018. La terza è quella più importante: quelle operazioni «sospette», spiegava Francesco, «mal si conciliano con la natura e le finalità della Chiesa» e questo «al di là della eventuale illiceità».

Gli affari. Becciu ha raccontato che il Papa gli ha parlato di sospetti di «peculato» per aver favorito i fratelli: 100 mila euro della Segreteria e pressioni sulla Cei per finanziare la coop di uno, lavori di falegnameria affidati a un altro, promozione della birra prodotta dalla società di un terzo, Mario, che parla di «un progetto di inserimento di ragazzi autistici». Angelo Becciu ha smentito le accuse: i soldi sono andati alla Caritas, nessun favore. Ma intanto è saltata fuori un’altra vicenda, pubblicata da Domani: il finanziere e petroliere angolano Antonio Mosquito, amico di Becciu — lo stesso che nel 2012 propose all’allora Sostituto di investire 200 milioni di dollari in una piattaforma petrolifera in Angola: poi non se ne fece nulla — ha finanziato l’anno scorso per 1,5 milioni di euro il «progetto birra» del fratello Mario, il quale ha replicato che sono arrivati 800 milioni ed è «tutto regolare». Anche questo, a Francesco, non è piaciuto affatto.

Il codice degli appalti. Del resto, basta vedere il nuovo codice degli appalti in Vaticano contro corruzione e nepotismi, in vigore da luglio dopo unMotu propriodi Francesco: tra le incompatibilità c’è la parentela «fino al quarto grado» o l’affinità «fino al secondo grado». Già a febbraio, il Papa spiegava come le «operazioni sospette» avessero «generato disorientamento e inquietudine nella comunità dei fedeli». Domenica sarà la «Giornata della carità del Papa», una colletta mondiale per finanziare l’Obolo che negli ultimi anni è rimasto intorno ai 50 milioni ma continua a calare; ora si teme un crollo. Di certo il Papa non vuole investimenti speculativi né operazioni «opache». All’Angelus di ieri ha spiegato: «La fede in Dio chiede di rinnovare ogni giorno la scelta del bene rispetto al male, la scelta della verità rispetto alla menzogna».

Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso. Soldi dei poveri al fratello e offshore: le carte dello scandalo. E il Papa chiede pulizia. Massimiliano Coccia su L'Espresso il 25 settembre 2020. Dopo la notizia dei fondi dell'Obolo di San Pietro usati per l'acquisto di un palazzo a Londra per 160 milioni, l'inchiesta sale di livello e punta su Angelo Becciu che avrebbe dirottato denaro delle elemosine verso fondi speculativi e favori alla famiglia. Ora Francesco ordina chiarezza e punizioni per i responsabili. Una cosa corrotta «è una cosa sporca e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è un cristiano, puzza», disse Papa Francesco nel 2015. A vedere quanto sta maturando nelle pieghe dell’inchiesta per l’acquisizione da parte della Segreteria di Stato della Città del Vaticano del palazzo di Sloane Avenue a Londra, comprato nel 2014, che ha generato via via «un’enorme voragine» nei conti, la puzza della corruzione nelle stanze vaticane si sente forte in questi giorni. L’utilizzo che è stato fatto dell’Obolo di San Pietro, un collettore di offerte e donazioni per le azioni sociali della Chiesa nei confronti dei poveri, è forse il simbolo di quanto il mandato apostolico sia stato tradito per una speculazione immobiliare e finanziaria; una speculazione che non rappresenta un caso episodico ma, come L’Espresso ricostruisce in queste pagine, un vero e proprio metodo che ha contraddistinto la Segreteria di Stato sotto la direzione del cardinale Angelo Becciu. Un modus operandi che non è mai piaciuto a papa Francesco il quale - mentre speculatori, broker e promotori finanziari giocavano con la cassa della Segreteria di Stato e dell’Obolo di San Pietro - tesseva infatti una rete di nuove norme e di sorveglianza per le finanze vaticane.

Il caso del cardinal Becciu, bonifici a società di famiglia e milioni spariti offshore. Massimiliano Coccia il 24 settembre 2020 su L'Espresso. Ecco le carte dello scandalo, il metodo ricostruito dal settimanale L'Espresso. I soldi delle elemosine, quelli dell’obolo di San Pietro e quelli della Cei, destinati a fondi speculativi e dirottati verso le cooperative dei suoi fratelli. Non un caso singolo, ma un vero e proprio metodo: il metodo seguito dal cardinale Angelo Becciu negli anni in cui ha guidato la segreteria di Stato, prima di essere rimosso nel 2018 da Papa Bergoglio. Un metodo che l’Espresso ha ricostruito e svelato nel numero in edicola domenica 27 settembre ma che, viste le rivelazioni c...

Becciu, la rete dei finanzieri vicini al porporato svelato da un pentito della segreteria. Massimiliano Coccia su La Repubblica il 25 settembre 2020. Ecco come si è arrivati alle dimissioni del cardinale e, secondo le indagini svelate dall'Espresso, come funzionava il sistema tra strani investimenti e fondi in paradisi fiscali. Nessuno ha fatto nulla, nessuno sapeva nulla e nessuno conosce nessuno. Potrebbe essere la sintesi della gragnola incrociata di comunicati e smentite che si sono succeduti nella giornata di ieri. Una serie iniziata dall’ormai ex cardinale Angelo Becciu che afferma di non conoscere le «ramificazioni», ignorare dove finissero davvero i soldi delle casse vaticane, in alcuni casi di non sapere nemmeno le persone in mano alle quali quel denaro girava. Mentre i finanzieri coinvol... 

Peculato, il cardinale Becciu: "Accuse surreali. Il Papa era turbato, soffriva a dirmelo". La Repubblica il 25 settembre 2020. Il cardinale Angelo Becciu si difende, all'indomani delle sue dimissioni per le accuse di aver dirottato i fondi del Vaticano. "È un po' strana la cosa, in altri momenti mi ero trovato per parlare di altre cose, non di me, mi sento un po' stralunato", dice il porporato. "Ieri, fino alle 6.02 mi sentivo amico del Papa, fedele esecutore del Papa. Poi il Papa dice che non ha più fiducia in me perché gli è venuta la segnalazione dei magistrati che io avrei commesso atti di peculato".

Pane, carità e appalti, gli affari in Sardegna del cardinale Becciu e i suoi fratelli. Monia Melis La Repubblica il 25 settembre 2020. Le ultime vacanze nella terra di origine prima delle dimissioni legate allo scandalo dell'immobile di Londra. Gli amici, la famiglia cresciuta con le rimesse del padre emigrato, l’ultimo business per la birra.“Siamo in cinque ma ognuno lavora in autonomia”. Monsignor Giovanni Angelo Becciu, don Angelino per i compaesani, era nella sua Pattada. Tremila abitanti scarsi nel Logudoro, nord Sardegna dell’interno: un’ora in auto da Sassari, venti minuti da Ozieri. Era sabato 29 agosto e, anche nell’anno del Covid, Becciu non ha rinunciato a celebrare la messa delle 11 in onore della patrona santa Sabina. Una cerimonia solenne, con la novità degli ingressi contingentati e dello streaming in rete; al suo fianco sindaco, parroco...

Vaticano, la difesa di Becciu: "Accuse surreali, il Papa sbaglia e spero che non sia stato manipolato". La Repubblica il 25 settembre 2020.  Il monsignore dopo le sue dimissioni per le accuse di aver dirottato i fondi del Vaticano: "Rinnovo la mia fiducia al Santo Padre". Il legale della famiglia: "Nessuna erogazione dall'Obolo di San Pietro diretta ai fratelli del cardinale". "È un po' strana la cosa, in altri momenti mi ero trovato per parlare di altre cose, non di me, mi sento un po' stralunato. Ieri fino alle 6.02 mi sentivo amico del Papa, fedele esecutore del Papa. Poi il Papa dice che non ha più fiducia in me perché gli è venuta la segnalazione dei magistrati che io avrei commesso atti di peculato". Così Angelo Becciu in una conferenza stampa all'indomani delle sue dimissioni per le accuse di aver dirottato i fondi del Vaticano. "Rinnovo la mia fiducia al Santo Padre - dice il cardinale - Diventando cardinale ho promesso di dare la vita per la Chiesa e per il Papa. Quei 100mila euro, è vero, li ho destinati alla Caritas. È nella discrezione del Sostituto destinare delle somme che sono in un fondo particolare destinato alla Caritas, a sostenere varie opere. In 7-8 anni non avevo mai fatto un'opera di sostegno per la Sardegna. So che nella mia diocesi c'è un'emergenza soprattutto per la disoccupazione, ho voluto destinare quei 100mila euro alla Caritas". Quindi Becciu specifica che la somma è transitata dalla Caritas alla cooperativa gestita dal fratello che collabora con la Caritas di Ozieri: "Quei soldi sono ancora lì, non so perché sono accusato di peculato".  "Per il palazzo di Londra - continua - l'Obolo di San Pietro non è stato toccato, non è stato utilizzato. La Segreteria di Stato aveva un fondo, doveva crescere". Mentre per la Caritas di Ozieri i 100mila euro arrivavano dall'Obolo ma era un fine "caritativo", ha ribadito Becciu rispondendo comunque che ieri con il Papa, nel colloquio durato "venti minuti", non si è parlato del palazzo di Londra. "Nessuna sfida al Papa ma ognuno ha diritto alla propria innocenza" ha detto il cardinale parlando con i giornalisti. "Spero che prima o poi il Santo Padre si renda conto che c'è stato un forte equivoco", "spero non sia stato manipolato ". Becciu ha riferito che ieri il pontefice "soffriva" mentre gli chiedeva di fare un passo indietro, "era in difficoltà", "forse ha avuto errate informazioni". Il Papa ha comunque lasciato che Becciu resti nel suo appartamento in Vaticano. Becciu riferisce che non ha ricevuto nessuna comunicazione dai magistrati ma "sono qui, sono pronto a chiarire, tanto più che ora non ho più diritti da cardinale" e quindi non è necessario che il Papa a dare il nulla osta. "Non mi sento un corrotto", ha aggiunto rispondendo anche di non temere alcun arresto. La segnalazione di possibile peculato é arrivata dalla Guardia di Finanza italiana dopo la richiesta di indagine da parte dei magistrati vaticani.

Estratto dell’articolo di Massimiliano Coccia per “la Repubblica” il 27 settembre 2020. […] «Ancora non so di cosa sono accusato» si è sfogato Becciu con alcune delle persone che lo hanno raggiunto al telefono. Ma l'attesa non dovrebbe essere lunga. Un avviso di garanzia potrebbe essergli notificato nei primi giorni della settimana, se non già domani, un atto che formalmente lo renderà indagato. Al reato di peculato si aggiungerà quello di favoreggiamento e connesso a questo potrebbe aprirsi un ventaglio di imputazioni molto vasto. Infatti, come racconta l'inchiesta su L'Espresso oggi in edicola, oltre ai finanziamenti a fondo perduto alla Cooperativa "Spes" del fratello Tonino presi dall'8 per 1000 e dall'Obolo di San Pietro, oltre agli infissi fatti realizzare con incarico diretto al fratello Francesco (titolare di una ditta di falegnameria) e alle partnership per la società Angel's, retta da un terzo fratello, Mario, gli inquirenti sono convinti di avere in mano documentazione importante anche sul ruolo di Becciu nella vicenda della compravendita del palazzo di Londra, vicenda che di fatto ha prosciugato le casse della segreteria di Stato esponendo la Santa Sede alla morsa incrociata di una rete di broker. […] la rete di potere del cardinale si sarebbe iniziata a sfaldare proprio con l'affare del palazzo di Londra, sia perché i meccanismi anticorruzione messi in atto dalla Santa Sede hanno creato delle strettoie e sia perché i defenestrati da Becciu in vari settori della Curia hanno iniziato a reagire, collaborando con gli inquirenti per ricostruire il quadro di insieme. […] Ma non è solamente la magistratura dello Stato più piccolo del mondo a muoversi. C'è attesa anche sul versante italiano dove gli uomini della Guardia di Finanza stanno vagliando i documenti della Angel's srl, che tramite la Procura di Roma, grazie ad una rogatoria, sarebbero già stati inviati ai promotori di giustizia della Santa Sede. […]          

Il terremoto di Bergoglio: la Segreteria di Stato resta senza portafoglio. Paolo Rodari su La Repubblica il 28 settembre 2020. La gestione dei fondi sarà sottratta all’ufficio del Sostituto e affidata all’Apsa di monsignor Galantino sotto il controllo di un gesuita. Il progetto è stato definitivamente avviato circa dieci giorni fa. Secondo quanto apprende Repubblica, Francesco, in seguito allo scandalo del palazzo di Londra e alla destituzione del cardinale Angelo Becciu dai suoi incarichi, ha deciso di togliere qualsiasi risorsa economica alla Segreteria di Stato, compreso il fondo che fino a ora era a disposizione del Sostituto e nel quale confluivano anche parte dei soldi dell’Obolo di San Pietro. Di fatto, a ...

Vaticano, sette uomini sotto accusa. Il Papa: Gesù non diceva menzogne. Giuliano Foschini su La Repubblica il 27 settembre 2020. La caduta di Becciu è solo l’ultimo tassello dell’indagine sui fondi della Santa Sede: insieme a lui altri sei verso il processo. La svolta dopo l’arresto del broker Torzi: il cardinale si rivolse a lui quando era già nella black list delle banche europee. Sono sette, compreso l’ormai ex cardinale, Angelo Becciu. Sono accusati, a vario titolo, di peculato, abuso di autorità e corruzione. E presto finiranno a processo. Il Vaticano ha deciso di accelerare nel procedimento sulla gestione dei fondi dell’Obolo di San Pietro che parte dall’acquisto spregiudicato tra il 2013 e il 2018 di un palazzo nel centro di Londra, con un investimento di circa 300 milioni. Il palazzo a Kensington, al 60 di Sloane Avenue, era la parte pi...

Caso Becciu, quei milioni tolti all'Africa. Gianluca Di Feo su La Repubblica il 28 settembre 2020. Il magnate angolano che finanzia i familiari del cardinale. Antonio Mosquito Mbakassy è l'uomo più lontano dalla Chiesa di Francesco, quella che predica la povertà evangelica e abbraccia le masse sfruttate del Terzo Mondo. Il magnate africano è arrivato a un passo dall'entrare in società con il Vaticano, grazie all'amicizia con il cardinale Becciu: un sodalizio nato quando il prelato sardo era nunzio apostolico in Angola e consolidato finanziando la società del fratello. Eppure non c'è ...

La versione del cardinale: "Sono accuse surreali Papa? Lo credevo amico". Monsignor Becciu si difende: «Non ho paura di essere arrestato e non tradirò Bergoglio». Fabio Marchese Ragona, Sabato 26/09/2020 su Il Giornale. «Sono fedele al Papa, non lo tradirò mai, anche se mi ha parlato di accuse di peculato dopo un'inchiesta della Guardia di Finanza. Al momento non ho ricevuto alcuna comunicazione dal tribunale vaticano, non temo di essere arrestato perché non ho fatto niente». Il cardinale Angelo Becciu si difende dopo quel fulmine a ciel sereno, lo ha definito così lui stesso, che lo ha colpito e che ha scosso anche le stanze d'Oltretevere con le sue dimissioni da Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e la rinuncia ai diritti connessi al cardinalato. Un faccia a faccia di venti minuti con Francesco, durante il quale Bergoglio lo ha messo a conoscenza di aver saputo dalla magistratura vaticana di flussi di denaro partiti dal Vaticano con destinazione la sua Sardegna. «Fino a qualche minuto prima - racconta il cardinale - pensavo che il Papa fosse mio amico, poi all'improvviso ha detto di non aver più fiducia in me e ne ho preso atto». Al porporato vengono contestate tre operazioni: due versamenti da 300.000 euro che la Conferenza Episcopale Italiana avrebbe prelevato dall'8x1000 per finanziare la cooperativa del fratello di Becciu (che lavora a stretto contatto con la Caritas locale) e un versamento da 100.000 euro prelevati, questa volta dal cardinale, dall'Obolo di San Pietro, il fondo per la carità del Papa, e destinati alla sua diocesi, Ozieri, per attività benefiche attraverso la cooperativa del fratello. «All'epoca ero Sostituto della Segreteria di Stato - si è difeso Becciu - ed è nelle facoltà del Sostituto poter decidere a chi devolvere soldi per opere di carità, forse potrebbero accusarmi di conflitto d'interessi per aver aiutato la mia diocesi ma non ho commesso reati. Peraltro - ha aggiunto - quei soldi sono ancora fermi sul conto della diocesi, è tutto un malinteso». Becciu incalzato dai cronisti ha detto di non sapere se c'è «qualche nemico» che ha orchestrato il tutto. In realtà, da quanto risulta a Il Giornale, sarebbe stata attivata diversi mesi fa una linea telefonica «sicura», tra Sidney e la Città del Vaticano per il passaggio di informazioni confidenziali che hanno portato alle ultime novità sulle finanze d'Oltretevere Dietro la decisione di Papa Francesco di «licenziare» il porporato sardo ci sarebbero alcune rivelazioni del cardinale australiano George Pell, Prefetto emerito della Segreteria per l'Economia che nel 2017 aveva dovuto lasciare l'incarico in Vaticano per difendersi in Australia dalle accuse di pedofilia. Pell scagionato dall'Alta Corte, da uomo libero ha riallacciato i contatti in Vaticano per dare informazioni utili sulle scoperte fatte quando era «ministro dell'Economia» della Santa Sede. Non è un caso che ieri mattina il porporato abbia diffuso un comunicato in cui afferma: «Il Santo Padre venne eletto per pulire le finanze vaticane. Ha fatto un lungo lavoro e deve essere ringraziato per i recenti sviluppi». Chiaro il riferimento del porporato al caso Becciu. Oltre al contributo del cardinale Pell ci sarebbe stato anche un intervento di Libero Milone, l'ex revisore generale dei conti del Vaticano, anche lui allontanato nel 2017 dal suo incarico perché accusato di spiare la vita privata «dei superiori», tra cui il cardinale Becciu. A Milone, secondo il racconto del diretto interessato, prima delle dimissioni sarebbe stato impedito di parlare col Papa. Ma sarebbe riuscito comunque, negli ultimi tempi, a entrare in contatto con alcune persone vicine a Bergoglio per riferire ciò che aveva visto.

Fabio Marchese Ragona per “il Giornale” il 28 settembre 2020. «Ho dei sospetti su qualcuno, su chi ha orchestrato tutto, ma per il momento taccio, è il momento di pregare e sperare che tutto si risolva». Il cardinale Angelo Becciu si affida alla preghiera e all'affetto dei suoi più stretti amici in questo momento «di grande difficoltà» in cui, a dire di chi lo ha sentito nelle ultime ore, «spera di poter chiarire tutto col Papa, al quale rimane sempre e comunque fedele». L'accusa di peculato non è stata ancora formalizzata e comunicata dalla magistratura vaticana al porporato sardo, che dal canto suo vorrebbe parlare «il prima possibile» con i magistrati di tutto ciò che Francesco gli ha contestato nella drammatica udienza del 24 settembre scorso: «Spero che, se qualche avviso deve arrivare, arrivi presto, già in settimana, per poter dire tutto ciò che so in modo da potermi difendere, ne ho diritto», dice il cardinale. In effetti, già in conferenza stampa, il porporato, aveva invocato il diritto all'innocenza, parlando di possibili «manipolazioni» e di «equivoci» da chiarire, in particolare col Papa. Sullo sfondo rimane, però, l'identità della gola profonda, ma forse sono in due, che ha in qualche modo indirizzato le indagini degli investigatori papali sui flussi di denaro che da Roma hanno raggiunto la diocesi d'origine di Becciu, Ozieri, in Sardegna, per finanziare, con i soldi dell'Obolo di San Pietro, dei progetti benefici della cooperativa sociale del fratello del cardinale: i sospetti di tanti, fuori e dentro le stanze d'Oltretevere, ricadono su un laico già in servizio in Vaticano e che si occupava di questioni finanziarie e su un monsignore che attualmente risiede dentro le mura leonine. Nel mirino degli inquirenti ci sarebbero, oltre alle vicende legate alla cooperativa del fratello e all'affare del palazzo di lusso a Londra, anche altre operazioni, contatti con uomini d'affari di vari Paesi europei e altri finanziamenti a società umanitarie con sede all'estero. E poi c'è anche la partita che sta giocando il cardinale australiano George Pell che da Ministro delle Finanze del Vaticano, prima di far rientro in patria, nel 2017, per difendersi dalle accuse di pedofilia, aveva messo sotto la lente d'ingrandimento altre transazioni vaticane e aveva avuto degli scontri proprio con Becciu, tanto da aver sottoposto l'allora Sostituto della Segreteria di Stato ad una sorta di «interrogatorio» nel proprio ufficio e in presenza del suo segretario. Da uomo libero il «ranger» australiano ha riallacciato i rapporti col Papa che, subito dopo la scarcerazione gli ha chiesto di raggiungerlo a Roma per incontrarlo in udienza. Il faccia a faccia, secondo persone vicine al porporato, potrebbe avvenire già nel corso di questa cruciale settimana, con le sacre stanze sempre più in fibrillazione e un'atmosfera che sembra aver riportato il Vaticano ai tempi del primo Vatileaks; «si fa ormai la conta degli amici e dei nemici del Papa - sussurrano dalle logge - il pontificato sembra perder ancora pezzi». Il «licenziamento» del cardinale Becciu, in effetti, complica, ancor di più, la vita di Francesco, che va avanti per la sua strada fidandosi ormai soltanto di pochi intimi (per lo più gesuiti o vecchi amici cardinali) per fare le nomine e risolvere i problemi: da un lato la riforma della Curia che ancora non decolla, tra dicasteri da accorpare e altri porporati da salutare e dall'altro la diffidenza sempre più crescente dei fedeli, con relativo calo esponenziale delle offerte. Con questo nuovo scandalo che riguarda l'Obolo di San Pietro, a una settimana esatta dalla giornata della colletta, il prossimo 4 ottobre, le casse per la carità del Papa, questa volta, potrebbero soffrire più del solito.

Da huffingtonpost.it il 25 settembre 2020. “Mi sembra strano essere accusato di questo. Quei 100mila euro, è vero, li ho destinati alla Caritas. E’ nella discrezione del Sostituto destinare delle somme che sono in un fondo particolare destinato alla Caritas, a sostenere varie opere. In 7-8 anni non avevo mai fatto un’opera di sostegno per la Sardegna. So che nella mia diocesi c’è un’emergenza soprattutto per la disoccupazione, ho voluto destinare quei 100mila euro alla Caritas”, “quei soldi sono ancora lì, non so perché sono accusato di peculato”. Lo ha detto il card. Angelo Becciu spiegando che i soldi non sono transitati dalla Caritas alla cooperativa gestita dal fratello che collabora con la Caritas di Ozieri. “Rinnovo la mia fiducia al Santo Padre. Diventando cardinale ho promesso di dare la vita per la Chiesa e per il Papa. Oggi rinnovo la mia fiducia”, ha detto il card. Angelo Becciu parlando ai giornalisti. “E’ un pò strana la cosa, in altri momenti mi ero trovato per parlare di altre cose, non di me, mi sento un pò stralunato. Ieri fino all 6.02 mi sentivo amico del Papa, fedele esecutore del Papa. Poi il Papa dice che non ha più fiducia in me perché gli è venuta la segnalazione dei magistrati che io avrei commesso atti di peculato”, ha aggiunto.

Cardinale Becciu a Domani: “Ho dato 200 mila euro a mio fratello. Che male c’è?”. “Ho detto al papa: ma perché mi fai questo? Davanti a tutto il mondo poi? Mi ha detto che avrei dato soldi ai miei fratelli. Io non vedo reati, sono sicuro che la verità verrà fuori”. Così in una intervista a ‘Domani’ il cardinale Angelo Becciu, che ieri ha rassegnato a Papa Francesco le dimissioni da prefetto della Congregazione dei santi, in relazione all’inchiesta partita un anno fa dalla compravendita di un palazzo a Londra di proprietà della Segreteria di Stato. “Resto cardinale - spiega ancora - ma se c’è il conclave forse non posso entrare. Nel nostro incontro il Santo Padre mi ha spiegato che avrei favorito i miei fratelli e le loro aziende con i soldi della Segreteria di Stato, ma io posso spiegare. Reati di certo non ce ne sono”. Il cardinale Becciu non nega che una coop riconducibile al fratello Tonino venga finanziata con fondi Cei provenienti dall′8 per mille grazie a sua esplicita richiesta: “Confermo, anche perché è tutto rendicontato. Che male c’é?”.

Secondo gli investigatori altri 100 mila euro sarebbero arrivati alla cooperativa direttamente dai fondi della Segreteria di Stato: “Errato - risponde Becciu - io da sostituto non ho mai dato i denari alla cooperativa di mio fratello, ma alla Caritas di Ozimo. Ho appena chiamato il vescovo di Sassari che tra l’altro mi ha detto che quei soldi sono ancora in cassa in diocesi”. “Come sostituto - prosegue il cardinale - avevo a disposizione un fondo con cui, senza dover rendere conto a nessuno, potevo aiutare vari enti e associazioni caritatevoli. Perché non dovrei dare una mano anche alle Caritas sarde come quella di Ozieri?”. C’è anche una srl specializzata in porte e finestre riconducibile a un altro fratello Becciu che avrebbe ottenuto, spiega il quotidiano, commesse rilevanti grazie ai buoni uffici del parente, denaro proveniente dalle nunziature e dunque dalla Segreteria di Stato: “Vero - conferma Becciu - il nunzio in Egitto conosceva mio fratello, e così lui ha fatto lavori per circa 140 mila euro per cambiare gli infissi della sede, ma anche qui francamente non vedo il reato”.

Becciu stesso però avrebbe comprato gli infissi del fratello per ammodernare la nunziatura di Cuba, dove era assegnato tra il 2009 e il 2011, scrive "Domani": “Ma scusi non conoscevo nessun altro - dice al quotidiano - era ovvio usassi la ditta di mio fratello. Poi i lavori non li ho nemmeno terminati io, ma il nunzio che mi è succeduto. Che è stato talmente contento del servizio che, quando è stato spedito nella nunziatura egiziana, lo ha richiamato”. Becciu afferma oggi di non aver “rubato un euro. Non so se sono indagato, ma se mi mandano a processo mi difenderò”.

Maria Antonietta Calabrò per huffingtonpost.it il 26 settembre 2020. “È solo l’inizio”. Questo si sussurra Oltretevere. Cioè le clamorose dimissioni del cardinale Angelo Becciu, non sono affatto l’epilogo di indagini che in Vaticano proseguono da oltre un anno (luglio 2019). Il Papa è abbastanza provato dalla vicenda. Con Becciu ha vissuto ben 5 anni di coabitazione nel ruolo di sostituto della Segreteria di Stato, un po’ il capo di gabinetto del suo governo. Lo ha nominato cardinale nel 2018 affidandogli l’importante dicastero delle Cause dei Santi (che ora ha dovuto lasciare). Ma Francesco ha preso la sua decisione e non molla. Altre teste rotoleranno. Al di là del caso specifico, il Papa non se lo può proprio permettere, ne va dell’eredità del suo pontificato. E della credibilità della Santa Sede. La settimana prossima, il 29 settembre - proprio mentre sarà a Roma il segretario di Stato americano Mike Pompeo - arriveranno in Vaticano gli ispettori del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa per una cosiddetta “visita on site” di controllo sull’adempimento degli standard finanziari internazionali, a cominciare da quelli antiriciclaggio. Non sarà una passeggiata. L’ispezione (la seconda dopo quella della prima del 2012, che fece superare alla Santa Sede gli esami dopo gli scandali dello IOR, anche se con alcuni punti da implementare) inizierà il 30 settembre e durerà fino al 13 ottobre. Due settimane in cui le strutture vaticane e il loro modus operandi saranno passate sotto la lente. E con uno scandalo di tali proporzioni in corso di accertamento (come quello del palazzo di Londra e le altre magagne emerse) potrebbe essere non facile. L’esito degli accertamenti potrebbe essere l’ultimo ‘voto’ degli ispettori per far sì che il Vaticano sbarchi nella cosiddetta ‘white list’, l’elenco dei Paesi virtuosi per la gestione dei bilanci, la lotta alla corruzione e al riciclaggio. Carmelo Barbagallo (ex Bankitalia, nominato capo dell’Autorità finanziaria dopo l’esplosione dello scandalo del palazzo di Londra acquistato sotto la gestione Becciu-Parolin) a luglio 2020, presentando il Rapporto annuale dell’Autorità aveva affermato che per “il Vaticano è cruciale arrivare all’appuntamento con gli ispettori preparati”. Cruciale, appunto. In una conferenza stampa lampo convocata nella mattinata di oggi, a inviti (e dove tutte le regole anti-Covid sono saltate), Becciu ha rivelato che il Papa gli avrebbe detto che i magistrati vaticani avevano sollevato contro di lui accuse di peculato (per i fondi con cui sarebbero stati favori i suoi fratelli, accusa respinta al mittente sia da Becciu che dai suoi familiari). Accuse basate su un corposo rapporto della Guardia di finanza italiana delegata per le indagini richieste da una rogatoria vaticana. Prima si è parlato di un importo di 100 mila euro proveniente dall’Obolo di San Pietro e 200 mila dalla Conferenza episcopale italiana. Ma già oggi si è scritto di 700 mila euro. Becciu, oltre a respingere le accuse, si è detto pronto a essere ascoltato dai magistrati vaticani, di non temere l’arresto, ma ha anche parlato del suo rapporto con il Papa. E questo è interessante. “Soffriva a dirmelo, poverino”. Quanto al palazzo di Londra, ”il Papa mi ha sempre dato fiducia, dicendomi che non ha mai pensato che io abbia approfittato”. “Mi ha detto di restare nel mio appartamento in Vaticano, per il tanto bene che ho fatto”. Ma soprattutto: “Spero che il Papa non si stia facendo manovrare”. Da chi? Al vertice del Tribunale c’è l’ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, all’AIF, c’è appunto Barbagallo. Su un’altra - delicata -  questione ha parlato invece l’avvocato della famiglia Becciu, Ivano Iai, ha poi sottolineato un altro fatto che ha dato l’impressione di una guerra per bande: “Mi ha molto colpito l’irridente spettacolo di congratulazioni al Pontefice da parte del cardinale Pell che ha detto che è contento che Becciu sia stato cacciato. Non poteva esimersi dall’intervenire ancorché assolto?”. In effetti Pell ha diramato un comunicato attraverso la sua portavoce per spingere Francesco a pulire le finanze vaticane, perché questo era il compito che gli era stato affidato dal Conclave. Il fatto è che la storia del palazzo di Londra è durata troppi anni, essendo iniziata nel 2012, dopo lo scoppio dello scandalo del Monte dei Paschi di Siena. E non è una storia che si può chiudere con un’accusa laterale per peculato. C’è infine un’ultima sottolineatura. Becciu resta cardinale ma ha perso i diritti connessi al fatto di esserlo (primo tra tutti quello di entrare in Conclave). Ma, come si sottolinea in Vaticano, mantiene i doveri che lo legano al Papa. Da questo punto di vista, dovrà  conservare il segreto su tutte le numerose vicende di cui è stato testimone.

Il cardinale tiene famiglia. Roberto Marino il 27 settembre 2020 su Il Quotidiano del Sud. Chiede sempre di pregare per lui, i fedeli che lo ascoltano non si rendono conto del motivo di questa insistenza. Forse non lo sapremo mai. Papa Francesco vive anni di grande amarezza, non tanto e non solo per quello che accade nel mondo: la fuga dalle parrocchie, la crisi delle vocazioni, il laicismo imperante; il vero inferno lo affronta dentro le mura discrete del Vaticano, dove imperversa una lotta di poteri contrapposti che va oltre l’immaginazione degli autori delle serie televisive. La vicenda del cardinale Giovanni Angelo Becciu, i settecentomila euro sottratti dalle casse dell’obolo di San Pietro, soldi della generosità delle elemosine, ha creato uno scandalo mondiale. Uno shock per il Pontefice, costretto a licenziare di fatto l’alto prelato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. I soldi sua eminenza Becciu li ha trasferiti a società cooperative gestite dai fratelli, quelli della sua famiglia, non quelli in senso cristiano e apostolico. Papa Francesco, dicono i beni informati, sta vivendo la cosa con grande angoscia, perché ogni giorno c’è una rogna e quando non sono i preti pedofili, spuntano i maneggioni delle rendite, gli imbroglioni, i traffichini dei fondi di investimento. Roba da giudizio universale, tutto a scapito di una credibilità che va a farsi benedire. Anche i cardinali hanno famiglia, pure se la regola del celibato esiste da secoli proprio per evitare tentazioni simili. La storia ricorda per certi versi il prelato Alberto Sordi, rimasto bloccato in ascensore con la conturbante e fragile Stefania Sandrelli. Quell’intimità controversa: da un certo punto di vista è successo tutto, da un altro nulla. Così don Albertone cercherà di spiegare, dopo aver goduto delle grazie della fanciulla, i motivi per i quali la regola della castità non era stata infranta. La carne è debole e a ferragosto chiusi in uno spazio ristretto, con il libero arbitrio condizionato dalla situazione, è facile cadere nella tentazione e nel peccato. Quelle strane occasioni, recitava il titolo del film. L’occasione fa l’uomo ladro, dice da secoli la saggezza popolare. E se l’abito non fa il monaco, figuriamoci i soldi.

Becciu, parla il fratello Mario: "Ma vi pare che un cardinale possa occuparsi della mia birra?" Viola Giannoli La Repubblica il 25 settembre 2020. Settecentomila euro destinati alla carità del Papa finiti in operazioni che avrebbero avvantaggiato i fratelli. Sarebbe questa la contestazione che lo stesso Francesco avrebbe fatto all'ex numero due della Segreteria di Stato vaticana, monsignor Angelo Becciu, che ieri ha rimesso nelle mani di Bergoglio il suo incarico alla Congregazione delle cause dei Santi, rinunciando ai diritti da cardinale. In particolare al centro della discussione con il pontefice ci sarebbe stata l'erogazione di un contributo straordinario di centomila euro - provenienti dai "soldi per i poveri" del Papa, l'Obolo di San Pietro - per sostenere le attività caritative della Caritas di Ozieri che sarebbero alla fine state destinate non alla Caritas ma al suo braccio operativo, la cooperativa sociale Spes di cui il fratello di Becciu, Antonino, è presidente. All'ex prefetto della Congregazione delle cause dei Santi il Papa avrebbe contestato anche altri due contributi da 300mila euro ciascuno elargiti direttamente alla Spes, in seguito a presunte pressioni di Becciu sui vertici della Cei. Analoghe presunte pressioni l'ex numero due della Segreteria di Stato avrebbe effettuato per favorire la sottoscrizione della partnership tra la Caritas di Roma e la società Angel's Srl di cui è amministratore il fratello Mario. Infine, sotto la lente di Bergoglio, ci sarebbero le commesse affidate alla falegnameria di un altro fratello del cardinale, Francesco, da una serie di Nunziature, tra cui quella dell'Angola - dove lo stesso Becciu è stato nunzio a lungo - per una cifra complessiva di 80mila euro, e quella di Cuba, per circa 15mila euro.

La replica della famiglia Becciu. In una nota congiunta della famiglia Becciu firmata dall'avvocato di Sassari Ivano Iai, si legge che "le notizie riportate sono destituite di fondamento e malevolmente false, in particolare per i riferimenti, fantasiosi e indimostrabili, a presunte erogazioni provenienti dall'Obolo di San Pietro e dirette a membri della famiglia del Cardinale, ovvero a enti privati riconducibili a taluni di essi". In particolare, secondo la lettera dell'avvocato, "quanto al signor Tonino Becciu, legale rappresentate della Cooperativa sociale Spes, alcuna somma è stata mai erogata direttamente alla onlus da egli diretta". "I contributi provenienti dalla Cei risultano deliberati ed erogati in piena trasparenza come interventi di sostegno ad attività solidali finalizzate a gratificare la persona umana con il lavoro garantito a ben sessanta famiglie grazie alla collaborazione operativa della onlus Spes". Nello specifico "il contributo di 100mila euro, risalente al 2017 e proveniente dalla Segreteria di stato vaticana, non risulta essere mai stato né diretto né percepito dalla Cooperativa Spes, ma esclusivamente dalla Caritas diocesana, che ancora ne è depositaria in specifico contro corrente" per una "cittadella della solidarietà. Quanto al professor Mario Becciu, titolare di un'azienda che produce birra artigianale, viene smentita qualsiasi erogazione di somme. "La Angel's ha percepito un finanziamento nella totale trasparenza dell'operazione da parte di un investitore estero" la cui identità viene però taciuta per "ragioni di riservatezza contrattuale". Non ci sarebbe stato nemmeno alcun "istituto di culto né altri enti riconducibili alla Santa Sede o alla Chiesa cattolica" che ha intrattenuto operazioni commerciali con la società o il prof. Francesco Becciu, invece, "sarebbe solo stato chiamato nel corso del tempo e grazie alla sua perizia ed esperienza professionale ad eseguire alcuni interventi di falegnameria per conto di enti ecclesiastici non riconducibili al cardinale".

Becciu, parla il fratello Mario: "Ma vi pare che un cardinale possa occuparsi della mia birra?" Pubblicato venerdì, 25 settembre 2020 da Viola Giannoli su La Repubblica.it. Mario Becciu bolla come "falsità" le rivelazioni dell'Espresso sul fratello Giovanni Angelo, che si è dimesso dall'incarico di Prefetto della Congregazione delle cause dei Santi e ha rinunciato al cardinalato. Mario Becciu, professore di Psicologia all'Università Pontificia Salesiana, risponde al telefono a metà mattinata. E nega con forza che alcune operazioni della società di cui è rappresentante legale e socio di maggioranza, la Angel's Srl, siano state favorite dal porporato.

Professore, è vero che suo fratello l'ha aiutata a produrre e commercializzare la "Birra Pollicina"? 

"È tutto completamente falso, sono stati messi insieme pezzi che non c'entrano nulla". 

Suo fratello non è intervenuto per stringere accordi con enti ecclesiastici o religiosi per l'acquisto della birra? 

"Assolutamente no. Non è mai entrato in questa vicenda. Vi pare che un cardinale possa occuparsi della mia birra? E vi pare che il fratello di un cardinale non possa portare avanti autonomamente una sua attività?".

Quando e come ha iniziato a produrre la Birra Pollicina? 

"La produzione è iniziata a dicembre del 2019, ma per farla fermentare decentemente abbiamo dovuto attendere marzo del 2020". 

Come mai è quasi introvabile nei negozi al dettaglio di birra artigianale? 

"A marzo è iniziato il lockdown che ha di fatto interrotto la commercializzazione". 

Ma parte della Birra Pollicina è stata venduta. A chi? 

"Non l'abbiamo venduta a nessuno, se non a poche persone di nostra conoscenza. E' stata una piccola produzione per conto terzi". 

Per chi? 

"Amici. E poi abbiamo stretto un accordo con la Caritas di Roma. Una piccola parte degli utili viene donato alla Fondazione, il resto va alla società". 

Proprio questi accordi, però, insieme ai finanziamenti alla Angel's srl, sono finiti sotto la lente degli inquirenti. 

"La mia società smentirà tutto anche con comunicati ufficiali e querele. Ho subito un danno e mi devo tutelare". 

Il cardinale Becciu sarebbe estraneo anche alle vicende che riguardano la Spes, la cooperativa di Ozieri in provincia di Sassari gestita da un altro vostro fratello, Tonino, a cui sarebbero andati fondi vaticani? 

"Non c'è nulla di quel che è stato scritto. Siamo cinque fratelli, ma ognuno lavora in autonomia". 

Ha sentito suo fratello Angelo, il cardinale, dopo le dimissioni? 

"Siamo in un momento delicato. È molto molto dispiaciuto e sorpreso. Ma è anche sereno perché è sicuro che potrà spiegare tutto".

Intervista al fratello di Becciu: “La mia birra con i fondi del petroliere angolano, ma Angelo non c’entra nulla”. Viola Giannoli su La Repubblica il 27 settembre 2020. Mario Becciu insegna psicologia all’Università Salesiana, ma è anche produttore della Birra Pollicina: "Non posso, come fratello di un cardinale, realizzare i progetti ai quali tengo?"

"È di una violenza inaudita dover giustificare scelte personali e professionali per difendere me e mio fratello. Trova corretto che un cittadino onesto si debba mettere a nudo per smontare un'assurda macchinazione ordita contro di noi?".

Professor Mario Becciu, lei però insegna psicologia all'Università Salesiana: cosa c'entra la "Birra Pollicina" con il suo lavoro?

"Ho una vita autonoma. Non posso, come fratello di un cardinale, realizzare i progetti ai quali tengo? La mia iniziativa, inoltre, ha anche uno scopo psicosociale legato all'inclusione e alla formazione professionale di soggetti autistici nella filiera della birra".

Come mai la birra è stata prodotta grazie al finanziamento di un petroliere angolano, Antonio Mosquito, amico di suo fratello?

"Il signor Mosquito ha apprezzato il mio progetto per quanto riguarda la produzione e la vendita della birra e ha deciso di parteciparvi con un finanziamento da 1 milione e 500 mila euro. Abbiamo stipulato un contratto regolare che prevede la restituzione dei fondi. Attualmente, sono stati versati sul conto corrente della Società 800 mila euro".

Ma lei come lo ha conosciuto?

"È solito venire a Roma, dove ha molti amici, tra questi mio fratello. Anche tra noi è nato un rapporto di amicizia e, insieme, siamo arrivati all'accordo sul progetto della birra".

Nel 2013 il cardinal Becciu voleva partecipare con 250 milioni a un'operazione per lo sfruttamento petrolifero di un giacimento in Angola propostagli da Mosquito. Non è curioso che ora lei sia in affari con lo stesso petroliere?

"Allora la richiesta arrivò dall'imprenditore a mio fratello, non il contrario, e non fu accolta dalla commissione di esperti che ritenne non vantaggioso l'investimento. Mio fratello non si lasciò influenzare dall'amicizia, anzi seguì il consiglio degli esperti. Non essendoci nulla di nascosto o torbido, non ho mai considerato l'accordo con Mosquito non opportuno. Anzi, ne ero contento perché il progetto al quale lavoravo da tanto poteva avviarsi. Lungi da me l'idea che questo avrebbe potuto mettere un giorno in difficoltà mio fratello, come sta avvenendo per malevoli interpretazioni dei fatti".

Nell'accordo tra lei e Mosquito suo fratello è mai intervenuto?

"Assolutamente no, lo hanno predisposto i suoi legali con quelli della mia società".

Ci sono altri finanziatori della società?

"Il 5% è detenuto da mio figlio Francesco. Sto lavorando anche con consulenti per finanziamenti tramite bandi pubblici".

La Angel's è una piccola azienda ma tra il dicembre 2018 e l'ottobre 2019 ha avuto ricavi per 36 mila euro. Da dove derivano?

"Lavoriamo con agenti di commercio nella distribuzione di birre italiane, estere e di tanti altri prodotti".

Avete un accordo con la Caritas per usarne il marchio in cambio di una donazione del 5% dei ricavi. È stato suo fratello ad agevolare l'accordo?

"Mio fratello non ne sapeva nulla fino a tre giorni fa. Posso lavorare con la Caritas perché sono un apprezzato professionista che collabora da anni con loro e non perché fratello di un cardinale? Tra l'altro il contratto non è ancora attivo perché i fusti a causa del Covid sono in giacenza".

Perché la Angel's si chiama così? Un tributo a suo fratello?

"No, quando ho saputo di poter procedere ero al Golfo degli Angeli a Cagliari. Così è nata l'ispirazione".

Estratto dell'articolo di Giuliano Foschini per “la Repubblica” il 28 settembre 2020. Sono sette, compreso l'ormai ex cardinale, Angelo Becciu. Sono accusati, a vario titolo, di peculato, abuso di autorità e corruzione. E presto finiranno a processo. Il Vaticano ha deciso di accelerare nel procedimento sulla gestione dei fondi dell'Obolo di San Pietro che parte dall'acquisto spregiudicato tra il 2013 e il 2018 di un palazzo nel centro di Londra, con un investimento di circa 300 milioni. Il palazzo a Kensington, al 60 di Sloane Avenue, era la parte più importante di un investimento più complesso, con capitali che la Santa Sede aveva in conti svizzeri: un investimento, quello londinese, che si è rivelato svantaggioso per il Vaticano ma che ha permesso al finanziere Raffaele Mincione e al broker Gianluigi Torzi di intascare 16 e 10 milioni come commissioni per la transazione. […] Il broker Torzi, che era stato fermato dalla Gendarmeria Vaticana, ha collaborato alle indagini. […] Gli altri sei sotto accusa - tutti già sospesi dal Papa - sono monsignor Alberto Perlasca, già capo dell'ufficio che gestisce l'Obolo di San Pietro, monsignor Maurizio Carlino, capo dell'Ufficio informazione e Documentazione; due dirigenti della Segreteria di Stato, Vincenzo Mauriello e Fabrizio Tirabassi; il direttore dell'Aif (l'Autorità di informazione finanziaria) Tommaso Di Ruzza e un'addetta all'amministrazione, Caterina Sansone. Chi conosce il dossier parla di «fatti purtroppo chiari» e «assai documentati». […]

(ANSA il 29 settembre 2020) - Non ci sarebbe solo il palazzo di Sloane Avenue, ma la Segreteria di Stato vaticana avrebbe investito altri 100 milioni di sterline in appartamenti di lusso a Londra. Lo scrive il Financial Times chiamando in causa il ruolo, in questi investimenti, del cardinale Angelo Becciu, all'epoca dei fatti Sostituto. Si tratterebbe di "un portafoglio di appartamenti di altissimo livello a Cadogan Square e dintorni, a Knightsbridge, uno degli indirizzi residenziali più costosi di Londra". "I nuovi documenti, che non configurerebbero alcun illecito - precisa il giornale della City -, gettano ulteriore luce sulle attività finanziarie della Segreteria di Stato".

A.Dar. per “la Verità” il 26 settembre 2020. Gran parte dell'inchiesta che ha portato alle dimissioni del cardinale Angelo Becciu ruota intorno alla gestione dei soldi della segreteria di Stato dal 2011 al 2018. Seguendo i flussi di denaro Alessandro Diddi e Gian Piero Milano, i due promotori che si stanno occupando dell'indagine, scoprirono che 50 milioni di euro erano finiti nel fondo Centurion Global Fund, con sede a Malta, gestito dal finanziere Enrico Crasso, 71 anni, con residenza in Svizzera. Parte di queste risorse fanno parte dell'Obolo di San Pietro, ovvero soldi in teoria destinati ai poveri o spesso ai missionari che vivono in zone di guerra. È un pacchetto di denaro su cui papa Francesco vuole la massima attenzione, anche per evitare troppa pubblicità. Proprio Becciu avrebbe deciso all'epoca di mettere i 50 milioni nel fondo Centurion, anche grazie al rapporto di fiducia con Crasso. Ed è proprio sul rapporto tra i due, il finanziere svizzero e il cardinale, che si incentra la maggior parte delle indagini, che vogliono approfondire anche possibili spostamenti di denaro in paradisi fiscali. Perché proprio su questo asse si sarebbero sviluppati sia l'affare dell'immobile di Londra da 350 milioni di euro sia molti altri simili. Tra questi ci sarebbe anche quello del possibile investimento da 200 milioni di euro in una piattaforma petrolifera in Angola. Anche in questo caso Becciu si sarebbe rivolto a Crasso, che all'epoca era in Credit Suisse. Del resto Crasso è stato per anni il gestore delle finanze della segreteria di Stato vaticana. Sin dal 1993, come ieri ha precisato all'Adnkronos, «Ho avuto l'onore di gestire la Segreteria di Stato dal 9 marzo 1993. Sono cambiati quattro sostituti per gli Affari generali e tutti hanno apprezzato il lavoro svolto». E soprattutto spiega di non «aver mai gestito da solo le finanze vaticane» e di non «aver mai gestito fondi con sede in Paesi in black list». Ora è accusato di estorsione in concorso con il broker Gianluigi Torzi e con Fabio Tirabassi, responsabile dell'ufficio amministrativo della segreteria di Stato. A giugno, dopo l'arresto di Torzi, aveva assicurato di offrire massima collaborazione agli inquirenti, «fiducioso della correttezza» del suo operato. Crasso non è un uomo qualunque nella finanza. Gestisce da anni pacchetti di miliardi di euro. Aveva iniziato negli anni Settanta come responsabile di filiale del vecchio credito italiano, poi dopo un'esperienza in Barclays e in banca Generali c'è stato il salto in Credit Suisse. Da lì si sono aperte le porte del private equity. Sta di fatto che mentre da un lato Becciu scalava le porte di San Pietro fino a diventare cardinale, dall'altro Crasso iniziava a fare carriera. Dopo gli anni in Credit Suisse entra in Azimut, gruppo che nel solo 2019 ha avuto utili per 370 milioni di euro. Crasso è nella divisione svizzera, la Az Swiss. Nel frattempo ha creato nel 2014 una società, la Sogenel, che nel 2016 sarà rilevata proprio dalla Az Swiss, sempre per la gestione di patrimoni e fondi. Sogenel nel solo 2015 gestiva masse per circa 591 milioni di euro, prevalentemente per clienti istituzionali. Ma Crasso non si ferma qui. E stringe accordi anche con Italian Indipendent di Lapo Elkann, rampollo degli Agnelli. È tramite il fondo Centurion, dove sono depositati i 50 milioni di euro dell'Obolo di San Pietro, che avviene la ricapitalizzazione della società che produce occhiali da sole di Elkann. L'investimento è di 6 milioni di euro, per una quota del 25% della società. Proprio nell'aprile 2019 Crasso entra anche nel board di Italian Indipendent. Ma non finisce qui. Perché Centurion si allarga anche a investimenti da 10 milioni di euro con Enrico Preziosi della Giochi Preziosi e arriva a finanziare due film, Men in Black: International e Rocketman, la biografia di Elton John. In Vaticano sospettano che parte dei soldi che Francesco voleva per i missionari abbia preso altre strade.

Carlo Cambi per “la Verità” il 26 settembre 2020. Dicono che da due giorni non faccia altro che passeggiare su e giù nel suo lussuoso e vasto appartamento al piano nobile del Sant' Uffizio. Medita sulla sventura, ma forse anche la rivincita attraverso l'Ordine di Malta. Tolto lui, tra i Cavalieri rischia di scoppiare una «guerra» che indebolisce le finanze e il prestigio del Papa. Va su e giù negli oltre 300 metri quadrati con tutti i comfort, compresa una cucina iperattrezzata con tanto di cappa aspirante tecnologica che non manda fumi all'esterno, accudita da due suore «domestiche». I maligni dicono che la cappa serve a evitare che si confonda il fumo della cottura dell'agnello - uno dei piatti preferiti da sua eminenza, che mai ha dimenticato la sua Sardegna, tanto da averla beneficata con 100.000 euro spediti alla Caritas a Ozieri, dove guardacaso si fanno i sospiri - con la fumata del Conclave, cui Angelo Maria Becciu, per volere del Papa, non potrà più partecipare, ma da cui sperava un giorno di uscire successore di Pietro. Il «licenziamento» di giovedì è stato per Becciu - intimo di Bergoglio - inspiegabile. Giovedì il cardinale di Pattada si è presentato da Bergoglio con la solita lista di santi e beati da promuovere. Lui è prefetto (ora emerito) della Congregazione delle cause dei santi. Ma, finito di leggere, il Papa lo ha stoppato e gli ha detto: da ora non sei più cardinale. Proprio mentre stava per cominciare l'ennesima riunione ristretta con il segretario di Stato, Piero Parolin, il gesuita che tiene i conti del Vaticano, padre Jorge Guerrero Alves, Fabio Gasperini il segretario dell'Apsa, che è la banca centrale del Papa, e monsignor Nunzio Galantino, che dell'Apsa è presidente. Questo conclave si tiene da mesi tutte le settimane per cercare di mettere una toppa al buco milionario londinese. Le dimissioni «spintanee» del porporato sardo aprono un'altra voragine in Vaticano: sia diplomatica che finanziaria. Francesco, nel 2017, per fare fuori del tutto il cardinale americano tradizionalista Raymond Leo Burke lo sollevò dall'incarico come padre spirituale dello Smom e ci ha spedì Becciu. Lo scopo? Riportare il sovrano Ordine di Malta alla totale obbedienza al Vaticano, cercando anche di non perderne la potenza finanziaria. Nel sovrano Ordine di Malta è in corso da anni una «guerra» tra la frazione franco-tedesca, guidata dal Cancelliere dell'Ordine, il barone tedesco Arbrecht Freiherr von Boeselager, che da 40 anni è al comando della burocrazia dello Stato che ha sede in via dei Condotti a Roma, e l'anima americana anglosassone. Fu proprio Boeselager a perorare l'uscita di scena del precedente Gran Maestro, il britannico Matthew Festing, che dovette dare le dimissioni durante un'udienza con Bergoglio, perché aveva osato espellere Boeselager dal «governo». Ma Boeselager restò cancelliere, i Cavalieri scelsero come Gran Maestro il nobile italiano Fra' Giacomo Dalla Torre, che con la nuova costituzione voleva rinsaldare i legami con il Vaticano. Ma Dalla Torre è scomparso in aprile senza aver compiuto l'opera. E la guerra tra i tedeschi che vogliono totale autonomia dalla Chiesa, desiderano una gestione del tutto staccata delle finanze dal rapporto con il Vaticano, in linea sostanzialmente con la nuova teologia della chiesa nazionale voluta dal cardinale bavarese Marx (che strizza l'occhio anche alla pastorale Lgbt e la parte più tradizionalista è riesplosa più forte. Toccava ad Angelo Becciu fermarla e infatti il cardinale sardo alle lettere di Boeselager, che cercava di convocare per novembre a Roma un capitolo generale per eleggere finalmente il successore di Dalla Torre, ha opposto il fatto che toccava a lui gestire la transizione al governo dell'Ordine - ora è retto ad interim dal portoghese Fra' Ruy Gonçalo do Valle Peixoto de Villas Boas - e portare all'approvazione della nuova costituzione. L'improvvisa perdita della berretta cardinalizia apre una crisi anche in via dei Condotti. A questo punto sono possibili due scenari: o Bergoglio ha già in mente un nuovo Gran Maestro, oppure la fazione tedesca della Chiesa è ormai la vera forza. Significherebbe che il cardinale Reinhard Marx - peraltro intimo dell'Elemosiniere del Papa, Konrad Krajewski che molti vogliono successore in pectore di Bergoglio per le sue idee progressiste - ha vinto e il nuovo Gran Maestro deve essere un tedesco fedele alla nuova linea. Il segno della vittoria? Il siluramento di Angelo Becciu.

LA DIFESA DELL’EX CARDINALE. Becciu: «Trattato come un pedofilo, papa Francesco mi ha già condannato». Il prelato sotto accusa: non posso vivere con l’infamia, chiedo un processo. Spero ancora che il Santo Padre di ripensi, ma se non succederà tornerò a fare il prete. Si dica che ho sbagliato, che non dovevo favorire mio fratello: ma non ho compiuto reati. Massimo Franco su Il Corriere della Sera il 27 settembre 2020. «Mi sono convinto che sia tutta una bufala. E più ripenso alle accuse che mi sono state rivolte, meno capisco dove ho sbagliato. E, se ho sbagliato, quale sarebbe la gravità dei fatti tale da giustificare il provvedimento preso nei miei confronti dal Santo Padre. Sono stato trattato come il peggiore dei pedofili, messo alla gogna mediatica in tutto il mondo. A questo punto non so neanche se la magistratura vaticana mi convocherà per processarmi: il Papa mi ha già condannato, senza che potessi difendermi. E il marchio di infamia mi rimarrà addosso…».

Chi ha avuto modo di incontrare l’ex cardinale Giovanni Angelo Becciu nelle ultime ore lo ha trovato provato, perfino scosso, ma non ancora rassegnato: al punto che avrebbe deciso di mandare una lettera a Francesco, chiedendogli di ripensarci.

«Spero ancora che lo faccia. In molti casi ho potuto notare la sua umiltà nel capire un errore», avrebbe anticipato. «Ma se non succederà, non alimenterò guerre: chiederò solo di essere mandato a processo. Non posso vivere sotto la cappa di una condanna preventiva…».

Difficile capire che cosa significhi per uno degli uomini più potenti, temuti e forse odiati della cerchia bergogliana, precipitare in venti minuti dal dicastero che decide le cause dei Santi allo status di ex cardinale, colpito dall’anatema papale. Della sua condizione di «prima», racconta chi lo frequenta, rimane solo il grande appartamento nel palazzo dell’ex Sant’Uffizio, coi divani rossi arabescati da disegni dorati, le icone appese alle pareti, i corridoi di marmo e le suorine silenziose: l’unico privilegio lasciatogli dal pontefice dopo il rapido e inappellabile siluramento di tre giorni fa. Ma oggi probabilmente quelle camere gli debbono sembrare non più a un centinaio di metri da Casa Santa Marta, la residenza di Francesco: gli appaiono lontane decine, centinaia di chilometri dalla corte papale e dal potere che monsignor Becciu ha incarnato per anni. E adesso, nonostante i messaggi di solidarietà che riceverebbe, almeno secondo chi racconta la sua verità, il futuro per lui è impastato di incertezza e di incubi. L’ex cardinale sa che essere additati dal Papa come è successo a lui, e privati di «diritti e doveri del cardinalato», significa molte altre cose. A chi ha raccolto le sue confidenze avrebbe detto di temere che scatti «il meccanismo dell’isolamento: quello che ti fa apparire un lebbroso» da tenere a distanza nella piccola e nevrotizzata comunità vaticana. E, benché continui a ripetere di essere «della scuola antica, per la quale il Papa si serve, non si commenta né si critica», fin dalla conferenza stampa organizzata venerdì si è capito che è combattuto: diviso tra l’obbligo di chinare la testa e la tentazione di attaccare; tra l’idea di tacere e l’istinto di chi, colpito in modo inaspettato, si spiega il crollo pensando a un Papa «manipolato». «Mi si dica che ho sbagliato, che non dovevo favorire mio fratello e la cooperativa. Ma da qui ad attribuirmi un reato e trattarmi in quel modo!», ripete agli ecclesiastici che lo chiamano, stupiti e disorientati quanto e più di lui. «In fondo ho distribuito dei soldi alla Caritas, perché come Sostituto alla segreteria di Stato avevo poteri discrezionali per farlo. E il fatto di averli dati a una cooperativa diretta da mio fratello sarà pure stato un errore, ma è servito a favorire un progetto della Diocesi, a dare lavoro a sessanta famiglie sarde». Da quello che ha confidato alle poche persone in contatto con lui ieri, il blitz papale sarebbe stato deciso senza avvisare neanche il segretario di Stato vaticano, il cardinale Piero Parolin, che lo avrebbe saputo dalla televisione. E dunque, il suo rovello continua a essere chi, al di là delle carte della magistratura italiana, abbia architettato quello che per la sua mentalità e conoscenza delle cose vaticane odora di resa dei conti. Le congratulazioni al Papa arrivate subito dal cardinale George Pell, ex prefetto dell’Economia e avversario di Becciu, hanno riaperto vecchie ferite. Eppure, viene da chiedersi se il trattamento subito ora dal potente ex «ministro dell’Interno» di Francesco non riporti anche a quelli subiti in passato, per mano sua, da altri personaggi. Si pensi allo scontro con Pell, chiamato da Francesco a ripulire le finanze vaticane e finito nel tritacarne di un processo per pedofilia in Australia. Quel processo si è concluso con l’assoluzione piena e dubbi inquietanti su un possibile «zampino» dei suoi nemici in Vaticano per inguaiarlo. Oppure al braccio operativo di Pell, il supervisore Libero Milone, costretto a dimettersi per evitare l’arresto, sempre nel 2017. Quando una persona gliel’ha chiesto, Becciu si sarebbe difeso precisando di essere stato sempre e solo «un esecutore della volontà papale». Su Milone, sarebbe stato Francesco a dirgli di chiamarlo e farlo dimettere, ritenendo che avesse esagerato nell’esercizio delle sue funzioni di controllo. Quanto a Pell, Becciu ricorda sempre, a sentire i suoi confidenti, che quando andò in Australia gli scrisse un biglietto per dirgli che «nonostante le nostre contrapposizioni professionali», era dispiaciuto e pregava perché fosse riconosciuta la sua innocenza. Ora, ad essere nella condizioni del sospettato è lui. Anzi, di quello «già condannato; e proprio dal Papa, dal quale fino alle 18.02 del 24 settembre ero considerato un collaboratore fedele, venti minuti dopo un delinquente…», ripeterebbe, incredulo e scosso, nonostante sia famoso per l’autocontrollo. «Mi chiedo quale sia il vero motivo di tutto questo», si tormenta senza darsi una risposta. Da giorni avrebbe cominciato a esprimere dubbi crescenti anche sul modo in cui si muove la giustizia vaticana. Da quanto avrebbe appurato, non si sa nemmeno più se sarà mai possibile un processo contro i mediatori d’affari sospettati per lo scandalo del palazzo londinese di Sloane Avenue: una brutta storia che di nuovo rimanda all’utilizzo anche dell’Obolo di San Pietro. Le indagini sarebbero a un punto morto. Per il resto, spera ancora, disperatamente, in Francesco. «Altrimenti», si sarebbe sfogato, «mi troverò una parrocchietta. In fondo, sono ancora almeno un sacerdote».

Franca Giansoldati per “il Messaggero” il 29 settembre 2020. «Voglio proprio togliermi la soddisfazione di guardare Papa Francesco negli occhi». George Pell, il cardinale che voleva ripulire «le stalle vaticane» dalle incrostazioni e dalle gestioni personalistiche quando era zar dell' Economia - prima di finire davanti alla corte australiana con l' accusa di pedofilia uscendone poi assolto - è pronto a farsi 32 ore di volo per arrivare a Roma. E' stato convocato nei prossimi giorni dal Papa. Sarà un viaggio singolare considerando che Francesco sulle riforme finanziarie non volle ascoltarlo e che durante la sua permanenza in carcere, in Australia, nemmeno si fece mai vivo. Il suo arrivo a Santa Marta è da collegare all' inchiesta sul Palazzo di Londra e al riordino delle finanze richiesto dalla maggior parte dei cardinali elettori all' inizio del pontificato per portare nel sistema economico d'Oltretevere i criteri di trasparenza adottati dagli stati europei. Qualcosa, però, ad un certo punto si deve essere inceppato visto che ora nemmeno il bilancio viene più mostrato in chiaro, voce per voce. La mancanza di trasparenza ha portato il Comitato di Moneyval a richiedere una ispezione. Da domani per due settimane una delegazione passerà a setaccio l' amministrazione d'Oltretevere al fine di capire se la Santa Sede si è adeguata agli standard internazionali e può essere mantenuta nell' elenco white-list. L'esame è scattato dopo la perquisizione agli uffici dell' Aif l' Authority finanziaria e il sequestro di informazioni riservate del circuito Moneyval. A fare da garante è il nuovo direttore dell' Aif, ex Bankitalia, Carmelo Barbagallo. L'appuntamento più importante, tuttavia, resta l'incontro Papa-Pell perché potrebbe svelare particolari importanti sui fondi riservati e gestiti dalla Santa Sede. Pell all' epoca li chiamava «i fondi neri». Denaro depositato al Credit Swisse e sul quale si è concentrata l' attenzione dei magistrati. E' lì che la Guardia di Finanza avrebbe raccolto ed elencato movimenti fino a 500 milioni di euro mettendo sotto la lente di ingrandimento, come riporta l'Ansa, anche gli investimenti con un tycoon angolano Antonio Mosquito, conosciuto da Becciu quando era nunzio in Angola e il finanziere svizzero Enrico Crasso, l'uomo che al Credit Swisse opera per conto del Vaticano. Il cardinale Becciu, raggiunto al telefono, si limita a «smentire nel modo più categorico una cosa del genere». Il famoso tesoretto papale che fu al centro di una battaglia tra Pell e il cardinale Becciu. Il cardinale australiano insisteva perché tutte le risorse fossero centralizzate, un po' come accade in qualsiasi azienda, senza subire dispersioni e garantire facili controlli. Becciu, invece, difendeva la autonomia della Segreteria di Stato, quelli erano fondi riservati. Erano due visioni opposte, inconciliabili. Per dare una accelerata alle indagini su Londra - da dove è partito tutto e dove si inserisce anche l'accusa di peculato al cardinale Becciu - Francesco ha rafforzato la squadra degli inquirenti assumendo un professore di diritto bancario come Promotore di Giustizia applicato, nella persona di Gianluca Perone. Si tratta di un esperto di questioni commerciali che potrà dare una mano a decrittare i contratti inglesi accesi per l'acquisto dell'immobile londinese e la costituzione di tante società in Lussemburgo attraverso una serie di scatole cinesi. In Vaticano ora si attendono le prossime mosse, a cominciare dai rinvii a giudizio dei sei funzionari licenziati l'anno scorso oltre che quello del cardinale Becciu, visto che perdendo le tutele proprie del cardinalato potrebbe essere chiamato in giudizio. Tuttavia sono in molti, in Vaticano, a scommettere che non si arriverà mai al processo e che potrebbe esserci una archiviazione. Ma sono supposizioni. Quel che è certo che il Papa si è messo nelle mani dei magistrati che andranno avanti. Resta, invece, insoluto un punto dolente per tutti. I conti vaticani a causa del Covid vanno male e la centralizzazione delle risorse è una strada che per forza di cose si sta facendo largo. Il Papa già nella prima riunione dopo il lockdown dei capi dicastero, a maggio, non solo si raccomandò di risparmiare, non fare assunzioni, eliminare le spese superflue. Ordinò anche di affidare in tempi brevi le risorse dei dicasteri depositate nei vari istituti di credito all'Apsa, il forziere guidato da Nunzio Galantino.

Non solo peculato. Si allunga la lista delle accuse a Becciu. Massimiliano Coccia su La Repubblica il 26 settembre 2020. Il cardinale si difende: "Non so ancora di cosa mi incolpano”. Ma in settimana le prime carte saranno svelate. Secondo la sua vecchia agenda, l’ex porporato Angelo Becciu sarebbe dovuto essere a Napoli per officiare - in qualità di Prefetto della Congregazione pontificia per le Cause dei Santi - la messa di beatificazione di Maria Luigia del Santissimo Sacramento da Casoria, ma il suo posto di rappresentante di Papa Francesco è stato preso dal Cardinale Crescenzio Sepe. Il primo impegno di una lunga serie annullato da Becciu ed il primo pomeriggio di silenzio e solitudine p...

Caso Becciu, il silenzio della Cei agita i vescovi “Non possiamo tacere sempre”. Paolo Rodari su La Repubblica il 26 settembre 2020. Non una parola sui soldi dell’8 per mille spostati su richiesta del cardinale. Gli imbarazzi e i veleni delle ultime ore hanno risvegliato i malumori di chi vorrebbe una conduzione più interventista. L’unico nella Cei che ha battuto un colpo è stato Corrado Melis, vescovo di Ozieri, la terra di origine del cardinale Angelo Becciu: la diocesi sarda ha sempre percepito l’erogazione di fondi da parte della Cei «attestando di non aver mai impiegato un solo centesimo in risorse per finalità diverse da quelle umanitarie e caritatevoli», ha detto. Per il resto, sui fondi provenienti dall’8 per mille che sarebbero stati dest...

Dalle nunziature a Vatileaks il potente che conosceva tutti i segreti della Santa Sede. Marco Ansaldo su La Repubblica il 24 settembre 2020. Origini sarde, scuola diplomatica, organizzatore di storici viaggi papali, per anni è stato il sostituto della segreteria di Stato. Lo strappo è traumatico. Tanto più se arriva da un diplomatico, cioè da una persona abituata già a esprimersi in modo cauto e soffuso. Messo all'interno della Segreteria di Stato vaticana, tra stucchi, silenzi e poltrone piene di ovatta, la combinazione raggiungeva il suo effetto più alto. Questo era Angelo Becciu: il più fine, informato e attento diplomatico all'interno della Santa Sede. Un uomo piccolo di statura, ma di altissimo quoziente...

Estratto dell’articolo di Massimiliano Coccia per “la Repubblica” il 26 settembre 2020. […] La svolta nelle indagini è stata infatti resa possibile dalle confessioni di uno tra i collaboratori più stretti (monsignor Mauro Carlino, monsignor Alberto Perlasca, Fabrizio Tirabassi, Vincenzo Mauriello), una svolta che ha fatto crollare il muro di silenzio che ha sempre avvolto il modus operandi di Becciu. Una svolta che […] chiarisce il ruolo dei banchieri che ruotavano intorno all'allora sostituto della segreteria di Stato vaticana […] Enrico Crasso, anzitutt, l'ex di Credit Suisse oggi Ceo di Sogenel Capital Holding, una fiduciaria di Lugano di cui è presidente, l'uomo al quale Becciu aveva affidato la cassa vaticana, con una operazione lecita ma decisamente insolita, lasciando che investisse i denari della segreteria di Stato verso fondi speculativi. […] Se il cardinale non sapeva cosa facesse lui coi soldi, il finanziere d'altra parte non li gestiva da solo «se non in piccolissima parte». Né, precisa, ha mai «indirizzato investimenti in paradisi fiscali o in paesi offshore ». Eppure la sede del Fondo Centurion capitanato da Crasso che ricorre molte volte nelle cedole di investimento della segreteria di Stato, è a Malta. Negli affari della segreteria di Stato compaiono poi altri due personaggi chiave del sistema dell'ex cardinale, A.dro N.ceti e L.nzo V.gelisti. Il primo è direttore di Valeur Capital, ex credit Suisse. Il secondo amministratore delegato del gruppo Valeur. […] I due hanno agito insieme nella compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra: la vicenda che ha dato origine all'inchiesta ma che è solamente un caso singolo, il prodotto finale di una prassi operativa delle finanze vaticane. La loro azione è testimoniata anche dal bonifico inviato nell'ambito dell'acquisizione del palazzo di Londra a dicembre del 2017 da una società che gestisce alcuni immobili vaticani a Londra a Eight Lotus Petals Ltd, società riconducibile ai due. Bonifico stoppato dall'antiriciclaggio della banca intermediaria. Verrà inviato nuovamente un mese dopo e recapitato questa volta senza problemi a una società riconducibile ad A.dro N.ceti.

Cardinale Becciu, svolta nelle indagini grazie alla confessione di un suo stretto collaboratore. Massimiliano Coccia e Susanna Turco su L'Espresso il 25 settembre 2020. A raccontare il funzionamento del «sistema» è stato uno dei quattro del cerchio magico, con la consegna di carte e conti alle autorità giudiziarie vaticane. Intanto, in conferenza stampa, l'ex porporato nega tutto ma fornisce una ricostruzione che non spiega niente. «L'inchiesta dell'Espresso? L'ho letta solo in parte». «Con il Papa dovevamo solo parlare di alcune cause di beatificazione», dice per spiegare la sua «sorpresa» l'ormai ex cardinale Angelo Becciu alla fine della conferenza stampa sulle sue dimissioni – dopo l'accelerazione per le notizie sul «metodo Becciu» contenute nell'inchiesta dell'Espresso. L'incontro con il Pontefice, giovedì pomeriggio alle sei, era in effetti già fissato da tempo: si trattava di un incontro di rito. Si è invece «a sorpresa» trasformato in altro: nella presa d'atto e comunicazione, da parte di Papa Francesco, dell'ingente materiale in mano agli inquirenti, dopo la collaborazione con le autorità vaticane, circa il funzionamento del sistema Becciu, con la consegna di relative carte e conti, da parte di un componente del cerchio magico del cardinale. L'Espresso è infatti in grado di rivelare che la svolta nelle indagini è stata resa possibile dalle confessioni di uno tra i collaboratori più stretti (monsignor Mauro Carlino, monsignor Alberto Perlasca, Fabrizio Tirabassi, Vincenzo Mauriello). La scelta di Becciu di respingere ogni addebito, evitando di entrare nel merito, è arrivata dal fatto che l'ex cardinale, attraverso il lobbista Marco Simeon, che cura la sua strategia comunicativa e politica, era venuto a conoscenza dell'articolo in uscita sull'Espresso. Un articolo che peraltro in conferenza stampa Becciu afferma aver letto «solo in parte». Davanti ai giornalisti l'ex cardinale si dice «sorpreso», «stralunato», immerso in una situazione surreale. Eppure è, al contrario, in più tratti surreale la ricostruzione che offre circa le motivazioni che hanno portato alle sue dimissioni da prefetto della congregazione della causa dei Santi e la sua rinuncia dalle prerogative cardinalizie, dopo  l'inchiesta con cui l'Espresso ha cominciato a ricostruire il «metodo»  seguito nei sette anni in cui ha guidato la Segreteria di stato. Spiegando in sostanza che è stato il Papa a chiedergli le dimissioni, nel corso di un difficile incontro, e che lui non intende «in alcun modo sfidarlo», ma che si tratta di un «equivoco» che lui è intenzionato a spiegare. Il chiarimento che intende fornire però, in conferenza stampa si rivela opaco, parecchio sfocato, e condito da affermazioni gravi. Come nel momento in cui svela una decisamente scarsa fiducia nelle intenzioni e doti del pontefice, quando chiarisce di «sperare» che il Pontefice non sia manipolato. «Manovrato? Spero di no, spero di no. Oppure gli hanno dato informazioni errate», precisa. Becciu dice che non è vero niente – come del resto farà anche un comunicato diffuso dalla sua famiglia. Eppure non chiarisce, non spiega, non fornisce una difesa strutturata. Arriva addirittura a sfiorare l'argomento celebre dell'«a mia insaputa», quello cesellato da Claudio Scajola a proposito dell'acquisto – a prezzo agevolato - della casa di fronte al Colosseo che gli costò il ministero e la carriera politica. Quando si chiede al cardinale del ruolo di Enrico Crasso nella gestione delle finanze vaticane, infatti, Becciu esibisce un esitante «non so». L'uomo che da sostituto della segreteria di Stato, con una operazione lecita ma decisamente insolita, ha affidato l'intera cassa vaticana a un finanziere proveniente da Credit Suisse, lasciando che investisse i denari della segreteria di Stato verso fondi speculativi con sede in paradisi fiscali, sostiene infatti adesso che di quei giri immensi di denaro non ne sapeva nulla di preciso. «Enrico Crasso non è che io l'ho seguito passo passo: lo incontravo una volta l'anno», ha risposto all'Espresso: «Chi seguiva le operazioni erano i miei dell'amministrazione. Lui, sugli investimenti, fatti mi diceva: 'È stato fatto un investimento per tale e tale opera e tale altra: ma non è che mi diceva la ramificazione di tutti questi investimenti. Quindi non saprei, ecco, Crasso dove abbia investito». Eppure, a quel che risulta da fonti finanziarie e da documenti di cui l'Espresso è venuto in possesso, viene fuori che per anni si è ricorso a fondi di investimento che poggiano le propri e sedi in Lussemburgo, o in Asia, o a malta. Non solo: gli stessi fondi di investimento sui quali poi sarebbero state ricollocati anche i proventi costituiti dalle società dei fratelli del cardinal Becciu. Ma di tutto questo, Becciu dice di non sapere. Sostiene, ripetutamente, di non aver fatto affari e di non aver «mai incontrato» due personaggi chiave dell'inchiesta dell'Espresso e della compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra. Si tratta di A.dro N.ceti, direttore di Valeur capital ed ex Credit Suisse, e di L.enzo V.gelisti, amministratore delegato del Gruppo Valeur, una società con sede a Lugano che veniva usata per nascondere al Papa centinaia di milioni del Vaticano, attraverso un meccanismo di scatole cinesi. E su entrambi, Becciu dice: «Non so chi siano». Al contrario, proprio come qualsiasi uomo di potere – di Stato o di Chiesa - che abbia smarrito il senso di sé, Becciu nella sua ricostruzione della gestione dei rapporti familiari dimostra di non ravvisare alcun limite morale, di opportunità, nel suo comportamento. Nel momento in cui spiega come si è regolato nei rapporti con le cooperative e le società guidate dai suoi fratelli, infatti, Becciu si preoccupa soltanto di difendersi dall'accusa di aver commesso un reato («dalle indagini che vengono fatte dalla guardia di finanza, quindi italiane immagino, richieste dai magistrati vaticani vaticani, apparirebbe che io abbia commesso crimine reato di peculato», dice), mentre derubrica a «boutade» tutto il resto. Per quel che riguarda le tre tranches di somme dirottate sulla cooperativa Spes, braccio operativo della Caritas di Ozieri e guidata da suo fratello Tonino, Becciu fornisce una qualche spiegazione soltanto su quella da 100 mila euro che riguarda un fondo che attinge all'Obolo di San pietro, di suo diretto controllo: dice sì che l'ha destinata alla cooperativa del fratello, per fini caritatevoli perché «sapevo che era una diocesi in difficoltà», e precisa che il denaro si trova ancora nelle casse della Caritas di Ozieri («quindi non capisco perché vengo accusato di peculato e favoreggiamento: quei soldi sono ancora lì»); nessuna chiarimento invece riguardo alle due tranches da 300 mila euro ciascuna, chieste e ottenute dal cardinale sempre in favore della cooperativa Spes, attinti dalla Cei dai fondi dell'otto per mille: «Sono i soldi della Cei che il Vescovo gli destina, e poi è tutto documentato». Solo questo, dice, Becciu: «Mi si accusa di aver raccomandato la cooperativa, ma lì il peculato non c'è. E poi si tratta di soldi della Cei». Come a dire che non era lui ad erogare il fondo. E che comunque nel raccomandare non c'è nulla di male. Nessuna spiegazione nemmeno circa la società Angel's, che fa capo a suo fratello Mario e che, utilizzando come la Spes il mercato della solidarietà, produrrebbe e imbottiglierebbe la “birra Pollicina”, che tuttavia non si trova in commercio né in distribuzione. «Una boutade» si limita a dire Becciu. Qualche dettaglio in più riguarda i lavori commissionati al fratello Francesco, falegname, tra il 2005 e il 2010, quando Becciu era Nunzio apostolico: dice in sostanza di aver detto al fratello «fammi due porte e mandamele» quando era in Angola e di aver chiamato il fratello per la nunziatura a Cuba, perché era «difficile trovare il materiale e i muratori»: «Chiamatelo conflitto di interessi!», è il commento di Becciu. All'uscita, un giornalista francese chiede lumi: ha capito che si parlava di ferramenta, è disorientato, trova comunque strano si sia parlato di lavori di falegnameria. Prende comunque appunti, mentre l'ex cardinale si allontana verso la sua auto, la cupola di San Pietro sullo sfondo.

Il «sistema Becciu» sempre più a nudo: ecco come finanziava lobby e reti di potere. La società del fratello Mario, la Angels's, non produce da sé la birra Pollicina e risulta «inattiva». Il ruolo di Mosquito, l'affare Falcon Oil, il Fondo Centurion e i finanziamenti ai russi. E adesso il cardinale Pell arriva in Vaticano. Massimiliano Coccia su L'Espresso il 28 settembre 2020. In queste ore,  dopo le dimissioni del cardinale Angelo Becciu , abbiamo assistito all’evoluzione di una strategia difensiva consolidata, che affonda le radici nell’atavico ed italianissimo «tengo famiglia» prodotto del familismo amorale che attanaglia da sempre la cosa pubblica, anche quando dovrebbe essere oltre che pubblica anche sacra. Ogni formula di addebito descritto dalla nostra inchiesta, che ha portato alla rinuncia del cardinale a carica e privilegio, viene infatti giustificato ora con la carità (i 700 mila euro girati dal cardinale alla cooperativa di un fratello), ora con la naturale inclinazione ad usufruire di un (altro) fratello falegname per cambiare infissi e arredi, e ancora con la possibilità di autonomia imprenditoriale di un (terzo) fratello, docente di psicologia, nel ramo della distillazione della birra. Proprio su quest’ultimo, con l'asserito argomento dell'assenza di irregolarità, si sono concentrate le attenzioni: Mario, titolare dell’impresa “Angel’s srl” che tra le altre cose avrebbe ricevuto un ingente finanziamento di un milione e mezzo di euro, di cui saldati circa la metà, per il progetto di inclusione sociale che sarebbe dietro la Birra “Pollicina”. Tuttavia, come siamo in grado di chiarire, non esiste e non è mai esistito alcun progetto sociale inerente alla realizzazione del prodotto birrario: infatti la Birra Pollicina viene imbottigliata e prodotta dal birrificio “Alta Quota”, una realtà nata nel 2010 a Cittareale, in provincia di Rieti. Il birrificio Alta Quota, che abbiamo contattato, dichiara che: «Si è trattato di una lavorazione conto terzi (come spesso accade nel nostro mondo) che ci è stata commissionata dalla Angel’s Srl. Il nostro birrificio offre commercialmente la possibilità di lavorazioni conto terzi con personalizzazione dell’etichetta. La fornitura è stata effettuata a fine 2019 per circa mille litri di birra imbottigliati in diversi formati. L’intera fornitura è stata regolarmente fatturata e pagata». Il birrificio è esperto della trasformazione del pane raffermo: già porta avanti un progetto di riuso del pane in eccesso della panetteria Eataly di Roma, trasformandolo in birra che viene donata alla Fondazione Slow Food, impegnata col progetto “Menu for change”. Per quel che riguarda la birra Pollicina – nome che allude appunto alla favola di Pollicino e alla raccolta delle molliche per ritrovare la strada di casa - il pane proviene invece da un forno in provincia di Frosinone. A livello aziendale, inoltre, la Angel’s srl risulta ad una visura camerale «inattiva», vale a dire o non ha mai comunicato all’Agenzia delle Entrate il proprio inizio delle attività o non ha presentato i bilanci. Resta quindi da capire come una società inattiva possa movimentare una somma ingente di denaro e come, con un solo dipendente registrato, avrebbe potuto far fronte ad un progetto di socialità così ampio. Inoltre, come si nota dalla pagina Facebook, la Angel’s srl ha continuato a lavorare durante il lockdown con un servizio a domicilio di beni alimentari e di prima necessità e continua tutt’ora le sua attività in un magazzino diverso da quello segnato nella sua visura sociale. Il progetto, quindi, della Birra Pollicina appare chiaro e rappresenta una delle innumerevoli scatole aziendali che servivano per drenare denari e farli girare su una rete economica che avrebbe utilizzato il settore del beverage per una circolazione poco tracciabile del denaro, circuito che sarebbe servito per mantenere viva la rete di clientele e di potere dell’ex cardinale. Il tema che appare evidente, dietro l'asserita casualità degli incontri, è il disegno lobbistico che invece si cela dietro ad ogni singolo affare della famiglia con i contatti dell’ex cardinale. L'uomo d'affari Antonio Mosquito, che tramite una controllata angolana avrebbe finanziato la Birra Pollicina, avrebbe incontrato il cardinale Becciu prima della pandemia, nonostante l’affare “Falcon Oil” non andato in porto, per riprendere il filo di alcuni investimenti effettuati con i soldi della cassa delle segreteria di Stato attraverso il Fondo Centurion del finanziere Enrico Crasso. La Segreteria di Stato avrebbe quindi continuato ad investire insieme al tycoon angolano in operazioni coperte. A latere di uno di questi incontri si è parlato anche del finanziamento della ormai celebre birra Pollicina. Mosquito è una figura molto discussa in Angola e ha spesso fatto affari con la figlia del presidente José Eduardo dos Santos che, come ci racconta Giovanni Pigatto, esperto di geopolitica africana, «è rimasto al potere dal 1979 al 2017, incaricando poi il suo vice João Lourenço. Nei trentotto anni di governo dos Santos, la famiglia presidenziale si arricchì a dismisura soprattutto grazie alle concessioni su petrolio e diamanti, tanto che la figlia del presidente, Isabel dos Santos, è a oggi al 13º posto tra le persone più ricche dell’Africa (prima tra le donne) secondo la rivista Forbes. Proprio per Isabel dos Santos, - continua Pigatto - nel 2014 António Mosquito ha fatto da prestanome per acquisire il 66,7 per cento della compagnia di costruzioni Soares da Costa e il 27,5 per cento di Controlinveste, una holding nel campo della comunicazione che possiede il quotidiano portoghese Diário de Notícias e la stazione radio TSF. Inoltre, la holding GAM (Grupo António Mosquito) risulta per il 20 per cento proprietà proprio di Isabel dos Santos». I rapporti tra Antonio Mosquito nascono proprio negli anni in cui l’ex porporato era Nunzio in Angola e sarebbero stati cementati dalla presenza di Enrico Crasso, che inizia subito a tessere affari con lui tentando di far investire, nella Falcon Oil, lo stesso potenziale economico che sarà disperso nell’operazione del palazzo di Londra (circa 400 milioni di euro). L’affare Falcon Oil, come dimostrano documenti inediti di cui siamo venuti in possesso e che vi mostriamo, arriva ad una fase di lavoro molto avanzata per poi arrestarsi. Quel blocco causerà allo stesso Mosquito un grave problema con il resto della compagine energetica: sarà costretto a chiedere un prestito ad una banca angolana per la somma totale di 250 milioni di dollari, la stessa cifra che l’investimento con la Segreteria di Stato avrebbe assicurato. Ma perché l’affare saltò? Secondo quanto apprendiamo da una fonte finanziaria portoghese, le autorità di Lisbona attenzionavano Mosquito e Isabela Dos Santos proprio in relazione all’affare petrolifero. Un lobbista avrebbe quindi avvertito Crasso, all’epoca ancora in quota Credit Suisse, e l’affare saltò per evitare di finire nelle maglie di indagini internazionali, dirottando le attenzioni dei finanzieri sul mattone londinese. Ma il caso di Mosquito non è il solo: i fondi della Segreteria di Stato gestiti dalla società di Crasso e dirottati sul fondo maltese Centurion hanno finanziato imprese di oligarchi russi e bielorussi. Mentre papa Francesco combatteva la corruzione, i paradisi fiscali, le ingerenze putiniane negli affari Vaticani e cercava di bilanciare la geopolitica dei muri di Donald Trump, l’ex cardinale aveva affidato le proprie casse a chi faceva affluire dividendi ad imprese che andavano ad ingrossare le fila della propaganda antivaticana. Questo ingente fiume di denaro off-shore, come quello angolano che avrebbe finanziato la “Birra Pollicina”, rappresenta uno schema, un esempio di pulizia del denaro, di transito di capitali per finanziare la politica dell'ex cardinale, per oliare meccanismi, disarcionare avversari e ingrossare i conti correnti personali dei familiari. Un piano che lentamente sta emergendo: mollica dopo mollica la birra Pollicina, invece che portarci a evitare gli sprechi alimentari, sta conducendo gli investigatori a ricostruire il sistema Becciu. E intanto martedì il cardinale George Pell, nemico numero uno dell'ex porporato, arriverà in Vaticano.

Preciso che L'Espresso il 28 settembre 2020. Egregio Direttore, la presente è inviata in nome e per conto delle società facenti parte del “Gruppo Valeur” in relazione al recente articolo pubblicato nel quale, in maniera del tutto inopinata e senza alcun appiglio alla realtà dei fatti vengono menzionate più volte società del Gruppo Valeur e sono presentate (senza alcuna necessità se non con un intento volutamente persecutorio) anche le foto dei Sigg.ri L.nzo V.gelisti e A.ndro N.ceti, rispetto ad una vicenda (legata principalmente a fatti attinenti al Card. Becciu) con la quale essi nulla hanno a che spartire. In particolare si rileva come il Vostro articolo riporti sia direttamente, sia facendo riferimento con estesi virgolettati (riferibili evidentemente alle parole che sarebbero state pronunciate da un “ex consulente di Valeur”), circostanze del tutto false nonché fatti e ricostruzioni non rispondenti al vero che sono gravemente calunniose e diffamatorie nei riguardi delle società del Gruppo Valeur e dei soggetti ivi menzionati. Le gravissime accuse che sono lanciate nei confronti di Valeur, prima fra tutte quella di aver operato per anni sostanzialmente in combutta con il Sig. Enrico Crasso e/o con il Card. Becciu per assicurare “un’ampia capacità di nascondimento e transito” ad investimenti della Segreteria di Stato del Vaticano o del Card. Becciu, ed ancora l’accusa di mantenere nelle casse della società “i soldi della speculazione dell’affare londinese” così come “i dividendi che tutti gli attori della vicenda hanno incassato, oltre che alle rispettive finanze private già fatte confluire negli anni passati”, hanno un palese e gravissimo contenuto diffamatorio, dal momento che, contrariamente a quanto affermato nel Vostro articolo:

1) Valeur Group non ha mai operato congiuntamente con il Sig. Enrico Crasso, il quale ultimo peraltro non ha mai presentato L.enzo V.gelisti al Card. Becciu;

2) L.enzo V.gelisti non ha mai incontrato il Card. Becciu né il fratello o altri soggetti a lui affiliati o riconducibili;

3) né Valeur Group né L.nzo V.gelisti o A.ndro N.ceti (nella loro veste di funzionari di Valeur) hanno mai strutturato o concluso gli investimenti con la Segreteria di Stato del Vaticano a cui si fa riferimento nell’articolo, e tantomeno hanno avuto alcun ruolo nella vicenda di cui all’immobile di Sloane Avenue acquistato in passato dalla Segreteria a Londra;

4) non vi sono, né potrebbero esserci, dal momento che non sussiste alcuna relazione diretta tra Valeur, i Sigg.ri V.gelisti e N.ceti ed il Card. Becciu, denari “custoditi” nelle casse di società o altrove da parte di Valeur e derivanti da decisioni di investimento o altro del Card. Becciu o di suoi eventuali sodali;

5) né Valeur Group né L.nzo V.gelisti o A.ndro N.ceti risultano al momento sotto indagine di qualsiasi tipo da parte di qualsiasi organo, del Vaticano o di altre giurisdizioni.

L’articolo contiene inoltre marcate allusioni e riferimenti impliciti ed espliciti ad una sostanziale vicinanza di Valeur e dei Sigg.ri V.gelisti e N.ceti rispetto agli investimenti privati o meno del Card. Becciu o a “schemi consolidati” che sarebbero stati portati avanti negli anni per la gestione di tali investimenti. Nulla di più falso, peraltro presentato artatamente con riferimenti lessicali che nulla hanno di circostanziato (non sussistendo nei fatti alcuna prova a sostegno) ma molto lasciano intendere ed ipotizzare al lettore, ovviamente senza alcuna base concreta. Anche la presunta “documentazione a supporto” che viene citata nel Vostro articolo, per quanto è stato possibile rilevare dall’articolo medesimo, non presenta alcuna attinenza rispetto alle gravissime accuse che sono mosse nei confronti di Valeur. Al contrario, invece, tutte le affermazioni sopra riportate riguardanti Valeur e i Sigg.ri V.gelisti e N.ceti sono ampiamente documentabili da Valeur con dovizia di prove a supporto. Ciò che appare chiaro, invece, è che la Vostra Redazione sia stata indotta in errore – anche se sempre gravissimo ed inescusabile – nell’aver dato credito a quanto raccontato da un soggetto che presentatosi come “ex consulente di Valeur” abbia inteso gettare discredito su un gruppo che ha invece una reputazione ineccepibile sul mercato, un portafoglio di clienti invidiabile, e che da’ lavoro a diverse decine di impiegati in vari paesi del mondo. Ebbene Vi sarebbe bastato fare delle rapide verifiche o chiedere chiarimenti a Valeur per scoprire come proprio pochi mesi fa la stessa Valeur abbia allontanato più di un collaboratore del gruppo per motivazioni attinenti a gravi mancanze rilevate nel loro operato. Non è difficile quindi ipotizzare come tali soggetti, mossi da spirito di rivalsa o di puro calcolo personale, abbiano inteso utilizzare la Vostra testata per bieche manovre di diffamazione. Ciò che lascia veramente stupiti è però la leggerezza con cui affermazioni di inaudita gravità riguardanti Valeur e i Sigg.ri V.gelisti e N.ceti siano state da Voi pubblicate senza la benchè minima verifica o senza premunirsi di ascoltare l’eventuale posizione di Valeur e dei Sigg.ri V.gelisti e N.ceti al riguardo. Alla luce di quanto sopra si richiede e diffida la Vostra Società e la Redazione tutta, a:

1) rimuovere al più presto il suddetto articolo dalla pagina internet espressonline.it o quantomeno ad espungerne tutti i riferimenti al Gruppo Valeur, in quanto palesemente diffamatori, non provati e frutto di manovre architettate ad arte da terzi contro il Gruppo Valeur, ma con inevitabili ripercussioni anche nei confronti della Vostra Società; e

2) bloccare la stampa cartacea della rivista L’Espresso, al fine di espungere dal suddetto articolo ogni riferimento o menzione del Gruppo Valeur.

In mancanza di un immediato positivo riscontro alla presente da parte Vostra, Valeur sarà costretta ad adire tutte le più opportune sedi giudiziarie al fine di tutelare i propri diritti ed interessi, atteso il gravissimo ed ingentissimo danno alla reputazione commerciale nei riguardi di Valeur e personale nei riguardi dei Sigg.ri V.gelisti e N.ceti che l’articolo ha apportato. Né basterebbe, peraltro, a sanare i danni che si stanno già producendo e che si produrranno irrimediabilmente qualora l’articolo dovesse essere pubblicato e permanere nella formulazione attuale, l’eventuale pubblicazione di una smentita o di una richiesta di rettifica da parte di Valeur. Qualora infatti la Vostra Redazione dovesse decidere di assumersi il rischio derivante dal mantenimento dell’articolo in questione nella sua formulazione attuale in relazione a Valeur, si richiede in ogni caso di pubblicare al più presto la categorica smentita proveniente da Valeur e dai Sigg.ri V.gelisti e N.ceti e di cui ai punti da (i) a (v) che precedono, oltre all’inserimento di apposite rettifiche direttamente nella versione prima online dell’articolo, e successivamente nella versione cartacea del Vostro settimanale, per dare conto della posizione di Valeur. Si confida che quanto sopra sarà tenuto nella massima considerazione e che la Vostra Redazione adotterà gli urgentissimi provvedimenti che sono richiesti e necessari per bloccare la diffusione delle gravissime notizie calunniose, diffamatorie e financo ingiuriose che sono contenute nel suddetto articolo. Si rimane in cortese quanto urgente attesa di riscontro, Distinti saluti, Gruppo Valeur

Il sacco del Vaticano: “Svuotato anche il conto del Papa”. Floriana Bulfon il 29 settembre 2020 su L'Espresso. Le carte dell’inchiesta della Santa Sede. Appalti al Bambino Gesù a uomini dei clan. Prelevati perfino 20 milioni di sterline dal deposito riservato di Francesco Un documento straordinario di 59 pagine solleva il sipario sul verminaio di corruzione che ha travolto il Vaticano. Onnipotenti e rapaci, hanno architettato operazioni diaboliche per depredare la Santa Sede e messo persino le mani sul conto riservato di Francesco, la più protetta delle casse vaticane. È il ritratto impietoso dell'assalto alle finanze vaticane che emerge dalla rogatoria presentata dalla procura pontificia: la ricostruzione di un saccheggio da 454 milioni. L&...

ANSA il 29 settembre 2020. "Tutti noi che conosciamo il Cardinale Becciu ci auguriamo presto che gli venga data la possibilità di difendersi e provare l'inconsistenza e assurdità delle accuse. Allo stesso tempo non ho dubbi della rettitudine e lealtà di Papa Francesco che opera per il bene che cresce silenziosamente nella Chiesa". Lo dice il vescovo di Ozieri, monsignor Corrado Melis in un'intervista alla Nuova Sardegna sulla vicenda che ha coinvolto il cardinale sardo Angelo Becciu, finito al centro di un'inchiesta del Vaticano per peculato. "Sulle carte riportate (dalla stampa, ndr) è questione di punti di osservazione e soprattutto di occhi di chi legge - aggiunge il vescovo della Diocesi del Sassarese -: occhi di fede intelligente che vedono soldi del papa e dell'8xmille investiti per raggiungere persone e situazioni indigenti "esistenzialmente periferiche" (direbbe papa Francesco), oppure occhi di condanna mediocre alimentata da un'informazione sempre più coperta da assicurazioni professionali contro le querele e sempre meno guidata da etica e deontologia professionali". L'alto prelato di Ozieri racconta al quotidiano anche di essere "andato a ricercare nell'archivio" trovando "conferma della donazione di questi 25mila euro dalla Segreteria di Stato alla Caritas diocesana in occasione dell'incendio del panificio il 15 settembre del 2014, per la ripresa delle attività panificatrici. Il panificio della cooperativa Spes, nata dalla Caritas diocesana per fare inserimenti lavorativi e dare la dignità del lavoro alle persone disoccupate o disagiate del territorio".

FAMIGLIA BECCIU PRESENTA 2 DENUNCE - Due denunce per diffamazione e calunnia sono state presentate dalla famiglia del cardinale Angelo Becciu. Lo annuncia all'ANSA l'avvocato Ivano Iai, difensore dell'intero nucleo familiare dell'alto prelato sardo finito al centro di un'intricata vicenda finanziaria. "Comunico di aver predisposto e rimesso agli accertamenti delle Autorità competenti, su incarico e a tutela della famiglia Becciu - afferma il legale - due denunce per violazione delle disposizioni penali in materia di calunnia e diffamazione aggravata e di divieto di rivelazione di segreti d'ufficio e d'indagine, fattispecie di malcostume corruttivo che, attraverso la fuoriuscita illecita di informazioni e documenti riservati continuativamente divulgati dai media in forma distorta e denigratoria, ha originato la consumazione di ulteriori reati e la lesione dei diritti di diversi interessati", conclude l'avvocato Iai.

Fabrizio Massaro per il “Corriere della Sera” il 29 settembre 2020. Più di un anno intero di donazioni al Papa. Tanto valgono le commissioni pagate a una manciata di professionisti, banchieri, intermediari che in questi anni hanno avuto un ruolo nelle operazioni finanziarie della Segreteria di Stato del Vaticano. Secondo una stima basata sui contratti di cui si ha notizia, si arriva a circa 70 milioni di euro spesi negli ultimi anni. Spesso a condizioni molto onerose se non addirittura fuori mercato. È uno dei vari rivoli che in Vaticano stanno seguendo per ricostruire i flussi di denaro e le relazioni con professionisti e intermediari degli ultimi anni. Intanto dall'inchiesta sull'investimento da 350 milioni di euro complessivi nel palazzo di Sloane Avenue a Londra emerge un verbale di Giuseppe Milanese, presidente della cooperativa sanitaria Osa e amico di Papa Francesco. Milanese, sentito come testimone, ebbe un ruolo nella trattativa con il broker Gianluigi Torzi per fargli lasciare la gestione del palazzo. Milanese riferisce ai promotori di giustizia vaticana Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, di un incontro con Torzi e alcuni suoi «emissari» avvenuto il 6 gennaio 2019: «Mi raccontarono dei costi sostenuti, delle spese di registro, delle spese delle società lussemburghesi, delle due diligence , dei soldi dati a Mincione, dei costi per eventuali ulteriori mediatori, nonché degli ammanchi di cassa che a loro dire erano stati cagionati alle società lussemburghesi. Io ho contestato loro la fondatezza di questi costi. Ho saputo anche in quell'occasione che flussi di denaro dalle lussemburghesi sarebbero stati convogliati a Santo Domingo. Di fronte alla mia meraviglia e alle mie insinuazioni, che non mi sono state negate, su chi potessero essere i destinatari delle somme, intuii che somme di denaro sarebbero state destinate perfino a (Fabrizio) Tirabassi», ex funzionario della sezione amministrativa della Segreteria di Stato, che è uno degli indagati. Riscontri a queste parole per ora non risultano. Torzi ha collaborato con gli inquirenti e dalle rogatorie in Svizzera non emergerebbero fuoriuscite di denaro verso altri soggetti. Un'altra commissione promessa a Torzi - 4 milioni per un affare di crediti deteriorati nella sanità - che risale a sei mesi prima del suo intervento sul palazzo, rientra anch' essa nell'indagine vaticana. Le commissioni finanziarie sono state oggetto di un taglio pesante da parte di Edgar Pena Parra, Sostituto alla Segreteria dal settembre 2018 al posto del cardinale Giovanni Angelo Becciu. I gestori si sono visti drasticamente ridurre le provvigioni. Resta che per anni alle varie Credit Suisse, BSI, Julius Baer, Azimut sono stati pagati, per contratto, tra lo 0,6% e l'1% su circa 600-700 milioni gestiti. Alcune gestioni erano arrivate oltre il 2% l'anno. Solo a Mincione sono andati 16 milioni in 5 anni. A Torzi 15 milioni per 4 mesi. Infine, avvocati con parcelle da centinaia di migliaia di euro per poche ore di lavoro. Per risultati spesso tutt' altro che soddisfacenti.

Altri 110 milioni investiti. Nuove accuse contro Becciu. Rivelazioni del Financial Times su affari del cardinale. Immobili in uno dei quartieri più costosi di Londra. Serena Sartini, Mercoledì 30/09/2020 su Il Giornale. Nuove scottanti rivelazioni comprometterebbero ulteriormente la posizione del cardinale Angelo Becciu, dimesso da prefetto della Congregazione delle Cause dei santi e da cardinale, in seguito all'inchiesta sull'immobile acquistato a Londra. Nella lista degli investimenti effettuati dal porporato sardo, ai tempi in cui era sostituto alla segreteria di stato, infatti, non ci sarebbe solo il palazzo di Sloane Avenue, per il quale sarebbero stati investiti 200 milioni di euro. Secondo il Financial Times, infatti, la segreteria di stato vaticana avrebbe investito altri cento milioni di sterline (poco meno di 110 milioni di euro) in appartamenti di lusso a Londra: un «portafoglio di appartamenti di altissimo livello - scrive il quotidiano della City - a Cadogan Square e dintorni, a Knightsbridge, uno degli indirizzi residenziali più costosi della capitale britannica». Investimenti che sarebbero stati effettuati nel periodo in cui il cardinale Becciu ricopriva il ruolo di Sostituto, ovvero ministro dell'Interno Vaticano. «I nuovi documenti, (email e conti), non configurerebbero alcun illecito - scrive ancora il prestigioso quotidiano economico-finanziario ma gettano ulteriore luce sulle attività finanziarie della Segreteria di Stato». Il dossier che vedrebbe incriminato l'ormai «ex» cardinale cresce dunque di giorno in giorno e l'inchiesta si allarga. I magistrati vaticani proseguono le indagini e in questi giorni dovrebbero chiarirsi le accuse su cui dovrà difendersi Becciu. In primis quella di peculato, tanto che nei prossimi giorni è atteso un invito a deporre davanti ai pm. Bergoglio, intanto, continua nella sua operazione trasparenza e pulizia, ascoltando i suoi collaboratori che potrebbero far chiarezza sulla vicenda. È atteso proprio in queste ore a Roma il cardinale George Pell, ex prefetto dell'Economia: primo appuntamento a Santa Marta, da Francesco, per rivelare le informazioni in suo possesso risalenti a quando sedeva sulla poltrona di numero uno delle finanze vaticane, e dunque anche sugli investimenti fatti dall'ex sostituto Becciu, con il quale Pell non ha mai avuto un buon rapporto. Un filone di indagine sarebbe stato aperto anche dalla Procura di Roma in seguito alla rogatoria del Vaticano per verificare se siano stati commessi reati anche sul territorio italiano. I grattacapi per Becciu non finiscono qui. La famiglia, infatti, ha deciso di revocare l'incarico al legale di fiducia, Ivano Iai. «Con molto dolore afferma l'avvocato - comunico di aver rinunciato al mandato conferitomi dalla Famiglia Becciu che mi ha onorato della sua fiducia e del suo affetto non comuni». La revoca deriverebbe dalla pubblicazione su Instagram di foto con Iai al mare in costume, finite poi su Dagospia. Scatti che il legale ammette di aver pubblicato con un po' di «leggerezza» e che hanno messo in imbarazzo la famiglia Becciu, già nel mirino per lo scandalo delle donazioni di fondi della Cei alla Coop gestita da Antonino, fratello del cardinale Becciu.

DAGOREPORT il 29 settembre 2020. I soldi c’entrano poco con il defenestramento del cardinale Angelo Becciu, colpito in pieno volto da un papagno sferratogli a freddo da Bergoglio e tuttora a terra privo di sensi. Non è per i suoi presunti maneggi finanziari che l’ex potente sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato vaticana è stato incaprettato. Lo scandalo apparecchiato in mondovisione per i gonzi nasconde ben altro. Per capirlo, basterebbe concentrarsi sull’elemento centrale, il più grosso, dello stemma pontificio bergogliesco: un Sole. Messaggio molto chiaro: nessuno deve fare ombra al Re Sole. In ballo c’è l’elezione del prossimo papa nel conclave, più o meno prossimo. Conclave dal quale a questo punto Becciu – colpito da una misura durissima, e di fatto senza precedenti per le mancanze di cui sarebbe responsabile – resta escluso, mentre era un candidato molto serio. Escluso appunto per la «rinuncia» ai «diritti connessi al cardinalato», come con un eufemismo di stile sovietico è stato reso noto alle 8 di sera, un’ora e mezza dopo l’udienza papale, da un insolitamente tempestivo comunicato. Dopo il quale la comunicazione vaticana è tornata a eclissarsi, com’è ormai suo costume. Per sette anni, dal 2011 al 2018, cioè sin dall’ultimo scorcio del pontificato di Benedetto XVI, il prelato sardo – settantaduenne di Pattada, il paese dei coltelli, circostanza da tenere a mente – era stato «il sostituto», ruolo che in Vaticano corrisponde a quello di un ministro dell’Interno, ma ben più potente. Una posizione di vertice che viene subito dopo quella del papa e del segretario di Stato, carica che nella Città delle sottane corrisponde a quella un primo ministro. Dal 2013 quest’ultimo posto è occupato dal relativamente giovane Pietro Parolin, oggi sessantacinquenne, nominato sì da Francesco ma che dal pontefice cerca di nascondersi più che può. Come mai? Semplice, perché ha paura, come ormai quasi tutti in Vaticano, dato il continuo rotolare di teste tagliate da Sua Santità, la cui parabola discendente è registrata senza pietà in “L’enigma Bergoglio”, l’ultimo libro di Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera che da anni segue anche i retroscena d’Oltretevere. Un posto di vero potere è stato insomma quello esercitato per sette anni dal prelato sardo con una discrezione pari all’efficacia. Tanto è vero che proprio a Becciu, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, il nuovo papa affida le pratiche più rognose, come quella di riformare e rinnovare il ricchissimo ma anchilosato Ordine di Malta. E il sostituto obbedisce, anzi diventa l’unico nella corte dei miracoli bergogliana ad avere il coraggio di dire all’iracondo e sospettoso sovrano le cose come stanno. Poi nel 2018 il papa, com’era prevedibile, lo fa cardinale e lo nomina prefetto dei santi, carica in apparenza di poco peso ma che permette al prelato – promosso ma anche rimosso – di girare letteralmente il mondo a proclamare beati (ai santi ci pensa il pontefice, quasi sempre a Roma). In altre parole, a Becciu, che non è più nella stanza dei bottoni, Francesco senza volerlo apre in questo modo le porte del conclave, quando sarà. Per meglio dire, le spalanca, dato l’avvitarsi su se stesso del pontificato. Il declino del papato argentino è talmente rapido e rovinoso che la gerontocrazia della chiesa sta ormai riflettendo seriamente se non sia venuta l’ora di tornare dalla «fine del mondo» (copyright Bergoglio), ma dall’emisfero australe a quello boreale. Anzi, all’Europa, o meglio all’Italia. Per questo il piccolo sardo si sentiva ben piazzato. Finché qualche nemico – e l’antico sostituto di nemici se n’è fatti parecchi in questi anni – ha confezionato un polpettone talmente avvelenato da far dimenticare al pontefice il garantismo e la misericordia, riservati però solo ad alcuni, come il suo amico monsignor Gustavo Zanchetta, ex vescovo argentino chiamato da Francesco in Vaticano come assessore dell’Apsa e poi colpito da mandato di cattura internazionale spiccato dalle autorità argentine per presunti illeciti finanziari e per abusi su due seminaristi. Ma in Vaticano molti assicurano che la storia non finirà qui, anche perché Becciu si è difeso dichiarandosi pronto ad andare a processo. Un’eventualità che nello Stato delle lavandaie terrorizza molti per quello che potrebbe scoperchiare e che dunque probabilmente non si celebrerà mai. Intanto, l’atmosfera che si respira in Vaticano è descritta lugubremente da Specola, un anonimo spagnolo dal dente avvelenato e dalla prosa tagliente, che descrive la messa a San Pietro del 28 settembre per il settantacinquesimo anniversario dell’ispettorato presso il Vaticano della polizia italiana: «Parolin non è che abbia il volto di un morto – ci sono morti che hanno un aspetto decisamente migliore – è proprio l’incarnazione della morte. Fredda celebrazione, facce molto lunghe», per un momento gravissimo «che riguarda tutti».

Caso Becciu, revocato l'incarico al legale di fiducia dopo le foto in costume. Pubblicato mercoledì, 30 settembre 2020 da Monia Melis su La Repubblica.it. Per l'imbarazzo la famiglia del monsignore dimissionario ha lincenziato l'avvocato Iai. Appena due giorni fa Ivano Iai - legale sardo della famiglia del dimissionario monsignor Giovanni Angelo Becciu - aveva presentato due denunce per calunnia, diffamazione aggravata e divieto di rilevazioni di segreti d'ufficio e di inchiesta. Al centro, in particolare, alcuni documenti riservati "continuativamente divulgati dai media in forma distorta e denigratoria". Ventiquattro ore dopo la stessa famiglia - quei fratelli Becciu che sarebbero stati favoriti negli affari - gli ha revocato l'incarico dopo meno di una settimana. La difesa gli era stata infatti affidata lo scorso venerdì, proprio all'indomani della diffusione del Bollettino papale e del clamore attorno alla decisione di papa Francesco. Ma da ora lo studio associato di cui Iai è partner, con sede a Sassari, non seguirà più la tutela e gli interessi degli ex clienti. Una mossa a sorpresa guidata, probabilmente, da motivi di opportunità per la diffusione di alcune foto dell'avvocato, scattate al mare, e pubblicate su Dagospia. Immagini in cui l'avvocato è in posa, in costume, pubblicate dal professionista sul profilo privato di Instagram, scaricate da qualcuno e poi arrivate fino al noto sito. E che non sono passate inosservate. Il collage di Dagospia le propone accostate a quelle di Becciu, con un accenno nel sommario: "Ma gli occhi in Vaticano sono solo (...) per l'avvocato palestrato". Il legale Iai, 48 anni, (già presidente del Conservatorio Luigi Canepa di Sassari) e legale con una certa esperienza, si dice scosso e dispiaciuto. Aveva preso con convinzione la difesa dei cinque fratelli Becciu: oltre al cardinale (ora carica svuotata) quella di Tonino, docente di religione e soprattutto presidente della coop Spes beneficiaria di contributi dalla Santa sede, Francesco, il titolare di una falegnaneria e Mario,  professiore universitario e imprenditore nel settore della birra. Sua la prima lettera in cui si legge, in riferimento all'anticipazione della inchiesta dell'Espresso: "Le notizie riportate sono destituite di fondamento e malevolmente false, in particolare per i riferimenti, fantasiosi e indimostrabili, a presunte erogazioni provenienti dall’Obolo di San Pietro e dirette a membri della famiglia del Cardinale, ovvero a enti privati riconducibili a taluni di essi". Nelle poche, ultime, righe ufficiali con cui dà la notizia della revoca – senza alcun riferimento alle foto - si dice ''onorato della fiducia e del suo affetto non comuni". E ancora: "Mi rattrista aver dovuto essere causa di ulteriore afflizione che si aggiunge ai patimenti ingiusti subiti in questi giorni da Sua Eminenza il Cardinal Becciu e dai Suoi Familiari".

Alessandro Da Rold per ''La Verità'' il 30 settembre 2020. Un costumino adamitico si abbatte sull'inchiesta del Vaticano e sulle dimissioni del cardinale Angelo Becciu, ex sostituto alla segreteria di Stato nonché ex prefetto della Congregazione delle cause dei Santi. Dopo che lunedì la famiglia del porporato dimissionario aveva annunciato denunce contro la giustizia vaticana e persino contro il settimanale L'Espresso, ieri a fare notizia sono state invece le foto in costume da bagno dell'avvocato Ivano Iai, legale fino a 24 ore fa della famiglia di Pattada, travolta dalle indagini dei promotori di giustizia Alessandro Diddi e Gian Piero Milano. Galeotte sono state le foto sui social network di questo dottore di ricerca in procedura penale nato a Nule, in provincia di Sassari, nel 1972. Gli è stato revocato l'incarico. In una nota, proprio Iai ha spiegato la fine del mandato. «Con molto dolore», si legge, «comunico di aver rinunciato al mandato conferitomi dalla famiglia Becciu , che mi ha onorato della sua fiducia e del suo affetto non comuni». Il legale aggiunge: «Mi rattrista aver dovuto essere causa di ulteriore afflizione, che si aggiunge ai patimenti ingiusti subiti in questi giorni da Sua Eminenza il cardinal Becciu e dai suoi familiari - esempi di onestà e correttezza non comuni - e degni di avere accanto la migliore difesa in una vicenda tanto complessa». Prima del comunicato, Iai aveva già spiegato ai giornalisti che gli scatti erano stati pubblicati forse con troppa leggerezza. E pensare che la giornata non sembrava neanche delle peggiori per la famiglia del cardinale dimissionario, in particolare dopo gli articoli delle scorse settimane. In mattinata ai Becciu era arrivata anche solidarietà del vescovo di Ozieri, Corrado Melis: «Tutti noi che conosciamo il cardinale Becciu ci auguriamo presto che gli venga data la possibilità di difendersi e provare l'inconsistenza e assurdità delle accuse. Allo stesso tempo non ho dubbi della rettitudine e lealtà di papa Francesco, che opera per il bene che cresce silenziosamente nella Chiesa». Ma è sempre di ieri la notizia che anche la Procura di Roma ha aperto un fascicolo su finanzieri e funzionari già sotto indagine in Vaticano. L'inchiesta nasce dalla rogatoria vaticana per l'investimento immobiliare nel centro di Londra, nel quartiere di Chelsea e costato centinaia di milioni di sterline alla Santa Sede. L'indagine è in mano a Maria Teresa Gerace e punta proprio sulle operazioni della segreteria di Stato tra il 2011 e il 2018, sia gli investimenti in Athena sia gli affari con l'uomo d'affari angolano Antonio Mosquito. Sta di fatto che adesso la famiglia di Pattada dovrà trovare un nuovo avvocato. Non sarà facile, dal momento che anche un principe del foro come Franco Coppi è già impegnato come consulente nella supervisione della difesa del finanziere Raffaele Mincione. E soprattutto bisognerà trovare un legale che decida di attaccare il Vaticano. Ma dal momento che oltre all'ex prefetto nelle inchieste vengono citati anche i fratelli Mario e Tonino, tra soldi alle cooperative e ora si dovrà presto impostare di nuovo la linea di difesa. Sino a due giorni fa, l'avvocato in costume da bagno, aveva spiegato di aver fatto partire «due denunce per violazione delle disposizioni penali in materia di calunnia e diffamazione aggravata e di divieto di rivelazione di segreti d'ufficio e d'indagine». Ma ora si ritorna al punto di partenza. Ieri pomeriggio è stato Dagospia a pubblicare per prima gli scatti, «gallery hot», «dell'avvocato palestrato», istantanee che hanno subito fatto il giro delle stanze vaticane scatenando ilarità e frasi di ogni tipo. Iai è molto assiduo su Twitter, Instagram e Facebook. Pubblica foto di viaggi, interagisce spesso, snocciola frasi in latino e soprattutto non disdegna di pubblicare foto del suo fisico in spiaggia. Lo fa almeno dal 2012, come si può vedere facendo una piccola ricerca su Internet. Nessuno gli ha mai contestato nulla. In particolare sul lavoro, dove è ritenuto uno dei massimi esperti di diritto penale. È anche docente di procedura penale presso la scuola superiore di magistratura dal 2013. Maturità classica nel 1991 al «Duca degli Abruzzi» di Ozieri, con il massimo dei voti, poi laurea in giurisprudenza con 110 e lode alla Luiss di Roma, con un professore come Giovanni Conso, sono solo alcuni dei punti forti di un curriculum lungo ben 23 pagine. È stato consulente presso lo studio Andersen Legal di Roma dal 1998 al 2002, poi in Ernst & Young dal luglio 2002 al febbraio 2004. Associato nello studio legale Mereu di Sassari dal marzo 2004 al luglio 2007, ora è partner dello studio legale Pisanu-Iai di Sassari. Ha avuto anche incarichi istituzionali. Il 4 ottobre 2019, quando Dagospia scriveva che papa Francesco stava per ordinare a Becciu di non lasciare la città del Vaticano per le inchieste sulle operazioni sospette, Iai twittava a difesa del cardinale: «Buon viaggio, Eminenza, la sua integrità morale è indiscutibile». Due tweet prima invece l'avvocato sardo pubblicava le sue foto al mare, intento a giocare con l'acqua. Tra i commenti ce n'è ancora uno abbastanza esplicito: «Sexy speedo».

Dagospia il 25 settembre 2020. IL RISCATTO DELLA PAPESSA - LA ROVINOSA CADUTA DI BECCIU È LA VITTORIA DI FRANCESCA CHAOUQUI, CHIAMATA DA BERGOGLIO NELLA COMMISSIONE CHE DOVEVA CONTROLLARE LE OPACHE FINANZE VATICANE E FINITA INVECE NELLE PRIGIONI DELLA SANTA SEDE PER VATILEAKS - ''BECCIU USÒ IL MIO CORPO DI DONNA INCINTA PER DIMOSTRARE CHE NESSUNO DOVEVA METTERE IL NASO NEGLI AFFARI DELLA SEGRETERIA DI STATO. LA GOGNA MEDIATICA DOVEVA UCCIDERMI. INVECE IO SONO ANCORA QUI E LUI…'' (IL POST DI UN ANNO FA). Francesca Immacolata Chaouqui scrisse questo post su Facebook, il 31 ottobre 2019, all'indomani dello scoppiare dello scandalo Londra-Becciu (suo grande nemico in Vaticano): Due foto. Una di 4 anni fa e una oggi. 4 anni fa ero in carcere in Vaticano. Due giorni dopo iniziava una gogna mediatica che aveva un solo obiettivo: uccidermi. Uccidere la mia credibilità professionale, uccidere il mio amor proprio, uccidere la mia dignità, distruggere la mia famiglia, passando sopra ad un gruppetto di cellule di 1,2 mm che era Pietro a quell’epoca. Il Cardinale Becciu all’epoca ha usato il mio corpo, la mia carne (nel senso che non ha badato a che fossi incinta x montarmi contro quel circo disgustoso) il mio cuore, la mia anima per dimostrare due cose: la prima che Bergoglio non doveva fare nomine senza di lui, la seconda che nessuno, nemmeno un commissario pontificio poteva mettere il naso negli affari della segreteria di stato. Nelle sue scelte.

4 anni dopo, 4 anni in cui a volte il ricordo di quella notte mi spacca il cuore, tiro le fila. Io scoprii le opacità dell’obolo. Ne ho pagato il prezzo ma 4 anni dopo in Vaticano ogni singolo mio nemico è stato spazzato via dalla verità. Ognuno. Gli accusati sono diventati accusatori. I traditori i vincitori. Ed io, che decine di volte a Becciu ho chiesto in questi anni di spiegarmi come conciliasse l’eucarestia con il bisogno fisico di volermi morta, sono qua. Fanculo se sono qua.

Esattamente dove Sua Eminenza non voleva che stessi. 4 anni dopo, stasera, affacciata al mio balcone, penso all’inchiesta in corso, alla giustizia fatta, penso a quel che ho fatto in Vaticano due giorni fa, e penso che ancora una volta la mia storia è una storia incredibile. Penso che chi pensava che avrei smesso di aiutare il papa x quattro giornalate sbagliava di grosso. Penso che nessuna donna ha mai affrontato la battaglia che ora sto vincendo in Vaticano e un po’ di questo vado fiera. Penso che aver perdonato Becciu, non essermi vendicata sia un merito enorme. Al mio essere cristiana in primis. Tanto ci sta pensando la vita x bene. Non mollate mai amici miei. Mai. Resistere è uno stato mentale.

Dai necrologi del ''Messaggero'' l'11 dicembre 2020: Dopo una lunga malattia vissuta con cristiana rassegnazione è tornata alla casa del Padre la Contessa. Ne danno l'annuncio i familiari e la fedele RITA. Un sentito ringraziamento a SHAINUR e KAMAL che l'hanno amorevolmente assistita e curata. La Messa funebre sarà celebrata sabato 12 dicembre alle ore 11.00 nella Basilica di Sant' Eugenio Viale delle Belle Arti 10.

Michela Tamburrino per ''la Stampa'' del 1 dicembre 2015. Difficile che si parli d’altro. Nel giro della nobiltà romana che si porta avanti per i festeggiamenti natalizi, si bada a commentare, parecchio a trasecolare ma soprattutto a prendere le distanze. Francesca Chaouqui e Marisa Pinto Olori del Poggio, contessa, non compaiono nella mailing list della nobiltà nera, quella ristrettissima che fa capo a un gruppo di famiglie, aristocrazia dei quattro quarti, del Circolo della Caccia, delle feste possibilmente altrui ma che si chiude a riccio se si tenta un upgrading sgradito. La Pinto Olori - «siete sicuri che sia contessa?» - alla sua protetta Francesca Immacolata ha aperto le porte dei salotti su entrambe le sponde del Tevere. Ma i salotti apprezzano? Tanto per essere chiari, nel «rally» dei cento sarebbe stato inimmaginabile poter vedere le due signore, per motivi di lignaggio e per motivi anagrafici. Il rally è una sorta di club non ufficializzato e non scritto, riservato ai cinquanta ragazzi e alle cinquanta ragazze più nobili del reame. Ne fanno parte i Borghese, i Torlonia, i Colonna, i Barberini e gli Odescalchi, i Massimo, gli eredi Pallavicini e pochi altri. Loro godono di grandi entrature in Vaticano per diritto di classe. Alessandra Borghese in ottimi rapporti di amicizia con l’ex papa Ratzinger, divenne affine per le sue doti di cultura e simpatia ma anche per il cognome che porta, senza dover andare, chiedere, conoscere, cercare entrature, frequentare a dismisura. Lei è, il resto accade con estrema naturalezza. «Oramai la nobiltà nera si è annacquata, è diventata grigia - qualcuno scherza - le persone di cui ai tempi moderni si parla di più si avvicinano pericolosamente al generone e nulla hanno a che fare con l’aristocrazia. Un titolo qualsiasi non si nega più a nessuno». Oltre «la nobiltà della scaletta» voluta in partenza dall’ultimo re d’Italia, ora si aggiunge «la nobiltà della scalata». Più generoso nel giudizio è il principe Carlo Giovanelli: «Sì, la Pinto la incontro, era moglie dello storico stampatore, si dà molto da fare: beneficenza, ricevimenti in ambasciate, soprattutto lì è sempre presente. Una donna intelligente, simpatica. Anche abbastanza potente, ha una villa (sfarzosa vicino al Raccordo Anulare) dove riceve ministri e appunto ambasciatori. Francesca Chaouqui era spesso con lei ma l’ho conosciuta poco». Una classica signora bene romana, con i capelli scolpiti, Marisa Pinto Olori del Poggio, molto vicina al giro del Quirinale in epoca Ciampi, amica di sua Franchezza quando era first lady, come testimoniano anche i resoconti mondani di Dagospia, un giro tendenzialmente laico perciò, nel quale Francesca Chaouqui si muoveva a suo agio. «Avrebbe parlato anche con i muri risultando gradevole anche a questi», si sente dire, fino a quell’invito scellerato sulla terrazza di Lucio Vallejo Balda per festeggiare la canonizzazione di due papi. La si ricorda quasi come padrona di casa conversare con i tanti ospiti. Un invito molto aperto anche ai laici graditi dove si notavano Maria Latella e Bruno Vespa, oltre ai tanti porporati. Ma per la prova del nove basta tornare alle cene da Maria Angiolillo dove le due signore non sono ricordate. Dice Roberto D’Agostino: «Tutto questo non ha niente a che fare con la Roma papalina e con la nobiltà romana. Il giro del Vaticano è un’altra cosa. È difficile spiegarlo, Roma è fatta di tante sfere, è come una matrioska nella quale ti perdi. Dalla Angiolillo giravano i due pontefici, quello laico, Gianni Letta, e quello porporato, Sua Eminenza Re, i due padrini ai pranzi e non mancavano mai». Altri tempi e altri personaggi, nei salotti capitolini ci si chiede come possa essere successo che una donna giovane pur se bravissima e intelligentissima sia giunta ad avere confidenza con il potere, quello vero di Oltretevere. A questo punto si entra nel campo delle illazioni. Ad introdurre Chaouqui ai piani alti in molti dicono sia stato il cardinale Turan, protodiacono del Collegio Cardinalizio, colui che presenta al mondo il nuovo papa, amico della Pinto. Da lì l’interessamento di monsignor Balda e l’incarico che oggi li ha portati a processo.

Giovanni Bucchi per formiche.net del 4 gennaio 2016. Nobildonna molto potente. Editrice, benefattrice, ambasciatrice. Pure un po’ conservatrice. Cattolica romana, con relazioni e referenze di altissimo livello. E un nome che basta già di per sé a descriverne la personalità aristocratica: Marisa Pinto Olori del Poggio. Settantasei anni, originaria di Lecce, vedova dello storico stampatore ed editore romano Luigi Pinto nella cui azienda si sfornavano le copie del Sole24Ore destinate alla capitale e dintorni, la contessa maestra nel tessere relazioni di alto livello, amica degli Agnelli e con ottimi rapporti sia in Vaticano che al Quirinale, è finita suo malgrado nel tritacarne mediatico del Vatileaks 2. Il motivo? Sarebbe stata lei a introdurre Francesca Immacolata Chaouqui – che su Facebook ha raccontato a fine anno cosa farà quando dopo Pasqua andrà in carcere – nei salotti della Roma che conta. Per capire come la giovane pierre calabrese sia finita al cospetto della nobildonna con sfarzosa villa sulla Cassia, bisogna tornare indietro di almeno due anni. Già, perché è la stessa Chaouqui nel settembre 2013 a rivelare su l’Espresso in un dialogo con Denise Pardo di aver conosciuto la contessa nel 2008. Come? Prima la collaborazione con Roma In di Sabino Ricci, quindi l’incontro in Senato con Giulio Andreotti che le suggerisce di bussare alla porta del blasonato studio legale Pavia e Ansaldo, e lì la conoscenza con l’avvocato Ernesto Irace. “Un giorno per caso – racconta Chaouqui -, il marchese Guerrieri Gonzaga, amico di Irace, mi presenta Marisa Pinto Olori del Poggio”, descritta come “una donna di grande intelligenza, sapienza e anche grande potere. E’ moglie di un importante stampatore, unica italiana ad aver ricevuto l’onorificenza russa di Caterina la Grande, è una delle prime a mettere piede in Corea e il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon è suo buon amico. E’ anche ambasciatrice a disposizione di San Marino. La contessa che ha immense capacità di relazioni, mi indica, in un certo senso, un metodo: se vuoi mettere in contatto la persona A e con la persona B devi trovare un interesse comune e su questo lavorare. Lei mi insegna tutto: come si apparecchia la tavola, come si riceve, come riuscire a tenersi un marito”. Luigi Bisignani è sempre stato in buoni rapporti con Pinto, marito della contessa Olori del Poggio, e proprietario del giornale Il Mezzogiorno d’Abruzzo dove il giornalista-faccendiere ha mosso i primi passi. Interpellato di recente da Carmelo Lopapa di Repubblica, Bisignani ha spiegato che Chaouqui “me la presentò la mia amica Marisa Pinto Olori del Poggio”. In un’intervista concessa a Franco Bechis di Libero, Bisognani conferma: “Pensi che lei (Chaouqui, ndr) nel 2013 aveva fatto un’intervista a Panorama dicendosi onorata di non avermi mai conosciuto. E invece poi – in tempi più recenti – me l’ha presentata la contessa Olori del Poggio, che è stata la mia prima editrice: mi diede il primo lavoro da giornalista quando avevo 18 anni”. L’intervista citata in realtà era quella de l’Espresso, ma la sostanza non cambia. A metterle in fila tutte servirebbe un libro. Grande Ufficiale per l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, riconoscimento conferitole nel 2003 su iniziativa della presidenza della Repubblica quando l’inquilino del Quirinale era Carlo Azeglio Ciampi, con il quale la contessa manteneva stretti rapporti, in particolare con la moglie Franca Pilla, sua grande amica come scritto da Lettera43. Dal 2012 la contessa è ambasciatore a disposizione della Repubblica di San Marino; come scrisse nel 2012 il quotidiano locale La Voce di Romagna, tale carica le sarebbe stata attribuita per avere avuto “il merito di introdurre nei salotti della Roma bene” il segretario di Stato sammarinese Antonella Mularoni. Dal 2006 Olori del Poggio è anche una Dama di Gran Croce di Giustizia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. In quanto a beneficenza, il suo nome spunta tra i soci onorari della Fondazione Samuel & Barbara Stenberg Onlus, così come tra i consiglieri di Arpai (Associazione per il restauro del patrimonio artistico italiano) guidata dai Marzotto. E’ stata vicepresidente della St. John’s University di Roma, il prestigioso Ateneo presente da vent’anni nella capitale e fondato nel 1870 dalla comunità Vincenzana d’America e legato al carisma di San Vincenzo de’ Paoli. Insomma, la nobildonna “occupa un’infinita serie di poltrone” come ha scritto Marco Damilano su l’Espresso. “Nel board della St. John University, vice-presidente della Fondazione Gerusalemme (guidata da Giancarlo Elia Valori), il suo regno è il club Diplomatia, in cui si radunano imprenditori, ambasciatori, docenti. La signora riceve nell’ufficio di via Sallustiana, accanto all’ambasciata americana di via Veneto, il presidente prima dei guai giudiziari è l’eterno Umberto Vattani, per decenni dominus della Farnesina”. C’è chi l’ha accostata ad ambienti del cattolicesimo tradizionalista e lefebvriano, come scritto da Lettera43, e pure chi alla nobiltà nera della capitale che, stando a la Stampa, l’avrebbe però “scaricata”. E’ soprattutto in Diplomatia che Olori del Poggio tesse relazioni di alto livello. Oltre che vicepresidente senior di questo club (“associazione unica nel suo genere che svolge finalità di carattere istituzionale e di rilevanza internazionale” si legge nella presentazione sul sito), è pure direttrice di Pragmatica. Nel comitato editoriale della rivista, scrive Damilano su l’Espresso, si ritrovano nomi altolocati: “l’ambasciatore Rocco Cangelosi, consigliere diplomatico di Giorgio Napolitano, Vincenzo Cappelletti, direttore dell’Enciclopedia Italiana, Vittorio Grilli, ministro dell’Economia nel governo Monti, Emmanuele Emanuele, presidente della fondazione Roma, Antonio Pedone, Umberto Veronesi”. “In Diplomatia c’è il mondo intero, nel vero senso della parola – aggiunge Alessandro Da Rold su Lettera43 – Dalle banche, con il vicepresidente esecutivo Stefano Balsamo, vice chairman Italia di Jp Morgan Chase Bank, fino a Giovanni Castellaneta, presidente di Sace di Cassa Depositi e Prestiti, consigliere di Finmeccanica, ex ambasciatore italiano in Iran, Australia e Stati Uniti. In Diplomatia transita tutto l’establishment italiano. Nel board siedono Hassan Abouyoub, ambasciatore del Marocco, Sergio Balbinot, membro executive board Allianz, Giuseppe Bono, ad di Fincantieri, Umberto Di Capua, presidente di Elettronica Aster. E poi ancora: Maria Patrizia Grieco, presidente di Enel, Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro, e Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, fino a Mauro Moretti, amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica”. Il filo diretto con il Vaticano alla contessa non manca. Uno è con il cardinale Giovanni Battista Re, l’altro – a quanto pare il più importante – con il cardinale francese Jean-Louis Tauran, per lunghi anni presidente del Consiglio pontificio per il dialogo interreligioso e ora Camerlengo della Santa Sede. Fabio Marchese Ragona su Panorama ha scritto che la nobildonna è “un’amica di vecchia data” del prelato, che “conosce lo stretto collaboratore del Papa da almeno trent’anni” e – come rivelato da monsignor Lucio Angel Vallejo Balda ai pm vaticani – “teneva Tauran al guinzaglio come un cagnolino”. Secondo il settimanale di Mondadori, sarebbe stata Olori del Poggio nell’inverno del 2012, appena scoppiato Vatileaks 1, a presentare Chaouqui al cardinale Tauran, aprendo così alla pierre calabrese le porte del Vaticano. “Sì, conosco Francesca, ma non l’ho introdotta io in Vaticano, ci è entrata da sola”, si era limitata a dire la contessa a inizio novembre a Lettera43, salvo poi nei giorni scorsi lasciarsi andare sul Tempo a un vero e proprio sfogo dicendosi estranea a tutta questa vicenda. Ma in quali rapporti era la nobildonna romana con monsignor Vallejo Balda, il secondo presunto corvo di Vatileaks 2 dopo Chaouqui? Che i due si conoscessero, lo si evince dalle deposizioni fatte dal sacerdote spagnolo in sede processuale. Ma c’è un altro particolare passato sotto traccia e che porta alla fondazione Messaggeri della Pace. Si tratta di un’organizzazione spagnola, poco conosciuta in Italia, che a Roma può contare sul concreto sostegno della contessa Olori del Poggio, come si legge nel sito spagnolo dell’associazione. Di questa fondazione ne parla anche Bisignani nella sua intervista a Libero. Alla domanda di Bechis se abbia mai frequentato monsignor Balda, il giornalista-faccendiere replica: “L’ho visto una volta sola. Mi sponsorizzava un’attività da fare a Lampedusa con un suo prete spagnolo, tale Angel Garcia che nel 1962 nelle Asturie aveva fondato i Messaggeri della Pace”. Guarda un po’, la stessa associazione guidata in Italia dalla nobildonna.

Giacomo Amadori per “la Verità” il 2 dicembre 2020. Il 19 novembre scorso La Verità ha pubblicato lo scoop sul mega investimento da 1,25 miliardi di euro per l' acquisto di 800 milioni di mascherine deciso dal commissario Domenico Arcuri e gestito dal funzionario dell' ufficio acquisti Antonio Fabbrocini. Il titolo del nostro articolo era: «Indagine sulle mascherine di Arcuri». La vicenda partiva da una segnalazione del 30 luglio 2020 inviata all' Unità di informazione finanziaria della Banca d' Italia che evidenziava le provvigioni milionarie (72 milioni per l' esattezza) incassate dalla Sunsky Srl dell' ingegnere aerospaziale Andrea Vincenzo Tommasi e dal suo intermediario Mario Benotti, il giornalista Rai che per aver messo in contatto Tommasi con Arcuri avrebbe intascato ben 12 milioni di euro. Però la Sos (segnalazione di operazione sospetta, ndr) dell' Antiriciclaggio prima di finire sulle pagine del nostro quotidiano era arrivata alla Procura di Roma guidata da Giuseppe Prestipino, dando il via a un' inchiesta riservatissima che potrebbe portare a clamorosi sviluppi. A occuparsene è il pool dei reati della pubblica amministrazione coordinato dall' aggiunto Paolo Ielo. Il procuratore Prestipino non si è sbottonato, ma ha ammesso l' esistenza del fascicolo: «Ci stiamo lavorando. Non posso dire altro perché altrimenti violerei il segreto. Già ci siamo lamentati perché hanno fatto uscire sui media questa Sos. Posso dire che stiamo lavorando da tempo su quella segnalazione». All' incirca da quando è stata trasmessa alla Banca d' Italia nell' estate scorsa. È un' inchiesta importante? «Direi di sì» ammette il procuratore. C' è il massimo riserbo sui nomi degli indagati e sulle ipotesi di reato. Resta il fatto che ci troviamo di fronte a «un' inchiesta importante». «I magistrati e la guardia di finanza stanno lavorando. Dovete avere solo un po' di pazienza», conclude Prestipino. I fornitori delle mascherine erano tre ditte cinesi e secondo i risk manager delle banche gli accordi «parrebbero identici variando solo le date e la carta intestata». Nella Sos si legge pure che «sospette appaiono anche le provvigioni che sembra sarebbero riconosciute oltre che a Sunsky anche a Microproducts It Srl per quasi 12 milioni di euro a fronte di ricavi nel 2019 di circa 72.000 euro». La Microproducts, presieduta da Benotti, è controllata all' 80% da Partecipazioni Spa, di cui il giornalista è fondatore, vicepresidente e «titolare effettivo», come si legge nella segnalazione all' Antiriciclaggio. Sul sito del commissario dell' emergenza, che dipende direttamente dalla presidenza del Consiglio, a proposito delle commesse cinesi, viene data sempre la stessa spiegazione, versione ciclostile: «Il fornitore è stato individuato all' inizio del mandato del commissario tra i pochi che al mondo tra i pochi che erano in grado di offrire, in modo affidabile, notevoli quantità di mascherine a prezzi per l' epoca concorrenziali». Quasi un excusatio non petita. La fornitura che colpisce di più è quella per 450.000.0000 di mascherine chirurgiche acquistate dal commissario al prezzo di 0,49 centesimi, praticamente uguale a quello calmierato deciso la scorsa primavera da Arcuri per la vendita in farmacia. Ma in questi mesi di indagini che cosa avranno scoperto la Procura e la guardia di finanza? I prezzi delle mascherine erano congrui? I dispositivi erano regolari? Qualche politico o tecnico al servizio del governo ha beneficiato di una fetta delle generosissime commissioni pagate da Pechino? Noi nei giorni scorsi abbiamo evidenziato come l' uomo che ha portato l' ingegner Tommasi nelle stanze della politica è stato Benotti, ex stretto collaboratore di tre ministri Pd, Graziano Delrio, Sandro Gozi e Giuliano Poletti. Nella segnalazione all' Antiriciclaggio veniva evidenziato anche un versamento di 53.000 euro in due tranche da parte della società di Tommasi ad Antonella Appulo, ex segretaria dello stesso Delrio e amica di Benotti. Tommasi, una decina di giorni fa, ci aveva fatto sapere che a proporgliela come pierre era stato lo stesso giornalista. E si era vantato anche di aver fatto risparmiare il governo soprattutto sul trasporto dei dispositivi: «Alitalia costava 750.000 euro per ogni viaggio e l' El Al (la compagnia israeliana, ndr) sui 375.000 dollari. Per lo stesso tipo di aereo (Boeing 777, ndr). Il commissario Arcuri non è riuscito a far ragionare l' amministratore di Alitalia per avere la stessa tariffa. Quindi io sono soddisfatto per essere riuscito a fare tutto ciò e a questo prezzo...», ci aveva riferito. Alessandro Sammarco e Giuseppe Ioppolo, legali di Benotti, con La Verità offrono al cronista una pista alternativa: «Siamo svolgendo indagini difensive per scoprire chi possa essere all' origine del gigantesco abbaglio mediatico riguardante questo appalto, tenuto conto che la fornitura di mascherine realizzata dalle società dei nostri assistiti ha fatto risparmiare allo Stato italiano centinaia di milioni di euro e forse ha scontentato altri soggetti che miravano a guadagni personali anche grazie al trasporto delle mascherine». Tommasi ci ha detto che l' Alitalia offriva voli al doppio del prezzo della compagnia israeliana, sta facendo riferimento a questo? «Sì. Questa è una delle ipotesi che stiamo vagliando». Benotti, come detto, è vicepresidente della Partecipazioni Spa (l' amministratore delegato è la compagna del giornalista, Daniela Guarnieri), società di cui ha ceduto il 3% delle quote, nel 2015, all' ottantenne Guido Pugliesi, ex amministratore dell' Enav, l' ente che gestisce il traffico aereo civile in Italia. Il restante 97% della ditta appartiene alla Cardusio fiduciaria, «mentre Benotti», si legge nella segnalazione, «è stato indicato come il titolare effettivo». Nella Sos del 30 luglio 2020 è specificato che Pugliesi e Benotti sono stati «attenzionati» in un altro alert bancario per alcuni bonifici scambiati tra loro o indirizzati a terzi soggetti: «I prestiti personali tra Pugliesi e Benotti», specifica la comunicazione all' Antiriclaggio, «le implicazioni processuali (sono stati entrambi sottoposti a procedimenti giudiziari: il primo è stato prescritto, il secondo archiviato, ndr) e le connessioni societarie tra loro intercorrenti lasciano emergere relazioni non adeguatamente giustificate, tali da non consentire di stabilire con certezza la liceità della destinazione finale delle somme in uscita». Il documento è datato 25 settembre 2019. Dieci mesi dopo alla Banca d' Italia è arrivata la segnalazione sul grande affare delle mascherine. Ed è partita l'«importante inchiesta» della Procura di Roma.

Giacomo Amadori per “la Verità” il 6 dicembre 2020. Dai misteri di San Marino a quelli vaticani, nell'inchiesta delle mascherine acquistate da tre ditte cinesi dal Commissario straordinario per l'emergenza sanitaria Domenico Arcuri sta entrando davvero di tutto. La vicenda è nota ai nostri lettori: la Procura di Roma ha aperto un fascicolo (il 37684 del 2020) per traffico illecito di influenze nei confronti di sei persone accusate di aver portato a casa commesse per 1,25 miliardi di euro grazie ai rapporti con Arcuri di Mario Benotti, a sua volta indagato. Quest' ultimo è un giornalista Rai in aspettativa considerato «esposto politicamente» e con importanti entrature in Vaticano (il padre era il vicedirettore dell'Osservatore romano, Teofilo Benotti). Benotti, difeso dagli avvocati Alessandro Sammarco e Giuseppe Ioppolo, ha incassato attraverso la sua Microproducts It Srl ben 12 milioni di commissioni. Gli uomini del Nucleo speciale di polizia valutaria a casa sua, un bell'appartamento con vista su Castel Sant' Angelo, hanno portato via computer e faldoni relativi ai contratti con le aziende cinesi produttrici di mascherine. Perquisizione anche a casa del banchiere sammarinese Daniele Guidi, difeso dall'avvocato Massimo Dinoia, lo stesso, per citare qualche cliente, di Marco Carrai e Cecilia Marogna. I pm romani, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, nei decreti di sequestro hanno scritto: «Risulta altresì che partner di Tommasi sia stato Guidi che, unitamente a Tommasi, ha curato l'aspetto organizzativo e, in particolare, i numerosi voli aerei per convogliare in Italia un quantitativo così ingente (di mascherine, ndr), compiendo i necessari investimenti». Il cinquantaquattrenne originario del Monte Titano è un manager piuttosto chiacchierato. Nel 2019 è finito sotto indagine per la gestione della Banca Cis (Credito industriale sammarinese), di cui era amministratore delegato e direttore generale, nonché socio della stessa attraverso una società lussemburghese, la Leiton. Guidi è sotto inchiesta con l'accusa di associazione per delinquere, concorso in amministrazione infedele, compartecipazione in truffa aggravata ai danni della Repubblica, corruzione e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Il procedimento è ancora in fase di indagini preliminari. L'istituto che Guidi dirigeva è stato messo in risoluzione con un buco di oltre 400 milioni, di cui si sta facendo carico lo Stato. Oggi il manager ha lasciato la piccola Repubblica e vive in Italia dove ha intrapreso nuovi business. Quando era alla guida dell'istituto l'Aif, l'agenzia antiriciclaggio di San Marino, aveva denunciato, tra i tanti, un prestito anomalo al fratello di Romano Prodi, Vittorio. Per entrare più nel dettaglio, Banca Cis aveva finanziato con 730.000 euro la società Laboratori Protex Spa a fronte di un pegno su alcuni titoli pari a un valore di 10.000 euro. Una quota di questa società (7,84%) era di proprietà di Vittorio Prodi.Questo cognome è noto a Benotti, il quale, oltre a conoscere personalmente il Professore, è stato un collaboratore del figlioccio politico dell'ex premier, Sandro Gozi. Nell'inchiesta ci sono anche due indagate per ricettazione. Una di queste è Francesca Chaouqui, la «papessa» del caso Vatileaks, accusata per la firma di alcuni contratti di consulenza con Benotti. Anche le perquisizioni negli uffici e in casa della trentanovenne calabrese hanno riservato sorprese. Tra giganteschi spezieri del '600 e gabbie con colorati pappagalli, i finanzieri sono andati alla ricerca di documenti riguardanti le società cinesi o contenenti i nomi di pubblici ufficiali, e, invece, hanno trovato solo carte vaticane, cassetti pieni di incenso con il sigillo pontificio, timbri con stemmi della Santa sede e della Cosea (Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull'organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa sede), pergamene pregiate con in filigrana la parola «secretum». Nei due appartamenti della View point strategy, società di comunicazione della Chaouqui, non sono passate inosservate le altissime pile di «(Ri)costruzione», l'ultima fatica letteraria di Benotti. La papessa, in base a un contratto di promozione firmato con il giornalista, ha infatti acquistato 1.500 copie del tomo da regalare ai clienti. Durante le operazioni i finanzieri hanno tentato inutilmente di aprire una cassaforte a muro, di cui l'indagata non possiede le chiavi, come confermato dal locatore. In un forziere bianco gli investigatori hanno trovato un archivio di documenti vaticani, distinte, bilanci, lettere e faldoni di documenti su Vatileaks, Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), Papa Francesco, Cosea, nonché diversi faldoni sul palazzo di Londra al centro di un'inchiesta vaticana. I militari hanno solo dato uno veloce a questa mole di materiale, non essendo pertinente all'inchiesta e detenuto dalla Chaouqui in veste di commissario Cosea. Infine i finanzieri si sono scervellati su un quaderno di appunti con versi di poesie ripetuti centinaia di volte. Frasi che nascondevano, attraverso la cosiddetta sequenza di Fibonacci, il codice segreto di uno scrigno. A casa della donna hanno trovato antiche copie della Divina commedia e una frase anch' essa scritta ossessivamente su antichi diari in pelle: «La pace è solo un nemico che ti sta studiando». Anch' essa nascondeva una sequenza alfanumerica. Venerdì le Fiamme gialle hanno bussato pure al dipartimento della Protezione civile. «Siamo totalmente estranei ai fatti» hanno fatto sapere da via Ulpiano, sottolineando che «i documenti acquisiti» dalla Guardia di finanza «non riguardano commesse del Dipartimento». In effetti a interessare gli investigatori erano i pareri (e i relativi documenti) del Comitato tecnico scientifico sulle forniture al centro dell'indagine. I finanzieri si sono presentati con una richiesta di esibizione atti anche in via Calabria, sede della struttura del Commissario straordinario per l'emergenza Covid. I funzionari hanno messo a disposizione la documentazione richiesta. Le perquisizioni sono state il primo atto concreto di ricerca della prova a carico degli indagati, non essendo consentite le intercettazioni per il reato di traffico illecito di influenze. Se l'esito sarà fruttuoso l'inchiesta potrebbe avere nuovi sviluppi, portando al coinvolgimento di altri soggetti e all'accertamento di ulteriori reati.

Giacomo Amadori per “la Verità” il 7 dicembre 2020. Nel suo libro (Ri)costruire il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, indagato per traffico illecito di influenze dalla procura di Roma per un appalto da 1,25 miliardi e 801 milioni di mascherine cinesi, non ha mancato di ringraziare l'uomo grazie al quale ha potuto incassare 12 milioni di euro di provvigioni, ovvero il commissario straordinario per l'emergenza sanitaria Domenico Arcuri. Tra una ricetta e un'altra per risollevare l'Italia e in mezzo a molti attacchi riservati a Giuseppe Conte e al suo governo, Benotti usa parole di miele per l'ad di Invitalia: «Sulla generosità umana e professionale del commissario all'emergenza e dei suoi pochi collaboratori () è stato rovesciato il compito proibitivo di fornire mascherine e respiratori, reperendoli in tutto il mondo con enormi difficoltà e responsabilità». Ovviamente molti dispositivi l'eroico Mimmo li ha trovati in Cina, grazie allo stesso Benotti. Ma il panegirico non è finito: «Di fatto, Arcuri si è trovato a supplire in poche ore e poche notti alle scelte deliranti assunte dal Paese nel corso degli anni passati, con l'uscita dal mercato dei dispositivi di protezione individuali e dei reagenti». Insomma il commissario, per Benotti, è già pronto per un monumento equestre. Forse perché, secondo gli inquirenti romani, il giornalista, «sfruttando le sue relazioni personali con Arcuri () si faceva prima promettere e quindi dare indebitamente () la somma di 11.948.852 euro». Non è però ancora chiaro da quanto tempo Arcuri e Benotti si conoscano e quando l'indagato abbia attivato il suo canale con il commissario. Sfruculiando tra i contratti di intermediazione che hanno permesso all'ingegnere aerospaziale Andrea Vincenzo Tommasi, alla sua Sunsky Srl, all'ecuadoriano Jorge Solis e a Benotti di incassare 63,5 milioni di commissioni, si intuisce, però, che la presunta cricca delle mascherine (che al momento conta 8 indagati) qualche via preferenziale potrebbe averla trovata. A pagina 4 dei decreti di perquisizione si legge che gli inquirenti hanno scovato le proposte di incarico da parte di due aziende cinesi, aventi a oggetto «consulenza in tema di promozione e vendita - in Paesi diversi dalla Cina - di dispositivi medici». Datate 10 marzo e 16 marzo, sono state accettate dalla Sunsky Srl di Tommasi solo il 28 marzo, quando gli ordini erano già stati formalizzati da tre giorni. Inoltre, le toghe scrivono che le lettere di proposta di mediazione «sono redatte con il medesimo carattere e le medesime impostazioni grafiche». Quindi è lecito pensare che, come spesso succede, sia stata la stessa Sunsky ad averle predisposte e ad aver detto ai cinesi: se vi interessa la fornitura inviatemi questa proposta. Nelle carte c'è anche una bozza di incarico del 12 aprile 2020 della Luokai Trade (Yongjia) con «medesimo oggetto», ma «senza data di accettazione». In ogni caso anche la Luokai ha fornito i suoi dispositivi al commissario e ha pagato le provvigioni. Ma concentriamoci sulle proposte d'incarico del 10 e del 16 marzo. La sera dell'11 dello stesso mese il premier Conte aveva annunciato via Facebook agli italiani la nomina di Arcuri a commissario «per potenziare la risposta delle strutture ospedaliere a questa emergenza sanitaria» e aveva puntualizzato che l'ad di Invitalia avrebbe avuto «ampi poteri di deroga». Arcuri (nominato ufficialmente il 17 marzo 2020) dal 5 marzo partecipava alle riunioni per l'emergenza con Conte e la Protezione civile. Cinque giorni dopo, il 10 marzo, Benotti e Tommasi si erano già attivati per predisporre i contratti per beneficiare delle lucrose commissioni. A quanto ci risulta, prima del 10 marzo, gli indagati non avevano contattato la Protezione civile, come confermano dalla sede di via Ulpiano: «Possiamo dire che con ogni probabilità, anche se non abbiamo potuto fare una ricerca accurata, questi signori non si sono mai palesati con noi, anche perché se ci avessero proposto così tanti dispositivi ce lo ricorderemmo. Era una commessa importante e in quel periodo eravamo alla disperata ricerca di mascherine». Neanche alla Consip, la centrale acquisti dello Stato, ricordano Tommasi e Benotti. Consip richiedeva fideiussioni e la Protezione civile faceva l'esame del sangue a mediatori o fornitori. Chissà se avrebbero preso in considerazione una società come quella di Tommasi impegnata nella consulenza nel settore della Difesa e dell'aeronautica e con un capitale sociale di 100.000 euro a fronte di una fornitura da 1,25 miliardi. A questo punto non si può escludere che Benotti, il trait d'union con Arcuri, disponesse di informazioni privilegiate e che prima del 10 marzo sapesse che l'ad di Invitalia stava per essere nominato commissario e che avrebbe avuto il potere di disporre forniture miliardarie senza gara. Infatti prima del 17 marzo questo tipo di affidamenti era disposto solo dalla Protezione civile. Che però non sarebbe stata contattata da Benotti & C. In alternativa le forniture dovevano avvenire attraverso gare Consip. L'inviato della Rai nel suo tomo elogia pure l'intenso lavoro di Arcuri per la riconversione delle aziende italiane nel settore della produzione delle mascherine. Ma, alla fine, deve ammettere che tutt' oggi «alle gare pubbliche nel settore partecipano - attraverso il principio del massimo ribasso e senza puntare sulle società operanti in Italia - solo aziende provenienti da Cina e Corea o dall'Oriente in generale poiché, se si vuole ottenere una fornitura di mascherine chirurgiche a 8 centesimi - come recentemente accaduto - non vi sono molte altre soluzioni». E pensare, che grazie a lui, Arcuri, a marzo e aprile, le chirurgiche cinesi (460 milioni di pezzi) le aveva pagate tra 49 e 55 centesimi.

Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 5 dicembre 2020. Il Paese è affamato di mascherine. Il periodo è aprile marzo. Il commissario straordinario Domenico Arcuri è in affanno. Non si trovano i dispositivi. Il giornalista in aspettativa della Rai, Mario Benotti ha però la soluzione in tasca: grazie al suo amico, l'ingegnere Andrea Vincenzo Tommasi con ottimi agganci in estremo oriente, è in grado di far piovere sull'Italia 800 milioni tra chirurgiche, ffp2 e ffp3. Merce made in China. Costo dell'operazione un miliardo e 251 milioni di euro. Fin qui tutto regolare, i prezzi sarebbero in linea con il folle mercato di quei mesi. Ma il dato che fa partire la segnalazione di operazione sospetta (sos) da Bankitalia, la successiva indagine della procura e le perquisizioni del valutario della finanza di ieri sono i denari che la coppia Tommasi-Benotti incassa per aver mediato l'operazione: quasi 60 milioni di euro. Da qui parte l'inchiesta. A Roma la procura, l'aggiunto Paolo Ielo, apre un fascicolo ed iscrive per traffico di influenze illecite Benotti. Implicati nell'inchiesta anche Tommasi e Antonella Appulo ex segretaria dell'ex ministro ai Trasporti e infrastrutture Graziano Delrio. Inoltre anche Francesca Immacolata Chaoqui, nota alle cronache per gli scandali nella vicenda Vatileaks, finisce sotto la lente della procura. Riciclaggio, l'accusa rivolta alla dama nera. La donna, 39 anni, ha incassato con la sua società View Point Strategy, 220mila euro tra aprile e novembre da Benotti. Denaro, si legge nel decreto di perquisizione, frutto «del reato di traffico illecito di influenze commesso» proprio dal giornalista Rai. In sostanza, questa è la tesi degli inquirenti, la Chaoqui avrebbe incassato consapevolmente soldi che provengono da un'operazione sporca. L'operazione sporca in questione sarebbe, come emerge dalle carte della procura, proprio la mediazione esercitata da Benotti nei palazzi romani: «ricorrono gravi indizi del reato contestato (traffico di influenze illecite), essendo emerso dagli accertamenti svolti che le forniture ordinate dal commissario straordinario alle società indicate nell'incolpazione siano state illecitamente intermediate da Mario Benotti». Quest' ultimo, scrivono sempre gli inquirenti avrebbe «sfruttato la personale conoscenza con» Arcuri «facendosene retribuire, in modo occulto e non giustificato da esercizio di mediazione professionale istituzionale». In pratica Benotti si sarebbe mosso all'interno dei palazzi del potere per far recapitare l'offerta a chi di dovere esercitando attività di lobbying mentre il suo socio Tommasi si muoveva in direzione del Dragone per garantirsi la maxi fornitura. Un business concluso con successo con le due società cinesi la Wenzhou Moon Ray e la Wenzhou Light che fanno piovere le mascherine nel paese in virtù di «sei ordini commessi dal governo italiano». Nel frattempo le due aziende cinesi versano una cascata di milioni anche a due società italiane a titolo di provvigione (i 60 milioni di euro). La fetta più grossa va alla Sunsky di Tommasi l'altra alla Microproduts di Benotti. Dopodiché 53mila euro dalla Sunsky approdano sul conto di Antonella Appullo. Così scrivono gli inquirenti «movimento finanziario giustificato mediante false fatturazioni». A richiedere il pagamento a Tommasi è Benotti, si legge sempre nelle carte. «Benotti - compare nel decreto di perquisizione - intrattiene uno stretto rapporto con Appulo, anch' ella con passato politico». La Chaoqui spiega di «non sapere nulla sulla provenienza dei soldi» e che quei compensi incassati sono relativi a dei «servizi di produzioni web e comunicazione richiesti da Benotti che aveva conosciuto in Vaticano». In un nota gli uffici del Commissario straordinario per l'emergenza hanno fatto sapere di aver «consegnato alla Finanza tutta la documentazione relativa ai contratti di forniture dei dispositivi sottoscritti agli inizi dell'emergenza con alcune aziende cinesi».

Giacomo Amadori per “la Verità” il 5 dicembre 2020. Per la storia dell'appalto monstre da 1,25 miliardi di euro, spesi dalla struttura del commissario straordinario per l'emergenza sanitaria, Domenico Arcuri, ieri sono scattate le perquisizioni ordinate dai pm romani Gennaro Varone e Fabrizio Tucci. I principali indagati sono Mario Benotti, giornalista in aspettativa, già stretto collaboratore di tre ministri Pd (Sandro Gozi, Giuliano Poletti e Graziano Delrio) e intermediario dell'affare, accusato di traffico illecito di influenze, insieme con il socio Andrea Vincenzo Tommasi, ingegnere aerospaziale, proprietario della milanese Sunsky Srl che ha importato dalla Cina circa 800 milioni di mascherine che avrebbero fruttato almeno 63,5 milioni di euro in provvigioni a Tommasi, Benotti e alla loro presunta cricca. Il cronista viene definito dagli inquirenti «persona politicamente esposta per essere stato già consulente presso la presidenza del Consiglio dei ministri, con notevoli entrature nel mondo della politica e dell'alta dirigenza bancaria». Da quanto si apprende dal decreto di perquisizione consegnato a Benotti, sono accusati di traffico illecito di influenze pure la compagna Daniela Rossana Guarnieri, il quarantanovenne equadoriano Jorge Edisson Solis San Andres, il cinquantaquattrenne banchiere sammarinese Daniele Guidi e il sessantatreenne l'avvocato Georges Fares Skandam Khouzam, nativo di Mantova, ma con origini mediorientali. L'ex funzionaria ministeriale Antonella Appulo e l'imprenditrice Francesca Chaouqui, la «Papessa» del caso Vatileaks, sono invece accusate di ricettazione. In tutto ci sono quindi almeno otto indagati. Nel decreto si legge che Benotti, «sfruttando le sue relazioni personali con Domenico Arcuri, commissario nazionale per l'emergenza Covid, si faceva prima promettere e quindi dare indebitamente da Andrea Tommasi, Daniele Guidi e Jorge Edisson Solis San Andres, la somma di 11.948.852 euro» di cui quasi 9 milioni sono confluiti sul conto della Microproducts It Srl, di cui la Guarnieri è la legale rappresentante, e 3 milioni su quello della controllante Partecipazioni Spa presieduta da Khouzam. Quei 12 milioni sono considerati dai pm romani una «remunerazione indebita () -perché svolta al di fuori da un ruolo professionale/istituzionale - della sua mediazione illecita, siccome occulta e fondata sulle relazioni con il predetto commissario». Le commesse cinesi di cui parliamo da giorni su questo giornale sarebbero state individuate grazie all'intermediazione di Tommasi, Guidi e Solis San Andres, i quali avrebbero ricevuto 59.705.882 euro, sui conti di Susnky, l'azienda di Tommasi, e 3,8 milioni, sui conti della Guernica dell'imprenditore equadoriano. Tommasi avrebbe provveduto a richiedere alle società cinesi «di accreditare il compenso illecito a Benotti sui conti correnti delle due aziende». Quindi in totale le provvigioni ammonterebbero, come detto, a 63,5 milioni e non a 72 come denunciato dall'Antiriciclaggio. Nei decreti di perquisizione si legge che i soldi sono giunti sui conti tra marzo e il 14 luglio 2020, che «c'è l'aggravante» del coinvolgimento di «cinque o più persone» e che «ricorrono gravi e fondati del reato provvisoriamente contestato». Le toghe hanno anche riassunto il presunto disegno criminale: «Lo schema di azione che ne risulta è quello dell'intermediario, il quale, forte del suo credito verso un pubblico ufficiale, ottiene, per sé e per i suoi soci, un compenso per una mediazione andata a buon fine». Ieri mattina gli uomini del Nucleo speciale di polizia valutaria di Roma si sono presentati prima delle 7 del mattino nelle case degli indagati, hanno copiato le memorie dei cellulari e dei computer alla ricerca di riscontri all'ipotesi accusatoria. Ad almeno uno degli indagati hanno fatto domande anche su Antonio Fabbrocini, funzionario dell'ufficio acquisti della struttura commissariale, e su Mauro Bonaretti, entrambi non indagati. Bonaretti, magistrato della Corte dei conti, è stato inserito la scorsa primavera nello staff ristretto di Arcuri. In passato era stato direttore generale del Comune di Reggio Emilia con Delrio sindaco e al seguito dell'attuale capogruppo Pd della Camera aveva ricoperto gli incarichi di segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri e di capo di gabinetto al ministero dei Lavori pubblici e trasporti e in quello degli Affari regionali. Benotti e Bonaretti hanno affiancato nello stesso periodo Delrio al ministero dei Trasporti. La Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati anche Daniele Guidi «che, unitamente a Tommasi, ha curato l'aspetto organizzativo e in particolare i numerosi voli aerei necessari per convogliare in Italia un quantitativo così ingente (di mascherine, ndr), compiendo i necessari investimenti». Guidi, nel gennaio 2019, è stato posto agli arresti domiciliari dal Tribunale di San Marino (e liberato poco dopo). Ai tempi era direttore generale e ad di Banca Cis. I magistrati nell'ordinanza di custodia cautelare gli avevano contestato i reati di associazione per delinquere, concorso in amministrazione infedele, compartecipazione in truffa aggravata ai danni della Repubblica, corruzione e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Il procedimento è in corso. La Procura di Roma, per bocca del procuratore aggiunto Paolo Ielo, si è affrettata a far sapere che «il commissario straordinario Arcuri è totalmente estraneo alle indagini», che il suo nome sarebbe stato «sfruttato» da Benotti per ottenere il maxi appalto e che il dipartimento della Protezione civile sarebbe il «soggetto danneggiato». La difesa di Arcuri da parte della Procura è arrivata quasi a scatola chiusa, mentre i finanzieri effettuavano sequestri e facevano domande. In effetti, se il pubblico ufficiale fosse coinvolto, l'accusa non sarebbe di traffico illecito di influenze, ma, per esempio, di corruzione. Gli inquirenti hanno ribadito che le verifiche sono partite da una segnalazione di operazione sospetta della Banca d'Italia e che «la pubblicazione di quelle informazioni» da parte della Verità «ha danneggiato le indagini». Per i pm «la ragione della segnalazione è nell'anomalia consistente nell'estraneità della rappresentata intermediazione delle due società (Sunsky e Micorproducts It, ndr) rispetto al loro oggetto sociale e nell'incoerenza del volume delle commissioni percepite, rispetto al fatturato degli esercizi precedenti». Avrebbero fatto da intermediari in settori che non compaiono nell'oggetto sociale, con spropositate provvigioni. Nel decreto è specificato che l'azienda di Benotti è nata nel 2015 per l'offerta di servizi di ricerca e sviluppo nel campo delle scienze naturali e dell'ingegneria, non certo per la compravendita di attrezzature mediche. La Microproducts è controllata per il 20% dalla Guarnieri e per l'80 dalla Partecipazioni Spa. Per i magistrati il 76,7 per cento del capitale di quest' ultima appartiene proprio a Benotti, nonostante ufficialmente sia intestato a una fiduciaria. Secondo gli inquirenti il giornalista «è aduso a schermare i suoi rapporti bancari attraverso l'utilizzo di società fiduciarie». La Banca d'Italia ha segnalato anche un'altra impresa con sede a Roma, la Guernica srl, costituita il 28 marzo 2018, avente come socio unico e amministratore Dayanna Andreina Solis Cedeno, una ventiduenne equadoriana studentessa di cinema in un'università romana. Per gli inquirenti sarebbe una «testa di legno» del padre Jorge, amministratore di fatto e indagato, e la sua ditta sarebbe stata «beneficiaria di accredito per euro 3.800.000 dalla (nota) Wenzhou Light». Anche Guernica presenta un oggetto sociale che non c'entra nulla con le mascherine («inconferente con il commercio dei presidi sanitari», scrivono i pm): ufficialmente si occupa di ricerche di mercato nel campo del marketing, strategie di mercato per lancio di prodotti o servizi o strategie pubblicitarie. Inoltre «la Guernica srl, così come la Microproducts It srl di Benotti, non compare in alcuna lettera di commissione». Non è finita. Benotti, sottolineano sempre i magistrati, «intrattiene uno stretto rapporto con Antonella Appulo, anch' ella con passato politico». Sul suo profilo Linkedin la donna si presenta come funzionario del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, dove ha lavorato con un contratto a tempo determinato dal 2015 al 2018. È stata segretaria particolare del solito ministro Delrio. Continuano i magistrati: «Le rimesse di denaro che dall'affare la Appulo ha ricavato è decisamente indicativo dei rapporti intercorsi tra gli attori di questa vicenda». Ed eccoli questi rapporti: «È il Tommasi, su disposizione del Benotti, a versare, dal conto corrente della Sunsky srl alla Appulo 53.000 euro, giustificando il movimento finanziario mediante false fatturazioni, simulando attività di consulenza ricevuta dalla predetta». Per questo alla donna è stata contestata la ricettazione, il reato commesso da chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto. È accusata di ricettazione anche la Chaouqui. Per questo ieri è stata perquisita la sua View point strategy srl, società di comunicazione. La «Papessa» ieri è la sola che abbiamo trovato disponibile a parlare. È accusata di aver ricevuto in due tranche, tra aprile e settembre 2020, sui conti della sua azienda, 232.216 considerati frutto di «un ingiusto profitto», cioè «compendio del reato di traffico illecito di influenze». Gli investigatori sostengono che sarebbe stata a conoscenza della provenienza delittuosa: «Io delle mascherine non sapevo niente, niente, niente» ribatte lei. «La Microproducts era mia cliente e la mia agenzia la sua fornitrice. Ho firmato con loro una serie di contratti: uno per un evento estivo per 150 persone in galleria Borghese, museo che abbiamo affittato in esclusiva, offrendo guide private e catering, al costo di 35-40.000 euro; un altro per la realizzazione del libro (Ri)costruzione firmato da Benotti, per cui ci siamo occupati di tutto, dalla grafica ai contenuti, e di cui abbiamo acquistato 1.500 copie per i clienti. Spesa: circa 60.000 euro. Infine ci siamo occupati di riprese, montaggio, testi e messa in onda del canale Youtube del Democristiano in borghese dello stesso Benotti. Un programma che ha impegnato sette persone per 30 puntate, 21 già online, ognuna delle quali è costata 7-8.000 euro, materiali e trasferte escluse. Abbiamo gestito anche un blog e una rubrica che Benotti tiene su altri due siti e, a partire da aprile, tutti i suoi canali social, fornendo report mensili. Le posso assicurare che abbiamo incassato meno di quanto abbiamo fornito». La View point strategy una settimana fa, dopo il primo scoop della Verità, era stata incaricata dalla Partecipazioni Spa della «comunicazione di crisi». L'ultima parola la concediamo all'avvocato di Benotti, Alessandro Sammarco: «La Protezione civile aveva bisogno di mascherine e le società private le hanno trovate ai prezzi imposti, facendo risparmiare centinaia di milioni allo Stato italiano. A pagare le provvigioni sono state le aziende cinesi. Mi dite dove è il traffico illecito di influenze?». La risposta la dovranno trovare i magistrati.

Vaticano, ecco le carte dello scandalo. Tra finanzieri e spa segrete in Lussemburgo. Lo tsunami giudiziario che fa tremare il Vaticano parte da alcune operazioni finanziarie del 2011. Quando la Segreteria di Stato decide di entrare in affari con il raider italo-londinese Raffaele Mincione. Indagini dei pm del papa su una Sicav del Vaticano nel Granducato, che ha comprato immobili a Londra per centinaia di milioni di euro. Indaga anche l’antiriciclaggio. Emiliano Fittipaldi il 03 ottobre 2019 su L'Espresso. L'inchiesta dei magistrati vaticani su alcune operazioni finanziarie milionarie effettuate dalla Segreteria di Stato è un pozzo senza fondo. Se ieri, dopo una serie di perquisizioni,  l'Espresso ha dato notizia dell'indagine  su pezzi da novanta come don Mauro Carlino (ex segretario del cardinale Angelo Becciu e da pochi mesi capo dell'Ufficio Informazione e Documentazione della Segreteria: il monsignore è stato intercettato per settimane) e del numero uno dell'Autorità di informazione finanziaria Tommaso Di Ruzza, oggi nuovi documenti riservati spiegano la genesi dello scandalo. Che potrebbe portare a conseguenze devastanti per dipendenti laici e monsignori di primissima fila. Gli investigatori vaticani, infatti, stanno indagando sulle operazioni finanziarie avvenute tra Roma, Londra e il Lussemburgo negli ultimi otto anni. Proprio nel Granducato, tra il 2011 e il 2012 la Segreteria di Stato (erano i tempi di Benedetto XVI, a Palazzo Apostolico comandavano Tarcisio Bertone e l'allora sostituto agli Affari generali Becciu) aveva infatti deciso di fare affari con Raffaele Mincione. Non un imprenditore qualsiasi, ma un finanziere italo-londinese assai noto alle cronache: è colui che, attraverso fondi d'investimento controllati in Italia, Russia, Malta e Jersey, da qualche mese sta provando a scalare Banca Carige, di cui è arrivato a possedere il 7 per cento delle azioni. Partiamo dall'inizio della storia. Da quando nel 2011 alcuni emissari vicini a Credit Suisse (che risulta essere consulente del Vaticano per il private banking, e dunque gestore di parte considerevole dei conti riservati a disposizione della Segreteria di Stato, che tra Obolo di San Pietro e Fondo Paolo VI arrivano a circa 800 milioni di euro) mettono intorno allo stesso tavolo i vertici della Segreteria di Stato e gli uomini del finanziere, gran capo della holding WRM e della società d'investimento Athena Capital Found, entrambe con sede in Lussemburgo. Il Vaticano, inizialmente, chiede una consulenza. In merito a un possibile investimento da circa 200 milioni per l'acquisto di una piattaforma petrolifera, Un'affare, però, che non convince né la banca svizzera né i finanzieri di Mincione. Che, rilanciando, propongono al Vaticano di sottoscrivere – con i denari che si vogliono investire nell'affare del greggio - un nuovo fondo lussemburghese gestito da loro. La proposta va in porto: nel 2012 la Segreteria di Stato gira quasi 200 milioni di euro all'Athena Capital Global Opportunities, un fondo che fa negli anni investimenti di varia natura. Inchiesta interna su operazioni finanziarie sospette: sospesi dai loro incarichi cinque dirigenti. Tra loro pezzi da novanta come don Mauro Carlino, capo degli uffici della Segreteria di Stato e Tommaso Di Ruzza, direttore dell'antiriciclaggio. Nel mirino dei magistrati compravendite immobiliari a Londra e la gestione dei conti dell'Obolo di San Pietro. Papa Francesco: non faremo sconti a nessuno. Il più importante di tutti, però, è l'acquisto di alcuni immobili di pregio a Sloane Avenue, nel centro di Londra. Un business a cui partecipa direttamente sia Mincione, che con WRM compra il 55 per cento del palazzo, sia il fondo vaticano, che ne prende il 45 per cento. Mincione, Becciu, monsignor Alberto Perlasca della segreteria di Stato sembrano gestire per anni il fondo senza scossoni e problemi di sorta. Tutto cambia, però, a fine del 2018. Quando Becciu lascia la Segreteria per diventare prefetto alla Congregazione per le Cause dei Santi e al suo posto, come sostituto agli Affari generali, il papa e Pietro Parolin promuovono monsignor Edgar Pena Parra. Il nuovo sostituto prende le carte e nota con dispiacere che i rendimenti della Sicav vaticana in Lussemburgo sono assai meno redditizi di quello ipotizzato all'inizio con Mincione. Ne chiede conto ai suoi sottoposti (tra cui i contabili Vincenzo Mauriello e Fabrizio Tirabassi, anche loro sospesi da ieri dall'incarico) e a don Carlino. Le risposte non lo convincono. Pena Parra (non sappiamo se con l'avallo di Parolin) decide allora di acquistare l'intero palazzo, e di uscire dal fondo lussemburghese gestito da Mincione. Il 22 novembre viene infatti firmato un accordo transattivo tra Santa Sede e i gruppi del finanziere che l'Espresso pubblica in esclusiva, con cui si perfeziona l'uscita: di fatto il Vaticano, attraverso nuove società londinesi, diventa proprietario degli immobili di pregio (che prima vengono affidati a un gestore attraverso un contratto, poi gestiti direttamente con nuove società londinesi), mentre i fondi di Mincione restano unici azionisti degli altri investimenti fatti negli anni. Per fare l'operazione di uscita, però, spiegano altre autorevoli fonti vaticane Pena Parra avrebbe chiesto denari, tramite monsignor Carlino, allo Ior. È in quel momento che i vertici della banca – poco felici di vedere i loro conti in gestione ridursi troppo – cominciano a volere vederci chiaro. Dopo qualche mese dalla transazione, così, scatta la denuncia ai magistrati vaticani. A quella dello Ior si aggiunge presto quella del Revisione generale, di fatto l'autorità anti corruzione d'Oltretevere. I pm del papa indagano ora non solo su eventuali irregolarità dell'operazione immobiliare londinese e di quelle della Sicav, ma pure su ipotetici giri di denaro che avrebbero arricchito alcuni mediatori e dipendenti vaticani: sono al setaccio trust e depositi sia in Lussemburgo sia in Svizzera, ma è presto per dire se siano stati o meno trovati illeciti. Per la cronaca, non è la prima volta che in Vaticano qualcuno vuole vederci chiaro sul fondo segreto della Segreteria di Stato: tra il 2013 e il 2014 i commissari della Cosea, la commissione voluta dal papa per mettere ordine tra gli enti economici del vaticano, e in particolare membri come la “papessa” Francesca Immacolata Chaoqui e Jean-Baptiste de Franssu, oggi presidente dello Ior, avevano chiesto le carte riservate dell'operazione immobiliare. Senza mai riuscire, pare, ad ottenerne mezza. Al netto delle ipotesi investigative tutte da dimostrare, dal gruppo di Mincione nessuno parla ufficialmente. Ma voci interne spiegano che il business fatto con la Santa Sede sarebbe del tutto lecito e trasparente, che i fondi lussemburghesi sono controllati dalla Commissione di vigilanza del settore finanziario del Granducato, e che compensi sono stati pagati alla luce del sole solo a soggetti terzi che hanno fatto da mediatori all'inizio dell'avventura finanziaria. Aggiungendo che la transazione (firmata da monsignor Perlasca) è stata fatta davanti a importanti studi inglesi, e che il Vaticano alla fine avrebbe guadagnato dagli investimenti di Athena oltre il 10 per cento. I bassi rendimenti degli affitti degli immobili di cui si lamenta il Vaticano? «Non ci fosse stata la Brexit, le previsioni sui rendimenti sarebbero state rispettate». È il mercato, bellezza.

Vaticano, «I milioni per i poveri in paesi offshore e per operazioni di dubbia eticità». Secondo i pm della Santa Sede i fondi extrabilancio dell'Obolo di San Pietro, pari a circa 650 milioni di euro, sarebbero gestiti dalla Segreteria di Stato per business opachi. Le intercettazioni di monsignor Carlino con manager italiani e tutti i particolari dell'inchiesta shock. Emiliano Fittipaldi il 17 ottobre 2019 su L'Espresso. Papa Francesco è stato durissimo. «L’illecita diffusione del documento» con cui l’Espresso ha dato conto dell’inchiesta della magistratura vaticana su operazioni immobiliari effettuate dalla Segreteria di Stato, «è paragonabile a un peccato mortale». E così all’inferno - prima ancora che l’indagine bis sulla fuga di notizie cominciasse davvero - ci è finito il comandante della Gendarmeria Domenico Giani. Anche se del tutto estraneo al “leak”, qualche giorno fa il superpoliziotto è stato costretto a dimettersi e lasciare l’ufficio che guidava da tredici anni. Ora l’Espresso ha ottenuto una nuova documentazione riservata del Vaticano. Che dimostra come i peccati commessi siano assai più gravi di quelli dei whistleblower e che i peccatori - al netto della rilevanza penale ancora tutta da dimostrare - vadano cercati ai piani alti dei sacri palazzi. Le carte analizzate sono tante. C’è la denuncia del Revisore generale e le accuse arrivate dallo Ior. Report riservati dell’affare immobiliare da 200 milioni di dollari per l’acquisto di un palazzo da 17 mila metri quadri a Londra. E soprattutto le 16 pagine integrali del decreto di perquisizione del Promotore di giustizia con cui sono stati indagati dipendenti della Segreteria di Stato e pezzi da novanta come don Mauro Carlino (l’ex segretario del cardinale Angelo Becciu) e il direttore dell’Autorità di informazione finanziaria Tommaso Di Ruzza, che mostrano come la Santa Sede si trovi di fronte a uno scandalo che ha pochi precedenti nella storia recente. E che potrebbe portare a una drammatica crisi di sistema. Lo tsunami è devastante. I pm del papa Gian Piero Milano e Alessandro Diddi ritengono aver individuato «gravi indizi di peculato, truffa, abuso d’ufficio, riciclaggio e autoriciclaggio» in merito a comportamenti di ecclesiastici e laici influenti, mentre un’altra relazione del Revisore ipotizza «gravissimi reati quali l’appropriazione indebita, la corruzione e il favoreggiamento». I business finiti nella lente degli investigatori riguardano non solo l’era di Angelo Becciu alla Segreteria di Stato, ma pure quella del nuovo Sostituto agli Affari Generali, l’arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra, fedelissimo di Francesco nominato appena un anno fa. Inchiesta interna su operazioni finanziarie sospette: sospesi dai loro incarichi cinque dirigenti. Tra loro pezzi da novanta come don Mauro Carlino, capo degli uffici della Segreteria di Stato e Tommaso Di Ruzza, direttore dell'antiriciclaggio. Nel mirino dei magistrati compravendite immobiliari a Londra e la gestione dei conti dell'Obolo di San Pietro. Papa Francesco: non faremo sconti a nessuno.

L’inchiesta - in cui vengono citati finanzieri d’assalto come Raffaele Mincione e broker meno conosciuti come Gianluigi Torzi - rivela inoltre che la Segreteria di Stato nell’anno di grazia 2019 possieda e gestisca fondi extrabilancio per la bellezza di 650 milioni di euro, «derivanti in massima parte dalle donazioni ricevute dal Santo Padre per opere di carità e per il sostentamento della Curia Romana». Si tratta dell’Obolo di San Pietro, che dovrebbe essere destinato ai poveri e ai bisognosi e che invece il Vaticano investe in spericolate operazioni speculative. Con l’aiuto, in primis, di Credit Suisse, «nelle cui filiali svizzere e italiane risulta versato circa il 77 per cento del patrimonio gestito». Circa «500 milioni di euro», segnala l’Ufficio del Revisore Generale, finiti in operazioni finanziarie che a parere dei magistrati mostrano «vistose irregolarità», oltre ad aprire «scenari inquietanti».

Non è tutto. Altri documenti riservati evidenziano come l’investigazione, partita il 2 luglio grazie a una denuncia del direttore generale dello Ior Gian Franco Mammì, sia probabilmente meno accurata di quanto papa Bergoglio - che l’ha autorizzata con un rescritto il 5 luglio - credesse. Studiando le carte e la scansione temporale degli eventi, è evidente che l’inchiesta possa essere usata per sostenere gli interessi particolari delle tante fazioni che si combattono in Vaticano. Un fuoco incrociato che ha coinvolto persino l’Aif, l’organismo antiriciclaggio voluto da Benedetto XVI, il cui direttore Di Ruzza è stato perquisito e sospeso perché sospettato, si legge nelle accuse degli inquirenti, «di aver trascurato le anomalie dell’operazione» londinese e di aver addirittura favorito «in qualità di intermediario finanziario» il manager Torzi. «Di Ruzza con c’entra nulla in realtà. Così si indebolisce l’Aif, se ne metta in pericolo l’indipendenza con ripercussioni pesanti all’estero» chiosano autorevoli collaboratori del pontefice. «Lo scandalo finanziario è grave, ma non si faccia una caccia alle streghe, sennò precipiteremo tutti nel caos».

IL PALAZZO D’ORO. Partiamo dall’inizio della storia. Dall’ottobre 2012, quando Raffaele Mincione, un finanziere italiano ormai assai noto per aver tentato la scalata alla Popolare di Milano e a Banca Carige, viene contattato da un ex manager di Mediobanca, Ivan Simetovic. «Ivan lo conoscevo da tempo. Mi mise in contatto con Enrico Crasso, allora dirigente di Credit Suisse», spiega all’Espresso Mincione. «Incontrai Crasso nel suo ufficio e mi spiegò che loro gestivano parte importante del patrimonio del Vaticano. Mi chiesero se volevo fare l’advisor per un investimento da 200 milioni di dollari per un’operazione petrolifera in Angola». L’idea della segreteria di Stato, allora guidata dal cardinale Tarcisio Bertone e dal sostituto Becciu (che è stato nunzio in Angola dal 2001 al 2009) era quella di investire in una piattaforma petrolifera al largo delle coste del paese africano. Un business in cui erano già coinvolti l’Eni, la società statale Sonangol (con il 40 per cento a testa) e la Falcon Oil. Una società del finanziere africano Antonio Mosquito. È con lui, mr. Mosquito, che il Vaticano vuole fare l’affare. È a lui che vogliono girare - come evidenziano alcuni documenti riservati della Segretaria di Stato - ben 250 milioni di dollari per comprarsi il 5 per cento delle quote del consorzio. Gli uomini di Mincione (che spiegano di non aver mai girato soldi, o meglio“fees”, a Crasso, ma solo a Simetovic per la mediazione iniziale; per la consulenza il Vaticano pagherà Mincione circa 500 mila euro) ci lavorano per oltre un anno. Alla fine, però, il finanziere segnala ai clienti di Credit Suisse che l’investimento sarebbe del tutto «antieconomico», che Mosquito non è affatto solido finanziariamente (era stata assoldata una società d’investigazione finanziaria) e che i denari d’Oltretevere sarebbero stati bruciati in un amen. Lo tsunami giudiziario che fa tremare il Vaticano parte da alcune operazioni finanziarie del 2011. Quando la Segreteria di Stato decide di entrare in affari con il raider italo-londinese Raffaele Mincione. Indagini dei pm del papa su una Sicav del Vaticano nel Granducato, che ha comprato immobili a Londra per centinaia di milioni di euro. Indaga anche l’antiriciclaggio. Il Vaticano, dopo più di un tentennamento, decide così - siamo ormai nel 2014 - di rinunciare alla piattaforma petrolifera in mezzo all’Atlantico. È allora che Mincione, dismessi i panni dell’advisor, propone al governo della Santa Sede di investire gli stessi denari (che in euro valevano a tassi di cambio 130-140 milioni in una Sicav in Lussemburgo gestita dalla sua holding WRM). Discute dell’operazione con monsignor Alberto Perlasca, citato nelle carte dell’accusa come frequentatore di Mincione ma ad ora non indagato, e il funzionario della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi, considerato dai pm «personaggio centrale nell’operazione londinese descritta» e «titolare di un conto Ior mai movimentato». L’obiettivo finale è quello di vendere al Vaticano il 45 per cento di un palazzo al centro di Londra, al 60 di Sloane Avenue, che lui aveva comprato due anni prima per dare il via a una grande speculazione immobiliare. Il Real Estate è sicuramente più stabile del prezzo volatile del greggio. E l’affare va in porto. La speranza degli strani soci in affari, i cardinali da una parte e il raider che ha battezzato il suo yacht “Bottadiculo” dall’altra , è quella di aumentare tanto e presto l’investimento grazie alla trasformazione del palazzo del 1911 (un ex deposito di Harrods di 17 mila metri quadri) da commerciale a residenziale. Ristrutturarlo, costruire una cinquantina di appartamenti di lusso, venderli e raddoppiare il capitale investito. Con il passare dei mesi, però, i rapporti tra le parti peggiorano. Quando il Vaticano si accorge che i costi di gestione dei fondi lussemburghesi sarebbero troppo alti, Mincione fa notare - in un report - che non sarebbe lui a lucrare, ma che sarebbe la banca svizzera a prendere, tra commissioni e fees per la gestione di tutti i fondi del Vaticano, un tasso altissimo superiore all’8 per cento. Gli extracosti, di fatto, sarebbero a monte. La tensione tocca il suo apice nell’estate del 2018: dopo quattro anni il palazzo non rende affatto quanto sperato e la gestione di Mincione è considerata troppo dispendiosa. Quando Peña Parra sostituisce Becciu come Sostituto agli Affari generali della Segretaria, scatta il panico. Il prelato decide di uscire dal fondo lussemburghese di Mincione, l’Athena Capital Global, il più rapidamente possibile. Ma per farlo e non realizzare la perdita decide, a sorpresa, di comprare tutto il fabbricato. Mincione vende la sua parte, il 55 per cento, con una transazione firmata da monsignor Perlasca il 22 novembre 2018: alla fine il guadagno per il finanziere, tra acquisto nel 2012 e vendita sei anni dopo, è di 130 milioni di sterline secche. «Io non sarei mai voluto uscire, me l’hanno chiesto loro. E l’operazione resta ottima: basta si muovano a ristrutturare e vendere gli appartamenti», chiosa.

IL FINANZIERE MISTERIOSO. Torniamo alle carte dei magistrati di Francesco. Si legge che l’inchiesta penale scatta il 4 giugno 2019. Quando Peña Parra chiede allo Ior, attraverso una lettera al presidente dello Ior Jean Baptiste De Franssu, «di poter disporre, con carattere di urgenza, di liquidità per 150 milioni di euro per non meglio precisate “ragioni istituzionali”», scrivono Milano e Diddi. Il direttore della banca, Mammì, si allarma per la richiesta insolita e risponde picche. Non dà un centesimo e comincia una sua istruttoria. Se il papa si fida ciecamente del direttore generale, i nemici di Mammì malignano oggi che il banchiere di Dio avrebbe solo preso al volo l’occasione per incamerare nello Ior i fondi dell’Obolo, da sempre appannaggio della segreteria di Stato. «Certamente ha detto no a Peña Parra perché non voleva perdere nemmeno un euro dei denari dei conti della sua banca, che ha chiuso il bilancio con un utile dimezzato rispetto al 2018», ci dice velenoso un cardinale influente. Mammì, chiariscono invece i suoi collaboratori, vuole vederci chiaro. Capisce presto, dunque, che i 150 milioni servono ad estinguere il mutuo che pesava sull’immobile del quartiere di Chelsea, acceso da Mincione attraverso due società lussemburghesi controllate dal colosso britannico Cheyne Capital. È lo Ior, dunque, che fa scattare la prima denuncia al Promotore di Giustizia il 2 luglio. Il 5 luglio il papa dà il via libera all’inchiesta penale. A ruota segue l’intervento del Revisore Generale Alessandro Cassinis Righini, che in agosto manda ai promotori «nell’esercizio delle proprie prerogative, ed in via del tutto autonoma» una relazione-denuncia sul business milionario londinese. I pm e la gendarmeria portano avanti le indagini a ritmo serrato (qualcuno dice troppo per analisi complesse) e scoprono quello che molti in Vaticano già sapevano da tempo. Cioè che, uscito di scena Mincione, la segreteria di Stato non si è ripresa il controllo del palazzo, ma s’è affidata a un altro finanziere d’assalto con base a Londra: Gianluigi Torzi. Un raider tempo fa accusato di aver cambiato le serrature di un cancello di una proprietà immobiliare, impedendo l’accesso alle legittime proprietarie di un immobile vicino la sua villa al mare. E finito lo scorso luglio, ha raccontato il Fatto, nelle liste nere del database WordCheck, «per diverse indagini a suo carico avviate dalla procura di Roma e Larino (per la vicenda della villa, ndr) per reati di falsa fatturazione e truffa». Ebbene, gli uomini della segreteria di Stato decidono che Torzi è l’uomo giusto. Come risulta all’Espresso da atti riservati, a fine 2018 l’immobile non è stato rilevato con società riferibili direttamente al Vaticano o all’Apsa, l’amministrazione che per statuto gestisce il patrimonio immobiliare della Santa Sede. Ma è stato acquisito attraverso la Gutt Sa, una società del Lussemburgo «rappresentata» si legge nell’atto transattivo tra Segreteria di Stato e Mincione «dal signor Gianluigi Torzi». La Gutt, scrivono poi i pm nel decreto di perquisizione, sarebbe la «società che ha svolto la funzione di soggetto intestatario fittizio» delle altre società, quasi tutte in nel paradiso fiscale dell’isola di Jersey, che attraverso scatole cinesi «posseggono l’immobile londinese». Ma come mai il Vaticano «ha finanziato» Torzi, come si legge nell’accordo transattivo firmato da monsignor Perlasca in persona e benedetto da Peña Parra, e usato la sua Gutt schermandosi dietro di lei? Perché gli ha dato dal 3 dicembre 2018 in gestione il palazzo appena comprato, tanto da essere pure «pienamente autorizzato a negoziare il presente accordo quadro e qualsiasi altro documento necessario ai fini della transazione» con Mincione? Torzi è un uomo vicinissimo al finanziere di WRM, come pensa qualche investigatore in Vaticano, oppure è entrato nel business grazie ad entrature Oltretevere, come quella con il misterioso architetto Luciano Capaldo? Quest’ultimo, secondo le accuse, «sembrerebbe aver avuto un ruolo fondamentale nell’intera operazione». Non solo perché componente del board della società inglese London 60 Limited (insieme ai monsignori Carlino e Josep Lluis Serrano Pentinat) creata dalla Segreteria nel marzo del 2019 per prendersi finalmente – come vedremo – le quote della Gutt, ma perché secondo i magistrati Milano e Diddi «risulta socio di riferimento unitamente al signor Torzi della Odikon Service e della Sunset Enterprice». Due società su cui indagano i pm, che nel 2017 e nel 2018 avrebbero ricevuto 7,6 milioni di euro per aver «offerto assistenza finanziaria all’Ospedale Fatebenefratelli (applicando commissioni monstre del 20 per cento, ndr) per la cartolarizzazione dei crediti nei confronti della Regione Lazio». L’affaire con il nosocomio cattolico non è comunque nel fuoco investigativo. Lo sono, invece, le attività di Vincenzo Mauriello, minutante della Prima Sezione dell’Ufficio guidato dal cardinale Parolin, e soprattutto quelle di monsignor Carlino, che è stato intercettato per settimane, a partire dal settembre 2019. Ex segretario di Becciu, dalla scorsa estate promosso capo dell’Ufficio informazione e documentazione della Segreteria di Stato, secondo le carte dell’accusa Carlino si muove «con particolare disinvoltura nelle alte sfere della gerarchia dello Stato», in una «incessante attività dallo stesso posta in essere con personaggi del mondo della finanza per realizzare nuove iniziative di tipo imprenditoriale». Il 2 settembre il monsignore in effetti incontra il presidente della Snam Luca Del Fabbro, con cui «tratta di nuove operazioni che si dovrebbero realizzare con un certo Casiraghi e con la moglie di Raffaele Mincione... con tale Preziosi di Genova (verosimilmente Enrico Preziosi imprenditore di riferimento della Giochi Preziosi)». Certamente don Carlino è considerato uno degli assoluti protagonisti della storiaccia del palazzo londinese. ( Qui la replica della moglie di Raffaele Mincione).

LA GUERRA DELL’AIF. Ma le carte segnalano che persino l’Aif avrebbe svolto «un ruolo non chiaro» nella vicenda. L’organismo presieduto da René Bruelhart avrebbe infatti «trascurato» le anomalie dell’operazione immobiliare e il direttore Di Ruzza avrebbe «intrattenuto una corrispondenza con lo studio inglese Mischon De Reya (i legali chiamati dalla Segretaria di Stato per seguire la famosa transazione con Mincione e Torzi, ndr) con la quale l’Aif sembrerebbe aver dato il via libera all’operazione di acquisto». Non solo: Di Ruzza avrebbe pure «confezionato e sottoscritto su carta intestata una lettera di “delega ad operare” a favore di Gianluigi Torzi in qualità di intermediario finanziario. In tal modo dando il proprio avallo all’operazione dai contorni opachi». Un’accusa grave che ha portato una perquisizione dell’ufficio del direttore, la sua sospensione dal servizio e il sequestro di documenti secretati dell’Aif. Ora risulta all’Espresso che ci siano però altre evidenze non citate dai magistrati. Se è vero che Torzi ha avuto dalla Segreteria di Stato, per cedere al Vaticano il patrimonio della sua Gutt e il controllo del palazzo londinese che aveva ottenuto per motivi inspiegabili a fine 2018, una commissione da ben 10 milioni di euro, è pur vero che gli uomini di Peña Parra avevano sottoscritto a favore del finanziere vincoli contrattuali stringenti, per di più sotto una giurisdizione estera. «Il Sostituto», spiegano oggi dalla Segretaria di Stato, «lo scorso marzo si accorge che Torzi, scelto da lui, Perlasca e gli altri laici pochi mesi prima, fa di fatto il padrone a casa loro. E che liberarsene d’emblée non sarà affatto semplice». Il rischio è quello di dover sborsare una buonuscita assai più onerosa di quella alla fine concessa: inizialmente le richieste di Torzi per far uscire la sua Gutt dalla gestione del palazzo, raccontano in Vaticano, sarebbero infatti esorbitanti. Per risolvere il pasticcio, così, Peña Parra a marzo corre proprio negli uffici dell’Aif per fare una segnalazione ufficiale sui dissidi con Torzi e l’affare londinese. Il direttore, risulta all’Espresso, avverte subito le autorità antiriciclaggio inglesi e lussemburghesi e ad aprile invia due lettere ai legali britannici del governo vaticano che stanno trattando con gli avvocati di Torzi. Nella prima chiarisce che l’Aif, nella vecchia transazione a favore della Gutt, aveva individuato una serie di irregolarità, e aveva suggerito di bloccare l’operazione, annunciando infine di aver aperto un’indagine antiriciclaggio chiedendo cooperazione ai colleghi d’Oltremanica. Non sappiamo se Torzi, venuto a conoscenza della mossa dell’Aif, abbia deciso così di convenire a un nuovo accordo e accettato la somma (comunque enorme) che gli era dovuta da contratto per uscire dall’affare. È sicuro però che nella seconda lettera Di Ruzza non autorizza alcuna fee - come invece sembrano sospettare Mammì, il Revisore generale e i pm - ma spiega solo che, nel caso il patrimonio della Gutt fosse tornato gratis a una società del Vaticano, e Torzi avesse lasciato la proprietà e il controllo dell’immobile in via definitiva, le parcelle a suo favore già previste dai contratti di fine 2018 (quando nessuno sapeva nulla di quanto stava accadendo nella Segreteria di Stato) sarebbero potute essere pagate. Concludendo con la notizia che l’indagine finanziaria sarebbe comunque proseguita: la speranza degli investigatori dell’Aif era quella di tracciare il flusso dei soldi con la collaborazione delle Uif estere, per capire se parte dei 10 milioni dati a Torzi sarebbero rimasti sui conti del finanziere. O movimentati a favore di qualcun altro dentro il Vaticano. Paradossalmente l’inchiesta sugli investigatori dell’Aif ha per ora bloccato il lavoro dell’intelligence dell’autorità. Ad oggi non sappiamo se i gendarmi, da pochi giorni guidati dal nuovo comandante Gianluca Gauzzi Broccoletti, abbiano trovato nuovi elementi corruttivi che inchiodino gli indagati o altri personaggi rimasti nell’ombra. Sappiamo con certezza che l’inchiesta dimostra come centinaia di milioni di euro destinati agli ultimi e ai poveri vengono ancora gestiti con opacità e nessuna trasparenza, come se il Vaticano fosse una merchant bank di un Paese offshore. Ed evidenzia come carte giudiziarie rischino di essere usate per regolamenti di conti tra le sacre mura. Per Francesco non sarà facile, davanti al nuovo scandalo, districarsi tra nemici veri, falsi amici, buoni suggeritori e cattivi consiglieri.

Preciso che. AGGIORNAMENTO 30 OTTOBRE La replica di Maddalena Paggi Mincione. L’Espresso nell'articolo a firma di Emiliano Fittipaldi dal titolo “Peccati Mortali” ha riportati fatti non veri, sospetti, associazioni e allusioni che, seppur virgolettati, in quanto asseritamente estratti da un non meglio precisato documento, non sono stati certamente verificati e vengono presentati sulla sua rivista in modo diffamatorio e come se fossero veritieri. Tali dichiarazioni, e l’evidenza con cui vengono riportate senza alcun tipo di contraddittorio, non possono che produrre un effetto diffamatorio nei confronti della mia persona al solo scopo di colpire la mia famiglia e la sua serenità. In particolare, il mio nome viene accostato al Vaticano, a Monsignor Mauro Carlino, al Signor Luca Del Fabbro, ad un certo Signor Casiraghi e ad un certo Signor Preziosi e si asserisce che non meglio precisate “nuove operazioni” si sarebbero dovute realizzare con il mio coinvolgimento. Sottolineo che non ho rapporti di nessun genere con il Vaticano e che non conosco né ho mai incontrato nessune delle persone sopra menzionate e indicate nell’articolo. Inoltre, non ho nulla a che fare con le perfettamente legittime attività imprenditoriali di mio marito. La invito, quindi, a pubblicare, senza indugio, nelle pagine principali della sua rivista, dando il medesimo risalto dato all’articolo, delle scuse e una smentita di quanto riportato con l’articolo, specificando che la medesima rivista, in violazione di precisi doveri, non ha svolto alcuna verifica indipendente sul contenuto dell’articolo. Mi riservo, ad ogni buon conto, di agire in ogni competente sede per il risarcimento dei danni subiti e subendi in conseguenza dell’articolo. Distinti saluti. Maddalena Paggi Mincione

La nostra risposta. Prendiamo atto delle precisazioni. Segnaliamo tuttavia che ci siamo limitati a riportare tra virgolette quanto scritto dai magistrati vaticani.

Valentina Errante per ''Il Messaggero'' il 30 ottobre 2020. È il 2014 quando la segreteria di Stato Vaticana compra l'immobile di Sloane Avenue a Londra e avvia una serie di investimenti fallimentari, attraverso l'ingresso al 45 per cento nel fondo Athena, costato alla Santa Sede circa 500 milioni di euro. Ma l'operazione, che ha portato il promotore di Giustizia Gian Piero Milano a indagare per truffa, estorsione, riciclaggio, peculato, e che sta sconvolgendo il Vaticano, parte almeno due anni prima. Gli indagati, intanto sono diventati dieci. E le indagini adesso vanno a ritroso. Mentre entrano in campo anche i pm di Roma, con il pm Maria Teresa Gerace che ha iscritto il nome del finanziere Raffaele Mincione sul registro degli indagati per riciclaggio. Al centro delle indagini le movimentazioni di denaro verso il Liechtenstein e Lussemburgo. Nel fascicolo Vaticano sono stati coinvolti anche il capo dell'Antiriciclaggio, Tommaso di Ruzza, e monsignor Alberto Perlasca, don Mauro Carlino, ex segretario di Angelo Giovanni Becciu, Caterina Sansone, addetta di amministrazione della segreteria di Stato, Vincenzo Mauriello, minutante dell'ufficio del protocollo della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi, minutante dell'ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Oltre a Mincione e Gian Luigi Torzi, i finanzieri che hanno promosso l'operazione. E ad altri religiosi. Quando segretario di Stato era ancora il cardinale Tarcisio Bertone, che non è indagato. Per questo adesso nell'inchiesta condotta all'interno delle Mura Leonine gli accertamenti riguardano anche i passaggi precedenti e il ruolo svolto dall'allora segretario di Stato. L'indagine è partita nel 2019, ma il terremoto, fatto di veleni e cordate, è cominciato prima. Il palazzo al 60 di Sloane Avenue era stato costruito da Harrods per ospitare uffici e negozi, il progetto è realizzare appartamenti e rivenderlo. Ma in realtà per raggiungere l'obiettivo saranno necessari altri soldi e ancora soldi. Una vicenda sulla quale si allunga l'ipotesi delle speculazioni individuali. Non solo dei finanzieri che l'hanno promossa, mettendosi in tasca cifre a sei zeri, ma anche da parte di religiosi. Ma le indagini vanno ancora più indietro al 2014, quando il cardinale Pell chiedeva conto di fondi extrabilancio. L'idea di quell'investimento nasce nel 2012, quando, sotto Bertone, entra in scena il finanziere Raffaele Mincione negli uffici londinesi del Credit Suisse, che gestiscono circa 650 milioni di euro della Segreteria di Stato, provenienti in gran parte dall'Obolo di San Pietro. All'epoca monsignor Angelo Perlasca è responsabile dell'ufficio amministrativo e consiglia l'allora Sostituto Becciu. Nel 2014 si conclude l'affare. La Segreteria di Stato compra il 45% dell'immobile attraverso il fondo Athena gestito dalla Wrm di Mincione, che a sua volta ne detiene la maggioranza, dei 147 milioni di euro investiti dal Vaticano solo 80 vanno nel palazzo e 65 in altre attività del fondo. Bertone intanto è uscito di scena, lasciando il posto nel 2013 al cardinale Parolin. Becciu resta Sostituto fino al 2018, quando viene promosso alla Congregazione dei santi. Oltre all'oramai famoso palazzo di Sloane Avenue, interamente rilevato dalla Segreteria di Stato nel 2018 ci sono anche altri immobili a Londra. Uno è a North Kensington, acquisito dal fondo Athena. Intanto gli investimenti sono finiti davanti all'Alta Corte di Londra che si dovrà pronunciare su una controversia legale. A chiamare in causa il Vaticano è stato Mincione, che ha chiesto all'Alta Corte di pronunciarsi sulla correttezza dei contratti firmati dalla Segreteria di Stato nel 2013. Secondo i magistrati vaticani quei contratti potrebbero non essere validi, mentre per la controparte, cioè il finanziere Mincione, sono regolarissimi e conformi alle norme inglesi. Per questo ha deciso di fare causa al Vaticano ricorrendo alla corte londinese. Il 14 settembre però il Vaticano è passato alla contromossa, depositando la richiesta di rinvio, sollevando il principio di competenza di giurisdizione. Il giudice inglese dirà se il Vaticano può non presentarsi ritenendo legittimo che si sottragga alla competenza britannica. Tutto dipenderà dalla memoria che verrà presentata e dalle motivazioni addotte.

Dagonews il 30 settembre 2020. Quel che ha contribuito a rovinare l’ex cardinale Angelo Becciu è stato il suo controverso rapporto con il finanziere molisano Gianluigi Torzi, già arrestato in Vaticano - e poi rilasciato dopo dieci giorni - per lo scandalo dell’immobile di Sloane Avenue, acquistato dalla Segreteria di Stato nel novembre 2018. Torzi si muoveva attraverso la società lussemburghese “Gutt Sa”, nonostante nel giro che conta fosse considerato “ad alto rischio” oltre a essere nelle liste mondiali di bad press. Il finanziere era in rapporti di affari con Giancarlo Innocenzi, dirigente Mediaset ed ex sottosegretario di Stato alle Comunicazioni nel governo Berlusconi II. Innocenzi ha portato in dote a Torzi alcuni politici, ingaggiati con il ruolo di consulente, per dare una smacchiata alla sua barcollante reputazione. Tra le persone contattate, ad esempio, c’erano sia Tremonti che Frattini (quest’ultimo però ha rapidamente preso le distanze). L’ex cardinale Becciu, forse abbagliato dal prestigio dei consulenti messi in mostra e sventolati come bandierine (“Eminenza, presto glieli faremo conoscere”), s’è agganciato al tandem Torzi-Mincione (entrambi indagati per accuse che vanno dal riciclaggio al peculato fino all’estorsione e alla truffa). I due sono riusciti a estrarre denari dal Vaticano come neanche due cercatori d’oro nel Klondike: ad esempio, sono riusciti a fare incassare all’avvocato Nicola Squillace 200 mila euro per un generico incarico di consulenza legale. Il contraltare della cricca, feroce nemico di Becciu, è il cardinale Oscar Maradiaga, kingmaker del Conclave che ha portato all’elezione di Bergoglio che suggerì al Papa di nominare George Pell a prefetto della Segreteria per l'economia. Proprio la caduta di Pell, azzoppato da accuse di pedofilia teleguidate da una parte della Curia filo Becciu, ha spalancato le porte del potere al porporato sardo che ha scalato le gerarchie vaticane fino a diventare uomo degli uomini più vicini al Papa. Un punto di riferimento necessario per Bergoglio, dopo le numerose delusioni nelle scelte dei suoi collaboratori. E’ stata proprio l’enorme fiducia tradita a scatenare la furibonda reazione del Pontefice che si è fatto giustizia spingendo Becciu alla rinuncia all'incarico di prefetto della Congregazione delle cause dei santi e privandolo dei diritti e delle prerogative del cardinalato. Cosa mai successa prima in Vaticano. Ma ora lo scenario si è ribaltato: il sardo è nella polvere, l’australiano oggi è tornato a Roma, atteso a Santa Marta dal Papa. Chissà se Pell ha voglia di rivelare le informazioni che erano in suo possesso quando era prefetto per l’economia sugli investimenti fatti dalla Segreteria di stato…

Vaticano, conti segreti e guerra tra i cardinali nei verbali: «Mincione moralmente inadatto». La Segreteria di Stato gli affidò l’acquisto del palazzo di Londra. Gli inquirenti: manovra studiata per depredare le casse del Papa. Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera l'1 ottobre 2020. Esiste una informativa riservata della Gendarmeria vaticana del 20 giugno 2013 che evidenzia «elementi reputazionali negativi» nei confronti del finanziere Raffaele Mincione. Un documento che la Segreteria di Stato della Santa Sede decise di ignorare rivolgendosi proprio a lui per investire centinaia di milioni di euro in affari immobiliari e investimenti all’estero. Sono i verbali degli alti prelati coinvolti nelle indagini condotte dai promotori di giustizia del Vaticano Gian Piero Milano e Alessandro Diddi su questo fiume di denaro sottratto alle casse della Chiesa e utilizzato a fini personali, che hanno già portato alle dimissioni di monsignor Angelo Becciu, a raccontare la guerra che si è consumata in questi anni all’interno dell’ufficio che dovrebbe invece tutelarne gli interessi e comunque agire seguendo le disposizioni del Papa. Al centro delle verifiche c’è l’acquisto del palazzo di Sloane Avenue 60 a Londra, ma in realtà a leggere gli atti raccolti nell’ultimo anno appare chiaro che l’investimento sia stato soltanto il pretesto per quella che gli stessi inquirenti definiscono «una manovra ben pianificata per realizzare una ingente depredazione di risorse finanziarie della Segreteria di Stato che non ha eguali». Sono quindici le persone finite sotto inchiesta per peculato, abuso di autorità e corruzione — i dipendenti della Segreteria di Stato e faccendieri — ma i protagonisti sono certamente lo stesso Becciu e monsignor Alberto Perlasca, indicato come il vero sostenitore dell’investimento che — forse nel timore di finire agli arresti o comunque di avere conseguenze gravi — ha deciso di collaborare con i promotori scagliandosi proprio contro Becciu. Entrambi dovranno chiarire quali vantaggi abbiano ottenuto tenendo conto che tra le verifiche effettuate ci sono quelle sui conti aperti presso lo Ior, ma anche presso banche italiane ed estere dove potrebbero essere confluiti i proventi degli affari conclusi utilizzando l’obolo di San Pietro e altre disponibilità della Santa Sede. Ma anche spiegare perché si decise di utilizzare faccendieri e banchieri come consulenti pagando loro parcelle da centinaia di migliaia di euro. Un lungo elenco di personaggi che negli ultimi sette anni risultano aver frequentato la Segreteria di Stato con la massima disinvoltura e senza alcun tipo di controllo.

I fondi vincolati dati in pegno. Nel verbale di sequestro dei conti correnti intestati a monsignor Perlasca, gli inquirenti vaticani scrivono: «Le indagini hanno consentito di accertare che per la conclusione dell’operazione londinese la Segreteria di Stato ha fatto ricorso a una complessa struttura finanziaria realizzata attraverso la costituzione in pegno dei fondi vincolati anziché attraverso l’impiego diretto delle disponibilità liquide, il cosiddetto Credito Lombardo, che a parere di questo ufficio rappresenta la forte evidenza indiziaria del fatto che tale struttura abbia rappresentato un escamotage per non rendere visibile, come del resto avvenuto per moltissimi anni, la distrazione compiuta». A partire dal giugno 2013 ci sono state almeno quattro riunioni all’interno della Segreteria di Stato alle quali hanno partecipato faccendieri e banchieri interessati a dividersi i milioni di euro che — con l’avallo prima di monsignor Tarcisio Bertone e poi di monsignor Becciu — si era deciso di utilizzare in affari immobiliari o comunque a dirottare su conti esteri. Ma quella determinante sembra essere avvenuta il 20 giugno 2014, quando monsignor Perlasca incontra Mincione e soprattutto Enrico Crasso, il dirigente di Credit Suisse che aveva portato proprio Mincione in Vaticano e «nel corso della quale è stata assunta la decisione, come visto rivelatasi disastrosa per le finanze vaticane, di intraprendere l’operazione londinese. Le indagini hanno consentito di accertare che la decisione di intraprendere tale operazione è da ascrivere alla competente I Sezione degli Affari Generali dalla Segreteria di Stato».

L’avvertimento della magistratura. Tra i primi ad essere interrogati c’è Vincenzo Mauriello, uno dei dipendenti vaticani inquisiti. Scrivono i promotori: «Il 13 gennaio 2020 questo ufficio ha ascoltato Mauriello, il quale a proposito dell’operazione londinese ha riferito che “nel 2013-2014 mentre si trovava davanti all’ufficio del sostituto monsignor Becciu incrociò il dottor Fabrizio Tirabassi (anche lui indagato, ndr) che usciva dalla stanza del Sostituto. In quell’occasione gli disse che la Segreteria di Stato aveva in animo di fare un investimento ma il Sostituto chiedeva, prima di dar seguito all’investimento stesso, di acquisire informazioni su uno dei partner che Tirabassi gli disse essere Raffaele Mincione”. Mauriello, per come dallo stesso riferito, curò personalmente l’acquisizione delle informazioni su Raffaele Mincione ponendosi in contatto con la Gendarmeria la quale, in un rapporto a firma del dottor Alessandrini, metteva in evidenza le ragioni che avrebbero sconsigliato l’avvio di attività di investimento con il predetto Mincione. In particolare egli “non era persona moralmente adatta ad avere rapporti con la Segreteria di Stato”. Mauriello ha specificato che nel 2013-2014 la persona che aveva deciso di avviare l’investimento per cui a procedimento era proprio monsignor Perlasca. La dichiarazione di Mauriello trova preciso riscontro in quanto accertato, in particolare che monsignor Perlasca ha seguito l’operazione londinese sin dall’origine avendo il 9 luglio 2014 sottoscritto, unitamente a Fabrizio Tirabassi, la proposta di partecipazione della Segreteria di Stato all’investimento che ha visto la destinazione a finalità speculative di fondi con vincolo di scopo».

«Così gestivano le Nunziature». Il 31 gennaio viene convocato, anche lui come indagato e dipendente della Segreteria di Stato, monsignor Mauro Carlino. Scrivono i promotori: «Oltre a delineare il ruolo e le funzioni di Tirabassi, precisa la posizione di assoluto rilievo rivestita da monsignor Perlasca che “si occupava di tutto ciò che ha a che fare con l’amministrazione, dei bilanci semestrali delle Nunziature, ma anche delle risultanze finanziarie dei vari centri di spesa e di entrate come ad esempio quelle dell’obolo di San Pietro”. Dalle dichiarazioni di monsignor Carlino emerge che monsignor Perlasca ha avuto il pieno controllo della gestione del fondo Athena Capital Global e soprattutto della gestione, da lui stesso definita “deleteria”, personalistica e con gravi perdite del fondo, operato da Mincione. Monsignor Carlino ha riferito che l’attuale Sostituto monsignor Edgar Pena Parra, nel gennaio 2019, allorquando cioè si rese conto della gravità di quanto stava accadendo, gli riferì che la responsabilità della gestione deleteria dell’investimento era da attribuire a monsignor Perlasca e che aveva deciso di tenerlo fuori dalle operazioni di recupero dell’investimento». Perlasca ha cominciato a collaborare con le autorità vaticane e secondo quanto riferito dall’AdnKronos avrebbe rivelato la richiesta proveniente da monsignor Becciu di trasferire soldi alle attività dei suoi fratelli attraverso la Caritas e che lo stesso Becciu «si è servito durante il suo mandato dei giornalisti» per veicolare informazioni «su monsignor Battista Ricca, monsignor Edgar Pena Parra, sulla malattia del cardinale Parolin, sulla nascita dell’ospedale Mater Olbia». Ultimo capitolo di una guerra che appare tutt’altro che finita.

Claudio Antonelli per "La Verità" il 19 settembre 2020. Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi, responsabile dell'ufficio amministrativo della Segreteria e altre figure laterali. In quell'occasione gli inquirenti vaticani accusano il broker addirittura di estorsione, per via del tentativo di costruire una cresta da 15 milioni. In estrema sintesi la strategia di uscita dal fondo che faceva capo a Raffaele Mincione in relazione all'immobile di Sloane avenue sarebbe stata imbastita, a quanto avrebbero ricostruito i magistrati vaticani, con un'operazione che prevedeva da un lato che la Segreteria di Stato rilevasse l'immobile di Londra e dall'altro che la stessa Segreteria versasse a Mincione 40 milioni di euro a titolo di conguaglio. Successivamente la Segreteria, rappresentata da Tirabassi e da Enrico Crasso, avrebbe deciso di triangolare l'acquisizione dell'immobile di Londra attraverso la Gutt Sa di Torzi. Dando il via a una serie di altre operazioni che avrebbero poi portato agli arresti del broker e all'acquisizione dei telefoni e iPad di Mincione. La Verità apprende che almeno due nomi protagonisti del cronache di giugno compaiono in altre operazioni, adesso sotto il faro degli inquirenti.  A febbraio del 2014 Tirabassi e Crasso si scambiano una serie di informazioni in merito a un conferimento di denaro nel fondo immobiliare Sloane & Cadogan investment management. Il funzionario vaticano nel confermare l'adesione monetaria all'operazione specifica che prima di firmare i termini, bisogna accordarsi sulle commissioni. Nel dettaglio Tirabassi suggerisce 2,5% di commissioni di gestione al netto delle tasse e degli altri costi di avvio del veicolo, mentre le fee di performance (cioè la percentuale che il gestore/fondo prende sulla differenza tra il conferimento iniziale e il valore finale) devono essere del 25%. Anche in questo caso, al netto delle tasse. L'investimento del 2014 (unitamente ad altri) si riferisce a quattro immobili londinesi e non si può non notare che le commissioni sono altissime. Il celebre D.E shaw è un hedge fund che chiede ai suoi clienti 3% di gestione e 30% sulla performance. Ma ha un track record da eccellenza, e soprattutto non è un fondo immobiliare. I fondi di questo settore viaggiano invece intorno all'1% di gestione e al 10/15 di performance fee. La domanda che le toghe si pongono è: perché? Perché sottoscrivere a tali condizioni? Ma gli interrogativi non finiscono qui. Nella comunicazioni tra Crasso e Tirabassi si inserisce anche un altro finanziere all'epoca nel gruppo Credit Suisse, A.ndro N.ceti. Il quale avrebbe confermato a Tirabassi le condizioni di avvio. Va notato però che il nome di N.ceti compare anni dopo legato a una società, Five Ruby red limited, ora attenzionata dal Vaticano. La vicenda, infatti, si infittisce circa tre anni dopo i conferimenti in Sloane & Cadogan. A dicembre del 2017 Consortia directors ltd, che gestisce questi quattro immobili vaticani a Londra, avrebbe dato disposizione a un'altra società intermediatrice di effettuare un bonifico da 700.000 sterline a Eight lotus petals ltd con sede alle Isole vergini britanniche. Il bonifico è stoppato dall'organismo di antiriciclaggio della banca della società intermediaria. Dello stop viene a conoscenza anche l'Aif, Autorità di informazione finanziaria, che successivamente informa monsignor Angelo Becciu. Secondo i pm d'Oltretevere, a ridosso di Natale sarebbe sta. A gennaio del 2018 SC Alpha, società londinese collegata a Sloane & Cadogan investment management, versa a Five Ruby red limited, riconducibile allo stesso N.ceti, un importo di 700.000 sterline. La fattura ha come dicitura «servizi relativi al contratto d'investimento». E indica per il pagamento una filiale Barclays in uno dei paradisi del Canale. L'importo è solo una coincidenza? Oppure non lo è? L'ufficio del promotore di Giustizia, a quanto risulta alla Verità, si sta ponendo tali domande, e avrebbe aperto un altro filone d'indagine diverso, e forse nemmeno intersecato con la presunta truffa di Sloane avenue. Secondo informazioni in possesso della Verità, gli investimenti in Sloane & Cadogan non avrebbero alcun contatto con quelli inerenti l'ormai celebre fondo Athena e la holding di Mincione Wrm. Il dossier è delicatissimo perché - è bene ricordarlo - i fondi su cui stanno indagando i procuratori sono, almeno nel caso di Athena, quelli dell'Obolo di San Pietro e quindi soldi destinati ai poveri. In quanto tali, da gestire con oculatezza e un certo rispetto cristiano.

Dom.Ag. per “la Stampa” l'1 ottobre 2020. Sono i monsignori Perlasca, l'ex «braccio destro» nella gestione della «cassa vaticana», e Carlino, storico segretario, che avrebbero rotto la rete di protezione di Becciu dando il via alla svolta delle indagini sui presunti illeciti finanziari del cardinale sardo. Il «tradimento» sarebbe avvenuto attraverso confessioni agli inquirenti, consegna di documentazione «scottante», dettagliate rivelazioni che accuserebbero Becciu anche di dossieraggi per screditare avversari interni, e una lettera al Papa (mandata da Perlasca). «La Stampa» lo apprende da fonti interne al Vaticano. Per anni Alberto Perlasca è stato il potentissimo capo ufficio amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato, dove si gestisce un tesoretto di quasi 700 milioni di euro tra immobili e liquidi, compresi i flussi dell' Obolo di San Pietro. Il 4 agosto 2019 gli viene improvvisamente cambiato l' incarico: trasferito al Tribunale della Segnatura apostolica. Ma non è ancora coinvolto in alcuna inchiesta, in cui entrerà nel febbraio successivo. Quel 4 agosto cambia ufficio anche Mauro Carlino, grande frequentatore di broker e imprenditori, a lungo segretario di Becciu e poi di monsignor Edgar Peña Parra, sostituti agli Affari generali della Segreteria di Stato (Becciu dal 2011 al 2018, Pena Parra è il suo successore e attuale): Carlino va a capo dell'Ufficio informazione e Documentazione. Entrerà nel registro degli indagati e sarà sospeso dal servizio della Santa Sede il 2 ottobre 2019, per poi essere rimosso e rispedito nella sua diocesi di Lecce nel maggio 2020. Sul licenziamento di Giovanni Angelo Becciu, Perlasca a caldo ha tagliato corto: «Non so niente». E invece, lui come Carlino, avrebbe confessato il suo ruolo negli investimenti spericolati che hanno gravemente «alleggerito» i conti della Santa Sede, e avrebbe fornito ai magistrati carte e conti che proverebbero il coinvolgimento di Becciu. Tra gli episodi su cui si sarebbe concentrato uno sfogo di Perlasca a un cardinale, secondo l' Adnkronos ci sarebbe anche quello dei 100mila euro per la cooperativa sarda che poi si rivelerà essere la Spes di Ozieri, di cui è presidente il fratello di Becciu, Tonino. È una delle operazione sotto la lente dei magistrati. Perlasca avrebbe rivelato una richiesta ricevuta dall' allora Sostituto perché provvedesse a trovare una soluzione per eseguire un bonifico da 100mila euro a una cooperativa in Sardegna in grave difficoltà. I suoi collaboratori gli avrebbero suggerito di dividere l' importo in più quote per evitare indagini da parte dell' Autorità di vigilanza. Ma poi Becciu avrebbe trovato un' altra via: trasmettere l' intera somma alla Caritas diocesana di Ozieri. Causale: opere di carità del Santo Padre. Secondo Perlasca, ci sarebbe Becciu dietro i dossier circolati nelle Sacre Stanze contro due suoi nemici storici nello scontro di poteri in Vaticano: monsignor Battista Ricca (Ior), e soprattutto Pena Parra.

Lotta tra i cardinali Becciu e Pell. Il versamento di 700 mila euro. Fiorenza Sarzanini il 2/10/2020 su Il Corriere della Sera. Bonifici, dossier e ricatti: la guerra tra alti prelati Una pista porta in Australia. C’è una vera e propria attività di dossieraggio di alcuni prelati dietro la svolta dell’inchiesta che ha portato alle dimissioni di monsignor Angelo Becciu. Monsignori — ma anche funzionari della Segreteria di Stato vaticana — che avrebbero conservato documenti sugli investimenti immobiliari e sulla movimentazione dei conti correnti. Le verifiche riguardano numerosi bonifici, compreso uno da 700 mila euro che l’ex Sostituto avrebbe effettuato su un conto australiano. E tanto è bastato per far scattare i controlli. Proprio in Australia è stato infatti processato e poi assolto dall’accusa di pedofilia uno dei «nemici» di Becciu, monsignor George Pell. E adesso si sta verificando se sia stato effettivamente lui ad ordinare il versamento e chi ne siano i beneficiari. Sono gli atti dell’inchiesta a svelare la guerra che si sta combattendo all’interno della Santa Sede. Decreti di perquisizione e sequestro, richieste di rogatorie, soprattutto verbali di chi ha deciso di collaborare con i promotori di giustizia, probabilmente sperando così di evitare conseguenze ben più gravi. Uno è certamente Alberto Perlasca, per anni capo dell’ufficio che all’interno della Segreteria di Stato gestisce l’Obolo di San Pietro, adesso indagato per l’investimento del palazzo di Sloane Avenue a Londra e per tutti gli altri esborsi milionari che hanno «depredato le casse del Vaticano».

Oltre 100 milioni. Secondo le verifiche compiute dai promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi tra il 2014 e il 2017, Perlasca ha autorizzato il fondo Athena Capital Global riconducibile al faccendiere Raffele Mincione (indagato anche dalla procura di Roma per riciclaggio) ad effettuare una serie di investimenti che si sono rivelati disastrosi per le finanze vaticane: depositi in conti correnti Deutsche Bank per 38 milioni di dollari; acquisizione di azioni della società Stroso Jersey per circa 13 milioni di dollari, sottoscrizione di bond, emessi dalla Time and Life sa (che faceva capo a Mincione) per 16 milioni di dollari; finanziamenti a Cessina Limited (a cui fa capo un’altra iniziativa immobiliare di Mincione) per 20 milioni di dollari; acquisizione del 30 per cento di Alex srl; acquisizione di 26 unità del fondo immobiliare Tiziano San Nicola della Sorgente sgr; acquisizione di azioni di banca Carige; acquisizione di azioni della Banca popolare di Milano; sottoscrizione di 3,9 milioni di euro di obbligazioni della società italiana Sierra One, che aveva acquisito i crediti vantati dal Fatebenefratelli con la Regione Lazio e che si era impegnata a riconoscere i crediti a una società che fa capo a Gianluigi Torzi, l’altro finanziere inquisito nell’inchiesta.

Le rivelazioni. Nel febbraio scorso, quando è stato convocato dai Promotori di giustizia per rendere conto della propria attività nella Segreteria di Stato e ha ricevuto un ordine di perquisizione, Perlasca ha capito che rischiava di finire agli arresti. Nel provvedimento oltre a contestargli le accuse di peculato, abuso di autorità e corruzione in concorso con i dipendenti della segreteria di Stato e i faccendieri che hanno portato avanti gli investimenti, i promotori evidenziano che «la violazione della disciplina sovrana dell’amministrazione dei fondi dello Stato e attraverso lo sfruttamento della posizione ricoperta nella struttura amministrativa della Segreteria; l’aver usato in modo illecito e a vantaggio proprio e di altri le somme vincolate a opere di carità; aver ricevuto per gli atti compiuti denaro e altre utilità». Pochi giorni dopo si è presentato di fronte agli inquirenti e ha cominciato a collaborare ricostruendo quanto accaduto e mettendo in cima alla lista proprio monsignor Becciu. Ha parlato del suo ruolo collegato ai faccendieri, dei soldi fatti arrivare alle imprese dei fratelli attraverso un giro di conti proprio per mascherare la destinazione finale. Ha rivelato che appena dieci giorni fa, l’11 settembre, l’Apsa, amministrazione del patrimonio della sede apostolica, ha pagato l’ultima tranche di 45 milioni, su 150, per riscattare l’immobile di Sloane Avenue. Poi ha aperto il capitolo più scottante.

I ricatti. Secondo Perlasca negli ultimi anni Becciu si sarebbe servito di alcuni giornalisti e di altre fonti per screditare i nemici. E proprio in questo filone rientra il versamento che sarebbe stato fatto in Australia e il possibile collegamento con il processo a Pell. La replica di Becciu è lapidaria: «Pur compatendolo, umanamente e cristianamente, per il difficile momento personale che sta attraversando, respingo decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa».

Tutti gli uomini del cardinale Angelo Becciu per controllare gli affari del Vaticano. Massimiliano Coccia il 02 ottobre 2020 su L'Espresso. Il porporato non voleva solo dare soldi ai fratelli. Ma imporre il suo dominio nelle mura leonine. Attraverso una rete internazionale di società, fondi e affari non limpidi. Ecco i nomi dietro il "metodo Becciu". Sono passati dieci giorni dalle dimissioni del Cardinale Angelo Becciu, giorni in cui l’ex porporato ha cercato di sminuire e classificare i contenuti della nostra inchiesta come “complotto”, “campagna denigratoria” o semplici affari di famiglia. Ma quello che agli occhi di Becciu appare come un affare privato è invece un affare di Stato, dello Stato più piccolo del mondo ma che coinvolge una rete internazionale senza eguali. L’affare dell’acquisto del palazzo di Londra situato in Sloane Avenue è solamente l’ultimo investimento, finito male, che ha determinato una cesura del meccanismo, messo in atto con l’assenso di Becciu. Quello che aveva come scopo ultimo - secondo le accuse - il drenare risorse per ingrossare i conti correnti dei famigliari e gestire il potere vaticano, sia nella gestione delle casse della Segreteria di Stato, sia nella possibilità di influenzare il prossimo conclave. È questa la leva che ha mosso la dura reazione di papa Francesco. Proteggere la sua idea di Chiesa povera e vissuta come ospedale da campo. La Chiesa meno di apparenza e più di sostanza che Francesco sta riformando e che passa inevitabilmente per le resistenze di una parte delle gerarchie curiali.

Floriana Bulfon per “la Repubblica” il 2 ottobre 2020. La caccia ai soldi del Sacco di San Pietro porta in Svizzera. I magistrati vaticani sono certi che lì siano nascosti i milioni trafugati con truffe, ricatti e corruzioni. Somme che non riescono neppure a quantificare e per questo con una rogatoria di 12 pagine hanno chiesto alle autorità elvetiche di setacciare tutti i conti dei protagonisti dello scandalo. Broker, finanzieri e funzionari della Segreteria di Stato come Fabrizio Tirabassi. Per gli inquirenti è uno dei personaggi chiave: «ha fornito il suo contributo alla realizzazione dell' operazione Gutt Sa che si è conclusa con un esborso di 15 milioni di euro senza alcuna plausibile giustificazione economica». È lui ad aver seguito in prima persona le manovre della società lussemburghese posseduta da Gianluigi Torzi e i magistrati non gli credono quando sostiene di essere stato raggirato. Perché Tirabassi, da 30 anni al servizio del Vaticano, è un commercialista competente, oltre a essere «molto attivo nel proporre investimenti con i fondi della Segreteria di Stato ai vari gestori patrimoniali, stabilendo con essi attività anche a titolo personale». Un funzionario con tanto di conto allo «Ior (saldo pari a 700mila euro) alimentato esclusivamente dagli emolumenti a lui liquidati dalla Santa Sede ma che egli non ha mai movimentato». Ma in Svizzera ha molto altro, tanto che nel 2015 grazie alla voluntary disclosure regolarizza un milione di euro depositati lì. Disponibilità patrimoniali che «non solo appaiono sproporzionate rispetto alla retribuzione a lui erogata dalla Segreteria di Stato, ma che, alla luce delle investigazioni, rendono plausibile l' ipotesi che Tirabassi abbia commesso il reato di corruzione o concorso in appropriazioni indebite». A cui si aggiunge quello di peculato, perché «sono evidenti le collusioni con Enrico Crasso, con il quale era certamente d' accordo per utilizzare i fondi per finalità diverse da quelle istituzionali». Nella rogatoria si sottolinea come Crasso gestisca dal 1990 le finanze della Segreteria di Stato. Un' attività in cui ha coinvolto anche i figli. Ed è lui a introdurre, nel 2012, il raider Raffaele Mincione nelle stanze della Segreteria di Stato. Stando all' accusa era pienamente consapevole di utilizzare somme a destinazione vincolata ed era presente quando sono state assunte decisioni che si sono rivelate disastrose per le finanze vaticane. Non solo, nel portafoglio in deposito presso Credit Suisse della Segreteria di Stato appaiono investimenti effettuati da lui e a lui riferibili: «Con un evidente conflitto di interesse e un possibile rischio di frode». Un quadro desolante, ma quel che è peggio è che «nonostante la Segreteria di Stato sia stata messa in guardia nell' ultimo anno circa l' attività di Crasso continua a dargli fiducia e a non togliergli la delega a operare sui propri conti correnti». Il sospetto è che si sia creata un' associazione per delinquere ai danni della Santa Sede e che un fiume di milioni sia stato disperso nei paradisi bancari. La Svizzera è solo la prima tappa. Qui per ora sono stati congelati i conti di Mincione, il finanziere di Pomezia che per l' accusa ha tratto il maggior vantaggio dall' operazione di Londra. Ben 18 milioni di euro, nonostante l' affare si sia rivelato disastroso per il Vaticano. E la procura vaticana gli contesta anche le scalate lanciate in Italia - come Bpm, Carige e Retelit - perché «ha investito somme della Segreteria di Stato in strumenti finanziari di società a se stesso riferibili nelle quali aveva interessi personali». Il cardinale Angelo Becciu segue dal suo appartamento la continua fuga di notizie che lo riguardano. Ieri, tramite il suo legale Fabio Viglione, ha reagito alle dichiarazioni attribuite dalla stampa a monsignor Perlasca. Il porporato ha espresso «stupore e dolore, denunciandone la plateale falsità», dice Viglione. E ancora: « Sua Eminenza respinge decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa, che si vorrebbero utilizzati a fini diffamatori nei confronti di alti prelati». Anche Mauro Carlino, ex segretario di Becciu, ha smentito tramite i suoi legali «di aver mai fatto accuse nei confronti del cardinale, di essersi aperto con gli inquirenti dopo la radiazione dal corpo diplomatico e di essersi pentito, avendo sempre legittimamente operato, davanti ai magistrati non avendo nulla da nascondere».

Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 2 ottobre 2020. C'è una vera e propria attività di dossieraggio di alcuni prelati dietro la svolta dell' inchiesta che ha portato alle dimissioni di monsignor Angelo Becciu. Monsignori - ma anche funzionari della Segreteria di Stato vaticana - che avrebbero conservato documenti sugli investimenti immobiliari e sulla movimentazione dei conti correnti. Le verifiche riguardano numerosi bonifici, compreso uno da 700 mila euro che l' ex Sostituto avrebbe effettuato su un conto australiano. E tanto è bastato per far scattare i controlli. Proprio in Australia è stato infatti processato e poi assolto dall' accusa di pedofilia uno dei «nemici» di Becciu, monsignor George Pell. E adesso si sta verificando se sia stato effettivamente lui ad ordinare il versamento e chi ne siano i beneficiari. Sono gli atti dell' inchiesta a svelare la guerra che si sta combattendo all' interno della Santa Sede. Decreti di perquisizione e sequestro, richieste di rogatorie, soprattutto verbali di chi ha deciso di collaborare con i promotori di giustizia, probabilmente sperando così di evitare conseguenze ben più gravi. Uno è certamente Alberto Perlasca, per anni capo dell' ufficio che all' interno della Segreteria di Stato gestisce l' Obolo di San Pietro, adesso indagato per l' investimento del palazzo di Sloane Avenue a Londra e per tutti gli altri esborsi milionari che hanno «depredato le casse del Vaticano». Secondo le verifiche compiute dai promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi tra il 2014 e il 2017, Perlasca ha autorizzato il fondo Athena Capital Global riconducibile al faccendiere Raffele Mincione (indagato anche dalla Procura di Roma per riciclaggio) ad effettuare una serie di investimenti che si sono rivelati disastrosi per le finanze vaticane: depositi in conti correnti Deutsche Bank per 38 milioni di dollari; acquisizione di azioni della società Stroso Jersey per circa 13 milioni di dollari, sottoscrizione di bond, emessi dalla Time and Life S.A. (che faceva capo a Mincione) per 16 milioni di dollari; finanziamenti a Cessina Limited (a cui fa capo un' altra iniziativa immobiliare di Mincione) per 20 milioni di dollari; acquisizione del 30 per cento di Alex srl; acquisizione di 26 unità del fondo immobiliare Tiziano San Nicola della Sorgente sgr; acquisizione di azioni di banca Carige; acquisizione di azioni della Banca popolare di Milano; sottoscrizione di 3,9 milioni di euro di obbligazioni della società italiana Sierra One, che aveva acquisito i crediti vantati dal Fatebenefratelli con la Regione Lazio e che si era impegnata a riconoscere i crediti a una società che fa capo a Gianluigi Torzi, l' altro finanziere inquisito nell' inchiesta. Nel febbraio scorso, quando è stato convocato dai Promotori di giustizia per rendere conto della propria attività nella Segreteria di Stato e ha ricevuto un ordine di perquisizione, Perlasca ha capito che rischiava di finire agli arresti. Nel provvedimento oltre a contestargli le accuse di peculato, abuso di autorità e corruzione in concorso con i dipendenti della segreteria di Stato e i faccendieri che hanno portato avanti gli investimenti, i promotori evidenziano che «la violazione della disciplina sovrana dell' amministrazione dei fondi dello Stato e attraverso lo sfruttamento della posizione ricoperta nella struttura amministrativa della Segreteria; l' aver usato in modo illecito e a vantaggio proprio e di altri le somme vincolate a opere di carità; aver ricevuto per gli atti compiuti denaro e altre utilità». Pochi giorni dopo si è presentato di fronte agli inquirenti e ha cominciato a collaborare ricostruendo quanto accaduto e mettendo in cima alla lista proprio monsignor Becciu. Ha parlato del suo ruolo collegato ai faccendieri, dei soldi fatti arrivare alle imprese dei fratelli attraverso un giro di conti proprio per mascherare la destinazione finale. Ha rivelato che appena dieci giorni fa, l' 11 settembre, l' Apsa, amministrazione del patrimonio della sede apostolica, ha pagato l' ultima tranche di 45 milioni, su 150, per riscattare l' immobile di Sloane Avenue. Poi ha aperto il capitolo più scottante. Secondo Perlasca negli ultimi anni Becciu si sarebbe servito di alcuni giornalisti e di altre fonti per screditare i nemici. E proprio in questo filone rientra il versamento che sarebbe stato fatto in Australia e il possibile collegamento con il processo a Pell. La replica di Becciu è lapidaria: «Pur compatendolo, umanamente e cristianamente, per il difficile momento personale che sta attraversando, respingo decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa».

Gianluca Paolucci per “la Stampa” il 3 ottobre 2020. Una vera e propria «cricca», che ha lavorato per depredare risorse di strutture legate al Vaticano, in azione dentro la Santa Sede da ben prima della vicenda dell'investimento di Sloane Avenue a Londra. E che fino alla vicenda dell'immobile al centro dello scandalo operava su un altro settore ugualmente redditizio: i crediti sanitari. È quanto emerge dalla lettura degli atti della vicenda, dalla richiesta di rogatoria avanzata dalle autorità vaticane all'Italia fino al mandato d'arresto di Gianluigi Torzi, incrociata con altri documenti visionati da La Stampa. A parlare esplicitamente di una «associazione» tra Fabrizio Tirabassi, Giuseppe Maria Milanese, Gianluigi Torzi e Luciano Capaldo è la richiesta di rogatoria inviata dalle autorità vaticane alla procura di Roma il 26 novembre scorso. Che analizza anche una serie di operazioni compiute dai quattro nel settore dei crediti sanitari. Tirabassi, ex funzionario della Segreteria di Stato, è uno degli indagati nell'inchiesta sul palazzo di Sloane Avenue nonché una delle prime teste a cadere quando è emersa la vicenda. Milanese, presidente della cooperativa Osa, compare in questa storia come uno dei personaggi chiamati a «mediare» quando esplode la vicenda delle perdite nell'investimento fatto con l'Obolo di San Pietro nei fondi del finanziere Raffaele Mincione. Inizialmente individuato come una figura equivoca e dal discutibile profilo reputazione nella rogatoria di novembre, viene definito «disinteressato» nel mandato d'arresto di Torzi, dopo un interrogatorio durato 8 ore e ampiamente citato nell'atto d'arresto. Torzi, arrestato in Vaticano nel giugno scorso e rilasciato qualche giorno dopo, incassa almeno 15 milioni di euro per la «mediazione» con Mincione sul palazzo grazie anche all'interposizione di una sua società, la lussemburghese Gutt sa. Capaldo, architetto romano con numerosi affari a Londra, è tutt' ora amministratore della London 60 SA Limited, la società controllata dalla Segreteria di Stato alla quale fa capo adesso il palazzo di Sloane Avenue. Risulta però anche legato a Torzi da una serie di incroci societari. I rapporti risalgono almeno al 2016, quando la Osa di Milanese, che fornisce personale specializzato alle strutture sanitarie emette un'obbligazione che viene sottoscritta integralmente dalla Segreteria di Stato con i fondi depositati presso Credit Suisse. Nello stesso periodo, a febbraio 2016, la Sogenel di Enrico Crasso - ex Credit Suisse e uno dei gestori di fiducia delle finanze vaticane - ottiene un mandato da Osa per «analisi e e gestione del recupero dei suoi asset di credito». In realtà il compenso di Sogenel (40 mila euro) rappresenterebbe la commissione per il bond sottoscritto dalla Segreteria di Stato. Nel 2017 parte poi l'operazione di cartolarizzazione dei crediti vantati dal Fatebenefratelli, struttura del Vaticano, nei confronti della Asl Roma 1. Ad orchestrare il tutto sarebbero, secondo i documenti visionati, Torzi e Capaldo. Si tratta in realtà di tre operazioni distinte, tutte con commissioni stratosferiche per gli intermediari: il 20% dei crediti ceduti. Su 14,8 milioni di incasso della prima tranche, al Fatebenefratelli vanno 11,2 milioni mentre 3,6 milioni vanno alla Odikon Services, controllata da Torzi e nella quale Capaldo è stato amministratore fino a novembre 2018. Nel 2018 è poi la Sunset Enterprise a prendere il 20% di commissioni su un'altra cartolarizzazione del Fatebenefratelli. Ovvero, la società di Torzi che un anno più tardi incasserà una parte della «commissione» per la vicenda del palazzo di Londra. In questo caso però il veicolo (Sierra One Spv) non pagherà mai i crediti e la commissione salta. Non salta però qualche tempo dopo, quando il Fatebenefratelli vara una terza operazione di cartolarizzazione: 28,7 milioni di incasso totale e altri 7,2 milioni alla Sunset di Torzi. I bond emessi poi da Sierra finiscono anche (per 3,9 milioni) nel fondo Athena alimentato dai soldi del Vaticano. Il Servicer è la Sunset Credit Yeld di Capaldo. Stessa società che compare anche in un'altra operazione, a fine 2018, sui crediti della Osa di Milanese. Operazione che coinvolge anche Tirabassi: gli inquirenti vaticani annotano che Tirabassi e Capaldo lavorano insieme sui crediti sanitari negli stessi mesi in cui Capaldo («ancora non indagato», dice una fonte della Santa Sede) si occupava anche dell'immobile di Londra. Oltre a essere amministratore della società che lo controlla, una sua società ottiene anche il mandato per la gestione dell'immobile.

L’ex cardinale Becciu scrive a Papa Francesco. Con una lettera, l'ex cardinale avrebbe fatto ammenda per i toni della conferenza stampa post-dimissioni, quando disse del Pontefice «spero non sia manipolato». Ma non si è ancora presentato davanti a chi lo ha messo sotto accusa. Massimiliano Coccia su L'Espresso il 02 ottobre 2020. C’è un senso di quiete apparente tra le mura vaticane giunta dopo la settimana più difficile del papato di Francesco; una settimana piena di notizie iniziata,  grazie all’inchiesta de “L’Espresso”   con le dimissioni del cardinale Angelo Becciu e proseguita, il giorno appresso,  con la conferenza stampa inusuale  di quest’ultimo Secondo quanto “L’Espresso” ha appreso da fonti interne alla Santa Sede, l'ex porporato sardo di Pattada avrebbe indirizzato una missiva al Pontefice, in un cui chiede scusa per toni, modalità di comunicazione e interazione con la stampa. In particolare, per quella frase piuttosto infelice con la quale l’ex cardinale auspicava che il Pontefice «non fosse manipolato da nessuno». Una lettera che potrebbe segnare un cambio di strategia di Becciu: dopo una difesa iniziale improntata sull’ipotesi del complotto, complice anche il pentimento del suo collaboratore monsignor Alberto Perlasca, l'ex sostituto della Segreteria di Stato si ritrova in una crescente solitudine e con un impianto di accuse non ancora formalmente notificate molto ampio. Inoltre, nonostante la dichiarazione resa nella conferenza stampa all’Istituto Maria Bambina di venerdì 25 settembre, in cui assicurava piena volontà di collaborare con gli inquirenti, ad oggi l’ex porporato non si è ancora presentato davanti ai promotori di giustizia Giampiero Milano e Alessandro Diddi per spiegare la sua versione dei fatti. Un atteggiamento ricorrente da parte di molti uomini coinvolti all’interno del caso del Palazzo di Sloane Avenue: ad esempio Fabrizio Tirabassi, commercialista, licenziato lo scorso anno dalla Santa Sede, da allora non ha più messo piede all’interno delle mura leonine e, nonostante l’invito a comparire più volte avanzato dagli inquirenti, si è limitato alla consegna di una memoria difensiva. Proprio il profilo di Tirabassi è quello più significativo in questa vicenda sia per la piena conoscenza del meccanismo corruttivo che era alla base del  “sistema Becciu” , sia per l’ingente quantità di denaro (in totale più di un milione e mezzo di euro) che nel corso del tempo è confluita sui suoi quattro conti correnti: due dello Ior, uno in una banca svizzera e l’ultimo a New York, al momento tutti sequestrati dalle autorità giudiziarie. Inoltre, nei giorni che hanno preceduto lo scandalo, a chi lo interpellava all’interno delle stanze vaticane circa i rischi cui lo esponeva la sua posizione, Tirabassi rispondeva con una caustica scrollata di spalle e con la specifica che le carte che lui lavorava erano firmate da Becciu, Perlasca e persino dal Papa, dimostrando così di non temere nessuno scandalo o coinvolgimento. Chi invece ha collaborato con gli inquirenti, sin dalle prime battute, è stata Alida Carcano, all’epoca dei fatti in quota Valeur Investment, società che ebbe un ruolo centrale nella creazione del fondo immobiliare che portò all’operazione di acquisizione del palazzo di Sloane Avenue. Fu proprio quell'affare a produrre la rottura tra lei e il suo ex socio, L.enzo V.gelisti, perno centrale dei rapporti tra il finanziere Enrico Crasso, detentore della cassa vaticana, e A.ndro N.ceti, ex Credit Suisse, facilitatore dei rapporti tra acquirenti e Segreteria di Stato. Questi ultimi continuano a non rispondere alle richieste di chiarimenti da parte delle autorità vaticane, nonostante penda una rogatoria internazionale con la Svizzera che in tempi rapidi farà chiarezza su conti e fondi di investimento. Un momento che in molti si aspettano, compreso Papa Francesco.

Preciso cheprecisoche.  L'Espresso il 6 ottobre 2020. Nessun rapporto di lavoro con finanze vaticane. Riguardo all’articolo da voi pubblicato il 2 ottobre sulla lettera dell'ex cardinale Becciu a papa Francesco, desidero precisare che:

1) Non sono stata ingaggiata sulla natura delle informazioni riportate nell'articolo che citano il mio nome.

2) Smentisco le frasi nell'articolo in quando non sono mai stata interpellata in nessun contesto da qualsivoglia autorità, inquirenti con riferimento alla vicenda citata.

3) In passato ho lavorato con L.nzo V.gelisti citato nell'articolo, ma le nostre strade si sono definitivamente separate nel 2015 e la mia società Valeur Fiduciaria SA non ha niente a che vedere con la Valeur Capital citata nell'articolo. Non ho mai partecipato alla creazione di nessun fondo immobiliare e non ho mai avuto a che fare con le operazioni suddette o rapporti di lavoro con finanze vaticane.

Sono quindi assolutamente estranea ad ogni riferimento e, appunto, nessuno inquirente mi ha mai chiesto nulla a riguardo. Le sarei grata pertanto se poteste procedere ad una rettifica sulla mia posizione sia dal sito sia dal magazine già dal prossimo numero. sono a disposizione per qualsiasi chiarimento. Alida Carcano

Massimiliano Coccia per “la Repubblica” il 5 ottobre 2020. In queste ore le testimonianze di monsignor Alberto Perlasca, assistente dell'allora cardinale Angelo Becciu all' interno della Segreteria di Stato, davanti ai promotori di giustizia vaticani, aprono scenari inediti. La creazione di un sistema economico parallelo serviva a Becciu anche per gestire il potere, creare dossier per screditare rivali, funzionari o uomini vicini a Papa Francesco che avrebbero potuto interrompere i piani dell' allora Sostituto alla segreteria. Dalle rivelazioni di Perlasca si è arrivati a individuare una serie di bonifici che il cardinale di Pattada avrebbe indirizzato in Australia, nello stato di Victoria, per finanziare sia i testimoni contro il grande rivale, il cardinale George Pell, sia per far montare la campagna mediatica per chiederne la condanna. Uno schema che nasce da lontano e che è stato, secondo le rivelazioni, preparato con l' ausilio di una rete di supporto in Australia che si incrocerebbe con alcune persone vicine a ordini religiosi e associazioni contro la pedofilia. L' avversione tra Becciu e Pell è antica, ma l' episodio cardine non è quello riferito dallo stesso ex sostituto della Segreteria di Stato nella conferenza stampa dopo le dimissioni, quando raccontò di quella volta che «davanti al Papa, lui mi disse: lei è un disonesto. E lì ho perso la pazienza, e gliel' ho gridato: non si permetta di dire queste cose». Va ancora più indietro. Risale al momento in cui Pell comprende, tra i primi, quale sia il meccanismo che regola i fondi della Segreteria di Stato, quel "metodo Becciu" che L'Espresso ha ricostruito in queste settimane; quando decide di segnalare all' anticorruzione quel sistema fatto di cartolarizzazioni, fondi, consulenze, percentuali fuori mercato, fiumi di soldi ed enormi giri finanziari. Il pericolo per la tenuta del sistema Becciu è evidente. Da qui, la necessità di sbarazzarsi dell' ingombrante presenza del cardinale australiano. Per strutturare il piano, Becciu si sarebbe avvalso di una persona di fiducia, legata a doppio filo a una importante dinastia romana, che conosceva bene il territorio australiano avvalendosi di una rete religiosa ed economica di supporto. Il piano punta sulla pedofilia. Le vittime vengono individuate tra gli ex studenti del Saint Patrick College di Ballarat e tra l' omonima cattedrale di Melbourne, un luogo dove Pell gestiva molteplici attività con i ragazzi tra cui il coro. Tre sono gli uomini che hanno accusato il cardinale Pell: due di origine irlandese e un terzo di origine italiana. Quest'ultimo, deceduto per overdose a 31 anni, non ha mai potuto testimoniare in tribunale contro di lui. Secondo alcuni abitanti di Ballarat, che abbiamo ascoltato via Skype, l' uomo avrebbe in punto di morte più volte negato il coinvolgimento di Pell ammettendo che fu pagato molto bene per accusare il cardinale. Secondo quanto raccolto dagli abitanti, l' uomo parlava di un italiano che aveva vissuto a lungo in Australia che lo aveva arruolato e spesso ripeteva che i soldi ricevuti gli sarebbero serviti per disintossicarsi. Al processo, cui non partecipò mai, testimoniò il padre che confermò le violenze subite. La creazione del dossier su Pell fu di facile realizzazione: sia per l' ampia capacità di liquidità di cui il l' ex Sostituto della segreteria di Stato disponeva, come testimonia il suo conto Ior, sia per lo scarso appeal che Pell aveva nella curia romana. Al vaglio delle autorità vaticane ci sarebbero anche altri movimenti bancari che riguarderebbero la contropartita che il cardinale Becciu avrebbe girato ai basisti di questa operazione. Nella serata di ieri, per mezzo del suo avvocato, ha smentito «in modo categorico qualunque interferenza nel processo nei confronti del cardinale Pell». Ma c'è altro che si muove. Secondo quanto si apprende dal Bollettino ufficiale della Santa Sede, il 24 settembre Papa Francesco ha incontrato Salvatore De Giorgi, cardinale e arcivescovo emerito di Palermo. Al centro dell' incontro ci sarebbe, su indicazione delle autorità vaticane, la volontà di riprendere il lavoro della prima Vatileaks, alla quale De Giorgi lavorò come membro della commissione d'inchiesta in cui c'erano i cardinali Jozef Tomko e Julián Herranz Casado. Quel lavoro fu consegnato da Benedetto a Francesco e potrebbe costituire l' ingranaggio per creare una sorta di maxiprocesso in cui vecchi e nuovi metodi potrebbero unirsi per superare definitivamente certe modalità operative e dare lo slancio definitivo alla riforma delle finanze vaticane. Sullo sfondo rimangono numerosi appuntamenti nell' agenda vaticana, tra cui quello più delicato previsto per novembre: il Conclave del Sovrano Ordine di Malta che avrebbe dovuto seguire proprio il cardinale Becciu, il quale formalmente rimane il delegato di Francesco.

Giacomo Amadori per “la Verità” il 5 ottobre 2020. Nelle indagini sulla gestione delle finanze vaticane da parte del cardinale Giovanni Angelo Becciu, già prefetto della Congregazione delle cause dei santi, c' è una nuova pista che porta sempre in Sardegna. Infatti a destare l' attenzione degli investigatori della Santa sede guidati dai promotori di giustizia Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, non sono solo i cospicui aiuti ai tre fratelli imprenditori del porporato (originario di Pattada, provincia di Sassari), ma anche alcuni bonifici inviati dai conti riconducibili a Becciu e al suo vecchio ufficio a Cecilia Marogna, trentanovenne cagliaritana. A Roma i due sono stati avvistati insieme e la donna, bruna e minuta, a quanto risulta alla Verità sarebbe entrata in Vaticano presentata come «nipote» del cardinale. Di lei sotto il Cupolone sanno che vive a Milano, dove il compagno F.B.S., pure lui originario della provincia di Sassari, svolge attività imprenditoriale. La signora, secondo alcune fonti, sarebbe stata ingaggiata e retribuita per curare alcuni rapporti internazionali. Ora gli inquirenti vogliono capire se si tratti di consulenze regolari. Ieri abbiamo provato a contattare Becciu e la Marogna. Il primo ci ha risposto: «Mi hanno detto di stare zitto. Posso solo dirle che la signora non è una mia familiare». Il cellulare della donna, invece, ha suonato a vuoto tutto il giorno. Su Internet si trovano pochissime informazioni su di lei. Tra queste risalta il suo ruolo nel Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi. Quest' ultimo, romano, classe 1971, è una specie di grembiulino di sinistra: Gran maestro del Grande oriente democratico (nato in contrasto con il più noto Grande oriente d' Italia), nel 2015, insieme con Laura Maragnani, ha pubblicato il libro «Massoni, società a responsabilità illimitata. La scoperta delle ur-lodges». Sempre cinque anni fa, Magaldi si è buttato anche in politica. Su Facebook leggiamo: «Il Movimento Roosevelt è stato ufficialmente costituito a Perugia dai soci fondatori, il 21 marzo 2015, con contestuale elezione di un Presidente, di un Segretario generale e di altri organi collegiali. Il Movimento Roosevelt ha natura politica metapartitica, con l' intenzione di aggregare i progressisti, i democratici e i libertari di sensibilità socialista (in senso democratico-liberale) di tutte le latitudini politiche, civili e culturali». Dal sito del movimento apprendiamo anche che la Marogna, nel 2016, è stata «nominata membra della segreteria particolare per le relazioni con gruppi, associazioni e soggetti rilevanti della società civile». La donna ha avuto contatti anche con un altro personaggio in odore di massoneria, Flavio Carboni, condannato in primo grado a 6 anni e 6 mesi per le attività illecite di una presunta associazione segreta, la P3. Lo stesso Carboni è già stato condannato per il crac del Banco ambrosiano ed è sotto processo per reati fiscali e riciclaggio presso il Tribunale di Arezzo. Nelle carte di quest' ultimo procedimento sono state depositate le intercettazioni effettuate sui cellulari del faccendiere sardo. Dai brogliacci risultano decine di chiamate della Marogna: tutte con squilli a vuoto o risposte della segreteria. Agli atti anche messaggi di testo. Il 12 dicembre 2015 la Marogna scrive: «Ciao, come stai? Volevo sapere se sei a Cagliari e magari disponibile domani sera».

Otto giorni dopo: «Ciao, come stai? Ogni tanto cerco di contattarti chiamami appena puoi.

Cecilia». Il 15 febbraio 2016 manda un altro sms: «Ciao Carissimo, come stai? Mi farebbe piacere vederti. Chiamami!».

Il 22 marzo 2016 forse il desiderio si sta per avverare: «Non vedo l' ora di vederti!». Seguono nei giorni successivi molte altre chiamate a vuoto. Il nome di Carboni, classe 1932, in passato è stato associato ad alcuni dei più torbidi intrighi della Santa Sede. Per esempio è stato processato e assolto per la morte del banchiere Roberto Calvi, e la sua figura è stata collegata anche al sequestro di Emanuela Orlandi. Eppure, ancora nel 2015, sembra che conservasse preziose entrature in Vaticano, come rivelato dalla Verità nei mesi scorsi. Cinque anni fa il presunto pitreista era interessato alla presentazione di un progetto legato alla produzione del grafene, un materiale resistentissimo, e per finanziarlo aveva deciso di chiedere aiuto Oltretevere e a un misterioso politico sardo con buoni agganci a Bruxelles. In uno dei faldoni depositati ad Arezzo, nel capitolo intitolato «canali preferenziali», si legge: «Il Carboni cercava di rassicurare i vari interlocutori coinvolti nella realizzazione del progetto, affermando, in molteplici circostanze, di aver ottenuto i più ampi consensi da parte di chi "di dovere", ricorrendo più o meno esplicitamente a riferimenti quali "Piazza sacra" (riferimento al Vaticano, ndr) o "Bruxelles" per far intendere che il progetto, ancora non del tutto definitivo, era già stato posto all' attenzione "ufficiosa" di influenti personaggi riconducibili al Vaticano e/o alla Comunità europea che avevano concesso il loro benestare». In un' intercettazione Carboni si vanta di avere le porte aperte, «soprattutto quelle della Piazza sacra e che sta prendendo appuntamento ovunque a livelli altissimi». Il 14 dicembre 2015 l' ottantottenne originario di Torralba (a 45 chilometri da Pattada) si reca in Vaticano e il giorno successivo riferisce a un interlocutore che «vogliono vedere il progetto perché lo vogliono "benedire" e una volta benedetto poi andrà in "paradiso"». Il giorno dopo il faccendiere spiega al telefono «che hanno chiamato da Roma chiedendo il numero di protocollo della domanda di presentazione del progetto da comunicare all' Accademia Pontificia delle Scienze» e che «ora la cosa urgente è terminare il progetto in quanto devono mandarlo di corsa "su a persone che sappiamo noi"». Ma le conversazioni più importanti sono quelle del 23 dicembre, quando Carboni svela «che il professore (Viktor Petrik, esperto di grafene, ndr) deve fare una visita in Vaticano [] che "deve farsi benedire nella Piazza sacra" e che lo accompagnerà lui in quanto ha un appuntamento alle 16.30». Per gli investigatori il cellulare di Carboni «dalle ore 17.00 circa alle ore 18.30 del 23 dicembre 2015» aggancia «le celle di rilevamento posizionate all' interno della Città del Vaticano». Il 20 febbraio 2016 Carboni sostiene che «il professore può essere ricevuto proprio dal "Vertice" [] compatibilmente con gli impegni di "Sua Santità"» e che «gli hanno dato la massima disponibilità, da parte addirittura del Segretario di Stato (pontificio)». Sebbene sia difficile credere a questa dichiarazioni, qualcuno in Vaticano deve aver ricevuto Carboni. Marcelo Sánchez Sorondo, vescovo argentino molto legato al Papa e cancelliere della Pontificia accademia delle scienze, ci disse, dopo aver consultato email, agenda e registro: «Non c' è nessuna richiesta di Carboni, non c' è traccia di quel signore. Se è entrato in Vaticano, non è venuto da me». Le nostre fonti, allora, ci indirizzarono verso Becciu, all' epoca sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, e il cardinale escluse ogni rapporto: «Ho sentito parlare di Carboni dai giornali, ma non l' ho mai visto in vita mia. Mai. Neppure per sbaglio, né in Sardegna, né da altre parti». Al contrario della sua consulente e presunta «nipote» Cecilia Marogna.

Giacomo Amadori e Giuseppe China per “la Verità” il 7 ottobre 2020. Per capire l'affaire del cardinale Angelo Becciu e della sua dama sarda, la collaboratrice Cecilia Marogna, basta raccontare la storia del «lasciapassare» che il porporato ha vergato il 17 novembre 2017. In un foglio intestato alla Segreteria di Stato Becciu ha scritto: «Il sottoscritto, Sua eccellenza monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, dichiara di conoscere la signora Cecilia Marogna e di riporre in Lei fiducia e stima per la serietà della sua vita e della sua professione. La signora Marogna presta servizio professionale come analista geopolitico e consulente relazioni esterne per la Segreteria di Stato-sezione Affari generali». In realtà forse Becciu non sa tutto della signora, che si sarebbe accreditata presso di lui via mail. È difficile immaginare che conosca le frequentazioni della giovane, affascinata da massoni e faccendieri del livello di Flavio Carboni («L'ho voluto conoscere per avere informazioni sulla storia dell'Anonima sequestri», ci ha confidato) e Francesco Pazienza («Sono la figlia che non ha mai avuto»). Forse Becciu non sapeva neanche che la Marogna fosse stata denunciata nel 2010 per appropriazione indebita e nel 2002 per furto. Il documento di Becciu anticipa di un anno circa l'invio dei primi bonifici (per un totale di 500.000 euro) partiti dal Vaticano in direzione della Slovenia, dove la donna, il 28 dicembre 2018, era diventata azionista di riferimento (con il 100 per cento delle quote) e manager della società Logsic d.o.o. di Lubiana. In precedenza la signora, come vedremo, era andata alla ricerca di lavoro e guadagni. Dal 2016 affiancava Becciu come esperta di geopolitica, senza però nessuna entrata regolare. «Prima mi ha messo alla prova» ci ha confermato la Marogna. A fine 2017 le ha preparato la lettera di referenze e un anno dopo ha iniziato a farle arrivare cospicui finanziamenti. La Marogna quella lettera di accreditamento non l'avrebbe usata solo per aprire le porte delle nunziature in giro per il mondo, mentre svolgeva il suo lavoro di diplomazia parallela. A quanto risulta alla Verità in almeno un'occasione l'avrebbe utilizzata come garanzia in un'agenzia immobiliare per cambiare casa e siglare un nuovo contratto di affitto. Ma visto che la signora non pagava la pigione da meno di 1.000 euro, a un certo punto, l'agenzia ha spedito una lettera alla Santa sede chiedendo chi fosse questo Becciu garante della Marogna. Ieri sera Le Iene hanno mandato in onda un servizio in cui si parlava delle spese della donna per beni di lusso nelle boutique di Prada, Moncler, Saint Laurent, Mont Blanc, Tod's, Frau, oggetti acquistati con i soldi depositati in Slovenia. «Una persona con il suo compenso può fare ciò che vuole» ha precisato con noi la trentanovenne sarda. «Nel budget di mezzo milione era compreso anche il mio stipendio che, però, non era stato determinato. Le posso dire che probabilmente sono creditrice verso il Vaticano, anche se posso avere speso 200.000 euro per me».Poi continua: «Ho raggiunto gli obiettivi con i pochi spiccioli che ho avuto, ho ottimizzato le risorse, mi sono accreditata con persone che hanno avuto fiducia in me e hanno riscontrato la mia professionalità. E mi venite ad accusare perché mi sono comprata, forse, una borsetta, una poltrona e un paio di sedie?». Sono lontani i tempi in cui la donna era titolare di due ditte individuali, una di confezionamento di generi alimentari e un'altra che si occupava di cemento e derivati. La Marogna, con tutti quelli che l'hanno contattata in questi giorni, ha specificato di essere un'esperta di geopolitica «autodidatta», di aver concepito una figlia «fuori dal matrimonio» e di avere un'utilitaria. Prova anche a rifilarci la storia del doppio mutuo a carico: quello per pagarsi gli studi e quello per la casa dei genitori (un ex militare e una casalinga).Ma chiacchierando con lei emergono anche questioni molto più rilevanti. Per esempio la donna avrebbe continuato a collaborare con Becciu anche quando il porporato aveva ormai lasciato la Segreteria di Stato. L'ultimo viaggio in versione James Bond in gonnella l'avrebbe fatto l'anno scorso in Turchia. Quest' anno per lei solo trasferte a Londra, in Svizzera e in Slovenia. Tappe più da finanziere che da esperta di terrorismo e aree di crisi. Ieri mattina ci è arrivata una strana mail riguardante i presunti trascorsi da «fonte» dei servizi della Marogna («è possibile che lo sia» butta lì la donna) e il suo ipotetico ruolo avuto nelle trattative per liberare padre Pierluigi Maccalli, sequestrato in Niger. Anche in questo caso la donna non smentisce del tutto, quindi manda un pizzino ai massimi vertici istituzionali: «Vorrei incontrare Gennaro Vecchione (direttore del Dipartimento informazione e sicurezza, ndr) e il premier Giuseppe Conte, persone che non ho mai conosciuto, per farmi due chiacchiere con loro». Successivamente conferma di essere in contatto con un altro noto e chiacchierato 007 (Marco Mancini, nota di Dagospia). «Ho chiesto di confrontarmi con lui attraverso un suo grandissimo amico (Giuliano Tavaroli, nota di Dagospia), una persona che stimo e che conosco da anni (in passato condannato per dossieraggio, ndr) vorrei andare a raccontargli un po' di cose». È abbastanza evidente che la Marogna possa essere utilizzata da qualcuno non solo per una guerra interna al Vaticano, ma anche ai servizi di sicurezza. Per lei il proprio ruolo è chiaro: «Io sono un pacco regalo. Conteso. Scomodo. E di imbarazzo per chi avrebbe dovuto supportarmi con continuità, mentre invece si è perso tra le fresche frasche. Però malgrado tutto ho ottimizzato le mie risorse per raggiungere l'obiettivo». Target che, però, non rivela. Ieri la presunta «dama di Becciu» ci ha inviato dei fogli Excel con alcune delle sue presunte spese effettuate in un'operazione svolta tra febbraio e marzo 2018, per un totale di 236.847 sterline (circa 260.000 euro al cambio attuale). Nelle carte la donna, con precisione, annota anche la media delle uscite quotidiane. Tra i costi ci sono voci come «know-how», «monitoraggio» e «assistenza». Nei fogli si trovano anche molte uscite legate ai voli aerei, al noleggio di auto e al carburante. Alte anche le bollette telefoniche. Dopo averci mandato il materiale la donna diventa imperativa: «Mettiti a scrivere. Titolo: "Non è che la Marogna fa parte di una partita molto più grande di lei?"». Quindi si fa incalzante: «Questa roba la devi mandare alle Iene immediatamente, devi fermare quella merda, perché altrimenti l'inchiesta non te la faccio fare. Scrivo io, tanto so farlo bene, e mi apro un blog e faccio io gli scoop su di me». Insiste: «Non sono una faccendiera, né una lobbista, ma un'analista geo-socio economico-politica non cerco fama, né gloria. Con la storia delle mie spese personali hanno voluto spostare l'attenzione dalla manovra finanziaria da 450 milioni che ruota intorno a Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi». La sedicente esperta ha avuto rapporti anche con diversi politici italiani. Per esempio con gli ex ministri Cirino Pomicino e Lorenzo Cesa. Quest' ultimo risulta averle versato una retribuzione da 2500 euro per lavoro dipendente. Pomicino ricorda: «La Marogna ci combinò un appuntamento con Becciu». A presentargliela sarebbe stato il figlio di un ex deputato democristiano, «una brava persona, quasi un prete»: «Quella ragazza era una persona alla ricerca disperata di lavoro. L'ho mandata in giro per questi centri che si occupano di geopolitica, ma non credo che abbia avuto riscontri. Quando l'ho conosciuta sembrava tutt' altro che una donna dedita al lusso. Piuttosto un pulcino bagnato». Conclude: «Magari era solo una testa di legno. Io dalla fine del 2018 non l'ho più vista». Anche perché la Marogna a quell'epoca aveva iniziato a incassare in Slovenia i soldi del Vaticano. Nel colloquio con la dama sarda spuntano anche i nomi di altri politici. Nel libro di Massimo Franco L'enigma Bergoglio si parla di un pranzo tra il cardinale Becciu, l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, durante la crisi della nave Sea watch. Un incontro a cui il leader della Lega si sarebbe unito all'ultimo momento. «Mi sembra che Salvini e Becciu non si fossero mai visti prima» ci informa la Marogna. «Con Giorgetti aveva invece rapporti di massima stima, anche se il numero dei loro incontri si conta con le dita di una mano». Becciu avrebbe lavorato anche a un vertice con l'attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, summit che, però, non si sarebbe realizzato. La Marogna ricorda pure la presentazione di un libro dell'ex ministro dell'Interno Marco Minniti, del Pd, a cui presenziò pure Becciu. «Quel giorno c'ero anche io» riferisce la «diplomatica». «Il cardinale aveva un buon rapporto con Minniti, come lo aveva con Gianni Letta. Mentre non mi risulta abbia mai incontrato Silvio Berlusconi». La politica rientra, in un certo senso, anche nell'ultimo, misterioso, aneddoto: «Nel giugno 2020 una donna ha chiesto di incontrare privatamente Becciu e lui le ha dato udienza. Ha detto di chiamarsi Geneviève Ciferri Putignani e ha iniziato a urlare: "La pagherai perché non hai difeso Alberto Perlasca"». Perlasca è l'ex economo di Becciu che ora sta collaborando con gli inquirenti. La Marogna ci chiede di digitare su Internet il nome della presunta assalitrice. Compare come autrice di un libello: L'amore che guarisce la politica italiana. La donna ci consiglia di continuare la ricerca. Scopriamo un'agenzia di stampa del 2006 che parlava delle disavventure di una terremotata, tale Genevieve Ciferri, figlia di Amelia Putignani. Omonima dell'accusatrice di Becciu. «Non credo che esista davvero» conclude la Marogna. «Si ricordi che santa Geneviève è la patrona della polizia francese: la gendarmerie». Oggi i colleghi della gendarmeria vaticana hanno messo sotto inchiesta lei e il suo Angelo protettore.

Caso Becciu, mezzo milione di euro dal Vaticano finiti in borse Prada, Chanel e beni di lusso. Le Iene News il 05 ottobre 2020. Siamo entrati in possesso di un documento esclusivo proveniente da una fonte anonima da cui risulta che dalla Segreteria di stato vaticana è partito mezzo milione di euro destinato a una società estera intestata a una donna. E da altri documenti in nostro possesso risulta che questa donna sia legata da un rapporto fiduciario all’ex cardinale Becciu. Cos’è successo dietro alle impenetrabili mura del Vaticano nell’ormai famoso “caso Becciu”, l’ex cardinale fedelissimo di Papa Francesco e ora costretto alle dimissioni per uno scandalo legato alla gestione finanziaria? Noi de Le Iene siamo entrati in possesso di un documento esclusivo da cui risulta che dalla segreteria di stato vaticana - sezione affari generali - è partito mezzo milione di euro destinato a una società estera intestata a una donna. E da altri documenti in nostro possesso risulta che questa donna sia legata da un rapporto fiduciario proprio all’ex cardinale Becciu. Questi documenti sembrano quindi confermare quanto scritto dal quotidiano La Verità, cioè come le attenzioni degli investigatori sulla gestione delle finanze vaticane si starebbero concentrando su alcuni bonifici inviati dalla Segreteria di stato vaticana - affari generali - a una donna cagliaritana. Ma il problema è piuttosto dove vadano a finire davvero questi soldi: secondo le carte che abbiamo in mano il mezzo milione di euro arrivato direttamente dal Vaticano sia stato speso per l’acquisto di borse di grandi marchi come Prada e Chanel e altri beni di lusso che nulla hanno a che fare con le missioni caritatevoli della Chiesa. Ma in che modo queste rivelazioni bollenti si intrecciano alle dimissioni di Angelo Becciu?

Vaticano, quei bonifici da 500 mila euro dal conto di Becciu alla manager Marogna. Pubblicato martedì, 06 ottobre 2020 da Monia Melis su La Repubblica.it. Vaticano, i 500 mila euro dal conto di Becciu alla manager Marogna spesi per borse e abiti firmati. La donna, 39 anni, è titolare di una società slovena alla quale sono arrivati i soldi. Altri bonifici sospetti partiti dalla Segreteria di Stato vaticana e diretti a una società slovena con a capo una manager sarda: è l'ultimo capitolo dello scandalo attorno alla gestione delle finanze in Vaticano. Al centro l'alto prelato sardo Angelo Giovanni Becciu, già Nunzio apostolico, che meno di due settimane fa si è dimesso - dopo un'udienza con Papa Francesco - dalla carica di prefetto della Congregazione delle cause dei santi, con la perdita dei diritti da cardinale. È la seconda pista che porta da Roma alla Sardegna, seppur con varie triangolazioni, dopo quella legata ai fratelli  Becciu. La cifra si attesta sui 500 mila euro diretti alla Log sic doo, sede Lubiana, con a capo  Cecilia Marogna, in qualità di managing director. In comune Becciu e Marogna hanno l'origine isolana. Non lei, 39 anni non è una parente, ma una persona in cui riponeva "fiducia e stima per la serietà della sua vita e della sua professione"; così scriveva tre anni fa Becciu in una lettera da Sostituto agli Affari generali della Segreteria di Stato. Ed è per suo ordine che il monsignor Alberto Perlasca disponeva il via libera al flusso di denaro. Dal Vaticano al conto della società con il compito ufficiale di fare da mediatrice in Asia e Africa, continente in cui Becciu è stato Nunzio apostolico. Un lavoro da mediatrice soprattutto per i casi di religiosi sotto sequestro, in particolare la sua missione era quella organizzare incontri per conto della Santa sede, tessere rapporti. Ma quei soldi sarebbero stati usati  - secondo gli inquirenti -  nelle boutique di lusso romane: per acquistare borse, abiti firmati e cosmetici. Altri 200mila sarebbero fermi ancora nel conto della manager, domiciliata a Milano. Sulle tracce ci sono appunto gli investigatori della Santa Sede, coordinati dai promotori di giustizia Gian Pietro Milano e Alessandro Diddi. Tutti ora si difendono: lei sostiene di esser una consulente, esperta di politica internazionale e diplomazia. E di aver rispettato il mandato. Alle spalle studi scientifici, di geopolitica, con contatti tra i servizi segreti. Nonché altri informatori e faccendieri: tra cui Flavio Carboni, anche lui di origini sarde, già condannato per il processo P3 e il crack Banco Ambrosiano.  La linea della manager è: nessuna bella vita con i soldi del Vaticano. E ribadisce l'utilizzo del mezzo milione, diviso in quattro anni, per i viaggi in Africa e le spese in zone a rischio. Niente borsette per uso personale: al massimo come regali di rappresentanza con scopi diplomatici. Lui, monsignor Becciu, fa trapelare sorpresa e amarezza per un millantato credito.  Quei bonifici, ufficialmente, servivano per "missioni di intellegence" e non si esclude un'iniziativa legale del prelato contro la sua donna di fiducia.

Cecilia Marogna: «Non sono l’amante di Becciu. Le borse e i regali? Per salvare le Nunziature». Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera il 6 ottobre 2020. La 39enne manager sarda è titolare di una società slovena che ha ricevuto 500mila euro dalla Segreteria di Stato: «Gli acquisti? Doni a mogli di diplomatici e ministri per proteggere le missioni. Non ho fatto shopping, su di me solo falsità». «Quelle su di me? Tutte falsità! Io amante del cardinale? Assurdo. Sono un’analista politica e un’esperta di intelligence, che lavora onestamente e che vive in affitto mantenendo sua figlia». Cecilia Marogna, 39 anni, di Cagliari, smentisce le indiscrezioni che la vogliono come figura legata all’alto prelato e destinataria di bonifici a una società situata in Slovenia, che si occupa di missioni umanitarie.

Ma chi è davvero Cecilia Marogna?

«Ho alle spalle una formazione scientifica, poi studi di geopolitica perfezionati in Libano. Ho dei forti valori cattolici e una formazione clericale, pur se mia figlia è nata fuori dal matrimonio. Mi definirei una studiosa di temi internazionali. Nel 2013 ho dato il mio contributo al Forum Mediterraneo che si è tenuto a Cagliari, che ha visto la partecipazione di numerosi capi di Stato del Nordafrica. Ho collaborato anche con la Camera di commercio italo-araba di Roma stabilendo rapporti di estrema stima con figure istituzionali dell’Egitto, della Siria, della Giordania e di altri paesi mediorientali».

Come ha conosciuto il cardinale Becciu?

«Gli ho scritto una mail, era il 2015, per capire se le mie analisi fossero corrette, e quali fossero i problemi di sicurezza delle Nunziature e delle Missioni vaticane in contesti pericolosi. Mi ha ricevuto a Roma in Segreteria di Stato, doveva essere un colloquio di 20 minuti ma è durato un’ora e mezzo. Mi disse: “Mi sembra strano che una giovane donna come lei si interessi di questi temi”. Nacque un rapporto di stima sfociato in una collaborazione operativa. Mancava una diplomazia parallela nei Paesi nordafricani e medio-orientali, ma io sapevo cosa fare e come muovermi, anche per ridurre i pericoli derivanti alle Nunziature e alle missioni dalle cellule terroristiche presenti in quei Paesi».

Per questa attività il cardinale ha stanziato 600mila euro?

«Non erano 600mila, ma 500mila su 4 anni e incluso il mio compenso, i viaggi, le consulenze uscite da quel conto, situazioni da gestire in varie aree ad alto rischio. I soldi sono giunti a tranche sulla mia società in Slovenia che si occupa di missioni umanitarie. Ho contatti e rapporti in vari Paesi».

E le borsette?

«Magari la borsetta era per la moglie di un amico nigeriano in grado di dialogare col presidente del Burkina Faso al fine di vigilare su rischi e pericoli per le Nunziature e le missioni vaticane...».

È vero che lei conosce Flavio Carboni e il massone dissidente Gioele Magaldi?

«Carboni lo conobbi per questioni geopolitiche, per farmi raccontare vicende e dare informazioni. Ma anche perché mi interessavo della Anonima sequestri. Magaldi lo conobbi anni fa, aveva costruito un thik thank e mi aveva invitato alla presentazione».

E i rapporti con i Servizi?

«Sono di stima e collaborazione coi vertici dell’apparato dei Servizi italiani.»

Marogna, la dama del cardinale Becciu: «Usata  come un pacco bomba. I fondi? Erano tutti riservati». Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera il 7 ottobre 2020. Sulla società slovena intestata a Cecilia Marogna, vicina a Becciu, sono confluiti 500mila euro per «operazioni umanitarie». «Usata per distrarre l’attenzione dagli affari di Londra e per lo scontro in Vaticano». La società slovena e i superbonifici, i giochi di potere in Vaticano, gli odi e le invide. Cecilia Marogna, la 39enne sarda definita «la dama del cardinale» la «superconsulente vaticana» cui l’ex numero due della Segreteria di Stato Angelo Becciu ha fatto bonificare mezzo milione di euro in 4 anni, accetta con il Corrieredi andare a fondo sulla complessa vicenda che la vede coinvolta. Lo fa sulla base delle carte slovene che il Corriere è riuscito a visionare. La società creata da Marogna è la Logsic, costituita a Lubjana il 19 dicembre 2018 con un capitale versato di 7500 euro. Una società sui cui bilanci non figurano però movimenti, che non esibisce fatture ma solo alcuni compensi, sia alla Marogna che a terzi. Una srl che ha come ragione sociale «operazioni umanitarie», ma che ad oggi non ha ancora presentato il bilancio 2019. Cecilia Marogna, la «dama del cardinale».

Signora Marogna, lei ha davvero costruito per conto del cardinale Becciu una diplomazia parallela per evitare attacchi terroristici alle Nunziature?

«Si, rivendico il risultato di aver costruito una rete di relazioni in Africa e Medioriente atte a proteggere Nunziature e Missioni da rischi ambientali e da cellule terroristiche».

Perché aprire una società in Slovenia se i rischi sono in Africa e Medioriente?

«Ho aperto la società in Slovenia per motivi geopolitici: pensavo che la prossima polveriera sarebbe stata quella dei Balcani. E per incrementare rapporti con paesi come Georgia, Ucraina, Serbia, Bosnia, Slovenia. La mia società Logsic è specializzata in operazioni umanitarie».

In quanti siete nella Logsic? Ha l’aspetto di una società di copertura.

«Siamo tre in organico, di cui uno situato in Gran Bretagna e l’altro in Africa, ma la società è intestata a me. Mi sembra chiaro che non possiamo fare bonifici in Paesi che figurano nella black list, ma dovevo pagare delle persone in Africa, gestire delle crisi, fare dei bonifici. Pertanto i fondi in Slovenia erano di garanzia per le operazioni in Africa».

Come mai nei bilanci non figurano i 500mila euro che lei ammette di aver preso?

«Trattandosi di operazioni riservate, nei bilanci non figurano compensi e fatture, inoltre il Vaticano non ha una fiscalità vera e propria. E io stessa non potevo certo emettere fatture».

Poteva utilizzare i fondi anche in chiave personale, per scopi riservati?

«Sì, potevo farlo».

La visura camerale della società slovena destinataria dei fondi vaticani

Chi le inviava i soldi?

«Il cardinale Becciu dava l’input a monsignor Perlasca, che faceva i bonifici».

Nella fase in cui lei apre la Logsic e attende i 500mila euro a tranche, da dove le arrivavano i soldi?

«Nella fase iniziale ho utilizzato fondi a disposizione in altre strutture di cooperazione, come per esempio le 220 mila sterline utilizzate nel primo periodo di attività per compensi riservati».

Sia più chiara: come venivano spesi i soldi?

«Venivano spesi in compensi professionali a me e ai miei collaboratori, in spostamenti, spese vive. Una grossa parte dei 500mila euro era quella rimasta su un conto poi chiuso per mancata movimentazione. I conti erano due, appoggiati sulla Unicredit di Lubjana».

E le spese per borsette e poltrone in pelle?

«Ho comprato solo prodotti italiani, tipo Tod’s e Poltrona Frau. Dopo tanto lavoro penso di avere il diritto di comprarmi una poltrona».

Perché lei è stata tirata in ballo, signora Marogna?

«A questo punto mi considero un pacco bomba. Inizialmente potevo essere funzionale per spostare l’attenzione dallo scandalo londinese. Da “benefit” sono divenuta un boomerang, un oggetto di contesa per vicende esterne alle mura vaticane. I grossi interessi girano lì, i bonifici a me sono piccole cose nell’ambito di uno scontro di potere molto più ampio, che ha già visto cadere molte teste e che è solo iniziato, tra le fazioni che si oppongono a Papa Francesco».

Caso Becciu, la manager Marogna racconta dei suoi rapporti con i faccendieri Carboni e Pazienza. Cecilia Marogna. La 39enne sarda: "Volevo avere notizie sull'Anonima sequestri". Monia Melis su La Repubblica il 07 ottobre 2020. Rivendica il suo ruolo da professionista delle relazioni internazionali e la sua versione dei fatti: quel mezzo milione di euro ricevuto dalla Santa sede per quattro anni è stato usato per le sue consulenze in Africa e in Medio oriente. Per spese di viaggio, pagamento informatori e uscite indispensabili per proteggere Nunziature apostoliche e missioni religiose da eventuali sequestri o azioni terroristiche. Cecilia Marogna, la 39enne sarda, famiglia originaria di Sorso, nel Sassarese - a capo della società