Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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ANNO 2020

GLI STATISTI

SECONDA PARTE

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

 

 L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

     

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2019, consequenziale a quello del 2018. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

GLI ANNIVERSARI DEL 2019.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

GLI STATISTI

INDICE PRIMA PARTE

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Essere Aldo Moro.

I Nemici di Aldo Moro.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Essere Giulio Andreotti: il Divo Re.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Biografia di Craxi.

La Ricorrenza della morte.

Craxi grande Statista. Dalle Stelle alle Stalle.

Craxi ed i Comunisti.

Craxi e l’impunità dei comunisti.

Craxi e l’ombra delle influenze esterne.

Craxi ed i Socialisti.

Craxi ed i Fascisti.

Craxi e Berlusconi.

Craxi e le Donne.

Craxi e la Famiglia.

Craxi ed i giornalisti amici.

Craxi ed i giornalisti nemici.

Craxi ed il finanziamento della Politica.

Craxi e Mani Pulite - Tangentopoli.

Prima della Morte.

Essere Bettino Craxi.

La pellicola su Bettino Craxi.

Ridateci i Leaders, anche se lupi famelici.

Non era Mafia, ma Tangentopoli Siciliana.

Quelli che…al tempo di Tangentopoli.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Imperituro.

Berlusconi e la Famiglia.

Berlusconi e le Donne.

Berlusconi e la Giustizia.

Berlusconi e la Mafia.

Berlusconi e l’Arte.

Chi lo ha accompagnato.

Quelli che l’hanno abbandonato.

Quelli con Problemi Giudiziari.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Ai Tempi del Nazismo.

Quando arrestarono Garibaldi.

Dopo il Nazismo.

Prima del Fascismo.

Socialismo e scissioni.

L’Alba Rossa del Fascismo.

Le Corporazioni. Ossia: Il Sindacato del fascismo rosso.

I nemici del Duce.

I Peccati del Duce.

Mussolini ha fatto cose buone.

L’8 settembre: corsi e ricorsi storici.

Le Partigiane liberali che lottarono per un'Italia non rossa.

Il Vate: non era Fascista.

I Figli del Duce.

Dio, Patria, Famiglia Spa.

 

 

 

GLI STATISTI

SECONDA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        L’Imperituro.

Covid Sardegna, dai calciatori ai volti tv: la maledizione della Costa Smeralda che insegue anche i vip. Candida Morvillo su Il Corriere della Sera il 2 settembre 2020. L’onda lunga del Covid Smeraldo sembra inseguire tutti: non solo Berlusconi e Briatore, ma anche calciatori come Mihajlovic e Pjanic e star della tv come Aida Yespica. Solo nel Lazio sono stati contati 764 positivi tornati dalla Sardegna in agosto. La maledizione dell’estate smeralda non perdona neanche chi si credeva ormai in salvo sul «continente». Silvio Berlusconi è solo l’ultimo colpito dal contagio da Sars-Cov-2 quando già si riteneva sfuggito ai «venti sardi», così battezzati da Flavio Briatore. Dopo la grande fuga da Porto Cervo e dintorni e mentre imperversa la caccia agli avventori di Billionaire, Phi Beach e Sottovento, specie a quelli andati a far baldoria lasciando all’ingresso falsi nomi e recapiti, l’onda lunga del Covid Smeraldo sembra inseguire tutti: ricchi o poveri e in questo è democratica. Colpisce quelli sbarcati a Civitavecchia dai traghetti stracolmi dove tanti sono saliti con la febbre, come denunciato dall’assessore alla sanità del Lazio, e colpisce quelli scappati con l’aereo privato, come Briatore, come Berlusconi. Il primo, partito il 18, risultava negativo a un test sierologico il 19 e positivo al tampone del 25, fatto di prassi, mentre veniva ricoverato per prostatite e mentre una sessantina di dipendenti pure risultavano contagiati, di Covid, non di prostatite. Berlusconi, invece, aveva fatto due tamponi il 25, dopo aver saputo di Briatore, ed era risultato negativo. Sospiro di sollievo: i due si erano visti a Villa Certosa il 12 e, nei selfie, stavano vicini vicini, senza mascherina. Ormai, passati i 14 giorni, sembrava averla scampata, ma il contagio l’avrebbe raggiunto dopo l’incontro coi figli Luigi e Barbara, di rientro da una vacanza in barca. È stato detto e scritto che questo virus passa da figli e nipoti a genitori e nonni, specie se, di mezzo, ci si mette la movida. Ma niente. In Costa Smeralda si è ballato in pista e sui tavoli, grazie al governatore Christian Solinas che, prima, ha reclamato invano test per chi arrivava sull’isola e, poi, ha aperto le discoteche in deroga al Dpcm, confidando che si ballasse distanziati di due metri. La leggerezza di quelle notti magiche ha invece contagiato le mattine in spiaggia e gli apericena su piscine e barche, dove distanziamento e mascherine sembravano poi superflui. Solo nel Lazio sono stati contati 764 positivi tornati dalla Sardegna in agosto. Fanno notizia i famosi, ovvio: una ventina. Quasi tutti bella gioventù e asintomatici, come le soubrette Aida Yespica o Antonella Mosetti. È positivo e vanta «sintomi stranissimi» il parrucchiere dei vip Federico Fashion Style. Dalla fauna di Uomini e donne, risultano positivi l’ex tronista Nilufar Addati e quattro ex corteggiatori. È positivo e sta bene l’ex di Temptation Island Vip Andrea Zenga. È positivo e asintomatico Sinisa Mihajlovic, mister anche della partita di calcetto con Briatore. Sono positivi dieci calciatori, fra cui Kevin Bonifazi, Andrea Petagna, Miralem Pjanic e Antonio Mirante. È positivo e senza sintomi anche il pugile Daniele Scardina, detto King Toretto. E lo è la deputata Elvira Savino. Intanto, Briatore e Berlusconi, positivi e asintomatici, sono in cura dal professor Alberto Zangrillo. Era lui che diceva «il virus è clinicamente morto». Peccato che lo stesso virus resti un formidabile inseguitore.

Berlusconi è positivo al Covid. Zangrillo: "È asintomatico". Il tampone dopo il soggiorno in Sardegna. Berlusconi continuerà a lavorare da Arcore. Positivi anche Barbara e Luigi. Il fratello Paolo: "È forte, ce la farà sicuramente". Sergio Rame, Mercoledì 02/09/2020 su Il Giornale. Silvio Berlusconi è risultato positivo al coronavirus. A confermare il risultato del tampone nasofaringeo, che è arrivato oggi, è stato il suo medico curante, Alberto Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione dell'ospedale San Raffaele di Milano, spiegando all'Adnkronos Salute che, pur essendo asintomatico, il Cavaliere si è sottoposto al controllo dopo il recente soggiorno in Sardegna. Tutte le persone più vicine al Cavaliere sono state sottoposte a tampone. Il fratello Paolo ha detto di averlo sentito appena ricevuta la notizia: "È forte e ce la farà."

Il test positivo dopo la Sardegna. "Mi è successo anche questo ma continuo la battaglia", ha commentato in serata Berlusconi in collegamento con il Movimento azzurro donne. L'esito del tampone nasofaringeo è arrivato oggi. Tale controllo, come ci ha tenuto a sottolineare lo stesso Zangrillo che al San Raffaele di Milano dirige le Unità di anestesia e rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare, era stato programmato "in considerazione del suo recente soggiorno in Sardegna". "È asintomatico - ha quindi spiegato il primario - resta in regime di isolamento presso il suo domicilio come da disposizioni regionali". Dalla residenza di Arcore, dove trascorrerà il periodo di isolamento previsto, continuerà a fare politica andando avanti a sostenere, in prima persona, i candidati di Forza Italia e della coalizione di centrodestra che in queste settimane sono impegnati nelle elezioni regionali e amministrative che si terranno a fine mese. "Berlusconi continuerà a guidarci in questa campagna elettorale - ha commentato il vicepresidente azzurro Antonio Tajani - festeggeremo insieme alla vittoria la fine della quarantena. Forza Silvio!".

I controlli in famiglia. I familiari del presidente Berlusconi sono stati sottoposti al tampone. I figli Barbara e Luigi sono risultati positivi al coronavirus. Il fratello, Paolo Berlusconi, ha riferito ad AdnKronos Salute di avere immediatamente sentito il presidente di Forza Italia dopo la notizia del tampone positivo. "Oggi ha lavorato, sta bene, compatibilmente con il virus che ha preso. Sintomi non ne ha, quindi vista la sua costituzione molto forte dovrebbe farcela senza problemi. L'ho sentito assolutamente tranquillo, consapevole che non si sa come lo abbia preso. D'altronde tutti quelli che lo hanno preso non sanno da dove è arrivato, è nell'ordine delle cose. Abbiamo superato tante cose, superiamo anche questa". "Noi avevamo già fatto tutti il tampone - aggiunge - ho visto mio fratello l'ultima volta ieri, quindi coscienziosamente ci siamo messi in autoisolamento da oggi, per precauzione e per qualche giorno, previo tampone che andremo a fare".

L'abbraccio di Forza Italia. Tutta Forza Italia si è stretta attorno a Berlusconi augurandogli una pronta guarigione. "Ha combattuto e vinto battaglie per tutta la vita. Uscirà da questa ennesima sfida, come sempre, da vincitore", ha assicurato la presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini. "Il Presidente Berlusconi anche in queste circostanze si dimostra il gigante che conosciamo: ha appena parlato in collegamento ad un evento di Azzurro Donne. E chi lo ferma? Fieri e orgogliosi per l’esempio che ci dà, sappiamo che continuerà la campagna elettorale e a battersi per il Paese" ha scritto su Twitter Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. "Superata anche questa sfida - ha twittato Mara Carfagna - continuerai a lavorare per l'Italia e gli italiani". Conoscendone "la fibra forte e l'animo indomito e positivo", Michaela Biancofiore è certa che l'ex premier "supererà al meglio anche il virus e questi giorni di quarantena". Renato Brunetta, deputato e responsabile economico di Forza Italia scrive: "Vincerai anche questa battaglia, siamo tutti con te. Forza Presidente". ''Non solo Berlusconi sconfiggerà il virus, peraltro da asintomatico, ma avrà il vantaggio di essere immune dopo aver vinto anche questa battaglia. Berlusconi è stato, è e sarà il numero uno e noi siamo e saremo sempre al suo fianco'', dichiara Maurizio Gasparri.

Gli auguri della politica. Non appena hanno appreso della notizia, tutti i politici hanno fatto gli auguri a Berlusconi. "Che è un leone lo ha dimostrato tante volte - ha twittato Giorgia Meloni - siamo certi che supererà brillantemente anche questo". "Auguri di pronta guarigione all'amico Silvio", ha invece detto Matteo Salvini. Il premier Giuseppe Conte, riferiscono le fonti di Forza Italia, ha telefonato in serata il Cavaliere per fargli gli auguri di pronta guarigione. Lo stesso augurio gli è stato rivolto dal capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio: "Spero si riprenda presto". "Combatterà con forza anche questa battaglia. A presto", ha scritto su Twitter il segretario piddì Nicola Zingaretti che lo scorso marzo era stato contagiato dallo stesso virus. "Forza presidente", ha invece scritto il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, mandandogli un "affettuoso abbraccio" virtuale con l'augurio che torni "presto in campo". "A Berlusconi faccio i miei auguri di pronta guarigione" ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza, ai microfoni di AdnKronos Salute. L’Aula di Montecitorio, a seguito del messaggio rivolto dal deputato di Liberi e Uguali, Federico Fornaro, ha voluto esprimere i propri auguri di pronta guarigione al leader di Forza Italia tributandogli un applauso. La notizia è stata data dall'ufficio stampa di Forza Italia.

Berlusconi positivo al coronavirus, fratello: “Non sa come l’abbia preso”. Notizie.it il 03/09/2020. Paolo Berlusconi ha spiegato che il fratello Silvio, positivo al coronavirus, non ha idea di dove possa essere stato contagiato. Contattato dall’Adknronos dopo la notizia che Silvio Berlusconi è risultato positivo insieme ai suoi due figli Luigi e Barbara, il fratello del Cavaliere ha spiegato che non si sa come né dove abbiano contratto il coronavirus. Ha comunque assicurato che l’ex premier sta bene e per il momento non manifesta alcun sintomo. Paolo Berlusconi ha aggiunto che “vista la sua costituzione molto forte dovrebbe farcela senza problemi“. Ha spiegato che il fratello ha continuato a lavorare normalmente e che lo ha sentito assolutamente tranquillo. Dato che l’ultima volta che lo ha visto è stato il giorno prima della conferma della sua positività, si è messo in autoisolamento insieme alle altre persone che avevano fatto visita al leader di Forza Italia in attesa di sottoporsi nuovamente a tampone. L’uomo ha ribadito che, come spesso accade per tutti quelli che contraggono l’infezione, Berlusconi non ha idea di dove possa essere contagiato. Il pensiero è andato subito all’incontro in Sardegna con Flavio Briatore, risultato positivo così come decine di frequentatori del locale di sua proprietà a Porto Cervo. Una volta tornato ad Arcore dopo il soggiorno sull’isola il Cavaliere aveva però già effettuato un test che aveva dato esito negativo. Resta dunque il giallo sulle circostanze del contagio, mentre la certezza è che Berlusconi sia bene e continui a lavorare dalla sua residenza. A confermarlo anche il deputato azzurro Sestino Giacomoni che ha assicurato di averlo sentito di ottimo umore, combattivo e determinato. Come concluso dal fratello Paolo, “ha superato tante cose, supererà anche questa”.

Tommaso Labate per corriere.it il 3 settembre 2020. A evocare una «battaglia», dalle prime dichiarazioni ufficiali, sono in tre. Lui, che la sta combattendo. Nicola Zingaretti, che l’ha combattuta e vinta. E Luigi Di Maio, sulla carta è uno dei suoi più agguerriti avversari politici, che gli riconosce pubblicamente «quella forza che lo ha sempre contraddistinto» e che lo aiuterà a vincere, per l’appunto, «questa battaglia». A tarda sera, quando dalla conferma ufficiale di aver contratto il coronavirus sono già passate parecchie ore, Silvio Berlusconi getta l’occhio distrattamente sull’elenco delle chiamate in arrivo fornitogli dalla segreteria di Arcore. Spunta quelle «prese», annota gli interlocutori da richiamare. Una vagonata di messaggi e chiamate bipartisan, in cui spicca anche il nome del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che non s’era mai vista in quel di Arcore. Nemmeno durante gli ultimi anni, spesso scanditi da acciacchi, operazioni, ricoveri, controlli. Il leader di Forza Italia sta bene ed è asintomatico. La prova sulle sue buone condizioni di salute decide di darla lui stesso, proprio mentre la notizia della sua positività al Covid-19 sta facendo il giro dei siti internet. «Sarò presente in campagna elettorale con interviste in tv e sui giornali, secondo le limitazioni imposte dalla mia positività al Coronavirus», dice in un collegamento telefonico con il Movimento Azzurro donna. Poi la frase destinata ai titolisti, «purtroppo mi è successo anche questo ma continuo la battaglia», dove l’ultima parola viene riferita tanto al virus quanto alla prova di forza che attende Forza Italia alle elezioni regionali. Negativo a due tamponi di fila, fatti più di una settimana fa dopo aver individuato un cluster praticamente dentro le mura di Villa Certosa (positiva la figlia Barbara, positivo il figlio Luigi, positivo qualche nipote, senza dimenticare l’ormai celeberrima visita di Flavio Briatore con tanto di foto ravvicinata e senza mascherine), Berlusconi quasi trasecola quando l’ultima analisi dà il più sorprendente e preoccupante dei risultati: «positivo». L’esame viene ripetuto per sicurezza dal laboratorio del San Raffaele ma il risultato non cambia. La data da cerchiare con la penna rossa è quella del 19 agosto. Quando si rende conto di essere circondato da familiari positivi al Covid-19 - lui che per dribblare il contagio era di fatto stato costretto dalla figlia Marina a trasferirsi in Francia per qualche mese – l’ex presidente del Consiglio abbandona la Sardegna e si rifugia ad Arcore. Le misure di sicurezza imposte dalla primogenita per andarlo a trovare sull’isola – dove i rari appuntamenti concessi erano comunque subordinati al presentarsi con il certificato che attestasse la negatività dell’ospite al tampone – non reggono all’impatto con l’ondata di Covid-19 che si abbatte come una maledizione su Villa Certosa. Berlusconi torna in Brianza, si isola, teme l’arrivo di quei sintomi noti ormai a tutti. Che però non arrivano. Superata la prova dei due tamponi negativi, a quel punto, l’ex presidente del Consiglio è convinto di essere fuori pericolo. Prima del definitivo ritorno ad Arcore, secondo alcune testimonianze, torna anche in Francia per qualche giorno. Lunedì è di nuovo in Italia, sa dell’appuntamento con «l’ulteriore controllo precauzionale dopo il soggiorno in Sardegna», di cui parlano le note ufficiali. Ma non ci dà granché peso, prima della sorpresa di ieri. Isolamento volontario è il destino che adesso per legge tocca a tutti quelli che sono entrati in contatto con lui. Probabilmente Marta Fascina, senz’altro lo staff di Villa San Martino. A questi si aggiunge anche da Niccolò Ghedini, che l’ha incontrato nelle ultime quarantott’ore e che sarà sottoposto a tampone nel giro di qualche ora. Dall’esito del tampone dell’avvocato-senatore, poi, dipenderà l’allargarsi o il restringersi di una cerchia che, per esempio, non comprende Antonio Tajani o le capigruppo Bernini e Gelmini, che hanno visto Berlusconi per l’ultima volta prima di Ferragosto. In famiglia, poi, ci sarà una ricognizione su come sia stato possibile che un uomo tenuto sotto ogni soglia di rischio durante la Fase 1 si sia beccato il virus nella Fase3. Ma non è questione di oggi, dove conta solo una «battaglia».

Lorenzo Salvia per corriere.it il 5 settembre 2020. Scontro a distanza tra l’ex presidente del gruppo L’Espresso Carlo De Benedetti e Marina Berlusconi. «Faccio i miei auguri a Berlusconi, ma il mio giudizio su di lui rimane critico». E anche molto pesante perché secondo De Benedetti — che sta per lanciare un nuovo giornale, il Domani — l’ex presidente del Consiglio «ha abbassato il livello di civismo e moralità del Paese. È l’Alberto Sordi della politica italiana. È stato molto nocivo al Paese». Parole pronunciate al Festival della tv di Dogliani, dove De Benedetti ha ricordato anche la lite giudiziaria che li ha coinvolti direttamente per il controllo della Mondadori: «Berlusconi è stato un grande imbroglione. Io l’ho punito severamente. Ha versato alla Cir 562 milioni, che è la più grande goduria che ho avuto nella mia vita, per uno che ha fatto di tutto per ostacolarmi. Per lui deve essere stato il più grande dolore della sua vita e per me la più grande goduria, anche se non ho toccato un euro personalmente». Nel suo intervento De Benedetti ha criticato anche l’attuale premier, Giuseppe Conte, «un signore capitato lì per caso, non vedo in lui nessuna visione del futuro». Ma a fare titolo sono proprio le parole su Berlusconi, pronunciate nelle stesse ore in cui è in ospedale per il Covid. A intervenire in difesa di Berlusconi è la figlia Marina, presidente di Fininvest: «Le parole di un uomo in disarmo sotto tutti i punti di vista, dalle esperienze imprenditoriali fino ai rapporti famigliari, non possono suscitare altro che un sentimento di commiserazione». Da Forza Italia, poi, arriva una pioggia di reazioni: «L’ingegner De Benedetti — attacca la presidente dei senatori Anna Maria Bernini — ha dato dell’imbroglione al presidente Berlusconi in ospedale per il Covid. Una sortita che si commenta da sola. Ma il virus dell’invidia, evidentemente, è più forte della decenza». Anche la capogruppo alla Camera, Mariastella Gelmini, giudica «inopportune oltre che false» le parole di De Benedetti: «Farebbe bene ad astenersi da simili commenti, visto che perfino Di Maio ha imparato a rispettare gli avversari politici. Ma Di Maio, al confronto di De Benedetti, è un membro della Camera dei Lord». Di avviso diverso rispetto a De Benedetti Urbano Cairo, presidente di Rcs MediaGroup, che pubblica il Corriere della Sera: «La mia esperienza da assistente di Berlusconi — ha detto Cairo che era proprio con De Benedetti al Festival della tv di Dogliani — è durata tre anni e devo dire che sicuramente quei tre anni sono stati importanti per la mia formazione». E ancora: «Mi ha insegnato molto, faceva come quei maestri che ti lasciavano guardare quello che facevano. Io guardavo, ascoltavo e direi che in questo mi è molto servito e mi ha dato uno stimolo notevole. Per me è stato un momento importante della mia formazione ed è stato un periodo bellissimo».

(ANSA il 4 settembre 2020) - Silvio Berlusconi - si apprende - è stato ricoverato a Milano al San Raffaele per accertamenti dopo che è risultato positivo al covid. Il presidente Berlusconi, dopo la comparsa di alcuni sintomi, è stato ricoverato all'ospedale San Raffale di Milano a scopo precauzionale. Il quadro clinico non desta preoccupazioni. É quanto si legge in una nota dello staff di Berlusconi.

Tommaso Labate per corriere.it il 4 settembre 2020. Le tracce di una polmonite bilaterale allo stato precoce. Una carica virale tutt’altro che sottovalutabile, visto che Silvio Berlusconi ha ottantaquattro anni e viene da complicate patologie pregresse. E, non da ultimo, la provenienza da quello che è diventato un cluster importante: una compagna, due figli, un uomo della scorta, amici e personale di servizio, tutti contagiati o a rischio contagio. Ricostruiscono al Corriere fonti politiche di Forza Italia che nel bel mezzo della notte, con in mano il risultato della Tac di Silvio Berlusconi appena arrivato dal laboratorio, il dottor Alberto Zangrillo si sia impuntato con l’ex presidente del Consiglio perché rimanesse al San Raffaele e non se ne tornasse a casa. Nessuna situazione di rischio, ovviamente, visto che le tracce della polmonite bilaterale – e soprattutto il suo stato precoce – non impongono (anzi) un ricovero in terapia intensiva. Ma la massima attenzione, la voglia di stare lontani da ogni minimo pericolo, quella sì. La stanza al sesto piano del San Raffaele era già stata predisposta. Camera con filtro, isolamento totale, norme Covid rispettate alla lettera. La massima competenza con cui viene affrontato il caso, unita all’insistenza del suo medico personale, piegano le resistenze di un paziente che comunque dice di sentirsi tutto sommato bene. Per capire come ci fosse arrivato Berlusconi al San Raffaele, nel pieno della notte per giunta, bisogna riavvolgere il nastro di qualche ora. All’ora di cena, l’ex presidente del Consiglio è ancora al telefono con amici e parlamentari. A tutti ripete la storia delle linee di febbre che c’erano e non ci sono più, del piccolo senso di stanchezza e spossatezza che ancora lo pervade, come se fosse un’influenza che fatica ad andare via. Quando dall’altra parte della cornetta c’è Zangrillo, però, la situazione cambia. Il medico, è la ricostruzione che fanno i pochissimi politici che sono riusciti a parlare con Arcore poco prima delle 22, s’impunta per sottoporre il leader di Forza Italia a una Tac. Berlusconi, a quel punto, esce di casa per raggiungere l’ospedale di Milano Due e si sottopone agli esami di rito. È convinto che sia giusto questione di un’ora, al massimo due, poi potrà tornare a casa. Da quella Tac, però, emergeranno i segni della polmonite bilaterale allo stato precoce. La stanza, a quel punto, era già stata preparata.

Amedeo La Mattina per “la Stampa” il 4 settembre 2020. Quelli della foto avevano fatto tutti il tampone prima di mettere piede a Villa Certosa il 6 agosto. L'hanno fatto prima e dopo. Erano andati da Silvio Berlusconi per risolvere una serie di rogne di partito, per definire le liste delle regionali e mettere la parola fine agli scontri in Campania sulle candidature. Poi si erano fatti una bella foto tutti insieme nel giardino, a corona attorno al capo. Gianni Letta, i capigruppo Annamaria Bernini e Maria Stella Gelmini, il vice presidente azzurro Antonio Tajani, Sestino Giacomoni. C'erano Adriano Galliani, l'avvocato Niccolò Ghedini, il deputato Andrea Orsini e la senatrice Licia Ronzulli, che ha pubblicato lo scatto sul suo profilo. Nell'immagine anche la famiglia scodinzolante dei barboncini Dudù, Dudina e Harley. Tutti avevano notato che il clima era rilassato, con molta gente in giro, i figli Barbara, Luigi, i nipoti, amici vari. Un'aria estiva di libertà. Tutta un'altra storia rispetto al «regime militare», come aveva osservato Ghedini, che si respirava a casa di Marina, dove il patriarca aveva passato tutto il lockdown. Anche in Provenza alcuni di quelli della foto erano andati a trovare il «dottore». Ma sembrava un «bunker», ha racconta uno di loro, «una villa blindata dove non si entrava se prima non mostravi il tampone fatto 24 ore prima, con tanto di scritta «negativo». Distanziamento anche in giardino, lontani a tavola». Gelmini è sicura che quando il gruppo dirigente di Forza Italia quel 6 agosto si recò a Villa Certosa Berlusconi non aveva contratto il virus. E i partecipanti all'incontro da allora non accusano alcun sintomo. «Sto bene e non sono preoccupata, detto questo bisogna stare sempre in guardia», dice la capogruppo azzurra. «Sì, bisogna tenere alta la guardia - sostiene Giacomoni - perché questo virus è insidioso per quante precauzioni si possano prendere». Giacomoni racconta che il leader aveva fatto il tampone prima di riceverli e lo stesso avevano fatto gli ospiti. «Sono sicuro che il contagio a Villa Certosa sia arrivato dopo la nostra riunione. Detto questo - aggiunge - ho sentito il presidente desideroso di lavorare, di dare il suo contributo alla campagna elettorale. Voleva pure andare di persona in Campania, ma già prima di sapere di aver contratto il virus glielo abbiamo sconsigliato». Giacomoni sorvola su chi avrebbe potuto contagiare Berlusconi. Gira la voce che sia stata Barbara, alla quale piace la vita mondana. Si dice pure che Marina sia furibonda per il lassismo al quale è rimasto esposto il padre in Sardegna. «Ma la caccia all'untore - afferma Giacomoni - è ridicola. Pensate che oggi un'agenzia ha scritto che il ministro Gualtieri ha partecipato all'audizione della commissione di vigilanza su Cassa depositi presieduta da me, facendo notare che io c'ero pure nella foto a Villa Certosa». Ghedini si sente strasicuro: fa due tamponi alla settimana e ha già fatto quattro volte il test sierologico. E poi racconta di non partecipare mai alle feste, «l'ultima volta forse è stata 40 anni fa, quando ero ragazzino». Martedì scorso ha incontrato Berlusconi a pranzo con tutte le cautele di questo mondo, in giardino e in una sala dove campeggia un apparecchio che purifica l'aria. Ovvio che il Cavaliere non possa andare in giro a fare campagna elettorale. C'è però una cosa che non sopporta, che lo rende triste. Lo ha confidato a Galliani, uno di quelli della foto, che è andato a fargli visita. Lo ha trovato in forma, hanno parlato a lungo di politica e calcio. Ecco, il leader azzurro ha confessato che il suo più grande rammarico è di non potere assistere alla partita di sabato sera tra il suo Monza e il suo ex Milan. Sarebbe stata la sua prima volta allo stadio per vedere il Milan come avversario. 

L. U. per “la Stampa” il 4 settembre 2020. «La cosa più giusta da fare, in questo frangente, è affidarsi con la massima fiducia alle terapie, seguire scrupolosamente le indicazioni dei medici». Veronica Lario è più che una spettatrice attenta alla comparsa del Covid 19 a casa Berlusconi, con il contagio che ha colpito i figli Barbara e Luigi, oltre che il Cavaliere. Segue costantemente il decorso della malattia, ma lo fa con la discrezione diventata una cifra di vita, respingendo la richiesta di dichiarazioni pubbliche. «Non serve che unisca la mia voce al coro di auguri», ha confidato a chi le ha parlato ieri. Il messaggio di pronta guarigione e la vicinanza a chi sta affrontando una malattia sono qualcosa che lei crede giusto manifestare in maniera privata e diretta, anche se risulta che fino a ieri pomeriggio non ci fossero state telefonate con l'ex marito. Ma sarebbe sbagliato voler leggere in questo altro che non un momento di attesa, un passo di lato per lasciare spazio ai contatti da parte delle istituzioni e degli esponenti politici. Sono i figli a tenerla aggiornata sulle loro condizioni e sulla risposta alle terapie, che come ha detto lo stesso ex premier sembra procedere in maniera confortante. E proprio l'importanza delle terapie è ciò che Veronica Lario tiene a sottolineare. Sì è informata e documentata: «Non sono un medico e non ho competenze specifiche, ma ci sono ancora troppi aspetti di questa malattia che vanno capiti». Dubbi estesi anche all'arrivo del vaccino, per i tempi e l'efficacia ancora sconosciuti. Oggi non rappresenta ancora una soluzione, quindi «la sola certezza disponibile è la competenza dei medici».

Paolo Cappelleri per l'ANSA il 4 settembre 2020. "Voglio rassicurarvi che sto abbastanza bene, sono anch'io vittima come tanti italiani del contagio del covid, una malattia di cui non ho mai sottovalutato l'importanza, né i rischi che comporta e la conseguente necessità di misure rigorose di tutela della salute pubblica". Con una telefonata nel tardo pomeriggio a un convegno di Forza Italia a Genova, Silvio Berlusconi è uscito virtualmente dalle mura di Villa San Martino ad Arcore, dove da due giorni è in isolamento dopo il tampone positivo al coronavirus. "Mi è capitato anche questo. Non ho più febbre, non ho più dolori e voglio rassicurarvi sto abbastanza bene e continuo a lavorare". continuo a lavorare e parteciperò in tutti i modi possibili alla campagna elettorale in corso". "E' un leone, supererà anche questa", assicura chi gli sta vicino, liquidando le indiscrezioni secondo cui invece qualche sintomo sarebbe ancora evidente . Di certo, i quasi 84 anni e i problemi cardiaci risolti in passato impongono uno stretto controllo e non è escluso che possano essere programmati esami all'ospedale San Raffaele di Milano. "E' una malattia di cui non ho mai sottovalutato l'importanza né i rischi che comporta", ha aggiunto il leader di Forza Italia, che, secondo più fonti, ad agosto avrebbe invece allentato le attenzioni rispettate prima, soprattutto durante il lockdown nella residenza della figlia Marina a Valbonne, in Provenza. Tanti incontri, poche mascherine. Ora ricostruire a ritroso la catena dei contagi è quanto meno difficile. Positiva è anche la sua nuova compagna, Marta Fascina, che ha trascorso con lui il lockdown, lo ha accompagnato sulla barca di Ennio Doris e in Sardegna. Dove sono ancora in isolamento domiciliare a Villa Certosa due figli dell'ex premier, Barbara e Luigi, che pare non abbiano avuto contatti ravvicinati con il padre dal 16-17 agosto. Fra i contagiati nella cerchia di Berlusconi, c'è anche un uomo della sua scorta, quest'estate al suo fianco ad Arcore e in Provenza. Non a Villa Certosa, luogo che il leader di Forza Italia ha lasciato il 19 agosto, appena appreso che potevano esserci positivi in famiglia, volando ad Arcore. Pochi giorni prima, la sera di Ferragosto, il leader di Forza Italia nella sua residenza sarda avrebbe ospitato una festa con alcune decine di persone. Quella settimana, poi, i figli Barbara e Luigi con lo yacht di famiglia si sono trasferiti a Capri, trascorrendo una serata all'Anema e Core. Punto di riferimento della vita notturna dell'isola, quel locale questa estate ha ospitato vip transitati dal Billionaire, focolaio in Costa Smeralda, e gruppi di turisti che poi hanno dovuto fare i conti con il tampone positivo. Come poi è successo a Luigi e Barbara, che ha avuto sintomi per un paio di giorni, nonché ad alcuni nipoti di Berlusconi. Rientrato ad Arcore, l'ex premier si è sottoposto a due tamponi e a un test sierologico, tutti negativi, e nella sua villa in Brianza ha ricevuto diversi esponenti politici. Il 20 si è goduto anche un piccolo bagno di folla ad Angera, sulla sponda varesina del Lago Maggiore, ritratto nelle foto senza mascherina, così come nel video della settimana prima a Villa Certosa con Flavio Briatore, risultato poi positivo. Berlusconi è volato il 27 agosto in Provenza, diventata regione a rischio coronavirus, rientrando ad Arcore il primo settembre. L'indomani il tampone positivo. Dall'agenda ha dovuto cancellare, "con molto dispiacere" assicura Adriano Galliani, anche il ritorno in tribuna a San Siro, per la suggestiva amichevole fra il suo Monza e il Milan, di cui è stato proprietario per trentuno anni. La sua segreteria ha raccolto una mole di messaggi e gli ha augurato pronta guarigione anche Romano Prodi, avversario del Cavaliere in molte sfide elettorali. "Tanta vicinanza - ha osservato Berlusconi - mi ha commosso ed è il miglior incentivo ad andare avanti, avendo ben presente la sofferenza di tante famiglie vittime di questa malattia insidiosa" alle quali va "la mia partecipazione e il mio affetto". E ora tocca a lui e alla sua famiglia combattere contro il Covid.

Tommaso Labate per corriere.it il 5 settembre 2020. «Allora, gli esami li abbiamo fatti e io mi sento abbastanza bene. Adesso posso tornare a casa, giusto?». Con l’«umore non proprio dei migliori» di Silvio Berlusconi, di cui poi parlerà apertamente durante la diffusione del bollettino medico di metà pomeriggio, il professor Alberto Zangrillo inizia a fare i conti a mezzanotte in punto. Esattamente sedici giri d’orologio prima della conferenza stampa del primario anestesista trasmessa a reti unificate da tutti i siti d’informazione, nelle prime ore di una nottata che sarà insonne per entrambi. Il medico oggi più celebre del San Raffaele e il più celebre dei suoi assistiti sono faccia a faccia in una stanza dell’ospedale di Milano Due, nel rispetto dei dispositivi di sicurezza predisposti per accogliere una persona contagiata dal Covid-19. Il dialogo è complicato, anche perché c’è la distanza e ci sono le mascherine di mezzo. E poi Berlusconi è affaticato, avverte leggeri sintomi di stanchezza e spossatezza, anche se non ha febbre. Vuole tornare a casa, a villa San Martino, da cui era uscito con la promessa che sarebbe stato giusto per il tempo di fare un esame e poi via, l’avrebbero riportato indietro. Non succederà nulla di tutto questo. Con i risultati della Tac ai polmoni sotto gli occhi, portati dal tecnico di laboratorio mentre le dita di Berlusconi tamburellano nervosamente sul lettino, Zangrillo oppone il suo niet alla voglia del Cavaliere di tornare ad Arcore per smaltire i sintomi del Coronavirus nello spazio isolato che gli avevano ricavato all’interno della villa — soggiorno con vista sulla parte nord del parco circostante e uso esclusivo della sala da pranzo adiacente — magari continuando a fare la campagna elettorale per le Regionali al ritmo di due telefonate al giorno. La diagnosi immediata di Zangrillo rimanda a una polmonite bilaterale, individuata per fortuna nella sua «fase precoce». Non c’è da allarmarsi ma nemmeno da stare tranquilli. Non c’è immediato pericolo di finire in terapia intensiva ma nemmeno la serenità di rispedire il paziente a casa, come se nulla fosse. Soprattutto perché di mezzo ci sono, oltre agli anni che diventeranno ottantaquattro il 29 settembre, anche quelle patologie pregresse che l’hanno portato a frequentarlo spesso, il San Raffaele, negli ultimi anni. Berlusconi, alla fine del dialogo, accetta di farsi ricoverare. Gli ripetono a più riprese quello che sarà il mantra dei comunicati ufficiali e delle voci ufficiose, la formula dei «fini precauzionali» per cui è meglio stare in ospedale e mantenersi anche sotto la più bassa soglia di rischio. Gli parlano di quella «situazione confortante», che Zangrillo stesso sottolineerà a più riprese rispondendo ai cronisti nel pomeriggio. E gli illustrano un percorso che sarà lungo almeno dieci giorni, il perimetro temporale durante il quale i polmoni del Cavaliere giocheranno la loro partita con l’infezione polmonare derivante dal Coronavirus, con l’obiettivo primario di non farla avanzare oltre lo stato precoce. E dire che la serata precedente, quella di giovedì, era cominciata sotto tutt’altro segno. «Avevo qualche linea di febbre ma adesso è passata», aveva ripetuto Berlusconi parlando al telefono con compagni di partito e avversari politici (tra questi, ore prima, anche col presidente del Consiglio Conte). Alle 22, dopo averlo sentito, Zangrillo lo convince a raggiungere il San Raffaele per sottoporsi a una Tac ai polmoni. Come a dire, togliamoci il pensiero, vediamo che cosa esce, il tempo di avere le lastre, le guardiamo e si torna a casa come se nulla fosse. L’ex premier accetta di buon grado, anche se il sentirsi decisamente meglio rispetto alla mattina l’aveva già portato ad abbassare la guardia. «Sto meglio rispetto a qualche ora fa, le linee di febbre che avevo non ci sono più. Buon segno, no?». Alle 23, i diciannove e rotti chilometri che separano il cancello di Villa San Martino dall’ingresso dell’ospedale di Milano Due sono già stati coperti dalla colonna di auto di Berlusconi. Le macchine torneranno all’alba indietro senza il loro legittimo proprietario, che rimane ricoverato. Le domande sullo stato di forma di Berlusconi troveranno risposte nell’arco dei prossimi dieci giorni. Le paure sul possibile allargamento del cluster familiare non sono ancora alle spalle. Anche se una notizia positiva, ieri all’ora di cena, arriva. I componenti del consiglio di amministrazione di Fininvest che si erano sottoposti al tampone a Milano (c’è chi l’ha fatto fuori regione) — avevano incontrato l’ex premier martedì sera a cena, nel posticipo del tradizionale pranzo del lunedì — hanno avuto l’esito del test. Tutti negativi al Covid-19. A cominciare da Adriano Galliani, che a meno di sorprese dell’ultimo minuto potrà assistere all’amichevole Milan-Monza. Seduto accanto a una sedia vuota, quella che sarebbe toccata a Berlusconi.

Massimo Giannini per ''La Stampa'' il 4 settembre 2020. «Certo, non ci voleva. Ma combatto come sempre. Ne ho passate tante, supererò anche questa». È il pomeriggio tardo ad Arcore, e la voce di Silvio Berlusconi al telefono è solo un po' più ovattata e più nasale del solito. Come se il Cavaliere, invece di essere positivo al Coronavirus, fosse solo raffreddato. «Eh no - aggiunge - purtroppo questo non è un raffreddore Adesso che la cosa mi riguarda personalmente, e non solo me ma anche la mia famiglia, mi rendo conto una volta di più di quanto sia grave questa tragedia che ci è capitata. Mi rendo conto di quanti lutti ha seminato in tante famiglie, di quanto dolore ha causato a tante persone. Penso a chi non c'è più, penso a chi ha perso i suoi cari». "Ricoverato" nella sua Villa San Martino, il leader di Forza Italia non nasconde un filo d'ansia, ma smentisce le voci più pessimistiche che già dal primo pomeriggio di ieri avevano preso a circolare tra i cronisti. «Guardi, non posso dire di essere al 100 per cento, ma mi sento solo un po' debole.  Per il resto, ieri ho avuto la febbre, ma è passata. Ho avuto dolori ai muscoli e alle ossa, ma sono passati». «Insomma, per essere positivo al virus, non mi lamento. Soprattutto, come le ripeto, se guardo alle sofferenze di tanta altra gente». Un po' più di preoccupazione, a casa Berlusconi, c'è per la fidanzata Marta Fascina, e soprattutto per le condizioni della figlia Barbara, che ha avuto febbre alta per dieci giorni, e per il figlio Luigi, anche lui tuttora febbricitante. Ma la situazione, anche per loro, è sotto controllo. Tanto che il Cavaliere, già dalla mattina alle 8, si è rimesso a lavorare. «Si, ho fatto un'intervista, ho preparato il mio saluto all'iniziativa in Liguria sulla disabilità, ho fatto e ricevuto tante telefonate, ho letto un po' di report». E qui rispunta fuori lo spirito del Combattente, quello che gli abbiamo sempre riconosciuto, anche quando ha commesso i suoi errori più gravi, anche quando ha forzato le regole, anche quando ha violato la legge o ha picconato "toghe rosse" e "comunisti", partiti e istituzioni. Il vecchio leone che, nonostante i rovesci e l'età, non si arrende. E non arretra mai sui due fronti che gli stanno più a cuore. Il primo fronte è la politica, ovviamente. In vista delle regionali del 20 non sarà in campo nei territori: «Ma farò comunque campagna elettorale», come ha annunciato in collegamento telefonico ai forzisti liguri, citando Platone e «i cittadini che non votano scegliendo il governo della propria città e che meritano il più pericoloso governo di incapaci». Proprio in mattinata il leader azzurro ha ripassato i sondaggi di Alessandra Ghisleri: «Sono più di 7 milioni gli italiani che dichiarano di non aver intenzione di andare a votare perché disgustati dalla politica, ma che dicono di essere moderati, conservatori e simpatizzanti del centrodestra. È soprattutto a loro che dobbiamo rivolgerci nel finale di questa campagna elettorale». Il Cavaliere non si scompone nemmeno di fronte ai numeri sconfortanti di Forza Italia, che un tempo viaggiava intorno al 40 e oggi oscilla tra il 6 e l'8 per cento: «Siamo gli unici a combattere contro le tre grandi oppressioni dello Stato, quella fiscale, quella burocratica e quella giudiziaria. Per questo restiamo indispensabili, per un centrodestra in grado di governare, di rilanciare il Paese, di essere credibile in Italia e nel mondo». Il secondo fronte è il business, naturalmente. E anche qui il Cavaliere ti stupisce. In mattinata, nonostante il Covid, si è studiato la sentenza della Corte Ue che ha dato ragione a Vivendi riconoscendo l'illegittimità del "congelamento" della sua quota azionaria del 28 per cento in Mediaset, ma che abbattendo di fatto i tetti alle concentrazioni previsti dalla legge Gasparri ha potenzialmente riaperto tutti i giochi nel settore delle telecomunicazioni. Non a caso, a questo punto, il Biscione non esclude di poter entrare nella partita della Rete Unica appena avviata dopo il disco verde dei cda di Tim e Cdp. Certo, ora c'è il rischio che nel grande gioco si affaccino anche gli Over The Top della Rete, da Google a Facebook, da Amazon a Apple.  E di nuovo l'uomo di Arcore ne sfodera una delle sue: «Come stanno andando i vostri giornali? Io sono preoccupato, perché questi colossi del Web ci stanno uccidendo. Lei pensi che proprio stamattina leggevo un report inquietante. La pubblicità sulle televisioni è scesa al di sotto di quella su Internet: la prima rappresenta il 37 per cento, la seconda il 46 per cento della torta complessiva. Non era mai successo nella storia: si rende conto?». C'è solo una speranza: «Che l'economia si riprenda in fretta», aggiunge. E questo vale anche per la sua salute. È quello che gli hanno augurato in tanti, in queste ore. «Sì, non glielo nascondo, ho ricevuto tante di quelle telefonate e di quei messaggi che sono felice ma anche imbarazzato, perché non so se riuscirò a rispondere a tutti». Dagli alleati Salvini e Meloni, ovviamente, ai rivali Zingaretti e Prodi, sorprendentemente. «Un po' mi sono stupito, ma sa che le dico? Evidentemente oggi sta pagando il mio modo di fare politica, la mia attenzione ad evitare polemiche inutili e a non demonizzare mai gli avversari. Si vede che questo mio atteggiamento costruttivo finalmente l'hanno registrato anche a sinistra». Negli anni in cui ha governato la storia era diversa, con scelte ai limiti dell'eversione costituzionale, ma oggi non c'è dubbio: di fronte al radicalismo populista del Capitano della Lega il Cavaliere di Arcore sembra, inopinatamente, De Gaulle. Forse anche il virus incide. «È una malattia insidiosa, e infatti non l'ho mai sottovalutata», dice adesso Berlusconi, quasi a voler prendere le distanze dai negazionisti della destra no-mask. Ad Arcore, a quanto pare, quelli che "il Covid non esiste" godono di poca simpatia. Nell'entourage del Cavaliere non ce l'hanno solo con Salvini. Anche il video girato a Villa Certosa e postato sul Web da Briatore (un po' troppo "sborone", come si dice da quelle parti) ha dato parecchio fastidio. E persino certe uscite "riduzioniste" del medico personale del leader non sono state apprezzate. Mentre la figlia Marina faceva di tutto per tenere con sé in Provenza suo padre, evitando di farlo andare in giro ad esporsi al contagio, il professor Zangrillo in tv ridimensionava ogni giorno la portata del rischio. Così è passato un messaggio fuorviante. Ma di tutto questo Berlusconi non vuol parlare. Come non vuol parlare di chi, dove e come possa avergli trasmesso l'agente patogeno. Briatore reduce dai calcetti e dai balli del Billionaire? La stessa figlia Barbara di ritorno dalle feste di Capri? Il Cav non ci pensa e guarda avanti. «Sto abbastanza bene, non mollo - conclude - e anche stavolta non riuscirete a liberarvi di me». Guarisca, presidente.

Federico Garau per il Giornale il 4 settembre 2020. In queste ultime ore si sta molto parlando della positività di Silvio Berlusconi al test del tampone faringeo dopo il suo soggiorno in Sardegna. Oltre al leader di Forza Italia, anche i figli Barbara e Luigi e la compagna Marta Fascina sono risultati contagiati. È stato lo stesso dottor Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare al San Raffaele di Milano e medico curante dell'ex premier a spiegare la situazione, dichiarando che Berlusconi è al momento asintomatico e si trova in isolamento domiciliare ad Arcore. Non è passato neppure un giorno dalla divulgazione della notizia, che sono già partiti i primi ignobili strali nei suoi confronti. C'è anche chi, senza porsi alcun problema, gli ha augurato la morte. "Confessiamolo: chi di noi non ha pensato, sapendo del contagio di Hurluberlu, "forse questa è la volta buona?", ha scritto sul proprio profilo social il linguista italiano Raffaele Simone, come riportato da "LiberoQuotidiano". "Chi, vedendo questa foto, non ha pensato: "Magari ci liberassimo di tutti questi?". Si pensa, ma non si può dire, e meno ancora scrivere. Si ha paura che la sorte si ritorca contro chi augura il male e lo punisca. (I vilain, in particolare, sono capaci di questo effetto boomerang... ). Peccato. Ma, come c’è un giudice a Berlino, così c’è un Covid 19 anche per i potenti e i prepotenti". Parole di una freddezza e di una crudeltà inaudite, che hanno scatenato la durissima la replica della giornalista Maria Giovanna Maglie, subito intervenuta per denunciare l'intervento di Simone e rimettere il soggetto al proprio posto. "Leggete con attenzione questo testo e ditemi voi se questo che augura la morte a @Berlusconi e ai parlamentari di Forza Italia è un professore anche emerito o invece semplicemente un patetico pericoloso risentito sociale", ha scritto la saggista e opinionista italiana sul proprio profilo Twitter. Tanti i commenti sotto il post della Maglie. "Il solito pezzo di sterco sinistro", ha sentenziato un utente. "Come era la barzelletta sulla commissione Segre..." aggiunge un altro."Signora Maglie, dico solo che l’ultimo governo da noi votato è stato quello di Berlusconi, da lì in poi il buio, spero di vedere presto una luce di speranza e di libertà di pensiero, così non va bene per tutto e tutti... il mondo intero è partecipe", ha replicato un internauta. "Di fronte alla malattia (seppur stavolta solo positività senza sintomi) si tace. Non per paura o convenienza, ma perché siamo umani. E tra umani ci si rispetta, soprattutto di fronte alla fragilità. Fa male scoprire quanto odio si celi sotto il buonismo (da posto fisso)", conclude un altro utente. Infine è intervenuta anche Licia Ronzulli, vicepresidente del gruppo Forza Italia al Senato, sui suoi profili social: "Che i leoni da tastiera, il cui unico scopo di vita è offendere chicchessia, possano scivolare in commenti inadeguati è, purtroppo, ormai cosa di tutti i giorni. Però, che a perdersi in commenti inopportuni, qualunquistici e di basso spessore sui social sia addirittura qualche emerito docente universitario è francamente inaccettabile".

Gigi Di Fiore per “il Messaggero” il 4 settembre 2020. Nei tre bar della piazzetta non ci sono più di 18 tavolini occupati. La gente gira con la mascherina, come obbliga l'ordinanza del sindaco Marino Lembo. «Capri isola sicura» dice lo slogan dell'associazione albergatori presieduta da Sergio Gargiulo. E la notizia che Barbara Berlusconi sia stata contagiata a Capri dal Covid viene da tutti respinta. Dice il sindaco Lembo: «Ho appreso solo dalla stampa che la signora Barbara Berlusconi è stata a Capri. E mi è sembrato un gossip. Non lo sapevo, evidentemente è rimasta poco tempo sull'isola e nella massima riservatezza. Ho letto anche che ha scoperto di essere positiva al coronavirus, contagio che non può essere sicuramente avvenuto qui. Le auguro di cuore una guarigione rapida». Quando è stata a Capri, Barbara Berlusconi? Era il 14 agosto scorso. La figlia del leader di Forza Italia arriva a bordo del panfilo di famiglia Morning Glory direttamente dalla Costa Smeralda in Sardegna. È con undici amici, tra cui sembra anche un paio di manager di note aziende del settore dell'abbigliamento. Lo yatch è lungo oltre 52 metri e per questo non può entrare nel porto turistico: resta in rada, ma nella comitiva c'è l'intenzione di trascorrere una serata a Capri. Sono venuti apposta. La comitiva di Barbara Berlusconi scende a Marina Grande, ad attendere gli undici ci sono tre taxi. La prima tappa è il ristorante Da Paolino per la cena. Poi la piazzetta e, per terminare la serata, naturalmente la taverna night Anema e core di Guido Lembo. È ancora aperta, ma per l'ultima notte. Il giorno dopo, con decisione autonoma, chiuderà i battenti per le restrizioni sul coronavirus. Conferma Gianluigi Lembo, il figlio di Guido: «Quella sera, ci venne chiesta massima discrezione. La prenotazione fu fatta ad altro nome. Il gruppo si sistemò in un'area privé recintata e riservata. Per il periodo in cui siamo rimasti aperti, dagli inizi di luglio al 15 agosto, non abbiamo mai accolto più di 60 persone privilegiando la soluzione privé che consentiva distanziamento e sicurezza. Naturalmente, nessun nostro dipendente è risultato mai positivo». La comitiva di Barbara Berlusconi entra e esce da un'uscita secondaria. Poi, di nuovo a Marina Grande e ritorno nella notte in Sardegna. Un blitz rapido, che nei giorni successivi scatena singolari tam tam nelle messaggerie smartphone del mondo imprenditoriale. Tanto che, il 23 agosto, la testata online Affari italiani scrive: «Rumors accennano al fatto che notissimi esponenti dell'imprenditoria italiana, tutti in vacanza sulla stessa barca, avrebbero scoperto di aver contratto il coronavirus dopo una serata di baldorie e balli al Billionaire replicata, dopo un'allegra navigata la sera successiva, all'Anema e core di Capri». La notizia è rimasta per qualche giorno limitata a circuiti ristretti e il sindaco di Capri osserva: «Nessuna Asl di altre regioni ha avvisato la Asl locale che ci sono stati casi di coronavirus scoperti su persone sbarcate sull'isola anche se per poche ore». Ora Capri è indicata come possibile origine del virus che Barbara Berlusconi avrebbe poi passato al padre Silvio. «L'origine di quel contagio va ricercata altrove», rispondono in piazzetta.

Lettera di Anonimo Caprese a Dagospia il 4 settembre 2020: Barbara Berlusconi arriva a Capri il 14 agosto in tardo pomeriggio, proveniente dalla Sardegna. Sosta in rada a Marina Piccola. Lei con il gruppo di amici decide di cenare da Paolino. La prenotazione viene fatta a nome della barca. Alle ore 00.30 l’intera comitiva si dirige all’Anema & Core, passando da una porta di servizio. Lo staff Anema & Core sapeva chi fossero le persone, prova ne sia che fu fatto approntare un tavolo nel “ recinto “, cioè sotto la band. Nessuno del gruppo della Barbara Berlusconi indossava mascherina né fuori, né tantomeno dentro il locale, come d’altronde non ha fatto nessuno all'interno…Alle 02.30 hanno lasciato il locale per dirigersi verso la barca e salpare alle prime luci dell’alba. Tutto bene, se non fosse che Barbara Berlusconi aveva passato molto più tempo a Porto Cervo, dove aveva partecipato a diverse cene e party, mentre la sua permanenza a Capri è durata meno di un giorno. Il Covid-19 non ti dice dove te lo sei preso, ma noi a Capri fino a metà agosto avevamo solo 4 persone asintomatiche positive, seguite dalla ASL nelle proprie abitazioni. Si trattava di 4 ragazze capresi di 18 anni, provenienti da un viaggio organizzato in Grecia per i maturandi, un girone dantesco senza precedenti, per le foto messe sui social dalle ragazze. Capri, ancora ti ricordo, è stato il primo Comune, che ha obbligato l’uso delle mascherine 24 h, anche per le strade del territorio. Difficile che Barbara possa averlo preso a Capri, più facile che lo abbia portato lei sull'isola, visto la zona ad alta contagiosità da cui veniva lei con il suo nutrito gruppo di amici.

Giuseppe Scarpa per ilmessaggero.it il 3 settembre 2020. Una vacanza nella vacanza, per Barbara e Luigi Berlusconi. Che nei giorni di Ferragosto hanno lasciato la Costa Smeralda, troppo affollata, e si sono diretti a bordo dello yacht di famiglia, il Morning Glory, a Capri. E proprio qui avrebbero trascorso la serata fatale da cui sarebbe partito il contagio Covid che ha sconvolto la famiglia dell'ex premier. Una serata all'Anema e Core tra canti e balli e assai poche mascherine, affollata anche da tanti ragazzi della Roma bene, che si sarebbe trasformata in un cluster vip. I primi sintomi sono stati avvertiti quasi subito da Barbara, tanto da suggerire un test immediato, se non in alto mare quasi. Tornati in Sardegna, infatti, il Morning Glory ha gettato l'ancora nella baia di Portisco. Qui alcuni medici sono saliti a bordo evitando di dare nell'occhio, e hanno effettuato i tamponi a tutta la comitiva. Il risultato: positivi Barbara e Luigi, ma anche il compagno di lei, Lorenzo, e i due figli maggiori dell'ex dirigente del Milan. A quel punto nessun contatto ci sarebbe più stato tra i berluschini e papà Silvio, volato via precipitosamente alla volta di Arcore.

Angela Frenda per corriere.it il 4 settembre 2020. «Un trattamento disumano, quello che mi stanno riservando». In una giornata di grande preoccupazione per la salute del padre, mentre è ancora in quarantena insieme con i suoi figli a Villa Certosa, Barbara Berlusconi avrebbe solo voglia di chiudersi a riccio con tutto e tutti. Non le piace quello che ha letto sui giornali stamattina: lei dipinta come la persona che ha trasformato in cluster la residenza sarda dell’ex premier. Ma, soprattutto, la primogenita di Berlusconi e di Veronica Lario non condivide il modo in cui tutta la vicenda è stata gestita e interpretata, addossando a lei responsabilità pesanti e, a suo parere, ingiuste. Così, alle pochissime persone alle quali ha risposto al telefono non ha fatto che ribadire il suo pensiero: «Nei giorni in cui vivo momenti di grande angoscia per la salute di mio padre penso sia disumano essermi trovata su tutti i media come l’untrice ufficiale della persona a cui voglio più bene. Vorrei proprio capire su quali basi sono stata indicata con certezza come la responsabile. Tra l’altro, i tempi e i ripetuti tamponi negativi fatti da mio padre dimostrano il contrario. La caccia all’untore è una cosa da Medioevo, e la trovo umanamente inaccettabile oltre che scientificamente indimostrabile». Non ci sta, insomma, Barbara, a interpretare il ruolo della colpevole, proprio mentre le condizioni del leader di Forza Italia diventano comunque più serie di quanto si potesse ipotizzare inizialmente. E lei, che di quell’uomo è la figlia, sente di avere addosso, oltre alla naturale ansia per un genitore, anche la responsabilità di essere additata pubblicamente come colei che quella malattia l’avrebbe portata in casa. Un «trattamento disumano» del quale dà la responsabilità ai media, va bene, ma anche a un certo mondo vicino al padre che, forse, non la ama poi così tanto. E pensare che, ritagliandosi un ruolo più defilato, dopo l’esperienza dirigenziale al Milan, credeva di essersi oramai salvata da certi veleni interni. Questa ultima vicenda, però, le sta dimostrando il contrario. Ma quello che non accetta è la ricostruzione fatta della sua estate, nella quale la si dipinge come una irresponsabile che sarebbe andata per feste e movida, senza alcuna cautela. «No, non ci sto a sentirmi dire questo. Non mi riconosco in questa specie di ritratto. Non ho condotto alcuna vita sregolata in Sardegna. Le volte che sono uscita la sera in tre mesi si possono contare sulle dita di una mano. Mai come quest’anno sono stata praticamente sempre a Villa Certosa: altro che movida… Pannolini, piuttosto!». Ma è soprattutto sulla tempistica che Barbara insiste per allontanare i sospetti, le ipotesi velenose, le illazioni: «Dopo tre tamponi e un test sierologico negativi è molto improbabile che papà abbia preso il Covid 19 da me. Lui è risultato positivo molto dopo, e ultimamente il periodo di incubazione del virus si è ridotto». Insomma, il messaggio è chiaro: non buttatemi addosso fango, non addossatemi colpe non mie. Soprattutto in un momento in cui la tensione per la salute di Silvio Berlusconi è altissima. E lei, da figlia, chiede di poter vivere questi momenti senza ricostruzioni «indimostrabili e strumentali». Aggiungendo: «Credo di averne diritto».

Silvio Berlusconi, lo sfogo prima del ricovero: "Non date la colpa a Barbara". Libero Quotidiano il 04 settembre 2020. "Non date la colpa a  Barbara". L'auto di Silvio Berlusconi ha varcato il cancello dell'ospedale San Raffaele di Milano intorno alla mezzanotte, il professor Alberto Zangrillo primario di Anestesia, le condizioni del Cavaliere sono cominciate a peggiorare nel tardo pomeriggio quando la febbre è salita. Immediata la richiesta di tac che secondo fonti mediche ha evidenziato "l'inizio di una polmonite bilaterale". Diagnosi che ha costretto Zangrillo ad imporre al Cavaliere il ricovero in isolamento nel settore Diamante del nosocomio nella sua camera abituale. Nelle ultime 48 ore sono stati spulciati tutti i movimenti di Silvio Berlusconi, spostamenti, incontri, con famigliari, parenti e amici. La ricostruzione delle date fa pensare che il contagio sia avvenuto attraverso la figlia più piccola, Barbara e i suoi figli. Al Cav però non interessa sapere come e da chi "ormai è fatta" e soprattutto non vuole che la privacy della sua famiglia sia invasa. L'altra preoccupazione del Cavaliere è per il business. Ieri la Corte di Giustizia europea  in una sentenza storica ha accolto le tesi di Vivendi sul Tusmar della legge Gasparri, la norma sulla quale l'Agcom ha intimato ai francesi di scegliere tra la partecipazione rilevante in Tim o in Mediaset. Anche se i tempi di applicazione concreta delle decisione sono tutti da definire, la Corte è intervenuta in modo netto, rompendo il principio di impossibilità di controlli incrociati tra gruppi delle telecomunicazioni e operatori televisivi. Berlusconi sta studiando la sentenza della Corte Ue che ha dato ragione a Vivendi riconoscendo l'illegittimità del congelamento della sua quota azionaria del 28% in Mediaset. "Sono preoccupato", ha detto in un'intervista a La Stampa, -perchè questi colossi del web ci stanno distruggendo. La pubblicità sulle tv è scesa al di sotto di quella su Internet. Non era mai successo nella storia: si rende conto?".

Silvio Berlusconi, Massimo Clementi: "Il tampone ha evidenziato una carica virale alta". Libero Quotidiano il 06 settembre 2020. Su Silvio Berlusconi ricoverato al San Raffaele per coronavirus le informazioni non sono molte. Ieri, sabato 6 settembre, lo scarno bollettino di Alberto Zangrillo: "Condizioni cliniche stabili" e "cauto ma ragionevole ottimismo". Ma a sbottonarsi un poco di più, interpellato dal Corriere della Sera, è Massimo Clementi, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia proprio dell'ospedale San Raffaele di Milano. Come sta davvero Berlusconi? "Non sono un clinico, ma so che l'onorevole Berlusconi non è sottoposto a ossigenoterapia e non lo è mai stato. Ora sta seguendo una terapia con antivirali", spiega. Poi aggiunge che è in cura con "il Remdesivir, l'unico farmaco anti-virale finora autorizzato dagli enti regolatori per la cura di infezioni da virus Sars-Cov-2". Il Remdesivir è efficace solo nelle prime fasi della malattia e Clementi lo conferma, aggiungendo: "La scelta di questo trattamento testimonia che l'infezione è limitata a una replicazione virale. In altre parole, Berlusconi non è andato incontro alla famosa tempesta citochinica. Sta solo combattendo contro il virus e dal punto di vista respiratorio le cose stanno andando bene". Ma c'è un elemento che non può essere sottovalutato, un elemento che ancora non era stato reso noto: "Dopo tanti esami negativi, l'ultimo, la settimana scorsa, si è rivelato positivo e con una carica virale alta. E questo è stato un elemento che ne ha suggerito il ricovero e l' uso di antivirali". Insomma, il tampone ha rivelato una carica virale alta. E un ricovero, per quanto precauzionale, è risultato doveroso.

Bruno Vespa su Silvio Berlusconi positivo: "Il coronavirus dimostra il suo peso politico. Entrerà nei libri di storia". Libero Quotidiano il 05 settembre 2020. Bruno Vespa non ha dubbi: Silvio Berlusconi non è un "ex" della politica. La riprova? I siti di tutto il mondo che, appena scoperta la positività del leader di Forza Italia al coronavirus, hanno rilanciato all'istante la notizia. "Berlusconi - è il plauso del conduttore di Porta a Porta - è stato fin dall'inizio populista nel senso più nobile. Ha intuito il devastante rapporto con i partiti di un'opinione pubblica sconvolta da Tangentopoli, ma niente affatto pronta a consegnarsi ai 'comunisti' e con il suo carisma comunicativo ha fatto sposare da Forza Italia popolo e potere". Per Vespa, che dedica sul Giorno un intero editoriale al Cav, Berlusconi "è l'unico leader di partito in un paese occidentale a essere in carica da 27 anni".  Sondaggi a parte l'ex premier "oggi vale molto di più di quanto i suoi stessi seguaci - spesso lacerati da miopi giochi di corrente e da tentazioni voltagabbana - siano disposti a riconoscergli". È lui il vero "elemento di equilibrio all'interno del centrodestra italiano", conteso dalla Lega e da Fratelli d'Italia. E proprio in questi giorni difficili sul leader sono piovuti auguri di veloce guarigione. Auguri - conclude il giornalista - che non sono soltanto il rispetto per una persona d'età, né l'onore delle armi al 'nemico di ieri. Ma la consapevolezza, ammessa sotto voce, che Berlusconi guida con largo margine la lista dei leader della Seconda Repubblica destinati a entrare nei libri di storia". 

Adriana Bazzi per il ''Corriere della Sera'' il 6 settembre 2020. Lo scarno bollettino ufficiale di ieri, sulle condizioni di Silvio Berlusconi, parla di «condizioni cliniche stabili» e di «un cauto ma ragionevole ottimismo» sull' evoluzione della sua malattia. Per saperne qualcosa di più, abbiamo sentito Massimo Clementi, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell' ospedale San Raffaele di Milano (dove il leader di Forza Italia è ricoverato): è la sua équipe che analizza i tamponi dell' illustre paziente e si occupa degli esami virologici.

Come sta davvero Silvio Berlusconi e quali terapie sta seguendo?

«Non sono un clinico, ma so che l' onorevole Berlusconi non è sottoposto a ossigenoterapia e non lo è mai stato (l' ossigenoterapia è un aiuto, a chi ha problemi ai polmoni, per respirare meglio, ndr ). Ora sta seguendo una terapia con antivirali».

Quali?

«Il Remdesivir, l' unico farmaco anti-virale finora autorizzato dagli enti regolatori per la cura di infezioni da virus Sars-Cov-2: è stato sviluppato per combattere il virus Ebola (quello che provoca gravi forme emorragiche, soprattutto in Africa), non è specifico per il nuovo coronavirus, ma funziona anche in questo caso, se utilizzato nelle fasi precoci. È una terapia che può essere somministrata solo in ospedale ed è per questo che si è ritenuto necessario il ricovero al San Raffaele di Berlusconi: è indispensabile, infatti, monitorare, passo dopo passo, gli effetti di questa trattamento».

Ci risulta, però, efficace solo nelle prime fasi della malattia.

«Ecco, è proprio questo il punto. La scelta di questo trattamento testimonia che l' infezione (che ha provocato, in Silvio Berlusconi, una polmonite bilaterale allo stadio iniziale, secondo quando evidenziato da una Tac ai polmoni) è limitata a una replicazione virale. In altre parole, Berlusconi non è andato incontro alla famosa tempesta citochinica (che provoca uno stato di infiammazione generalizzata dell' organismo, richiede cure speciali e, nello scorso marzo, ha provocato tante morti, ndr ). Sta solo combattendo contro il virus e dal punto di vista respiratorio le cose stanno andando bene».

Prende anche i cortisonici, vecchi farmaci che si sono dimostrati particolarmente utili nel caso di Covid 19?

«No».

Forse perché potrebbero interferire con terapie per malattie già presenti?

«Probabilmente sì. I medici stanno cercando di adattare in maniera sartoriale le terapie su un paziente che può essere definito "fragile"».

In che senso?

«Berlusconi ha avuto problemi alla prostata e al cuore. I clinici devono tenere conto anche di questo».

Torniamo all' infezione. Berlusconi è risultato positivo al Coronavirus qualche giorno fa.

«Sì. Era costantemente monitorato ed eseguiva tamponi regolarmente. Dopo tanti esami negativi, l' ultimo, la settimana scorsa, si è rivelato positivo e con una carica virale alta. E questo è stato un elemento che ne ha suggerito il ricovero e l' uso di antivirali».

E adesso?

«Stiamo eseguendo tamponi per vedere se, grazie alle terapie, la carica virale diminuisce. Ma occorre almeno una settimana (meglio dieci giorni di tempo) per valutare l' evoluzione».

L' ultima domanda. Grazie ai tamponi, eseguiti nel tempo, si può risalire al momento del contagio?

«No. Alcune persone diventano positive, dopo il contatto con infetti, in tempi brevi, altri richiedono tempi più lunghi».

Chi ha contagiato il Cavaliere? Il mistero si fa fitto. Nel mirino le feste. Nel panico anche Bernini, Gelmini e Ghedini che ora temono di avere il coronavirus. Mechelangelo Bonessa il 4 settembre 2020 su Il Quotidiano del Sud. Alla fine sarà stato il maggiordomo. Berlusconi ha contratto il Covid19, questo lo sanno tutti, ma non è ancora chiaro come lo abbia preso. E allora ecco partire la caccia all’untore, colpevole di aver costretto l’ex premier allo smart working. Infatti Silvio Berlusconi ha comunicato tramite il suo staff di essere asintomantico e in isolamento nella storica villa di Arcore dove continua a occuparsi delle elezioni. Il “Cavaliere contagiato” fa dunque sapere di essere ancora in sella, ma come si sia trovato nelle condizioni di un qualunque impiegato delle sue aziende resta un mistero. L’unico indizio è la Sardegna, regione trovatasi da terra a prova di Covid a generatrice di focolai. E quando di parla di estate, Sardegna e Berlusconi è impossibile non pensare subito a Flavio Briatore e al suo Billionaire, locale famosissimo dove tutti i famigliari dell’ex premier godono di un trattamento di favore. Le cronache di come Barbara Berlusconi venisse riservato il super-privè del Billionaire sono facilmente reperibili. E quindi il primo a essere colpevolizzato è stato proprio l’amico di vecchia data. L’imprenditore è tornato in questi giorni sulle pagine di tutte le testate nazionali proprio per il Coronavirus: prima è stato chiuso il suo celeberrimo locale perché è diventato il centro di un nuovo focolaio di contagiati. Poi lui stesso è finito ricoverato in ospedale il 24 agosto, ma nei primi giorni ha provato a smentire che fosse per il Covid parlando di una prostatite. Il governatore campano De Luca sul tema aveva commentato: “Si sta curando la prostatite ai polmoni”. Nel frattempo, Daniela Santanché ha provato a sostenere la stessa tesi in televisione e per contrappasso ora è lei che ospita Briatore per il periodo di isolamento domiciliare. Questa catena di sfortune legate all’imprenditore ha suggerito a tutti che potesse essere proprio Briatore, scopertosi neo menagramo, ad aver trasformato Silvio nel cavaliere contagiato: dopo aver indirettamente aiutato la Sardegna a perdere la fama di terra sicura dalle infezioni, dopo aver spinto un’amica a una comica difesa, sembrava ovvio che avesse affondato pure l’ex premier. Il sospetto non era nato a caso: in un video insieme del 12 agosto Briatore diceva: “Ti trovo in forma”. Una frase subito diventata spauracchio per tutti i superstiziosi come lo “Stai sereno” di Matteo Renzi rivolto a Enrico Letta. Ma i tamponi sembrano aver “scagionato” l’imprenditore: i test effettuati il 25 agosto riportavano un esito negativo per l’ottantaquattrenne Berlusconi, sono i successivi che lo hanno spedito in smart working nell’esilio dorato di Arcore. Ma se non Briatore allora chi? Dopo l’ipotesi amico, è scattata quella di famiglia pensando ai più giovani che si sono dedicati alla “vita smeralda” sulle coste sarde. La trentaseienne Barbara è in pole position tra gli “indagati”. Troppe feste secondo il patriarca contagiato che pare l’abbia pure redarguita: lei era risultata positiva già a metà agosto. Ma sembra non abbia rinunciato del tutto alla vita festaiola, passando rapidamente da Maracaibo mare forza 9 a Sardegna col Covid 19. Barbara però non è l’unica: il virus adora le famiglie. Specie se numerose come i Berlusconi. E quindi ha colpito anche il figlio Luigi e Marta Fascina, la nuova compagna di Berlusconi. Una notizia confermata ieri e che gettato nel panico anche i più fedeli collaboratori del Cavaliere contagiato: Niccolò Ghedini, Maria Stella Gelmini e Anna Maria Bernini hanno scoperto improvvisamente di correre il rischio di aver contratto il Coronavirus. E così in un attimo da possibile questione di amicizia, passando per una crisi famigliare tra generazioni, alla fine il contagio del Cavaliere è diventato pure un fatto politico con lo stato maggiore di Forza Italia che potrebbe trovarsi in smart working proprio in periodo di elezioni. Chissà che a qualcuno non dispiaccia viverle per una volta dal divano in pantofole invece che correndo di città in città. La fibra ormai è piuttosto diffusa, almeno quella internet. E quindi non dovrebbe essere difficile collegarsi con i territori. Il primo a partire con la vita in telelavoro è proprio Berlusconi senior, come annunciato dal numero due di Forza Italia Antonio Tajani: “Il Presidente Berlusconi è in piena forma. Mi ha appena confermato che si collegherà con la manifestazione di Forza Italia a Genova verso le 17:30”. Ma se l’ultima volta che un amico ha elogiato il suo stato di salute è stato subito prima di scoprire di essere stato contagiato dal Covid, forse dopo le dichiarazioni di Tajani da Arcore è partito un ordine per un paio di tonnellate di cornetti rossi e altri oggetti porta fortuna: da Cavaliere contagiato a Cavaliere ricoverato il passo è brevissimo. Alla fine, il dubbio resta aperto: chi ha contagiato Silvio? Un amico, un famigliare, una delle mille donne che si dice girino ancora nei letti dell’ex premier? Tra sospetti più o meno fondati, la pista più probabile pare che alla fine sarà quella dei vecchi libri gialli: il colpevole è il maggiordomo.

Da affaritaliani.it il 5 settembre 2020. Sarebbe stata una cena di Ferragosto con tanti invitati a Villa Certosa, la causa del contagio prima dei figli Barbara e Luigi, poi dell’ex premier Silvio Berlusconi con la nuova compagna e deputata forzista Marta Fascina e alla fine pure della sua guardia del corpo. Casa Berlusconi - si legge sul Fatto Quotidiano - si è trasformata in una sorta di focolaio. All’interno del cerchio magico è partita la caccia al responsabile, con tanto di tensioni familiari. C’è chi punta il dito contro Silvio Berlusconi: “Ma se a Ferragosto c’è stata una festa a Villa Certosa con molti invitati ”. E se diverse fonti lo confermano, i più vicini all’ex premier smentiscono: “Non ne sappiamo nulla, al massimo sarà stata una cena”. È la saga di villa Berlusconi, con tanti che ora passano al setaccio tutti gli incontri dell’ex premier nel mese di agosto. Nei giorni successivi Silvio Berlusconi trascorse una giornata ad Angera, sul Lago Maggiore. Non mancarono i selfie . “Si è prestato ad alcune foto con i passanti nei pressi della fontana sul lungolago”, scrive Varesenews. Intanto emerge che, come aveva già anticipato Affaritaliani.it lo scorso 23 agosto, il virus dilagato al Billionaire, è stato "portato" la sera dopo all'Anema e Core di Capri dove tutti i super vip molto "free", in termini di precauzioni, si sono diretti allegramente viaggiando sulla stessa barca. A quella serata hanno partecipato anche i figli dell'ex premier, Barbara e Luigi Berlusconi.

Marina Berlusconi, lo sfogo: “Avrei dovuto tenere papà in Provenza”. Notizie.it il 05/09/2020. Marina Berlusconi ha espresso il suo rammarico per non aver trattenuto in Provenza il padre, positivo al coronavirus dopo le vacanze estive. La positività al coronavirus di Silvio Berlusconi che ha reso necessario un ricovero a scopo precauzionale all’ospedale San Raffaele di Milano non va giù alla figlia Marina, primogenita del Cavaliere che si rammarica per non averlo tenuto in Provenza con lei come durante il periodo di lockdown. Lo sfogo è giunto in una telefonata con un’amica, secondo quanto appreso dal Messaggero, in cui la presidente di Fininvest ha lamentato che finché il padre è rimasto in Francia da lei è stato al riparo da tutto e da tutti e stava bene. Abituata a fare da scudo a Berlusconi e sorvegliare attentamente sulla sua salute vigilando che non si affatichi troppo, lo aveva infatti ospitato nella sua villa provenzale di Chateauneuf-de-Grasse, ad una trentina di chilometri da Nizza. Qui il Cavaliere ha trascorso i mesi caldi dell’epidemia senza mai muoversi se non per un breve trasferimento a Milano per ragioni cliniche. Qui l’ex premier ha trovato protezione e si è tenuto lontano dal rischio di venire contagiato, fino a quando è giunta la decisione di spostarsi in Sardegna. Marina si è premurata di accompagnarlo lei stessa per assicurarsi che tutto procedesse per il meglio, i due hanno festeggiato il compleanno di lei insieme alla famiglia e hanno trascorso dei giorni tra lo yacth Morning Glory e la maestosa Villa Certosa. A bordo del primo erano ammessi solo pochi intimi e chiunque avesse voluto incontrare il padre nella sua residenza avrebbe dovuto presentare l’esito negativo del tampone. Un cordone di sicurezza che però ha iniziato ad allentarsi e ha causato lo scoppio di un cluster familiare. “Tutti vedono Silvio come l’uomo invincibile, il presidente, il leader di partito“, ha concluso Marina, rammaricata per non essersi imposta a tenerlo con sé in Francia.

Valentino Di Giacomo per il Messaggero il 5 settembre 2020. «Finché è stato con me è stato al riparo da tutto e da tutti, stava bene, avrei dovuto impormi per farlo restare in Provenza con me». Marina Berlusconi primogenita del Cavaliere ha affidato il suo sfogo ad un' amica in una lunga telefonata ieri mattina. Chi è riuscito a parlare con la presidente di Fininvest ha colto l' amarezza, ma pure tanta rabbia nelle sue parole. «Tutti vedono Silvio come l' uomo invincibile, il presidente, il leader di partito si è sfogata Marina ma per me è semplicemente papà come Barbara e Luigi sono miei fratelli». Parole di una figlia che ieri sono risuonate anche nel padiglione Diamante del San Raffaele, dove Berlusconi è ricoverato, e dalla clinica si sono diffuse di voce in voce nel partito. Marina da quattro anni a questa parte ha creato attorno al papà un vero e proprio cordone di sicurezza. È dal 2016 che la primogenita di Berlusconi ha deciso di fare da vero e proprio scudo al papà, da quando l' ex premier nel corso di un comizio accusò un malore che rese poi necessario un intervento chirurgico. Da allora è Marina che da vicino o da lontano sorveglia attentamente sulla salute di Berlusconi affinché il papà non si affatichi e non tenga troppi incontri in agenda come è abituato da sempre a fare.

LA FAMIGLIA Marina aveva accompagnato lei stessa il padre in Sardegna proprio per assicurarsi che tutto procedesse per il meglio. La decisione di muoversi dalla Provenza dove da marzo, salvo un breve salto a Milano, sempre per ragioni cliniche, Berlusconi si era ritirato nella villa di Chateauneuf-de-Grasse, ad una trentina di chilometri da Nizza era giunta a ridosso del compleanno di Marina. Una ricorrenza festeggiata a bordo della yacht di famiglia il 10 agosto tra le coste settentrionali della Sardegna e la Corsica. L' idea era di passare le vacanze tra la villa galleggiante e la mega residenza di Villa Certosa: ingressi contingentati e, per incontrare Berlusconi, era necessario presentare l' esito del tampone con esito negativo. L' ex premier aveva acquistato anni fa il suo yacht, il Morning Glory, dal magnate Rupert Murdoch. A bordo erano ammessi, oltre a Berlusconi, la nuova fidanzata, la deputata eletta in Campania, Marta Antonia Fascina, la figlia Marina con il consorte Maurizio Vanadia e i figli, Gabriele e Silvio. È con il passare dei giorni che quel cordone di sicurezza ha forse cominciato ad allentarsi.

IL CERCHIO Affari di famiglia, di azienda e affari di partito si concentrano in quell' uomo che ora è di umore nero in un letto d' ospedale. Non vuole il leader di Forza Italia, al pari di Marina, che ora si apra un processo nei confronti dei suoi figli, Barbara e Luigi, anche loro risultati positivi al Covid. Così come non vuole che si getti la croce addosso alla sua nuova fidanzata, Marta Fascina. Anzi viene riferito che ora il Cavaliere è in apprensione più per gli altri che per se stesso. «Attaccavano le persone del suo entourage spiegano ora alcuni parlamentari perché avevano tenuto Berlusconi al riparo da tutti e con l' agenda contingentata anche per ricevere le telefonate. Ora magari qualcuno ne comprenderà i motivi». Poche le persone ammesse ad Arcore, nella storica residenza del Cavaliere: Marta Fascina, Licia Ronzulli, Sestino Giacomoni, Niccolò Ghedini, Adriano Galliani, Fedele Confalonieri e poi le lunghe telefonate, da Roma, di Gianni Letta. Così aveva chiesto Marina per non mettere sotto stress il fisico del papà. Un cerchio di persone all' interno del quale Berlusconi era protetto e coccolato, ma che è saltato con le vacanze estive e gli appuntamenti dei parlamentari azzurri per la campagna elettorale nelle varie Regioni.

Da ansa.it il 5 settembre 2020. "Credo che la malattia di mio padre, come quella di qualunque altro essere umano, meriterebbe ben maggiore rispetto, discrezione e attenzione alla verità di quanto non legga e non ascolti in questi giorni. Giorni segnati dalla ossessiva ricerca di conflitti che non esistono e da una caccia al “colpevole” che lascia davvero sconcertati". Così la presidente di Fininvest Marina Berlusconi interviene in relazione ad alcuni articoli di stampa di oggi e relativi al ricovero del padre, Silvio Berlusconi. "Per quanto mi riguarda - continua la dichiarazione di Marina Berlusconi - , mi vedo attribuiti non solo pensieri che non ho mai avuto e accuse che non mi sono mai sognata di formulare, ma addirittura parole e giudizi che non avrei mai avuto motivo di pronunciare. Sarò un'ingenua, ma non riesco a rassegnarmi nel vedere così calpestati i sentimenti di familiari, amici veri, collaboratori leali. Oltre, naturalmente, all'impegno dei medici che stanno seguendo come sempre mio padre con grande professionalità e umanità e che ci tengo ancora una volta a ringraziare". (ANSA). 

Marina Berlusconi: "La malattia di mio padre ​merita un rispetto maggiore". Su certa stampa continua la "caccia all'untore". La dura condanna di Marina: "Ossessiva ricerca di conflitti che lascia sconcertati". Sergio Rame, Sabato 05/09/2020 su Il Giornale. "Credo che la malattia di mio padre, come quella di qualunque altro essere umano, meriterebbe ben maggiore rispetto". In una nota resa pubblica questa mattina il presidente di Fininvest, Marina Berlusconi, ha condannato la caccia al "colpevole" che nelle ultime ore si è scatenata su molti giornali. Una "ossessiva ricerca di conflitti che non esistono", come l'ha definita la primogenita del Cavaliere, che si è propagata, con una furia senza precedenti, non appena il padre, risultato mercoledì scorso positivo a Covid-19, è stato ricoverato all'ospedale San Raffaele di Milano su consiglio del primario Alberto Zangrillo.

La condanna di Marina. Non si arresta la crociata di una certa stampa per cercare di risalire alla persona che ha contagiato Silvio Berlusconi. Una crociata che indigna profondamente. "Credo che la malattia di mio padre, come quella di qualunque altro essere umano, meriterebbe ben maggiore rispetto, discrezione e attenzione alla verità di quanto non legga e non ascolti in questi giorni", ha commentato Marina Berlusconi condannando duramente i numerosi articoli pubblicati oggi su numerosi quotidiani. A chi li ha scritti e pubblicati la presidente di Fininvest ha ricordato che questa "ossessiva ricerca di conflitti che non esistono" e questa caccia al "colpevole" lasciano "davvero sconcertati". In questi "retroscena" la presidente di Fininvest si è vista attribuire "non solo pensieri che non ho mai avuto e accuse che non mi sono mai sognata di formulare, ma addirittura parole e giudizi che non avrei mai avuto motivo di pronunciare". Quello che Marina Berlusconi chiede in un momento tanto delicato è "maggiore rispetto" nei confronti del padre e di tutta la famiglia. "Sarò un'ingenua - si legge ancora nella nota - ma non riesco a rassegnarmi nel vedere così calpestati i sentimenti di familiari, amici veri, collaboratori leali. Oltre, naturalmente, all'impegno dei medici che stanno seguendo come sempre mio padre con grande professionalità e umanità e che ci tengo ancora una volta a ringraziare".

Un "trattamento disumano". Già ieri sera Barbara Berlusconi aveva duramente criticato la "caccia all'untore" che si è appunto scatenata nelle ultime ore. In un colloquio pubblicato dal sito del Corriere della Sera, la primogenita di Silvio e Veronica Lario, che è in quarantena insieme ai figli a Villa Certosa, ha parlato di "trattamento disumano" nei suoi confronti e alle pochissime persone alle quali ha risposto al telefono in queste ore ha ribadito la propria contrarietà: "Nei giorni in cui vivo momenti di grande angoscia per la salute di mio padre penso sia disumano essermi trovata su tutti i media come l'untrice ufficiale della persona a cui voglio più bene. Vorrei proprio capire su quali basi sono stata indicata con certezza come la responsabile". "Tra l'altro - ha poi concluso - i tempi e i ripetuti tamponi negativi fatti da mio padre dimostrano il contrario. La caccia all'untore è una cosa da Medioevo, e la trovo umanamente inaccettabile oltre che scientificamente indimostrabile".

(ANSA il 7 settembre 2020) - Anche Marina Berlusconi, secondo quanto apprende l'Ansa, risulta positiva al Covid-19. Dopo una serie di tamponi negativi, l'ultimo, nel fine settimana, ha dato invece risultato diverso. La notizia trova conferma in ambienti del Gruppo. La presidente di Fininvest e di Mondadori, comunque, sta bene e lavora normalmente al telefono. Marina Berlusconi assieme alla sua famiglia si è isolata, in linea con le regole vigenti, nella propria abitazione milanese da quando, mercoledì scorso, il padre è risultato positivo. Non si sa se anche altri membri della sua famiglia, protetti dalla privacy, siano positivi. Secondo quanto ha appreso l'ANSA, però, anche le condizioni del marito e dei due figli, minorenni, sono buone.

Coronavirus, "anche Marina Berlusconi positiva": conferme dal Gruppo, sta bene e continua a lavorare. Libero Quotidiano il 07 settembre 2020. Anche Marina Berlusconi ha contratto il coronavirus: la notizia è stata rilanciata dall'agenzia di stampa Ansa. La figlia di Silvio Berlusconi - ricoverato al San Raffaele di Milano con una polmonite bilaterale dopo aver contratto il Covid-19 - dopo una serie di tamponi negativi, l'ultimo dei quali nel fine settimana, è risultata positiva all'ultimo test. La notizia, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, avrebbe trovato delle conferme negli ambienti di Fininvest e Mondadori, di cui Marina è presidente. Stando a quanto trapelato, la primogenita del leader di Forza Italia sta bene e starebbe normalmente proseguendo il suo lavoro al telefono.

Marina Berlusconi positiva al Covid: "Sta bene e lavora da casa". La figlia del Cavaliere si trova in isolamento a casa. Dopo una serie di tamponi negativi, l'ultimo è risultato positivo. Giovanna Stella, Lunedì 07/09/2020 su Il Giornale. Marina Berlusconi, secondo quanto apprende l'Ansa, è risultata positiva al Covid-19. Dopo una serie di tamponi negativi, l'ultimo, nel fine settimana, ha dato invece risultato contrario. La presidente di Fininvest e di Mondadori - continua l'agenzia - sta bene e lavora normalmente al telefono. Dopo Silvio Berlusconi, risultato positivo al Covid-19 mercoledì scorso e attualmente ricoverato al San Raffaele di Milano, anche la figlia Marina è risultata positiva ai test per il coronavirus. Secondo quanto appreso, la numero uno di Fininvest e Mondadori sarebbe asintomatica. Il suo stato di salute le consente, infatti, di continuare a lavorare senza alcun tipo di difficoltà. Fonti a lei vicine, confermano che la figlia del Cav sta bene e lavora regolarmente, ovviamente si trova in isolamento. La figlia dell'ex premier è insolamento con tutta la famiglia da mercoledì scorso, quando il Cavaliere è risultato positivo al nuovo coronavirus. Anche Barbara e Luigi sono risultati positivi nei giorni scorsi. Dopo la notizia della positività di Marina Berlusconi, l'Ansa - grazie alla testimonianza di varie fonti milanesi e romane oltre che a notizie già emerse - è in grado di compiere una prima ricostruzione di quanto è accaduto nelle ultime due settimane. Con Silvio Berlusconi, che era accompagnato da Marta Fascina, la figlia e i suoi familiari avevano trascorso i giorni conclusivi di agosto nella tenuta della primogenita a Valbonne in Provenza, dove l'ex presidente del consiglio aveva vissuto per l'intero lockdown e parte dell'estate per poi trasferirsi, ad agosto, prima in Sardegna, a villa Certosa, e successivamente ad Arcore. L'Ansa continua e spiega che come sempre nel caso degli spostamenti del padre, Marina Berlusconi, la famiglia e tutto il personale presente a Valbonne avevano eseguito il giorno precedente il tampone, che per tutti aveva dato esito negativo. Non risulta che il gruppo abbia lasciato durante il soggiorno la tenuta, rientrando poi a Milano domenica 30 agosto con un volo privato. Secondo quanto è trapelato, in quei giorni, sia Berlusconi che la Fascina avrebbero accusato leggeri sintomi influenzali, peraltro senza febbre, che non avevano però suscitato particolari preoccupazioni. Del resto per i primi giorni di settembre Berlusconi aveva già programmato un tampone di controllo. Tampone che, mercoledì 2 settembre, ha dato esito positivo, così come quello di Marta Fascina. Negativi invece i primi controlli cui, appresa la notizia, si era sottoposta la figlia Marina. Un nuovo tampone nel fine settimana ha dato però risultato positivo.

DAGONOTA il 6 settembre 2020. Anzitutto sia chiaro che la caccia all’untore è assurda, oltreché inutile. Mettere sul rogo Barbara Berlusconi o Briatore o uno dei tanti visitatori di Villa Certosa che hanno avuto contatti con colui che Don Verzè definì “Il dono di Dio” è un gioco al massacro che non ci appartiene. Carlito Rossella, uno che conosce bene la vita sociale del Cavaliere, oggi su “La Stampa” ha bisbigliato: ‘’Può essere stato chiunque, ha il contagio può avvenire dove e quando meno te lo aspetti, con un tizio che incroci casualmente e con uno di quei disgraziati che ti baciano per strada…”

Pura casualità. Ma tutti o quasi hanno puntato l’indice contro Barbara Berlusconi. La primogenita di Silvio e di Veronica Lario si è imbufalita: “Nei giorni in cui vivo momenti di grande angoscia per la salute di mio padre penso sia disumano essermi trovata su tutti i media come l’untrice ufficiale della persona a cui voglio più bene. Vorrei proprio capire su quali basi sono stata indicata con certezza come la responsabile. Tra l’altro, i tempi e i ripetuti tamponi negativi fatti da mio padre dimostrano il contrario. Dopo tre tamponi e un test sierologico negativi è molto improbabile che papà abbia preso il Covid 19 da me. Lui è risultato positivo molto dopo, e ultimamente il periodo di incubazione del virus si è ridotto”. Ma quello che non accetta la berlusconina è la ricostruzione fatta della sua estate, nella quale viene dipinta dipinge come una irresponsabile che sarebbe andata per feste e movida, senza alcuna cautela. “No, non ci sto a sentirmi dire questo. Non mi riconosco in questa specie di ritratto. Non ho condotto alcuna vita sregolata in Sardegna. Le volte che sono uscita la sera in tre mesi si possono contare sulle dita di una mano. Mai come quest’anno sono stata praticamente sempre a Villa Certosa: altro che movida… Pannolini, piuttosto!”. In quel “praticamente sempre a Villa Certosa”, c’è un intermezzo caprese. Raccontato in maniera dettagliata da una lettera che abbiamo pubblicato sul sito: “Barbara Berlusconi arriva a Capri il 14 agosto in tardo pomeriggio, proveniente dalla Sardegna. Sosta in rada a Marina Piccola. Lei con il gruppo di amici decide di cenare da Paolino. La prenotazione viene fatta a nome della barca. Alle ore 00.30 l’intera comitiva si dirige all’Anema & Core, passando da una porta di servizio. Lo staff Anema & Core sapeva chi fossero le persone, prova ne sia che fu fatto approntare un tavolo nel “recinto“, cioè sotto la band”. “Nessuno del gruppo della Barbara Berlusconi indossava mascherina né fuori, né tantomeno dentro il locale, come d’altronde non ha fatto nessuno all'interno…Alle 02.30 hanno lasciato il locale per dirigersi verso la barca e salpare alle prime luci dell’alba. La missiva dell’Anonimo caprese chiude così: “Tutto bene, se non fosse che Barbara Berlusconi aveva passato molto più tempo a Porto Cervo, dove aveva partecipato a diverse cene e party, mentre la sua permanenza a Capri è durata meno di un giorno”. A testimonianza di quanto sopra, siamo riusciti a recuperare una foto della serata “incriminata” di Barbara Berlusconi all’Anema e Core dove danza con alcune amiche, senza mascherina ma ben distanziate. Certo, “Altro che movida… Pannolini, piuttosto!”, se lo poteva risparmiare. A meno che, tra un ballo e l’altro, non abbia confuso i tovaglioli dei camerieri con i pannolini del pupo…

Emilio Pucci per “il “Messaggero” il 3 settembre 2020. L'amico di sempre, Fedele Confalonieri, lunedì si è recato al San Raffaele a Milano a fare il tampone per poi andare ad Arcore con i suoi collaboratori come ogni lunedì. «Giù la mascherina, mica siamo al teatro», ha scherzato il padrone di casa. Ma è solo con lui che Silvio Berlusconi si è concesso una battuta affettuosa, perché tra colazioni di lavoro e incontri vari, il Cavaliere ha puntualmente, da quando è scoppiata la pandemia, tenuto alta la guardia. Alta con tutti tranne che con Flavio Briatore, che è andato a trovarlo come ogni anno la settimana di Ferragosto. Il Cavaliere è rimasto a villa Certosa due settimane, circondato dai figli minori - Barbara, Eleonora e Luigi - con rispettivi compagni e nidiate di bimbi, presentando alla famiglia anche la nuova fidanzata Marta Fascina. Tra gite in barca e bagni in mare, nessuno poteva pensare che la Certosa si stesse trasformando in un cluster familiare. Tanto che subito dopo il Cavaliere si è concesso una puntata in Francia per festeggiare il compleanno della figlia Marina, una visita nella sua villa sul Lago Maggiore e poi di nuovo sull'isola per ricongiungersi alla famiglia. E' dalla primogenita, in Provenza, che l'ex premier si è rifugiato per tanto tempo per evitare il coronavirus. Da quella residenza sulle colline di Grasse ha diretto il partito, pretendendo che chiunque fosse con lui si accertasse di non aver contratto il Covid. A Villa San Martino lunedì scorso c'erano anche i due figli maggiori e ora tutti i collaboratori dovranno fare le opportune verifiche sanitarie. Berlusconi sta bene, la preoccupazione ovviamente è legata alla sua età (a fine settembre compirà 83 anni) e ai problemi di salute che ha avuto ma ha continuato e continuerà a mantenere i suoi impegni. Con lui c'è Marta Fascina, la nuova compagna dopo la separazione con Francesca Pascale. Ieri si è collegato con ‘Azzurro donna', il dipartimento presieduto dalla forzista Polidori e ci ha scherzato anche un po' su. «Sarò presente in campagna elettorale con interviste tv e sui giornali e secondo le limitazioni imposte dalla mia positività al Coronavirus. Purtroppo mi è successo anche questo ma continuo la battaglia», ha poi detto nel corso del suo intervento.  Berlusconi non è mai stato negazionista. Non ha mai sottovalutato il problema, assicurano i suoi. Ad ogni interlocutore in questo periodo ha chiesto la massima attenzione. Preoccupato per la diffusione del virus. Tutti coloro che l'hanno visto da marzo hanno dovuto prima fare il tampone. Nessuno escluso. Anche i più stretti collaboratori non si sono sottratti all'obbligo. Quando scoppiò la polemica perché Salvini e diversi militanti del centrodestra a Roma, nella manifestazione con Meloni e Tajani, giravano senza mascherina, fu proprio lui a chiamare il vicepresidente azzurro per far emergere la necessità di una maggiore cautela. Ed è stato proprio l'ex presidente del Consiglio a chiedere che in un'altra manifestazione della coalizione si attrezzassero delle sedie in piazza, per rispettare il distanziamento sociale. In quanto asintomatico non c'è alcun allarme sulla sua situazione ma è chiaro che sarà costantemente sotto controllo e in isolamento. L'ex premier si controllava settimanalmente. L'ultimo incontro pubblico con lo stato maggiore del partito risale al 6 agosto, a Porto Rotondo. Briatore è risultato positivo il 12 ma i primi tamponi fatti sono risultati negativi. Ieri la sorpresa. Fonti di Forza Italia riferiscono che potrebbe essere stato contagiato proprio dopo l'incontro con l'imprenditore ma ovviamente non c'è alcuna certezza in proposito. «Presidente sospendiamo tutti i suoi impegni?», gli ha chiesto il fedelissimo Giacomoni. «No, andiamo avanti serenamente», la risposta del Cavaliere che oggi interverrà in collegamento per una iniziativa in Liguria ma non sarà né a Napoli né in Puglia. «Darà il suo apporto come sempre», assicura Tajani. Certo, la notizia della positività al Covid cambia i piani della campagna elettorale. «Questa situazione non ci aiuta di certo», spiegano diversi big' ma il presidente azzurro assistito dal suo medico di fiducia, Zangrillo e dal suo staff con a capo la senatrice Ronzulli ha fatto sapere che si spenderà per far sì che alle Regionali FI abbia un ottimo risultato. La preoccupazione degli azzurri è che gli equilibri interni al centrodestra possano ridurre il partito ad un ruolo di comparsa, soprattutto se dovessero eletti Acquaroli e Fitto (di Fdi) nelle Marche e in Puglia e la leghista Ceccardi in Toscana.

Nicola Pinna per “la Stampa” il 3 settembre 2020. La voce non è quella di sempre: tono basso, a tratti bassissimo. I medici dicono che Flavio Briatore stia benissimo, e lui lo conferma continuamente, ma il virus ha messo alla prova il suo fiato. Nella casa di Daniela Santanchè si sente l'eco e ogni parola arriva con un po' di ritardo. Lui risponde al terzo squillo: solita cortesia, ma pochissima voglia di chiacchierare.

Ha saputo che anche il suo amico Silvio Berlusconi è risultato positivo al test sul Covid?

«Sì, ho saputo poco fa. Sono molto dispiaciuto per lui. Gli auguro di superare il più velocemente possibile anche questa situazione. Spero che guarisca presto».

Vi siete già sentiti?

«Ancora no, ci sarà tempo nei prossimi giorni per fare quattro chiacchiere».

Sui social i meme impazzano in pochi minuti. E in un attimo, appena la notizia compare su tutti i siti, ripartono le condivisioni del video girato da Flavio Briatore nel giardino di Villa Certosa insieme «all'amico Silvio». Commenti a raffica e ironia che stonano con le notizie sulle condizioni di salute dell'ex premier e del patron del Billionaire. Flavio Briatore e Silvio Berlusconi sono amici di vecchia data e s' incontrano ogni estate a Porto Rotondo. L'aperitivo, le chiacchierate e le foto nel giardino di Villa Certosa sono quasi una tradizione. E anche quest' anno il rituale si è ripetuto. Era il 12 agosto, la sera in cui in Sardegna era scoppiata la prima polemica sulle discoteche. Il governatore sardo Solinas non aveva prorogato l'autorizzazione concessa con un'ordinanza di luglio e sembrava che per tutto agosto la musica si dovesse spegnere. Tra i locali che avrebbero dovuto chiudere c'era il Billionaire di Briatore. Le prenotazioni erano tante, ma in quelle ore il rischio del contagio sembrava dimenticato, la Costa Smeralda era super affollata. Nell'incontro pomeridiano a Villa Certosa, ovviamente documentato su Instagram con tanto di video e foto, Flavio Briatore e Silvio Berlusconi hanno parlato anche della grana discoteche. C'era da mediare col governatore sardo, che guarda caso è sostenuto da una maggioranza di centro-destra di cui fa parte anche Forza Italia. Le telefonate, di cui gli amici parlavano tanto in quelle ore, hanno avuto l'esito sperato e la musica in Sardegna è ripartita subito. Con un'eredità pesantissima.

Adesso Berlusconi si ritrova come lei ad affrontare l'incubo virus. Si sente di dargli qualche consiglio?

 «Silvio è un uomo tosto, sono certo che avrà la capacità di superare il virus con la solita forza. E poi è assistito da un'equipe medica di grande valore che lo terrà sotto controllo continuamente e gli assicurerà le cure migliori. Non ha certo bisogno dei miei consigli».

Scusi, ma Berlusconi è un'altra delle persone che lei ha incontrato in quei giorni tra Porto Cervo e Porto Rotondo. Ora il collegamento sul contagio sembra chiarissimo: teme di essere stato lei a contagiarlo?

«Ma che c'entra? Non credo che dipenda da quel nostro incontro E adesso mi avete rotto». Questa era la domanda da non fare, perché Briatore perde la pazienza e la telefonata s' interrompe. Ma gli auguri a Berlusconi li aveva già fatti.

Francesco Rigatelli per la Stampa il 4 settembre 2020. Emilio Fede, 89 anni, ex direttore del Tg4, anche dagli arresti domiciliari per favoreggiamento della prostituzione nel caso Ruby non rinuncia a solidarizzare con l' amico ed ex editore Silvio Berlusconi. «È il quotidiano La Stampa? Qui è il quotidiano Va e viene... sto scendendo dal treno, vado a Milano 2».

Quando l' ha sentito l' ultima volta?

«Lui era ancora in Francia. Mi ha detto che non era più a casa di Marina e aveva affittato una proprietà con la piscina per stare più comodo. Mi ha anche proposto di raggiungerlo. Alla nostra età, lui un anziano e io un vecchio, ci ho pensato, ma poi gli ho detto: tu hai ancora problemi giudiziari aperti, io sono ai domiciliari, ma dove andiamo?».

E poi Berlusconi ha preso il coronavirus. Com' è successo?

«Non penso proprio che abbia fatto feste o cose del genere. Il professor Zangrillo lo ha certamente sconsigliato».

Gliel' ha attaccato Briatore?

«Impossibile saperlo. Con lui eravamo amici, ma da quando ho avuto problemi giudiziari non l' ho più sentito. Non so neanche se con Berlusconi siano tanto amici».

Un' altra ipotesi è che possa essere stata la figlia Barbara a contagiarlo, che ne dice?

«Improbabile, i figli gli vogliono così bene che saranno stati sicuramente attenti».

Lei ha paura del coronavirus?

«Sì, infatti non esco mai di casa. Certo, sono ai domiciliari....».

A Napoli o a Milano?

«Vivo a Milano 2, ma ogni tanto posso andare a trovare mia moglie a Napoli. Di recente mi hanno arrestato perché ero evaso, ma l'avviso dello spostamento era solo arrivato in ritardo».

E ora sanno che è a Milano?

«Speriamo, anche perché tra poco dovrei passare ai servizi sociali. Sto sempre nell' appartamento che mi diede Berlusconi a Milano 2».

Gli paga l' affitto?

«Sono stato licenziato da Mediaset senza motivo e liquidazione, così da due trimestri ho smesso, anche se con lui non parlo di questi dettagli. Tra di noi si sono messi i gelosi».

L' amicizia è rovinata?

«Rompono tutti con questa domanda, ma il nostro rapporto non finirà mai. Per questo ogni tanto ci sentiamo ancora».

Qual è l' episodio che descrive meglio il vostro rapporto?

«Sembrerà banale, ma tornavamo dalla Sardegna col suo aereo. Era brutto tempo e lui, anche se non lo ammette, ha paura di volare. Mi chiedeva di guardare dal finestrino al posto suo per non guardare fuori. A un certo punto mi ha preso la mano e mi ha detto: "È come se ci conoscessimo fin da ragazzi". Il mio sogno, oltre alla buona salute di mia moglie Diana, è che me lo ripeta».

Salvatore Dama per “Libero Quotidiano” il 4 settembre 2020. Irriso, sfottuto, dileggiato. Per cose che, oltretutto, non ha mai detto. È il destino del professor Alberto Zangrillo. Considerato, a torto, il "capo dei negazionisti". Soltanto perché si è permesso di rompere il muro del pensiero unico. Perché, dati alla mano, ha contestato chi dispensava allarmismo. I professionisti del Covid-19. Virologi. O, spesso neanche tali, che hanno visto schizzare la propria popolarità durante il lockdown. E che, finita la quarantena, non avevano nessuna voglia di tornare nell'ombra. Men che meno alla routine quotidiana. Zangrillo non ha mai negato l'esistenza del virus. Si è limitato a commentare i dati partendo dal suo osservatorio privilegiato. È primario di Anestesia e Rianimazione all'Irccs San Raffaele di Milano e prorettore dell'Università Vita-Salute di Milano. In questa veste ha osservato lo svuotarsi delle terapie intensive. E degli ospedali. Questa seconda ondata (per chi la chiama così) non ha le caratteristiche drammatiche della prima. Proprio l'altro giorno Zangrillo aveva condiviso sui social un grafico riassuntivo di un lavoro pubblicato su Critical Care: «In questo studio hanno dimostrato come una bassa carica virale è risultata indipendentemente associata a un ridotto rischio di essere intubati e morire: i pazienti intubati e deceduti avevano una carica virale 8 volte superiore a quelli sopravvissuti/non intubati». Poi sono successi i casi di Flavio Briatore e di Silvio Berlusconi. Entrambi contagiati, ma senza sintomi. E anche questo fatto confermerebbe la tesi zangrillina della minore pericolosità odierna del Covid. Briatore e Berlusconi sono entrambi over settanta, dunque catalogabili nella fascia a rischio. Il patron del Billionaire dopo un paio di giorni di osservazione è stato dimesso. Ed è a casa Santanchè dove sta trascorrendo la quarantena. Il Cavaliere è nella sua villa di Arcore, in isolamento, asintomatico pure lui. Eppure lo stanno massacrando. A Zangrillo. Sui social. Dai suoi colleghi fino all'ultimo troll. «Un negazionista curato da un negazionista», è stata la battuta più ricorrente quando Briatore è stato ricoverato al San Raffaele. Ora sfottono Berlusconi. «Povero Silvio», scrivono, «in che mani ti sei messo...». E cose così. Ma la barzelletta che supera le altre, in termini di cattivo gusto, è quella sulla presunta prostatite berlusconiana. («Non è Covid, come per Briatore»). Pessima, perché all'ex premier è stata asportata la prostata nel 1997, in seguito a un tumore. «Tanti auguri di pronta guarigione. A tutti i pazienti infettati da un virus dichiarato clinicamente estinto dal loro medico». Il commento del biologo Enrico Bucci, docente negli Usa alla Temple University di Filadelfia, scatena i social, riaccendendo il dibattito su asintomatici e malati. «Fate attenzione, per favore», è il monito di Bucci che aggiunge un post scriptum: «Come Briatore, nemmeno Berlusconi mi è particolarmente simpatico. Ma cancellerò ogni commento che gioisca per l'infezione sua o di altri». Di commenti in realtà ne piovono di ogni genere. Alcuni ironizzano parlando di «prostatite contagiosa», altri giudicano il post «di dubbio gusto» e «gratuito». Ma, del resto, sui social vale tutto. Liliana Armato ribattezza il professore «Zangrillstein». Ibico scrive: «Berlusconi ha il coronavirus, ma per Zangrillo è solo un'influenza elegante». Udo Gumpel: «E ora Zangrillo cosa darà a Berlusconi per curarlo? La camomilla». Luca Bottura sfotte anche l'Esselunga: «Lo spot con i clienti e i cassieri senza mascherina deve averlo sceneggiato Zangrillo». Macina condivisioni la foto di Briatore e Berlusconi in Sardegna, con la didascalia «Zangrillo' s boys». Un altro meme tira in mezzo la Santanchè. Con una finta dichiarazione: «Ho sentito Zangrillo, è sciatica». «Hanno Stato Gli Insegnanti» percula: «Qualcuno ha il numero di Zangrillo? Mentre tossivo mi sono fatta la pipì addosso. Temo si tratti di prostatite polmonare». Il dottor Giancarlo apprezza la «testardaggine del Covid, che da quando Zangrillo ha detto che è clinicamente morto sta contagiando i suoi pazienti uno a uno». Kotiomkim: «Se sei povero è Covid, se sei ricco è prostatite».

Manuel Costa per “Libero Quotidiano” il 3 settembre 2020. Che pellaccia, il Berlusca. Una tempra che definire resistente è un eufemismo. A dimostrarlo, la lunga lista di problemi fisici, ricoveri e interventi che ha subìto e superato brillantemente. E non è per dire, ma il Cav c'ha ormai quasi 84 anni.

La prima malattia che Berlusconi si trova ad affrontare è un tumore alla prostata, per il quale viene operato nel 1997. L'11 maggio tiene un comizio contro il governo Prodi: il giorno dopo entra all'ospedale San Raffaele di Milano per operarsi. L'intervento viene reso pubblico soltanto nel 2000: il Cav ne parla in un'intervista a Repubblica: «Temevo di morire», racconta. Dieci anni più tardi, parlando a Porta a Porta, dichiara invece di non avere temuto per la sua vita.

Il 27 novembre 2006 Berlusconi interviene alla kermesse dei giovani di Forza Italia a Montecatini. Sta parlando sul palco quando, all'improvviso, si sente male e sviene. Lo portano via semi-incosciente. Qualche giorno e si rimette: solo un collasso per stress.

Il 13 dicembre 2009 Berlusconi sta tenendo un comizio a Milano quando un uomo lo raggiunge e lo colpisce al volto con una statuetta del Duomo. L'ex Cavaliere viene ferito e ricoverato per qualche giorno, il tempo di mettere i punti e assicurarsi che non ci siano altre lesioni. L'aggressore è Massimo Tartaglia, allora 42enne con problemi psichici, uscito dal carcere ad aprile 2016 perché non più pericoloso.

Il 23 settembre 2010 Berlusconi entra in ospedale dopo la diagnosi di tendinite alla mano sinistra. Per giorni l'ex Cavaliere aveva indossato un tutore: alla fine la decisone di sottoporsi all'intervento. Una breve degenza e il tutore sparisce.

L'8 marzo 2013 Berlusconi viene ricoverato al San Raffaele di Milano per uveite, un'infiammazione degli occhi che lo costringe a usare occhiali da sole anche al chiuso. La degenza dura una settimana e per qualche tempo è costretto a indossare gli occhiali scuri. Il 16 novembre 2014 viene ricoverato per la seconda volta sempre a causa dell'uveite. «È stata quella maledetta statuetta», spiega ai giornalisti.

Il 7 giugno 2016 il Cavaliere viene ricoverato ancora al San Raffaele di Milano per uno scompenso cardiaco che gli aveva dato problemi nei giorni precedenti. Il 14 giugno l'ex premier viene sottoposto a un intervento chirurgico a cuore aperto di quattro ore e mezzo: gli viene sostituita una valvola aortica malfunzionante. Per farlo, per circa un'ora viene fermato il cuore del paziente, e utilizzata un'apparecchiatura particolare per garantire la circolazione extracorporea. Berlusconi viene dimesso il 5 luglio: «Una prova molto dolorosa», ha detto in seguito.

Il 30 aprile 2019 Berlusconi viene ricoverato al San Raffaele di Milano in seguito a quella che sembrava una colica renale acuta. Esami più approfonditi hanno poi permesso di diagnosticare una occlusione intestinale, ragion per cui il Cav è stato operato. L'intervento è perfettamente riuscito, e Berlusconi è stato dimesso il 6 maggio successivo.

Da iltempo.it il 22 agosto 2020. Costano care a Silvio Berlusconi le sue magnifiche ville. La proprietà in Sardegna (Villa Certosa), la principale abitazione ad Arcore e quella di Macherio dove un tempo abitava l'ex moglie Veronica Lario, gli hanno fatto perdere altri 5 milioni e 839 mila euro l'anno scorso che si aggiungono al rosso quasi equivalente dell'anno precedente di 5 milioni e 888 mila euro. Ormai è una voragine il bilancio della Idra immobiliare, la società che detiene la proprietà delle ville del Cavaliere e quella di qualche appartamentino a Porto Rotondo che per fortuna del leader di Forza Italia in gran parte viene affittato, consentendo di limitare i danni che potrebbero essere ben peggiori. Ma sulle tasche di Silvio per quelle case l'anno scorso si è abbattuto una sorta di tsunami-bollette come indica il bilancio della Idra immobiliare depositato ieri presso il registro delle Camere di commercio. Il costo della manutenzione delle ville è infatti stato nel 2019 di 16,3 milioni di euro, 768 mila più dell'anno precedente. Solo per le riparazioni di immobili e impianti se ne sono andati più di 5 milioni di euro, 355 mila più dell'anno precedente. Ma Silvio è stato colpito soprattutto dal caro bollette, che sembravano tutte impazzite. Quella dell'acqua è cresciuta quasi del 40% superando il record di un milione di euro. Salite di più del 20% le bollette del gas (140 mila euro) e della luce (534 mila euro). L'aumento boom però è stato della bolletta telefonica, che in un anno è passata da 106 mila a 172.690 euro. Chissà chi diavolo ha chiamato il Cavaliere compulsivamente l'anno scorso...Può però stare certo che nel 2020 un po' di questa spesa sarà risparmiata, visto che Berlusconi ha scelto di vivere il lockdown e anche qualche settimana in più in Costa azzurra nella villa di proprietà della figlia Marina. Infine aumentano di 5 milioni di euro le proprietà in terreni e fabbricati della Idra immobiliare che ora in bilancio sono riportate come immobilizzazioni del valore di 397 milioni e 188 mila euro. E ci sono debiti per 221 milioni e 510 mila euro, più della metà però (130 milioni di euro) sono con il proprietario, cosa che fa sembrare quelle ville di lusso ancora più costose.

Angelo Scarano per ilgiornale.it il 9 settembre 2020. Silvio Berlusconi torna ancora una volta a far sentire la sua voce. Dopo l'intervento telefonico per un'iniziativa del partito in Valle d'Aosta, oggi Berlusconi fa il bis e a sorpresa si è collegato telefonicamente con la riunione del gruppo di Fi in corso alla Camera. Il Cav ha parlato del suo ricovero di questi giorni a causa del Covid: "È una esperienza davvero brutta, ma sono qui a combattere con voi...". Sempre l'ex premier ha affermato che questa "è l'esperienza peggiore" della sua vita. Poi una raccomandazione a tutti gli italiani: "E' un virus terrificante che non auguro a nessuno, state attenti a tutto e mettete le mascherine". Parole, quelle del Cavaliere, che sono arrivate subito dopo una vera e propria standing ovation partita proprio durante la riunione dei parlamentari azzurri: "Vogliamo esprimere un corale e affettuoso abbraccio al Presidente Berlusconi che - ha detto Mariastella Gelmini nel suo intervento iniziale - sta affrontando, con la consueta grinta e con straordinario coraggio, la battaglia contro il Covid. Sappiamo che il Presidente ha già sconfitto molti nemici e che metterà a tappeto anche questo subdolo avversario. Le notizie che il professor Zangrillo e l'equipe del San Raffaele ci stanno dando sono confortanti". A questo punto l'appello al voto del leader azzurro che cita Platone: "È grande l'incertezza sul numero di votanti, per questo bisogna ricordare a tutti gli indecisi il monito di Platone a chi non voleva votare per il governo di Atene: 'Chi non va a votare si merita un governo di pericolosi incapaci...". Poi ha galvanizzato gli azzurri: "Dovete sentirvi superiori rispetto agli altri partiti perché siamo l’unico partito in Italia che possiede i valori propri della tradizione cristiana: l’unico partito che mette al centro la libertà, la giustizia; l’unico partito in Italia che ha i principi propri della civiltà occidentale. Siamo il partito dell’impresa e del lavoro". Nel corso del suo intervento telefonico di ieri sera il Cav aveva parlato delle sue condizioni cliniche: "Il Covid è una "malattia molto brutta. Pensare che qui al San Raffaele ho fatto non so quanti migliaia di esami e io sono uscito tra i primi 5 come forza del virus". Poi una promessa: "Ce la sto mettendo tutta, spero proprio di farcela e di riuscire di tornare in pista per condurre le nostre battaglie di sempre, soprattutto per l'impresa, il lavoro, contro l'oppressione fiscale e burocratica, contro la giustizia ingiusta e contro i giudici che invece di fare i giudici lo fanno per far fuori gli avversari politici. Abbiamo tanto da lavorare e tante battaglia da fare per un Paese libero". E di fatto Forza Italia in questo momento è impegnata nella grande battaglia per le Regionali che si terranno il prossimo 21 e 22 settembre. Una sfida decisiva per tutto il centrodestra che vede in questo voto una sorta di resa dei conti col governo giallorosso. Non è escluso infatti che dal voto alle Regionali possa arrivare (sondaggi alla mano) una spallata per Conte. Un eventuale trionfo del centrodestra, soprattutto nelle roccaforti rosse (ad esempio la Toscana), potrebbe tramutarsi in una avviso di sfratto per l'intero esecutivo.

Emilio Pucci per ''Il Messaggero'' il 9 settembre 2020. La grande paura è passata. A cinque giorni dal ricovero per un principio di polmonite bilaterale il quadro clinico di Silvio Berlusconi, positivo dal 2 settembre al Covid, è in progressivo miglioramento, «in costante evoluzione favorevole». Tanto che l'ex premier in serata interviene al telefono ad un comizio elettorale ad Aosta e chiama i senatori azzurri riuniti a Palazzo Madama: «Sono in campo», assicura. Poi aggiunge: «Lotto per uscire da questa malattia infernale». Ed ora familiari, amici e parlamentari tirano un sospiro di sollievo. Perché nelle prime 24 ore in ospedale la preoccupazione è stata massima. Il Cavaliere mercoledì notte, su insistenza del suo medico curante Zangrillo, era stato costretto ad andare in ospedale. In realtà non c'è stato alcuno scontro su quella decisione perché i più intimi dell'ex premier riferiscono che lo spavento è stato reale, nella mattinata di giovedì la situazione si era fatta molto complicata. «Ma ora gioisce il numero due di FI, Tajani Berlusconi sta vincendo la sua battaglia. L'ho sentito, è determinato e mi riempie di consigli per la campagna elettorale». Il bollettino di ieri è chiaro: «Tutti i parametri clinici ed ematochimici monitorati sono rassicuranti». Da qui l'ottimismo, anche se non è ancora deciso quando l'ex presidente del Consiglio a fine mese compirà 84 anni potrà tornare ad Arcore. Nella sua residenza di villa San Martino è tutto pronto. Ieri sono stati eseguiti i tamponi all'intero personale, è stata compiuta l'ennesima sanificazione. Tuttavia il presidente azzurro potrebbe restare al San Raffaele ancora per diverso tempo. Perché lo staff preferisce tenerlo sotto controllo e la stessa primogenita Marina, in isolamento anche lei nella sua casa milanese, ha chiesto di evitare forzature. E' vero che Berlusconi scalpita, chi ha avuto modo di raggiungerlo sottolinea che sta lavorando sia alle sue aziende che sul partito. Al massimo però anche da indicazioni familiari potrà in prossimità delle Regionali inviare un messaggio, per galvanizzare la truppa forzista che si sente in qualche modo orfana del leader. «Torno presto. Serve un impegno di tutti perché sono elezioni importanti», è stata la rassicurazione del Cavaliere ai suoi. La positività dell'ex presidente del Consiglio ha frenato le manovre interne. Da una parte ci sono Renzi e Calenda, dall'altra Salvini e Meloni. Entrambi i fronti sono attrattivi per quegli azzurri delusi che in questi mesi non si sono ritrovati con la linea impressa dal leader. Il rispetto per le condizioni di Berlusconi ha stoppato soprattutto operazioni centriste, considerato che in diversi in FI avevano manifestato l'intenzione di lasciare il partito dopo il voto del 20 settembre. Il fatto è che mentre Salvini potrebbe festeggiare per l'esito delle elezioni in Veneto e in Liguria (più complicata la Toscana) e Meloni vede la conquista di Marche e Puglia, per Caldoro in Campania la strada è in salita. Per questo tra 15 giorni sono in ballo gli equilibri del centrodestra. «Ma con il documento di unità firmato da tutti i big, sarà difficile che ci saranno fuoriuscite», sottolinea un dirigente di FI. «Nessuno abbandoni la barca», mette le mani avanti un altro. Al cluster familiare partito e figli hanno reagito mostrando compattezza. Anche negli ambienti azzurri è risaputo che i rapporti tra Marina e Barbara non sono stati dei migliori in passato. Ma tra le due anche nei giorni scorsi ci sarebbe stata una telefonata per gli auguri di pronta guarigione. Un ulteriore segnale che si è chiusa la «caccia all'untore». A Berlusconi sono arrivate ieri le telefonate di incoraggiamento di Matteo Salvini e di Matteo Renzi eil messaggio di auguri del ministro della salute Roberto Speranza (Pd).

 (ANSA il 10 settembre 2020. ) "La carica virale del tampone nasofaringeo di Berlusconi era talmente elevata che a marzo-aprile, sicuramente non avrebbe avuto l'esito che fortunatamente ha ora. Lo avrebbe ucciso? Assolutamente sì, molto probabilmente sì, e lui lo sa. E non è una boutade per esagerare visto il personaggio di cui si parla, ma è un cercare di rimanere aderenti alla realtà". Lo ha detto Alberto Zangrillo, primario di Terapia intensiva del San Raffaele, ospite di Piazzapulita su La7, parlando delle condizioni del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, ricoverato con polmonite bilaterale da coronavirus. "Diciamo che" Briatore e Berlusconi "sono in situazioni più che soddisfacenti, stanno bene, per loro credo che l'epilogo di questa malattia sia vicino", ha aggiunto. "La cosa fondamentale dell'intervento su Berlusconi non è stata tanto la terapia seguita una volta entrato in ospedale, ma è stato capire che doveva andare in ospedale e che doveva andarci in quella fase.  Dieci ore dopo poteva essere troppo tardi, perché lui è un paziente a rischio per i motivi che si sanno". Lo ha detto Alberto Zangrillo, primario di Terapia intensiva del San Raffaele, ospite di Piazzapulita su La7, chiarendo che quello che è stato decisivo per il leader di FI "deve essere decisivo per tutti" i pazienti, ossia "farsene carico tempestivamente sul territorio". "E' molto più importante dare degli indirizzi ai medici di medicina generale piuttosto che fare nuove postazioni di terapia intensiva che speriamo di non utilizzare mai - ha aggiunto -. E poi è fondamentale avere idee molto chiare sul fatto che la tempestività di intervento è fondamentale. 

Il commento del primario del San Raffaele di Milano. “Berlusconi a marzo sarebbe morto per il covid”: ma Zangrillo parlava di blando coinvolgimento polmonare. Redazione su Il Riformista l'11 Settembre 2020. Se Berlusconi avesse contratto il coronavirus a primavera, nella fase più acuta della pandemia, non sarebbe sopravvissuto. È quello che ha detto Alberto Zangrillo, primario di Terapia intensiva del San Raffaele e medico personale dell’ex premier e leader di Forza Italia. Zangrillo è intervenuto al programma Piazzapulita su La7 e ha parlato delle condizioni del politico, ricoverato all’ospedale di Milano con una polmonite bilaterale da coronavirus. “La carica virale del tampone nasofaringeo di Berlusconi era talmente elevata che a marzo-aprile, sicuramente non avrebbe avuto l’esito che fortunatamente ha ora. Lo avrebbe ucciso? Assolutamente sì, molto probabilmente sì, e lui lo sa. E non è una boutade per esagerare visto il personaggio di cui si parla, ma è un cercare di rimanere aderenti alla realtà”.

GLI AGGIORNAMENTI – È più che soddisfacente la condizione di Berlusconi. Come quella di Flavio Briatore, ricoverato anche lui al San Raffaele prima del Cavaliere dopo aver contratto il coronavirus. “Sono in situazioni più che soddisfacenti, stanno bene, per loro credo che l’epilogo di questa malattia sia vicino”, ha aggiunto Zangrillo.

L’EVOLUZIONE – Silvio Berlusconi ha sofferto i sintomi del contagio. Le sue condizioni cliniche vanno migliorando, secondo quanto riportato nei bollettini degli ultimi giorni. Il leader di Forza Italia era stato ricoverato per un blando coinvolgimento polmonare, secondo quanto riportato da Zangrillo nella prima conferenza stampa dal San Raffaele. Berlusconi, paziente a rischio per l’età e per le patologie sofferte in passato, ha descritto la malattia come infernale, la peggiore esperienza della sua vita.

Selvaggia Lucarelli attacca il Cav. Zangrillo: "Donna volgare e cattiva". Selvaggia Lucarelli polemizza con Zangrillo per le sue affermazioni di Piazzapulita in merito a Silvio Berlusconi e alla sua carica virale, ma il professore non ci sta e risponde per le rime. Francesca Galici, Venerdì 11/09/2020 su Il Giornale. Intervenuto in diretta a Piazzapulita, il programma di La7 condotto da Giovanni Floris, Alberto Zangrillo ha rivelato quali fossero le condizioni di salute di Silvio Berlusconi quando è arrivato all'Ospedale San Raffaele di Milano, ormai otto giorni fa. "La carica virale che caratterizzava il tampone di Berlusconi era talmente elevata che a marzo-aprile molto probabilmente lo avrebbe ucciso e lui lo sa", ha detto il professore. Anche ora le conseguenze sarebbero potute essere più gravi se il Cavaliere non si fosse presentato rapidamente in ospedale per tac, sotto insistenza proprio di Alberto Zangrillo: "Dieci ore dopo poteva essere troppo tardi perché, si sa bene, lui è un paziente a rischio". Sono parole importanti quelle del professore, che come spesso accade quando c'è di mezzo Silvio Berlusconi sono state usate contro di lui, stavolta da Selvaggia Lucarelli. "Zangrì, facciamo che a marzo intanto Berlusconi avrebbe trovato posto in una terapia intensiva. Un altro 83enne col cazzo", ha scritto la giornalista su Twitter. Il riferimento della Lucarelli è alla grave crisi di emergenza sanitaria in cui versava il Paese in quelle settimane. Un'insinuazione pesante, quella della Lucarelli, che manca di rispetto a tutti quei medici, infermieri e operatori sanitari che in quei mesi di estrema difficoltà per il sistema sanitario italiano hanno fatto di tutto, e anche di più, per salvare quante più vite umane possibili con i mezzi a loro disposizione. Un'affermazioe che non poteva passare inosservata a Zangrillo, diventato provocatoriamente "Zangrì" per la giornalista, che al termine del programma in cui era ospite ha voluto rispondere a questa affermzione. "Lei è una donna volgare e cattiva. Lo dico a difesa dei medici e degli infermieri che hanno lavorato al mio fianco, senza sosta per salvare l'ultimo degli ultimi. Dio abbia perdono di Lei", ha scritto su Twitter il medico, difendendo soprattutto i suoi colleghi. La Lucarelli ha ribattuto alla risposta del primario ma, anziché stare nel merito della questione, ha spostato il centro del discorso sul tono utilizzato dal medico nella sua replica: "Strano, perché quando mi scrive o mi telefona per cercare di addolcirmi mi chiama "gentilissima". Avrà capito che con me certi tentativi sono clinicamente morti".

Da corriere.it il 14 settembre 2020. Silvio Berlusconi sarà dimesso oggi, intorno alle 11.30, dal San Raffaele di Milano dove era ricoverato dalla notte di giovedì 3 settembre dopo essere risultato positivo al test Covid-Sars2. L’ex premier resterà in isolamento, secondo quanto apprende l’Ansa, probabilmente nella sua residenza di Arcore, fino a quando non avrà un secondo tampone negativo. Berlusconi «ha dato grandi soddisfazione e credo abbia personalmente contribuito a dimostrare che, seguendo delle regole codificate e precise, riusciremo ad avere ragione del virus e riusciremo a rasserenare tutti, visto che c’è molta ansia e preoccupazione», aveva detto domenica sera Alberto Zangrillo, responsabile dell’Unità operativa di Terapia intensiva generale e cardiovascolare del San Raffaele e medico personale dell’ex premier, in collegamento con L’Aria che tira su La7.

Marco Galluzzo per corriere.it il 16 settembre 2020.

Presidente Silvio Berlusconi, innanzitutto come sta, come si sente?

«Mi sento molto stanco, spossato. Questa è la caratteristica del Covid. Ma ho superato anche questa difficile prova, e questo mi rende sereno».

E i suoi familiari come stanno?

«Si stanno riprendendo, grazie al cielo nessuno di loro ha accusato sintomi molto severi. Però mi creda, l’angoscia di sapere ammalati i miei figli e positivi anche i miei nipoti, che sono ancora dei bambini, è forse la cosa che mi ha fatto stare più male. Per questo mi sento vicino al dolore di tante famiglie che, come la mia, sono state provate da questo terribile morbo. Ancora di più mi sento vicino a chi ha perso una persona cara».

Lei stesso ha detto che ha ricevuto tanto affetto e tanti messaggi, politici e non: quale è stato il più bello?

«Farei un torto a tutti gli altri, se ne citassi uno solo. Ognuno è stato un gesto di affetto, di stima, di rispetto, di solidarietà umana del quale sono profondamente grato. Posso dire che la telefonata del presidente della Repubblica, che rappresenta la nazione, li riassume tutti».

Presidente quali sono stati i momenti più duri del ricovero, cosa ha subito, cosa ha pensato rispetto alla sua vita?

«I momenti più duri sono stati i primi tre giorni in ospedale. Avevo dolore dovunque, non riuscivo a stare nella stessa posizione per più di un minuto. Temevo di non farcela. In quei momenti ho avuto chiare negli occhi le terribili immagini degli ospedali che tutti abbiamo visto in questi mesi, le terapie intensive, i pazienti intubati. Mi hanno detto successivamente che la carica virale trovata nel mio tampone era la più alta riscontrata al San Raffaele su migliaia di tamponi. Dunque il rischio è stato concreto e reale. Ma devo dire che non ho mai smesso — come in passato — di confidare nell’aiuto di Dio e nella grande competenza dei medici e del personale sanitario. È questo il consiglio che rivolgo a tutti gli ammalati: non lasciatevi andare, non perdete mai la speranza di guarire. Il Covid si può battere».

Lei ha preso il Covid durante la campagna elettorale, ha temuto di non poter più guidare Forza Italia?

«Nei primi giorni di ricovero ho temuto per la mia vita, questo sì. Ma dopo ho continuato a lavorare a delle interviste per i giornali, nonostante il professor Zangrillo, che oltre ad essere un bravo medico è un mio amico, cercasse in tutti i modi di impedirmelo».

Il Covid in Italia è in risalita, teme un nuovo lockdown?

«Il caso di Israele dimostra che il pericolo è dietro l’angolo. Però dobbiamo assolutamente scongiurarlo. Una seconda ondata sarebbe una catastrofe umanitaria, sanitaria ed economica senza precedenti. Per questo tutti abbiamo il dovere di rispettare con il massimo rigore le regole per prevenire i contagi».

Il suo medico personale Alberto Zangrillo si è distinto per delle dichiarazioni ottimistiche sul virus nei mesi scorsi: lo ha rimproverato?

«Credo che su questo sia nato un equivoco. Il professor Zangrillo ha espresso da medico valutazioni destinate al dibattito scientifico. Forse essendo un clinico e non un politico ha sottovalutato il fatto che sarebbero state riprese, enfatizzate e sostanzialmente fraintese dai mass media. Il suo non era affatto un invito ad abbassare la guardia. Del resto nel mio caso non ha certo sottovalutato sintomi apparentemente lievi che però nascondevano una situazione molto seria per la quale mi ha imposto un ricovero immediato in piena notte».

Cosa pensa di questo rientro a scuola, come giudica il governo?

«C’è una grande confusione. Le scuole dovevano riaprire, questo è evidente, ma in condizioni di sicurezza, che oggi obiettivamente non ci sono».

Non siete state coinvolti, come opposizione, nel Recovery plan europeo: è un errore di Conte?

«L’opposizione non è mai stata veramente coinvolta nella gestione di questi mesi difficili».

Pensa che il governo abbia le idee chiare su come spendere i 209 miliardi che arriveranno?

«Sul durare il più a lungo possibile hanno un’idea molto chiara».

Sul Mes pensa che dovrebbe essere presa subito una decisione?

«È davvero grave che non sia stata ancora presa una decisione positiva. Nelle condizioni in cui ci troviamo, è incomprensibile rinunciare a delle ingenti risorse a costo zero che ci consentirebbero di costruire nuovi ospedali, di ammodernare quelli esistenti, di assumere più personale sanitario, di investire nella ricerca. Davvero non riesco a capire il senso di questo no».

Se il centrodestra trionfa alle elezioni regionali cosa succede?

«Che avremo un buon governo nelle Regioni e nei Comuni e si confermerà che la attuale maggioranza di governo non è la maggioranza del Paese».

E per parlare di un vostro successo in quante Regioni dovete vincere?

«Non ci poniamo limiti. Potremmo anche vincere dovunque».

Avete lasciato libertà di scelta sul referendum, è una riforma che andava fatta diversamente?

«Senza dubbio. Noi avevamo tagliato il numero dei parlamentari fin dal 2005, ma nel quadro di una riforma organica delle istituzioni, che poi fu cancellata dalla sinistra. Fatto così, il taglio dei parlamentari è solo una riduzione degli spazi di rappresentanza, di libertà, di democrazia. Per questo Forza Italia ha lasciato libertà di voto a tutti i suoi sostenitori. Ma mi lasci aggiungere un altro concetto importante».

Prego.

«Quello però che mi sento di chiedere a tutti gli italiani è di andare a votare. Di non rinunciare ad un’occasione per esprimere la propria sovranità. Ai referendum come alle elezioni è il popolo a decidere, come è giusto e sano in una democrazia. C’è una frase attribuita a Platone che dice che la punizione per chi si disinteressa della vita pubblica è quella di essere governato da persone inadeguate. Dopo 2.300 anni questa riflessione è ancora valida. È in gioco il futuro nel Paese, il nostro futuro comune, il futuro dei nostri figli. È un patrimonio che appartiene a tutti e che quindi ci riguarda tutti. Gli italiani hanno dato una grande prova nei giorni più difficili della pandemia, è fondamentale che sappiano essere una collettività coesa e responsabile — al di là di ogni divergenza politica — anche nei difficili passaggi che ci attendono. Io credo nel nostro meraviglioso Paese e invito tutti a crederci come ci credo io».

Continua la convalescenza di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia rassicura comunque i suoi: "Ne usciremo". Agostino Corneli, Venerdì 25/09/2020 su Il Giornale. Silvio Berlusconi è ancora positivo al coronavirus. Il leader di Forza Italia, nonostante le ottime risposte alle cure del San Raffaele e alla totale assenza di sintomi, è risultato positivo al tampone che segnala la presenza del virus. Una notizia che, come riporta Repubblica, è stata accolta con serenità - anche se con naturale amarezza- da Berlusconi, che avrebbe confessato in queste ore: "Il virus non è ancora andato via, ma con pazienza e serenità ne usciremo". Come riporta AdnKronos, il Cavaliere prosegue nel suo isolamento ad Arcore. All'inizio della prossima settimana, spiega l'agenzia, Berlusconi sarà sottoposto a ulteriori esami programmati "per determinare l'evoluzione della malattia e lo stato di positività o negatività". La notizia non implica, come ribadito anche dallo stesso professore Alberto Zangrillo che ha personalmente seguito l'iter di cura dell'ex presidente del Consiglio, un riaffacciarsi della malattia. La positività al tampone, infatti, non implica necessariamente una malattia in corso né la sintomatologia tipica del Covid. Moltissimi pazienti, pur guariti dalla fase acuta, restano positivi al tampone per le successive settimane. Sono molti i casi di tamponi positivi a distanza addirittura di mesi dalla completa guarigione. Silvio Berlusconi, in ogni caso, ha riferito ai suoi collaboratori di essere ancora seguito in maniera estremamente rigorosa dai medici. La positività al tampone è chiaramente un ostacolo, ma sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista politico, il leader di Forza Italia non sembra intenzionato a cedere. Berlusconi in questi giorni sta compattando le file dopo i risultati delle elezioni regionali e del referendum, e con Giorgia Meloni e Matteo Salvini, insieme ai più stretti collaboratori di Fi, sta cercando di impostare la linea del centrodestra in vista di mesi cruciali per il governo e per l'opposizione. I fondi dell'Unione europea oltre che le riforme richieste per l'erogazione dei sussidi saranno temi fondamentali per il presente e futuro dell'Italia.

Simona Ravizza per corriere.it il 14 settembre 2020. «Mi ricordo bene, anche perché in realtà sono passati pochi giorni, 12 credo, di avere visitato il presidente e di essermi accorto che c’era un’evoluzione del virus strana, veloce e repentina, che dovevo approfondire. Sulla base di una Tac fatta nella notte (il 4 settembre,ndr), il primo vero, grande problema che ho dovuto affrontare è stato quello di obbligare un paziente che si sentiva ancora bene a un ricovero ospedaliero».

Professore Alberto Zangrillo, abbiamo visto Berlusconi all’uscita dell’ospedale emozionato. Questo per l’ex presidente del Consiglio non è stato un ricovero uguale agli altri. In che cosa è stato diverso?

«Io li ho conosciuti tutti quelli degli ultimi 20 anni. Credo ci sia stata una cosa che richiama una delle caratteristiche veramente negative del Covid-19: ti obbliga alla solitudine e ad affrontare la malattia da solo. Berlusconi era emozionato. Era provato. L’hanno visto tutti. E in questi giorni, forse, è stato anche un po’ spaventato, perché l’evoluzione della malattia non lascia scampo se si perde del tempo. Lui questa volta credo abbia avuto voglia di dirmi che stava vivendo qualcosa che lo preoccupava veramente. È un uomo molto razionale per cui, se c’è una terapia che è una terapia esatta per la cura della patologia, è il primo a capirlo. Ma l’evoluzione di una malattia infettiva può, soprattutto quando non c’è una terapia specifica, sfuggire di mano e presentare un quadro clinico molto negativo. Questo tipo di percezione lui l’ha avvertita».

Aveva la preoccupazione che la situazione potesse sfuggire di mano, insieme alla consapevolezza di essere in buone mani...

«Tutto ciò è molto umano. Lo lego alle sfaccettature che questa malattia ci ha presentato. Anche chi ha mantenuto un comportamento razionale e anche chi ha mantenuto un comportamento molto freddo può avere avuto dei momenti in cui si è sentito solo e non sapeva con chi sfogarsi».

Berlusconi l’ha definito «il momento più pericoloso della sua vita». Per lei c’è stato un momento in cui ha pensato che lui potesse aggravarsi oltremodo?

«Io ho sempre dolorosamente in mente l’evoluzione dei quadri clinici di marzo e aprile. Il mio timore è che si potesse avere un’evoluzione di questo tipo. Un individuo di quasi 84 anni con una carica virale elevatissima: quello che ti aspetti è un quadro clinico che può evolvere in modo negativo. Non è stato così perché c’è stata una corretta risposta immunitaria».

Ma per un signor Rossi qualunque come sarebbe andata?

«È la solita fastidiosa domanda. Ma è una domanda assolutamente legittima. Io capisco, sopporto e comprendo che io possa essere in qualche modo indicato come: “Eccolo là, parla Zangrillo, il medico dei Vip”. Vabbé ci saranno anche loro. Però il 99% della mia vita è fatta di tanti Mario Rossi. Ma sul territorio è molto più difficile il controllo del paziente. Con il tempo forse è venuto un po’ a mancare quel rapporto molto personale con i medici di famiglia che dobbiamo sforzarci di ripristinare. Vinceremo sul virus se ci sarà veramente un’integrazione tra ospedale e territorio».

È mancato un cordone di sicurezza intorno all’ex presidente? Il pericolo, come ci dimostra il caso di Berlusconi esiste ancora, e la situazione avrebbe potuto sfuggire di mano. Lei il 31 maggio ha detto che il virus era clinicamente morto...

«Tanti “amici” mi incolpano di essere uno dei responsabili di questo “mollare gli ormeggi”. Io ho le spalle larghe e accetto le accuse. Però devo avere la possibilità di spiegare. Nessuno si può permettere lontanamente di pensare che usi leggerezza e imprudenza chi come me, e come tanti miei colleghi, ha vissuto il dramma della prima, e speriamo unica, ondata. Io sono il primo a dire che il virus c’è. Il virus esiste e ci ha dimostrato di essere molto contagioso. Il virus ci sta prendendo in giro. Perché il virus vince sul tampone».

Dunque, professor Zangrillo possiamo dire ”Riapriamo l’Italia”, ma l’attenzione deve restare alta?

«Non ho mai negato questo. L’attenzione deve restare altissima. Ma non dobbiamo confondere l’attenzione con l’isteria. Noi dobbiamo spiegare agli italiani: “Alla fine è peggiore il danno che produco bloccando tutto o è peggiore il problema che posso produrre con qualche contagio in più?” Non abbiamo ancora capito quando ciò finirà. Quello che però tutti devono sapere è che finirà prima se tutti siamo bravi. È il motivo per cui abbiamo creato l’acronimo che si chiama Post. La “P” sta per prudenza, la “O” per osservazione, la “S” per sorveglianza, la “T” per tempestività. È una sorta di decalogo che tutti noi dobbiamo osservare. Se lo facciamo viviamo tutti più tranquilli».

È la famosa convivenza con il virus. In che cosa si è scontrato con Berlusconi? Qualche affettuoso botta e risposta in questo ricovero l’ha avuto...

«Ma no. Sono stato semplicemente rigoroso».

L’imitazione di Crozza le piace?

«Ho sempre stimato tantissimo Crozza. Io sono ammirato perché l’imitazione è veramente bella».

Alberto Zangrillo, il retroscena di Guido Crosetto: "Perché è diventato medico di Berlusconi", critici ammutoliti. Libero Quotidiano il 10 ottobre 2020. Guido Crosetto ha preso le parti di Alberto Zangrillo dopo che è stato associato a Norimberga insieme ad altri colleghi (Tarro, Gismondo e Bassetti). A rendere il fatto ancora più grave è che sia stato commesso da un professore universitario, che ha accostato i quattro esperti al tribunale davanti al quale sono stati processati i nazisti per i crimini di guerra. “Ci sono persone che, come me, non capiscono nulla di medicina ma insultano Zangrillo per le sue idee”, ha esordito Crosetto che poi ha aggiunto: “Volevo informarli che lui non è diventato primario e bravo perché era medico di Silvio Berlusconi ma è diventato medico del Cav perché era bravo. Chi può sceglie il meglio”. Ovviamente le parole del professore universitario non sono passate inosservate ai diretti interessati, con Zangrillo che è intervenuto così: “È triste constatare che un professore universitario baratti la ricerca di notorietà con una querela certa”. E inevitabile, perché ognuno è libero di esprimere la propria opinione su qualsiasi argomento, coronavirus compreso, ma sempre nel rispetto del prossimo. 

Carlo De Benedetti, non solo insulti: la calunnia a Berlusconi, "si è comprato un giudice". Ipotesi-querela. Libero Quotidiano il 07 settembre 2020. Non solo gli insulti - "imbroglione", "nocivo per il Paese" - ma anche la calunnia. Si parla dei "gentili pensieri" espressi da Carlo De Benedetti su Silvio Berlusconi ricoverato per coronavirus al San Raffaele di Milano, alle parole dell'Ing che hanno suscitato indignazione in tutta Italia, a partire da Marina fino ad arrivare ad insospettabili come Adriano Celentano e Giuseppe Conte. E come fa notare Il Giornale, il Cav è stato anche calunniato. Roba che potrebbe valere a De Benedetti una querela. Il punto è che l'ex editore di Repubblica ha giustificato il suo "imbroglione" così: "È la Cassazione che lo ha detto, ha pagato per comprarsi un giudice. C’è qualcosa di più che comprarsi un giudice?". Il riferimento è al caso del Lodo Mondadori, la sentenza con cui nel 1990 venne assegnato a Fininvest il controllo della casa editrice. Effettivamente, cinque anni dopo la procura di Milano accusò Berlusconi di aver versato una tangente a uno dei giudici che emisero la sentenza. Peccato però che all'accusa non seguì mai alcuna condanna: né dalla Cassazione, né da alcun altro giudice. Semmai, Rosario Lupo - il primo magistrato a cui Ilda Boccassini si rivolse per chiedere di processare Berlusconi - respinse in toto la richiesta, insistendo su una "insanabile inidoneità degli elementi a sostenere in giudizio l'accusa", che si basava su "semplici sospetti". Anche il ricorso in appello della procura venne respinto: niente rinvio a giudizio. Anche in caso di colpevolezza, infatti il reato era prescritto. Ma non è ancora finita: la procura fece ricorso in Cassazione e per la terza volta ebbe tolto, la Suprema Corte trovò totalmente logico quanto detto dalla Corte d'Appello meneghina. "Sconcertante, rispettate mio padre". La schifosa "caccia all'untore", Marina picchia duro (dopo la terrificante prima pagina di Travaglio). Insomma, per il Lodo Mondadori Berlusconi non è stato mai condannato né processato. Non esiste una sola sentenza in cui si dica che "Berlusconi ha pagato per comprarsi un giudice". Ragione per la quale, dopo essersi rimesso e dopo essere uscito dall'ospedale, Berlusconi potrebbe anche togliersi la soddisfazione di querelare De Benedetti.

Continua il delirio di De Benedetti. De Benedetti rincara la dose e attacca nuovamente Silvio Berlusconi. E poi anche Marina: "Non la commento, poverina". Federico Giuliani, Sabato 05/09/2020 su Il Giornale. Carlo De Benedetti ha rincarato la dose su Silvio Berlusconi e, nonostante le polemiche derivanti dalle sue prime affermazioni, ha rilasciato ulteriori dichiarazioni al vetriolo. Insomma, l'Ingegnere non conosce limite alla decenza. E, direttamente dal Festival della Tv e dei Nuovi Media, in corso a Dogliani, a Cuneo, ha ribadito, punto per punto, le critiche al Cav. "Io duro su Berlusconi? Assolutamente no". Questa la risposta data da De Benedetti al termine dell’intervista sulla presentazione del quotidiano Domani in merito al terremoto provocato dalle sue stesse parole riguardo le condizioni del leader di Forza Italia, ricoverato per una polmonite bilaterale interstiziale causata dal Covid.

L’affondo di De Benedetti. Mentre il mondo della politica, avversari compresi, esprimevano la loro vicinanza a Berlusconi, l'Ingegnere ha messo sul tavolo del leader di Forza Italia auguri di pronta guarigione a dir poco particolari (ed evitabili). De Benedetti ha quindi replicato alle parole della figlia del Cav, Marina Berlusconi. "Per quel che riguarda Marina non val la pena di commentarla, poverina. Per gli altri sono stupito dal loro stupore", ha affermato. A questo punto l’Ingegnere si è lanciato in una personale ricostruzione dei fatti. "Prima del mio intervento ha parlato Cairo, suo amico, che stranamente non ha pensato di fargli gli auguri mentre io ho cominciato il mio intervento facendogli gli auguri e chiedendo alla piazza un grande applauso", ha provato a spiegare De Benedetti. Detto altrimenti, De Benedetti ha cercato di far apparire il proprio lato umano. Anche se, viste le dichiarazioni che da un paio di giorni a questa parte sta rilasciando, l'Ingegnere è riuscito a peggiorare la propria situazione. Già, perché - ha aggiunto - anche se una persona è malata le opinioni sul suo conto restano tali. "Dopodiché se uno è malato o meno le mie opinioni non cambiano. Tutti sanno che Berlusconi è stato mio avversario e che io presiedevo un giornale che si è distinto per il modo di condannare la sua politica", ha detto. De Benedetti ha infine calato un ulteriore carico da novanta, dichiarando che Berlusconi è stato "negativo per il Paese". "Vorrei chiedere: cosa ha lasciato al paese? Quali valori ed esempi? Mi hanno attaccato perché l’ho definito imbroglione - ha concluso - ma è stata la Cassazione ad averlo condannato come tale. Cosa c’è di peggio che avere corrotto un giudice?”. Le parole dell'Ingegnere, oltre che grondare di rancore, appaiono alquanto fuori luogo. Eppure De Benedetti è stato difeso a spada tratta dal vignettista Vauro Senesi: "Forse la dichiarazione di De Benedetti è stata preventiva, nell'opporsi alla santificazione, che in questo caso sembra già in atto. Sembra che il fatto che Berlusconi si sia preso il covid già lo abbia santificato". Un'altra uscita evitabile, che completa un quadro infelice.

La calunnia sulla "condanna" di Berlusconi, neppure processato per il lodo Mondadori. L'Ingegnere: "Ecco perché l'ho definito imbroglione»". Ma i fatti lo smentiscono. Luca Fazzo, Martedì 08/09/2020 su Il Giornale. Silvio Berlusconi non ama le querele per diffamazione: e comunque in queste ore ha altre preoccupazioni. Ma quando leggerà i giornali di questi giorni, potrà - ammesso che ne abbia voglia - fare una eccezione alla sua abitudine, e togliersi la soddisfazione di querelare Carlo De Benedetti, ex proprietario di Repubblica e ora editore di Domani. Che presentando la sua nuova creatura al festival di Dogliani, ha dapprima riservato un aggettivo spietato al Cavaliere, ricoverato per Covid-19 al San Raffaele, dandogli dell'«imbroglione». E fin qui la faccenda si colloca nella sfera del rispetto umano e del buongusto, dalla quale - per valutazione bipartisan - il commento dell'Ingegnere ha ampiamente tracimato. Ma in seconda battuta, per giustificare e rivendicare la spietatezza del giorno prima, ha aggiunto De Benedetti ha aggiunto una falsità. Spiegando che l'epiteto di «imbroglione» sarebbe pienamente giustificato dalla storia giudiziaria di Berlusconi: «Imbroglione? Certo, è la Cassazione che lo ha detto: ha pagato per comprarsi un giudice. C'è qualcosa di più che comprarsi un giudice?». Il riferimento è alla vicenda del Lodo Mondadori, la sentenza che nel 1990 assegnò alla Fininvest il controllo della casa editrice milanese. Effettivamente, la Procura milanese accusò cinque anni dopo Berlusconi di avere versato una tangente a uno dei giudici che emisero la sentenza. Ma a quella accusa non è mai seguita alcuna condanna. Nè da parte della Cassazione, nè di alcun altro giudice. Anzi: il primo magistrato cui il pm Ilda Boccassini si rivolse per chiedere di mandare Berlusconi a processo, il giudice preliminare Rosario Lupo, respinse integralmente la richiesta, parlando di «insanabile inidoneità degli elementi a sostenere in giudizio l'accusa» basata da «semplici sospetti». La Procura ricorse in appello, ottenendo il rinvio a giudizio dei coimputati di Berlusconi, tra cui il giudice Vittorio Metta e Cesare Previti: ma per il Cavaliere si vide respingere nuovamente la richiesta di rinvio a giudizio, visto che per la Corte d'appello anche in caso di colpevolezza il reato attribuito a Berlusconi sarebbe stato comunque coperto dalla prescrizione. Motivo: l'imputato avrebbe avuto diritto alle attenuanti generiche, vista la corruzione giudiziaria diffusa a Roma. La Procura generale di Milano, non si arrese, ricorse in Cassazione: e si vide dare torto una terza volta, perché la Suprema Corte trovò del tutto logico il ragionamento della Corte d'appello milanese. Dunque: Berlusconi per la vicenda del Lodo Mondadori non è mai stato condannato e nemmeno processato. In nessuna sentenza è scritto che, come dice De Benedetti, «Berlusconi ha pagato per comprarsi un giudice». A venire condannata a risarcire la Cir di De Benedetti è stata la Fininvest, in seguito alla condanna di Previti. Non è una differenza irrilevante. In nessuna sentenza è scritto che, come dice De Benedetti, «Berlusconi ha pagato per comprarsi un giudice».

Quella giornata in galera: le mazzette dell'Ingegnere. L'ex editore di "Repubblica" fu graziato nel '93 dai Pm di Milano ma a Roma lo fecero arrestare. Luca Fazzo, Martedì 08/09/2020 su Il Giornale. «Ingegnere, lei è in arresto». Bisogna tornare a quel pomeriggio di novembre del 1993, nella caserma milanese di via Moscova, per capire fino in fondo il rapporto di Carlo De Benedetti con la giustizia. Perché quando l'altro giorno l'Ingegnere rinfaccia a Silvio Berlusconi i suoi trascorsi giudiziari, in realtà affronta un tema che lo ha visto coinvolto anche personalmente. E lui, a differenza del suo arcinemico, ha provato l'onta del mandato di cattura e della galera. È una macchia che si porta dentro, e che lo porta - più o meno consciamente - a ribaltare sull'avversario colpe di cui, in modo ben più drammatico, lui stesso è stato chiamato a rispondere. Eppure quella volta era convinto di aver trovato il modo di farla franca. Nel pieno della tempesta di Mani Pulite, quando aveva capito che le indagini del pool si avvicinavano pericolosamente alle tangenti versate dalla sua Olivetti ai partiti della Prima Repubblica, aveva mandato i suoi legali a trattare a Palazzo di giustizia, chiedendo di incontrare Di Pietro e i suoi colleghi a piede libero, promettendo di consegnare loro un memoriale-confessione. Una sorta di salvacondotto che all'epoca chiedevano molti imprenditori, con alterne risposte: due mesi dopo ci provò anche Raul Gardini, a lui dissero di no, e l'inventore di Enimont si fece saltare le cervella. A De Benedetti invece venne detto di sì. E il 16 maggio 1993 poté incontrare i pm nella caserma dei carabinieri di via Moscova, ammettendo quello che fino al giorno prima aveva negato giurando e spergiurando: cioè di avere comprato appoggi e appalti a botte di miliardi. Per sbarcare nel business delle telescriventi, aveva autorizzato un suo manager a trattare le stecche con un dirigente delle poste: «Dopo una contrattazione tra Cherubini e Parrella, il quale chiarì che tutti i fornitori dovevano pagare una quota ai partiti; si arrivò ad un accordo in base al quale Olivetti avrebbe pagato come tutti gli altri fornitori». Una corruzione gigantesca, tanto che il giorno dopo Eugenio Scalfari su Repubblica si dichiarò «ferito e sconvolto» dalla confessione del suo editore. Il pool si limitò a indagarlo a piede libero. Ma l'Ingegnere non aveva fatto i conti con la complessità della macchina della giustizia. Perché, essendo state pagate a Roma le mazzette, l'inchiesta sulle tangenti alle poste venne trasferita a Roma. E qui approdò nelle mani di due magistrati meno comprensivi di quelli milanesi, il pm Maria Cordova e il gip Augusta Iannini. Che raggiunsero nei confronti di De Benedetti la stessa certezza che a Milano aveva spedito in galera tanta gente: lasciato a piede libero, l'uomo avrebbe potuto continuare a delinquere. E il 30 ottobre, cinque mesi dopo il colloquio con i pool milanese, De Benedetti si vide colpire da un mandato di cattura per corruzione. Era all'estero per il weekend. Il 2 novembre, il giorno dei morti, rientrò in Italia, si presentò dai carabinieri. E lì trovò l'ufficiale che lo dichiarò in arresto, lo caricò su un'auto e lo portò a Roma. Gli vennero risparmiate le manette, non le foto segnaletiche e le impronte digitali. A Roma, lo portarono di filato a Regina Coeli, e lo chiusero in cella. Mai, neanche nei suoi peggiori incubi, il patron di Repubblica avrebbe immaginato una sorte così spietata, dopo mesi di plauso dei suoi giornali al repulisti di Mani Pulite. Durò poco. Dodici ore dopo essere entrato in cella, un secondino lo avvisò che era già arrivato il momento di uscire: a casa, ai domiciliari. Tre giorni dopo, gli permisero di spostarsi a Milano, per stare agli arresti nella sua casa di via Ciovasso: arrivò a Linate con il suo aereo privato, accompagnato dall'addetto stampa, e rispose ringhiando a un cronista che gli chiedeva se davvero, insieme ai finanziamenti sottobanco, avesse fatto arrivare in regalo a Bettino Craxi anche dei cimeli garibaldini. Al momento del processo, arrivato ben dieci anni dopo, se la cavò senza danni: lo assolsero per due capi di accusa, e per gli altri due se la cavò con la prescrizione grazie alle attenuanti generiche. Maria Cordova, il pm che aveva condotto l'indagine e che lo aveva arrestato, manifestò il suo stupore per il fatto che «le attenuanti sono state concesse agli imputati maggiori e negate a quelli minori». Sono passati ventisette anni da quelle dodici ore a Regina Coeli. Ma chissà se Carlo De Benedetti riuscirà mai a buttarsele alle spalle.

Da liberoquotidiano.it il 9 settembre 2020. "Lo conosco ma stavolta Carlo De Benedetti ha detto una volgarità che non mi aspettavo da lui". Vittorio Feltri, in collegamento con Mario Giordano a Fuori dal coro, bacchetta l'editore di Domani, ex patron di Repubblica, per la infelice uscita su Silvio Berlusconi ricoverato in ospedale per coronavirus e definito a bruciapelo "grande imbroglione". "De Benedetti è anche una persona gentile, ma stavolta ha fatto la pipì fuori dal vaso. Non si fa con una persona sul letto di dolore, è una questione di tatto. Peraltro ha detto una cosa sbagliata: Berlusconi imbroglione non lo è mai stato, semmai è stato imbrogliato dalla Cassazione, come abbiamo potuto apprendere dalle testimonianze di un giudice che lo aveva condannato", ha concluso il direttore.

Da liberoquotidiano.it il 9 settembre 2020. Piccole, grandi e indirette lezioni a chi, come Carlo De Benedetti giusto per fare un nome, insulta e sfregia un uomo malato, Silvio Berlusconi al San Raffaele per coronavirus. Piccole, grandi e indirette lezioni che, in questo caso, arrivano da Mauro Corona, lo scrittore e opinionista di CartaBianca, il programma di Bianca Berlinguer in onda su Rai 3 ripartito ieri, martedì 8 settembre. Nelle sue riflessioni iniziali, Mauro Corona infatti ha affermato: "Non sono mai stato politicamente dalla parte di Berlusconi, ma sulla malattia di una persona non si possono pubblicare messaggi farabutti e vigliacchi. Manderò a Berlusconi tutta l’energia buona delle mie montagne perché guarisca. E so che guarirà", ha concluso lo scrittore. Lezioni di stile a De Benedetti, insomma.

Gli affari d'oro di De Benedetti dietro il crac dell'Ambrosiano. L'Ingegnere lucrò sullo scandalo che travolse la banca di Calvi. La sentenza: indebito ingentissimo guadagno, Luca Fazzo, Mercoledì 09/09/2020 su Il Giornale. L'espressione più colorita, ma forse più efficace, l'ebbe Orazio Bagnasco, destinato a prendere il posto di Carlo De Benedetti nel vertice del Banco Ambrosiano, raccontando ai giudici le confidenze di Francesco Micheli, finanziere di fiducia dell'Ingegnere: «Proprio siffatte informazioni avevano consentito al De Benedetti di iugulare il Calvi al momento di concordare le modalità di uscita dal Banco». Iugulare: un verbo che nel dizionario non c'è. Ma che racconta bene l'approccio che la sentenza del 16 aprile 1992 del tribunale di Milano attribuisce a Carlo De Benedetti, ex editore di Repubblica e oggi di Domani. E che forse racconta bene anche l'animo di un uomo che davanti a un avversario in pericolo di vita sceglie di infierire su di lui: come l'Ingegnere ha fatto nei giorni scorsi con Silvio Berlusconi. La sentenza che riporta la testimonianza di Bagnasco è l'atto più illuminante e riassuntivo della carriera giudiziaria di De Benedetti. È la sentenza di primo grado per lo scandalo del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, il più fosco tra gli scandali bancari italiani. De Benedetti sedeva sul banco degli imputati insieme a Licio Gelli e al resto della P2 (Calvi era già stato impiccato a un ponte di Londra), e il tribunale lo condannò a sei anni e quattro mesi concorso in bancarotta, per «l'indebito ingentissimo guadagno lucrato» ai danni dell'Ambrosiano. Il seguito della vicenda è noto: condanna ridotta in appello, e poi annullata dalla Cassazione in base a un curioso ragionamento, secondo cui essendo stato indagato prima per estorsione e poi per bancarotta, De Benedetti non poteva venire condannato per nessuno dei due reati. Poco conta che imputati di filoni laterali, come i disturbatori di assemblee, venissero poi condannati per entrambe le accuse. E vano sarebbe ora chiedersi perché la Procura di Milano, dopo l'annullamento della condanna, non incriminò nuovamente l'Ingegnere: alla prescrizione mancavano ancora otto anni. Anche quella volta, De Benedetti seppe difendersi bene. Ma i fatti, quelli rimangono, mai messi in discussione né in appello né in Cassazione. Li raccontano le 270 pagine dedicate a De Benedetti delle motivazioni della sentenza di primo grado, scritte dal giudice Pietro Gamacchio. Dentro, ci sono prologo ed epilogo dei tre mesi cruciali della vicenda: tra il 16 novembre 1981, quando la Cir (la holding dell'Ingegnere) compra un milione di azioni del Banco e De Benedetti ne diventa vicepresidente, e la fine del gennaio successivo, quando se ne va con una «liquidazione dorata» (testuale nella sentenza). Gli vengono ricomprate tutte le azioni, anche quelle che non ha mai pagato, insieme al prezzo d'acquisto gli vengono versati gli interessi, e la banca si impegna a vendere al suo posto 32 miliardi di azioni di una finanziaria. Un salasso, per i conti dell'Ambrosiano prossimo al collasso. Dietro, per i giudici, c'è una storia semplice: De Benedetti entra nell'Ambrosiano sapendo benissimo degli affari sporchi della banca, e punta ad approfittarne per cacciare Calvi e prendere il suo posto. Dirà nella sua arringa Lodovico Isolabella, difensore di un imputato: «Quando mettono in prigione Calvi, De Benedetti pensa che sia il momento giusto per dire: ecco, qui faccio l'affare della vita mia». Ma quando Calvi contrattacca e gli chiude la strada, De Benedetti pretende soldi in cambio del suo silenzio. In cambio dei segreti sui rapporti con lo Ior del Vaticano che non ha reso noti né al consiglio d'amministrazione né alla Banca d'Italia. E c'è un altro aspetto della sentenza che illumina ancora di più il modus operandi che ha fatto grande De Benedetti: il rapporto d'acciaio con il potere politico, la contiguità con lo Stato. Ad aprirgli la strada verso l'Ambrosiano è Bruno Visentini, che prima di diventare presidente della Olivetti è stato ministro della Finanze. Quando va in Vaticano a parlare dello Ior col cardinal Silvestrini, ci va insieme al ministro dell'Interno, Virginio Rognoni. E quando Calvi gli fa arrivare una letteraccia anonima, lui invece che al commissariato di zona la porta al Quirinale, a Pertini. A uno così, come potrebbero andar male gli affari?

Luca Fazzo per ''il Giornale'' il 9 settembre 2020. Argent de poche, gli spiccioli che ti ballano in tasca e che nemmeno ti ricordi di avere. Questo, per Carlo De Benedetti, dovevano essere i 123 miliardi di lire che tra il 1994 e il 1996 la sua Olivetti mise a bilancio, e che invece non esistevano nemmeno sulla carta. C'erano invece fondi di magazzino, antiquariato tecnologico ormai invendibile, che nei bilanci di Ivrea venivano fatti figurare come se fossero già venduti. Un'operazione colossale di maquillage dei bilanci di una azienda già pericolante? No, una inezia, un dettaglio così irrilevante che l'Ingegnere se l'era dimenticato. E si era pure dimenticato di essere stato, per quei 123 miliardi, inquisito, processato e condannato. Ma quando nel 2015, nel processo per diffamazione che aveva intentato a Marco Tronchetti Provera gli chiesero se i bilanci Olivetti fossero mai stati messi in discussione, il padrone di Repubblica insorse con la veemenza dell'orgoglio ferito: «No, giammai!». E quando l'avvocato di Tronchetti gli tirò fuori la sentenza di condanna, sembrò cadere dalle nuvole. «Era una cosa talmente irrilevante che me la sono dimenticata». Una bazzecola. Però, in questi giorni in cui l'Ingegnere si erge ad alfiere della moralità altrui, è interessante andarsi a rileggere quella vecchia e dimenticata sentenza del tribunale di Ivrea. E soprattutto è interessante collocarla in quegli anni difficili, in cui il salvataggio della gloriosa Olivetti da parte dell'ex manager della Fiat sembrava trasformarsi in un disastro, al punto che in Parlamento si parlava di nazionalizzazioni e di commissioni d'inchiesta. Il bilancio del primo semestre del 1996 evidenziava un passivo di 440 miliardi, una voragine. Per salvarsi la faccia, De Benedetti fece uno dei suoi rari sbagli: chiamò in Olivetti un direttore generale proveniente dalla Rai, Renzo Francesconi, fama di mastino dei conti. Presenza lampo: a luglio 1996 Francesconi arriva a Ivrea, a settembre si dimette precipitosamente raccontando che i bilanci che si è trovato davanti sono uno più fasullo dell'altro. Il titolo crolla in Borsa. Si muove il governo, preoccupato che il crollo dell'Olivetti si ripercuota sul sistema bancario, che ha finanziato l'avventura di De Benedetti con quasi duemila miliardi di lire. Per l'Ingegnere, che in quel momento ha ancora sul groppo la condanna per il crac del Banco Ambrosiano (l'assoluzione in Cassazione arriverà due anni dopo) rischia di essere la botta finale. Ecco, è in questa fase di lotta per la sopravvivenza che qualcuno a Ivrea decide di sistemare i bilanci alla bell'e meglio. Di tutte le accuse di Francesconi, è l'unica che porterà a una condanna: destinata a venire inghiottita qualche tempo dopo dalla riforma delle norme sul falso in bilancio. De Benedetti anche stavolta sembra protetto da quello che gli americani chiamano l'effetto Teflon: le accuse gli scivolano addosso, non gli restano attaccate. Ma i fatti, anche in questo caso, restano nero su bianco, incontrovertibili, tanto che a Ivrea nel 1999 lo stesso De Benedetti rinuncia a difendersi in aula e chiede di patteggiare la pena. Lo fa personalmente, con una procura autografa inviata al suo avvocato Gilberlo Lozzi, e mettendosi d'accordo con la Procura per una condanna a tre mesi di carcere, convertita (come consente la legge) in una multa da 51 milioni di lire. E questi sì che sono spiccioli, per uno degli uomini più ricchi d'Italia. Ma i fatti, come nel caso dell'Ambrosiano, sono meno ondivaghi delle sentenze. Ed eccoli, cristallizzati nella sentenza che il 14 ottobre 1999 dichiara De Benedetti colpevole di falso in bilancio, insieme al suo ex braccio destro Corrado Passera. Nell'imminenza della chiusura dei bilanci, venivano indicate come crediti le vendite di macchinari che non potevano essere consegnati, per il semplice motivo che non esistevano. Al loro posto, veniva simulata l'uscita di giacenze di magazzino.  «Il fenomeno era complesso e sofisticato, prevedeva anche una modifica del sistema informatico per l'evasione degli ordinativi», in un «disegno fraudolento diretto a fornire un quadro fuorviante circa l le condizioni economiche della società». Un imbroglio, per usare una parola oggi cara a Carlo De Benedetti.

Relazione tempestosa finita in acido. Berlusconi e De Benedetti, storia di una passione autentica tra due ex amici. Paolo Guzzanti su Il Riformista l'8 Settembre 2020. Allora, dilemma: che gli ha preso all’Ing (con la maiuscola, come Avv per Agnelli e Cav per il cavaliere) Carlo De Benedetti quando ha commentato la malattia (Covid a 83 anni con un sacco di problemi pregressi, come da manuale) di Silvio Berlusconi dandogli dell’ «imbroglione» e parlando del proprio personale orgasmo – «la mia maggior goduria» – quando quello fu costretto a rimborsare alla sua Cir un bel pacco di miliardi? Qui ci sarebbe da rifare la storia d’Italia con tutta la “guerra di Segrate” fra Berlusconi e De Benedetti quando fu giocata una partita mortale sulla Mondadori. Ma occorrerebbero pagine per chi non sa e non ricorda. Mettiamola invece sul piano personale. Li ho conosciuti e anzi li conosco entrambi, De Benedetti e Berlusconi, umanamente parlando. E quando ho visto questa sparata dell’ingegnere a commento della malattia che aveva costretto Berlusconi al ricovero recalcitrante per polmonite da Covid mi sono chiesto se avesse avuto una botta di follia. Ho pensato in questi giorni durante i quali si è scatenata la zuffa all’italiana con violenza verbale, battute da querela e da fogna, e insomma sono rimasto ipnotizzato come spettatore cronista dal solito clima da guerra civile mentale e verbale che ci accompagna dalla fine della guerra fredda, anzi da molto prima. Con calma, anzi con rammarico, direi che De Benedetti si è fatto prendere da uno dei suoi personali attacchi di odio. Carlo De Benedetti ed io scrivemmo insieme un libro intervista qualche anno fa e diventammo amici, io bevevo la sua stessa tisana giallina che gli portavano in caraffe e rievocammo la sua vita e le sue guerre. E devo dire che mi colpì presto la dicotomia, o se preferite la contraddizione, fra il suo aspetto pacioso, florido senza essere grasso, apparentemente misurato e contegnoso, ma colmo di disprezzo e con una schiuma interna di conti non saldati. Dette a me l’anteprima di aver voluto letteralmente licenziare Eugenio Scalfari proprio perché voleva cacciarlo via e sostituirlo dalla mattina alla sera con Ezio Mauro che dirigeva la Stampa, lasciando in braghe di tela l’avvocato Agnelli, editore de la Stampa, che non credeva ai suoi occhi. Mi parlò molto, molto male, di persone che sono morte e di cui dunque taccio il nome. Ne parlò in maniera sferzante. E anche con qualche ragione, penso. Mi colpì molto quando disse che essendo fuggito da bambino in Svizzera con i suoi a causa delle persecuzioni razziali, sperimentò la fame e la povertà e giurò a sé stesso di non voler più essere povero, ma anzi di voler diventare ricco, ricchissimo, straricco. E lo fece. Fu un imprenditore di motociclette, di auto, entrò e uscì dalla Fiat litigando con Agnelli cui lasciò in compenso la Panda («una specie di carrarmato brutto e solido che costava poco e rendeva molto»), mi parlò con commiserazione altera di Francesco Cossiga che dopo le loro guerre gli venne a portare come dono di pace un coltello da pastore sardo (ma non una parola sul fatto che Cossiga insieme a De Michelis perorarono la sua causa presso la Casa Bianca dopo che la Olivetti era stata messa sul libro nero delle aziende che passavano segreti americani ai russi). E naturalmente mi parlò della Olivetti di Adriano Olivetti, il gioiello italiano delle macchine da scrivere e anche dei primi computer (con scheda Ibm) che lui, l’Ingegnere, gettò nella spazzatura perché non rendeva. Mi disse di quando gli offrirono di finanziare un giovanotto, un certo Bill Gates, che fabbricava computer in garage e che purtroppo non lo fece. Una bella storia di vittorie e qualche sconfitta, ma con un bel cesto di sassi nelle scarpe che non cessavano di dolergli. Una di queste era il comportamento dei figli che lo avevano sostituito nelle aziende e che non volevano sapere dei giornali perché i giornali portano solo rogne e niente soldi. In particolare, il dente avvelenatissimo col figlio Rodolfo con cui ebbe dei chiarimenti che sembravano regolamenti di conti e che si conclusero poi con la vendita del gruppo Repubblica-L’Espresso che passò alla Fiat poco dopo aver insediato nella direzione lo sfortunato e bravo Carlo Verdelli che sarà poi cacciato dai nuovi padroni dalla mattina alla sera. Una vita di lotte feroci fra combattenti italiani in un panorama molto italiano, con qualche ombra russa dei tempi sovietici. Quando iniziammo la nostra intervista mi disse: «Immagino che lei voglia prima di tutto sapere qual era la storia degli agenti russi nell’Olivetti». E me la raccontò, a suo modo. Aveva distrutto Scalfari, un altro giornalista storico di Repubblica, Cossiga, Craxi, Agnelli. Ma più di tutti, naturalmente., l’oggetto del suo odio al vetriolo era Silvio Berlusconi di cui parlava peraltro – e con mia sorpresa – come di un vecchio amico che di tanto in tanto lo andava a trovare per chiedergli consiglio, cui lui benignamente accordava qualche suggerimento utile. I due, quanto ad essere nemici, lo furono in maniera totale, da grande gioco del capitalismo italiano con ogni sorta di colpo di scena, accusa di falso, corruzione, imbroglio. Schiere di avvocati se le dettero di santa ragione per anni. La Mondadori alla fine andò a Berlusconi con Panorama ma senza Repubblica e l’Espresso che andarono invece a De Benedetti, con passaggi milionari di soldi decisi dai giudici nei vari livelli della causa. Tutto ciò detto, resta aperta e non risolta la domanda: perché De Benedetti ha di fatto augurato la morte anziché la guarigione all’ex nemico caduto malato? Qualcuno forse obietterà: ma non esageriamo, certo che gli ha augurato la guarigione ma con una battutaccia senza conseguenze. Ecco: quando si vuole augurare lunga vita al nemico caduto da cavallo, si fa come fece Bersani il quale, senza farsi pubblicità, andò a trovare Silvio Berlusconi in ospedale ferito e scioccato dal lancio di una madonna di piombo, da parte di un odiatore di passaggio. L’odio, sia detto per amor di verità banale, è un sentimento umano che ha il suo ruolo nell’economia selvatica dell’essere. Quell’espressione di De Benedetti usata per esprimere disprezzo persino per la malattia fisica del corpo di Berlusconi, appartiene o no all’armeria dell’odio ideologico? Naturalmente le risposte saranno divise in due fra chi conferma e chi dissente, ma nel caso di diniego per dissenso – De Benedetti non voleva manifestare odio e augurare la morte, ma gli è soltanto sfuggito il piede dalla frizione – resterebbe in piedi la domanda d’obbligo successiva: De Benedetti ha superato il limite del logoramento e ha perso il controllo definitivo della muscolatura liscia del pensiero che dovrebbe regolare l’emissione dei gas emotivi? Nessuno può garantire, ma io voto sì. Per De Benedetti, penso, e per una discreta fetta di italiani andati in acido e fuori controllo, tutto ha a che fare con Berlusconi, come prima con Craxi. Berlusconi ha impedito – storicamente e vorrei sapere chi si sentisse di negarlo – che con la decapitazione della prima Repubblica vincesse la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto e del nuovo “coso” uscito dalla Bolognina. De Benedetti ha detto che per lui Berlusconi è ed è stato «una specie di Alberto Sordi» della politica italiana. Ora, ammesso che De Benedetti intendesse paragonare i personaggi miseri e imbarazzanti creati da Sordi, davvero lui o chiunque altro può dire che l’impensabile operazione politica che fece saltare i piani e le speranze del Pds con una impossibile alleanza fra i leghisti separatisti di Bossi e gli ex fascisti di Fini, fosse una “albertosordata”? Davvero? Una cosa da Ambra Jovinelli? Da Fratelli De Regie o da Sarchiapone di Walter Chiari? Davvero? Qui secondo me casca l’asino dell’innocenza pretesa nelle parole di De Benedetti. Il suo (mal)augurio a Berlusconi è stato maldestramente mascherato da sbuffo di insofferenza nei confronti di un preteso pagliaccio, un “albertosordo” dell’impresa e della politica. Sarebbe da imbecilli pensare che davvero De Benedetti lo pensasse perché tutta la sua (di De Benedetti) vita politica con la tessera numero uno del Partito Democratico è stata dedicata a combattere su tutti i campi sia alla luce del sole che nei vicoli notturni, contro quell’uomo che rovesciò il tavolo e bloccò il ribaltone destinato ad instaurare in Italia un sistema politico egemomìnizzato dal vecchio Pci. Per molti fu un lutto e fra quei molti c’era sicuramente De Benedetti. E tuttavia, come può un uomo del suo rango, fingere di essersi battuto contro un imbroglione che “albertosordeggiava”? È impossibile. Dunque, a mio parere, questa verità storica e fattuale esclude qualsiasi attenuante benevola per la maledizione che l’Ingegnere ha lanciato contro il vecchio nemico spaventato dalla morte, sorpreso dalla polmonite, ricoverato quasi con la forza, messo a brutto muso di fronte alla prospettiva di lasciarci la pelle. Come se non bastasse, e infatti non basta, De Benedetti come i bambini capricciosi che rifiutano di chiedere scusa alla nonna accoltellata in un momento d’ira, ha ribadito che diceva sul serio, che non si scusava di nulla e che aveva ragione lui. L’uscita di De Benedetti ha comunque funzionato anche da test di Rorschach, quello delle macchie d’inchiostro di fronte alle quali ognuno vede quel che ha già nella testa. C’è stata una pletora di gaglioffi che per il piacere di giocare come i pirati che si giocavano una bottiglia di rhum, si sono gettai nel gioco malaticcio sotto la rubrica “Piatto ricco mi ci ficco”. L’Italia dei codardi ha fatto quasi tutta un passo avanti per applaudire. De Benedetti ha giocato un pessimo finale di partita e purtroppo non saprà trovare dentro di sé la forza che altre volte ha trovato per fare un passo indietro e giocarsi la carta magnifica non dell’autocritica – che detesto – ma del decoro e del rispetto. Orsù, Ingegnere: ha ancora l’età per esibirsi in un colpo di reni che la restituisca alla postura del coraggio, l’unica uscita da questa storia.

Abbiamo odiato Berlusconi perché ci ha detto chi siamo. Gioacchino Criaco su Il Riformista il 5 Settembre 2020. Tutto in provincia arriva con un ritardo che dà umanità agli eventi, le novità. Pure le lucciole di Pasolini arrivarono in ritardo. Fu una sera d’estate del ‘75. La domenica i padri portavano i figli nelle sezioni di partito dei paesi: per dimostrare che erano importanti, parlavano di massimi sistemi. “Le lucciole sono scomparse” diceva un certo Pasolini. I bambini ascoltavano, poi scappavano fuori. compravano un paio di nazionali sfuse e attorno alla loro brace raccoglievano decine di lucciole. Tornavano dai grandi a dir loro che quel Pasolini era un impostore. Rimediavano qualche pesante rimprovero, più per le sigarette che per la scoperta, e se ne andavano mogi a casa. Molti lo odiano Berlusconi, pure quando sta male, molti gli augurano da anni morte o galera. Magari può non essere il nonno con cui mandare i figli al parco. Non è lo scrittore la cui penna può far sognare. Non è il medico al quale affidare la vita. Il prete al quale consegnare la confessione. L’idraulico a cui dare in riparazione la caldaia. La donna da amare. Per molti lui non fa sognare. Però ci ha dimostrato che sognavamo. Sognavamo di avere grandi politici. Solide Istituzioni. Super giornalisti. Esimi intellettuali. Formidabili imprenditori. Genitori integerrimi. Mogli e mariti fedeli. Figli affettuosi. Ci ha portati per trent’anni davanti allo specchio. Ci siamo visti nudi. Il sogno è diventato un incubo. Abbiamo scoperto di essere un popolo di cubiste e tronisti, calciatori e veline, scrittorucoli e scribacchini. Politicanti rionali. Rivoluzionari da salotto o al massimo guerriglieri da Facebook. Berlusconi ha tolto il lenzuolo al fantasma e sotto abbiamo scoperto di esserci noi. Una piccola, egoista, mediocre società. Ed è questo che non riusciamo a perdonargli. Ci ha dimostrato quanto le porte della nostra moralità siano sfondabili. Ho acceso una bella sigaretta americana, una di queste ultime sere d’estate. Le lucciole si sono illuminate per un po’. Ma non si sono avvicinate. Le loro luci sembrano asettici neon, non somigliano a quelle belle fiaccole giallognole dell’infanzia. Gli insetti vanno ognuno per conto proprio. Sembrano finti. Di plastica. Forse pure Pasolini si era sbagliato come sostenevano i bambini della sterminata provincia nazionale. Le lucciole erano andate, in anticipo sui tempi, da qualche pioniere della chirurgia estetica. Sono tornate, volti abbronzati e tirati cercano inutilmente di nascondere un vuoto d’anima, e la colpa non può essere tutta del Cavaliere.

Dagospia il 6 settembre 2020. Adriano Celentano su Facebook. Caro De Benedetti, stavolta con Berlusconi non mi sei piaciuto per NIENTE. Eri stonato e fuori tempo. Forse non ti sei accorto, ma siamo nel bel mezzo di un INCENDIO planetario. E tu cosa fai?... Anziché buttare acqua sul fuoco per spegnere un inquinamento di cui anche tu sei responsabile, come del resto lo "SIAMO" chiunque non si abbassa a raccogliere il pezzetto di carta che sporca la strada e tu, e tu invece cosa fai?... Nel bel mezzo dello sporco, non solo non raccogli, ma approfitti per lanciare una bella dimostrazione di RANCORE. Miscela altamente INFIAMMABILE per qualunque tipo di ODIO.

Franco Stefanoni per il ''Corriere della Sera'' il 6 settembre 2020. «Io duro su Berlusconi? Assolutamente no». Ad affermarlo Carlo De Benedetti tornando, al termine dell’intervista sulla presentazione del giornale Domani al Festival della Tv dei nuovi media di Dogliani (Cuneo), sulle polemiche innescate ieri dalle sue parole su Silvio Berlusconi, ricoverato per una polmonite bilaterale interstiziale dovuta al Covid. «Per quel che riguarda Marina non val la pena di commentarla, poverina. Per gli altri sono stupito dal loro stupore. Penso che Berlusconi sia stato negativo per il Paese. E vorrei chiedere: cosa ha lasciato al paese? Quali valori ed esempi?» «Mi hanno attaccato perché l’ho definito "imbroglione" - ha concluso - ma è stata la Cassazione ad averlo condannato come tale. Cosa c’è di peggio che avere corrotto un giudice?». De Benedetti ribadisce così punto per punto le critiche all’ex premier Silvio Berlusconi e risponde alla dura controreplica della figlia dell’ex premier, Marina Berlusconi. E ricostruisce i fatti: «Ho cominciato il mio intervento facendogli gli auguri e chiedendo alla piazza un grande applauso. Dopodiché, se uno è malato o meno le mie opinioni non cambiano. Tutti sanno che Berlusconi è stato mio avversario e che io presiedevo un giornale che si è distinto per il modo di condannare la sua politica», ha concluso.

Da ''la Repubblica'' del 23 maggio 1993. "Ingegnere, siamo infuriati...". E' il titolo di un lunga intervista a Carlo De Benedetti, un faccia a faccia fra Giampaolo Pansa e il presidente dell' Olivetti che ha ammesso di aver pagato tangenti. Un botta e risposta sulle accuse, le scelte, i comportamenti dell' imprenditore pubblicato sul prossimo Espresso.

Perchè De Benedetti (azionista di maggioranza del gruppo L' Espresso) ha pagato? Perchè non si è rivolto subito a Di Pietro? E come mai non ha denunciato il racket dei politici nemmeno sui suoi giornali? Ci sono state pressioni? Non poteva dire la verità?  

"La verità? Nessuno ci avrebbe creduto. Avrebbero detto: ecco l' Ingegnere rosso che accusa i partiti di governo. E nessun altro imprenditore si sarebbe associato alla denuncia. Basta guardare come si sono comportate le altre imprese che possiedono anch' esse giornali. Il clima, allora, era quello". Spiega meglio: "Beccavano Mario Chiesa con la tangente in tasca e il suo partito, sapendo tutto quello che sapeva, strillava: è soltanto un mariuolo. Idem gli altri partiti di governo". E l' Ingegnere, rivolgendosi a Pansa, afferma: "Se avessi fatto come dici tu, mi avrebbero distrutto più di quanto hanno tentato di fare". Ma perchè i grandi gruppi industriali non hanno usato, insieme, la loro grande forza per reagire?

"Non c' è mai stata coesione. Ciascun gruppo ha sempre perseguito il proprio interesse... Esiste il grande faidismo, ossia le faide". Alla fine dell' intervista Pansa si rivolge così all' editore: "Molti sono convinti che, alla fine di questa rivoluzione italiana cominciata con Tangentopoli, anche i vertici imprenditoriali dovranno sgombrare il campo. E anche tu dovrai andartene a casa...".

De Benedetti risponde: "Sembra un invito, il tuo. E anche un po' duro. Rispondo: deciderò di smettere il mio impegno in Olivetti il giorno in cui pensassi di non essere più utile all' Olivetti. Oggi non è così. Oggi se si fa un accordo con la Digital o un aumento di capitale è perchè ci sono io. E' incluso addirittura nelle clausole contrattuali di entrambe le operazioni. Ad ogni modo alla tua domanda cattiva osservo: non mi sono mai sentito nel branco di cui parli, quello delegittimato dalla rivoluzione italiana".

Chi è davvero De Benedetti: il lato "segreto" dell'Ingegnere. Le rivalse eccessive non sempre hanno contribuito a saturare le sue aspirazioni provocando un sottofondo costante di ansia di prestazione. Evi Crotti, Sabato 12/09/2020 su Il Giornale. La firma del cavaliere Carlo De Benedetti (Debenedetti per l’anagrafe) si presenta col cognome che precede sempre il nome ridotto, quest’ultimo, ad una semplice iniziale “C”. Il primo fatto indica quanto De Benedetti tenga al casato e come abbia investito molte aspirazioni su di esso. Dal momento che la firma indica simbolicamente la paternità, evocando il bisogno di imitare il padre come spinta al sociale, tale aspirazione inizia sempre o abitualmente già nell’adolescenza: Carlo De Benedetti non ha fatto eccezione. Peccato che tale spinta lo abbia portato a rivalse eccessive che non sempre hanno contribuito a saturare le sue aspirazioni provocando un sottofondo costante di ansia di prestazione. Vale a dire che egli è sempre in stato di allarme veglia o addirittura di agitazione, ogni volta che deve affrontare una situazione spinosa o conflittuale. Le aste rette, prolungate e poco chiare, sono sempre un segnale di aggressività malamente trattenuta che a volte supera la soglia di controllo. È allora che da lui emerge quel senso di rivalsa e gelosia che lo ha sempre accompagnato. Non a caso, il nome, ridotto alla sola iniziale, si caratterizza per la trasformazione dello stesso in una sorta di freccia lanciata verso destra cioè verso l’ambiente sempre temuto ma anche affrontata con atteggiamenti di soggettività.

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Luca Fazzo per “il Giornale” l'8 settembre 2020. Alla fine, Carlo De Benedetti la zappa sui piedi se l'è data da solo, in un gesto dettato forse più dal carattere che dal raziocinio: e dall'antipatia che da anni lo contrappone a un altro grande imprenditore, l'amministratore delegato di Pirelli, Marco Tronchetti Provera. Sei anni fa, al termine di una baruffa a distanza, a colpi di dichiarazioni alle agenzie, l'Ingegnere sporse querela per diffamazione. E Tronchetti venne assolto. Grazie a quella sentenza, una serie di epiteti a De Benedetti sono da oggi ufficialmente sdoganati. Nell'ordine: è consentito dire che «De Benedetti è stato molto discusso per certi bilanci dell'Olivetti»; si può serenamente affermare «che fu allontanato dalla Fiat»; via libera alla frase «fu coinvolto nella bancarotta del Banco Ambrosiano». E non c'è nulla di male a rimarcare, come fece Tronchetti, la cittadinanza svizzera dell'ottantaseienne editore. Nella sua sentenza, il giudice Monica Amicone dà atto che i giudizi riservati da Tronchetti al collega non sono certo dei complimenti.  Anzi, le circostanze indicate da Tronchetti sono «quanto meno disdicevoli per il De Benedetti». L'«essere implicato» nella bancarotta del Banco Ambrosiano, «uno dei più grandi scandali finanziari italiani del dopoguerra», «risulta pregiudizievole per la reputazione di chiunque». E per un manager di professione l'accusa di stendere bilanci discutibili significa mettere in discussione «la capacità di una corretta ed efficace gestione delle società». Il problema, per il querelante De Benedetti, è che le affermazioni di Tronchetti per i giudici sono tutte vere. É vero che venne coinvolto nell'Ambrosiano: «appare riscontrata la veridicità della dichiarazione dell'imputato (Tronchetti Provera, ndr) circa il coinvolgimento di De Benedetti in un procedimento per bancarotta che l'ha visto imputato fino al giudizio di Cassazione, benché successivamente prosciolto». È vero che dalla Fiat venne repentinamente accompagnato alla porta. Ed è vero anche che per i bilanci dell'Olivetti è stato condannato. A questo capitolo la sentenza del giudice Amicone dedica uno dei passaggi più lunghi, partendo dalla surreale udienza in cui, interrogato in aula, De Benedetti disse al giudice di non essere mai stato denunciato per falso in bilancio, «parlare di bilanci discussi è un falso è un insulto». Ma a quel punto si alzò il difensore di Tronchetti e gli chiese se non si ricordasse di una sentenza del 1999 del tribunale di Ivrea. «Non mi ricordo, era una cosa irrilevante perché è finita certamente nel nulla». E l'avvocato, implacabile: «Non è finita nel nulla, è finita con una condanna nei suoi confronti a tre mesi di reclusione». Saltò fuori che a chiedere di patteggiare era stato lui, De Benedetti. Scrive il giudice nella sentenza: «appaiono prive di rilievo oltre che opinabili le considerazioni sulla natura marginale della fattispecie penale rispetto alla quale il De Benedetti ha chiesto e ottenuto l'applicazione della pena».

Lo dice la sinistra "Il meglio a destra è Berlusconi". Intervista su "L'Express". I radical chic rivalutano l'ex premier come elemento di moderazione nei confronti dei sovranisti. Fabrizio De Feo, Venerdì 21/08/2020 su Il Giornale. La Francia riaccende i riflettori su Silvio Berlusconi. Per cercare di fare chiarezza sulla situazione italiana uno storico settimanale come l'Express si rivolge al presidente di Forza Italia, ovvero a colui che «è ancora al centro della vita pubblica dopo 30 anni ed è al centro di una possibile nuova maggioranza di governo ed è probabilmente uno di quelli in grado di comprendere meglio l'opinione degli italiani». Ne nasce una lunga intervista da cui si comprende che alcuni antichi pregiudizi sono ormai superati o storicizzati e la figura del Cavaliere è oggetto di una rivalutazione anche in ambienti a lui un tempo ostili. Il colloquio si concentra sulla politica italiana, ma non manca il respiro continentale - «sono convinto che tra 10 anni l'Italia sarà ancora saldamente nell'Unione Europea, perché se così non fosse vorrebbe dire che l'Europa non ci sarebbe più» - la richiesta di un giudizio su Emmanuel Macron. «Ho molta stima e profondo rispetto per il Presidente Macron, per il suo ruolo di leader e di protagonista responsabile e al tempo stesso innovatore del processo di integrazione europea. Del resto, fin dai tempi di De Gaulle questa è la vocazione della Francia. Di lui apprezzo il dinamismo, il coraggio, la capacità di visione. Ma al di là dell'età, non credo si possa definire politicamente un mio figlio. Certo, ha saputo trasformare i termini della politica francese, come è accaduto in Italia all'epoca della mia discesa in campo. Però lui e io abbiamo un percorso culturale e politico molto diverso. Il Presidente Macron viene da una sinistra che è stata capace di evolversi in senso liberale. Lo apprezzo molto per questo, ma non è la mia storia». Dalla Francia all'Italia. Sullo stato dell'arte nel nostro Paese Berlusconi non nasconde le proprie perplessità. «Sono molto preoccupato. Per fronteggiare la crisi il governo ha agito con grande ritardo, adottando misure stataliste e dirigiste, distribuendo mance elettorali piuttosto che una vera strategia per il rilancio. Le difficoltà con l'Europa sono anche conseguenza di questo, probabilmente». L'Express chiede a Berlusconi come sia cambiata l'Italia nell'arco di 30 anni, partendo dal presupposto della sua immutata centralità politica. «La centralità di cui lei parla è soprattutto una centralità delle idee che abbiamo messo in campo per uscire dall'emergenza. L'Italia è cambiata profondamente come è cambiato tutto il mondo occidentale nel quale noi viviamo. L'evoluzione della tecnologia ha trasformato le nostre abitudini di consumo e il nostro modo di ottenere informazioni. Quello che possiamo già dire oggi è che come in tutte le fasi di trasformazione le persone sono disorientate. E il disorientamento produce scelte spesso irrazionali. Chi oggi ha 50/60 anni o più ha fatto in tempo a crescere in un mondo condizionato dalle ideologie e dalle esperienze del '900, con tutte le tragedie che il secolo scorso ha portato con sé, dal fascismo al comunismo. I più giovani hanno perso questa memoria storica e non l'hanno ancora sostituita con diversi punti di riferimento. La scuola ha mancato il suo compito formativo. Per questo spesso per esempio i giovani non votano o votano in maniera irrazionale». Berlusconi si rifiuta di liquidare il populismo e il sovranismo come fenomeni negativi. «Cos'è davvero il populismo? Io non potrò mai dare un valore negativo a un concetto che esalta il ruolo del popolo. La sovranità popolare è alla base della democrazia. In effetti io sono sceso in campo nel 1994 proprio per riportare al popolo quella sovranità che il sistema dei partiti della prima Repubblica aveva finito con l'espropriare. Che governo per l'Italia ho in mente? Di centrodestra, naturalmente. Un centrodestra che per vincere, per governare, per essere credibile nel mondo deve avere un profilo liberale, cristiano, garantista, europeista. Quello che solo Forza Italia, rappresentante italiano del Ppe, può rappresentare. Per questo il nostro ruolo è essenziale, non solo per una questione numerica. Se per sovranismo lei intende orgoglio della nostra identità europea e occidentale, della nostra storia, del nostro stile di vita, della nostra società libera e aperta, se intende determinazione a difendere tutto questo contro i nemici vecchi e nuovi, allora posso dire che il primo sovranista sono io. Su questo non è difficile trovare un'intesa, da liberali, con i nostri alleati». Sulle sue vicende giudiziarie Berlusconi ribadisce la volontà di chiedere giustizia «alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Non lo faccio per me, io sono stato ampiamente indennizzato dal consenso e dall'affetto che gli italiani hanno continuato a darmi, lo faccio per la democrazia italiana. Tutti gli elettori, di qualsiasi partito, devono sapere che il processo democratico in Italia è stato alterato da alcuni magistrati». Infine Berlusconi risponde a una domanda su Giorgia Meloni, sulla quale anche oltralpe cresce la curiosità, esprimendo un giudizio più che positivo. «La stimo e la rispetto. Ha molta energia e determinazione. Viene da una cultura diversa dalla nostra, da una storia che non è la nostra, ma ha abbastanza pragmatismo e sensibilità politica da non essere prigioniera del passato. E poi è molto cresciuta da quando era un giovanissimo ministro del mio governo».

La riabilitazione di Silvio Berlusconi: da Caimano a principe azzurro. Giulio Seminara su Il Riformista il 16 Luglio 2020. “Se il diavolo ti accarezza vuole l’anima”. E’ il proverbio che sta animando in questi giorni una tormentata ma desideratissima Forza Italia, con il suo leader Silvio Berlusconi ormai passato dallo status repellente di “Caimano” ad ambitissimo partner di governo della sinistra. A menare le danze della riabilitazione per primo è stato il premier Giuseppe Conte che ha lodato l’opposizione “seria” e “costruttiva” di Forza Italia. D’altronde era già iniziata la dolce musica del Berlusconi europeista e liberale che annunciava fiero il sì al Mes in spregio agli accorati “no” sovranisti degli alleati di centro-destra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Poi è arrivato l’endorsement del già leader della Cgil e segretario Pd Guglielmo Epifani, convinto dall’“anima liberal-democratica” del leader forzista, e che dai banchi di Leu gli ha aperto le porte di un governo comune. Quindi l’abbraccio dell’ex rivale storico, quel Romano Prodi che l’ha sconfitto due volte alle elezioni politiche: «Forza Italia al governo? Nessun tabù». E l’odiato Berlusconi? «La vecchiaia porta saggezza». Infine è arrivato anche il bacio del più acerrimo nemico, l’Ingegnere Carlo De Benedetti con il quale il duello è stato pure imprenditoriale ed economico, oltre che politico: «Trangugio anche Berlusconi al governo con la sinistra». Insomma, contrordine compagni: il Cavaliere non è più il nemico numero uno, ma un prezioso alleato. L’attuale presidente del Consiglio, adesso sostenuto solo da Il Fatto Quotidiano, sogna i voti di Forza Italia in Parlamento. La maggioranza è in fibrillazione. Il Movimento 5 stelle è balcanizzato e schizofrenico sull’agenda politica. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha recentemente incontrato Gianni Letta (altra vicenda-simbolo dello sdoganamento berlusconiano), sta facendo la guerra all’avvocato del popolo, immaginando un governo diverso e logorando l’intesa con il Pd, a Palazzo e alle elezioni regionali. Conte considera Matteo Renzi e la sua Italia Viva degli alleati solo momentanei e inaffidabili, molto depotenziati in caso di ingresso in maggioranza di Forza Italia. Il Partito Democratico, finora sostanzialmente schiacciato sulle posizioni del premier, ha mostrato i primi segnali di inquietudine. Vedasi le recenti frizioni tra Conte e Dario Franceschini, ministro della Cultura e capodelegazione dem. E alle porte ci sono il voto sul Bilancio, la decisione sul Mes, la battaglia europea sul Recovery Plan e una crisi economica e sociale che solo una maggioranza di governo robusta e coesa può sostenere. Per saldare la baracca ci vuole Forza Italia. E quindi adesso “il governo più a sinistra della storia”, per dirla con la Meloni, chiede aiuto a Berlusconi in una sorta di “C’eravamo tanto odiati” della politica italiana. Abbiamo provato a farci spiegare il sorprendente ed epocale evento dall’accademico e politologo Paolo Pombeni: «In politica nessun nemico è per sempre. Ogni tanto la Storia chiama, l’emergenza provocata dal Coronavirus chiede alle forze politiche di unirsi per affrontare la crisi e generare una forte solidarietà nazionale». E Berlusconi sta rispondendo alla chiamata della Storia? «Sembra di sì, probabilmente ha capito che il bipolarismo fondato sui reciproci insulti come “caimano” e “bolscevichi”, e che lui stesso ha alimentato, non serviva». Ma lei ce la vede Forza Italia al governo con la sinistra? «Spero che lui scelga di servire il Paese e che non faccia come con la Bicamerale, quando dopo l’intesa con D’Alema uscì dal tavolo. Adesso ci vuole uno spirito costituente, ce lo chiedono le difficili sfide a venire». E chi sembra sottrarsi, come Salvini e Meloni? «La lega dovrebbe liberarsi di Salvini, invece la Meloni interpreta una vetero-destra. Vogliono le elezioni illudendosi di acquisire il potere, ma non credo abbiano soluzioni. E sappiano che rischiano di vincere sulle macerie». Ma cosa ne pensa Forza Italia di questa “chiamata della Storia”? Sembra ci siano più idee in proposito. I parlamentari forzisti del Nord, ostaggi del consenso della Lega da quelle parti, non lascerebbero mai il centro-destra a trazione salviniana per aderire a un nuovo governo: «All’uninominale poi non passerebbe nessuno di noi». Qualcuno è più possibilista, aspettando la svolta di Berlusconi. Come un big azzurro secondo il quale l’ex premier è «il catalizzatore dei nuovi equilibri» e lo strumento per inaugurare una «nuova fase costituente» e fare «le grandi riforme europee». Ma con quale schema, quale governo? Una deputata azzurra risponde sibillina: «Chiaramente questa maggioranza e Conte non bastano più. Ci vuole un altro tipo di presidente del Consiglio». Un tipo alla Mario Draghi? «Il nome si fa da solo». Dichiara al Riformista di non voler andare in maggioranza Maurizio Gasparri. Per lui i recenti elogi della sinistra a Berlusconi, definito dal senatore «lo zio d’Italia» e «la versione laica di San Francesco», sono «tardivi» e no, «al governo insieme non si va». Gasparri voterebbe solo un «monocolore Berlusconi», sognando la caduta di Conte e il voto. E i colleghi forzisti che invece in maggioranza ci vogliono andare? «Non sono miei colleghi». Ma se lui chiude e Berlusconi tace, gli aspiranti alleati ci sperano. Certamente la nomina nel collegio di Agcom tramite votazione al Senato di Laura Aria, già dirigente del Mise gradita a Fi, non ha danneggiato i rapporti con il pezzo preferito dell’opposizione. Così come è stata gradita dalla maggioranza di governo l’astensione di Forza Italia in Commissione giustizia della Camera sul disegno di legge contro l’omo-transfobia proposto dal democratico Alessandro Zan, mentre gli alleati leghisti e di Fratelli d’Italia votavano contro inferociti. Probabilmente il corteggiamento non si tradurrà in matrimonio, Berlusconi non farà il colpo di teatro e il centro-destra non si romperà, con annesse drammatiche ricadute nelle regioni in cui si governa o corre insieme. Ma intanto Forza Italia, così desiderata, rivive una nuova giovinezza e acquista una forte centralità politica. È una posizione “win\win”, chiosa uno storico senatore azzurro: «Ci cercano dalla maggioranza e dall’opposizione». Ieri sera sono state rinviate le votazioni delle commissioni perché le forze della maggioranza non hanno trovato la quadra, tra risse interne al Movimento 5 stelle e dispetti ai renziani. Pesa anche la vicenda di Autostrade, non ancora conclusa: il calo dei pedaggi, l’intervento statale di Cassa depositi e prestiti, l’uscita di scena di Atlantia, la quotazione in Borsa e l’arrivo dei nuovi soci sono eventi finora solo annunciati, sebbene in pompa magna e con lo scalpo dei Benetton in bella mostra. Qualcuno definisce il problema «solo rinviato». Tra questi Giorgia Meloni che parla di «percorso solo immaginato e ancora tutto da fare», possibilmente quando ci sarà «un altro governo». Riecco lo spettro del ribaltone, delle larghe intese. Il protagonista neanche a dirlo sarebbe Silvio Berlusconi, l’ex Caimano diventato il principe azzurro.

Andrea Biondi per ''Il Sole 24 Ore'' il 4 settembre 2020. È una bocciatura secca quella della Corte di Giustizia Ue sulle norme italiane che hanno costretto Vivendi a congelare al 9,9% la sua partecipazione in Mediaset. La disposizione, «è contraria al diritto dell'Unione». La sentenza della Corte del Lussemburgo, oltre a piombare come un macigno sulla contesa fra il gruppo di Cologno e quello che fa capo a Vincent Bolloré, apre a scenari tutti da verificare, con possibile «Big bang» nel mondo dei media e delle tlc. Mediaset in una nota usa parole che sanno di messa in guardia: «Se, al contrario di quanto prevede oggi la Legge italiana, si aprissero possibilità di convergenza tra i leader delle tlc e dell'editoria televisiva, Mediaset che in tutti questi anni è stata vincolata e penalizzata dal divieto valuterà con il massimo interesse ogni nuova opportunità in materia di business tlc già a partire dai recenti sviluppi di sistema sulla Rete unica nazionale in fibra». Per capire occorre tornare alla Legge Gasparri, legge sul sistema radiotelevisivo approvata dal Parlamento ad aprile 2004. L'iter non fu semplice, tant' è che nel dicembre 2003 fu rinviata alle Camere dall'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Fra i motivi di quel rinvio c'era il Sistema integrato delle comunicazioni (Sic): paniere poi recepito dal Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Tusmar) per evitare le concentrazioni nel mercato audiovideo, a tutela del pluralismo. La legge ha stabilito che nessun soggetto potesse superare il 20% del valore del Sic. Quel limite, allora ritenuto troppo ampio e quindi troppo "pro-Mediaset", fu fra i motivi del richiamo di Ciampi. Il limite del 20% è però rimasto ed è passato, come detto, nel Tusmar unitamente a un altro vincolo contenuto nel comma 11 dell'articolo 43 oggetto dell'intervento della Corte Ue: il divieto di acquisto, per chi abbia una posizione di mercato prevalente nelle tlc (realizzando il 40% dei ricavi complessivi di tale settore), di acquisire ricavi superiori al 10% del Sic. È su questa norma che il Biscione fece leva a fine 2016 nel rivolgersi ad Agcom contro Vivendi. Erano i giorni della "scalata" di Vivendi a Mediaset, seguita al gran rifiuto da parte dei francesi di acquisire, come da accordi, Mediaset Premium e all'immediato contenzioso. Dopo qualche mese Agcom è intervenuta per vietare a Vivendi di mantenere tutte le sue quote contemporaneamente in Tim (dove è primo azionista col 23,9%) e in Mediaset (dove è il secondo con il 28,8% e il 29,9% dei diritti di voto). Il gruppo francese ha cosi parcheggiato il 19,19% di Mediaset in Simon Fiduciaria. L'impatto è stato non da poco anche perché Mediaset, facendo leva su decisioni giudiziarie, ha sempre negato accesso e voto nelle assemblee a Simon. Vivendi ha fatto ricorso contro la delibera Agcom al Tar che a sua volta si è rivolto alla Corte Ue con un "rinvio pregiudiziale". Ora il responso, favorevole a Vivendi assistita dallo studio Cleary Gottlieb con gli avvocati Giuseppe Scassellati, Ferdinando Emanuele, Marco D'Ostuni e Gianluca Faella. La bocciatura della Corte Ue «L'articolo 49 TFUE - si legge in un comunicato della Corte - osta a qualsiasi provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare l'esercizio della libertà di stabilimento garantita dal TFUE. È questo il caso della normativa italiana che vieta a Vivendi di mantenere le partecipazioni che essa aveva acquisito in Mediaset o che deteneva in Telecom». La Corte Ue ha puntato l'indice su tre aspetti: la definizione restrittiva del settore delle comunicazioni elettroniche che esclude nuovi mercati (i servizi al dettaglio di telefonia mobile e altri servizi collegati ad Internet); la sproporzionalità nel calcolare i ricavi delle società «collegate» come se fossero «controllate», vietando anche alle prime gli incroci azionari; l'irrilevanza del limite del 10% dei ricavi del Sic che «non è di per sé indicativo di un rischio di influenza sul pluralismo dei media». Dal gruppo francese «grande soddisfazione» per la decisione. «Vivendi - si legge in una nota - ha sempre agito nel rigoroso rispetto della legge italiana ed è stata costretta a difendere i propri interessi in sede giudiziaria dopo che Mediaset ha presentato reclamo all'Agcom nell'unico desiderio di impedirle di partecipare alle proprie assemblee».

Gli scenari. Gli occhi sono puntati su Agcom, il cui prossimo Consiglio si terrà il 9 settembre, che potrebbe in autotutela annullare la delibera 178/17/CONS. Se questo non accadesse, sarebbe il Tar a doversi esprimere e i pareri legali ascoltati dal Sole 24 Ore considerano obbligata la strada della bocciatura della delibera. «Non c'è alcuna "cancellazione" da parte della Corte Ue: ora sarà il Tar del Lazio a riprendere in mano la vicenda e a decidere, dopodiché sono sempre possibili ricorsi», afferma Gian Michele Roberti, uno dei legali di Mediaset. Ferdinando Emanuele, fra i legali di Vivendi, evidenzia invece che «per il principio del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale, più volte ribadito dalla Corte di Giustizia, i giudici italiani non potrebbero disattendere questa sentenza della Corte Ue e quanto affermato sul Tusmar». A ogni modo, se Vivendi potrà far valere il suo peso azionario in Mediaset (ieri il titolo del Biscione è salito del 5,18%), da Cologno rilanciano dicendosi pronti a guardare al dossier della rete unica (si veda a lato), dopo che la Corte Ue ha nei fatti affossato l'impossibilità di controlli incrociati tra gruppi tlc e operatori Tv. Al di là delle schermaglie, senza interventi normativi la bagarre legale sarebbe inevitabile. In questa situazione, infatti, come escludere a priori che qualcuno che ricade in uno degli altri divieti anti-concentrazione del Tusmar possa cercare di forzare la mano, magari contando su ricorsi legali? L'articolo 43 comma 12 del Tusmar prevede per esempio un divieto per «soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma» con ricavi superiori all'8% del Sic di «acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani». Mediaset, solo per fare un esempio paradossale, potrebbe anche puntare ad acquisire Rcs. 

Estratto dall'articolo di Stefano Cingolani per ''Il Foglio'' il 6 luglio 2020. (…) Berlusconi è rimasto l' ultimo tra i "condottieri" degli anni Ottanta, l' unico nella sua generazione a non aver venduto l' azienda che ha fondato. Anzi, sta provando a rilanciarla addirittura su scala europea. L' arcinemico Carlo De Benedetti che allora sfidava il Gotha del capitalismo europeo ha ridotto la sua Cir a poca cosa e ha ceduto persino Repubblica, ultimo vero gioiello al quale sembrava più attaccato che alla stessa famiglia. Ci riprova con un nuovo giornale, chiamato Domani, una scommessa sul futuro, per ora su scala ridotta. Leonardo Del Vecchio ha piazzato la sua Luxottica a Parigi; non è chiaro se sarà al sicuro nelle mani della Essilor, e forse non ne è certo nemmeno lui; intanto prova a scalare Mediobanca anche se la creatura di Enrico Cuccia non tiene più in mano le sorti del capitalismo italiano, quella dei Pesenti, dei Pirelli, Lucchini, Merloni, Orlando, Marzotto, Ligresti, per non parlare della Montedison nella quale tanto denaro privato e pubblico è stato bruciato. Problemi di eredità, intrighi familiari e spirito imprenditoriale, quella sindrome dei Buddenbrooks che ha colpito le grandi famiglie, l' apertura dei mercati, la globalizzazione, la scarsità di capitali, insomma chi più ne ha più ne metta, i fattori del declino sono davvero molti. Berlusconi ha risolto la successione con un equilibrio tra le sue due famiglie, che si rispecchia anche nel consiglio di amministrazione della Fininvest. L' ultima assemblea ha confermato Marina Berlusconi (presidente), Danilo Pellegrino (amministratore delegato), Barbara Berlusconi, Luigi Berlusconi, Pier Silvio Berlusconi e Salvatore Sciascia, consiglieri. Assieme a loro, ha nominato Adriano Galliani e Niccolò Ghedini. L' azionariato di Fininvest vede le holding personali di Silvio Berlusconi detenere il 63 per cento circa del capitale, i primi due figli (Marina e Pier Silvio) con oltre il 7 per cento ciascuno, mentre la società comune di Barbara, Eleonora e Luigi ha poco più del 21 per cento. Ai soci andrà l'intero utile 2019 della capogruppo pari a un ammontare complessivo di 84,2 milioni di euro. La Fininvest ha registrato l' anno scorso un utile consolidato di 220,3 milioni di euro, in crescita rispetto ai 203 milioni di euro di un anno prima. Tutto a gonfie vele? Non proprio: i ricavi si sono ridotti del 12,3 per cento e ammontano a 3.886 miliardi di euro, colpa della flessione della pubblicità Mediaset. Gli investimenti strategici effettuati, in particolare da Mediaset in Prosiebensat, hanno determinato un peggioramento della posizione finanziaria netta: l'indebitamento a fine 2019 è di 1,3 miliardi da 878,8 milioni di fine 2018. E qui veniamo alla scommessa sul futuro. Un anno fa nasce ad Amsterdam una holding chiamata Mfe, Media for Europe, che fonde la società italiana e quella spagnola e controlla il 20 per cento della tedesca ProsiebenSat. L' obiettivo è creare il nocciolo di una televisione davvero europea. Un progetto che Silvio Berlusconi aveva coltivato fin dagli anni Ottanta, quando entrò in Spagna grazie ai buoni uffici di Felipe Gonzalez, primo ministro socialista, e cercò di stabilire un presidio in Francia con il sostegno dell' allora presidente, anche lui socialista, François Mitterrand che aveva deciso di privatizzare parte della televisione di stato. Come lo stesso Berlusconi ha più volte raccontato, l' amicizia con Bettino Craxi lo ha aiutato a far breccia tra i socialisti. Ma se a Madrid le cose sono filate lisce, a Parigi s' è messo di mezzo l' allora sindaco Jacques Chirac, gaullista, che poi diventerà presidente delle Repubblica. Con una ordinanza, la mairie, il municipio, proibisce a La Cinq (così si chiamava la rete di Berlusconi alla cui guida era stato nominato Carlo Freccero) di collocare un' antenna sulla torre Eiffel. Un duro colpo che limitò moltissimo la capacità di trasmissione mentre cominciava una martellante campagna contro "la télé Coca Cola". L' avventura durò sei anni e si concluse nel 1992 mentre in Italia scoppiava Tangentopoli. Adesso ci riprovano i figli Marina e Piersilvio, ancora una volta gli avversari parlano francese con l' aggravante che oggi sono nemici interni guidati da Vincent Bolloré il quale, attraverso Vivendi, detiene il 28,8 per cento di Mediaset. Una volta fuse le attività italiane e spagnole in Media for Europe e dopo che saranno state assegnate le azioni a voto speciale A, Fininvest deterrà il 47,88 per cento dei diritti di voto della nuova holding, Vivendi il 10,42 per cento, mentre Simon Fiduciaria (dove il gruppo francese ha parcheggiato la sua quota principale per non incappare nella legge Gasparri visto che è anche il maggior azionista di Tim) ne avrà il 20,81 per cento. Il calcolo fatto da Mediaset si basa sui proposti rapporti di cambio e assume che gli azionisti mantengano inalterata la propria partecipazione nel capitale sociale, che attualmente vede Fininvest al 44,18 per cento (con il 45,89 per cento dei diritti di voto) e Vivendi al 28,80 per cento, con diritti di voto che le spettano direttamente per il 9,98 per cento, mentre Simon Fiduciaria può esercitarne il 19,94 per cento. L' operazione Mfe viene vissuta da Bolloré come un tentativo di aggirarlo mettendolo con le spalle al muro. Di qui le denunce e i ricorsi giudiziari.  La vicenda è degna dei migliori azzeccagarbugli, infatti spopolano nei tribunali di Amsterdam e di Milano che hanno dato ragione a Mediaset, come in quello di Madrid la cui decisione è attesa forse la prossima settimana. La fiduciaria Simon, sotto la pressione delle autorità italiane, ha immobilizzato il più importante pacchetto di Vivendi che potrebbe essere scongelato solo se cambiassero gli equilibri in Tim dove i francesi, un tempo dominanti, sono ridotti a socio finanziario che deve contrattare ogni mossa con il fondo Elliott e la Cassa depositi e prestiti. Una doppia gabbia dalla quale Vivendi non riesce a uscire, tuttavia lo scenario è più che mai in movimento. In ProsiebenSat è entrato (con il 12 per cento) il miliardario della Repubblica ceca Daniel Ketínský, che a Parigi possiede il settimanale Marianne e una quota rilevante del Monde. Il sospetto francese che possa agire di concerto con Mediaset non è stato fugato nemmeno dalle smentite ufficiali. Si è rafforzato nel capitale del gruppo tedesco anche il fondo KKR il quale spunta nella vicenda parallela che riguarda Tim e la sorte della rete fissa. (…) Secondo indiscrezioni riportate dal quotidiano finanziario francese Les Echos, Bolloré sarebbe pronto a vendere almeno il 20 per cento del Biscione, sopportando una perdita di 200 milioni, ormai prevista da tempo. Se i lettori sono riusciti a seguirci in queste intricate battaglie giuridico-finanziarie a cavallo delle Alpi, possiamo introdurre quella che molti considerano la partita decisiva, per la quale è sceso in campo anche Beppe Grillo. Nel suo blog ha prefigurato un aumento della presa su Tim da parte della Cassa depositi e prestiti più qualche azionista privato italiano, in modo da liquidare Vivendi e sbarrare la strada all' espansionismo di fondi internazionali: KKR disponibile a intervenire in una società nella quale Tim collochi la sua rete insieme a quella di Open Fiber; Macquerie pronto a rilevare la quota dell' Enel in Open Fiber ed Elliott azionista di Tim che attende il momento buono per incassare e intanto si libera del Milan vendendolo ad Arnault. Chi paga? E quanto costa? Ci vuole un bel pacco di euro per "liquidare" tutti questi soggetti, soprattutto Vivendi. A questo punto voci dal sen fuggite suggeriscono di riaprire un dossier che non era stato mai distrutto, ma soltanto riposto in un cassetto: il matrimonio tra Tim e Mediaset, realizzando quella convergenza tra contenitore e contenuti, araba fenice dell' era digitale. Se ne era parlato nel 2006, poi nel 2014, nel 2016 e ancora nel 2018. Ogni volta la politica si era messa di traverso, però i tempi cambiano. Un Berlusconi europeista che può votare sì al Mes, ammiratore di Angela Merkel un tempo chiamata (secondo la leggenda) "culona inchiavabile", garante del Partito popolare, desideroso di raddrizzare lo squilibrio con Salvini, pronto a entrare a governo "con una nuova maggioranza" (parole sue), insomma il Berlusconi che potrebbe farsi chiamare di nuovo Cavaliere, diventa tutta un' altra cosa. Sul versante degli affari potrebbe significare un accordo con Vivendi, sistemando nel reciproco interesse le partecipazioni che finora hanno prodotto perdite e grattacapi. Come? Trovando un compromesso. Vivendi può restare come azionista di minoranza, in Tim, in Mediaset e in Mfe, aspettando il decollo della tv europea che valorizzerebbe anche la sua quota. La grande tregua giuridico-finanziaria farebbe da pendant alla grande tregua politica: un' ampia maggioranza per affrontare la crisi, una coalizione all' italiana nelle forme che la fantasia tricolore consentiranno. Troppe cose sono incagliate, troppi quattrini congelati, troppi destini politici in bilico. Scenari da solleone, sogni di una notte di mezza estate. O no?

Mario Ajello per “il Messaggero” il 29 giugno 2020. Non è una fine, è un nuovo inizio. Almeno così lo vede Berlusconi. E nella risistemazione personale e politica di tutto - «Il Covid è uno spartiacque», ripete lui - rientra, nell'ottica del Cavaliere, la scelta di eliminare certe spese. E alcuni doppioni. Ovvero - come si sta chiedendo l'ex premier in questi giorni - ha ancora senso stare in affitto a Palazzo Grazioli, ormai non usato quasi più, quando s'è liberata la bella villa tra Appia Antica e Appia Pignatelli dove abitava e dove è morto lo scorso anno Franco Zeffirelli? Il maestro grande amico di Silvio - e infatti la dimora era piena di immagini dell'ex premier anche in formato matrioska e pure in compagnia di Dudù, mentre si chiama Dolly il Jack Russel che fu adorato da Zaffirelli - non stava neppure in affitto. Nel 2001, il Cavaliere comprò quella bella casa dove viveva scespirianamente Zeffirelli, soprannominato non a caso Scespirelli, la pagò 3 miliardi e 775 milioni di lire e la prestò per sempre al grande regista ed ex parlamentare forzista che ha sempre ripetuto: «Silvio è la persona più generosa al mondo». Certo, il luogo è decentrato ma la bellezza della dimora in un grande comprensorio che risale agli anni 30 è assoluta e soprattutto saranno sempre più sporadiche, come dicono i suoi, le visite dell'ex premier a Roma. Dopo l'estate dovrebbe cominciare il trasloco da Palazzo Grazioli, che di affitto costa 40mila euro al mese, e entro la fine dell'anno si chiuderà la lunga storia, dal 96, che lega il Cavaliere e la politica italiana dall'inizio della Seconda Repubblica a questo edificio. La cui grandezza è stata nell'ossimoro: un edificio monarchico e anarchico, esattamente come il Cavaliere. Ora ci sono soltanto quattro segretarie, un autista, alcuni uffici (quello di Valentino Valentini, quello di Sestino Giacomoni, la cosiddetta zona Letta), le stanze a disposizione di Confalonieri e Paolo Berlusconi quando pernottano a Roma, le sale riunioni, la sala da pranzo (soprannominata «lo scannatoio» considerando le litigate tra maggiorenti forzisti che lì si sono svolte sulle candidature), la cucina dove troneggiava il cuoco Michele (per i pranzi e cene tricolori che facevano dire a Bossi: «Qui si mangia poco e male») e i salotti, i salottini, i corridoi damascati del piano nobile in cui Putin lanciava la pallina a Dudù e tutto il resto. Compresi i divanetti in cui s'addormentava Paolo Bonaiuti quando Silvio lavorava fino alle 3 del mattino. O la grande stanza con la tivvù in cui si vedevano le partite ma anche dove capitava che il sovrano desse da mangiare al cagnolino reale e qui ha sempre troneggiato tutto l'anno, insieme a un plastico del Colosseo, l'albero di Natale alto oltre due metri e forte della preziosità di essere Swarowski. Naturalmente in tutte queste stanze oltre a decidersi le liste elettorali e a stabilire chi comandava - una volta due super-big azzurri s'accapigliarono a colpi di dossier giudiziari e Verdini li dovette dividere: «Ma proprio qui dentro si fa il peggior giustizialismo? Ma siete impazziti?!» - si svolgevano feste e divertimenti. Come quando, per restare nella sfera politica, si affollarono di bella gente questi saloni, con i palloncini che volavano, per esempio per celebrare la vittoria del 2008. E chi non ricorda il vecchio parlamentino forzista nel palazzo? E l'ammezzato in cui si sfornava il Mattinale? E l'ansia bonaria di Berlusconi quando Tatarella andava in bagno: «Lo lascia sempre in disordine»? E la spending review della Pascale contro i leggendari fagiolini («Troppo carestosi!», esclamava in slang napoletano) a 80 euro al chilo? Ma questi sono i fasti di un tempo. Quando in piena notte se Silvio leggeva sui giornali freschi di stampa qualcosa che non gli garbava, chiamava l'Ansa. Gli passavano i dimafoni e lui: «Sono Silvio Berlusconi». E loro, per nulla colpiti dal calibro dell'interlocutore: «Va bene, titolo?». Ora è tutto un po' crepuscolare. E siccome Silvio non viene quasi più, il partito lavora nella sede di Piazza in Lucina. Nel sintonizzarsi sul nuovo, nell'esigenza di andare all'essenziale, che riguarda anche un tipo sensibile come Berlusconi agli stati d'animo collettivi, rinunciare a Palazzo Grazioli è nelle cose. E come molti strappi sentimentali può fungere anche questo come una spinta verso il futuro. Tra Arcore, la villa di Marina in Provenza dove Silvio si trova benissimo e la voglia di frequentare Bruxelles come padre nobile del popolarismo europeista, per Berlusconi Palazzo Grazioli è una spesa non più essenziale come un tempo. E la ex villa di Zeffirelli, svuotata purtroppo di tutti i cimeli che sono andati nella Fondazione intitolata al maestro, è un posto magico dove recarsi quando serve, anche per lavorare con più concentrazione.

Tommaso Labate per corriere.it il 30 giugno 2020. Da quello che anni dopo sarebbe diventato lo studio di Silvio Berlusconi – e che si sarebbe trasformato nel reparto di ostetricia per eccellenza della Seconda Repubblica, che ha visto nascere governi, alleanze politiche di ogni ordine e grado, trame nazionali e internazionali, nomine per le aziende di Stato, inchieste della magistratura, sceneggiature di film, in ordine rigorosamente sparso – il giorno di San Valentino del 1978, il figlio del proprietario di casa alza il telefono e chiede di farsi passare il settore “annunci pubblicitari” de «Il Tempo». Davanti a sé, proprio sulla scrivania che poi sarebbe stata ereditata del Cavaliere, un foglietto di carta con una frase che l’uomo sta per dettare al telefono perché venga pubblicata sugli annunci del quotidiano romano. «Gambero rosso tutte le specialità marinare, pranzo a prezzo fisso, lire 1500». L’uomo si chiama Giulio Grazioli ed è il figlio del duca Massimiliano Grazioli Lante, che da poco più di tre mesi - per la precisione dal 7 novembre del 1977 - si trova nelle mani della Banda della Magliana. Non c’è nessun gambero, nessuna specialità marinara, nessun pranzo, dietro quel messaggio. C’è però un prezzo fisso, quello sì: un miliardo e mezzo di lire (lire 1500 voleva dire questo) che la famiglia pagherà per riavere il duca. Che però, ma questo lo si sarebbe scoperto dopo, al momento in cui avviene la telefonata è già stato ucciso. Senza quel clamoroso fatto di cronaca, e l’incredibile scia di sangue a cui avrebbe dato origine, visto che il miliardo è mezzo della famiglia Grazioli furono il capitale sociale versato alla fondazione della Banda della Magliana, probabilmente la storia di quel Palazzo e Silvio Berlusconi non si sarebbero mai incrociati. Sarebbe stato proprio Giulio Grazioli a cedere in affitto il piano nobile dello stabile al presidente di Forza Italia, l’inventore della Seconda Repubblica che nel 1995 – qualche mese dopo il ribaltone che l’aveva estromesso da Palazzo Chigi – prende quindi dimora nel triangolo delle Bermude dell’amata-odiata Prima. Centosessanta metri dagli scheletri della dc di Piazza del Gesù, duecentoquaranta dai fantasmi dei comunisti di Botteghe Oscure, quattrocento dal luogo in cui le Br avevano fatto trovare il cadavere di Aldo Moro. Quando entra da affittuario nel piano nobile di Palazzo Grazioli, Berlusconi viene considerato un uomo politicamente finito. E invece da lì, nel giro di qualche anno, demolirà la bicamerale di Massimo D’Alema, riannoderà il fili dell’alleanza con Umberto Bossi, tornerà al governo nel 2001 e dopo ancora nel 2008. Tutte tappe preparate nel corso di riunioni infinite, col tempo scandito dalle penne tricolori del cuoco Michele e dalle mozzarelle di bufala, con un angoletto destinato a fare da “magazzino” di cravatte e foulard griffati Marinella (oggi ha cambiato fornitore), omaggi per i gentili visitatori della casa. La decadenza dei selfie in bagno e le incursioni di Patrizia d’Addario sarebbero arrivati dopo, molto dopo. Come molto dopo, anno 2009, sarebbe arrivata la convivenza condominiale con la tv satellitare messa in piedi dall’associazione Red di Massimo D’Alema. Anche la storica rimozione della fermata dell’autobus di fronte all’ingresso di via del Plebiscito sarebbe arrivata tardi, 26 dicembre 2009, motivata da un asettico comunicato dell’Atac, la municipalizzata del trasporto urbano capitolino: «Da questa mattina sarà soppressa in via del Plebiscito la fermata delle liee bus 30, 62, 63, 64… L’intervento ha l’obiettivo di fluidificare il traffico per ragioni di sicurezza, legate alla vicinanza della residenza del Presidente del Consiglio». Prima, inizio anni Duemila, Grazioli diventa l’incubo di Gianfranco Fini, all’epoca fumatore accanito, che sperimenta la ritrosia del padrone di casa nei confronti delle sigarette accese dentro casa. Rivelerà anni dopo l’ex presidente della Camera di essere piombato furibondo «a casa di Berlusconi in piena notte e di aver acceso una sigaretta; la cenere mi cadde sul tappeto e tutti gli altri, Berlusconi compreso, la fissavano terrorizzati, come se quello di cui parlavamo avesse meno importanza». Non si contano gli addetti ai call center delle televendite di Mediaset che l’allora premier prendeva d’assalto quando di notte, insonne, si innamorava di un set di coltelli visto in tv e chiamava per comprarlo. «Lei è il signor? Dove li spediamo?». «Berlusconi Silvio, via del Plebiscito, Roma». E dall’altra parte del telefono, soprattutto le prime volte: «Ma cos’è, uno scherzo?». L’inerme Palazzo Grazioli scrive anche capitoli decisivi della storia, come dire, più contemporanea. Il 3 agosto del 2013, quando riceve la notizia della condanna in via definitiva, Berlusconi si trova là dentro. Sotto casa, il gruppetto di ultras noto alle cronache come «L’Esercito di Silvio» aspettava la sentenza trepidante. Leggendario l’errore in cui incorre lo sparuto gruppo di sostenitori, che ascolta alla radio la lettura del dispositivo della Cassazione e lo scambia per una sentenza di assoluzione. «Andate a festeggiare più in là», scandiscono i vigili. Da festeggiare c’era ben poco. Tempo qualche ora e Berlusconi si sarebbe affacciato a benedire la rabbia dei sostenitori di Forza Italia, che accorrono sotto Palazzo Grazioli chiedendo a gran voce l’uscita degli azzurri dal patto col Pd e quindi dal governo Letta. Scena che si ripete dopo l’estate, quando il Senato vota la decadenza dell’ex premier e si innesca un meccanismo che porta all’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Ora tutto si sposta più in là, sull’Appia antica, dove Berlusconi abiterà nella villa di Franco Zeffirelli acquistata vent’anni fa. Portandovi cravatte, foulard, coccarde di Forza Italia, gadget impolverati, bandiere, coltelli. E cappelli pieni di ricordi, come nella canzone di De Gregori.

Concita De Gregorio per "l'Unità" il 2 luglio 2020. Tempo fa ho conosciuto una giovane procuratrice legale che lavora in un celebre studio di avvocati della capitale. Precaria, molto volitiva, piuttosto bella. Lamentandosi degli incerti del mestiere ed elencandoli ne ha enumerato ad un certo punto uno non censito finora tra i disagi classici dei lavoratori flessibili. «E poi anche alle feste del Presidente ormai ti trovi in compagnia di chiunque. Le prime volte c'erano deputate, attrici, manager. Insomma persone con una professione. Adesso sono soprattutto escort e la mosca bianca sei tu che lavori». Ho osservato, per prendere tempo, che anche le escort (accompagnatrici da catalogo, ultimamente autrici di libri editi da prestigiose case editrici su «come renderlo schiavo in perpetuo», testimoni di eccezione a certi processi di risonanza transoceanica, ospiti nei talk show a giorni alterni per illustrare le caratteristiche del loro tipo di part time) sono professioniste, lavorano eccome. Lei scuoteva la testa mirando l'oliva con lo stuzzicadenti, sembrava avvilita davvero allora mostrando comprensione ho domandato: ma poi quali feste, scusi? «La festa di compleanno, per esempio». L'ultima volta alla festa di compleanno del Presidente c'erano quasi solo escort e lei si era sentita sola. È ovvio che a questa storia non ho creduto e non ci credo, si sa che certa gente le spara per darsi un tono, tuttavia per non deluderla le ho chiesto: e cosa avete fatto, alla festa? Brindato, ballato? «Un po' di tutto, le solite cose per divertirsi, le cose che piacciono a lui, spettacolini». Così, col diminutivo. «Poi ci ha regalato la solita farfalla, le disegna lui. Eccola è questa qui. Ogni tanto incontro una che non conosco con la farfalla al collo e penso ma guarda, anche lei. Una volta, con una, ce lo siamo anche dette: anche tu?». La farfalla l'ho vista, la portava al collo: ha un bordo d'oro e le ali trasparenti tempestate di piccoli strass. Forse brillanti, può essere. La procuratrice mi ha detto che ne sono state fatte fare centinaia. Che storia inattendibile, no? Certamente falsa però per assonanza mi è tornato in mente quel primario che regalava una Cinquecento a ogni infermiera con cui aveva una relazione, il parcheggio dell'ospedale pieno di macchine uguali e di ostili sguardi obliqui. Così, siccome mi dispiaceva che pensasse che non le credevo, gliel'ho raccontata. «A me una macchina mi avrebbe fatto più comodo», mi ha risposto seria e con un sospiro ha infilzato l'oliva.

18 giugno 2009 – PATRIZIA D'ADDARIO, LA DONNA AL CENTRO DELLO SCANDALO. Antonio Massari per La Stampa. Una vita piena di scossoni, insomma, quella di Patrizia d'Addario, nata il 17 febbraio 1967. Fino al tentativo, immediatamente naufragato, d'entrare in politica con il Pdl. Alle ultime elezioni amministrative, candidata con la «Puglia prima di tutto», lista guidata dal ministro Raffaele Fitto, ha collezionato appena sette voti. I suoi rapporti con la giustizia, molto spesso, l'hanno vista «parte offesa». Spesso minacciata o duramente percossa. Nelle carte giudiziarie, risalenti al biennio 2004 - 2006, viene registrata la sua attività da prostituta: un suo convivente «more uxorio» la «induceva alla prostituzione. Una relazione burrascosa, tra i due, nella quale lo sfruttatore la convinceva a prostituirsi in diversi alberghi, le procacciava i clienti mediante annunci pubblicati su un quotidiano locale e si faceva consegnare parte dei guadagni percepiti con il meretricio. Con l'aggravante di averla picchiata tutte le volte in cui, quest'ultima, manifestava il desiderio di interrompere l'attività». Un carattere imprevedibile e sanguigno, se è vero che nel dicembre 2006 è nuovamente interrogata in procura. Dopo aver inseguito l'ex convivente, con la propria auto, in autostrada, l'avrebbe spinto fuori dalla carreggiata. L'inseguimento si conclude con un tamponamento all'altezza di Bitonto. Il procedimento giudiziario, invece, si conclude con un'assoluzione: il suo «ex» ritira la querela. Ma ancora nell'estate 2008, a quanto pare, i due si frequentavano. E l'uomo avrebbe cercato di farla prostituire, ancora una volta, addirittura in giro per l'Europa.

18 giugno 2009 - UNA SQUILLO DA 2 MILA EURO PER IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera. Ci sono almeno tre ragazze che hanno confermato di aver preso soldi per partecipare alle feste a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa. Due sono state interrogate dal pubblico ministero a Bari, l'altra a Roma. Hanno raccontato i dettagli, tanto che una di loro ha chiesto e ottenuto il permesso di poter andare all'estero «per un po'» sostenendo di «temere per la mia sicurezza». Anche Patrizia D'Addario è stata ascoltata per oltre cinque ore dal magistrato Pino Scelsi. La candidata alle elezioni comunali con la lista «La Puglia prima di tutto», che ha rivelato le due serate che avrebbe trascorso con il premier nella residenza capitolina, ha poi depositato le registrazioni audio dei suoi incontri e un video dove lei stessa si sarebbe ripresa con un telefonino. «L'ho fatto - ha fatto mettere a verbale - perché così nessuno potrà smentire che sono stata lì».

Tarantini e le squillo. A gestire le ragazze sarebbe stato Giampaolo Tarantini, l'imprenditore pugliese di 35 anni titolare insieme al fratello Claudio, 40 anni, di un'azienda - la Tecnohospital - che si occupa di tecnologie ospedaliere. Per questo è stato iscritto nel registro degli indagati per induzione alla prostituzione e la scorsa settimana è stato interrogato alla presenza di un avvocato. Sono gli stessi vertici della Procura di Bari a confermare che «è in corso un'indagine su questo reato in luoghi esclusivi di Roma e della Sardegna», nata da alcune conversazioni telefoniche durante le quali lo stesso Tarantini avrebbe trattato con le ragazze le trasferte e i compensi.

Il patto con Patrizia. È proprio Tarantini il mediatore che avrebbe portato Patrizia D'Addario alle due feste con Berlusconi. Le era stato presentato da un amico comune che si chiama Max e le disse di chiamarsi Giampi.

Di fronte al pubblico ministero la donna ha confermato che «per la prima serata l'accordo prevedeva un versamento di 2.000 euro, ma ne ho presi soltanto 1.000 perché non avevo accettato di rimanere. La seconda volta - era la notte dell'elezione di Barack Obama - sono rimasta e dunque ho lasciato palazzo Grazioli la mattina successiva. Quando sono arrivata in albergo la mia amica che aveva partecipato con me alla serata mi ha chiesto se avevo ricevuto la busta, ma io le ho risposto che non avevo ricevuto nulla. Il mio obiettivo era ricevere un aiuto per portare avanti un progetto immobiliare e Berlusconi mi aveva assicurato che lo avrebbe fatto. Giampaolo mi disse che se lui aveva fatto una promessa, l'avrebbe rispettata ». Il racconto della D'Addario sulle modalità degli incontri coincide con quello verbalizzato dalle altre tre ragazze. Tutte avrebbero specificato di essere state «contattate da Giampaolo che ci chiedeva se eravamo disponibili a partire. Talvolta accadeva poche ore prima e in quel caso i biglietti aerei erano prepagati». Le verifiche della procura riguardano adesso gli spostamenti successivi. Le testimoni avrebbero infatti riferito che le modalità concordate prevedevano che, una volta giunte a Roma, loro arrivassero in taxi fino all'albergo indicato e da lì dovevano attendere l'autista di Giampaolo che le prelevava e le portava a palazzo Grazioli. «Poco prima dell'arrivo - ha sottolineato Patrizia -, ci facevano tirare su i finestrini che erano sempre oscurati. Quando arrivavamo negli hotel ci veniva detto come dovevamo vestirci: abiti eleganti e poco trucco». La candidata alle comunali ha depositato nella segreteria del pubblico ministero cinque o sei cassette audio e un video che la ritrae davanti a uno specchio e poi mostra una camera da letto. In un fotogramma c'è una cornice con una foto di Veronica Lario. Il magistrato dovrà adesso verificare l'attendibilità di questo materiale con una perizia che accerti se la voce incisa sul nastro è davvero quella del premier e se gli ambienti sono effettivamente interni a Palazzo Grazioli. La decisione di convocare le ragazze in Procura è stata presa dopo aver ascoltato le intercettazioni telefoniche di Tarantini. Dopo aver verbalizzato la loro versione, sono stati programmati nuovi interrogatori per le prossime settimane. Nella lista del pubblico ministero ci sarebbero diversi nomi: altre giovani che sarebbero state contattate dall'imprenditore e persone che potrebbero aver avuto un ruolo in questa vicenda. L'elenco comprende i collaboratori dello stesso Tarantini, ma anche i politici che avrebbero deciso di mettere la D'Addario in lista per le comunali. Lei ha specificato che non le fu mai proposto di andare a Villa Certosa, in Sardegna, «però Giampaolo mi disse che c'era la possibilità di andare in vacanza all'estero, mi pare alle Bermuda ». Altre si sarebbero invece accordate per partecipare a feste nella residenza presidenziale di Porto Rotondo.

19 Giugno 2009 - SABINA BEGAN "È LEI ANELLO CRUCIALE DELLA CATENA CHE ANNODA L'IMPRENDITORE TARANTINI A BERLUSCONI". Carlo Bonini per la Repubblica. In un'indagine per sfruttamento della prostituzione che somiglia sempre di più a una matrioska, ballano ora una storia di cocaina e tre nuovi nomi di donne. Sabina Began, Angela Sozio, la deputata Elvira Savino. Due di loro, la Sozio (ex ragazza Grande Fratello, catturata dall'obiettivo di Antonello Zappadu in grembo al Presidente del Consiglio già nel 2007 nel Parco di Villa Certosa) e la Savino, non è chiaro in che contesto e in quale veste. Se cioè perché oggetto delle conversazioni intercettate di Gianpaolo Tarantini o perché indicate da testimoni che frequentavano le feste del premier. La Began, al contrario, perché anello cruciale della catena che annoda l'imprenditore barese al Presidente del Consiglio. Showgirl di origini slave che ha tatuate sul corpo le iniziali S. B., "l'uomo che mi ha cambiato la vita", la Began è accompagnata ormai da una letteratura che l'ha battezzata "l'ape regina" del premier. Nella sera della vittoria elettorale del centro-destra - si è letto nelle scorse settimane - è a palazzo Grazioli, sulle gambe di Silvio Berlusconi che canta "Malafemmena". Ma, a stare alle acquisizioni dell'inchiesta barese, ricorre ora con costanza nelle conversazioni intercettate di Gianpaolo Tarantini. Frequenta le ville sarde dell'uno (la notte di Ferragosto 2008, è tra i 400 ospiti della festa che dà Tarantini) e dell'altro (fonti qualificate riferiscono che sia stata lei a introdurre a Villa Certosa la showgirl Belen Rodriguez). Lavora da vaso comunicante tra le ragazze del giro dell'imprenditore e quelle ammesse al cospetto del Presidente del Consiglio. E' il relé che, in Sardegna, trasforma Gianpaolo in "Giampi" e la sua villa in un indirizzo - un set sarebbe più corretto dire - che conta. Anche per questo, nel lavoro istruttorio della Procura di Bari, Roma pesa quanto la Sardegna e Palazzo Grazioli quanto la villa di Capriccioli, a Porto Cervo, il luccicante retiro che Tarantino sceglie come piedistallo per guadagnare la benevolenza del premier. Un gioiello incastrato nelle rocce e avvolto dalla macchia che si aprono su Cala Volpe. Non troppo lontano da Villa Certosa. Un angolo di straordinaria bellezza dove - ne sono convinti gli inquirenti - l'imprenditore costruisce un suo nuovo pantheon. L'affitto della villa - riferisce una fonte che ha frequentato la casa - ha un prezzo spettacolare, 100 mila euro al mese, perché spettacolare deve essere il trampolino di lancio di quel "ragazzo" di 35 anni barese che nessuno conosce e che, improvvisamente, a Porto Cervo diventa per tutti "Giampi". In un'estate - quella del 2008 - che deve appunto segnare il suo passaggio definitivo dall'orbita redditizia, ma defilata, dagli appalti e forniture ospedaliere, a quello della consulenza nel business che conta e che ha bisogno della politica per camminare. E che diventa - ecco l'altra novità dell'inchiesta - cornice di una storia di cocaina.

Concita De Gregorio per "L'Unità". La storia dell'imprenditore Giampaolo Tarantini merita un momento di attenzione. Produce protesi, la sua ditta ha sede a Bari, attraversa un cattivo momento. «E' in crisi di liquidità», ci racconta Massimo Solani. Dunque cosa fa un imprenditore in crisi di liquidità? È evidente, quello che farebbero tutti: affitta una villa in Costa Smeralda vicino a quella di Berlusconi. Spera, si vede, di piazzare le sue protesi. Frequentando i lidi e i locali della costa, quelli animati dal via vai di ragazze che arrivano dal cielo e dal mare - i motoscafi dove le fanciulle prendono il sole sorvegliati dai Carabinieri, tanto per la sicurezza dei sudditi ci sono le ronde - insomma girando con l'asciugamano in spalla Tarantini conosce l'Ape regina, la favorita del Presidente, quella che si dice voli con Apicella sull'Air force One e che male c'è, non è mica reato. L'Ape regina, al secolo Sabina Began sembrerebbe essere - dalle intercettazioni baresi, e non solo - la coordinatrice, per usare l'appropriato termine politico, delle centinaia di candidate all'harem del sultano. L'Ape e Tarantini diventano amici. Tarantini ha accesso alla villa. In breve la sua crisi di liquidità si risolve. Fioccano commesse e nuovi appalti. Le tristi vicende giudiziarie di cui era stato in passato oggetto si sciolgono come neve al sole sardo. Chi non vorrebbe avere come amico il presidente?, direbbe la professoressa del liceo di Noemi. Chi non vorrebbe vendere protesi agli emissari di Putin e di Topolanek? Una vicenda fine impero che si cerca di liquidare come gossip (il Tg1, per esempio, dall'alto della sua autorevolezza parla d'altro) e che è invece diventata un problema per la sicurezza nazionale. Ricordate le parole della moglie? «Ho pregato chi gli sta vicino di aiutarlo come si fa con un uomo malato». Malato della sua ossessione senile per l'eterna giovinezza, la virilità. Anche Chirac lo racconta. L'ossessione di Berlusconi per le ragazze è da anni la prima occupazione di chi lo circonda. Gli procurano book e numeri di telefono, gli organizzano feste a pizze e champagne come quelle dell'argentino Menem. Qualunque escort di provincia può esibire una registrazione sul telefonino, l'abito blu di Monica Lewinski è preistoria. Ghedini è nel panico. Gianni Letta con il prefetto De Gennaro sono convocati al Comitato per la sicurezza, la prossima settimana, a spiegare cosa intenda Berlusconi quando dice «strategie oscure in cui sono coinvolti spezzoni dell'intelligence nazionale con parti deviate dei servizi stranieri». L'intelligence nazionale? La Cia? Di chi è la manina che diffonde le foto? C'entrano Obama, Putin, il gas, Gheddafi? Possibile che a monte della slavina ci sia Patrizia? Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati ieri. Fini gelido cita il Deserto dei Tartari. Gli amici se ne vanno. Veronica aveva ragione: non l'hanno aiutato, anzi. Come si fa a farsi governare da un uomo che qualunque adolescente può inchiodare con una foto? Come può un uomo così ricattabile essere affidabile? Il presidente-utilizzatore ha una possibilità di uscirne, questo dicono i suoi stessi alleati. Ribaltare l'antico adagio. «Utilizzare» è meglio che comandare. Potrebbe essere d'accordo, in fondo.

DAGOREPORT il 30 giugno 2020. L’inizio della fine dell’epopea smutandata di Palazzo Grazioli risale ai primi mesi del 2009. Gianni Letta, eterna “eminenza azzurrina”, a quell’epoca era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi. Il suo orecchio incappa in una delle tante vocine informate sulle serate pazze di Palazzo Grazioli. Quel che apprende - e che poi tutto il mondo verrà a scoprire - non lascia spazio a dubbi: la residenza del Cavaliere è un porto di mare di sgallettate, prostitute, personaggi pieni di ombre e iene in tacco 12 che scattano foto, girano video, conservano informazioni. Il rischio sputtanamento è altissimo. Quello di essere esposti a ricatti, idem. Allora Letta s’attiva: incontra Berlusconi, lo mette in guardia, tenta la carta della “moral suasion”. Sua Emittenza però ha l’antenna dritta: non riesce a chiudere il suo personalissimo parco giochi. Quell’andirivieni di bonazze compiacenti lo esalta. Il tentativo di Letta è un buco nell’acqua. Scatta allora il piano B: bloccare le chiamate in entrata a Palazzo Grazioli dai numeri di telefono delle signorine ospiti del Cav - a ogni fanciulla Silvio aveva dedicato un telefonino. Una mannaia sulle comunicazioni “eleganti” che, all’improvviso, innesca la valanga. Patrizia D’Addario, a differenza di altre beneficate dal Cav, in quel momento non è a Roma né Milano. E’ tornata a vivere in Puglia, dopo aver ricevuto da Berlusconi mille promesse di aiuto per un “progetto edilizio” che voleva realizzare. Lo stop alle comunicazioni piomba sulla sua testa come un macigno. Si sente raggirata, è furiosa. Quando la rabbia prende il sopravvento scatta la vendetta. Contatta una giornalista del “Corriere del Mezzogiorno” dicendosi disposta a rivelare verità scottanti. L’odore dello scoop viaggia veloce fino a via Solferino, dove Fiorenza Sarzanini accalappia la storia e la srotola nell’intervista pubblicata il 17 giugno 2009, che qui ripubblichiamo...

Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 17 giugno 2009 (ultima modifica: 16 luglio 2011). Patrizia D’Addario è candidata nelle liste di «La Puglia prima di tutto», schieramento inse­rito nel Popolo della Libertà alle ultime elezioni comunali a Bari. Ha partecipato alle prime settimane di campagna elettorale al fianco del ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto e degli altri politici in corsa per il Pdl. Ma adesso ha deciso di rinunciare perché vuole raccontare un’altra verità. La D’Addario ha cercato il Corriere e registriamo, con la massima cautela e il beneficio d’inventario, la sua versione, trattandosi di una candidata alle amministrative. «Mi hanno messo in lista — afferma — perché ho partecipato a due feste a palazzo Grazioli. Ho le prove di quello che dico e voglio raccontare che cosa è successo prima che decidessi di tirarmi indietro. Il mio nome è ancora lì, ma io non ci sono più».

Cominciamo dall’inizio. Quando sarebbe andata a palazzo Grazioli?

«La prima volta è stato a metà dello scorso ottobre».

Chi l’ha invitata?

«Un mio amico di Bari mi ha detto che voleva farmi parlare con una persona che conosceva, per partecipare a una cena che si sarebbe svolta a Roma. Io gli ho spiegato che per muovermi avrebbero dovuto pagarmi e ci siamo accordati per 2.000 euro. Allora mi ha presentato un certo Giampaolo».

Qual era la proposta?

«Avrei dovuto prendere un aereo per Roma e lì mi avrebbe aspettato un autista. Mi dissero subito che si trattava di una festa organizzata da Silvio Berlusconi».

E lei non ha pensato a uno scherzo?

«Il mio amico è una persona di cui mi fido ciecamente. Ho capito che era vero quando mi hanno consegnato il biglietto dell’aereo».

Quindi è partita?

«Sì. Sono arrivata a Roma e sono andata in taxi in un albergo di via Margutta, come concordato. Un autista è venuto a prendermi e mi ha portato all’Hotel de Russie da Giampaolo. Con lui e altre due ragazze siamo entrati a palazzo Grazioli in una macchina con i vetri oscurati. Mi avevano detto che il mio nome era Alessia».

E poi?

«Siamo state portate in un grande salone e lì abbiamo trovato altre ragazze. Saranno state una ventina. Come antipasto c’erano pezzi di pizza e champagne. Dopo poco è arrivato Silvio Berlusconi».

Lei lo aveva mai incontrato prima?

«No, mai. Ha salutato tutte e poi si è fermato a parlare con me. Ho capito di averlo colpito perché mi ha chiesto che lavoro facessi e io gli ho parlato subito di un residence che voglio costruire su un terreno della mia famiglia. Ci ha mostrato i video del suo incontro con Bush, le foto delle sue ville, ha cantato e raccontato barzellette.

Lei è tornata subito a Bari?

«Era notte, quindi sono andata in albergo e Giampaolo mi ha detto che mi avrebbe dato soltanto mille euro perché non ero rimasta».

C’è qualcuno che può confermare questa storia?

«Io ho le prove».

Che vuole dire?

«Che quella non è stata l’unica volta. Sono tornata a palazzo Grazioli dopo un paio di settimane, esattamente la sera dell’elezione di Barack Obama».

Vuol dire che la notte delle presidenziali degli Stati Uniti lei era con Berlusconi?

«Sì. Nessuno potrà smentirmi. Ci sono i biglietti aerei. Anche quella volta sono stata in un albergo, il Valadier. Con me c’erano altre due ragazze. Una la conoscevo bene. È stato sempre Giampaolo a organizzare tutto».

E che cosa è accaduto?

«Con l’autista ci ha portato nella residenza del presidente, ma quella sera non c’erano altre ospiti. Abbiamo trovato un buffet di dolci e il solito pianista. Quando mi ha visto, Berlusconi si è ricordato subito del progetto edilizio che volevo realizzare. Poi mi ha chiesto di rimanere».

Si rende conto che lei sostiene di aver trascorso una notte a palazzo Grazioli?

«Ho le registrazioni dei due incontri».

E come fa a dimostrare che siano reali?

«Si sente la sua voce e poi c’erano molti testimoni, persone che non potranno negare di avermi vista».

Scusi, ma lei va agli incontri con il registratore?

«In passato ho avuto problemi seri con un uomo e da allora quando vado a incontri importanti lo porto sempre con me».

E lei vuol far credere che non è stata controllata prima di entrare nella residenza romana del premier?

«È così, forse sono stata abile. Ma posso assicurare che è così».

E può anche provarlo?

«Berlusconi mi ha telefonato la sera stessa, appena sono arrivata a Bari. E qualche giorno dopo Giampaolo mi ha invitata a tornare. Ma io ho rifiutato».

A noi la sua versione sembra poco credibile...

«Lo dicono i fatti. Berlusconi mi aveva promesso che avrebbe mandato due persone di sua fiducia a Bari per sbloccare la mia pratica. Non ha mantenuto i patti ed è da quel momento che non sono più voluta andare a Roma, nonostante i ripetuti inviti da par­te di Giampaolo. Loro sapevano che avevo le prove dei miei due precedenti viaggi».

E non si rende conto che questo è un ricatto?

«Lei dice? Io posso dire che qualche giorno dopo Giampaolo ha voluto il mio curriculum perché mi disse che volevano candidarmi alle Europee».

Però lei non era in quella lista?

«Quando sono cominciate le polemiche sulle veline, il segretario di Giampaolo mi ha chiamata per dirmi che non era più possibile».

Quindi la candidatura alle Comunali è stata un ripiego?

«A fine marzo mi ha cercato Tato Greco, il nipote di Matarrese che conosco da tanto tempo. Mi ha chiesto un incontro e mi ha proposto la lista 'La Puglia prima di tutto' di cui era capolista lo zio. Io ho accettato subito, ma pochi giorni dopo ho capito che forse avevo commesso un errore».

Perché?

«La mia casa è stata completamente svaligiata. Mi hanno portato via cd, computer, vestiti, biancheria intima. È stato un furto molto strano».

Addirittura? Ma ha presentato denuncia?

«Certamente. Ma ho continuato la campagna elettorale. È andato tutto bene fino al giorno in cui Berlusconi è arrivato a Bari per la presentazione dei candidati del Pdl. Io lo aspettavo all’ingresso dell’Hotel Palace. Lui mi ha guardata, mi ha stretto la mano ed è entrato nella sala piena. Io ero in lista, quindi l’ho seguito. Ma all’ingresso della sala sono stata bloccata dagli uomini della sicurezza e del partito che mi hanno impedito di partecipare all’evento».

È il motivo che adesso la spinge a raccontare questa storia?

«No, avrei potuto continuare a fare campagna elettorale e trattare con loro nell’ombra. La racconto perché ho capito che mi hanno ingannata. Avevo chiesto soltanto un aiuto per un progetto al quale tengo molto e invece mi hanno usata».

Liberoquotidiano.it il 17 settembre 2020. Parla il presunto smacchiatore di giaguari, Pier Luigi Bersani, il segretario Pd della storica non-vittoria. Il giaguaro da smacchiare, ovviamente, era Silvio Berlusconi. Lo smacchiato fu Bersani. Ma questa è storia. Giorni che in un certo senso Pier Luigi sembra rimpiangere. Ed è quanto emerge da un suo intervento a L'aria che tira di Myrta Merlino, su La7, dove l'attuale esponente di Articolo Uno si lascia andare a riflessioni toccanti sul rivale di sempre, sul Cav, il leader di Forza Italia. "Non riesco a considerare Berlusconi uno statista, è un arcitaliano un po' nella caricatura che si è fatto gli affari suoi", premette. Poi, però, come detto si scioglie: "Berlusconi esprime generosità, simpatia, si è fatto gli affari suoi trasmettendo generosità, quindi alla fine puoi essergli avversario ma volergli male è impossibile. Quindi gli faccio gli auguri di cuore, lo chiamerò", conclude. E Marco Travaglio che dice?

Berlusconi, l’aneddoto su Bersani: “Mi tenne la mano in ospedale”. Antonino Paviglianiti il 15/04/2020 su Notizie.it. Silvio Berlusconi ha voluto salutare Pierluigi Bersani ricordando un piacevole aneddoto: "Mi venne a trovare in ospedale". Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani sono stati rivali politici per moltissimi anni. Il culmine di questo scontro giunse nel 2013 nel corso delle elezioni politiche che portarono a un nulla di fatto: Bersani, allora capo politico del Partito Democratico, non riuscì a raggiungere la maggioranza che gli avrebbe consentito di andare al Governo; Berlusconi, nonostante un periodo non proprio felicissimo, riuscì a pareggiare ottenendo una sorta di vittoria. Il 2013 è un anno politico importante perché è il risultato del quadro odierno con l’entrata in gioco di Movimento 5 Stelle, Salvini e Renzi tra i principali soggetti politici. Ed è per questo, forse, che adesso i rapporti tra Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani sembrano essere quelli di due avversari politici che si sono rispettati sul campo di battaglia. A testimoniarlo è anche un aneddoto raccontato dal Cavaliere negli studi di Floris, a DiMartedì. L’aneddoto di Berlusconi e Bersani risale al 2009, quando il Cavaliere subì un attentato il 14 dicembre 2009 con un manifestante che gli lanciò contro una statuina che rappresenta il Duomo e lo ferì. Venne ricoverato al San Raffaele di Milano dove, proprio in quei giorni, andò a fargli visita l’allora capo dei Dem, Pierluigi Bersani. “Mi saluti Bersani, per favore. – ha raccomandato Berlusconi al giornalista Giovanni Floris – Io mi ricordo sempre di quando dopo l’attentato ebbi a subire in Piazza Duomo a Milano venne a trovarmi in ospedale e rimase con me tenendomi la mano tra la sua per mezz’ora. Una persona perbene e generosa, davvero me lo saluti tanto”. Un gesto ricambiato, qualche anno dopo, dallo stesso Silvio Berlusconi allorquando Bersani subì un ictus nel 2014. “Ho appreso con addolorato stupore del malore che questa mattina ha colpito l’onorevole Pier Luigi Bersani. Gli auguro di tutto cuore che possa superare al più presto questo momento difficile per tornare alla sua attività politica e dai suoi cari”, aveva scritto Berlusconi in un messaggio affidato alle agenzie di stampa che si concludeva con “abbraccio affettuoso ad un avversario leale”. Intanto, per quanto concerne la politica odierna, Silvio Berlusconi è intervenuto in merito alla questione Mes attaccando i suoi alleati di centrodestra, Matteo Salvini e Giorgia Meloni: “Questo non è il momento delle polemiche politiche. A tempo debito daremo un governo rappresentativo agli italiani. Adesso, però, c’è bisogno di sostenere Conte. E a lui dico di accettare il Mes, sarebbe un errore dire all’Europa che siamo capaci di fare da soli”. 

Carmelo Lopapa per “la Repubblica” il 2 gennaio 2020. Silvio Berlusconi, 83 anni, resta saldamente alla guida di Forza Italia. Da Arcore, dove ha trascorso in famiglia le feste di fine anno, parla con Repubblica del suo 2020. Smentisce qualsiasi indiscrezione sul passaggio di testimone, nonostante la crisi di consensi e gli addii al partito. Si propone come garante in Europa della leadership e dell' eventuale premiership di Matteo Salvini. Giudica il governo Conte «tra i peggiori della storia».

Presidente Berlusconi, che anno è stato il 2019 che ha segnato il suo ritorno nelle istituzioni, approdando per altro per la prima volta nel Parlamento europeo?

«Considero molto importante l' esperienza in Europa, dove sono stato accolto con grande affetto dai colleghi e amici leader dei principali paesi europei. Il mio proposito è condividere con loro la visione di un' Europa profondamente diversa, unita nella politica estera e di difesa, dotata di forze armate comuni, basata su forti radici giudaico-cristiane e sui principi liberali. Solo un' Europa di questo tipo può affrontare la sfida di civiltà che viene dalla Cina e contenere il rischio di immigrazioni di massa dall' Africa ormai colonizzata dal colosso cinese. Per l' Italia non è stato un anno positivo: si sono susseguiti due governi non scelti dagli italiani e oggettivamente inadeguati a far uscire il Paese dalla crisi. Infatti siamo ancora fra gli ultimi in Europa per quanto riguarda la crescita, la disoccupazione e il debito pubblico».

E come immagina il 2020? Ancora saldamente alla guida di Forza Italia? Tornano ciclicamente le voci di un passaggio di testimone, magari in famiglia.

«Un passaggio di testimone in Forza Italia non è all' ordine del giorno. Dobbiamo riportare al voto i 7 milioni di italiani che oggi non votano ma che, a domanda, si definiscono liberali, moderati, conservatori. Questo non significa naturalmente che Forza Italia non possa e non debba rinnovarsi ed allargarsi, anche per risalire da un livello di consenso elettorale non soddisfacente, ma comunque rilevante dopo i quattro colpi di stato subiti e le molteplici aggressioni giudiziarie di cui è stato vittima il suo leader».

Ci sono stati processi e condanne passate in giudicato. Parliamo del premier Conte: ha in programma un' Agenda 2023. Questo esecutivo secondo lei ha davvero una gittata così lunga?

«Questo governo è nato per evitare le elezioni e per non consentire alla maggioranza degli italiani, che è di centrodestra, di guidare il Paese. Dal loro punto di vista è logico tentare di durare in tutti i modi. Ovviamente tutto ciò ha un prezzo salato che pagano gli italiani in termini di tasse, di disoccupazione, di mancanza di sviluppo. Questo per non parlare dell' inciviltà giudiziaria voluta dai grillini, il cui simbolo è l' abrogazione della prescrizione, così grave che neppure il Pd riesce ad accettarla».

Il centrodestra ha un leader e candidato premier conclamato, Matteo Salvini. Lei pensa che sia realmente in grado di guidare il Paese?

«Ma sa, in democrazia questo lo decidono gli elettori. E in Italia hanno dato un messaggio molto chiaro. Del resto, Salvini è un leader avveduto. Sì, talvolta usa toni da comizio, ma lo fa perché sono graditi ai suoi sostenitori».

In Europa però attorno a Salvini e al sovranismo è stato eretto una sorta di cordone sanitario. Come pensa di rassicurare i partner europei del Ppe?

«La nostra presenza come colonna portante del centrodestra è assoluta garanzia del fatto che il prossimo governo avrà una politica costruttiva sull' Europa e non verrà meno a quei principi di democrazia liberale e di solidarietà europea e occidentale che d' altronde i nostri alleati hanno detto molte volte di condividere. In ogni caso saremo noi, che siamo parte del Partito popolare europeo, a vigilare sulla coerenza con questi valori«.

Voi garanti, ma con problemi al vostro interno: in queste settimane, dal Trentino alla Sicilia, si registrano esodi in direzione Lega o Fdi. Forza Italia ha ancora un futuro? Come pensa di rilanciare il partito che oggi i sondaggi danno a una sola cifra e di evitare nuove fughe?

«In verità gli episodi ai quali lei allude, assolutamente marginali, sono la dimostrazione del fatto che è in atto un profondo rinnovamento: quando si cambia, qualcuno rimane scontento e può reagire in modo sbagliato. Devo dire che invece ho particolarmente apprezzato i nostri dirigenti che hanno accettato e favorito il cambiamento, anche perché noi non rottamiamo nessuno: l' esperienza va valorizzata quanto il rinnovamento».

Di quale cambiamento sta parlando?

«Stiamo coinvolgendo nella gestione di Forza Italia sul territorio dei bravi sindaci e amministratori locali. Nei giorni prima di Natale abbiamo raccolto nelle piazze delle città italiane moltissime firme a sostegno della proposta di fissare in Costituzione un limite massimo accettabile della pressione fiscale, oggi intollerabile. Questo grande impegno organizzativo e di militanza conferma che Forza Italia è viva e continua a dialogare con gli italiani».

Salvini non ha escluso che tra due anni possa essere Mario Draghi il nuovo capo dello Stato. È una soluzione che approva anche lei?

«Sono stato io ad imporre Mario Draghi alla signora Merkel come guida della Bce. Tuttavia mi sembra inelegante parlare ora della successione al Presidente Mattarella, che è in carica nella pienezza dei suoi poteri e che svolge il suo compito con ammirevole equilibrio e prudenza istituzionale».

Il Presidente Conte si considera a pieno titolo un attore politica: ha dichiarato al nostro giornale che non si ritirerà a vita privata, a fine mandato. Che giudizio esprime, dopo 18 mesi a Palazzo Chigi?

«Conte ha guidato e guida due fra i peggiori governi della storia della Repubblica. Quello attuale è il più a sinistra in assoluto ed è la nostra antitesi. In Italia noi siamo gli unici continuatori ed eredi della cultura politica liberale, cattolica e garantista, su cui si fondano le società libere dell' Occidente».

Silvio Berlusconi è risorto, e smentisce la sua sempre annunciata fine. Paolo Guzzanti il 5 Febbraio 2020 su Il Riformista. Sono più di dieci anni che il giornalismo in pompa magna e anche quello più logoro si esercita su un tema di scuola: il dopo Berlusconi. Ora, è vero che Forza Italia passeggia da un bel po’ sul viale del tramonto, ma Berlusconi è una variabile indipendente dal partito/movimento che ha creato. È come l’eterna storia del mancato successore: Berlusconi, hanno scritto tutti, «non ha creato un successore». Come se i successori si creassero. Quello che è accaduto con la vittoria della forzista storica Jole Santelli in Calabria resterà nella storia della letteratura, oltre che della politica. La sua vittoria ha sfondato le più rosee previsioni e di conseguenza tutti hanno potuto vedere che Berlusconi è non soltanto risorto, ma si è anche assunto in cielo con una sua definita collocazione che non ci sembra proprio identica a quella che gli abbiamo sentito raccontare condividendo il palco con don Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Come sempre accade con quest’uomo unico e irripetibile, si è assistito ancora una volta al trionfo del “fattore umano” che è un elemento non calcolabile e che ogni volta scompagina le file di quelli col paraocchi. Ma oltre al fattore umano c’è stato un colpo di reni ideologico e politico che probabilmente stagnava e che non sarebbe riemerso in modo così netto, senza la vittoria calabrese, così travolgente e con il ben visibile marchio di fabbrica, quello di Forza Italia, che sembrava avviato al museo delle cere. Certo, la vittoria calabrese va intestata prima di tutto a Jole Santelli che ha danzato poi tutta la notte senza voce e senza scarpe come una baccante felice. Non c’è dubbio ed è certamente vero che sulla candidata di Forza Italia (che si era anche presentata con una propria lista personale) si sono chiamati a raccolta i voti anche della Lega e di Fratelli d’Italia. Tutto vero, ma la riemersione calabrese della Forza Italia berlusconiana e del suo fondatore, padre, figlio e spirito santo di se stesso, è stata l’ennesima smentita della sempre annunciata fine di Berlusconi. Il quale, come abbiamo visto e letto, si è divertito ad essere sfrontato, a sfidare il politicamente corretto arrivando a dire che a lui, Jole che conosce da un quarto di secolo «non gliel’ha mai data». È strano, pensateci: Berlusconi lo può dire, gli altri no. Fa sempre un effetto elettrico una frase del genere, ma Berlusconi è l’unico politico italiano che sia stato portato in tribunale con tutte le sue storie private vere e false, la sua vita immaginata e immaginaria dominata dalla sessualità, come ha confermato sarcasticamente complimentandosi con la Santelli. Solo lui. A nessuno importa scoprire che cosa fanno a letto, e con chi, gli altri politici, ma nel suo caso, poiché la santa inquisizione è entrata sotto le sue coperte e fra le lenzuola, a caccia del satiro, il paradosso diventa politica. Ecco dunque Berlusconi che nella sua lunga ed emozionata telefonata in Calabria ha trovato il modo di far intervenire anche Lulù, cagnetto disturbatore, ma più che altro ha messo in scena il lo spettacolo popolare del leader vittorioso, il rinato, se non l’immortale, almeno quello che tutti danno per spacciato e che invece riemerge, spariglia, spiazza e scompiglia. Gli ingredienti dello spettacolo politico del nuovo Berlusconi trionfante contenevano gli elementi topici: la dedica la sua vittoria alla memoria dei suoi genitori «e ai miei nipotini che come tutti i bambini e i ragazzi della Calabria devono avere la speranza di poter tornare a vivere in questa terra e all’uomo che mi ha consentito di fare della politica la mia vita». Come si vede, siamo molto oltre il Berlusconi «sceso in campo» per risolvere un’emergenza un quarto di secolo fa perché ci troviamo – in un panorama totalmente cambiato e devastato – di fronte a un ex antipolitico che riconosce di essere prima di tutto proprio un politico e anzi uno che rivendica l’onore di aver fatto della politica la ragione della sua vita. Sono parole nuove, accompagnate da una rivendicazione di campo: Forza Italia, dice, è l’unico partito che esprima la tradizione liberale, cattolica e garantista. Ci sarebbe da dire forza Silvio, facci vedere chi sei alla guida di quel mondo di mezzo sfuggito di mano e che ha prima sbandato per Renzi, poi per Salvini e Di Maio, impazzendo come la maionese. Questo è stato, ci sembra, l’elemento che fa notizia: non tanto e non solo la vitalità personale e il carattere spiazzante, ma la rivendicazione di un’area in via di estinzione. La Calabria è una strana Regione il cui elettorato ha dato sempre prova di libertinaggio. Ma sta di fatto che la vittoria di Jole Santelli archivia un lungo predominio dei Partito democratico calabrese sfasciato e in conflitto con se stesso. La nuova governatrice promette di far scintille e vedremo se lo saprà fare e come. Ma di sicuro la sua folgorante vittoria sotto le bandiere berlusconiane ha dato modo al leader fondatore di rivendicare non soltanto la sua leadership di partito, ma anche quella di un’Italia – per usare le sue parole – liberale, cattolica e garantista. Ed è evidente che oggi il mainstream italiano non sappia più che cosa significhi la parola liberale, confonde il cattolicesimo con le madonnine portachiavi e quanto al garantismo, con la riforma della persecuzione a vita voluta dai pentastellati non tira proprio buona aria. Si dovrebbe chiedere a questo punto a Berlusconi che intenzioni ha per il futuro, dopo aver digerito la gioia per la vittoria calabrese. Il suo amico Bossi sostiene che con la sconfitta emiliana il sovranismo leghista ha iniziato la sua parabola discendente. E lui? Che cosa farà, dopo aver incoronato la Santelli (che non gliel’ha mai data)? Rivendicherà la leadership, tenterà come ha annunciato di accreditarsela di nuovo? Silvio Berlusconi è nelle condizioni di battere in colpo a livello nazionale e sarebbe un buon colpo per la politica italiana che sempre più balla sull’abisso.

·        Berlusconi e la Famiglia.

Da ilmessaggero.it l'1 agosto 2020. Luigi Berlusconi, ultimogenito dell'ex premier Silvio, sposerà la storica fidanzata Federica Fumagalli a Milano. La comunicazione - rivela il Giorno - è stata pubblicata nell'albo pretorio del Comune di Milano. Trentadue anni ancora da compiere lui, impegnato nel mondo della finanza, un anno in meno lei, di professione Pr, Luigi e Federica si sono conosciuti quando entrambi frequentavano l'università Bocconi e da nove anni sono una coppia. Si era inizialmente parlato di un matrimonio estivo dopo che Chi aveva rivelato della proposta di matrimonio fatta il giorno di Natale da Luigi Berlusconi. Ora, con le restrizioni per il Coronavirus che stanno lentamente rientrando, c'è l'ufficialità delle nozze, un matrimonio che si annuncia blindato considerando l'indole riservata della coppia.

Da corriere.it l'8 ottobre 2020. Silvio Berlusconi potrebbe uscire oggi dalla quarantena. Il leader di Forza Italia è risultato ieri negativo a un tampone, e oggi ne eseguirà un secondo. Se l’esito fosse ancora negativo, l’ex premier potrà considerarsi definitivamente guarito dal Covid, che l’ha colpito a inizio settembre. In questo caso, inoltre, Berlusconi potrà partecipare, questa sera, al ricevimento delle nozze del figlio Luigi e della fidanzata Federica Fumagalli, a Macherio. Impossibile però, per il fondatore di Forza Italia, partecipare alla cerimonia, che si svolgerà oggi, in chiesa, a Milano, in forma strettamente privata. Berlusconi, 84 anni, era risultato positivo al coronavirus il 2 settembre scorso. Il peggioramento delle sue condizioni di salute — e in particolare, l’insorgere di una polmonite bilaterale — lo aveva costretto al ricovero all’ospedale San Raffaele. Dopo le dimissioni, il 14 settembre, il fondatore di Mediaset era rimasto in isolamento domiciliare, poiché ancora positivo al Sars-CoV-2: e così, in quarantena, aveva trascorso, il 29 settembre, il suo compleanno, che aveva descritto come «il mio peggiore». Come raccontato dal suo medico, Alberto Zangrillo, Berlusconi, durante il ricovero, era apparso molto provato, anche perché «una delle caratteristiche veramente negative del Covid-19: ti obbliga alla solitudine e ad affrontare la malattia da solo». Il leader di Forza Italia aveva parlato, all’uscita dall’ospedale, del Covid come della «prova più pericolosa della mia vita», e in una intervista al Corriere aveva spiegato di essere stato «in angoscia per i figli e i nipoti». Luigi stesso — l’ultimo figlio — era risultato positivo al Covid, così come Barbara e Marina. Barbara Berlusconi aveva commentato la notizia della sua positività — e quelle che la individuavano come una delle possibili cause della malattia del padre — con un’intervista al Corriere, nella quale spiegava di non essere «un’untrice: contro di me [è stato messo in atto] un trattamento disumano». Luigi Berlusconi, 32 anni, non aveva mai commentato le notizie relative al suo stato di salute. Estremamente riservato, è a capo della cassa di famiglia — la Holding Italiana Quattordicesima — che custodisce il patrimonio suo, di Barbara e di Eleonora. La notizia delle nozze con Federica Fumagalli — laureata all’università Bocconi di Milano, una carriera nella comunicazione e nell’organizzazione di eventi — era emersa solo dopo le pubblicazioni sull’Albo pretorio del Comune di Milano, il 1 agosto scorso.

Luigi Berlusconi e Federica Fumagalli, nozze a Sant'Ambrogio: chi è la pr che ha sposato l'ultimogenito dell'ex premier. Pubblicato mercoledì, 07 ottobre 2020 da Brunella Giovara su La Repubblica.it. Luigi e Federica Fumagalli sposi in una delle chiese più belle di Milano. Dopo la cerimonia per pochi intimi, a Macherio la cena con la famiglia riunita. Si sono conosciuti da studenti, all'Università Bocconi, e sono una coppia da quasi nove anni. Oggi Luigi Berlusconi, ultimogenito del leader di Forza Italia, ha sposato la sua fidanzata Federica Fumagalli nella cappella dell'oratorio San Sigismondo della basilica di Sant'Ambrogio, uno dei luoghi più suggestivi di Milano. La sposa è arrivata dieci minuti prima delle 17 a bordo di un van con i vetri scuri, attraverso i quali si intravedeva il velo dell'abito bianco realizzato dall'amica stilista Alessandra Rich. All'ingresso il servizio di sicurezza controllava i nomi degli ospiti, circa quaranta secondo indiscrezioni, molti dei quali sono giunti a bordo di van o auto con vetri oscurati. Fra di loro, ovviamente, ci sono la mamma dello sposo, Veronica Lario, le sorelle Barbara ed Eleonora, e anche la primogenita di Berlusconi, la presidente di Fininvest e Mondadori, Marina Berlusconi. La cerimonia è celebrata da un padre domenicano.  In serata, al ricevimento in programma nella tenuta brianzola di famiglia a Macherio, definito strettamente famigliare, Silvio Berlusconi è atteso con la fidanzata, la deputata di FI Marta Fascina, per fare gli auguri agli sposi. Federica Fumagalli ha 31 anni, uno in meno di Luigi, è originaria di Sirone, in provincia di Lecco, figlia di un imprenditore tessile della zona. A Milano, dopo la laurea in giurisprudenza, ha fondato con Manuel Bogliolo una società di comunicazione - la MB Projects -, si occupa di organizzazione di eventi e di diversi marchi di moda. I suoi profili social, Facebook e Instagram, mostrano foto di coppia, con amiche e in famiglia, sul lavoro, non patinate e con lo sfondo di una vita lontana, almeno finora, dall'attenzione mediatica a cui la famiglia Berlusconi è da sempre abituata. La coppia vive da tempo in via Rovani, nella prima casa (meglio dire villa) di Silvio e Veronica Lario, che hanno appena ristrutturato. Hanno due cani, due pastori tedeschi. L'inizio della loro storia dopo che Luigi aveva concluso una storia con Ginevra Rossini, la nipote di Salvatore Ligresti. Le pubblicazioni di matrimonio erano comparse sull'albo pretorio del Comune di Milano lo scorso agosto, ma la cerimonia - in forma privata e con una cena ristretta nella villa di Macherio - era stata già posticipata per l'emergenza Covid, ancor prima che diversi membri della famiglia, compreso lo stesso Luigi, fossero contagiati dal virus.

Claudia Guasco per “il Messaggero” l'8 ottobre 2020. La sposa è un guizzo di velo candido, una fugace visione a bordo di un van con i vetri scuri. I testimoni, con mascherina bianca e peonia all' occhiello, sono più rilassati ed escono dalla chiesa a piedi. In un' ora, comprese foto, firme e fuga precipitosa in auto, Luigi Berlusconi e Federica Fumagalli sono marito e moglie. Il matrimonio dell' anno, ai tempi del coronavirus, è un evento rapido ma ancora più esclusivo: non più di trenta persone, riunite prima nella cappella dell' oratorio San Sigismondo della basilica di Sant' Ambrogio, poi nella villa di Macherio, la casa dove Luigi e le sue sorelle sono cresciuti. Causa Covid, anche nozze senza padre dello sposo. Comunque per tutti è stata una giornata memorabile: dopo oltre un mese di malattia, Silvio Berlusconi è negativo al virus e ha brindato agli sposi duranti il ricevimento. Insieme alla compagna Marta Fascina era alla cena nella residenza brianzola, restituita dall' ex moglie Veronica Lario dopo il divorzio. Una breve partecipazione, considerato che è ancora convalescente, tuttavia significativa e non solo per le nozze del figlio. Per la famiglia Berlusconi in modalità allargata è la prima occasione di incontro dopo un' estate disastrosa, nella quale il buen retiro sardo dell' ex premier si è trasformato nel cluster di villa Certosa. Si sono ammalati Silvio Berlusconi, Luigi e Federica ai tempi ancora fidanzati, Barbara e due dei suoi tre figli, la primogenita Marina. Qui ad agosto tra famigliari, amici, amici degli amici, visite di Flavio Briatore, personale di servizio e la scorta, la barriera anti virus ha mostrato più di una crepa. I membri di Forza Italia che sbarcavano in villa per le riunioni politiche erano ammessi solo con il risultato negativo del tampone, ma il via vai estivo era ben più difficile da controllare. Così il 2 settembre l' ex Cavaliere, che trasferitosi nella residenza a sud della Francia pensava di aver messo chilometri a sufficienza tra sé e il Covid, ha annunciato la sua positività. E sui rapporti famigliari si sono addensati nubi di tempesta. Chi ha contagiato Berlusconi, 84 anni compiuti il 29 settembre e dunque paziente a rischio? Circolano foto di Barbara che balla a Capri, con un gruppo di amiche e senza mascherina, prima di approdare a villa Certosa.

Lei si indigna: «Nei giorni in cui vivo momenti di grande angoscia per la salute di mio padre penso sia disumano essermi trovata su tutti i media come l' untrice ufficiale della persona a cui voglio più bene. La caccia all' Untore è una cosa da Medioevo, e la trovo umanamente inaccettabile oltre che scientificamente indimostrabile». Passano le settimane, tutti guariscono compreso il patriarca che proprio ieri viene sottoposto all' ultimo test (negativo) e il matrimonio di Luigi è circondato da un' aura di riappacificazione. A Sant' Ambrogio, infilandosi dal passo carraio sul retro, arrivano Barbara con il figli, la sorella Eleonora, il compagno Guy Binns e il bebé seduto sul seggiolino, la presidente di Fininvest e Mondadori Marina Berlusconi, Veronica Lario a bordo di una Jaguar nera.

La sposa - una bella trentunenne laureata in legge alla Bocconi, appassionata di moda e con una società che organizza eventi - è arrivata poco prima delle cinque, in abito bianco con velo di pizzo realizzato dall' amica stilista Alessandra Rich, italiana naturalizzata inglese. È una delle firme preferite da Kate Middleton, suo l' iconico abito blu a pois bianchi che la duchessa di Cambridge ha indossato in due occasioni. Federica Fumagalli è originaria di Sirone, in provincia di Lecco, figlia di un imprenditore tessile della zona. Indipendente, riservata, rifugge tutto ciò che è appariscente tanto che non ha mai esibito l' anello di fidanzamento che Luigi le ha infilato al dito a Natale 2019, quando l' ha chiesta in sposa durante la vacanza in montagna. La coppia si è conosciuta in università tra il 2011 e il 2012, lui aveva appena concluso una storia con Ginevra Rossini, la nipote di Salvatore Ligresti, e da quel momento non si sono più lasciati. A unirli, affinità elettive e stile di vita: poca mondanità, amici fidati, viaggi e lavoro. Da tempo abitano nella villa milanese di via Rovani, la prima casa in cui Silvio e Veronica andarono a vivere insieme, con i loro pastori tedeschi Uno e Arturo. Qualche mese fa pareva che la famiglia dovesse crescere: «Ci piacerebbe molto, ma non è ancora il momento», ha smentito lui. Ora potrebbe essere arrivato.

Valerio Palmieri per ''Chi'' l'1 luglio 2020. Benedetta è stata la scelta, compiuta dieci anni fa, di far vivere la propria famiglia al mare, nel Golfo del Tigullio. Quando Pier Silvio Berlusconi e Silvia Toffanin hanno deciso di trasferirsi in Liguria non potevano, infatti, immaginare che un giorno sarebbero stati obbligati, come tutti, a trascorrere intere settimane isolati a causa del coronavirus. E la loro casa, il luogo dove hanno vissuto il lockdown, è appoggiata su uno scoglio con accesso diretto al mare. Trasferire la famiglia è stata una scelta non meditata, nata spontaneamente dopo la nascita di Lorenzo, il figlio maschio, e ispirata dalla voglia di tranquillità, di una vita normale in una cittadina abitata da gente semplice, tanto che i figli possono andare alle scuole pubbliche. Ma anche una scelta dettata dalla passione straordinaria per il mare che da sempre contraddistingue Pier Silvio che, in queste zone, ha trascorso la sua prima infanzia e dove, pare, sia stato concepito. Nuotare, manovrare fin da bambino le prime barche a remi e poi a motore, andare sott’acqua come un pesce, stare all’aperto. Un amore per il mare che ora Pier Silvio sta trasferendo al figlio, Lorenzo: i due escono insieme in acqua, alle prime ore del giorno e poi al tramonto, a nuotare, a remare sulle tavole Sup, a esplorare con la maschera i fondali. Da terra li guardano e sorridono: «Sono uguali e in simbiosi totale». Ora la vita di Pier Sil vio sta tornando alla normalità, ma con grande prudenza, sia a casa sia nel lavoro. La sua famiglia ha rispettato le norme di isolamento al 101% e la stessa attenzione ha voluto fosse applicata alla sua azienda. Nei primissimi giorni dell’emergenza, Pier Silvio ha voluto inviare una lettera a tutte le persone e agli artisti che lavorano con lui. «Come avrete capito» , ha scritto ai suoi, «Mediaset ha agito tempestivamente, mettendo in atto una serie di misure straordinarie per garantire la sicurezza di tutti noi. Ma, allo stesso tempo, abbiamo lavorato per continuare a fare gli editori a pieno regime anche in queste circostanze così difficili. Abbiamo garantito un vero e proprio servizio sociale all’Italia intera. E di questo dobbiamo essere fieri». E, in effetti, il momento per le imprese è davvero complicato, soprattutto per quelle che hanno dovuto continuare a lavorare giorno e notte anche nei momenti più duri, a ranghi ridotti e con tutti gli impedimenti che sappiamo, senza la certezza di raccogliere gli investimenti pubblicitari che, nel caso delle televisioni commerciali come Mediaset, che offrono tutto gratuitamente, sono l’unica fonte di vita. Eppure, anche in quei giorni difficilissimi, tra video-riunioni e conference call, Pier Silvio ha avuto vicina come mai la sua famiglia: Silvia, il suo amore da vent’anni, la piccola Sofia, che mai si era goduta il papà così a lungo, e Lorenzo, che non andava a scuola, ma faceva scuola di mare. Il mare sempre davanti agli occhi ha avuto un ruolo purificatore anche per l’amministratore delegato di Mediaset: «Io nel mare mi rispecchio», ha detto a chi l’ha sentito negli ultimi giorni, «il mare mi fa guardare al futuro in maniera più lucida. Sono stato ancora più concentrato sul lavoro, senza distrazioni. Non ho sofferto l’isolamento perché non mi sentivo isolato. Ero focalizzato». Pier Silvio in Liguria sta bene, potesse lavorerebbe sempre da lì. Del Tigullio ama i luoghi, la natura, le persone: marinai, pescatori, negozianti, pensionati, che ora tornerà a frequentare come d’abitudine. E anche loro provano affetto per lui. Il Comune di Portofino lo ha da poco nominato cittadino onorario. E lui ha trovato un modo per dare un po’ d’allegria a tutti, anche in giorni strani come questi. Il 10 giugno era una data importante per il figlio Lorenzo, il giorno dei suoi 10 anni. «Non potevamo fare nessuna festa», ha spiegato Pier Silvio agli amici, «ma volevo si ricordasse questo compleanno così “speciale” e allora ho fatto una piccola follia. Con una sorpresa, abbiamo organizzato uno spettacolo di fuochi d’artificio su una piattaforma in mezzo al mare. Lorenzo è rimasto stupefatto e felice». E anche per la comunità, che ha visto quelle luci nella notte dopo tanti mesi di buio, quello spettacolo è stato un segnale di ritorno alla vita.

N.Sun. per “Libero quotidiano” il 27 giugno 2020. Utili boom e nuovo consiglio d'amministrazione per Fininvest con l'ingresso di Adriano Galliani e Niccolò Ghedini. Prendono il posto di tre professionisti che hanno brillato molto nella costellazione del Cavaliere: Bruno Ermolli (il maestro di Marina), Roberto Poli (commercialista di grido) e Pasquale Cannatelli, l'uomo della finanza che il Cavaliere ha portato in Parlamento due anni fa. Le nomine sono avvenute al termine di un'assemblea dei soci non certo avara di soddisfazioni per la cassaforte della famiglia Berlusconi. Fininvest, ancora una volta, si è dimostrata fonte di grande ricchezza per la dinastia. Silvio e i suoi ragazzi si sono divisi una torta di dividendi da 84 milioni a valere su un utile consolidato di 220 milioni. Un risultato in forte crescita rispetto ai 202,8 milioni del 2018. Escludendo le partite non ricorrenti, il risultato è positivo per circa 213 milioni di euro, in significativo miglioramento rispetto ai 117 milioni realizzato nell'esercizio precedente, sempre escludendo le partite straordinarie. A questo punto, però, occorre fare una piccola focalizzazione di natura contabile per capire esattamente come sono andate le cose. I 220 milioni sono l'utile di gruppo. Quello che conta, a fini del dividendo, è il risultato della sola Fininvest che nel 2019 è stato esattamente di 84 milioni. Vuol dire che la famiglia si è divisa tutti i guadagni di Fininvest dell'anno scorso. Nel 2018 aveva fatto ancora di più: si era assegnata un dividendo di 92 milioni a fronte di un risultato netto di 57,8 milioni. La differenza era arrivata utilizzando le riserve. L'azionariato di Fininvest vede le holding personali di Silvio Berlusconi detenere il 63% circa del capitale, i primi due figli (Marina e Pier Silvio) con oltre il 7% ciascuno, mentre la società comune di Barbara, Eleonora e Luigi ha poco più del 21%. In base a queste quote il Cavaliere si è portato a casa più di cinquanta milioni. Poco più di sei milioni a testa Marina e Pier Silvio. I tre ragazzi di Veronica Lario si sono divisi all'incirca 16 milioni. Il 2020 potrebbe essere molto meno generoso. I risultati, si legge nella relazione di bilancio «saranno inevitabilmente condizionati dalla crisi generata dal Covid-19, crisi di cui ad oggi non è possibile stimare con precisione l'evoluzione. Tuttavia, la solidità strategica, economica e patrimoniale evidenziata ha permesso a tutte le aziende del Gruppo di attivarsi efficacemente per affrontare l'emergenza e per mitigarne al massimo gli effetti negativi sui rispettivi business». C'è anche da dire che, nonostante i brillanti risultati neanche il 2019 è andato esente da difficoltà. Il fatturato, per esempio è sceso a 3.886,4 milioni di euro rispetto ai 4.429,5 milioni del 2018 (-12,3%). «Una flessione da attribuire in gran parte al venir meno per Mediaset dei ricavi pubblicitari legati ai Mondiali di calcio e alla cessazione dell'attività di pay-tv» scrive Marina nella relazione di bilancio nella veste di presidente. L'indebitamento è salito a 1,305 miliardi rispetto agli 878,8 milioni del 2018. Il peggioramento di 426 milioni è riconducibile agli investimenti di natura strategica effettuati nel corso dell'esercizio. In particolare da parte di Mediaset con la scalata a Prosienbensat. In ogni caso il gruppo è ancora in grado di generare una cassa di 330 milioni. Silvio e suoi ragazzi possono dormire tranquilli.

MR. per “il Giornale” il 27 giugno 2020. Sia investitori finanziari sia gruppi media hanno contattato «nelle ultime settimane» Mediaset, mostrando interesse per i progetti del Biscione in particolare basati su MediaForEurope e sulla creazione di un nuovo polo televisivo europeo. Ad annunciarlo è stato il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, nel suo discorso all'assemblea degli azionisti, svoltasi a distanza per le regole del Covid, che ha approvato il bilancio: l'utile di 190 milioni è stato messo a riserva. «Nelle ultime settimane - anche durante l'emergenza sanitaria - abbiamo ricevuto molto interesse da parte di investitori finanziari e partner industriali, per le prospettive che questa nuova dimensione potrebbe aprire», ha sottolineato Confalonieri. In sostanza il mercato promuove la strategia europea e quindi il riassetto del gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi imperniato su Mfe. Gli occhi degli analisti restano poi puntati sul destino del broadcaster tedesco ProsiebenSat, di cui Mediaset è il primo socio con poco meno del 25% e che ha visto il finanziere ceco Daniel Kretinsky e i suoi partner limare la propria quota sotto il 10 per cento. Dal punto di vista degli equilibri assembleari il cda di Mediaset ha ammesso al voto Vivendi, secondo socio dietro a Fininvest, ma non Simon Fiduciaria. E, sempre Confalonieri ha prima bollato il tentativo di scalata di Vivendi come «un esempio negativo di campagna malriuscita per la conquista ostile di un'azienda». Ma anche lo stesso progetto Mfe, considerato da Mediaset ancora più necessario e strategico dopo la pandemia, viene rallentato -ha proseguito Confalonieri - «dall'atteggiamento ostruzionistico di Vivendi. Ieri, inoltre, si è svolta l'assemblea di Fininvest, presieduta da Marina Berlusconi, che ha approvato il bilancio 2019 chiuso con un utile consolidato di 220,3 milioni, in crescita rispetto ai 203 milioni dell'anno precedente. Nel 2019 il gruppo ha effettuato investimenti per 1,166 miliardi, sostanzialmente stabili rispetto al 2018. Gli investimenti strategici effettuati, in particolare da Mediaset in ProsiebenSat, hanno determinato un incremento dell'indebitamento a fine 2019 (1,3 miliardi). «I risultati 2020 saranno inevitabilmente condizionati dalla crisi generata dalla pandemia da Covid-19, crisi di cui ad oggi non è possibile stimare con precisione l'evoluzione», si legge in una nota che precisa come «la solidità strategica, economica e patrimoniale evidenziata ha permesso a tutte le aziende del gruppo di attivarsi efficacemente per affrontare l'emergenza e per mitigarne al massimo gli effetti negativi». L'assise ha deliberato di distribuire ai soci l'intero utile 2019 della capogruppo pari a 84,2 milioni di euro. L'assemblea di Fininvest ha infine rinnovato il cda. Confermati Marina Berlusconi, Danilo Pellegrino (ad), Barbara Berlusconi, Luigi Berlusconi, Pier Silvio Berlusconi e Salvatore Sciascia. Assieme a loro sono stati nominati Adriano Galliani e Niccolò Ghedini in luogo di Pasquale Cannatelli, Bruno Ermolli e Roberto Poli.

Marina Berlusconi replica a Repubblica: "L'amore per papà non mi acceca". Libero Quotidiano il 21 Gennaio 2020. Le vecchie ossessioni sono dure a morire, come quella che nutre Repubblica nei confronti di Silvio Berlusconi e la sua intera famiglia. Tanto che oggi, martedì 21 gennaio, il quotidiano ha pubblicato un commento di Francesco Merlo, il quale accusa Marina Berlusconi, in estrema sintesi, di essere come da titolo una delle "figlie guardiane dallo sguardo un po' miope". Merlo, insieme ad altre figlie di padri celebri, le contesta quello che la stessa Marina, in una lettera inviata a Repubblica, definisce "un eccesso di amore che, accecandole, condizionerebbe inesorabilmente la loro difesa militante dei padri". Secondo Merlo, tra le varie, Marina "da tempo porta sulle spalle papà Silvio come Enea portò Anchise". E ancora, dopo aver analizzato il ruolo di diverse figure femminili, sentenzia: "Tutto bello dunque? No, la medaglia ha una faccia sporca: la custodia di queste italianissime figlie femmine, spesso arcigna e severa come un tribunale speciale, è quasi sempre anche l'imprigionamento del padre, soprattutto quando le sua grandi qualità lo hanno reso protagonista del tempo". E ancora: "Le occhiute e cocciute figlie-guardiane rischiano infatti di impedire o solo rallentare la verità storica su uomini che appartengono all'Italia e non a loro. Anche perché guardandoli troppo da vicino le figlie vedono male i padri per i quali stravedono", conclude. Parole pesanti, per le quali la figlia del Cav passa al contrattacco: "È sicuro Merlo che l’amore di una figlia accechi più dell’odio a testa bassa dell’avversario politico?". E ancora: "Conosco molto da vicino mio padre, l’uomo che è, l’energia e la generosità con cui ha affrontato i problemi del Paese, conoscendo tutto questo ho potuto soppesare bene, senza mi pare eccessive miopie, quanto assurdi fossero e siano gli attacchi contro di lui, quanto lontane dal vero le valutazioni sul suo agire politico, quanto persecutorie e strumentali certe inchieste della magistratura", rimarca Marina Berlusconi. "E non credo - riprende nella lettera -, per usare le parole di Merlo, che il mio comportamento rischi di impedire o solo di rallentare la verità storica. Il desiderio che mi anima è esattamente l’opposto: quello - lo sostengo senza alcuna velleità e presunzione - di dare il mio piccolo, piccolissimo contributo perché verità e storia non camminino più su strade divergenti, perché la verità storica cominci finalmente ad essere letta senza le lenti deformanti del pregiudizio e dell’odio". Infine, Marina Berlusconi sottolinea come "certi giudizi politici mi pare inizino a riscoprire un poco di obiettività, mi pare che a fronte di un desolante presente anche molti avversari inizino a rendersi conto dei meriti di chi da più di vent'anni si impegna per cercare di migliorare le cose in questo Paese. Dopo tanti veleni, sarebbe un bel passo avanti", conclude.

Berlusconi-Lario, accordo sul divorzio: entrambi rinunciano ai crediti. Il leader di Forza Italia non chiederà i 46 milioni del contenzioso, l'ex moglie non rivendicherà la cifra di 18 milioni. La Repubblica il 06 febbraio 2020. Silvio Berlusconi e Veronica Lario hanno raggiunto un accordo, ratificato dal Tribunale di Monza, che mette la parola fine alla battaglia legale sui profili economici del divorzio, chiudendo tutte le pendenze. Il leader di Forza Italia, assistito dagli avvocati Valeria De Vellis e Pier Filippo Giuggioli, ha rinunciato a chiedere i circa 46 milioni di euro che l'ex moglie gli doveva sulla base della sentenza della Cassazione che confermò la revoca dell'assegno di divorzio. Lario, dal canto suo, ha rinunciato a chiedere 18 milioni. In sostanza, da quanto si è saputo, i giudici del Tribunale di Monza (presidente del collegio Laura Gaggiotti) hanno dato il via libera all'intesa raggiunta dalle due parti. Un accordo che passa appunto per la rinuncia reciproca dei crediti e che chiude tutte le pendenze giudiziarie e, in particolare, la 'partita' sui pignoramenti reciproci che erano stati disposti nell'ambito del contenzioso. Sempre sulla base dell'intesa, Berlusconi, a questo punto, dovrà versare soltanto una somma 'una tantum' all'ex moglie, che allo stesso tempo, però, contribuirà in parte a pagare le spese legali. Il punto importante dell'accordo, però, è che, da un lato, l'ex premier rinuncia ai circa 46 milioni che Lario gli doveva e, dall'altro, l'ex consorte, assistita dal legale Cristina Morelli, non chiederà più circa 18 milioni. A fine agosto scorso, la Suprema Corte aveva stabilito che Veronica Lario vive una condizione di "assoluta agiatezza", che la ripaga del "sacrificio delle aspettative professionali" da ex attrice, e che quindi non ha diritto all'assegno di divorzio, come già deciso dalla Corte d'Appello milanese (il tribunale lo aveva inizialmente quantificato in 1,4 milioni al mese). L'effetto di questa sentenza era che Lario avrebbe dovuto restituire appunto circa 46 milioni all'ex marito. Nel frattempo, Berlusconi, attraverso i suoi legali, aveva ottenuto anche dai giudici di Monza un decreto ingiuntivo per i pignoramenti di beni della ex moglie, oltre a quelli già pignorati a partire dal 4 settembre scorso, ossia i conti correnti a lui intestati in 19 banche su cui erano depositati somme di denaro, titoli, obbligazioni e altro. Conti che erano stati, a sua volta bloccati, da Veronica nell'aprile del 2017. L'accordo siglato stamani chiude ogni pendenza, compresi i procedimenti sui reciproci pignoramenti.  

 Accordo con Veronica sul divorzio: Berlusconi rinuncia a 46 milioni. Pubblicato giovedì, 06 febbraio 2020 da Corriere.it. Silvio Berlusconi e Veronica Lario hanno raggiunto un accordo, ratificato dal Tribunale di Monza, che mette la parola fine alla battaglia legale sui profili economici del divorzio, chiudendo tutte le pendenze. Il leader di Forza Italia , assistito dagli avvocati Valeria De Vellis e Pier Filippo Giuggioli, ha rinunciato a chiedere i circa 46 milioni di euro che l’ex moglie gli doveva sulla base della Cassazione che confermò la revoca dell’assegno di divorzio. Lario, dal canto suo, ha rinunciato a chiedere 18 milioni. In prima istanza, il tribunale civile di Monza aveva stabilito che l’ex moglie di Berlusconi avesse diritto a un assegno di mantenimento mensile di 1,4 milioni di euro; beneficio che aveva fin da subito fatto scalpore e revocato prima dalla Corte d’Appello e poi dalla cassazione con una sentenza dell’agosto 2019: Berlusconi aveva sostenuto di aver già provveduto al sostegno economico di Veronica mediante la donazione di immobili, gioielli, società; i giudici dal canto loro avevano applicato il principio che alla fine di un matrimonio la moglie (o il marito) perde il diritto a mantenere lo stesso tenore di vita garantito in precedenza. Per effetto di questa sentenza Veronica Lario avrebbe dovuto restituire al Cavaliere tutti gli arretrati, pari a 46 milioni di euro. Il matrimonio tra Silvio e Veronica è durato dal 15 dicembre 1990 al 2014; dalla relazione la coppia ha avuto tre figli, Barbara, Eleonora e Luigi.

·        Berlusconi e le Donne.

Dagospia il 3 dicembre 2020. Estratto dall'intervista di Andrea Sparaciari per il “Fatto quotidiano”. "Il 21 dicembre vado in aula e racconto tutto!". È un fiume in piena, Barbara Guerra, l' ex olgettina tornata al centro delle cronache per quel "Io lo ricatto di brutto" scritto in una chat alla collega di "cene eleganti", Aris Espinosa, riemerso all' ultima udienza del processo Ruby Ter, il 30 novembre. Un' udienza sospesa perché i giudici hanno rivisto verso l' alto il valore delle due ville di Bernareggio (da 900 mila a 1,1 milioni di euro), nelle quali abitano Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli (…).

Questa è casa sua o è di Berlusconi? Chi paga le bollette lei, o, come dicono i pm, Silvio?

«Questa non è casa mia. Non ho alcun documento, sono un' abusiva. Non ho neanche il domicilio qui e col Covid rischiavo di essere multata ogni volta che uscivo. Silvio mi ospita, è casa sua e paga tutto lui».

Quindi il dubbio che sia frutto di un ricatto è lecito.

«Ho avuto le chiavi della villa un anno e mezzo prima di venirci ad abitare. Se lo avessi ricattato ci sarei venuta subito. E se avessi avuto i soldi, ora sarei in America».

E perché allora le ha dato una villa gratis?

«Ero una testimone, quando scoppiò lo scandalo, mi licenziai, avevamo sempre i giornalisti sotto casa, mi seguivano anche i maniaci. Silvio nel 2011 mi diede le chiavi e io sono entrata nel 2013. Mi fece scegliere 100 quadri che poi trovai in casa. Nel 2015 poi aveva promesso di intestarmi questa casa, ma non l' ha fatto. Silvio fa così: promette e non mantiene mai. (…) Mi ha usata e raggirata. (…) Era lui che invitava a cena le minorenni e le ragazze. (…) Nel "periodo delle olgettine" ricevevo un sussidio da 2.500 euro al mese, una miseria. Nel 2015, ci ha convocato tutte e ci ha liquidato: 25 mila euro ognuna. Poi per due anni è scomparso. C' era la fila davanti al cancello di Arcore, eravamo tutte lì. (…) Ho provato più volte a denunciarlo per violenza e maltrattamenti psicologici, ma nessun carabiniere ha voluto verbalizzare la denuncia. (…) Quel giro c' è ancora tutto. Fino a febbraio scorso sicuramente. Alcune sono ragazze degli anni passati, altre new entry e poi ci sono soubrette della tv. C' è anche un giro romano. Ma non è mai venuto fuori».

Silvio Berlusconi, Lele Mora sulle cene ad Arcore: "Qual era la sua mania. E ciò che non ha mai osato chiedermi". Libero Quotidiano il 21 luglio 2020. Si racconta. E racconta tutto, Lele Mora, l'ex agente dei vip super-star. Si parte dai cinque anni dai gesuiti e si passa per l'amicizia col cardinale Parolin. Poi il bisnonno, che a Verona aprì il primo locale gay d'Italia. Ovviamente Fabrizio Corona, "molto furbo. Non intelligente, ma brillante. Affetto da smania di protagonismo e bramosia di denaro". E nell'intervista firmata da Stefano Lorenzetto e pubblicata su Italia Oggi, ovviamente, si arriva anche a Silvio Berlusconi. Sul quale snocciola dettagli peculiare e alcune riflessioni: "Berlusconi aveva la mania delle cene tricolori - premette Lele Mora -. Dall'antipasto pomodoro, mozzarella, basilico al gelato pistacchio, limone, fragola. Mai il secondo". Dunque, una battuta sulle celeberrime e mitologiche (soprattutto per i magistrati) cene di Arcore: "Si rideva e si scherzava. Andati via i cortigiani, il re si ritrovava da solo con i suoi soldi. Mi pare umano che cercasse di svagarsi. Ma non si è mai permesso di chiedermi il numero di cellulare di una ragazza", conclude Lele Mora, tratteggiando un ritratto del Cavaliere ben differente rispetto a quello che la magistratura, per anni, ha provato a proporci.

Valerio Palmieri per "Chi" il 13 luglio 2020. Era il primo volto femminile della tv commerciale. Capelli biondi e ricci, voce squillante. Scelta come valletta da Mike Bongiorno fra mille pretendenti, Fabrizia Carminati si impose all'attenzione del pubblico e, di conseguenza, a quella dei giornali. Allora, come oggi, due gossip la presero di mira: quello di una sua storia con Silvio Berlusconi e quello di un flirt con Beppe Grillo, con tanto di foto. «Uno è verissimo, l'altro è falsissimo», ci racconta subito, divertita. L'abbiamo rintracciata a Torino, dove vive con la famiglia ed è la star di PrimAntenna. La Carminati, in tempi non sospetti, è stata vicina a due leader, che dominano la scena politica italiana. «Mi sembra ieri e sono passati un casino di anni, ma vaffanbagno! (ride, ndr). Però, devo dire che la cosa mi emoziona molto, perché sono figlia di un vigile e sono arrivata a conoscere questi due grandi personaggi. Di Silvio sapevo che sarebbe diventato uno degli uomini più importanti d'Italia, mentre Beppe non avrei mai immaginato. Quando l'ho visto sul palco mi sono detta: "Madonna santa, guarda cosa combina!"».

Domanda. Partiamo da Grillo, il più enigmatico.

Risposta. «L'ho conosciuto che era agli esordi come me. Era una persona molto simpatica, disponibile, un ragazzo carino, gentile. Aveva voglia di riuscire, di esplodere, si dava parecchio da fare. Io avevo iniziato a lavorare con Mike, lui era stato lanciato da Pippo Baudo, eravamo due ragazzi come tanti di quel periodo in cui lo spettacolo concedeva grandi opportunità, l'offerta si era raddoppiata, avevamo il futuro in mano e credevamo in quello che facevamo. Beppe è rimasto un po' utopista ma, glielo dico subito, io non l'ho votato. Perché sono sempre stata molto legata all'altro, a Silvio. È uno concreto, un motivatore instancabile: ricordo quando agli inizi, a Cologno Monzese, lavoravamo anche di notte per registrare i programmi da mandare in onda e lui li vedeva in bassa frequenza, pronto a farci rifare tutto se non andava bene».

D. Grillo, per come lo conosce, è attaccato ai soldi?

R. «Lo è come tutti, e poi è genovese (ride, ndr). Ma non credo che faccia politica per arricchirsi, lui è già ricco di suo, lo ha fatto anche perché ha visto l'enorme consenso che lo inseguiva, il suo è stato un megaspettacolo elettorale».

D. Ha recitato una parte?

R. «Beppe crede a quello che dice, non è un cretino».

D. Abbiamo delle foto d'epoca di un suo flirt con Grillo.

R. «Questa "storiella" fu inventata ai tempi dai giornali quando io, Beppe e altri volti della tv eravamo a Giardini-Naxos per il Premio regia televisiva. Non c'è stato niente, giuro».

D. Vi siete frequentati?

R. «Ci siamo visti quella settimana in Sicilia e ci vedevamo nelle varie trasmissioni, ma poi ognuno aveva la sua vita».

D. Che cosa ricorda di quel periodo?

R. «Ricordo proprio quell'episodio, cioè che dicevano che Beppe si era innamorato di me».

D. Ed era vero?

R. «Le ripeto che non è vero nel modo più assoluto, ai tempi avevamo altro per la testa».

D. Il vero flirt, allora, fu con Berlusconi.

R. «Ormai lo sa tutto il mondo (ride, ndr), ma poi lui ha scelto Veronica. La vide per la prima volta a teatro, ci eravamo andati insieme. Fui proprio io a dirgli: "Guarda che bella quell'attrice, alla fine vai a farle i complimenti!". Ho portato fortuna».

D. Tanto lei aveva Mimmo, l'uomo che ora è suo marito.

R. «Sì, e Silvio mi ha apprezzato perché ho scelto l'amore di una vita, un'altra si sarebbe approfittata della situazione».

D. Facciamo un confronto fra i leader: chi è il più sincero?

R. «Sono sinceri tutti e due, ma Grillo sta commettendo dei gravi errori sottraendosi al dovere morale di garantire stabilità al Paese, è capace solo di criticare e di dire no. Per questo in tanti lo hanno votato, per protestare, ma ora deve mettere questo patrimonio di consensi al servizio della politica. Anche per fare le cose giuste che dice, cioè tagliare i costi della "casta", evitare gli sprechi di soldi pubblici: da spettatrice sono curiosa di vedere che cosa farà».

Fabrizia Carminati, le confessioni-terremoto: "Ho avuto una storia con Silvio Berlusconi. E quella volta in cui, con Veronica Lario..." Giovanni Terzi su Libero Quotidiano il 13 luglio 2020. Era l'inverno del 1985 quando venni selezionato per partecipare ad un gioco-quiz su Canale 5. Il nome di quel programma era Help tutto per denaro e a condurlo c'erano Fabrizia Carminati e i Gatti di Vicolo Miracoli.  Aspettai quasi venti giorni di registrazioni, ma davanti a me c'era il super campione che vinceva sempre, così che non si aprirono mai le porte del gioco a premi. Disdetta! Così arrivò il Natale e, alla ripresa delle registrazioni, non andai più negli studi di Cologno Monzese per partecipare a quella trasmissione; gli esami in università mi reclamavano. Ma quell'esperienza mi rimase impressa, così come la conduttrice: bergamasca, tosta e spigliata, quella Fabrizia Carminati che improvvisamente era scomparsa dalle reti nazionali. 

E così ho chiesto al mio amico Giorgio Restelli il suo numero di telefono perché desideravo intervistarla per conoscere qualcosa in più di lei.

«Non sono abituata a rilasciare interviste perché ho la mia vita più che appagante, ma per Libero accetto perché mi piace molto Vittorio Feltri; dice ciò che pensa ed è bergamasco come me». Così iniziamo la nostra chiacchierata, all'inizio della quale immediatamente porto in dote quel mio ricordo di quella divertentissima trasmissione a cui non riuscii mai a partecipare. «Erano anni meravigliosi ed io sono stata veramente fortunata ad averli vissuti professionalmente». 

Ma adesso cosa fa Fabrizia Carminati? Ho un sacco di cose da fare anche se non lavoro, può sembrare una contraddizione ma è così». Mi spieghi.

«Innanzitutto mi occupo di mio marito, che per troppo tempo ho trascurato, e di mio figlio Massimiliano; entrambe le cose mi danno enormi soddisfazioni. Due anni fa ho smesso di lavorare per Primantenna una rete privata, dove facevo un programma di cucina». 

Perché ha smesso?

«Gli sponsor iniziavano a mancare ed ho così deciso di chiudere e dedicarmi alla mia famiglia ed a me». 

Cosa significa che si dedica a se stessa? 

«Vado in palestra e cerco di mantenermi in forma. Alla mia età è importante. Anzi le consiglio questa nuova pratica la "crioterapia (011CRYO)" dove, attraverso l'azoto, si arriva a meno 160 gradi in tre minuti. La faccio tre volte alla settimana e devo dire che è straordinaria. Me l'ha consigliata mio figlio». 

Anche lui usa questa questa pratica innovativa? 

«Massimiliano ha quarantotto anni ed è un super atleta, fa Triathlon e l'anno scorso è stato Finisher all'Ironman di Cervia con un suo primo ottimo risultato... ed è solo all'inizio. Io e mio marito siamo andati a vederlo». 

Mi diceva che gli anni '80 sono stati straordinari. Lei come incominciò?

«Per caso. Facevo la modella perché, nonostante non fossi altissima, ero molto proporzionata. Mi chiamarono, quelli della mia agenzia, per fare da valletta a Zingonia, una località in provincia di Bergamo. Li c'era Mike Buongiorno che presentava e quando mi vide disse "Ma sei americana?". Forse perché ero bionda è piena di efelidi. La serata finì così. Poi, sempre nel 1979, la mia agenzia mi chiamò per dirmi se volevo fare un provino per Canale58. Accettai». 

E come andò? 

«Andai a Milano 2 e mi accolse Sancrotti, assistente di studio, ero in un piano interrato insieme a trenta bellissime ragazze. Sancrotti entrò e mi disse "Mike Buongiorno vuole te". Rimasi senza parole». 

Non se lo aspettava per niente?

«Ero arrivata a Milano 2 con la mia 500 e non avrei mai immaginato di firmare il mio contratto con Silvio Berlusconi».

Fu lui in persona a firmare il contratto?

«Sì. E tengo ancora una copia di quella meravigliosa esperienza». 

Ma lei ebbe una relazione con Silvio Berlusconi? 

«Assolutamente sì. È un uomo affascinante ed galante. Veniva sempre ad ogni registrazione che facevo e poi ci portava tutti fuori a mangiare allo Sporting di Milano 2 alla sera. Era piacevole, intelligente e si metteva a cantare e suonare al pianoforte. Furono anni irripetibili». 

E poi come finì?

«Ad un certo punto dissi che ero innamorata di un uomo (oggi il mio marito) e così una sera mi portò a vedere al Teatro Manzoni di Milano. In quella occasione c'era una bellissima donna come protagonista che di nome faceva Veronica Lario». 

La futura moglie?

«Alla fine dello spettacolo dissi a Berlusconi di andare in camerino a complimentarsi con l'attrice protagonista e lui naturalmente lo fece». 

Possiamo dire che fu lei Fabrizia a gettarlo tra le braccia della futura Berlusconi?

«Non abbiamo la prova contraria e comunque quella sera andò dalla Lario». 

E lei, Fabrizia? 

«Io il 15 dicembre 1990 mi sposai con Mimmo ... non le dice niente questa data?». No, perché? «Perché sempre il 15 dicembre del 1990 si sposò anche Berlusconi con Veronica. Senza dircelo ci siamo sposati nello stesso momento e lui fece un gesto davvero affettuoso». 

Quale?

«Il giorno dopo mi arrivò un telegramma con scritto "Scusa il ritardo, ma ero quel giorno molto impegnato anche io", firmato Silvio». 

Parla di Berlusconi con grande amore. 

«Certo, se ho una relazione è perché c'è amore, di lui ho un bellissimo ricordo». 

Lei ha lavorato con tanti grandi partendo da Mike Bongiorno. Che rapporto avevate? 

«Lo devo ringraziare perché mi ha insegnato la professione. Ho imparato tutto da lui. Umanamente non abbiamo mai avuto rapporti di amicizia». 

E con Dorelli, Scotti, Columbro? 

«Con Marco Columbro forse ho mantenuto un minimo di amicizia. Con tutti gli altri ho sempre tenuto separata la mia vita provata da quella pubblica. Anche con i Gatti di Vicolo Miracoli si lavorava benissimo ma poi io scappavo da mio figlio. A vent' anni ero già mamma ...». 

Oltre che a Mediaset lavorò anche in Rai? 

«Sì, con Raffaella Carrà nel 1990, la trasmissione era Venerdì, sabato, domenica Raffaella». 

Come si trovò? 

«La Carrà è una primadonna e da star si è sempre comportata anche con me. Commentava gli abiti che indossavo e se, per caso, la mia gonna era più corta della sua mi faceva cambiare». 

Poi improvvisamente lei scomparì dalle scene televisive. Come mai? 

«Non l'ho mai capito! Iniziavo a chiamare la Ruffini e altre persone di Mediaset ma tutte mi rispondevano nello stesso modo...». 

E come? 

«Non ci sono programmi... Allora iniziarono a chiamarmi per qualche ospitata ma a parte Il gioco dei nove ho preferito uscire dalle scene». 

Ha sofferto per questo? 

«Se non mi è venuto un esaurimento nervoso in due anni è olo perché amo la vita e la mia famiglia mi è stata sempre accanto. Però penso che la mia storia sia simile a tante altre nel mondo dello spettacolo».

Da ilfattoquotidiano.it il 23 gennaio 2020. Silvio Berlusconi è in Calabria per tirare la volata alla candidata del centrodestra, Jole Santelli, in vista delle Regionali. Questa mattina, a Tropea, ha presentato dal palco la deputata cosentina di Forza Italia con una delle consuete battute a sfondo sessuale: “Alla mia sinistra c’è una signora, Jole Santelli. L’ha conosco da 26 anni, non me l’ha mai data”.

Adelaide Pierucci per “il Messaggero” il 29 aprile 2020. Da Signorina Buonasera, amata dagli italiani, a stalker indefessa. La parabola della vita di Virginia Sanjust di Teulada, conduttrice tv e figlia d’arte, indicata anni fa come presunta amica del cuore di Silvio Berlusconi, tocca uno dei punti più dolorosi. Da qualche giorno l’ex presentatrice romana, di casa a PonteMilvio, è finita agli arresti domiciliari in una casa di cura. Sopraffatta da un disagio psicologico ha perseguitato per mesi una ex fiamma, un quarantenne come lei che dopo qualche giorno d’intesa ha preferito non avviare una relazione. Un rifiuto che la Sanjust avrebbe ripagato, appunto, con molestie e persecuzioni: da pedinamenti a intrusioni in casa, conditi con minacce e dall’ossessione di suonare a ripetizione il campanello di casa di lui.

L’OSSESSIONE. Più di sei mesi di tormenti che alla fine hanno spinto l’uomo a denunciare l’innamorata respinta. Gli episodi più gravi, ricostruiti a piazzale Clodio, risalgono a un anno fa, i primi di maggio. L’ex annunciatrice Rai forza una finestra, e in assenza del padrone di casa, si piazza in salone. «Punta su una convivenza con la forza», denuncia lui, «E’ instabile». Passano pochi giorni e l’uomo viene schiaffeggiato. A settembre scene analoghe. L’allontanamento da casa non basta: Virginia Sanjust di Teulada utilizzando un vaso di terracotta infrange la finestra e rientra in casa dell’uomo. A dicembre la strategia si affina. Pochi giorni prima di Natale induce i vigili del fuoco a fare un intervento per rientrare nell’appartamento (che però si rivela appunto non il suo). Serviranno poi altre forze dell’ordine per allontanarla. Lo scorso fine gennaio altra aggressione. L’ex presentatrice si intrufola di nuovo nell’appartamento e cerca di allontanare lui. «Se vuoi vattene tu. Non ne posso più». Tra scampanelii, pedinamenti, tentativi di irruzione i blitz della Sanjust si sarebbero prolungati fino a un paio di mesi fa.

L’EPILOGO. La perizia disposta dai magistrati esclude l’incapacità della donna, figlia dell’attrice Antonella Interlenghi e del nobile sardo Giovanni Sanjust di Teulada, ma ne evidenzia le fragilità. Così gli arresti domiciliari in casa di cura, per i reati di stalking e violazione di domicilio, è stato applicato su richiesta del pm Antonio Verdi.

4 giugno 2009 – Donatella Briganti per Oggi……Eh sì, Virginia conosce bene Berlusconi. Era stata proprio lei ad annunciare un discorso del premier a reti unificate. Lui era rimasto colpito al punto da mandarle un mazzo di fiori con un bigliettino: «Un debutto a reti unificate: evviva e complimenti!». Lei aveva telefonato per ringraziare e da lì la loro «affinità elettiva» era proseguita. Lui l'aveva anche invitata a colazione a Palazzo Chigi. «È vero», ammette, ma senza aggiungere altro. Si erano comunque frequentati per tutti i mesi in cui lei lavorava in Rai. Si sentivano, si vedevano, e pare che lui si aprisse molto con lei. «Mi ha anche insegnato molto, ma il nostro è rimasto, tutto sommato, un rapporto superficiale. Niente di significativo, diciamo così». Ma il suo ex marito, Federico Armati, come viveva questo rapporto? «Mi diceva: dai che così svoltiamo. Per lui era un'occasione da non perdere. Anche lui è un po' troppo materialista. Poi, nel tempo, ha cominciato a crearmi seri problemi, a fare denunce, fino a farmi togliere l'affido di mio figlio. Che è la cosa peggiore che mi potesse capitare». Nei confronti dell'ex marito dice di provare sempre un senso di protezione materna, senza nemmeno sapere il perché. Di Berlusconi parla invece come di un amico che ha bisogno di aiuto. «Lui ora è in grande difficoltà. È circondato da persone che dimostrano una falsa riverenza verso il potere. Attorno a lui c'è un ambiente troppo ruffiano. Lui, invece, ha un grande cuore, un equilibrio fuori dal comune e sa essere molto paterno come era stato con me. Quando mi telefonava mi raccontava tutto quello che stava facendo, mi chiedeva se avevo bisogno di qualcosa, era molto gentile. Ma senza mai andare oltre. "Potrei essere tuo nonno" mi diceva. Io sono sicura di averlo aiutato, anche se l'impatto con il suo mondo poi mi ha fatto male. Lui è vittima della sua troppa intelligenza, vorrebbe farcela e lotta con tutto se stesso per riuscirci. Ma ha sempre ricevuto troppi attacchi, anche dalla medicina che lo convince della necessità di curare all'estremo la sua immagine. È circondato da persone peggiori di lui, questo è il problema. E non ha il tempo nemmeno di rendersene conto. Così, purtroppo, non emergono le sue vere qualità». Aggiunge: «Io invito il presidente a ritrovare se stesso e la fede. Perché proprio una delle prime cose che mi disse era questa. "Sai Virginia", mi confidò da subito, "io ho un po' perso la fede". Per forza, sei attorniato da un mare di vampiri che vogliono sempre qualcosa in cambio o vogliono solo i tuoi soldi! Ci credo che te ne allontani. Forse dovrebbe ammettere di aver sbagliato, di essersi fatto travolgere dal potere dei soldi. Ma alla sua età, dopo una vita, è molto più difficile». L'ex marito di Virginia aveva testimoniato delle lunghe telefonate, dei regali e degli appuntamenti della sua ex moglie con il presidente. «Non ho letto il libro Intrigo di Stato, dove ho capito c'è lo zampino del mio ex marito. Ma in ogni caso lui ha esagerato e io ho fatto anche cinque denunce nei suoi confronti». Sembra non avere peli sulla lingua. Si vede, però, che preferisce parlare di ciò che è spirituale. «Io mi sento vecchia, anzitempo», dice piano guardandosi e accarezzandosi il braccio. «Tutto quello che ho passato mi ha fatto invecchiare. Adesso non penso che alla mia anima. Ho già dato per ciò che riguarda il carnale. Ho vissuto il sesso e per me è ormai è passato, è solo un ricordo. Il mio corpo adesso è un oracolo, un altare sacro. È molto più importante l'amore platonico, come quello che avevo per Berlusconi. Posso fare una provocazione? Berlusconi è l'uomo più impotente del mondo. È Ratu Bagus, invece, quello più potente. Perché il potere che ha il presidente è un falso potere se non accompagnato dalla fede. Quello spirituale, divino, è il potere vero. Quello che ha Ratu Bagus, che mi insegna a comunicare proprio con il divino. Dove non ci sono soldi, non c'è sfarzo, dove non c'è lusso, non c'è la bella vita ma la buona vita. Quella vera».

Silvio Berlusconi, Eva Robin's a la confessione: "Cosa c'era in ogni suo bagno ad Arcore". Libero Quotidiano il 31 Gennaio 2020. Parole clamorose, pesantissime, quelle pronunciate da Eva Robin's a La Confessione, il programma di Peter Gomez in onda sul Nove. Nella puntata di venerdì 31 gennaio, l'artista bolognese si spende su Silvio Berlusconi. E afferma: "Mi dispiace che Berlusconi abbia avuto a che fare con delle dilettanti, come tutte quelle di cui si è circondato e che lo hanno sputtanato". La Robin's ammette di non conoscere di persona il leader di Forza Italia, ma lo considera "troppo simpatico". La conoscenza, semmai, arriva da parte di alcune sue frequentazioni: "Ho delle amiche transessuali che sono state in villa da lui e che mi hanno detto che è veramente un uomo d'altri tempi, molto galante, come non ne esistono più". Perché mai amico di altri tempi? Presto detto, ecco alcuni esempi: "Le mie amiche mi hanno detto solo che in ogni bagno c'era un fondotinta... e non era per le ragazze”, rivela. E ancora: "Ha fatto tanto bene a queste ragazze, irriconoscenti per altro", conclude Eva Robin's.

Benedetta Paravia per “la Stampa” il 29 marzo 2020. Apro il portone, lei è di fronte. Non un filo di trucco. Ci salutiamo con naturalezza, come se ci fossimo viste ogni giorno per una vita, ma non è così: l' ultima volta è stata cinque anni fa in un ristorante chiacchierato di Via Giulia dove lei era spesso ospite gradita del proprietario. Proprio in quel ristorante mi raccontò di aver abbracciato l' Islam, dopo tante peripezie, e mi parlò della necessità di amare il prossimo incondizionatamente e di non addossare agli altri la responsabilità dei propri errori. Svoltiamo l' angolo e ci sediamo in un locale del centro di questa Roma decadente, ma che lei ama tanto. Penso a come faccia ad amare una Roma ridotta a brandelli dopo averne vissuto la versione dei fasti smisurati. Scopro il perché fin da subito, parlandole. Sabina Beganovi, Began per molti, "Ape regina" per altri, oggi vive in giro per il mondo. È ormai completamente distaccata dalla materia e dal proprio ego. «È il tuo ego che ti dice che sei bella, o che sei brutta, o che stai invecchiando o che sei troppo magra o grassa. È sempre l' ego che ti fa credere di aver bisogno di soldi, o di più soldi, o di un uomo accanto, o di una bella macchina, o di gioielli. L' ego ti fa offendere, ti fa inorgoglire: è lui il vero demone. Il nostro più grande nemico. Dobbiamo combatterlo sempre. Deve stare zitto!», mi dice. È una sufista, dell' ordine del Gran Maestro mistico Naqshbandi. Il sufismo è il ramo spirituale dell' Islam. Prega prestissimo al mattino, dopo le abluzioni, prega cinque volte al giorno ma se può anche di più. In realtà prega in ogni momento possibile, anche prima di bere la sua centrifuga di cavolo dice: «Bismillah» («nel nome di Dio»). Mi racconta che le sembra di aver vissuto un' altra vita quando, imbottita di ormoni, tornò dalla clinica di Madrid dal "suo" Silvio a Roma, dopo aver perduto il loro bimbo. Volevano un figlio insieme, ma lei era ormai stanca e spossata dalle cure per la fecondazione assistita. Lui le disse di riposarsi per qualche mese e di riprovare in seguito, ma Dio si "interpose" tra loro, o forse proprio Silvio e l' amore per lui, durato ben nove anni, la prepararono a Dio. Partì per la Thailandia, a quel tempo era buddista e provetta contorsionista dello yoga. Andò a trovare la sua amica principessa thailandese e rimase lì fino a quando il capo guardie del palazzo le diede in dono un Corano per sua madre. I genitori di Sabina sono infatti entrambi musulmani. Sabina comincia a pensare a quel libro. Torna da Silvio ma poi ecco la gran decisione: andrà a studiare il Corano a Sarajevo. Quel giorno Silvio l' accompagna all' ascensore e prima di chiudere la porta le dà uno schiaffo, poi le fa segno «Ok» con la mano. È l' ultima volta che lo vede. «Non ho mai compreso il perché di quell' Ok», afferma ridendo. «Silvio non ha mai ostacolato il mio amore crescente per Dio, mi ha sempre detto di saper bene quanto fossi spirituale, nel bene e nel male. Prima ero una furia, mi arrabbiavo tantissimo, lo minacciavo e gli gridavo le cose più atroci. Ad un tratto mi guardava, senza scomporsi, dicendomi che tutta quella passione gli piaceva tanto - ed io crollavo. Mi ha sempre saputa prendere, lui». Era un' altra vita, un' altra Sabina. Per depurarsi da quel periodo di eccessi, dalle invidie di innumerevoli concubine bramanti di un attimo al sole, da quel periodo di glorie, di dolori, di alti e bassi tipici di chi frequenta una corte del potere, Sabina ha affrontato quattro anni di preghiera ed isolamento. «Se oggi sono così è solo perché ho saputo stare da sola tanto tempo, ci vuole forza per trovarsi con sé stessi in buona compagnia». Conosco Sabina da quando avevo 18 anni, ero fidanzata con il fratello del suo compagno di allora. Quando questo suo compagno, un bellissimo principe della nobiltà romana morì anni dopo che si erano lasciati, lei era l' unica a piangere in silenzio nella stanza adiacente alla bara, nel giorno del funerale a Pratica di Mare. Unica, tra le ex fidanzate del principe, ad essersi presentata nel dolore. Non vidi Anna, né Elenoire né altre che grazie al principe erano state a turno sulle copertine di molti settimanali. C' era una certa Angelica che rideva. Ricordo bene quella Sabina di "un' altra vita" che piangeva silente in un salone da sola. Prima di cenare mi chiede scusa e si alza, va a pregare e ritorna. In quel momento penso a questo racconto, la sua vera storia merita di essere raccontata. Quando andiamo via il proprietario ha lasciato disposizioni affinché il conto non le sia portato. Lei mi dice: «Sono due giorni che mi offre colazioni e pranzi, stasera non posso permettere che lo faccia di nuovo». Provo a offrire io ma me lo impedisce. Sabina è cambiata, ma la gente intorno a lei fa sempre a gara per ospitarla. Domani mattina torna in treno da sua madre in Germania con tre valigie.

Repubblica.it il 13 febbraio 2020. Il pubblico ministero di Siena Valentina Magnini ha chiesto 4 anni e 2 mesi di reclusione per Silvio Berlusconi, che è imputato per corruzione in atti giudiziari nell'ambito del processo Ruby ter in corso nella città toscana. L'accusa ritiene che Berlusconi abbia pagato un pianista senese, Danilo Mariani, per spingerlo a fare falsa testimonianza sul caso Olgettine. Anche Mariani è a processo e per lui la richiesta è di 4 anni e 6 mesi di reclusione, anche per il reato di falsa testimonianza oltre a quello di corruzione in atti giudiziari. I difensori di Berlusconi sono gli avvocati Federico Cecconi ed Enrico De Martino, il giudice è giudice Ottavio Mosti. Questo stralcio del processo Olgettine era stato trasferito a Siena per decisione dal gup di Milano nell'aprile 2016. Il filone principale resta nel capoluogo lombardo mentre altre posizioni, con sempre l'ex premier imputato, sono state trasferite a Torino, Pescara, Treviso, Roma e Monza.

Da ilfattoquotidiano.it il 17 febbraio 2020. Su conti esteri, tra Lugano e Francoforte, riconducibili a Luca Risso, l’ex compagno di Ruby, sarebbero transitati, tra il 2013 e il 2014, oltre 400mila euro. Di questi, circa 300mila euro, stando ad un’indicazione “manoscritta” dello stesso Risso, sarebbero dovuti arrivare ad una filiale di una banca a Playa del Carmen in Messico. Così un’investigatrice di polizia giudiziaria, testimoniando in aula nel processo milanese ‘Ruby ter‘ a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati, ha riassunto l’esito di alcune rogatorie effettuate nelle indagini e i cui contenuti erano già emersi nei mesi scorsi. Nel corso della sua deposizione la testimone di polizia giudiziaria ha parlato di molti altri dettagli dell’inchiesta già emersi come, ad esempio, un messaggio rintracciato nei telefoni sequestrati nel quale Risso diceva “mia figlia deve crescere bene, non con una che sa solo spendere soldi sputtano tutto”. L’investigatrice ha dato conto anche di “una serie di chiamate” in quel periodo “dal numero di Risso a quello di villa San Martino“, ossia la residenza dell’ex premier. L’ufficiale di polizia giudiziaria ha parlato di due bonifici da 25mila e 20mila euro partiti da Genova e arrivati su un conto di Francoforte riconducibile a Risso e di “altri due bonifici” verso la Germania partiti da un conto svizzero, “aperto nel marzo 2011”, dell’ex compagno di Karima, uno da 300mila euro e l’altro da 60mila euro. Poco prima l’investigatrice aveva anche ricostruito i “viaggi tra il Messico e Dubai” di Ruby, Risso e dei familiari di quest’ultimo. Il 10 dicembre 2012, ad esempio, Karima avrebbe dovuto testimoniare nel processo milanese sul caso Ruby a carico di Berlusconi (poi finito con un’assoluzione definitiva), ma la ragazza assieme all’allora compagno e ai genitori di quest’ultimo “era partita per il Messico il primo dicembre”. Il teste ha citato, tra gli altri, anche un messaggio nel quale la madre di Risso diceva al padre “fai quello che devi e vieni via”. Secondo le indagini del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio, infatti, parte dei milioni di euro intascati dalla marocchina per stare zitta sarebbe servita per l’acquisto di un ristorante con annesso pastificio e di due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico a Playa del Carmen. Attraverso una rogatoria in Messico, tra l’altro, gli investigatori hanno accertato “la costituzione di una società” a nome di Risso, Ruby e altre due persone. Il testimone ha ricordato, poi, un altro dettaglio emerso nell’inchiesta, ossia una lettera firmata da Risso e trovata su un suo pc in cui l’uomo si rivolgeva al “presidente” Berlusconi. E ancora una “dichiarazione di debito” del marzo 2014 nella quale Karima avrebbe fatto riferimento ad un prestito a favore del suo compagno di 160mila euro. In quel periodo, ha spiegato la teste, Ruby si lamentava con la famiglia di Risso dicendo “non sono una mucca da mungere”. Tra gli elementi ricostruiti nella testimonianza dell’agente anche un contratto di consulenza da 75mila euro per Marysthell Polanco, “secondo il quale lei avrebbe dovuto fare consulenze sulla produzione di programmi su Milan Channel”. Tuttavia, “non è stata trovata documentazione sulle prestazioni effettuate”. Lei, come altre olgettine, secondo i pm, sarebbe stata pagata da Berlusconi per il silenzio sulle serate ad Arcore.

Da corriere.it il 13 gennaio 2020. Ad Arcore in «una stanza buia a turno le ragazze “cavalcavano” il presidente». Così Francesco Chiesa Soprani, agente dello spettacolo, ha raccontato in aula nel processo milanese «Ruby ter» (per corruzione in atti giudiziari a carico, tra gli altri, dell’ex premier Silvio Berlusconi) le confidenze che dice di aver raccolto soprattutto da Barbara Guerra, ma anche da altre «Olgettine» sui presunti rapporti sessuali tra Berlusconi e le giovani, spiegando anche che le giovani venivano «remunerate per mentire nei processi». Secondo la testimonianza di Chiesa Soprani ai giudici della settima sezione penale del Tribunale di Milano, anche Ruby, Karima El Mahroug, gli disse di aver avuto rapporti sessuali con l’allora premier. Chiesa Soprani ha riferito in aula che Marysthell Polanco, imputata per corruzione in atti giudiziari, «vuole venire a dire la verità». «All’epoca, lei mi spiegò che veniva pagata mensilmente, che non aveva chiesto altro e le andava bene così. Non mi va di dire che anche lei mi parlò di avere rapporti sessuali con Berlusconi perché non lo ricordo, ma è molto probabile che fosse così. Di recente — ha spiegato — ho parlato con lei di Imane Fadil (la teste dell’accusa morta per una malattia rara, ndr), voleva che anche io, come lei, andassi ospite alla trasmissione di Giletti. Mi ha detto, anche attraverso diversi vocali di WhatsApp, che sta bene con la sua vita e che dirà la verità quando verrà in aula, cioè che era stata pagata e che sapeva dei rapporti sessuali durante quelle cene e che venivano pagati soldi, case e altro. Abbiamo parlato della mia testimonianza e convenuto che abbiamo le stesse idee».

Ruby Ter, un teste in aula: "Berlusconi aveva rapporti a turno con le ragazze in una stanza buia". L'agente dello spettacolo Chiesa Soprani al processo riferisce le presunte confidenze di Barbara Guerra e di altre ragazze coinvolte nelle "cene eleganti" di Arcore. I giudici: "Dichiarazioni autoindizianti". La Repubblica il 13 gennaio 2020. Ad Arcore in "una stanza buia a turno le ragazze 'incontravano' il presidente": così Francesco Chiesa Soprani, agente dello spettacolo, ha raccontato in aula nel processo milanese 'Ruby ter' le confidenze soprattutto di Barbara Guerra, ma anche di altre olgettine sui rapporti sessuali tra Silvio Berlusconi e le giovani, spiegando anche che queste ultime, aveva saputo, venivano "remunerate per mentire nei processi". Seconda la testimonianza di Chiesa Soprani, anche Ruby gli disse che aveva avuto rapporti con l'allora premier. Parole, quelle dell'agente dello spettacolo, che hanno portato i giudici a decidere di affiancargli un avvocato durante la deposizione, visto che alcune parti sarebbero "autoindizianti".

Il processo per le cene eleganti di Berlusconi: le rivelazioni dell'agente di spettacolo. Sul banco dei testi, infatti, nel processo a carico di Berlusconi e di altri 28 imputati, e con al centro i versamenti alle olgettine per il silenzio o la reticenza negli altri due procedimenti sul caso Ruby, è salito Chiesa Soprani, già sentito nelle indagini e più volte intervistato sulla vicenda delle cene ad Arcore, anche perché fu l'agente di alcune delle ragazze ospiti a villa San Martino e ha conosciuto nel suo lavoro anche Lele Mora, Emilio Fede e Fabrizio Corona. Guerra, ha raccontato il testimone rispondendo alle domande del pm Luca Gaglio, "mi disse di aver partecipato a queste cene, mi ha parlato di rapporti sessuali con Berlusconi e di essere stata pagata per non dire la verità sul sesso e poi di rapporti a turno in una stanza buia, perché lui forse non voleva farsi vedere".

Le olgettine e Berlusconi: i racconti delle soubrette. E ancora: "Mi disse la Trevaini (anche lei imputata, ndr) ha preso 1,8 milioni, la Minetti 5 milioni' e quindi lei voleva più soldi di quei 2.500 euro al mese che riceveva e avrebbe chiesto tramite un avvocato 500mila euro più una casa e c'era stata la disponibilità di Berlusconi, ma poi non so se li abbia ricevuti". Quando Guerra ("venne messa al reality 'la Fattoria' su decisione di Berlusconi") gli faceva queste confidenze "poco prima del 2013", c'era anche Alessandra Sorcinelli, anche lei imputata per falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari, "che ascoltava e confermava".

"Soldi e case per mentire sugli incontri con Silvio Berlusconi". Il teste, che fu anche arrestato e poi prosciolto nel caso Vallettopoli nel 2007, ha spiegato ancora di aver raccolto racconti di questo tenore anche da "Cinzia Molena e Nadia Macrì". E ha aggiunto: "Non mi fu mai detto di orge o minorenni, ma di rapporti sessuali". Ha spiegato ancora, poi, di aver parlato, anche dopo la morte di Imane Fadil, con Marysthell Polanco: "Mi ha detto 'dirò la verità sui rapporti sessuali nelle cene e che venivamo pagate per mentire con soldi e case', non so se cambierà idea (anche lei è imputata, ndr)". Poi, le "due occasioni" in cui avrebbe incontrato Ruby ("di lei se ne occupava Mora e Berlusconi la manteneva") quando era ancora minorenne, non lontano dall'ufficio di Mora. "Anche lei mi disse di avere fatto sesso 'col Presidente', io sapevo già che le gemelle Ferrera e altre ragazze erano amanti del presidente e quindi non mi stupivo". E dei rapporti tra Ruby e il leader di FI avrebbe avuto conferma "anche da Corona". Trevaini, infine, stando sempre alla versione di Chiesa Soprani, gli disse che "sapeva che in quelle cene c'erano rapporti sessuali e che proprio di conseguenza faceva la giornalista, ossia per questo aveva avuto un contratto".

Processo Ruby Ter, le dichiarazioni su Berlusconi. Ma le parole di Chiesa Soprani potrebbero avere conseguenze: "Dichiarazioni autoindizianti, per le quali potrebbero sorgere problemi su eventuali responsabilità penali del teste". E' così che il presidente del collegio della settima penale di Milano, Marco Tremolada, ha definito un passaggio della testimonianza dell'agente. In particolare, per il punto della deposizione in cui il testimone ha detto di aver chiesto ad un avvocato, in passato, di poter "collaborare" con Mediaset, visto che lui era a conoscenza di ciò che accadeva nelle serate ad Arcore. I giudici, dunque, decidendo sulla questione posta dalla difesa di Silvio Berlusconi, con l'avvocato Federico Cecconi, hanno deciso di far proseguire la deposizione del testimone, affiancandogli, però, un legale (ossia da teste 'assistito'). A quell'avvocato che, a suo dire, avrebbe incontrato dopo un precedente colloquio anche con Emilio Fede, Chiesa Soprani, stando alla sua deposizione, avrebbe detto: "Parlai del fatto che conoscevo le 'meteorine', le storie che coinvolgevano Berlusconi, sapevo che queste ragazze erano quelle di cui pagava il silenzio con 2.500 euro e gli dissi 'mi piacerebbe collaborare con Mediaset, a livello autorale'. Non mi interessava un compenso economico, ma un aiuto professionale, fui congedato con una stretta di mano". E ancora: "Io mi sentivo preso in giro, visto che non temono quello che ho da dire, pensai, lo faccio io. Quindi, andai a fissare un appuntamento con la Boccassini, le mandai una mail, ma cadde nel vuoto". Proprio per queste dichiarazioni, che potrebbero presentare profili di istigazione alla corruzione o tentata estorsione, la deposizione è proseguita con l'assistenza di un legale. In particolare, dal controesame della difesa di Berlusconi, è emerso che Chiesa Soprani in passato è stato condannato per bancarotta fraudolenta per la sua attività di manager di personaggi della tv. "Ora ho un'altra vita", ha detto il teste, che in passato era già stato intervistato diverse volte sulle serate a villa San Martino.

(ANSA il 20 gennaio 2020) - Buste con soldi che passavano dall'avvocato Luca Giuliante, ex legale di Ruby e tra gli imputati nel processo “Ruby ter”, alla stessa Karima El Mahroug. E' il centro della testimonianza resa stamani nel dibattimento che vede tra i 29 imputati Silvio Berlusconi, accusato di corruzione in atti giudiziari, da un peruviano, custode di un palazzo a Milano in cui aveva lo studio il professionista. Il teste ha raccontato, rispondendo alle domande dell'aggiunto Tiziana Siciliano, di aver portato queste "buste", che gli aveva affidato l'avvocato Giuliante, due volte nel 2014, una volta alla stessa Karima e un'altra ad un amico di lei, sempre su indicazione di Ruby. "Una volta - ha spiegato - mi sembra che Giuliante mi abbia detto 'fai attenzione che ci sono soldi'". Ha detto anche di essere stato pagato per questo servizio "150 euro" e che in una delle due volte non gli era stato detto che ci fosse denaro dentro. Il portinaio ci ha tenuto a dire ai giudici: "Non ha fatto nulla di male, ringrazio questo Paese che mi ha dato tutto". "Prima mi chiamava lei, Ruby - ha chiarito il teste - e mi diceva di andare da Luca (Giuliante, ndr) a prendere delle buste per portarle a Genova da lei. L'avvocato mi consegnava la busta e io non mi sono mai permesso di chiedere cosa ci fosse dentro". Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano ha letto, però, alcuni messaggi WhatsApp dell'ottobre 2014 nei quali il portinaio parlava con Ruby, per tre giorni consecutivi, ed entrambi facevano riferimento ad una busta con "soldi". "Lei era diventata un po' pesante, perché pensava che io lavorassi per lei", ha aggiunto l'uomo, che ha spiegato, invece, di essere amico dell'avvocato Giuliante, anche lui accusato dai pm di corruzione in atti giudiziari, perché avrebbe fatto, secondo l'accusa, da intermediario nelle consegne di denaro da Berlusconi alla ragazza, il cui 'silenzio' sulle serate ad Arcore sarebbe stato pagato dal leader di FI, così come quello di altre 'olgettine'. Il testimone, in una fase della sua deposizione, si è commosso e ha voluto anche dire direttamente ai giudici della settima penale: "Io sono in un Paese che mi ha dato tutto, non sono abituato a queste cose, non ho fatto niente di male".

Leggo.it il 20 gennaio 2020. In tribunale ha testimoniato una giornalista inglese, Hannah Roberts, che nel 2013 ebbe due incontri con Marysthell Polanco: dopo quegli incontri pubblicò un articolo sul Mail Online. La showgirl dominicana, ha raccontato la testimone, «mi disse che Ruby aveva preso 6 milioni di euro da Berlusconi, che le aveva comprato anche una casa in Messico». La giornalista, sempre riferendo i racconti di Polanco, ha inoltre detto che Nicole Minetti avrebbe ricevuto da Berlusconi «un milione di dollari». La Roberts, rispondendo alle domande dell'aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio, ha riferito in aula ciò che le avrebbe detto Polanco in quei due colloqui nel gennaio del 2013, uno dei quali è stato anche registrato dalla cronista (l'audio è depositato agli atti del processo a Berlusconi e altri 28 imputati). E ha parlato, dunque, non solo dei soldi che avrebbero ricevuto Ruby e altre ragazze, ma anche della «formazione», ossia del «coaching», delle «istruzioni» che le 'olgettine' avrebbero ricevuto dagli «avvocati» del leader di FI per «non dire la verità nei processi» sulle serate a villa San Martino. «Polanco disse che Ghedini era il 'coach'», ha aggiunto la cronista, facendo riferimento allo storico legale dell'ex Cavaliere (la sua posizione è stata archiviata in fase di indagine). Stando alla deposizione, Polanco avrebbe riferito alla giornalista che l'ex premier «diede a Minetti un milione di dollari, in particolare il padre di Minetti era andato a casa di Berlusconi e aveva chiesto quei soldi e li aveva ricevuti». Minetti, stando alla versione di Polanco, «voleva continuare a fare politica, ma Berlusconi non voleva e dunque aveva chiesto quei soldi, anche perché lei sapeva la verità» sulle cene di Arcore. La stessa dominicana, poi, le ha parlato dei «6 milioni» a Ruby, «Ruby stessa credo che lo disse a Polanco, credo, non ricordo bene». Polanco, tra l'altro, le avrebbe raccontato anche che «Berlusconi scherzando le diceva 'io sono Satana', perché non dormiva molto, penso fosse per quello».

"PIERSILVIO NON VOLEVA LE OLGETTINE A MEDIASET". Ma oltre ai soldi a Ruby e Nicole Minetti, la Roberts parlando di Marysthell Polanco ha raccontato anche altro: la showgirl, ha detto la giornalista, «mi ha detto che il figlio di Berlusconi», ossia Pier Silvio, «non voleva che lei e le altre ragazze», coinvolte nello scandalo delle serate ad Arcore, «lavorassero a Mediaset». La stessa Polanco, infatti, le avrebbe riferito che «aveva un contratto con Mediaset, però non lavorava». E ancora: «Mi ha detto che lei sapeva dei rapporti sessuali di Ruby minorenne con Berlusconi, ma non sapeva se lui fosse a conoscenza della sua minore età».

POLANCO AVEVA CHIESTO 2 MILIONI. Nel «gruppo», sempre stando alla versione di Polanco riferita dalla cronista, «c'era anche un'altra minorenne, Iris Berardi». Il leader di FI, dopo lo scoppio dello scandalo, «aveva provveduto a far portare Iris in un luogo segreto, perché non avesse contatti con altre persone». La cronista ha spiegato davanti ai giudici che Polanco per un'intervista video aveva chiesto 2 milioni di euro, ma il Mail Online le avrebbe dato al massimo 30mila euro e, dunque, l'ex showgirl aveva rifiutato. La giornalista registrò comunque i colloqui, all'insaputa di Polanco, e pubblicò l'articolo, non nel 2013, ma nel 2015, due anni dopo, quando l'ex soubrette iniziò a dichiarare pubblicamente che avrebbe detto la «verità» sul «bunga-bunga».

IL VIDEO SU BALOTELLI. La «verità» di Polanco, ha specificato Roberts, era, in sostanza, il fatto che lei e le altre ragazze avevano detto il falso nei processi sul caso Ruby, parlando di «cene eleganti», e che per fare questo «erano state formate, istruite dagli avvocati di Berlusconi, in tre occasioni», anche a casa dell'ex premier. Polanco e la brasiliana Iris Berardi avrebbero avuto una «formazione maggiore, speciale» rispetto alle altre perché «Iris era minorenne e Polanco sapeva più cose». La dominicana avrebbe anche riferito alla cronista che «avevano le domande che sarebbero state poste nei processi e avevano anche le risposte» che avrebbero dovuto dare. La stessa Polanco le ha detto che «lei e Ruby avevano una stanza assieme ad Arcore, che condividevano» e che l'ex showgirl ad un certo punto «voleva vendere anche un video che aveva fatto a Berlusconi, in cui lui parlava male, con parole razziste di Balotelli». Il video è agli atti del procedimento.

(ANSA il 3 febbraio 2020) - Luca Risso, ex compagno di Ruby, "mi disse che l'operazione per incassare 3 o 4 milioni con lei era riuscita, la cifra finale ricevuta era sui 3 milioni" e con quei soldi arrivati "da Berlusconi" andò a "vivere in Messico" con lei e là fecero "investimenti immobiliari". Lo ha raccontato nel processo Ruby ter, a carico dell'ex premier ed altri, Antonio Matera, ex socio di Risso nella gestione della discoteca Albikokka a Genova. "Risso - ha detto - era innamorato dei soldi, gli interessava Ruby perché gli avrebbe portato soldi". Risso, ha raccontato il testimone coinvolto in un procedimento per bancarotta riguardante proprio la gestione della discoteca genovese, "mi diceva che sperava di recuperare dei soldi per andare a vivere in Sud America, diceva 'così non faccio niente, me ne sto tranquillo'". Secondo Matera, "Risso sapeva benissimo che Ruby era minorenne, si faceva forte di questo, perché così sarebbe riuscito a prendere i soldi della operazione con Ruby, operazione che gli riuscì perché si trasferirono in Messico". Parte del denaro incassato da Karima El Mahroug e dall'allora compagno, infatti, secondo i pm, sarebbe servito anche per l'acquisto di un ristorante con annesso pastificio e due edifici con mini-alloggi per operatori del settore turistico a Playa del Carmen, in Messico. Il teste ha raccontato che Risso gli aveva parlato di "3-4 milioni di euro da prendere, poi che la cifra finale fu di 3 milioni, prese soldi un po' alla volta, una parte subito e gli altri dilazionati". Sempre secondo la deposizione, Risso gli avrebbe detto che Luca Giuliante, all'epoca legale di Ruby, faceva da "tramite" per i soldi che arrivavano "da Berlusconi", "sempre nell'operazione dei 3 milioni". Risso gli raccontava ancora che "lui avrebbe gestito i soldi di Ruby, lei li prendeva e lui li gestiva, mi diceva che era il colpo della sua vita", ha detto ancora rispondendo alle domande dell'aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio. Già nella scorsa udienza, una giornalista inglese aveva raccontato in aula che Ruby per tacere sulle serate ad Arcore con Berlusconi avrebbe incassato dall'ex premier "6 milioni di euro", stando a quanto a lei riferito da Marysthell Polanco. A parlare di presunti versamenti milionari a Ruby e Risso era stato, prima di morire in una clinica svizzera, anche l'ex legale di Karima, l'avvocato Egidio Verzini. Ruby, disse ai media il legale, avrebbe ricevuto "un pagamento di 5 milioni di euro eseguito tramite la banca Antigua Commercial Bank di Antigua su un conto presso una banca in Messico" e in particolare 2 milioni "sono stati dati a Luca Risso" e tre "sono stati fatti transitare dal Messico a Dubai e sono esclusivamente di Ruby".

(ANSA il 3 febbraio 2020) - Imane Fadil, una delle testimoni chiave del caso Ruby, morta il primo marzo 2018 per una grave malattia, "mi parlò di due ragazze che l'avevano avvicinata fuori dal Tribunale, in un bar vicino, e da loro le era stata proposta una cifra, che non ricordo, per il silenzio" sulle serate ad Arcore. Lo ha raccontato, testimoniando nel processo Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi e altri 28 imputati, un consulente immobiliare che ha detto di aver conosciuto e frequentato, specialmente nel 2012, quando erano in corso i processi Ruby e Ruby bis, la modella di origine marocchina. L'offerta di denaro, aveva già detto il teste in indagini, proveniva "da Berlusconi" attraverso le ragazze. Il teste, Alessandro Ravera, ha chiarito che ci sarebbe stato anche un altro "avvicinamento" a Fadil "in una discoteca", sempre da parte di una "ragazza, ma non ricordo chi" - una ragazza ospite delle serate a Villa San Martino, così come le altre due del primo "avvicinamento" - che "le disse che c'era la possibilità di avere fino a 500mila euro" per non parlare del bunga-bunga. Già nell'atto di richiesta di costituzione come parte civile nel processo Ruby ter, presentato dall'allora legale della modella, morta all'ospedale Humanitas per una forma di aplasia midollare il primo marzo 2019 (non 2018 come scritto in precedenza, ndr), si parlava di "minacce, tentativi corruttivi e pressioni per la revoca della costituzione di parte civile" e "da parte di soggetti imputati nel presente procedimento, Berardi Iris e Guerra Barbara". Il testimone, tuttavia, rispondendo alle domande del pm Luca Gaglio e dell'aggiunto Tiziana Siciliano ha spiegato di non ricordare quali fossero le ragazze che, stando ai racconti dell' epoca di Fadil, l'avevano avvicinata con proposte di soldi. Ha confermato, comunque, dopo che gli è stato riletto il verbale da lui reso in indagini, che il denaro proposto sarebbe dovuto arrivare "da Berlusconi". Soldi in cambio di silenzio, perché "quello che aveva visto ad Arcore doveva nasconderlo, ma lei disse che voleva andare per la sua strada e dire, invece, ciò che aveva visto". Le due ragazze che l'avevano avvicinata vicino al Tribunale "avevano ricevuto denaro, mi disse, erano testimoni dei processi". Fadil gli avrebbe anche riferito "che le erano stati proposti 5 mila euro per fermarsi a dormire" a Villa San Martino all'epoca delle serate del 'bunga-bunga', "ma lei aveva rifiutato e se ne era andata". Le cifre che le ragazze potevano aspirare ad avere per il silenzio come testimoni "erano grosse cifre, diceva lei, anche 100 mila euro e fino a 500 mila euro". La modella avrebbe anche raccontato all'amico, oggi teste, "che Ruby aveva ricevuto dei milioni". Gli parlò anche di "macchine, appartamenti" per le 'olgettine', "a qualcuna veniva pagata anche l'università". L'aggiunto Siciliano ha chiesto al testimone di fare da "tramite" su quello che raccontava Fadil, "che non c'è più purtroppo", e l'uomo ha detto: "Quando sentiva le testimonianze delle altre, che non dicevano la verità, la sua reazione era di rabbia assoluta, lei non aveva soldi, la sua famiglia non poteva aiutarla, si arrabattava con qualche serata in discoteca".

ESCORT: MAGGIORDOMO CAV, BERLUSCONI MAI PAGATO PER SESSO.  (ANSA il 23 dicembre 2019) - "Il presidente non ha mai avuto bisogno di pagare qualcuno per fare del sesso". Lo dichiara, sotto giuramento, Alfredo Pezzotti, maggiordomo di Silvio Berlusconi. Pezzotti è il primo testimone citato dall'accusa nel processo in corso a Bari nel quale l'europarlamentare di Forza Italia ed ex presidente del Consiglio dei Ministri è imputato per induzione a mentire: Berlusconi - secondo l'accusa - avrebbe pagato Gianpaolo Tarantini per dire bugie nel corso delle indagini sulle escort. Pezzotti, rispondendo alle domande del pm Eugenia Pontassuglia, racconta di essere "alle dipendenze della famiglia Berlusconi dal 1991 come assistente alla persona, come maggiordomo, a Palazzo Grazioli". Era lui, spiega, ad organizzare le cene alle quali, tra il 2008 e il 2009, partecipava Tarantini accompagnato da "alcuni amici e signorine", le quali, stando alle dichiarazioni di Pezzotti, "non sono mai rimaste a dormire a Palazzo Grazioli, se fosse avvenuto io ne sarei stato al corrente. Il presidente - dice il maggiordomo - non ha mai pagato signorine per avere rapporti sessuali". Erano cene "con musica, dove si cantava, si ballava, ero lo sfogo del presidente nei fine settimana". Così Alfredo Pezzotti, maggiordomo di Silvio Berlusconi, descrive le serate a Palazzo Grazioli tra il 2008 e il 2009 con l'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini. Pezzotti è stato citato come testimone nel processo in corso a Bari nel quale l'europarlamentare di Forza Italia, ex presidente del Consiglio dei Ministri, è imputato per induzione a mentire, per aver pagato le bugie dette da Tarantini ai pm baresi nelle indagini sulle escort. Pezzotti ricorda che dopo le cene "a un certo orario arrivava la sua compagna (di Berlusconi, ndr), Francesca Pascale, le signorine venivano accompagnate a casa e le serate terminavano così". A queste dichiarazioni, la pm Pontassuglia ha contestato che la presenza di Francesca Pascale già all'epoca "non è documentata" e "non era mai emersa prima". Al maggiordomo di Berlusconi la pm ha posto domande sui rapporti tra Berlusconi e Tarantini e Pezzotti ha spiegato che "c'è stato un periodo di frequentazione assidua", tra il 2008 e il 2009, "si vedevano spesso anche durante la settimana, a Palazzo Grazioli e in Sardegna a Villa Certosa". Poi qualcuno "consigliò al presidente di non frequentarlo più, per le signorine con cui si accompagnava, forse per come si vestivano, con minigonne e tacchi alti". "Il presidente mi raccontava che Tarantini chiedeva aiuto per la sua famiglia perché aveva problemi finanziari". Così Alfredo Pezzotti, maggiordomo dell'ex premier Silvio Berlusconi, racconta al Tribunale di Bari, citato come testimone nel processo per induzione a mentire, dei rapporti tra Berlusconi e Gianpaolo Tarantini. Il periodo di cui parla è quello tra il 2009 e il 2011, dopo le serate con le escort documentate dalle indagini della Procura di Bari e dopo l'arresto per droga dell'imprenditore barese eseguito nel settembre 2009. "Tarantini non frequentava più da tempo Palazzo Grazioli", ma Pezzotti ricorda che in una occasione fu sua moglie Nicla a contattarlo per consegnargli una lettera da recapitare a Berlusconi. "Non so cosa ci fosse scritto in quella lettera - spiega il maggiordomo - ma ricordo che dopo un po' di tempo richiamai Nicla e le consegnai una busta da parte del presidente". Nel racconto di Pezzotti ci sono molti "non ricordo". Al termine dell'audizione, dopo il controesame dei difensori di Berlusconi, gli avvocati Niccolò Ghedini e Francesco Paolo Sisto, su accordo delle parti è stato acquisito il verbale con le dichiarazioni rese da Pezzotti nel 2011 ai pm di Napoli sugli stessi fatti. Il processo è stato quindi aggiornato all'udienza del 31 gennaio quando saranno citati altri 5 testimoni, tra i quali l'allora segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla.

Bari, processo escort, maggiordomo Berlusconi: «Non ha mai pagato per il sesso». Parla Alfredo Pezzotti, secondo cui Gianpaolo Tarantini avrebbe chiesto soldi a Berlusconi. La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Dicembre 2019. «Il presidente non ha mai avuto bisogno di pagare qualcuno per fare del sesso». Lo dichiara, sotto giuramento, Alfredo Pezzotti, maggiordomo di Silvio Berlusconi. Pezzotti è il primo testimone citato dall’accusa nel processo in corso a Bari nel quale l’europarlamentare di Forza Italia ed ex presidente del Consiglio dei Ministri è imputato per induzione a mentire: Berlusconi - secondo l’accusa - avrebbe pagato Gianpaolo Tarantini per dire bugie nel corso delle indagini sulle escort. Pezzotti, rispondendo alle domande del pm Eugenia Pontassuglia, racconta di essere «alle dipendenze della famiglia Berlusconi dal 1991 come assistente alla persona, come maggiordomo, a Palazzo Grazioli». Era lui, spiega, ad organizzare le cene alle quali, tra il 2008 e il 2009, partecipava Tarantini accompagnato da «alcuni amici e signorine», le quali, stando alle dichiarazioni di Pezzotti, "non sono mai rimaste a dormire a Palazzo Grazioli, se fosse avvenuto io ne sarei stato al corrente. Il presidente - dice il maggiordomo - non ha mai pagato signorine per avere rapporti sessuali». Erano cene «con musica, dove si cantava, si ballava, ero lo sfogo del presidente nei fine settimana». Così Alfredo Pezzotti, maggiordomo di Silvio Berlusconi, descrive le serate a Palazzo Grazioli tra il 2008 e il 2009 con l’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini. Pezzotti è stato citato come testimone nel processo in corso a Bari nel quale l’europarlamentare di Forza Italia, ex presidente del Consiglio dei Ministri, è imputato per induzione a mentire, per aver pagato le bugie dette da Tarantini ai pm baresi nelle indagini sulle escort. Pezzotti ricorda che dopo le cene «a un certo orario arrivava la sua compagna (di Berlusconi, ndr), Francesca Pascale, le signorine venivano accompagnate a casa e le serate terminavano così». A queste dichiarazioni, la pm Pontassuglia ha contestato che la presenza di Francesca Pascale già all’epoca «non è documentata» e «non era mai emersa prima». Al maggiordomo di Berlusconi la pm ha posto domande sui rapporti tra Berlusconi e Tarantini e Pezzotti ha spiegato che «c'è stato un periodo di frequentazione assidua», tra il 2008 e il 2009, «si vedevano spesso anche durante la settimana, a Palazzo Grazioli e in Sardegna a Villa Certosa». Poi qualcuno «consigliò al presidente di non frequentarlo più, per le signorine con cui si accompagnava, forse per come si vestivano, con minigonne e tacchi alti». «Il presidente mi raccontava che Tarantini chiedeva aiuto per la sua famiglia perché aveva problemi finanziari». Così Alfredo Pezzotti, maggiordomo dell’ex premier Silvio Berlusconi, racconta al Tribunale di Bari, citato come testimone nel processo per induzione a mentire, dei rapporti tra Berlusconi e Gianpaolo Tarantini. Il periodo di cui parla è quello tra il 2009 e il 2011, dopo le serate con le escort documentate dalle indagini della Procura di Bari e dopo l'arresto per droga dell’imprenditore barese eseguito nel settembre 2009. «Tarantini non frequentava più da tempo Palazzo Grazioli», ma Pezzotti ricorda che in una occasione fu sua moglie Nicla a contattarlo per consegnargli una lettera da recapitare a Berlusconi. «Non so cosa ci fosse scritto in quella lettera - spiega il maggiordomo - ma ricordo che dopo un pò di tempo richiamai Nicla e le consegnai una busta da parte del presidente». Nel racconto di Pezzotti ci sono molti «non ricordo». Al termine dell’audizione, dopo il controesame dei difensori di Berlusconi, gli avvocati Niccolò Ghedini e Francesco Paolo Sisto, su accordo delle parti è stato acquisito il verbale con le dichiarazioni rese da Pezzotti nel 2011 ai pm di Napoli sugli stessi fatti. Il processo è stato quindi aggiornato all’udienza del 31 gennaio quando saranno citati altri 5 testimoni, tra i quali l’allora segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla.

Da Oggi il 15 gennaio 2020. Attualmente protagonista del reality «The Real Housewives di Napoli» su RealTime, Noemi Letizia, celebre per la presenza di Berlusconi alla festa dei suoi 18 anni a Casoria, nel 2009, si confessa in una intervista esclusiva a OGGI, in edicola da domani. «Ho deciso di fare questo reality, per mostrare a tutti chi sono veramente. Per troppo tempo ho seguito un copione scritto da altri, da sanguisughe che si fingevano interessate alla mia carriera professionale, a finti consiglieri che poi spiattellavano bugie alla stampa. E poi dalla famiglia del mio ex marito, che voleva plasmarmi a modo suo», premette. E rivela per la prima volta cosa subì dopo le polemiche seguite alla clamorosa lettera di Veronica Lario e allo scandalo: «Ho trascorso mesi chiusa in casa, senza uscire, senza mangiare, senza voler vedere gente perché non mi fidavo più di nessuno…L’unica cosa che riuscivo a fare era piangere. Volevo morire, sparire per sempre, farla finita… Ho subito un bullismo mediatico che non auguro neanche al mio peggior nemico. Anoressia, e poi un ritorno della depressione, che iniziai a conoscere quando avevo appena dieci anni quando persi tragicamente mio fratello. Annegavo nel dolore, alternavo periodi di leggerezza a periodi di buio totale». Noemi Letizia racconta anche come sia stata aiutata dall’analisi e dall’amore per quello che sarebbe diventato suo marito (sette anni insieme e matrimonio invece naufragato dopo solo due mesi), la sua terza vita con l’attuale compagno e padre del suo terzo figlio e i suoi progetti imprenditoriali: con il lancio di un profumo e di un centro estetico.

Francesca Pascale sui rumors della storia tra Berlusconi e la Fascina: "Se c'è qualcosa tra loro, lo lascio". Libero Quotidiano il 16 Gennaio 2020. Di Marta Fascina, la deputata su cui si annidano gli ultimi rumors, è la stessa Francesca Pascale a parlare: "Dico solo che è stata messa al fianco del mio Presidente da Licia Ronzulli. La Ronzulli ha come assistente proprio Marta Fascina e ha deciso di metterla al fianco di Berlusconi ed è per questo che lei vive e dorme ad Arcore" ha confessato in un'intervista a Novella 2000 la compagna di Silvio Berlusconi. Da mesi, infatti, gira voce (smentita dall'amico fidato della Pascale, Alessandro Cecchi Paone) di una possibile relazione tra il Cav e la Fascina. I due, spesso impegnati in questioni lavorative come le Regionali in Umbria, vengono immortalati assieme. E questo a quanto pare basta alle malelingue, subito rimesse al loro posto dalla stessa Pascale: "Se scoprissi che in questa storia c'è qualcosa di vero, tra me e il Presidente finirebbe tutto".

Roberto Alessi per Novella 2000 il 15 Gennaio 2020. Leggo sul web un articolo su Ilsussidiario.net, il quotidiano approfondito, di Dario D’Angelo: «Cosa si cela dietro l’uscita pro-sardine di Francesca Pascale? Non un ragionamento politico da parte della compagna di Silvio Berlusconi, secondo Dagospia. Piuttosto quello che il sito di Roberto D’Agostino non esita a definire come uno “scorno” per l’arrivo ad Arcore di Marta Fascina, nuova “favorita” del leader di Forza Italia».

Che cosa era successo? Francesca tempo fa aveva detto: «Guardo con interesse alle Sardine, vi ritrovo elementi e quella libertà che furono propri della rivoluzione liberale di Berlusconi. Mi auguro non facciano come i grillini», e aveva anche aggiunto che stava valutando di scendere in piazza con loro.

Le Sardine avevano pure risposto attraverso il loro leader Mattia Santori: «La Pascale tra noi? Diamo il benvenuto a chiunque si discosti dal sovranismo». Già, perché la Pascale e Santori avrebbero in comune l’odio (la parola non è totalmente fuori luogo) per Matteo Salvini.

Ma torniamo all’articolo di Il sussidiario.net: «Stando a molti retroscena,l’originaria di Portici (Marta Fascina), a differenza della corregionale Pascale, oltre ad aver ottenuto un posto da deputata (fu inserita in due posti bloccati nei collegi plurinominali di Napoli Sud e Napoli Nord come fosse una big di livello nazionale) ha anche conquistato le simpatie dei figli di primo letto di Berlusconi, Marina e Piersilvio, impresa a quanto pare mai riuscita alla first lady di Arcore».

Vero? Falso? Possibile che Silvio abbia archiviato una storia d’amore lunga 15 anni con Francesca Pascale? Possibile che il leader di Forza Italia a 83 anni abbia voglia di rimettersi in gioco anche da un punto di vista affettivo con quella che un sito autorevole come Affaritaliani.it chiama già Lady Marta, la nuova Mara Carfagna? Silvio tace, ma abbiamo chiamato al telefono Francesca Pascale, una donna diretta, chiara, che può piacere o non piacere, ma che non le manda certo a dire, una delle rarissime a permettersi il lusso della schiettezza in un mondo dove l’ipocrisia impera. E che ci risponde senza intermediari di comodo.

Allora, signora Pascale, che ci dice di quello che si legge sui media del Web?

«Dico che anch’io ho appreso la cosa attraverso i siti, in primis attraverso Dagospia».

Ma dell’onorevole Marta Fascina, che pure lei si trova al centro dei “si dice”?

«Dico solo che è stata messa al fianco del mio Presidente da Licia Ronzulli».

La senatrice di Forza Italia.

«La Ronzulli ha come assistente proprio Marta Fascina e ha deciso di metterla al fianco di Berlusconi ed è per questo che lei vive e dorme ad Arcore».

Inusuale.

«Non per Silvio, che lavora sempre e che da sempre ha i suoi collaboratori in casa».

Una casa enorme, certo, ma rimane soprattutto casa di Berlusconi.

«Certo, con la differenza che Silvio dorme sempre da me, nella casa dove vivo, a pochi chilometri con i nostri cani».

I pettegoli ci sguazzano comunque.

«Fatti loro».

Lei come vive queste voci?

«Dico solo una cosa: quello che so è quello che ho letto, come mi riferisce lei, altro non ho da dire. Per ora».

Questo “per ora” fa tremare i polsi?

«Già perché se scoprissi che in questa storia c’è qualcosa di vero, tra me e il Presidente finirebbe tutto».

Signora, non esageri, è solo un rumor.

«Sarà così... dopo 15 anni».

Silvio Berlusconi, ecco chi è la sua nuova donna: Marta Fascina, colpaccio in Parlamento. Libero Quotidiano il 04 marzo 2020. Addirittura con una nota ufficiale, Forza Italia ha comunicato che Silvio Berlusconi e Francesca Pascale non stanno più insieme. La coppia è scoppiata, insomma, anche se da parecchio tempo apparivano lontani e, soprattutto, non apparivano insieme in pubblico. Una nota stampa diffusa dal partito proprio in corrispondenza dello scoop di Diva e Donna, che sbatte in prima pagina "una nuova dama bionda", quella che sarebbe la nuova "fiamma" del Cavaliere. Di chi si tratta? Lei è la deputata (ovviamente di Forza Italia) Marta Fascina, che secondo il rotocalco vivrebbe già ad Arcore. Silvio e Marta, definita "la bionda stellare", sono stati paparazzati insieme in Svizzera, a Bad Ragaz, all'uscita di un resort di lusso con barboncini al seguito, poco prima di salire a bordo del loro elicottero privato. O meglio, dell'elicottero di Silvio. 

Liberoquotidiano.it il 6 marzo 2020. Ormai è cosa ben nota. Silvio Berlusconi e Francesca Pascale si sono lasciati. A mettersi in mezzo la bellissima bionda, nonché deputata di Forza Italia, Marta Fascina. A commentare la notizia confermata dalla segreteria dell'ex premier, anche l'ex azzurra Nunzia De Girolamo: "Questa è una cosa che non c'entra nulla - esordisce da Myrta Merlino a L'Aria Che Tira -, ma oggi  ho scoperto che il mio seggio sicuro è stato utilizzato per far trovare l'amore a Berlusconi, sono felice. L'amore vince su tutto".  Una frase del tutto ironica quella della De Girolamo che, nel lontano 2018, vide cedere la candidatura in Campania alla "sconosciuta del Milan" che le "soffiò" il posto. Ora, con il senno del poi, si potrebbe ipotizzare qualcosa in più su quella vicenda.... 

Dagospia il 6 marzo 2020. Da “la Zanzara - Radio 24”.  “Berlusconi e la Pascale si sono lasciati? Lo sapevo da dieci giorni. Mi ha chiamato lui dalla Svizzera. Lei è una ragazza mite, che secondo me aveva già trovato un’intesa con lui da almeno un anno, un anno e mezzo. Quando andavo ad Arcore la Pascale ormai stava a casa sua perché lui le aveva preso la casa, mentre in casa nascosta in cucina c’era questa ragazza. La quale essendo timida, non si affacciava. Probabilmente lui è passato - per quanto lui abbia la mania di fissarsi su una, molto meglio lasciar perdere ed essere vaganti come il virus - da una prepotente e sadica, a una invece sottomessa. Questa probabilmente quando lo guarda gli dice come sei bravo, come sei bello. Ad un certo punto non ha voglia di fare competizioni, la Pascale era piuttosto tosta. Veramente credo sia l’ideale per lui”. “La Fascina – dice Sgarbi - in tempo di femminismo sembra una figura negativa. Ma mentre la prepotente si scopre, la sottomessa è veramente dominante. Perché ti domina fingendo di essere sottomessa. Infatti ha vinto contro la Pascale. Ha vinto perché gli dice: caro, sono qui, vieni, come sei tenero, come sei buono…e questo c’è cascato”. Ma questa non l’hai timbrata prima tu?: “No, sai, mi guardava con un’aria estatica, sembrava la Santa Cecilia di Raffaello con gli occhi al cielo, si sentiva come colpita dal mio sguardo. Ma era già nel virus Berlusconi”. Certo che tutte le ex di Berlusconi hanno un culo pazzesco, escono milionarie: “Lui è generoso. Dobbiamo rimpiangere che non sia omosessuale, sarebbe stato perfetto anche per noi”.

Tra il Cav e Pascale è rottura. Ma la notizia arriva da Fi. Il Dubbio il 4 marzo 2020. Gli azzurri parlano di “profonda amicizia senza alcuna relazione”. Lei: “Stupita dal comunicato, ma vorrò sempre bene a Silvio”. “Dopo l’articolo di Diva e Donna di questa mattina si sono scatenati i soliti pettegolezzi intorno al Presidente Silvio Berlusconi e alla Signora Francesca Pascale. Appare quindi opportuno riconfermare che continua a sussistere un rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il Presidente Silvio Berlusconi e la signora Francesca Pascale, ma che non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia. È quindi di ogni evidenza che tutte le illazioni che vengono prospettate al riguardo sono fuorvianti e del tutto inesistenti”. E’ l’unico commento ufficiale che arriva dalla segreteria di Forza Italia dopo la diffusione della notizia della rottura tra lui e Francesca Pascale. Da parte sua Pascale si è detta stupita per il “comunicato di Fi” e poi: “Vorrò sempre bene a Silvio”.  Ma cosa c’è dietro la clamorosa nota dell’ufficio stampa di Forza Italia, diramata in serata, che ribadisce ‘il rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il presidente Silvio Berlusconi e la signora Francesca Pascale, ma che non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia”? E cosa c’è dietro la risposta piccata di Francesca Pascale all’ Adnkronos? C’è la consacrazione di un rapporto finito. Di cui in Forza Italia si aveva sentore già da tempo con i commenti e nervosismo che circolavano alla Camera fra i parlamentari azzurri e non solo. Colpa dello scoop del settimanale di gossip Diva e Donna, rilanciato dal sito Dagospia, che riguarda Silvio Berlusconi e la deputata azzurra Marta Fascina, da un po’ di tempo presenza fissa ad Arcore paparazzati dal settimanale ‘Diva e Donna’ in Svizzera, che ritraggono il Cav oltreconfine per un periodo di relax in compagnia della giovane onorevole forzista campana: classe 1990, originaria di Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, eletta nel collegio blindato Campania 1 alle ultime politiche del 2018.

Berlusconi-Pascale «non sono più una coppia». Pubblicato mercoledì, 04 marzo 2020 da Corriere.it. ROMA — Galeotto è stato un servizio fotografico sul settimanale «Diva e Donna». Silvio Berlusconi e la deputata azzurra Marta Fascina all’uscita del «Grand Resort» di Bad Ragaz, nel canton San Gallo, prima di salire sull’elicottero del Cavaliere. Con cagnolini al seguito. «In Svizzera con Marta: dov’è Francesca?», si chiede il periodico. Lo scoop ha riportato alla memoria le dichiarazioni del gennaio scorso dell’ormai ex compagna di Berlusconi, Francesca Pascale, che aveva confermato la presenza della deputata, 30 anni, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), segretario della commissione Difesa della Camera, a Villa San Martino, ad Arcore, come stretta collaboratrice del presidente. In serata una nota ufficiale di Forza Italia ha cercato di chiarire cosa è accaduto adesso, ribadendo «il rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il presidente Silvio Berlusconi e la signora Francesca Pascale», precisando anche che «non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia. È quindi di ogni evidenza che tutte le illazioni che vengono prospettate al riguardo sono fuorvianti e del tutto inesistenti». La replica di Francesca Pascale non si è fatta attendere: «Sono stupita, l’unica cosa che posso dire è che al mio presidente vorrò sempre bene infinito. Gli auguro tutta la felicità del mondo e spero che possa trovare una persona che si prenda cura di lui come ho fatto io», ha detto all’Adn Kronos. Aggiungendo poi, sulla presenza di Dudù: «Mi fa simpatia vedere un deputato della Repubblica portare a spasso il mio cagnolino».

FLASH DI DAGOSPIA ALLE 20.19 il 4 marzo 2020.  - Stamattina nelle chat e poi a voce i parlamentari di Forza Italia scatenati contro il Cav che, in questo bordello di coronavirus, con la scusa di curarsi una vertebra, si sollazza in Svizzera con la nuova fiamma Marta Fascina, deputata di Forza Italia, amica e complice di Licia Ronzulli. Visto il servizio fotografico su “diva e donna”, la Pascale fuori dalla grazia di dio (ditele che oggi i piccioni di Arcore sono in Provenza nella villa di Marina). ‘’Dopo l’articolo di “Diva e Donna” di questa mattina si sono scatenati i soliti pettegolezzi intorno al Presidente Silvio Berlusconi e alla Signora Francesca Pascale. Appare quindi opportuno riconfermare che continua a sussistere un rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il Presidente Silvio Berlusconi e la Signora Francesca Pascale, ma che non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia. È quindi di ogni evidenza che tutte le illazioni che vengono prospettate al riguardo sono fuorvianti e del tutto inesistenti’’.

(Adnkronos di Vittorio Amato il 5 marzo 2020). "Sono stupita... L'unica cosa che posso dire è che al mio presidente vorrò sempre un infinito bene''. Francesca PASCALE commenta così all'Adnkronos la nota diffusa da Forza Italia in serata che parla di un ''rapporto di amicizia e affetto" non più di ''una relazione di coppia'' tra lei e Silvio Berlusconi alla luce delle foto apparse su Diva e Donna che ritraggono il Cav in Svizzera con la deputata di Fi Marta Fascina. Il comunicato di fatto ufficializza la fine della loro storia d'amore e PASCALE non mostra rancore: ''Auguro al presidente tutta la felicità del mondo. E spero che possa trovare una persona che si prenda cura di lui come ho fatto io con lui". PASCALE si dice ancora sorpresa da quanto successo e guardando le foto del settimanale ironizza: "Mi fa simpatia vedere un deputato della Repubblica portare a spasso il mio cagnolino... Va bene così". Ma cosa c'è dietro la clamorosa nota dell'ufficio stampa di Forza Italia, diramata in serata, che ribadisce "il rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il presidente Silvio Berlusconi e la signora Francesca Pascale, ma che non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia"? E cosa c'è dietro la risposta piccata di Francesca Pascale all'Adnkronos? C'è la consacrazione di un rapporto finito. Di cui in Forza Italia si aveva sentore già da stamattina con i commenti e nervosismo che circolavano alla Camera fra i parlamentari azzurri e non solo. Colpa uno 'scoop' del settimanale di gossip Diva e Donna, rilanciato dal sito Dagospia, e riguarda per l'appunto Silvio Berlusconi e la deputata azzurra Marta Fascina, da un po’ di tempo presenza fissa ad Arcore paparazzati dal settimanale 'Diva e Donna' in Svizzera, che ritraggono il Cav oltreconfine per un periodo di relax in compagnia della giovane onorevole forzista campana: classe 1990, originaria di Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, eletta nel collegio blindato Campania 1 alle ultime politiche del 2018. Stamattina nei capannelli dei parlamentari azzurri non si parlava d'altro. Ma nessuno ha rilasciato dichiarazioni. Di buon ora c'è chi sorride, chi (svariati parlamentari) storce il naso perchè con la priorità è l'emergenza coronavirus che preoccupa tutti, c'è chi si dice amareggiato per la piega che ha preso il partito e chi invita a non prendere in considerazione delle 'foto rubate', che violano la privacy del leader forzista. A mezza bocca un big azzurro dice: ''Lasciamo stare il presidente, questa è la sua vita privata''. Gli scatti, raccontano, avrebbero riacceso i riflettori sui rapporti tra il vecchio e il nuovo cerchio magico, facendo riemergere antichi dissapori. Torna, dunque, ancora una volta alla ribalta la vita privata del capo. E molti azzurri si chiedevano quale fosse stata la reazione di Francesca Pascale, compagna dell'ex premier. Già nel gennaio scorso Pascale, in un colloquio con 'Novella 2000', aveva smentito voci di una relazione tra Fascina e il leader forzista, pur ammettendo la presenza della deputata a Villa San Martino in qualità di stretta collaboratrice del presidente. Allo stato, Fascina è anche segretario della commissione Difesa della Camera. In Svizzera con Marta: dov'è Francesca?, titola Diva nel suo servizio di 4 pagine corredato da foto esclusive. Tra queste, quella con il Cav che si prepara a salire in elicottero per lasciare il Grand Resort di Bad Ragaz, località del Canton San Gallo con una lunga tradizione di centro di cura, dove ha soggiornato nei giorni scorsi. Dietro al Cav non c'è Pascale ma la Fascina, che indossa un vestito con stelle. ''In queste immagini -scrive Diva- ecco Silvio e Marta in Svizzera a Bad Ragaz: escono da un resort e con gli amati barboncini di casa Berlusconi al seguito (tenuti al guinzaglio dalla Fascina) vanno via in elicottero''.

Berlusconi, Pascale e quel comunicato per dirsi addio. Pubblicato giovedì, 05 marzo 2020 su Corriere.it da Paola Di Caro e Simona Ravizza. «Il privato è politico» si diceva negli anni d’oro della contestazione, e forse rovesciando i piani e dopo tanti lustri l’ufficio stampa di Silvio Berlusconi ha chiuso il cerchio e un’epoca, arrivando dove ancora nessuno era mai giunto, annunciando con una nota ufficiale la fine della storia tra il Cavaliere e Francesca Pascale. Perché il comunicato diffuso nella cupa serata di mercoledì, sotto forma di smentita forse non ha precedenti. Ci si lascia ormai per mail, per sms, per messaggio privato, ci si lascia smettendo di seguire/rsi su Instagram — dando ai followers la possibilità di essere aggiornati in diretta — ma forse mai si era arrivati a farlo per comunicato stampa, subito dopo la nota sulla riunione del coordinamento di Forza Italia e quella sulle misure da prendere in sede di Consiglio Ue. Un amore — la cui durata quasi decennale è coincisa con un periodo anche duro e difficile per Berlusconi — passa a «rapporto di affetto e profonda amicizia» nel breve volgere di 20 righe. Più breve ancora perfino la replica romantica e amara della Pascale: «Gli vorrò sempre un infinito bene». Con frecciata finale però a quella che sembra essere la nuova compagna del Cavaliere, Marta Fascina: «Mi fa simpatia vedere un deputato della Repubblica che porta a spasso il cane...». Per le rotture tra il Cavaliere e Fini, e Alfano, e perfino Fitto e Toti ce ne vollero migliaia di righe, che l’odio tira più dell’amore. Pure in un comunicato stampa. 

Berlusconi: finito l’amore con Pascale. Ha un flirt con una deputata azzurra. Il Corriere del Giorno il 5 Marzo 2020. Silvio Berlusconi “paparazzato” in Svizzera con la deputata Marta Fascina. L’ex Francesca Pascale compagna: “Spero che qualcuno si prenda cura di lui. Mi fa simpatia vedere un deputato della Repubblica portare a spasso il mio cagnolino… Va bene così”. ROMA –  Incredibile la circostanza che per rendere pubblica la rottura sia stata addirittura diffusa una nota della segreteria di Berlusconi per mettere a tacere “i soliti pettegolezzi“. “Appare quindi opportuno riconfermare che continua a sussistere un rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il Presidente Silvio Berlusconi e la Signora Francesca Pascale, ma che non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia. È quindi di ogni evidenza che tutte le illazioni che vengono prospettate al riguardo sono fuorvianti e del tutto inesistenti”. Un comunicato che ha ufficializzato quello che si diceva e mormorava da tempo : l’amore tra Silvio Berlusconi e Francesca Pascale è finito. L’ex premier e leader di Forza Italia ha un’altra fiamma, e anche questo gossip va avanti da diversi mesi, come mostra un servizio del settimanale “Diva e Donna” che ha pubblicato foto che ritraggono Berlusconi in Svizzera con la deputata azzurra Marta Fascina, ormai presenza fissa ad Arcore, nata nel 1990, originaria di Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, e paradossalmente eletta nel collegio “blindato” Campania 1 (la regione della Pascale) alle ultime elezioni politiche del 2018. Silvio e Marta, definita “la bionda stellare”, sono stati paparazzati insieme in Svizzera, a Bad Ragaz, all’uscita di un resort di lusso con barboncini al seguito, poco prima di salire a bordo del loro elicottero privato. Per la precisione l’elicottero di Silvio B. Quindi si tratta di certezze più che illazioni . Del resto  che la loro lunga storia fosse arrivata al capolinea si era capito quando Berlusconi aveva comprato una villa alla Pascale a pochi chilometri da quella di Arcore. Il “padre-padrone” di Forza Italia all’inizio andava a trovarla, ma le sue visite si sono sempre più ridotte. Ad Arcore è rimasto il barboncino Dudù che adesso va a spasso con la deputata Fascina. Ed è proprio sulla fotografia che la ritrae con il cagnolino che la napoletana Francesca Pascale si lascia andare ad un commento denso d’ironia. “Mi fa simpatia vedere un deputato della Repubblica portare a spasso il mio cagnolino… Va bene così“. Imbarazzanti sono le fotografie circolanti sul passato della “bionda stellare” entrata nel cuore di Berlusconi, fra cui un nuovo “frequentatore” delle aule giudiziarie Giacomo Urtis ed un affezionato “ospite” delle carceri italiane come Stefano Ricucci.  Un importante parlamentare azzurro bene informato dice: ”Lasciamo stare il presidente, questa è la sua vita privata". Gli scatti, raccontano, avrebbero riacceso i riflettori sui rapporti tra il vecchio e il nuovo cerchio magico, facendo riemergere antichi dissapori. Torna, dunque, ancora una volta alla ribalta la vita privata del capo.

Perchè il cerchio magico del Cav ha licenziato Francesca Pascale. Giulia Merlo su Il Dubbio il 6 marzo 2020. Ritratto dell’ex eterna fidanzata di Silvio Berlusconi, dal suo sostegno al Gay Pride a quando disse “non stimo l’uomo Salvini e nemmeno la sua politica”. Il suo profilo instagram ha come biografia una citazione di Alda Merini: “Le donne sono frivole perché sono intelligenti a oltranza”. La sua prima fotografia condivisa è di lei, su una panchina color arcobaleno e un augurio “a tutte le famiglie”, perché amore è amore. Segue lei sul divano, che legge “Educare al femminismo”, della spagnola Iriate Maranon. Poi la foto di un poster dei radicali e un messaggio di solidarietà a Radio Radicale nei giorni in cui si parlava della chiusura. Una foto in t-shirt con stampa del muro di Berlino per celebrare i trent’anni dalla caduta. Una scarpa rossa, per celebrare la giornata contro il femminicidio. Da ultimo, il video dell’incontro dopo trent’anni della performer Marina Abramovic con l’ex compagno, scomparso nei giorni scorsi. Eccolo, il profilo di Francesca Pascale. L’ex regina di Arcore scacciata dal trono e dal cuore del presidente Silvio Berlusconi dopo 12 anni di relazione. A prendere il suo posto sarebbe già arrivata Marta Fascina, deputata forzista con il 50% di assenze in Parlamento e una carriera lampo in politica grazie all’elezione in un collegio blindassimo della Campania da appena trentenne, cinque in meno di Pascale. Se i social significano qualcosa – e lo fanno – nel suo profilo instagram compaiono solo cartelloni di Forza Italia, video del Berlusconi oratore e screenshot dei suoi editoriali sul Giornale. Massima espressione di sé: una foto con il pullman del Milan, società nella quale ha lavorato come pr e attraverso la quale si sarebbe avvicinata al Cav. Il gossip, come sempre nella politica, si tinge di giallo. Soprattutto in una corte in disarmo come quella dell’ex maggiore partito del centrodestra. I giornali scrivono di veleni incrociati, di lotta per ricostruire un cordone di sicurezza intorno al presidente, per salvare il salvabile o accaparrarsi le ultime spoglie di Forza Italia, ormai beccheggiante sulla soglia del 5%. L’addio si consuma nel modo dei rotocalchi: a gennaio spuntano le prime foto di Berlusconi con una certa Marta Fascina, deputata azzurra appena trentenne (cinque in meno di Pascale) ed ex assistente della potente senatrice Licia Ronzulli, che da tempo avrebbe preso il controllo dell’agenda del Cav. Pascale, interpellata sulla possibile liason e sul perché la giovane vivesse ad Arcore, conferma che lo facesse perché “messa a fianco del Presidente da Licia Ronzulli” ma che “Se scoprissi che in questa storia c’è qualcosa di vero, tra me e il presidente finirebbe tutto”. Martedì scorso, nuovi scatti ritraggono l’ottantatreenne ex premier che esce da un resort con Fascina, che porta a guinzaglio il cagnolino Dudù. Il giorno dopo, un freddo comunicato pubblicato dall’ufficio stampa di Forza Italia conferma che il Cav e Pascale non sono più una coppia ma che – in perfetta tradizione da rotocalco – provano l’uno per l’altra immutato affetto. Nemmeno a dirlo, le dietrologie si sprecano e in tutte c’è un grammo di verità, che porta alla stessa pista: il cordone sanitario intorno al Cavaliere ha voluto togliere di torno quella fidanzata a modo suo ingombrante, per sostituirla con un genere che più si addice ad un ex premier che ora deve calcolare bene i suoi passi, per non bruciare la sua eredità politica. Troppo autonoma, Francesca. Napoletana e fumantina: gelosissima delle frequentazioni di Berlusconi tanto da non risparmiagli scenate in pubblico ma anche decisa a tutelarne la vita e ad allontanare da lui quella scia di cortigiani invadenti, Olgettine e sfruttatori della sua ormai nota bontà (proverbiale il racconto di lei che blocca le derrate alimentari ad Arcore: «Dovevo intervenire. Pagavano i fagiolini 80 euro al chilo. Vi pare possibile?»). Ironica e diretta, poco incline ai compromessi e al silenziatore di chi la avrebbe voluta bella statuina al braccio dell’attempato leader. Somigliante, in un certo senso, a quella Veronica Lario che lasciò Berlusconi proprio all’alba dello scandalo Bunga Bunga, quando aveva scoperto che il marito era corso a Portici, al compleanno di una giovanissima Noemi Letizia (era l’epoca del “ciarpame senza pudore”, come scriveva lei in un editoriale su Repubblica). Portici, la stessa cittadina dove è cresciuta anche Fascina. Pascale in questi anni è intervenuta nel dibattito pubblico e tutte le volte che lo ha fatto ha marcato una netta differenza tra lei e l’ortodossia forzista. Prima ha fatto strabuzzare gli occhi ai più conservatori sostenendo pubblicamente il Gay Pride e le unioni civili.

Poi, presa di mira dalla comica Virginia Raffaele che ne aveva fatto l’imitazione proprio nel salotto del nemico Michele Santoro, aveva zittito il coro di critiche provenienti dall’allora Popolo delle Libertà. “Non trovo affatto offensiva, né tantomeno razzista l’imitazione che Virginia Raffaele…. Anzi, mi dispiace che qualcuno all’interno del Pdl l’abbia criticata”. E ancora era intervenuta con un editoriale sulla prima pagina del Fatto Quotidiano, per replicare alle illazioni sul presunto malore di Silvio davanti ad una sua richiesta di matrimonio. «Personalmente non credo che il matrimonio possa ridursi a una mera firma o mero rito: quello civile mi intristisce e quello religioso mi fa simpatia. Pur rispettando il matrimonio come istituzione o scelta individuale, non ritengo però che esso sia tra le cifre fondamentali di un amore e né tra le condizioni che rendono nobile e autentico il più puro dei sentimenti». Da ultimo, e questa è stata la goccia che probabilmente ha fatto traboccare un vaso già colmo fino all’orlo, non ha mai nascosto la sua antipatia nei confronti del nuovo leader del centrodestra, Matteo Salvini. A fine gennaio, alla conclusione della campagna elettorale alle regionali, ai giornalisti che le chiedevano dell’esito negativo in Emilia, ha risposto con un lapidario: “Sapete quel che penso di Salvini, non stimo l’uomo Salvini e nemmeno la sua politica…”. Ed ecco servita una piccola crisi diplomatica sulla quale è dovuto intervenire Berlusconi, per scusarsi con l’alleato. Del resto, tutti i giornalisti che abbiano il suo numero in rubrica sanno dei suoi status su whatsapp in cui attacca frontalmente il leader della Lega: “Omofobi” e “Pagliacci senza gloria” sull’immagine di lui con Marine Le Pen. Poi anche una vignetta di Vauro che ritrae Salvini e la didascalia: “È contro i diritti civili e le droghe… ma vuoi vedere che…”. Troppo, evidentemente. Ora, Francesca Pascale è chiusa nella sua Villa Maria a Casatelnovo in Brianza, poco lontano da Arcore. Dopo il comunicato di “licenziamento” pubblicato da Forza Italia ha risposto pesando le parole. Affetto per Berlusconi (“Vorrò sempre un infinito bene al mio presidente. Gli auguro tutta la felicità del mondo. Spero che trovi una persona che si prenda cura di lui come ho fatto io”) ma anche sferzante ironia: “Mi fa simpatia vedere una deputata portare a spasso il mio cagnolino. Ma va bene così”. Il day after, però, è sempre il più duro. Per parlare, l’ormai ex Lady B. ha scelto un quotidiano storicamente poco amato dal centrodestra. “Chi ha fatto uscire la notizia non ha fatto un buon servizio al presidente e al partito”, ha detto a Repubblica, allontanando da sé una delle voci che ieri erano state messe in giro: che sarebbe stata proprio lei a passare lo scoop a Diva e Donna della fuga romantica tra Berlusconi e la deputata. “Mi rammarica e mi addolora sentire questa calunnia. Non avrei potuto fare una tale bassezza, nemmeno se avessi voluto, perché non conoscevo i dettagli del soggiorno”. E a chi le ha sempre affibbiato l’etichetta della scalatrice sociale, compagna per interesse e non per amore di un uomo tanto più anziano, risponde con amarezza: “Mi ritrovo tradita a 35 anni e liquidata da un compagno così amato che ne ha 83. Eppure lo rivendico, a costo di qualunque sfottò: ho sempre avuto un sentimento sincero per lui, e rispetto per la famiglia e i figli”. Si chiude così, da umiliata e offesa, la parabola di Francesca Pascale. Ma si sa, una regola del gossip è che nulla è mai finito davvero.

Pascale e l’addio a Berlusconi: «Non siamo più la coppia più bella del mondo, ma l’amore non può sparire». Pubblicato giovedì, 05 marzo 2020 su Corriere.it da Tommaso Labate. «Il mio rapporto con il Presidente non si spegnerà così. Anche se è un legame che si è evoluto nel tempo e non è più catalogabile come relazione di coppia. L’amore può modificarsi, non può sparire». È come nella celebre canzone di Umberto Bindi, che si intitolava Arrivederci ma che era la storia di un addio. Nelle poche parole affidate agli amici più stretti, anche Francesca Pascale traccia il solco tra sé e l’ormai ex fidanzato Silvio Berlusconi. Non sono le dieci righe asettiche della nota ufficiale dell’ufficio stampa di Forza Italia, riversate ieri l’altro in una chat di WhatsApp proprio mentre l’Italia pensava alla chiusura delle scuole. Ma il senso è lo stesso. Qualcosa rimane, certo. Quell’affetto «riconfermato» dal presidente, che nella lettura di lei è «qualcosa di ancor più profondo» dell’amore svanito. Ma il sipario su un decennio — iniziato con Berlusconi a Palazzo Chigi, proseguito con Berlusconi condannato in via definitiva per frode fiscale e quindi decaduto dalla carica di senatore, poi leader riabilitato e quindi sconfitto nella contesa per la leadership del centrodestra dall’avanzata di Salvini — è definitivamente calato. Nessuno, nemmeno quelli che dentro Forza Italia lamentano che «sembriamo una puntata di Dinasty mentre il mondo ha paura del coronavirus», può fare a meno di sottolineare il passaggio comunque epocale, la fine di un’era. Esce di scena Pascale, la compagna del «ridate al presidente l’agibilità politica», la pasionaria dell’apertura alla causa Lgbt, la nemica giurata del salvinismo imperante; entra Marta Fascina, accento sulla penultima (si pronuncia Fascìna), silenziosa custode dell’ortodossia della nouvelle vague del Cavaliere, che vive di fatto a Palazzo Grazioli quando è Roma e a Villa San Martino quando si trova ad Arcore. Classe 90, nata in Calabria ma cresciuta a Portici, la nuova première dame del berlusconismo si fa vedere poco e sentire molto. Gli ultimi due anni di pezzi ospitati su il Giornale le sono valsi la fama di colei che separa l’autentica interpretazione del pensiero del «Presidente» da quello che autentico non è. Dalle stoccate ai quarantenni del partito che rivendicano il rinnovamento di Forza Italia («Il rinnovamento c’è già») alla sciabola usata contro Mara Carfagna, passando dai fendenti rivolti — all’epoca del governo gialloverde — sempre al M5S e mai a Salvini. Potrebbe essere un dettaglio non da poco, nel futuro prossimo. Difficile dire se lo status ufficiale dell’onorevole Fascina, deputata alla prima legislatura grazie a quel collegio sicuro sottratto in extremis a Nunzia de Girolamo, sarà quello di «fidanzata» oppure no. Lo dirà solo il tempo. Lo stesso tempo che, finora, ha premiato la corsa a fari spenti di questa ragazza che, alle frequentazioni di colleghi giovani, ha preferito le ore a parlare di politica con veterani del calibro di Elio Vito e Andrea Orsini. Ex del Partito radicale il primo, ex del Partito liberale il secondo. In fondo è grazie a costoro, forse, che Fascina riesce a cimentarsi in avventurose riletture dialettiche della storia recente del berlusconismo. Come quella volta che, a proposito del cambio della guardia Berlusconi-Monti del 2011, evocò «quello che il filosofo tedesco Habermas definì a quiet coupe d’etat». Proprio così, testualmente.

Marta Fascina, chi è la nuova fidanzata di Berlusconi dopo Francesca Pascale. Calabrese di trent'anni, ma cresciuta in Campania, è stata eletta alla Camera in un collegio blindato del Napoletano dopo un'esperienza nell'ufficio stampa del Milan. Galeotte, raccontano le sue colleghe onorevoli, sarebbero state prima del 2018 alcune appassionate lettere inviate al Cavaliere. Carmelo Lopapa il 05 marzo 2020 su La Repubblica. Adesso sono tornati ad Arcore. Da Villa San Martino, Silvio Berlusconi e Marta Fascina si erano allontanati solo per qualche giorno di riservato relax nel Gran Resort di Bad Ragaz, nel cantone svizzero di San Gallo. Riservato finché i fotografi di Diva e Donna non li hanno immortalati insieme costringendo la "real" casa del Cavaliere - che poi ormai coincide con quel che resta di Forza Italia - a dare spiegazioni. E soprattutto a rendere ufficiale quel che da mesi era risaputo dai più: Francesca Pascale è stata "licenziata", dopo quasi dieci anni di amorevole "cura", come la chiama ora lei. Per andare tuttavia alle origini della storia, nel backstage di questa deputata calabrese di Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, trentenne (classe 1990), ma di origini e vissuto campano (è di Portici, come la fatidica Noemi Letizia), bisogna tornare alla notte di fine gennaio del 2018. Quando, come per incanto, fior di maggiorenti del Napoletano e deputati uscenti si videro scavalcati nel collegio blindato Campania 1 dall'ignota Marta Antonia Fascina (è il nome completo), allora nemmeno 28enne. Ma prima che scoppiasse la rivolta - ricordano ora i maggiorenti di Napoli e dintorni - fu sufficiente spiegare ai più che la ragazza proveniva da un'esperienza nell'ufficio stampa del Milan e quanto fosse particolarmente gradita dal Presidente, perché ogni insofferenza venisse soffocata, ogni brusio tacitato. Galeotte, raccontano le sue colleghe onorevoli, sarebbero state prima del 2018 alcune appassionate lettere inviate al capo dalla addetta stampa, milanista per professione, berlusconiana per passione. Laureata in Lettere e Filosofia, "addetta stampa" e "public relation specialist" nella biografia sul sito della Camera, la neo deputata - chissà se consapevole del suo ruolo da "predestinata" alla successione della Pascale - in questi due anni si è ben guardata, non dal sovraesporsi, ma dall'esporsi affatto. Non è passato agli onori della cronaca un suo discorso in aula, una sua dichiarazione, una polemica. Si è limitata a solcare la corsia rossa del Transatlantico con passo deciso, a testa alta, sempre elegantissima, giusto con quell'acconciatura verticale un po' anni Ottanta a darle un tocco originale. Più Francesca faceva parlare di sé con la iscrizione all'Arcigay, con le battaglie in favore degli omosessuali, delle coppie di fatto e le rasoiate contro Salvini, più la corregionale Fascina si inabissava. E si avvicinava alla residenza di Arcore. Proprio quella dalla quale la fidanzata ufficiale si era ormai allontanata per rifugiarsi nella splendida Villa Maria, a Casatenovo, fatta costruire appositamente per lei in Brianza, a dieci km da Villa San Martino. Una separazione di fatto, mai dichiarata. Periodicamente smentita da una nuova foto della coppia sul magazine di famiglia "Chi", con tanto di Dudù in braccio. Il tutto, mentre la giovane Fascina conquistava spazi e fiducia nella "Casa". E soprattutto l'amicizia del vero braccio destro operativo dell'anziano leader: la senatrice Licia Ronzulli. Rivelazione, questa, fatta nelle scorse settimane proprio dalla Pascale, quando tutto ormai per lei era perduto, al punto da decidersi a raccontare al magazine "avversario" Novella 2000 quel che stava accadendo: "Marta Fascina? Dico solo che è stata messa al fianco del mio Presidente da Licia Ronzulli, che ha come assistente proprio lei ed è per questo che vive e dorme ad Arcore". Inusuale? "Non per Silvio, che lavora sempre e che da sempre ha i suoi collaboratori in casa. Se scoprissi che in questa storia c'è qualcosa di vero, tra me e il presidente finirebbe tutto", era stata la profetica chiosa. Ecco, adesso è finito tutto. Con un servizio fotografico - ancora una volta - e una nota del partito. E con sospiro di sollievo dei figli, racconta chi frequenta Arcore. Troppi clamori, troppe polemiche politiche negli ultimi mesi, anche contro il nuovo leader del centrodestra Salvini, col Cavaliere costretto di tanto in tanto a chiamarlo e spiegare. Adesso serve più discrezione, al fianco del Cavaliere alla guida di un partitino del 5 per cento, servono i silenzi di Marta.

Marco Galluzzo per il ''Corriere della Sera'' il 23 luglio 2020. Per tutti all'inizio era soltanto una delle tante fan di «Forza Silvio». Appariva a tutte le manifestazioni, era sempre in prima fila, esile ma decisa a non fare mai un passo indietro. La sua t-shirt con un gigantesco logo pro Berlusconi era la sua seconda pelle, sino al giorno in cui fu notata dal presidente e spiccò il volo: da fan costretta a fare ore di marciapiede a fidanzata del suo mito politico. Ora dopo quasi dieci anni di relazione - sempre avvolta da uno stretto riserbo - dopo l'annuncio a marzo della fine della storia, emergono anche i dettagli economici: Francesca Pascale ha ricevuto un assegno di venti milioni di euro e firmato un accordo di mantenimento da un milione l'anno. La notizia, pubblicata dal settimanale Oggi non è stata smentita dallo staff dell'ex presidente del Consiglio. Appena quattro mesi fa un comunicato di Forza Italia conferma la fine della relazione tra Silvio Berlusconi (84 anni a settembre) e Francesca Pascale: «Continua a sussistere un rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il presidente e la signora, ma non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia». Un comunicato asciutto, concordato fra le parti, che in poche righe mette fine a un rapporto cominciato intorno al 2011 e confermato con la prima uscita pubblica, allo stadio in occasione del derby Inter-Milan. Ora per la 36enne Pascale sembra essere arrivato davvero il momento di voltare pagina. Stando alle indiscrezioni pubblicate sul settimanale Oggi , la ex valletta di Telecafone approdata al Pdl, avrebbe firmato un accordo che prevede appunto una ricca «buonuscita» e una sorta di mantenimento di un milione di euro l'anno. «Il mio rapporto con il presidente non si spegnerà così. Anche se è un legame che si è evoluto nel tempo e non è più catalogabile come relazione di coppia. L'amore può modificarsi, non può sparire»: queste furono le parole della Pascale qualche settimane dopo il comunicato sull'addio. Di recente la ex compagna di Berlusconi - sempre secondo le rivelazioni di Oggi - è stata in più di una occasione fotografata in compagnia della cantante Paola Turci, alla quale sarebbe legata da una «inseparabile amicizia» e con la quale «condivide l'impegno a favore di gay e lesbiche». Il leader di Forza Italia è legato adesso a Marta Fascina, classe '90, nativa calabrese di Melito Porto Salvo ma cresciuta a Portici, deputata di Forza Italia alla prima legislatura. Pur senza smentire la notizia della buonuscita, ieri lo staff di Silvio Berlusconi ha solo aggiunto che si tratta di una questione privata, che ha avuto una sua risoluzione consensuale, anche dal punto di vista finanziario, aggiungendo che il rapporto fra Berlusconi e la Pascale resta di profonda amicizia.

"Buonuscita" di venti milioni e un assegno annuale: separazione fatta tra Berlusconi e Pascale. Pubblicato giovedì, 23 luglio 2020 su La Repubblica.it da Conchita Sannino. Lontanissimo, com'è ovvio, dal riconoscimento economico garantito alla ex moglie Veronica, quasi un milione e mezzo al mese. Ma più solido degli "incentivi" al silenzio da 5 milioni una tantum attribuiti alle frequentatrici del genere Ruby Rubacuori. Francesca Pascale, l'ex first lady più longeva tra le fidanzate berlusconiane, ha portato a caso una buonuscita di 20 milioni, oltre ad un assegno di un milione annuo. Tra il leader di Forza Italia e l'ex consigliera di Fi nella Provincia di Napoli era finita nel marzo scorso, in piena depressione da lockdown. Con la Pascale rimasta sola nella sua villa della Brianza, mentre scopriva dalle solite foto rubate ad arte, che l'ex premier era volato in montagna con un'altra fiamma, la deputata Marta Fascina (anche lei originaria del napoletano). Il presidente aveva liquidato tutto con quattro paroline, per Francesca insopportabilmente cortesi: "Le vorrò sempre bene". Di contro, Francesca lo aveva avvertito, tra una zampata e una lacrimuccia. Lui, aveva precisato, cioè Silvio Berlusconi, "mi ha sempre trattato come una regina". Ergo: adesso voglio lo stesso tenore di vita. E così sia, o quasi, stando alla ricostruzione annunciata da Oggi. "Adesso non potrò certo tornarmene a casa, alla mia vecchia vita, ho dedicato al presidente i miei migliori anni, da quando ero una ragazzina",  è quello che ha confidato ai suoi più stretti collaboratori, e legali. Così Pascale ha strappato quasi 2 milioni all'anno, per ciascuno dei dieci anni di convivenza ufficiale. Più quell'assegno che le verrà versato annualmente. Più, a quanto sembra, ancora per molto tempo il domicilio in quella dimora con giardino - battezzata Villa Maria - a Casatenovo in Brianza, fatta realizzare apposta secondo i gusti dell'allora fidanzata, con palestra, saloni, prato inglese dove far scorrazzare i suoi cani. Un secondo indirizzo che segnava già, in tempi in cui questa parola custodiva solo implicazioni sentimentali e non sanitarie, un "distanziamento" graduale dalla vulcanica ex ragazza napoletana. Pascale infatti, a differenza paradossalmente della deputata Fascina, non era silente nelle discussioni politiche, anzi amava intervenire con posizioni a volte spiazzanti per l'ex premier (l'apertura immediata sui diritti e le battaglie Lgbt, i duelli con Salvini allora in ascesa), e non disdegnava neanche scenate di gelosia. Ma quante stagioni aveva attraversato Silvio, con Francesca al fianco, più o meno esibita, più o meno fidanzata ufficiale. Prima la tempesta del caso Noemi Letizia nel 2009, poi il divorzio da Veronica, poi precipitare del suo governo fino alla crisi del 2011, poi l'esplosione dei processi milanesi fino al Ruby ter, con Berlusconi accusato di aver corrotto le testimoni con continue dazioni di denaro e Francesca che confermava a beneficio dei  magazine che le cene "erano eleganti". Fino al tramonto di Forza Italia da grande partito di massa a movimento che si fa fagocitare dalle ali a destra che avanzano: Salvini e Meloni. A quante scene, a quanti incontri ha assistito, quella ex determinatissima sua ammiratrice: nata in una famiglia modesta della periferia occidentale del capoluogo partenopeo. "L'ho sempre difeso, ho coltivato la sua stessa passione politica, condiviso la sua passione per il Paese", diceva lei a marzo. Insomma, sa di lui vizi e virtù, e tante cose. Venti milioni valgono bene una pace.

Antonio Massari per il Fatto - Articolo del 18 maggio 2014 – ESTRATTO. La regista e attrice Michelle Bonev è nella procura di Roma per un motivo preciso: la Pascale l'ha querelata dopo l'intervista a Servizio Pubblico, dove la Bonev dichiara che la Pascale è lesbica, che la sua relazione con Berlusconi è fittizia, che l'ex Cavaliere in un'occasione ha picchiato Francesca con un telefono. La Bonev racconta che Berlusconi le parlò della Pascale nel gennaio 2012: "Mi disse: 'Conosco questa ragazza, ha una storia molto particolare... ama stare solo con le donne, questo parte dalla sua infanzia, quando andava a scuola ha avuto un rapporto con la sua insegnante per molto tempo... non ha mai avuto rapporti con gli uomini. Te la vorrei far conoscere...'". "Chiesi a Licia Nunez di farmi incontrare Berlusconi... sono andata a Palazzo Grazioli per la prima volta a marzo 2009... le ragazze... una per una andavano a chiedere le cose che gli servivano per lavoro, per soldi, per pagare la luce, il gas... mi sembrava di stare a una specie di padrino... baciamano...". Bonev racconta che il contatto con Berlusconi avviene attraverso Licia Nunez - spiegando che quest'ultima ha avuto una relazione con Imma Battaglia, storica leader del movimento LGBT, ndr - e dice che grazie a un regalo di compleanno - "una statua di marmo... della Madonna di Milo ... molto alta, molto bella" - Berlusconi le fissò il primo appuntamento. La prima notte non vi fu alcun rapporto sessuale - arriverà in seguito, quando la Bonev intuisce che è l'unico modo per ottenere un contratto …"Ci sono due gruppi di ragazze - dice la Bonev - quelle di Milano e quelle di Roma, non si mischiano molto i gruppi, perché poi sono gelose tra loro... Lui fa: 'Sai lei (la Pascale, ndr) è venuta così perché vuole essere lei al mio fianco, però sai io non voglio che mi fa casini, te la voglio far conoscere perché potremmo fare qualcosa insieme, è una ragazza che ha bisogno di una guida, aveva sempre avuto una storia con una donna molto più grande, è molto simpatica, mi porta le sue amiche e ci divertiamo'. Il giorno dopo mi invita a pranzo per conoscerla. Eravamo io, Francesca, Berlusconi, una delle segretarie e la senatrice Rossi... "La Rossi - continua Bonev - è quella che mi ha accolto e mi ha dato la stanza ad Arcore, mi dicevano che fa la logistica delle ragazze... possono chiamare lei per qualsiasi bisogno, dal succo di frutta al medico... faceva ... le buste per le ragazze, tutto quello che serve perché non parlino, che non facciano casino...". "Ci siamo messi a fare il bagno nella vasca idromassaggio... entriamo io e Francesca, le altre due amiche stavano là, poi improvvisamente si presenta Berlusconi completamente nudo, entra nella vasca, io e Francesca cominciamo a baciarci... lui stava lì a guardare... io e Francesca è la prima volta che abbiamo avuto un rapporto... dopo di che... è stato un rapporto d'amore... da tutto il 2012 fino a febbraio 2013... ci vedevamo tutti i giorni... l'ultimo messaggio prima di dormire... il primo quando si svegliava ... non conoscevo Whatsapp, l'ho conosciuto con lei..."

Dal “Fatto quotidiano” - ARTICOLO DEL 13 NOVEMBRE 2019. “Una storia d’amore bellissima! Grazie #renault”. Così sul suo profilo Instagram Francesca Pascale, compagna di Silvio Berlusconi, commenta lo spot della casa automobilistica francese sulla Clio, ripreso dal sito gay.it e rilanciato sui social dall’ex deputata Paola Concia, ispirato a una storia d’amore tra due donne. La Concia aveva appena twittato: “Cara @renaultitalia mandate questo spot sulle reti italiane, sì? Coraggio, un po’ di coraggio, forza! È bellissimo”. Il tweet della fidanzata dell’ultraottuagenario B. non meraviglia. Proprio in un’intervista a Francesca Fagnani per il Fatto d’inizio novembre, la first lady del mondo berlusconiano ha dichiarato: “Non ho mai usato paletti per definirmi, non ho mai detto né di essere eterosessuale né gay. Nelle amicizie come nell’amore non seguo stereotipi. Dieci anni fa mi sono innamorata di un uomo straordinario, domani chissà. Combattere a favore dei diritti Lgbt va a tutela anche della mia persona: e se domani io scegliessi di vivere in una famiglia arcobaleno? Perché dovrei vivere in uno Stato che mi odia a prescindere?”

Francesca Pascale e Paola Turci "amiche speciali". Che beffa per Berlusconi: è la paparazzata dell'anno? Libero Quotidiano il 17 giugno 2020. Paparazzata clamorosa per Francesca Pascale. Dopo mesi di silenzio e riservatezza, in seguito alla dolorosa rottura con SIlvio Berlusconi lo scorso marzo, la bionda napoletana è stata pizzicata dai paparazzi di Diva e donna in compagnia di un'amica decisamente speciale: Paola Turci. Insieme sul litorale laziale, divertite ed evidentemente serene, la Pascale (tatuaggi sulle braccia  sorriso) e la cantante ( che è di casa lì) passeggiano con i rispettivi cagnolini, ridono e si rilassano. In comune, hanno le battaglie per i diritti di gay, lesbiche e trans e per le cosiddette famiglie arcobaleno. Quando la Pascale affrontò il tema ("Non ho mai usato paletti per definirmi, non ho mai detto né di essere eterosessuale né gay. Nelle amicizie come nell’amore non seguo stereotipi. Dieci anni fa mi sono innamorata di un uomo straordinario, domani chissà...") era ancora la compagna del Cav e creò un qualche imbarazzo nell'alleanza di centrodestra. Ora, evidentemente, può concedersi tutte le libertà che vuole. Anche quella di frequentare una anti-berlusconiana agguerrita come la Turchi, che come ricorda Dagospia nel 2011, quando Berlusconi era ancora premier, dedicò al Cav una canzone dal titolo più che esplicito, Devi andartene!.

Andrea Greco per “Oggi” il 6 agosto 2020. Questa volta a essere travolte da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto sono Francesca Pascale e Paola Turci. A vederle che si baciano e si scambiano affettuosità sul superyacht affittato per la loro "vacanza speciale", appare immediatamente evidente che non hanno nessuna intenzione di nascondersi (e fanno bene, perché dovrebbero?) confermando che tra loro c'è quella che noi di Oggi avevamo definito, prudentemente, una "amicizia molto speciale". Certo, anche solo immaginare, prima che accadesse, l'incrocio tra le traiettorie di vita della cantautrice impegnata e segnata dalla vita e della bella ragazza napoletana diventata compagna del miliardario sarebbe sembrata una follia. E invece dopo che la relazione con Silvio Berlusconi è stata archiviata con signorile praticità le due ora sono inseparabili e festeggiano, nelle acque del Cilento, sul lussuoso Lucky, uno yacht di 25 metri con tre uomini d'equipaggio, varato questa primavera, che si noleggia con circa 60 mila euro la settimana: tanti, è vero, ma anche pochi se, come avevamo anticipato con uno scoop sul numero 30, si è appena chiusa una relazione con un uomo ricchissimo ricevendo una "buonuscita" di 20 milioni di euro, rinforzata da una rendita di un milioncino l'anno. Del resto Francesca Pascale, con sincerità, aveva commentato: «Dopo aver dedicato i miei anni migliori a Silvio Berlusconi non potevo tornare a fare la vita di prima». E infatti di quella ragazza napoletana sostenitrice sfegatata del leader di Forza Italia è rimasto poco: si è emancipata dal suo Pigmalione, ha preso consapevolezza, si è lanciata nell'impegno pubblico per i diritti dei gay, e ora un nuovo amore sorprendente. E se ci si sofferma a riflettere sulla parabola di Francesca Pascale, dalle reminescenze del liceo si fa strada il fantasma di Eraclito: «Chi non si aspetta l'inaspettato non scoprirà la verità».

Da liberoquotidiano.it il 6 agosto 2020. La Pascale era stata già immortalata in compagnia dell'amica, anche lei paladina dei diritti di gay, lesbiche e trans ed entrambe strenue sostenitrici delle cosiddette famiglie arcobaleno. L'ex compagna di Berlusconi non ha mai confermato la presunta liaison, ma in passato aveva confessato di "non aver mai usato paletti per definirmi, non ho mai detto né di essere eterosessuale né gay. Nelle amicizie come nell’amore non seguo stereotipi. Dieci anni fa mi sono innamorata di un uomo straordinario, domani chissà". E oggi che la sua storia d'amore con il Cav è finita, pare che la Pascale si sia concessa tutte le libertà, anche quella di frequentare la Turci, da sempre anti-berlusconiana. E non è un caso che la cantante dedicò al Cav una canzone dal titolo più che esplicito, Devi andartene!.

IL TESTO DI ''DEVI ANDARTENE''

Devi andartene, devi andartene via

Perché il tempo passa, passa, passa e va a stringere

Ora basta devi andartene più lontano che puoi

Con la tua luce amara, fuori dai denti (devi andartene)

Perché a giocare col fuoco si richischia di bruciare

E non ci sono promesse che possano guarire

Solo parole che tacciono per non dispiacere

Se penso a tutto il tempo dato in pasto a ferire

Cercando una risposta che non sapesse tradire

Smarriti dentro un mondo che lascia a cader

Che non conosce il senso della parola impedire

Devi andartene, devi andartene via

Perché il trucco si scioglie

E si scopre l'inganno (devi andartene)

Perché con la tua musica hai fatto il tuo tempo

E non ci sono incantesimi che riescano a stupire

Nessuna confessione per piangere un dolore

Ma solo un Dio che parlano sempre basso

Non girano sue foto ma solo ipotesi ma tante ipotesi a favore

Perché ogni tempo ha il suo vento

Ogni stagione ha il suo aprile

Davanti a questo astuto arsenale di burattini

Di astuti poeti al loro finale

Dove l'imbarazzante gioco delle parti diventa

Il solito dantesco girone infernale

Con il monarca sgargiante di cipria

Che perde la testa tra cosce, bracciali e culi di bottiglia

E una scialuppa di derelitti gli battono il sedere

Ma l'applauso osannante è diventato ormai ostile

Perché ogni tempo ha il suo vento

Ogni stagione il suo aprile

Perché ogni tempo ha il suo vento

Ogni stagione il suo aprile

Devi andartene

Devi andartene

Devi andartene

Laura Bogliolo per ''Il Messaggero'' il 7 agosto 2020. «La libertà è sinonimo di felicità». È il re del fashion, ma anche un po' psicologo, amatissimo da tutte le donne: vip, modelle, ma anche casalinghe di Anzio. Tra le sue clienti c'è la nuova coppia dell'estate, Paola Turci e Francesca Pascale, paparazzate mentre si baciano su uno yacht. «Sono loro amico, non ne sapevo nulla, se è come si vede dalle foto sono felice per loro». La lista delle sue fan stellate è lunghissima. Se Valeria Marini chiama di notte, la raggiunge per sistemarle la piega. «È la mia musa, oltre che la madrina di mia figlia Sophie Maelle». Promette che non abbandonerà mai le sue clienti di Anzio dove è nato e vive, anche se è richiestissimo dalle vip. Da bimbo giocava con i capelli della mamma che ha subito compreso il guizzo creativo di quel piccolo. A 15 anni ha messo piede per la prima volta in un salone da barbiere: «Facevo gli shampoo». Oggi, a 30 anni, Federico Lauri (il Federico Fashion style della tv) è riuscito a trasformare il comune di Anzio, vicino Roma, nel regno del beauty della Penisola. Ha aperto un salone a Milano («era un mio sogno, ce l'ho fatta»), altri due a Roma, a piazza di Spagna e dentro l'esclusivo store La Rinascente. È il protagonista del programma Il Salone delle Meraviglie (Real Time), ma già prima era una star di Instagram: ha un milione di followers. Insomma, Federico, appassionato di abiti coloratissimi e pieni di paillettes, è il più amato dalle donne. Il segreto del suo successo? «Fai il tuo lavoro con amore e passione». «Teso'», «troppo top», «no vabbé», i jingle di Federico che riecheggiano nel suo locale e che fanno impazzire le clienti che vengono da ogni parte d'Italia per provare tecniche da sogno: il Fly to sky (Federico crea diverse nuance di colore sostenendo le ciocche con palloncini all'elio), lo shampo con la nutella per riflessi naturali, il ferro che fa le onde. Ama l'oro e il bianco, i suoi saloni, così come i suoi vestiti e i suoi occhi brillano. «Una politica di Anzio ha definito il mio negozio stile Casamonica, ma come si permette?» sbotta. Federico Lauri, 30 anni, dagli shampoo in una bottega di Anzio, a Re del fashion. Ma come ha fatto? «Lavoro, lavoro, lavoro» Niente altro? «La passione, l'amore che si mette in ciò che si fa» Lei ama il suo lavoro, e tutte le donne amano lei. «Ogni donna va ascoltata con attenzione, dietro le loro richieste c'è una motivazione profonda, devi capire perché ti stia chiedendo quel taglio...o quel colore». Molto fashion, ma anche un po' psicologo? «Forse» Valeria Marini, è stata la sua prima cliente vip, è la sua preferita? «Sì, Valeria è nel mio cuore, siamo grandi amici ed è la madrina di mia figlia. È molto esigente, ma Valeria è Valeria: è top! L'adoravo anche prima di conoscerla, lei è stata molto gentile perché ha parlato bene del mio lavoro e così c'è stato il boom» Un boom che dura... ma quante clienti ha? «Non lo so, tantissime, non c'è una vip alla quale non abbia fatto i capelli». Qualche nome? «Aida Yespica, Giulia De Lellis, Alba Parietti, Laura Pausini, Paola Turci, Wanda Icardi, Francesca Pascale» Va bene...va bene... proprio tutte insomma. Com' è la cliente Francesca Pascale? Capricciosa? «No, è una bellissima persona, una ragazza semplice» So che è riuscito in una grande impresa con Paola Turci «Sì è fidata di me, a Sanremo due anni fa le ho consigliato di scoprire il viso, di non coprire le cicatrici con i capelli, sei bellissima le ho detto» Anzio, Milano, Roma: e Dubai? «Devo ancora studiare bene la situazione, come potrei aprire un salone se le donne devono portare il velo?» Un salto negli States? «No, voglio consolidare la situazione in Italia, aprirò un salone a Firenze, stiamo registrando le puntate della quarta stagione de Il Salone delle Meraviglie. Insomma tanta roba. Ho confermato il salone di Anzio come location della trasmissione, perché adoro la mia città, ho contribuito a farla conoscere, ma l'amministrazione non mi è vicina, anzi» Cosa le hanno fatto? «È una lotta per tutto e poi quell'offesa..., il mio salone stile Casamonica. Li querelo...» Le polemiche sui prezzi stellari? Digitando il suo nome su Google, ai primi posti nelle ricerche fatte c'è proprio prezzi. «Il listino è ben visibile, per le extension facciamo un preventivo, il nostro è un lavoro di altissima qualità»

Stefano Filippi per “la Verità” il 17 agosto 2020.

Roberto D'Agostino, fondatore e anima del sito Dagospia, che stagione è questa estate post Covid?

«C'è tensione nell'aria, sono vacanze con le nubi e minacce di temporali, dove la gente se ne va a Ibiza o in Croazia inconsapevole di rischiare la vita». Tu dove ti trovi? «Al mare a Sabaudia».

E mantieni le distanze?

«Più che la vita rischio il girovita, perché mangio sempre. E posso anche permettermi di non frequentare troppo le discoteche».

La gente cerca sempre l'evasione del gossip?

«Si considera il pettegolezzo come un qualcosa "extra vita" mentre, come dicevano i moralisti di una volta, è sempre stato una finestra sul porcile».

Anziché sul cortile.

«Per qualcuno, sotto l'ombrellone bisognerebbe passare le ore a leggere Proust, piuttosto che inseguire Casalino e i suoi amanti, le badanti di Berlusconi e le peripezie di Conte. Il gossip invece attiene all'essere umano».

Addirittura.

«Omero è pieno di pettegolezzi sugli dei dell'Olimpo. Tacito, Svetonio e i grandi storici dell'antica Roma erano i Signorini e i Dagospia dell'epoca. Chi vive senza pettegolezzo non vive nella contemporaneità. Anche la maldicenza più trucibalda può essere una forma di partecipazione e di coinvolgimento in ciò che capita. In qualche modo il pettegolezzo ricostruisce ciò che rimane in sospeso della percezione dei fatti. Il gossip è una bugia che dice la verità, come dicono gli americani. In fondo, la questione è sempre che cos' è la verità».

Parlare delle donne di Berlusconi è raccontare la vera politica?

«Con Berlusconi i partiti hanno cominciato a identificarsi con il loro leader. Comunque un presidente del Consiglio è una personalità istituzionale che rappresenta i cittadini, i quali hanno diritto di sapere per valutare, giudicare, sbertucciare».

Se il Cavaliere fosse rimasto un semplice imprenditore brianzolo, le olgettine non sarebbero interessate a nessuno?

«Se sei un premier è fondamentale sapere chi frequenti. Negli anni Sessanta a Londra scoppiò lo scandalo Profumo, il ministro della Difesa che ebbe una storiella con questa Christine Keeler al soldo dell'Unione sovietica. La mafia portava le donne a John Kennedy per soddisfare il suo satrapismo, e queste tenevano i contatti con i boss. Certe scappatelle possono diventare forme di ricatto: se sei un impiegato delle poste non ce ne frega niente; se sei il presidente degli Stati Uniti, sì».

Ma la stampa dell'epoca taceva.

«Anche di Anja Pieroni si seppe soltanto dopo che l'aereo di Bettino Craxi atterrò in Tunisia. Era tutto segreto. Quand'ero a Panorama ci toccò mandare al macero migliaia di copie perché nella rubrica "Periscopio" c'era una foto di Gabriella di Savoia con Cesare Romiti».

Il Covid ha cambiato il gossip?

«Stare chiusi in quarantena ha disastrato la voglia di evasione. Si parlava solo di mezze calzette della tv. Poi ho tirato fuori quel quartetto delle corna formato da Belen, la Marcuzzi, suo marito e De Martino: una specie di valzerotto, un rondò direbbero a Vienna. Era una cosa divertente ed è stato in qualche modo il via al post quarantena».

Il pettegolezzo accompagna sempre i cambiamenti sociali?

«È un indicatore a volte più significativo di tanti editoriali. Bisognerebbe dire al professor De Rita e al Censis di tenerne più conto».

Ma Berlusconi che passa da Francesca Pascale a Marta Fascina che cosa ci dice?

«È il tramonto del patriarca, anche se finisce sempre con la partita doppia».

Dare e avere.

«L'accordo con la Pascale è scritto ma non ancora firmato. L'avvocato Ghedini, che è il mastino di Berlusconi, non è così favorevole a concederle tutti quei soldi, anche perché lei faceva una vita splendida a spese del Cav. Ecco perché quelle sue paparazzate lesbo con Paola Turci mi puzzano di bruciato: in passato la Calippo-girl non si è mai fatta pizzicare dai teleobiettivi. Ma il tempo delle vacche grasse è finito. Ma non dimentichiamo un lato importante della storia di Berlusconi».

Cioè?

«La stagione delle olgettine e del bunga bunga nasce dopo uno psico-dramma profondo. Berlusconi fu colpito dal tumore alla prostata, erezione addio, ma riuscì a superarlo. Con la “pompetta”…».

Parliamo di Giuseppe Conte fotografato in spiaggia con la compagna bella, triste e silenziosa.

«A dire il vero mi domando perché nessuno riesce a intervistare la moglie separata di Conte».

Magari lei non vuole.

«Si va a rompere i coglioni a tutti, bisognerebbe romperli un po' anche a lei».

E Olivia Paladino?

«È una donna che pone molte domande. Sua figlia porta il cognome della madre, ma chi è il padre? E poi c'è il fatto che Conte è andato ad abitare a Palazzo Chigi, ma vive con lei in un altro appartamento dalle parti di via del Corso. Saranno anche cazzi suoi, ma quando uno diventa premier diventano cazzi di tutti».

Paola Di Caro per Corriere.it il 16 agosto 2020. «Je ne regrette rien» è la canzone che ama di più. E per un uomo che di amori ne ha avuti tanti e di esperienze in ogni campo anche di più, è quella giusta per raccontare e raccontarsi. «Non mi pento di nulla, né del bene che mi è stato fatto, né del male: è lo stesso per me. Viene pagato, spazzato via, dimenticato... Amori spazzati via, con i loro tremolii, torno a zero... Perché la mia vita, le mie gioie, oggi iniziano con te» intonava Edith Piaf. E quante volte Silvio Berlusconi l’ha cantata accompagnandosi al piano, come un inno che ha scandito i suoi pienissimi 83 anni. Sì, perché il rapporto tra il Cavaliere e le donne della sua vita — quelle ufficiali, quelle ufficiose, quelle lecite, quelle proibite — da un primo bilancio è stato davvero da «nessun rimpianto», una sequela di spazzare via, ricominciare. Ma pagando. In sentimenti, certo, come capita a tutti. Ma anche in denaro, come raccontano le cronache delle ultime settimane, con il cadeau di 20 milioni (lievitato rispetto all’offerta iniziale che sembra fosse molto, ma molto più bassa, cinque milioni dicono i bene informati) più una sorta di argent de poche da un milione l’anno per l’ultima ex compagna, Francesca Pascale, con la quale il rapporto si è chiuso ufficialmente a marzo (con un comunicato stampa ufficiale di Forza Italia). Ed è chiaro che per chi se lo può permettere fa meno rumore sia il modo in cui ci si lascia sia il quanto si lascia. Ma non c’è dubbio che l’ex premier — almeno a quanto risulta — ha sempre lasciato un civile ricordo di sé e un lauto riconoscimento economico per il pezzo di vita — lungo o breve che fosse — passato assieme.

«Scrivici quello che vuoi». Forse a fare abbastanza eccezione alla regola è proprio la prima moglie, la riservatissima Carla Elvira dall’Oglio, sposata nel 1965 dopo un anno di fidanzamento e madre dei suoi figli Marina e Pier Silvio. Un matrimonio vissuto ancora poco sotto i riflettori, in tempi in cui già era tanto il successo e altrettanto la ricchezza ma meno la grande fama, tanto che Berlusconi potè vivere in clandestinità dal 1980 la storia parallela con Veronica Lario, nome d’arte di Miriam Raffaella Bartolini, bellissima attrice che recitava nel di lui teatro Teatro Manzoni di Milano e che lo folgorò («Ho sentito un fulmine» disse lui «ma non era un temporale») durante la rappresentazione del Magnifico Cornuto, perché il destino se vuole mette malizia in certi istanti. Per Veronica, 20 anni più giovane, si trasferì a villa Borletti di via Rovani e chiuse il matrimonio con Elvira, nell’85. Da lei, nessuna polemica pubblica, nessuna esternazione, di lei pochissime fotografie, ma un rapporto che — complici i figli — è continuato civilmente e senza scosse, nonostante si racconti che il lascito dopo il divorzio sia stato abbastanza contenuto, che la signora non abbia mai lottato per ottenere di più. Sull’assegno di separazione sembra che abbia dato all’ex marito una sola indicazione: «Scrivici quello che vuoi». Poi, sono stati i figli a provvedere nel tempo a ogni eventuale bisogno, anche passando con lei estati nelle ville dell’ex premier, come quella alle Bermuda.

La seconda vita con la «first lady». Con Veronica comunque inizia la seconda vita di Berlusconi. Sposata nel 1990, quando già erano nati i loro tre figli, Barbara, Eleonora e Luigi, con lei accanto Berlusconi diventa il personaggio conosciuto a tutti quale è. Le tivù, il calcio, le immagini bucoliche della villa di Macherio, una miliardaria famiglia felice sulla quale punterà, e molto, nella campagna elettorale che lo portò nel ‘94 a diventare premier. E se sugli anni che precedettero quel salto lui stesso ogni tanto si lasciava andare a confidenze allegre — le donne gli sono sempre piaciute tanto, troppo — da quel momento in poi Veronica è la first lady. Che si concedeva poco, lo strettissimo necessario, che non parlava, che viveva nel suo mondo privato. Improvvisamente squassato in pubblico quando nel 2007 viene alla luce, come un lunghissimo spettacolo di fuochi d’artificio, la terza vita di Berlusconi.

La terza vita: complimenti e ossessioni. Da tempo il Cavaliere — che pure a volte ancora corteggiava la moglie, per esempio regalandole una romanticissima vacanza a sorpresa a Marrakech per i suoi 50 anni con tanto di travestimento da guerriero berbero — si è fatto sempre più «galante», se non decisamente inopportuno, nel suo lessico. Veronica si vede sempre meno, non lo accompagna, non c’è, mentre ci sono accanto al leader deputate, amiche, attrici, elettrici spasimanti, giovani, bellissime. E Lele Mora racconta di lui «che aveva perso la testa» per Francesca Dellera, e Daniela Santanché che scherza «giuro, è ossessionato da me», e qualcuno che sussurra di una passione a senso unico per Belen, e altre una sorta di stordimento per Mara Carfagna, alla quale disse ridendo alle tivù: «Ti sposerei!». Non c’è occasione in cui l’ex premier non lesini complimenti, finché — avendo lui esagerato alla cerimonia dei Telegatti mandata in tivù — Veronica non si tiene più. E a Repubblica scrive che ha letto di affermazioni «lesive della mia dignità», chiede se debba considerarsi come il personaggio di Catherine Dunne «l’altra metà di niente», vuole proteggere la propria «dignità» e chiede «pubbliche scuse». Che arrivano a stretto giro di posta, presentate come «atto d’amore».

D’Addario «nel lettone di Putin». Non basterà a impedire il precipizio. Perché è vero che il tacito patto tra i coniugi è lasciarsi libertà, ciascuno di vivere separatamente la propria vita e seguire i propri interessi, ma Berlusconi imbocca una via senza ritorno, e sono ormai entrate nella sua vita pubblica e privata troppe donne che porteranno alla deflagrazione, del suo matrimonio e di una parte della sua vita politica. La notizia della sua partecipazione alla festa dei 18 anni della sconosciuta Noemi Letizia, che arriva dopo mesi di frequentazioni anomale con ragazze giovanissime, veline, aspiranti tali in cerca di fortuna, escort professioniste come Patrizia D’Addario con le registrazioni della sua notte nel «lettone di Putin», porta Veronica alla denuncia clamorosa proprio mentre si stanno definendo le liste delle Europee del 2009 nelle quali l’ex premier vuole inserire tante «amiche» che i suoi uomini cercano di depennare. È tutto un «ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere», scandito da immagini di «vergini che si offrono al Drago», scrive la Lario, in una lettera aperta che il marito prese malissimo. «È come se mi avesse sparato in bocca», confidò agli amici.

Ruby e i party di villa Certosa. Arriva la richiesta di divorzio, in un clima tesissimo che accompagna mesi tormentati, quelli dei party di villa Certosa tra donne e premier (quello ceco) nudi in piscina, quelli in cui si consuma e diventa poi un clamoroso processo il caso Ruby. Stuoli di ragazze reclutate, pagate, in seguito ancora generosamente mantenute per anni, per allietare le «cene eleganti» del premier. Venne assolto Berlusconi, ma lo scandalo non ha riabilitazione. E la dura battaglia legale con Veronica terminerà solo nel 2019, con un accordo ultra-milionario (46 quelli concessi, più averi, case, azioni), ma almeno una pace siglata, e oggi un rapporto non più conflittuale (dopo l’ultimo accordo sul divorzio ndr, leggi qui) tra i due ex coniugi che sono tornarti occasionalmente a parlarsi, perfino a vedersi di rado. Ha calcolato Tommaso Labate sul Corriere della Sera che tra risarcimenti, assegni di divorzio, donazioni e prestiti senza restituzioni a tantissime donne famose e no (fra le quali la moglie di Marcello Dell’Utri, condannato per mafia, con la formula di un prestito infruttifero, o Nicole Minetti, la consigliera regionale protagonista del caso Ruby), per amore o giustizia, per interesse e quieto vivere o per garantirsi la riservatezza su una vita spesso al limite, dal 2010 a oggi il Cavaliere abbia speso oltre 75 milioni di euro. Fra i quali i 20 per Francesca Pascale, penultima fidanzata ufficiale, conosciuta proprio negli anni più scapigliati.

«Questo è il mio numero...» Napoletana, 35 anni, un passato diviso tra l’amore per la politica e quello per lo spettacolo, la Pascale conosce Berlusconi nel 2009, lo approccia — così lei stessa ha raccontato — a un comizio: «”Questo è il mio numero”, gli dissi allungandogli un pezzetto di carta. “Aspetto una tua telefonata”. (...) Qualche giorno dopo, a mezzanotte, squilla il mio cellulare. (...) Restammo al telefono per due ore filate». Lo frequenta assiduamente e di fatto si trasferisce ad Arcore, ma la storia viene ufficializzata solo nel 2012. Da allora, per anni, il suo ruolo si trasforma: da giovanissima fidanzata a ispiratrice di alcune passioni di Berlusconi, da quelle per i cagnolini (primo della lista, il famoso Dudù) all’apertura sul tema dei diritti in particolar modo per le unioni civili e le famiglie Arcobaleno. E soprattutto, con un malcelato scontento sia della famiglia che dell’entourage del partito, diventa una sorta di “filtro” per il Cavaliere, con un ruolo politico: le frequentazioni, le decisioni, le candidature, le telefonate, su tutto o quasi la sua presenza si fa sentire. Fino al graduale allontanamento negli ultimi due anni e la separazione annunciata addirittura in un comunicato ufficiale del partito nel marzo scorso.

La quarta vita con Marta. E d’altronde la crisi arriva quando un’altra donna entra in quella che può essere considerata la quarta vita di Berlusconi. Più appartata, riservata, tranquilla e accanto a una compagna ancora più giovane delle precedenti, la deputata calabrese Marta Fascina. Trent’anni, nata a Melito di Porto Salvo (Reggio Calabria) ma cresciuta in Campania, la giovane deputata (eletta a 28 anni) ha un passato di collaboratrice di prima fila nell’ufficio stampa del Milan, stimata da Adriano Galliani, graditissima a Berlusconi che ne apprezzò subito le doti di passione vera, ma assieme di low profile. Mai una polemica, mai una dichiarazione fuori posto, mai foto compromettenti, mai moine, mai nulla che non fosse la pubblica adorazione del capo: il suo profilo Instagram riproduce esclusivamente interventi e fotografie del Cavaliere, più un paio di sue immagini che sono diventate praticamente le uniche in circolazione. Perché Marta Fascina vive all’ombra di Berlusconi, nelle sue case, ha passato il lockdown senza separarsi un attimo dal compagno, in religioso silenzio.

Il «passaggio di consegne». Non facile il “passaggio di consegne” tra le due compagne, quella con cui il rapporto finiva e quella con cui cominciava. In un 2018 difficile, nel quale la Pascale appariva sempre più lontana da Arcore e la Fascina sempre più inserita con un ruolo di collaboratrice aggiunta. La Pascale se la prese anche con la responsabile di tutta la comunicazione e i rapporti esterni del Cavaliere, Licia Ronzulli, considerata troppo amica della rivale. Poi avvertì: «Se scoprissi che in questa storia c’è qualcosa di vero, tra me e il presidente finirebbe tutto». È andata così. La silenziosa Fascina ha preso il posto che era della Pascale, sempre più saldamente. Oggi non frequenta più la Camera se non sporadicamente e, se accade, non si lascia sfuggire una parola. Ha anche incontrato i figli del Cavaliere, a villa Certosa, e perfino Veronica per un fugace aperitivo. È lei la first lady. Come la prima, riservatissima. Per quanto, lo dirà il tempo.

Candida Morvillo per corriere.it il 12 agosto 2020. Francesca Pascale è stata per quasi nove anni con Silvio Berlusconi. La cantante Paola Turci ha avuto un marito, ha divorziato e, dopo, ha avuto un fidanzato. La prima ha 35 anni, la seconda 55. Lo scoop dell’estate 2020 sono loro che si baciano su uno yacht di 25 metri al largo del Cilento, travolte da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Ma per capire quelle foto pubblicate dal settimanale Oggi bisognerebbe sgombrare il campo dagli annessi di denaro e di potere. Per molti che commentano sui social, sono la prova che Pascale si era finta etero ed è stata con Berlusconi solo per i soldi. Addirittura, che la Turci, è diventata lesbica per godersi i soldi di Berlusconi. Rendiamoci conto. È evidente che, sui pregiudizi e omofobia, c’è ancora un tantino da lavorare. Vero è che nel 2011 in cui Pascale e Berlusconi si fidanzano, lui ha 49 anni più di lei, un patrimonio da 7,8 miliardi di dollari stando ai calcoli di Forbes, una reputazione ai minimi storici causa processi vari e «cene eleganti». Francesca, ventiseienne, napoletana verace, comparirà al suo fianco a un pranzo di Natale, di bianco vestita. Lì ad Arcore, la speranza è che si stia scrivendo la parola «fine» sulla boccaccesca stagione delle olgettine, dei lettoni di Putin o, per dirla con l’espressione della moglie tradita Veronica Lario, delle «vergini che si offrono al drago». Dubbi e veleni sono immediati. Tale Dragomira Bonev, in arte Michelle Bonev, attrice e produttrice, va in Tv da Michele Santoro e accusa Francesca: «È lesbica, io sono stata con lei». Racconta che la ragazza sta alla corte di Berlusconi per «fare pulizia delle altre e diventare first lady». Seguono querele, smentite e, per Francesca, anni vissuti lussuosamente e sfrontatamente. Lei stessa ammetterà con candore di aver inseguito Berlusconi per sei anni. Le foto in cui, ragazzina, esibisce striscioni tipo «Silvio ci manchi» e «Meno male che Silvio c’è» testimoniano la precoce infatuazione perlomeno politica. Nelle interviste ai giornali di famiglia confessa, poi, la marcatura a uomo: apoteosi nel giorno in cui, a un comizio, riesce ad allungargli il suo numero di telefono; mortificazioni negli anni in cui spasima e sgomita per far fuori le altre. Nel 2013, racconta al settimanale Chi: «Prima, mi limitavo a stargli vicino, a condividerlo, a mandare giù rospi, ma il mio amore mi ha portato all’esclusività e alla felicità di oggi. L’ho cercato, l’ho corteggiato, l’ho fatto innamorare e l’ho fatto fidanzare». Ormai, l’«operazione pulizia» è conclusa, un saldo cerchio magico gestisce con regole ferree l’accesso al corpo del capo. Per lei, sono tempi non più sospetti e, nel 2014, appare squisitamente politica la mossa di prendere la tessera di Arcigay e GayLib con un bagno di folla in quel di Borgo Marinari a Napoli. La foto con Alessandro Cecchi Paone e magliette gemelle con logo arcobaleno sancisce semmai una discesa in campo da first lady decisa a intestarsi una sua battaglia e a prendersi una sua visibilità. Non desta interpretazioni maliziose, semmai parecchi malumori interni a Forza Italia. Cecchi Paone ricorda: «Si beccò attacchi durissimi. Daniela Santanchè e Maurizio Gasparri la accusavano di spostare il partito a sinistra». Siamo a dicembre scorso, Francesca Pascale dice all’Huffington Post: «Non amo le definizioni né le categorie. Ora amo Silvio Berlusconi, ma se domani mi innamorassi di una donna, che male ci sarebbe? In amore, tutto è possibile». I più pensano a una frase a effetto per promuovere la battaglia per i diritti Lgbt, ma, col senno di poi, è probabile che l’amore con Silvio fosse già finito e che altri orizzonti sentimentali fossero già aperti, agli occhi della ragazza. Il comunicato che annuncia la separazione dal presidente di Forza Italia è di marzo. Le foto in cui lei bacia Paola Turci, è di fine luglio. Non giova alla causa del libero amore il fatto che, nel mezzo, sempre Oggi pubblichi i dettagli dell’accordo che pone fine alla relazione col tycoon: un’una tantum da venti milioni di euro, un milione all’anno di mantenimento e l’uso di Villa Maria, magione in Brianza con 40mila metri quadrati di parco. Sul punto, i follower di Pascale sprecano commenti del tipo: «Hai fatto il colpaccio e ora ti godi il malloppo». Insomma, il contesto da corte dei Borgia svia assai l’attenzione dal nocciolo della storia. Come spiega Chiara Simonelli, docente di Sessuologia alla Sapienza e presidente dell’Istituto di Sessuologia Italiana di Roma, «oggi, l’orientamento sessuale è sempre più fluido, specie nella generazione dei Millenial, che fatica a incasellarsi fra omosessuali e eterosessuali. Lo dimostrano molto ricerche. C’è meno moralismo e uno, giustamente, non si fa cruccio di nascondersi». Alessandro Cecchi Paone, che in un’altra vita ebbe una moglie e il cui coming out suonò clamoroso in quel 2004 in cui era candidato alle Europee per Forza Italia, è stato vicino a Francesca nel suo impegno per la causa Lgbt dal primo momento e, ora, testimonia al Corriere: «Io l’ho sempre vista innamoratissima di Berlusconi. Non ho mai avuto dubbi sulla sua sincerità. Come insegna la scuola radicale, Francesca metteva insieme il sacrosanto principio di libertà e l’impegno di sentimenti e corpi affinché il privato fosse politico e il politico privato. Mi ha sempre detto: se capitasse a me, come è capitato a te di innamorarmi di una persona del mio sesso, non ci troverei nulla di male». Ricorda: «Mi cercò lei per riflettere sul fatto che il centrodestra non poteva essere appannaggio del mondo post clerico fascista, dei Giovanardi, dei Formigoni, delle Roccella. Da attivista di Forza Italia soprattutto in Campania, voleva tenere viva l’anima libertaria del partito. Aveva aperto i canali con Antonello Sannino dell’Arcigay e con Daniele Priori di GayLib e mi coinvolse in molti incontri, per il ruolo che ho sempre avuto nel partito e in azienda, a Mediaset, come divulgatore. Un giorno, mi trovai a pranzo da solo con lei e con Berlusconi, e lui stesso mi chiese di starle vicino e anche di aiutarla a individuare un progetto di Legge per le Unioni Civili che potesse essere accettato dal centrodestra. Poi, vollero conoscere il mio fidanzato. Ci invitarono al matrimonio della sorella di Francesca a Ravello». Oggi, Cecchi Paone non è stupito dalla svolta di Francesca: «Non perché sia stato testimone di sue inclinazioni saffiche, ma perché abbiamo parlato tanto della sessualità che non è codificata una volta per tutte. Le ho mandato un messaggio affettuoso e mi ha ringraziato. Che viva la sua storia alla luce del sole è enormemente importante: l’accettazione dell’omosessualità maschile è passata, quella dell’omosessualità femminile no. Ci sono donne famose che fanno politica o spettacolo e ancora si nascondono». Intanto, nessuna conferma e nessuna smentita da Francesca e Paola. Se c’è un segno dell’evoluzione del costume è che sempre meno si senta il bisogno di un coming out solenne. La nuova normalità è quella inaugurata dall’asso del volley Paola Egonu, che con semplicità buttò lì, in un’intervista al Corriere: «Dopo la partita, ho telefonato alla mia fidanzata». Ne vennero fuori, su tutti i giornali, paginate di editoriali. Tutti a scrivere della «Generazione Egonu», ma forse i Millenial convinti che l’orientamento sessuale non faccia la differenza sono solo gli apripista di un diverso spirito dei tempi.

Anticipazione da “Oggi” il 12 agosto 2020. Intervistata da OGGI, che la scorsa settimana aveva pubblicato le foto di Francesca Pascale in barca e in intimità con Paola Turci, Vladimir Luxuria svela: «Ho scambiato una serie di messaggi con Francesca, non era arrabbiata per niente. Dopo essere stata tradita e lasciata da Silvio Berlusconi per la sua ultima fiamma, Marta Fascina, Francesca aveva sofferto molto. Questo suo nuovo amore le ha ridato la serenità, e io le ho fatto gli auguri». Aggiunge Alessandro Cecchi Paone: «Le polemiche nate su quello che era un semplice servizio fotografico dimostrano che anche in un rapporto gay le donne pagano il conto due volte: per la loro omosessualità e per il fatto stesso di essere donne. Credo che Silvio Berlusconi dopo la pubblicazione di quelle foto abbia semplicemente sorriso. Del resto le mie battaglie per la libertà e quelle di Francesca a fianco dei movimenti Lgbt avevano sempre il placet di Silvio».

Luxuria: «Francesca Pascale? Una donna senza schemi. Ora è felice ma con Berlusconi è stato amore vero». Giovanna Cavalli il 14 agosto 2020 su Il Corriere della Sera. L’attivista e l’amicizia con la ex del presidente di Forza Italia.

«Ci siamo conosciute nel 2014, quando a sorpresa prese la tessera dell’Arcigay».

L’ultima volta che vi siete sentite?

«Stamattina».

E di che umore era Francesca?

«Mmm... non buono».

Questioni di cuore o di bilancio?

«Era preoccupata, punto. Non posso dirle altro sennò si arrabbia. Non mi faccia rompere un’amicizia», invoca accorta Vladimir Luxuria, da sei anni grande confidente dell’ex prima dama di Palazzo Grazioli, ormai abbandonato pure quello. Secondo il sito Dagospia, dopo le foto del primo bacio in barca con Paola Turci, puntualmente paparazzato, Francesca Pascale sarebbe in comprensibile ansia per la buonuscita da venti milioni accordata, ma non ancora firmata dal suo ex Silvio Berlusconi che, irritato dal nuovo corso sentimentale, potrebbe ripensarci e sforbiciarla, non sia mai».

Quando e come vi siete conosciute?

«A luglio del 2014, quando a sorpresa Francesca prese la tessera dell’Arcigay. I giornali mi chiesero un commento, sperando fosse velenoso, io invece le diedi il benvenuto. A quei tempi si discuteva di unioni civili e adozioni e al Senato i numeri erano ballerini, perciò avere dalla nostra parte la compagna del leader di Forza Italia non poteva che farmi piacere».

Finì che la invitò alla serata finale del Gay Village.

«Me lo aveva proposto lei, pensavo scherzasse, invece si presentò sul serio. Elegantissima, in giacca e pantaloni bianchi, ballammo, brindammo, ci fu un tripudio di foto. L’indomani ci sommersero di critiche. L’ala più retrograda del partito se la prese con lei, la Sinistra accusò me di flirtare con la fidanzata del nemico».

Poi ci fu la famosa cena ad Arcore.

«Berlusconi, che a quei tempi era ai domiciliari, mi mandò a prendere dall’autista. Parlammo del suo cane Dudù: era preoccupato che le volpi potessero aggredirlo nel parco di Villa San Martino, scambiandolo per una pecorella».

Scattaste una foto di gruppo, voi tre insieme in posa con Dudù.

«Come no. I forzisti però erano preoccupati. Tant’è che a mezzanotte, mandata a controllare, si presentò Maria Stella Gelmini, con la scusa di prendere un tè. E io l’indomani venni di nuovo subissata di critiche».

La vostra sorellanza però ha resistito.

«Ci siamo sempre sentite. A volte in videochiamata per parlare di vestiti, borse e scarpe. O di dispiaceri amorosi. Come quando Francesca ha scoperto di essere stata piantata».

Già, per l’onorevole Marta Fascina. Con comunicato stampa.

«Lei se n’era già accorta, ma Berlusconi all’inizio negava, smentiva, sviava. Poi sono uscite le prime foto rubate. Quando si sono lasciati, Francesca ha sofferto molto, era arrabbiata, delusa. Tutti hanno sempre pensato che stesse con lui solo per soldi, invece lo amava davvero e della differenza di età non le importava nulla. Perciò si è sentita tradita».

Della rivale che cosa diceva?

«Beh, non è che potrà farle tanta simpatia, no? Il sospetto che, dietro quel tradimento, ci fosse una manovra politica per allontanarla da Silvio, ci è venuto, mica no. Qualcuno potrebbe aver favorito quella nuova relazione».

Ora però Francesca sta con Paola Turci, così pare.

«Oh, ma lei lo aveva già detto da quel dì: “Se fossi lesbica vorrei esserlo liberamente”. Credo sia sempre stata gender fluid, senza schemi, come molti giovani d’oggi. Del resto, ridendo, mi raccontava di quando suo padre, trovandola un po’ maschiaccio, le dicesse in dialetto: “Francè, tu sì nu masculone”».

È rimasta scottata.

«Sì, ma non è mica per questo che adesso va con le donne. La sento felice, spero che il chiacchiericcio non rovini un rapporto appena iniziato. So che Paola ci è rimasta molto male per le foto del bacio... che poi il servizio non era concordato, sono state davvero paparazzate».

Con Berlusconi si sono sentiti negli ultimi giorni?

«Penso di no. Ma dubito che lui sia arrabbiato per le foto».

E Francesca non teme di averlo contrariato, pregiudicando la buonuscita? Di qui forse a un pizzico del suo malumore?

«Beh, certo anche questo elemento potrebbe influire... Ma sono affari suoi, io non ci metto bocca, che vuole farci litigare? Arrivedeerciii».

Alberto Dandolo per Dagospia il 12 agosto 2020. Il mio rapporto con Francesca Pascale è partito a suon di verbali delle forze dell'ordine e carte bollate. Anni or sono la allora primadonna di Arcore mi querelò per diffamazione poiché scrissi, proprio su questo disgraziato sito, di una sua furibonda lite con una ex assistente di Berlusconi, tal Alessia Ardesi, avvenuta in un supermercato brianzolo. Querela ritirata pochi giorni dopo a seguito di un nostro indimenticabile, divertentissimo incontro. Ci vedemmo il giorno del mio compleanno a casa di comuni amici e da quel momento tra me e Francesca è nato un rapporto assai profondo pur nella sue instabilità e intermittenze. E' stato assai naturale intenderci e poi volerci bene. Parliamo la stessa lingua. Siamo entrambi napoletani. E abbiamo anche uno stesso vocabolario emotivo ed affettivo. Francesca è stato uno dei rapporti di amicizia più complessi, enigmatici, trasparenti e belli che io abbia mai attraversato e in cui mi sia mai tuffato. Un rapporto affamato di parole, incontri, scambi di emozioni ma anche solcato da lunghi, interminabili silenzi e da fughe improvvise e immotivate. Mi chiese di scrivere un libro insieme. Un libro che la raccontasse. Aveva sete di sé. Di far sentire al mondo e prima ancora ricordare a sé stessa che era anche un passato, una storia, un cervello autonomo. Non voleva essere solo un ornamento del potere. Potere, che mi crediate o no, dal quale non era minimamente attratta se non per bilanciare la sua atavica, compulsiva e assai tenera insicurezza. Lei ha amato forsennatamente, disperatamente e forse anche incautamente Silvio Berlusconi. Per lei era un padre, un consigliere, un datore di lavoro, un amante e un complice. Ogni suo singolo istante, in ogni singolo giorno il suo Presidente era il suo tutto. Il suo fine era renderlo felice e non deluderlo. Il Pompetta è stato il suo primo e unico uomo. Francesca non ha mai conosciuto nessun altro nell'intimità del talamo. Con lui aveva un legame profondissimo e complesso. E il loro livello di intimità è conoscenza è straordinariamente profondo quanto potenzialmente pericoloso. Francesca sa tutto, ma proprio tutto della vita, gli affari e i segreti di colui che è e resterà il solo uomo nella sua travagliata e fortunata esistenza. Ma lei non si lascerà pagare il silenzio. Con lei non sarà facile. Non amando veramente  il denaro (lei non è vittima) darà la priorità alla sua libertà. Perché lei è una persona libera. Con il sottoscritto e con il resto del mondo Francesca nel privato non ha mai nascosto le sue inclinazioni sessuali. E' stata sin da subito trasparente e chiara. Lei è una donna coraggiosa e incosciente, volubile e generosissima. Ma è anche attraversata da dolori e traumi che spesso la rendono dura e anaffettiva. Silvio sapeva tutto. Sin dall'inizio e ha amato sinceramente Francesca condividendo con lei l'amore per le donne. E molto altro. Nessuno sa che i due si sono anche sposati. Con una cerimonia simbolica si sono detti si è scambiati promessa di amore eterno. Una cerimonia intensa, intima e sul finale anche molto ludica. Francesca amava profondamente anche la famiglia del suo compagno. Era in realtà accettata da tutti, fino a qualche tempo fa anche da Marina. Ecco, Marina... la vera spina nel cuore della Pascale. Negli ultimi tempi, forse anche a causa di troppe persone poco chiare che le circondavano, il loro rapporto era naufragato in un assordante silenzio. Francesca ci piangeva, si disperava. Non riusciva a farsene una ragione della fine del loro legame. Mi chiese, esattamente un anno fa, di correggerle una lettera indirizzata a Marina in occasione del suo compleanno. Una missiva che non spedii mai, forse non per sua volontà. Credo che sia giusto che Marina la legga ora. Perché quelle parole uscivano dal cuore di Francesca. Eccola: "Cara Marina, le parole hanno un peso e sono "cose", sono macigni che hanno il potere di deviare, a volte, il corso degli eventi e il flusso degli affetti. E' per questa ragione che oggi ho preferito scriverti. In virtù del rispetto che in ogni singola parola ho il dovere di infondere. Ti voglio bene. Questo lo sai già. Marina, il bene vero è la cosa più semplice e insieme complessa che esista. Volere bene è un impulso del cuore. Ma è di quello stesso cuore anche una scelta. E la mia stima e il mio sentimento d'affetto per te è istinto e ragione. Non potrei non amarti. Non amare chi con me e come me ama e amerà per sempre lo stesso uomo. Un uomo che per entrambe è un faro. Un riferimento insostituibile. Un padre. Un compagno. Un consigliere. Una guida. Un amore vero. Mi manchi.  Mi manca la verità del nostro affetto sincero. Ti chiedo perdono se ti ho ferito o deluso. Sappi però  che sono sempre stata in buona fede. A volte è complesso assai rispettare ruoli, aspettative, giudizi, rimbrotti. A volte si sbaglia. Per leggerezza, inesperienza o consigli pretestuosi. Ti chiedo dal profondo del mio cuore e della mia pancia di dare al nostro affetto una seconda possibilità. Ti imploro di non ascoltare voci che, forse, per interesse o smania di potere hanno come unico obiettivo quello di separarci e di metterci l'una contro l'altra. AUGURI Marina. Che sia un giorno di gioia. E che per noi sia l'inizio di un percorso senza filtri, senza terzi, senza parole lasciate macerare nel buco nero del "non detto". Con tutta la stima e la voglia di riabbracciarti. Nuovamente. Con tutta la forza che ho. Con l'amore di sempre. Buon compleanno. Ti voglio bene. Francesca". Dalla rottura con Marina è iniziato un periodo di inquietudine per Francesca. Era addolorata per non sentirsi accettata, compresa. Spesso fuggiva da sola in Spagna o in Olanda e si concedeva lunghi momenti di solitudine e anonimato. Forse anche per staccare la spina da una vita che in realtà era, seppur dotata, una prigione piena di loschi figuri di seconda fila che hanno approfittato della buona fede di questa ragazza di Fuorigrotta che in realtà non ha mai veramente vissuto la spensieratezza dei suoi anni migliori. Francesca era anche spesso attraversata da pensieri cupi. Era terrorizzata all'idea che suo compagno stesse invecchiando. Con me spesso piangeva disperatamente all'idea di sopravvivere al suo Presidente. La sua vita ruotava totalmente intorno a lui tanto da farle non di rado  pensare a un gesto estremo una volta che il Pompetta avesse abbandonato la carnale esistenza. Poi l'arrivo di Marta Fascina nella vita del Banana. In realtà la parlamentare che batte ogni record per assenteismo i due già la conoscevano intimamente bene. Ma "Marta la Muta" (in Forza Italia così la chiamano segretamente) è perfetta per questa fetta di vita del Cavaliere. Non parla, non fiata, non emette suoni. Annuisce e asserisce. Una panacea per la corte dei miracoli e dei miracolati da cui il Berlusca è circondato. Per Francesca è invece arrivata la Turci. In realtà la loro amicizia risale a un anno fa. Nel giugno scorso lei chiese proprio a me il numero di Paola. Io non lo avevo. Credo si vogliano bene e si stimiamo assai. Ma lasciamo all'esperto d'amore e permanenti Federico Fashon style concedere interviste e spendere parole sul loro legame. Qualche giorno fa Francesca mi ha bloccato sul cellulare. Proprio nelle ore in cui uscivano su “Oggi”, il settimanale su cui scrivo, le ormai note foto del bacio con la cantante, rilanciate poi da questo e ogni altro sito. Forse doveva trovare nel sottoscritto il capro espiatorio da sacrificare. Lei sa che non sono stato certo io a chiamare i paparazzi o scrivere gli articoli sulle due testate. Ma so anche che non mi ha bloccato dal suo cuore. Lo so di certo. E volevo anche dirle che se la trattativa milionaria malauguratamente non dovesse andare in porto, ho sempre quell'icona russa che Putin regalò 15 anni fa a Lele Mora e che io prontamente "trafugai" (col suo indispettito assenso) dalla sua vecchia casa di Viale Monza. Proprio ieri me la sono fatta valutare: potremmo ricavarne quasi 4mila euro. Non saranno 30 milioni, ma è pur sempre un inizio! Suerte chica. Alberto

Francesca Pascale e l'amico intimo Dandolo: "Ecco la lettera che non ha mai avuto il coraggio di spedire a Marina Berlusconi". Libero Quotidiano il 12 agosto 2020. Dopo la paparazzata killer in barca con Paola Turci (topless e bacio molto intimo), la lettera mai spedita a Marina Berlusconi. Per Francesca Pascale è in arrivo un'altra bomba. La sgancia Alberto Dandolo, piccantissimo reporter di gossip di Oggi (che ha pubblicato le foto) e di Dagospia, assai addentro al mondo LGBT di cui la Pascale farebbe parte. "Il mio rapporto con Francesca Pascale è partito a suon di verbali delle forze dell'ordine e carte bollate - ricorda -. Anni or sono la allora primadonna di Arcore mi querelò per diffamazione poiché scrissi, proprio su questo disgraziato sito, di una sua furibonda lite con una ex assistente di Berlusconi, tal Alessia Ardesi, avvenuta in un supermercato brianzolo. Querela ritirata pochi giorni dopo a seguito di un nostro indimenticabile, divertentissimo incontro". L'ex lady Berlusconi e Dandolo, entrambi napoletani, si incontrarono e da quel momento "è nato un rapporto assai profondo pur nella sue instabilità e intermittenze". Diventato quasi un suo consigliere, ne rivela il lato segreto ("Con il sottoscritto e con il resto del mondo Francesca nel privato non ha mai nascosto le sue inclinazioni sessuali") ma soprattutto regala ai lettori di Dago un succoso retroscena. "Francesca amava profondamente anche la famiglia del suo compagno. Era in realtà accettata da tutti, fino a qualche tempo fa anche da Marina. Ecco, Marina... la vera spina nel cuore della Pascale. Negli ultimi tempi, forse anche a causa di troppe persone poco chiare che le circondavano, il loro rapporto era naufragato in un assordante silenzio". La Pascale, scrive Dandolo, "ci piangeva, si disperava. Non riusciva a farsene una ragione della fine del loro legame. Mi chiese, esattamente un anno fa, di correggerle una lettera indirizzata a Marina in occasione del suo compleanno. Una missiva che non spedii mai, forse non per sua volontà. Credo che sia giusto che Marina la legga ora. Perché quelle parole uscivano dal cuore di Francesca. "Cara Marina - recitava quella lettera vergata dal duo Pascale-Dandolo -, le parole hanno un peso e sono "cose", sono macigni che hanno il potere di deviare, a volte, il corso degli eventi e il flusso degli affetti. E' per questa ragione che oggi ho preferito scriverti. In virtù del rispetto che in ogni singola parola ho il dovere di infondere. Ti voglio bene. Questo lo sai già. Marina, il bene vero e' la cosa più semplice e insieme complessa che esista. Volere bene è un impulso del cuore. Ma è di quello stesso cuore anche una scelta. E la mia stima e il mio sentimento d'affetto per te e' istinto e ragione. Non potrei non amarti. Non amare chi con me e come me ama e amerà per sempre lo stesso uomo. Un uomo che per entrambe è un faro. Un riferimento insostituibile. Un padre. Un compagno. Un consigliere. Una guida. Un amore vero. Mi manchi.  Mi manca la verità del nostro affetto sincero. Ti chiedo perdono se ti ho ferito o deluso. Sappi però  che sono sempre stata in buona fede. A volte è complesso assai rispettare ruoli, aspettative, giudizi, rimbrotti. A volte si sbaglia. Per leggerezza, inesperienza o consigli pretestuosi. Ti chiedo dal profondo del mio cuore e della mia pancia di dare al nostro affetto una seconda possibilità. Ti imploro di non ascoltare voci che, forse, per interesse o smania di potere hanno come unico obiettivo quello di separarci e di metterci l'una contro l'altra. AUGURI Marina. Che sia un giorno di gioia. E che per noi sia l'inizio di un percorso senza filtri, senza terzi, senza parole lasciate macerare nel buco nero del "non detto". Con tutta la stima e la voglia di riabbracciarti. Nuovamente. Con tutta la forza che ho. Con l'amore di sempre. Buon compleanno. Ti voglio bene. Francesca".

DAGOREPORT il 13 agosto 2020. Fa caldo ma la signorina Francesca Pascale suda freddo. E da parecchio mesi. Il motivo? Il contratto di buonuscita da 20 milioni (ma lei ne aveva richiesti 10 in più), più un assegno annuale di “mantenimento” da un altro milione di euro, non è ancora stato firmato da Silvio Berlusconi (che era intenzionato a liquidarla con 5 milioni). Il Dracula del Banana, l’esimio avvocato Niccolò Ghedini, non è per nulla convinto del TFR da elargire all’ex protagonista dello spot del “Calippo” (unica sua performance artistica). Nel comunicato dello scorso 4 marzo, firmato dall’ufficio stampa di Forza Italia (!), Ghedini ha tenuto a precisare quanto segue: “Continua a sussistere un rapporto di affetto e di vera e profonda amicizia fra il presidente Silvio Berlusconi e la signora Francesca Pascale, ma non vi è fra loro alcuna relazione sentimentale o di coppia.” Traduzione dell’ultima riga: per evitare una eventuale causa legale della Pascale al fine di ottenere un risarcimento per la convivenza more uxorio (cioè, senza vincolo matrimoniale), Ghedini si è cautelato di far piazza pulita di qualsiasi ipotesi di riconoscimento di “coppia di fatto”, dopo un fidanzamento durato 10 anni. Nell’attesa di trovare un accordo, Ghedini si è portato avanti con il lavoro: pur lasciandole Villa Maria in comodato d’uso (con una coppia di domestici filippini e spese di gestione pagate), alla Pascale sono stati tolti gli autisti che aveva sempre a disposizione e la possibilità di viaggiare con gli aerei privati messi a disposizione dal Cavalier Pompetta. Del resto, non è difficile in questo periodo vederla personalmente guidare la sua automobile tra Villa Maria (locata a Rogoredo di Casatenovo) e Milano o all’aeroporto intruppata col biglietto in mano a far la fila al checkin, come una qualunque mortale. Intanto, i rapporti tra l’ex Calippa e il satrapo di Arcore si sono raffreddati, ridotti a rare e sbrigative telefonate. Molto attenta a non fargli perdere la santa pazienza prima di raggiungere l’agognato accordo economico. Tant’è che evita accuratamente di rilasciare qualunque tipo di intervista sul loro rapporto passato e presente o sulla nuova liason di Silvietto con la deputata (per mancanza di prove) Marta Fascina - fino a poco tempo fa sua intima amica nonché ospite fissa ad Arcore. Infine, il feeling tra i due ex piccioni non è migliorato con la pubblicazione delle immagini della storia sentimentale esibita della Pascale con Paola Turci, nota per aver interpretato “Devi andartene”, una rovente canzone contro il Banana.

Berlusconi e le conseguenze (economiche) dell’amore.  Paola Di Caro il 15/8/2020 su Il Corriere della Sera. Fra risarcimenti, assegni di divorzio, donazioni per quieto vivere o per garantirsi riservatezza, dal 2010 a oggi il Cavaliere avrebbe speso oltre 75 milioni. Dalla prima moglie all’attuale compagna, breve storia di una vita sentimentale affollata. «Je ne regret rien» è la canzone che ama di più. E per un uomo che di amori ne ha avuti tanti e di esperienze in ogni campo anche di più, è quella giusta per raccontare e raccontarsi. «Non mi pento di nulla, né del bene che mi è stato fatto, né del male: è lo stesso per me. Viene pagato, spazzato via, dimenticato... Amori spazzati via, con i loro tremolii, torno a zero... Perché la mia vita, le mie gioie, oggi iniziano con te» intonava Edith Piaf. E quante volte Silvio Berlusconi l’ha cantata accompagnandosi al piano, come un inno che ha scandito i suoi pienissimi 83 anni. Sì, perché il rapporto tra il Cavaliere e le donne della sua vita — quelle ufficiali, quelle ufficiose, quelle lecite, quelle proibite — da un primo bilancio è stato davvero da «nessun rimpianto», una sequela di spazzare via, ricominciare. Ma pagando. In sentimenti, certo, come capita a tutti. Ma anche in denaro, come raccontano le cronache delle ultime settimane, con il cadeau di 20 milioni (lievitato rispetto all’offerta iniziale che sembra fosse molto, ma molto più bassa, cinque milioni dicono i bene informati) più una sorta di argent de poche da un milione l’anno per l’ultima ex compagna, Francesca Pascale, con la quale il rapporto si è chiuso ufficialmente a marzo (c0n un comunicato stampa ufficiale di Forza Italia, leggi qui). Ed è chiaro che per chi se lo può permettere fa meno rumore sia il modo in cui ci si lascia sia il quanto si lascia. Ma non c’è dubbio che l’ex premier — almeno a quanto risulta — ha sempre lasciato un civile ricordo di sé e un lauto riconoscimento economico per il pezzo di vita — lungo o breve che fosse — passato assieme. Forse a fare abbastanza eccezione alla regola è proprio la prima moglie, la riservatissima Carla Elvira dall’Oglio, sposata nel 1965 dopo un anno di fidanzamento e madre dei suoi figli Marina e Pier Silvio. Un matrimonio vissuto ancora poco sotto i riflettori, in tempi in cui già era tanto il successo e altrettanto la ricchezza ma meno la grande fama, tanto che Berlusconi potè vivere in clandestinità dal 1980 la storia parallela con Veronica Lario, nome d’arte di Miriam Raffaella Bartolini, bellissima attrice che recitava nel di lui teatro Teatro Manzoni di Milano e che lo folgorò («Ho sentito un fulmine» disse lui «ma non era un temporale») durante la rappresentazione del Magnifico Cornuto, perché il destino se vuole mette malizia in certi istanti. Per Veronica, 20 anni più giovane, si trasferì a villa Borletti di via Rovani e chiuse il matrimonio con Elvira, nell’85. Da lei, nessuna polemica pubblica, nessuna esternazione, di lei pochissime fotografie, ma un rapporto che — complici i figli — è continuato civilmente e senza scosse, nonostante si racconti che il lascito dopo il divorzio sia stato abbastanza contenuto, che la signora non abbia mai lottato per ottenere di più. Sull’assegno di separazione sembra che abbia dato all’ex marito una sola indicazione: «Scrivici quello che vuoi». Poi, sono stati i figli a provvedere nel tempo a ogni eventuale bisogno, anche passando con lei estati nelle ville dell’ex premier, come quella alle Bermuda.

La seconda vita con la «first lady». Con Veronica comunque inizia la seconda vita di Berlusconi. Sposata nel 1990, quando già erano nati i loro tre figli, Barbara, Eleonora e Luigi, con lei accanto Berlusconi diventa il personaggio conosciuto a tutti quale è. Le tivù, il calcio, le immagini bucoliche della villa di Macherio, una miliardaria famiglia felice sulla quale punterà, e molto, nella campagna elettorale che lo portò nel ‘94 a diventare premier. E se sugli anni che precedettero quel salto lui stesso ogni tanto si lasciava andare a confidenze allegre — le donne gli sono sempre piaciute tanto, troppo — da quel momento in poi Veronica è la first lady. Che si concedeva poco, lo strettissimo necessario, che non parlava, che viveva nel suo mondo privato. Improvvisamente squassato in pubblico quando nel 2007 viene alla luce, come un lunghissimo spettacolo di fuochi d’artificio, la terza vita di Berlusconi.

La terza vita: complimenti e ossessioni. Da tempo il Cavaliere — che pure a volte ancora corteggiava la moglie, per esempio regalandole una romanticissima vacanza a sorpresa a Marrakech per i suoi 50 anni con tanto di travestimento da guerriero berbero — si è fatto sempre più «galante», se non decisamente inopportuno, nel suo lessico. Veronica si vede sempre meno, non lo accompagna, non c’è, mentre ci sono accanto al leader deputate, amiche, attrici, elettrici spasimanti, giovani, bellissime. E Lele Mora racconta di lui «che aveva perso la testa» per Francesca Dellera, e Daniela Santanché che scherza «giuro, è ossessionato da me», e qualcuno che sussurra di una passione a senso unico per Belen, e altre una sorta di stordimento per Mara Carfagna, alla quale disse ridendo alle tivù: «Ti sposerei!». Non c’è occasione in cui l’ex premier non lesini complimenti, finché — avendo lui esagerato alla cerimonia dei Telegatti mandata in tivù — Veronica non si tiene più. E a Repubblica scrive che ha letto di affermazioni «lesive della mia dignità», chiede se debba considerarsi come il personaggio di Catherine Dunne «l’altra metà di niente», vuole proteggere la propria «dignità» e chiede «pubbliche scuse». Che arrivano a stretto giro di posta, presentate come «atto d’amore».

D’Addario «nel lettone di Putin». Non basterà a impedire il precipizio. Perché è vero che il tacito patto tra i coniugi è lasciarsi libertà, ciascuno di vivere separatamente la propria vita e seguire i propri interessi, ma Berlusconi imbocca una via senza ritorno, e sono ormai entrate nella sua vita pubblica e privata troppe donne che porteranno alla deflagrazione, del suo matrimonio e di una parte della sua vita politica. La notizia della sua partecipazione alla festa dei 18 anni della sconosciuta Noemi Letizia, che arriva dopo mesi di frequentazioni anomale con ragazze giovanissime, veline, aspiranti tali in cerca di fortuna, escort professioniste come Patrizia D’Addario con le registrazioni della sua notte nel «lettone di Putin», porta Veronica alla denuncia clamorosa proprio mentre si stanno definendo le liste delle Europee del 2009 nelle quali l’ex premier vuole inserire tante «amiche» che i suoi uomini cercano di depennare. È tutto un «ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere», scandito da immagini di «vergini che si offrono al Drago», scrive la Lario, in una lettera aperta che il marito prese malissimo. «È come se mi avesse sparato in bocca», confidò agli amici.

Ruby e i party di villa Certosa. Arriva la richiesta di divorzio, in un clima tesissimo che accompagna mesi tormentati, quelli dei party di villa Certosa tra donne e premier (quello ceco) nudi in piscina, quelli in cui si consuma e diventa poi un clamoroso processo il caso Ruby. Stuoli di ragazze reclutate, pagate, in seguito ancora generosamente mantenute per anni, per allietare le «cene eleganti» del premier. Venne assolto Berlusconi, ma lo scandalo non ha riabilitazione. E la dura battaglia legale con Veronica terminerà solo nel 2019, con un accordo ultra-milionario (46 quelli concessi, più averi, case, azioni), ma almeno una pace siglata, e oggi un rapporto non più conflittuale (dopo l’ultimo accordo sul divorzio ndr, leggi qui) tra i due ex coniugi che sono tornarti occasionalmente a parlarsi, perfino a vedersi di rado. Ha calcolato Tommaso Labate sul Corriere della Sera che tra risarcimenti, assegni di divorzio, donazioni e prestiti senza restituzioni a tantissime donne famose e no (fra le quali la moglie di Marcello Dell’Utri, condannato per mafia, con la formula di un prestito infruttifero, o Nicole Minetti, la consigliera regionale protagonista del caso Ruby), per amore o giustizia, per interesse e quieto vivere o per garantirsi la riservatezza su una vita spesso al limite, dal 2010 a oggi il Cavaliere abbia speso oltre 75 milioni di euro. Fra i quali i 20 per Francesca Pascale, penultima fidanzata ufficiale, conosciuta proprio negli anni più scapigliati.

«Questo è il mio numero...». Napoletana, 35 anni, un passato diviso tra l’amore per la politica e quello per lo spettacolo, la Pascale conosce Berlusconi nel 2009, lo approccia — così lei stessa ha raccontato — a un comizio: «”Questo è il mio numero”, gli dissi allungandogli un pezzetto di carta. “Aspetto una tua telefonata”. (...) Qualche giorno dopo, a mezzanotte, squilla il mio cellulare. (...) Restammo al telefono per due ore filate». Lo frequenta assiduamente e di fatto si trasferisce ad Arcore, ma la storia viene ufficializzata solo nel 2012. Da allora, per anni, il suo ruolo si trasforma: da giovanissima fidanzata a ispiratrice di alcune passioni di Berlusconi, da quelle per i cagnolini (primo della lista, il famoso Dudù) all’apertura sul tema dei diritti in particolar modo per le unioni civili e le famiglie Arcobaleno. E soprattutto, con un malcelato scontento sia della famiglia che dell’entourage del partito, diventa una sorta di “filtro” per il Cavaliere, con un ruolo politico: le frequentazioni, le decisioni, le candidature, le telefonate, su tutto o quasi la sua presenza si fa sentire. Fino al graduale allontanamento negli ultimi due anni e la separazione annunciata addirittura in un comunicato ufficiale del partito nel marzo scorso.

La quarta vita con Marta. E d’altronde la crisi arriva quando un’altra donna entra in quella che può essere considerata la quarta vita di Berlusconi. Più appartata, riservata, tranquilla e accanto a una compagna ancora più giovane delle precedenti, la deputata calabrese Marta Fascina. Trent’anni, nata a Melito di Porto Salvo (Reggio Calabria) ma cresciuta in Campania, la giovane deputata (eletta a 28 anni) ha un passato di collaboratrice di prima fila nell’ufficio stampa del Milan, stimata da Adriano Galliani, graditissima a Berlusconi che ne apprezzò subito le doti di passione vera, ma assieme di low profile. Mai una polemica, mai una dichiarazione fuori posto, mai foto compromettenti, mai moine, mai nulla che non fosse la pubblica adorazione del capo: il suo profilo Instagram riproduce esclusivamente interventi e fotografie del Cavaliere, più un paio di sue immagini che sono diventate praticamente le uniche in circolazione. Perché Marta Fascina vive all’ombra di Berlusconi, nelle sue case, ha passato il lockdown senza separarsi un attimo dal compagno, in religioso silenzio.

Il «passaggio di consegne». Non facile il “passaggio di consegne” tra le due compagne, quella con cui il rapporto finiva e quella con cui cominciava. In un 2018 difficile, nel quale la Pascale appariva sempre più lontana da Arcore e la Fascina sempre più inserita con un ruolo di collaboratrice aggiunta. La Pascale se la prese anche con la responsabile di tutta la comunicazione e i rapporti esterni del Cavaliere, Licia Ronzulli, considerata troppo amica della rivale. Poi avvertì: «Se scoprissi che in questa storia c’è qualcosa di vero, tra me e il presidente finirebbe tutto». È andata così. La silenziosa Fascina ha preso il posto che era della Pascale, sempre più saldamente. Oggi non frequenta più la Camera se non sporadicamente e, se accade, non si lascia sfuggire una parola. Ha anche incontrato i figli del Cavaliere, a villa Certosa, e perfino Veronica per un fugace aperitivo. È lei la first lady. Come la prima, riservatissima. Per quanto, lo dirà il tempo.

 Non solo Pascale. Berlusconi e le separazioni: prestiti, aiuti e una cascata di milioni. Tommaso Labate 24/7/2020 su Il Corriere della Sera. Adesso che si è aggiunta anche Francesca Pascale, con l’accordo che prevederebbe un viaggio di sola andata di venti milioni di euro (più un altro milione l’anno) dal conto di Silvio Berlusconi al suo, il club dei sei zeri raggiunge il quinto socio. Quantomeno certificato. Per l’appunto lei, l’ex fidanzata del Cavaliere, che si ritrova anche la possibilità di continuare a vivere nella nuovissima Villa Maria di Casatenovo; oltre ovviamente al «bene che le vorrò sempre», che vale quel che vale, sussurrato in privato dall’ex premier all’indomani del gelido comunicato di Forza Italia che in piena emergenza Covid sanciva la fine di una love story durata anni. Dal 2010 a oggi, tra sentenze del tribunale poi cancellate e «prestiti infruttiferi», sono cinque le persone a cui Berlusconi ha elargito assegni con un importo superiore ai sei zeri. Dalla seconda moglie Veronica Lario, rispetto a cui l’ex premier ha rinunciato a un credito di 46 milioni di euro figlio di una sentenza di divorzio poi smontata dalla Cassazione (va detto che Lario, nell’accordo finale, ha rinunciato a chiedere un credito di 18 milioni nei confronti della controparte), a un nome sconosciuto al grande pubblico, la signora Miranda Anna Ratti. Trattasi della moglie del fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Alla famiglia dell’ex senatore, mentre quest’ultimo si trova rinchiuso nel carcere di Parma, tra il novembre del 2016 e il febbraio del 2017 Berlusconi fa avere dai propri conti correnti una cifra superiore ai tre milioni di euro. La dicitura è quella che ricorre sempre, «prestiti infruttiferi», fratello gemello di quel «fondo perduto» che abbiamo imparato a maneggiare nei giorni dell’accordo sul Recovery fund. Sono i soldi che presti e che sai che non rivedrai mai. Come capitò con i primi due iscritti al club dei sei zeri finanziato da Berlusconi con assegni superiore al milione: l’ex agente delle star Lele Mora e il fu direttore del Tg4 Emilio Fede, premiati all’inizio del decennio scorso con la bellezza di 2,8 milioni di euro. Era l’alba del 2010 e il duo Fede&Mora, presentandosi ad Arcore, inizia a raccontare all’allora presidente del Consiglio delle difficoltà in cui si trova l’agenzia dell’ultimo. Berlusconi, l’avrebbe ricostruito lui stesso testimoniando al processo per concorso in bancarotta a carico del giornalista, stacca tre assegni: un milione all’inizio dell’anno, un milione e mezzo in primavera e 300 mila euro in autunno. Com’è noto, Fede tratterrà praticamente un terzo della cifra; e la villa in Sardegna con la cui vendita Mora avrebbe dovuto restituire i soldi ad Arcore, nel frattempo, sparisce dalla sua disponibilità. «Prestito infruttifero». Ma non c’è soltanto il club dei sei zeri, che negli ultimi anni alleggerisce il portafoglio berlusconiano di una cifra superiore ai 70 milioni di euro. Ci sono anche i prestiti, diciamo così, più leggeri. «La persona più generosa del mondo», come l’ha chiamato la sua storica segretaria Marinella Brambilla testimoniando nel febbraio scorso al tribunale di Bari, ha prestato nel 2011 30 mila euro all’imprenditore Gianpaolo Tarantini tramite Valter Lavitola. Dieci volte tanto porta a casa, sempre dai conti correnti berlusconiani, l’ex consigliere regionale Nicole Minetti, arrivando a incassare per parecchi mesi (dal 2014 al 2016) una specie di stipendio mensile di 15 mila euro. Più 65 mila euro che arrivano alla fine del 2015. Soldi che vanno ad aggiungersi ai quasi trecentomila euro versati alle olgettine (guidava la classifica Alessandra Sorcinelli con 130 mila euro in tre bonifici). La cifra totale censita viaggia verso i 75 milioni e forse li supera anche di slancio. La riservatezza dell’accordo seguito alla separazione consensuale tra Berlusconi e la prima moglie Carla Dall’Oglio del 1985, per esempio, non è mai stata violata dalle parti.

Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 25 luglio 2020. Leggo qua e là articoli e interventi sui social nei quali si deplora Silvio Berlusconi perché ha liquidato la ex fidanzata, Pascale, con la bellezza di venti milioni di euro e con un bonus di un milione all'anno. Nella maggior parte dei commenti negativi colgo sentimenti di invidia sia verso la ragazza che ha riscosso sia verso l'uomo potente che ha sborsato. L'odio sociale in effetti è alimentato quasi sempre dal denaro: chi ne ha tanto è detestato da chi ne ha poco e deve combattere ogni giorno per sopravvivere. Il guaio dei poveri è che invece di imitare i ricchi, cercando di diventare come loro, cioè abbienti, li disprezzano e combattono quali nemici. Siamo alla follia pura. Il Cavaliere è diventato ciò che è in quanto è bravo, ha lavorato come un matto fin da giovanissimo, ha realizzato progetti che sembravano proibitivi, costruito città, aperto televisioni e banche, insomma ha messo in piedi un impero con le sue mani d'oro e il suo cervello fino, e in politica ha battuto avversari fortissimi. Ovvio che abbia accumulato un patrimonio mostruoso, di cui è padrone di disporre come gli garba. Se ha deciso di rendere serena l'esistenza di una fanciulla che lo ha allietato per alcuni anni, versandole un cospicuo appannaggio, sono affari rigorosamente suoi. A noi con le pezze sul sedere le sue donazioni generose non riguardano. Per usare una espressione poco elegante: sono cazzi suoi. Dobbiamo smetterla di farci il sangue amaro nel constatare che gli uomini non sono tutti mediocri: alcuni di essi, per esempio Silvio, sono più bravi e intelligenti di altri e dispongono di una liquidità che noi ci sogniamo. È chiaro il concetto o necessita di ulteriori delucidazioni? Mettiamoci in testa che Berlusconi è Berlusconi mentre noi non siamo un tubo. Beato lui, possiamo solo stimarlo e lodarlo, altro che biasimarlo poiché si è scopato ogni donna scopabile di questo mondo. Qualcuno lo ha sgridato perché si era addirittura dotato di un condominio pieno zeppo di signore compiacenti che gli rallegravano le serate. Ma dove è il problema? Il desiderio di qualsiasi italiano è avere un parco di belle dame a disposizione, è assurdo condannare chi tale desiderio è riuscito a trasformare in realtà. Ora c'è chi arriccia il naso a causa del fatto che la stupenda Francesca incamera una indennità di fine servizio lauta. Non ci trovo nulla di disdicevole. Ciascuno del proprio denaro fa ciò che vuole e chi lo intasca è soltanto fortunato, non va vituperato, semmai applaudito. Prima di chiudere, vorrei spendere qualche riga in difesa di Maria Elena Boschi, presa di mira dai bacchettoni di sinistra e di destra perché si è fatta fotografare in bikini a bordo di una barca. Chissà per quale ragione l'onorevole non sarebbe abilitata a indossare i due pezzi, cosa che fanno varie donne al mare d'estate, in vacanza. A me piace pure vestita di tutto punto, figuriamoci mezza biotta, è uno spettacolo, l'unico che gradisco fornito dal ceto politico. Piantiamola di essere bigotti e rimbambiti. Viva la libertà.

·        Berlusconi e la Giustizia.

Quando con una telefonata all’alba iniziò la caccia a Berlusconi. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 20 Luglio 2020. Mille giorni dopo Tangentopoli e Mani Pulite mi capitò di venir svegliata di notte. O forse era l’alba del 22 novembre 1994. Senza capire che ora fosse né dove io mi trovassi, risposi al telefono con l’immediata sensazione che qualcosa di grave fosse accaduto o stesse per accadere. Appresi così, dalla voce del mio amico Memmo Contestabile, sottosegretario alla giustizia, che il Corriere della sera sarebbe uscito a pagina piena con la notizia di un’informazione di garanzia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ci risiamo, ho pensato subito. Benché non frequentassi più da due anni la sala stampa del Palazzo di Giustizia di Milano, rividi con lo sguardo del passato il quarto piano con gli uffici della procura, immaginai gli sguardi soddisfatti dei sostituti procuratori che incedevano nel corridoio con il consueto codazzo dei cronisti giudiziari. Ebbi l’immagine plastica dell’ufficio da cui era partita la notizia in esclusiva per il Corriere e la faccia del giornalista prescelto per lo scoop. E la mente geniale di chi aveva scelto la data adatta. Ero andata a Napoli in compagnia del ministro guardasigilli Alfredo Biondi e il sottosegretario Contestabile, i quali con me, che ero Presidente della Commissione giustizia della Camera, avevano formato il primo gruppo dei garantisti ai tempi del governo Berlusconi. L’appuntamento era di quelli destinati a diventare storici. Se poi lo fu, sarà per motivi opposti a quelli sperati. La mattina in cui Berlusconi, e sarà la prima volta per un presidente del Consiglio in carica, riceverà un mandato di comparizione firmato dal pm Antonio Di Pietro, si sarebbe inaugurata la prima Conferenza mondiale sulla giustizia. E si inaugurò, davanti alla faccia sgomenta di personalità del mondo politico e giudiziario provenienti da tutto il mondo. E noi relatori costretti a sfilare in una passerella accecante di fotografi e televisioni. Tutti avevano visto il Corriere. Seppi da subito che il governo non sarebbe durato a lungo. La mia esperienza degli anni precedenti, prima ancora di Tangentopoli e fin dai tempi della Duomo Connection, mi aveva insegnato che una notizia di cronaca giudiziaria, se va a toccare la politica, non è mai frutto solo di attività giornalistica. E il Corriere non era l’Unità, ma era Confindustria e Mediobanca. Avevo negli occhi il percorso con cui si erano salvati i proprietari di grandi testate, chinando la testa davanti alle Procure ed evitando il carcere. Gli industriali della carta insieme ai propri giornalisti avevano svolto il ruolo di tricoteuses mentre i procuratori alzavano le ghigliottine. Il “matrimonio” non si era mai sciolto, fin dal giorno in cui il procuratore Borrelli aveva ammonito: «Chi ha scheletri nell’armadio non si candidi». Quell’armadio, nelle sue parole, stazionava in una stanza di casa Berlusconi. Che non solo si era candidato, ma aveva anche vinto le elezioni. Il primo conto lo aveva già pagato, nell’estate del 1994, quando era stato costretto a ritirare il famoso “decreto Biondi”, che aveva tentato di mettere ordine nei principi della custodia cautelare. Il provvedimento era stato da subito ribattezzato “salvaladri” e i pm di Milano avevano sfilato davanti alle telecamere con le barbe lunghe e gli occhi arrossati minacciando dimissioni di massa. Il decreto non sarà riconvertito, ma quegli stessi magistrati che, dicevano, con quelle scarcerazioni non potevano più lavorare, non riarrestarono quasi più nessuno. La manette erano dunque così indispensabili? La mattina del 22 novembre 1994 era stata anticipata da strani movimenti nei giorni precedenti, al quarto piano del palazzaccio di Milano. Numerosi cronisti avevano notato il passaggio di alti ufficiali dei carabinieri e un andirivieni di pm che scappavano via dai giornalisti con l’aria sorniona del gatto che si lecca i baffi dopo un buon pranzo. Quelli del Corriere sono stati più bravi degli altri? Mavalà. Certo, ci fu un cronista del quotidiano Avvenire che aveva qualche rapporto con ambienti in divisa e che ebbe l’intuizione (chiamiamola così) prima degli altri. Ma l’intrusione si risolse con la sua assunzione al primo quotidiano d’Italia. E lo scoop ebbe inizio, con troppi particolari perché si potesse sostenere che i cronisti non avevano in mano il pezzo di carta dell’invito a comparire. Qualche anno dopo lo confermò, gridandolo in faccia a Di Pietro durante una trasmissione tv, Sandro Sallusti, che era stato capocronista del Corriere. Da allora fu una slavina. I particolari dell’inchiesta, tutti i giorni, inonderanno ogni quotidiano, ogni televisione. Berlusconi apprenderà a mezzo stampa di essere indagato per una corruzione alla Guardia di Finanza, da cui sarà in seguito prosciolto. In seguito, appunto. Dopo che il suo governo sarà caduto. È particolarmente urticante, anche a rileggere dopo tanti anni, quel che scrivevano nei giorni successivi i giornali sulla “riservatezza” dello loro fonti. Roba da ridere, per chi come me aveva frequentato quegli uffici e quei corridoi, a volte partecipando al banchetto. Sentite questa: «Borrelli si chiude nel suo ufficio. Davigo, Colombo e Greco continuano a marciare nei corridoi con documenti e cartelle sottobraccio: sorridono, si guardano intorno, passano oltre. Senza parlare». Senza parlare? Ahah. Ho dichiarato diverse volte pubblicamente che le notizie coperte dal segreto me le avevano sempre date i magistrati e nessuno mi ha mai smentito. Non potrebbero. Intanto ogni giorno, sempre più smarrito e arrabbiato, Berlusconi apprendeva che un po’ tutte le Procure italiane gli avevano messo gli occhi addosso, che a Palermo pensavano lui fosse il mandante delle stragi di mafia. Fin da allora, ma certe toghe c’erano già, da quelle parti. Il ribaltone era nell’aria. Alla faccia di quello che avrebbe dovuto essere il controllore delle televisioni italiane, l’ultima parola sui media l’avevano sempre i procuratori. Ogni quotidiano, non solo il Corriere ma anche Repubblica, la Stampa e l’Unità erano i megafoni di Borrelli e i suoi sostituti. La loro parola era sempre d’oro. «Noi ci limitiamo ad applicare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale», sussurrava con voce flautata il procuratore capo. Tra virgolette. Ma quando le virgolette si chiudevano arrivava la polpa e si parlava di sedici interrogatori, di ampia documentazione di un sistema di conti bancari, e anche di una fiamma gialla in veste di pentito. Tutto falso, tutto inventato, perché Berlusconi verrà prosciolto. Dopo. Ogni giorno leggevo i quotidiani, guardavo le firme sotto le indiscrezioni e riconoscevo le impronte digitali del magistrato che aveva cantato sotto ogni notizia. I matrimoni tra pm e cronisti erano sempre indissolubili. Il terreno ormai era arato. Ormai anche alcuni di coloro che parteciparono fin dalla semina – parlo di ex cronisti giudiziari – ammettono che senza la complicità della stampa probabilmente non ci sarebbero stati (per lo meno non in quelle dimensioni) né Tangentopoli, né la caccia a Craxi né la fine del primo governo Berlusconi. E anche, dice qualcuno, non sarebbe successo niente senza la violazione di qualche regola. Ma intanto la storia è andata avanti in quel modo tutto politico, pieno di complicità e di imbrogli. In cui i giornalisti sono stati solo i cicisbei di qualcuno che contava più di loro. Quanto al primo governo Berlusconi, il colpetto finale lo diede, nel suo discorso di Capodanno, Oscar Luigi Scalfaro. Il peggior Presidente della Repubblica italiana. Ma i mandanti erano altri.

Silvio Berlusconi, dal 1994 a oggi storia di una persecuzione italiana. Tiziana Maiolo su Il Riformista l'1 Luglio 2020. Il plotone d’esecuzione che il primo agosto del 2013 puntò le armi e portò a termine l’esecuzione contro l’innocente Silvio Berlusconi, non è stato il primo né l’unico. Anche se quella pronunciata dalla cassazione presieduta da Antonio Esposito, oggi amicone di Marco Travaglio, è stata l’unica sentenza di condanna. Ma ci hanno provato in tanti, almeno una settantina di volte. All’inizio, la palma del vincitore, per costanza e impegno, andò , in una gara senza concorrenti, al procuratore capo di Milano, il dottor Francesco Saverio Borrelli. Berlusconi, dopo l’ultimo defatigante vano tentativo per convincere Mino Martinazzoli a impugnare le redini del defunto pentapartito e candidarsi contro Achille Occhetto alle elezioni del 1994, stava cogitando. E intanto che lui cogitava se buttarsi in politica e impedire l’arrivo dei “comunisti” a Palazzo Chigi, Borrelli già sentenziava: chi ha scheletri nell’armadio, non si candidi. Intanto che lui sentenziava (benché dovesse sapere che i procuratori indagano, solo i giudici emettono sentenze) , i suoi uffici già lavoravano con il codice penale tra le mani. Era il 12 febbraio (le elezioni saranno il 28 marzo) e al Circolo della stampa il Polo delle libertà presentava le sue liste, quando in Procura volevano già arrestare Berlusconi junior, e ancora Borrelli sentenziava: il voto non ci può fermare, la giustizia è un juke-box, se il gettone è buono la canzone va suonata. Era già partita l’inchiesta sul Milan, la Procura stava già indagando a 360 gradi anche su Standa e Publitalia. Gli uomini della procura della repubblica di Milano, dal palcoscenico dei trionfi dei due anni precedenti, quelli di Mani Pulite in cui ogni regola era saltata ma loro si ritenevano invincibili, avevano affondato i denti nel collo di Silvio Berlusconi e non lo molleranno più. Salvo poi portare a casa anche un bel numero di sconfitte, dal caso Sme fino al processo Ruby, come si vedrà. Ma nel 1994, se il governo Berlusconi durerà solo otto mesi, il partito dei piemme ebbe sicuramente il suo peso. Dopo la vittoria elettorale del 28 marzo, quando il presidente Scalfaro darà al leader di Forza Italia l’incarico di formare il nuovo governo, ecco che da Milano si leverà di nuovo la voce del dottor Borrelli: se il presidente ci chiama, non potremo dire di no. Peccato fosse stato già chiamato un altro. Così parte la prima raffica di arresti di uomini Fininvest. Mentre i primi mesi di governo scorrono, ecco i due grandi inciampi. Il decreto Biondi sarà ucciso in culla, nel mese di luglio, dall’immagine scarmigliata e scomposta dei procuratori milanesi che dichiaravano senza pudore alcuno di non poter più lavorare in assenza del potere di manetta continua. E poi arrivò novembre, e il presidente del consiglio era a Napoli a presiedere un convegno internazionale sulla criminalità davanti agli alti rappresentanti di 140 Paesi, quando il Corriere amico del Pool dei procuratori sparò tutte le colonne di piombo (o di quel che era) della prima pagina per annunciare che Berlusconi era indagato e convocato da Di Pietro per corruzione della Guardia di finanza. Fu l’inizio della fine. Quel primo plotone d’esecuzione che si esercitò quell’anno seppe lavorare bene e ancor meglio seppe colpire. Un mese dopo, il primo governo Berlusconi, il primo della seconda repubblica, il primo presieduto da un non politico, era affondato. La storia dirà però quanto pretestuose e politiche fossero quelle accuse di corruzione della Guardia di finanza che avevano acceso un faro di discredito del presidente del consiglio in tutto il mondo. Per tutti e quattro i capi d’accusa la cassazione assolse Silvio Berlusconi “per non aver commesso il fatto”. Ma siamo alla fine del 2001, lui ha vinto di nuovo le elezioni, ma sono passati sette anni e quattro governi in cui il leader di Forza Italia è stato costretto all’opposizione anche grazie a quelle inchieste giudiziarie. Anni in cui la magistratura milanese aveva lavorato a tempo pieno sul proprio indagato preferito. Iniziano nel 1998 le indagini sul processo forse più politico di tutti, per la caratura e i nomi di quelli che ne furono i protagonisti, quello che riguardava la vicenda Sme, la Società Meridionale di Elettricità che nel lontano 1985 il presidente dell’Iri Romano Prodi (l’unico a scampare a Mani Pulite) voleva vendere in via privilegiata all’imprenditore Carlo de Benedetti, ignorando la presenza di altre cordate concorrenziali, tra cui quella di Barilla, Ferrero e la Fininvest di Berlusconi. Finì che la Sme non fu venduta, ma De Benedetti intentò una causa civile e la perse. Anni dopo qualcuno, in una intricata vicenda di storie politiche e personali, risollevò la storia dal dimenticatoio e la magistratura milanese fu lesta a indagare e fare processare Berlusconi, accusandolo di aver “aggiustato” la causa civile. Anche questa volta, di processo in processo, si arriverà alla cassazione del 2007. Assoluzione con formula piena. Se vogliamo completare il quadro di una storia che non è ancora finita e che dura da trentasei anni e ha al centro un uomo che si chiama Silvio come nome di battesimo, ma anche Imputato come nome acquisito e non ancora abbandonato, non possiamo trascurare, prima di arrivare alla vicenda del plotone di esecuzione del primo agosto 2013, il “caso Ruby”. Qui c’entra forse poco Borrelli (anche perché nel frattempo era arrivato Edmondo Bruti Liberati a presiedere la procura milanese), ma molto una pm, Ilda Boccassini, che in tutta la vicenda ha saputo mettere insieme tutte le sue pulsioni di donna -non tanto nei confronti dell’Imputato, quanto nei confronti di una serie di ragazze belle e ambiziose- con lo stile investigativo degli uomini della procura della repubblica di Milano. Quello stile noncurante nei confronti di regole come la competenza territoriale. Oppure, come nel caso Ruby, di interrogare in una certa data la ragazza, di avere, secondo l’ipotesi accusatoria, già elementi per iscrivere Berlusconi nel registro degli indagati, ma di aspettare, indugiare, come se non si fosse sicuri. Ma intanto l’orologio dei termini processuali va a rilento, anzi è fermo e non scade mai. Se l’orologio è fermo i termini non scadono e la prescrizione non arriva mai. Si può indagare all’infinito, spiare, controllare la casa, gli ospiti, le abitudini. Così da luglio si arriva a dicembre, si iscrive l’indagato, e poi d’un tratto è febbraio. E quando il Parlamento nega al procuratore la possibilità di perquisire casa e ufficio del dottor Spinelli, ragioniere di Berlusconi, ecco che l’Imputato viene scaraventato di peso nella gogna mediatica di un processo celebrato con rito immediato, quindi direttamente in aula. La giustizia non avrà le vesti delle tre componenti del tribunale di primo grado, quelle che Berlusconi chiamerà “comuniste e femministe”, che forse non erano neanche dispiaciute della definizione, ma che si distinsero, come un po’ tutti in questi processi, anche i giudici che poi assolsero, per la loro misoginia e il loro moralismo. Ogni ragazza che aveva frequentato la casa di Arcore non era altro che una puttana. Donne che odiano le altre donne, potremmo dire. Comunque l’altalena delle sentenze andò così: condanna in primo grado, assoluzione in appello e cassazione. Naturalmente non è finita qui, perché da cosa nasce cosa. E Rubi bis e poi ter, e poi chissà. Così come la parte più infamante (e ridicola, se Silvio l’Imputato me lo permette) che, oltre che corrotto e puttaniere vuol vedere in Berlusconi un mandante di stragi mafiose. Il combinato disposto tra la procura di Palermo e quella di Firenze fa aprire tre volte il fascicolo. Ecco la cadenza. Indagato nel 1996, archiviato nel 1998. Indagato nel 2009, archiviato nel 2013. Indagato nel 2019, ancora indagato. Ma aspettiamo l’inevitabile terza archiviazione. Che barba, che noia. Questa è una parte della storia giudiziaria, cioè politica, di Silvio Berlusconi. Certo, insieme alle tante assoluzioni e proscioglimenti, ci sono le cause andate in prescrizione. Ma questo non è un problema dell’Imputato, ma della magistratura. Quella stessa che passa il tempo a occuparsi della propria carriera, dei propri guadagni e degli intrallazzi politici. La storia dell’Imputato Berlusconi finisce qui. Poi c’è quella del condannato. Che è politica nella sua parte penale, anche se è un tribunale civile a dirci che non ci furono imbrogli né opacità nella compravendita di diritti di film Usa. Ed è politica perché uno di quei giudici che condannarono Berlusconi in Cassazione ce lo ha detto chiaramente. Ma è ancor più politica la coda che seguì quella sentenza, cioè l’interdizione dai pubblici uffici, la legge Severino dai risvolti assurdi, la sua applicazione retroattiva benché i maggiori costituzionalisti del Paese fossero più che perplessi sulla sua applicabilità a Berlusconi. E un signore che era il segretario del Pd e che si chiama Matteo Renzi, che oggi si dice solidale con il Berlusconi che fu vittima di un plotone di esecuzione. Ma che allora ne preparò uno suo personale, di plotoni, stimolando i suoi senatori a votare in fretta per cacciare Silvio il Condannato dal Senato. Anche questo fa parte delle ingiustizie politiche che Silvio patisce da trentasei anni.

Magistratopoli, parla Corrado Carnevale: “Nessun politico perseguitato quanto Berlusconi”. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 5 Luglio 2020. «Una cosa è certa: l’accanimento subito da Berlusconi non è stato mai esercitato nei confronti di nessun altro uomo politico. E io dico che qualunque forma di accanimento, nei confronti di qualunque cittadino, è inaccettabile. E chi non tratta tutti alla stessa maniera, non è un magistrato». Corrado Carnevale è uno che si intende di persecuzioni, avendone subite tante, e anche di magistrati, molti dei quali non godono della sua stima. Ha compiuto da poco novant’anni e non è cambiato, il presidente Carnevale. Vive da solo nella sua casa romana, risponde sempre personalmente al telefono, gode di buona memoria e non dimentica. Non dimentica il fatto che gli abbiano impedito di diventare primo presidente della Corte di Cassazione. Ed è stata veramente un’ingiustizia. Proprio verso di lui che era stato sempre il primo della classe: maturità classica a 17 anni con il massimo dei voti, laureato in giurisprudenza a 23 con lode e pubblicazione della tesi, arrivato primo al concorso di magistratura e a tutti quelli cui aveva partecipato, fino a diventare a 55 anni il più giovane presidente di una sezione di Cassazione, la prima. Con una giurisprudenza colta e impeccabile. Una lama sottile che usava come un bisturi quando non erano rispettate tutte le regole processuali, quando la valutazione delle prove non era sorretta da motivazioni chiare e logiche. Altro che “ammazzasentenze”. Faceva le pulci alle decisioni dei colleghi perché ne rilevava la sciatteria, il non amore per il proprio mestiere, la superficialità e il disprezzo per il cittadino. Così lui ne disprezza tanti, di quei magistrati. Gli chiedo se abbia mai ricevuto pressioni. «Mai», dice in modo risoluto, a sottintendere che nessuno avrebbe mai osato. Con un pizzico di malizia però ricorda di un certo presidente di Corte d’appello che alla vigilia della seduta di Cassazione che doveva occuparsi della sentenza da lui comminata, faceva il giro delle telefonate al presidente, al relatore e al pm, sollecitandoli a confermare la sua decisione. Gli chiedo se sia vero che fu lui a introdurre in Cassazione la Camera di Consiglio. «Certo, perché prima che io arrivassi, le cose funzionavano così: si mettevano d’accordo il relatore, il presidente e il pubblico ministero. Gli altri non conoscevano le carte, e spesso neanche il presidente. Ci sono aneddoti molto realistici di quei magistrati che alla vigilia della Camera di Consiglio, per fare gli spiritosi, dicevano sempre di aver assunto un certo farmaco antivomito, e poi esclamavano: “vado, rigetto e torno”. Non vivevano neanche a Roma, vi si recavano solo per la sentenza, che spesso era un pro forma. Io ho introdotto la Camera di Consiglio, in cui si discuteva, e a volte io che ero il presidente sono anche stato messo in minoranza. Ma i cittadini avevano la garanzia che i processi venissero presi sul serio». Viene un dubbio: chissà se dopo di lui i suoi colleghi abbiano continuato così o invece tutto non sia tornato come prima. «Le dico solo una cosa, l’altro giorno sono andato in Cassazione perché ho mantenuto lì il conto in banca e ho incontrato un famoso avvocato (fa anche il nome, ndr). Sa che cosa mi ha detto? Da quando non c’è più lei siamo tornati alla solita mediocrità. Questo mi ha detto. Dobbiamo quindi stupirci se succede quel che succede?» Quando gli chiedo che cosa pensi di certi suoi colleghi, ha quasi un moto di stizza, di cui un po’ si scusa, con la consueta gentilezza: «La prego, non dica che sono miei colleghi».  Non conosce personalmente i tanti personaggi della magistratura i cui nomi popolano le prime pagine dei giornali. Di Palamara conosceva il padre, di Antonio Esposito il fratello maggiore Vitaliano.  Anche di Francesco Saverio Borrelli aveva conosciuto il padre, presidente di Corte d’Appello, che lo aveva introdotto nel sindacato. «A 24 anni avevo già svolto il ruolo di segretario al congresso dell’Anm. Poi Borrelli disse che poiché ero bravo bisognava retribuirmi, così me ne andai sdegnato e non mi sono più iscritto. Del resto, nel sindacato dei magistrati non si parla di altro se non di soldi e di carriera. Lo scandalo che è scoppiato ora poteva esplodere tranquillamente trent’anni fa. Né ieri né oggi esiste un dirigente che non sia stato promosso tramite la corrente di appartenenza. E ci sono tanti posti immeritati, gente mediocre». I suoi ricordi dovrebbero esser trasformati in dispense per gli studenti di giurisprudenza.  Come quello di una Camera di Consiglio, cui lui partecipò come uditore, in cui «i giudici prima parlarono per venti minuti delle pensioni dei magistrati in Svizzera, molto più soddisfacenti di quelle italiane. Poi il Presidente, alludendo all’unico imputato, un parrucchiere accusato di rapina, disse in stretto siciliano, quanto gli diamo? Avendo il giovane uditore osato chiedere come mai non ci fosse discussione, visto che la testimonianza della vittima gli pareva debole, si sentì rispondere: ma lo sai che il fatto è accaduto di lunedi? E lo sai che il lunedi i parrucchieri sono chiusi?» Qualcuno ci restituisca Corrado Carnevale, per favore. E ci faccia uscire da questa mediocrità.

Caselli ricorda Falcone attaccando Carnevale, che però è stato assolto da tutto…Iuri Maria Prado su Il Riformista il 23 Maggio 2020. Ciascuno ricorda Giovanni Falcone come vuole, per carità.  Lo si può fare, per esempio, secondo la scelta del Fatto Quotidiano: che ieri, sull’argomento, ha messo in pagina un articolo poco grammaticato di un suo noto collaboratore, il dottor Gian Carlo Caselli.  Il quale ha celebrato la memoria del magistrato ucciso lasciando intendere, in buona sostanza, che nei processi antimafia la Corte di cassazione ha fatto bene il suo lavoro quando ha accolto la tesi dell’accusa e invece mica tanto quando l’ha respinta, perché ha fondato la decisione sul rilievo di “minuscoli vizi di forma” o esercitandosi nell’”acrobazia giuridica”.  Con il corollario che la giurisprudenza onora il ricordo di Falcone se condivide le prospettazioni del pubblico ministero mentre lo sfregia se ritiene che siano infondate. Va benissimo celebrare la perfezione della sentenza «che portò alla conferma della quasi totalità dell’impianto accusatorio e quindi delle pesanti condanne comminate nel “maxi”», come Gian Carlo Caselli chiama il famoso processo antimafia (per favore però il correttore di bozze non sia intimidito e la prossima volta spieghi all’articolista che si dice “irrogate”, non “comminate”): ma non va bene lasciare intendere che l’impostazione dell’accusa, altrimenti incensurabile, trova semmai ostacolo soltanto nelle acrobazie del giudice che ammazza le sentenze nobili col ricorso al bieco pretesto che manda assolto il criminale. Perché è questo, dottor Caselli, il succo del suo articolo, che non a caso si prende due colonne per opporre alla specchiatezza di Giovanni Falcone l’indifendibilità di Corrado Carnevale, appunto il giudice cosiddetto “ammazzasentenze”: accusato, ma assolto dall’accusa, di aver lavorato in favore della mafia rilevando i “minuscoli vizi di forma” di cui lei scrive, e cioè i difetti che affliggevano sentenze buone per forza perché avevano il contrassegno dell’antimafia. Ripeto: ciascuno ricorda Falcone come gli pare.  Ricordarlo con il recupero delle vociferazioni sulla presunta mafiosità di un cittadino assolto non è, a nostro giudizio, il modo migliore.

La porcata contro Berlusconi, dall’udienza illegale alle balle di Travaglio. Piero Sansonetti su Il Riformista il 23 Luglio 2020. L’udienza della sezione feriale della Cassazione, presieduta dall’ormai famosissimo presidente Antonio Esposito, che il primo agosto del 2013 condannò Berlusconi a quattro anni di prigione per frode fiscale, fu una udienza illegale. E su questo c’è poco da discutere: ci sono le carte, delle quali ora vi parlerò (e che in parte riproduciamo fotograficamente su questa pagina) che parlano in modo chiarissimo e non smentibile. La domanda che ora dovremo farci è questa: fu un errore involontario (e gravissimo) della Cassazione, la convocazione illegale di quella udienza, o fu un errore voluto, cioè doloso, cioè frutto di un disegno? A questa domanda io non so rispondere. Mi auguro che lo faranno al più presto le autorità competenti, come si dice in questi casi. Perché la domanda che faccio è drammatica e riguarda la legalità, da una parte, e la storia della Repubblica dall’altra. Quella condanna – l’unica ricevuta nella sua vita da Berlusconi dopo circa 70 procedimenti giudiziari – cambiò la storia del nostro paese, cambiò i rapporti tra destra e sinistra, consegnò a Salvini le chiavi della destra che fino a quel momento erano state nelle mani dei moderati, favorì l’avanzata travolgente del movimento di Grillo. Quello che posso fare io, ora, è provare ad illustrarvi i fatti nel modo più semplice possibile.

Premessa: Berlusconi viene giudicato dalla sezione feriale della Cassazione, presieduta da Antonio Esposito, il 31 luglio del 2013. Molti giuristi sostengono che la scelta di questa sezione lo danneggiò, perché non era una sezione specializzata. Recentemente questo giornale ha pubblicato una dichiarazione di uno dei giudici che parteciparono alla sentenza, e più precisamente il relatore – il dottor Amedeo Franco – il quale sosteneva che quella sezione fu scelta perché si sapeva che era “un plotone di esecuzione”. Testuale: “un plotone di esecuzione”, detto da uno dei magistrati che giudicarono. La decisione di affidare l’udienza e la sentenza alla feriale di Esposito, secondo chi difende questa scelta, avvenne perché la prescrizione scadeva il 1 agosto. Marco Travaglio ha scritto questa cosa decine di volte sul suo giornale, anche con toni un pochino saputelli, come qualche volta gli capita. Noi invece, che avevamo dato un occhio ai documenti, sostenevamo che la prescrizione per una parte del reato sarebbe scattata solo a settembre, e per l’altra metà, addirittura, a settembre dell’anno successivo. E quindi che non c’era nessun bisogno di ricorrere alla sezione feriale. Ora però aggiungiamo un particolare più grave, che non conoscevamo. I difensori di Berlusconi vengono avvertiti il 10 luglio della convocazione dell’udienza. In teoria la difesa avrebbe diritto a 30 giorni di tempo, dal momento della convocazione, per prepararsi. Quindi l’udienza si sarebbe dovuta tenere non prima del 10 agosto, e comunque non sarebbe toccata alla feriale di Esposito, e ragionevolmente si sarebbe potuta svolgere a settembre ed essere affidata alla sezione specializzata. C’è, in termini di legge, la possibilità di ridurre i termini (e dunque i diritti) della difesa (cioè i 30 giorni per prepararsi), solo se rispettare quei termini farebbe scattare la prescrizione. Dice Travaglio (e dicono i suoi): ho le carte (e le pubblica anche sul Fatto) la prescrizione scattava il 1 agosto. Beh, le carte di Travaglio sono sbagliate. Perché il 5 luglio, e cioè cinque giorni prima che scatti la convocazione di Berlusconi, la seconda sezione penale della Corte d’Appello di Milano trasmette alla Cancelleria centrale penale della Cassazione una comunicazione urgente. Ricopio qui il testo, senza cambiare una virgola: “Facendo seguito agli atti già trasmessi, inoltro per le determinazioni di Vostra competenza ai fini della fissazione dell’udienza il prospetto aggiornato del calcolo della prescrizione… in rettifica di quello già inviato”. Firmato, il Presidente di sezione dott. Flavio Lapertosa. E qual è questo termine della prescrizione? 14 settembre 2013 per la prima parte del processo, 14 settembre 2014 per la seconda parte. Capito? Questa lettera è del 5 luglio. Quindi il 10 luglio, quando viene convocato Berlusconi con la riduzione a 20 giorni dei termini di difesa, la Cassazione sapeva che non sarebbe scattata la prescrizione. Dunque commette una gravissima irregolarità. E’ molto probabile che questa irregolarità, e questa violazione dei diritti della difesa, sia stata determinante nella condanna di Berlusconi, nella sua destinazione ai servizi sociali per un anno, nella sua espulsione dal Parlamento con le conseguenze politiche abbastanza conosciute e che hanno riguardato tutto il Paese. Fu un errore? Fu una mascalzonata?

P.S. Quando io ho sostenuto, un paio di settimane fa, che la prescrizione sarebbe scattata solo a metà settembre, Marco Travaglio mi ha molto severamente bacchettato. Ha detto che non sapevo scrivere (cosa pare già acclarata attraverso una consulenza col giudice Esposito) e che non sapevo neanche leggere. Perché – diceva Marco – ci sono le carte che dimostrano che la prescrizione sarebbe scattata il 1 agosto. Vedi, Marco, la questione non è quella di saper leggere. E’ che se dai ascolto al primo magistratello che viene a offrirti una notizia o una consulenza, e non verifichi con accuratezza, poi scrivi le stupidaggini. Magari le scrivi anche benino, questo non si discute, ma sempre stupidaggini restano.

Silvio Berlusconi condannato ingiustamente? Per la Rai "è un caso marginale". Libero Quotidiano il 05 luglio 2020. Nulla più di un caso trascurabile. Ecco come qualcuno dalle parte di viale Mazzini sta trattando l'audio choc del giudice Amedeo Franco sulla sentenza del 2013 ai danni di Silvio Berlusconi per la vicenda dei diritti tv Mediset. Certo il nostro servizio pubblico ha sicuramente dato ampio spazio, e in diverse trasmissioni, allo scoop degli ultimi giorni che ha svelato il complotto delle toghe nei confronti del leader di Forza Italia, ma per il programma "Radio anch'io" di Rai Radio1 si tratta precisamente di «un aspetto molto trascurabile, tra decine di inchieste, condanne, prescrizioni». Questo è quello che emerge da un "carteggio" via whatsapp tra un ascoltatore e lettore di Libero e chi è addetto all'interno della Rai a rispondere ai messaggi social che si possono inviare direttamente alla trasmissione. «Aspetto gravissimo degno dei soviet con la complicità dall'alto. Altro che marginale. Berlusconi mai condannato e la prescrizione è orientata dalla magistratura per non essere sconfitta. Girerò la risposta a Porro, Feltri, Sallusti e Sansonetti» risponde per le rime il lettore già incattivito. Passa solo qualche minuto e secca arriva la replica di colui che parla per conto della Rai (noi non sappiamo esattamente chi risponde se si tratti dello stesso conduttore Giorgio Zanchini o qualche suo collaboratore, apprendiamo solo che costui ha un passato da avvocato): «Ma lei conosce le sentenze e le vicende giudiziarie o parla per sentito dire? Se la vada a leggere, Berlusconi è stato condannato con sentenza passata in giudicato e altre volte si è salvato per sopravvenuta prescrizione o per norme approvate da parlamenti a maggioranza di centrodestra. Sono fatti, non opinioni, si informi, io facevo l'avvocato. Non c'entra nulla la politica qui, sono fatti». Piccata e precisa ecco arrivare a distanza di qualche minuto l'ennesima replica dell'ascoltatore: «Conosco perfettamente tutto. Forse è lei che non conosce bene la storia del nostro Paese. Quali sentenze lo condannano, forse quelle guidate dall'alto? Sulla prescrizione le ho già risposto. Siccome voi non vincete mai con le elezioni cercate l'aiutino da parte di un sistema che ha tratteggiato ierri sera (lunedì 29 giugno, ndr) l'onorevole di Forza Italia da Porro (all'interno della trasmissione di Rete4 "Quarta Repubblica", ndr) e Sgarbi in Parlamento. Sbaglio o siamo una Repubblica parlamentare e le leggi le fa il Parlamento? O il Parlamento deve legiferare come volete voi?». Messaggi a parte ciò che stranisce di questo dialogo è sia avvenuto la mattina del 30 giugno, ossia il giorno dopo la trasmissione tv di Nicola Porro e che proprio quel giorno l'apertura del quotidiano Il Giornale era dedicata a questo fatto. Come mai non si è fatto il minimo accenno di tutta questa vicenda all'interno di "Radio anch' io"? Al di là di come la si pensi, era forse così poco rilevante da non inserirla affatto tra le notizie del giorno?

Magistratopoli, l’Ue deve intervenire a tutela della legalità della giustizia in Italia. Alessandro Butticé, Giornalista, su Il Riformista l'1 Luglio 2020. Le dichiarazioni dell’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), Luca Palamara, e la registrazione della clamorosa “confessione” del relatore della sentenza di condanna da parte della Corte di Cassazione di Silvio Berlusconi, ha provocato grande attenzione e sconcerto anche fuori dell’Italia, e nell’ambito delle Istituzioni Ue. Ue che, va ricordato, è sinora stata ed è un sicuro argine a potenziali derive autoritarie nei singoli stati membri. Deriva che alcuni, come chi scrive, hanno temuto negli anni di tangentopoli. Perché tra i benefici dell’Ue, al di là degli zero virgola dei vincoli economici, non dobbiamo mai dimenticarlo, vi sono anche quelli di legalità, democrazia, e rispetto delle libertà fondamentali, che legano tutti gli stati membri dell’Ue.  In altri termini, lo stare all’interno dell’Ue è anche un antidoto ai demoni antidemocratici e anti-libertari che, a seconda del momento storico, possono risvegliarsi nei singoli paesi a seguito di situazioni contingenti. Siano essi incarnati nell’uso della forza delle armi che delle sentenze manettare. È quello di cui sono convinto, avendo vissuto dall’osservatorio europeo, con grande preoccupazione per la stabilità democratica del nostro paese, il periodo di tangentopoli, e la deriva giudiziaria e giustizialista che ne è seguita. E che nulla ha a che fare con la Giustizia. Quella con la G maiuscola. Perché penso che, se non ci fosse stata l’Unione Europea che non l’avrebbe mai permesso, il rischio che a qualcuno saltassero i nervi, trascinando il Paese in pericolose avventure, è stato in qualche momento tutt’altro che teorico. L’Ue è sempre stata, e rimane, un faro del rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche all’interno dei suoi Stati membri e nel mondo. E lo è ben prima ancora di essere un mercato unico. Ed è per questo che Antonio Tajani, nella sua qualità di Vicepresidente del Partito Popolare Europeo, si è rivolto alle istituzioni europee chiedendone l’intervento di vigilanza della singolare situazione in cui si è trovato l’ex presidente del consiglio italiano. Per alcuni vittima di un golpe giudiziario e mediatico, del quale hanno forse beneficiato altri paesi, ma che ha compromesso non solo i diritti della persona e della famiglia di Silvio Berlusconi ma, ed è ben più grave, pure le sorti politiche ed istituzionali del Paese, in un significativo e delicatissimo momento storico. In una lettera inviata oggi alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ed agli altri vertici delle istituzioni Ue, Tajani ricorda che “molte volte, negli ultimi anni, le Istituzione europee si sono espresse per tutelare lo Stato di diritto nei Paesi membri dell’Unione europea”. Riferendosi alla sentenza di condanna per frode fiscale, nel 2013, del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, precisa che “negli ultimi giorni, sono emersi nuovi elementi inquietanti: i quotidiani italiani pubblicano frasi del magistrato relatore della sentenza che definisce il Collegio giudicante “un plotone d’esecuzione” e quella sentenza “già scritta e ordinata dall’alto”.  Inoltre, una recente sentenza del tribunale civile di Milano ribalta quanto già deciso e smonta la vecchia accusa, dichiarando che non ci fu frode fiscale.” “Quella del 2013, quindi”, prosegue Tajani, “è stata una sentenza politica che ha condannato il nostro partito e il nostro leader ad una forte campagna denigratoria che ha causato una evidente distorsione nei nostri processi democratici. Infatti, questa condanna che oggi scopriamo infondata, ha successivamente costretto Silvio Berlusconi, democraticamente eletto dagli italiani, ad abbandonare il Senato della Repubblica e gli ha impedito per anni di candidarsi a cariche pubbliche.” “Come già accaduto in passato”, continua l’ex presidente del Parlamento Europeo, “oggi, le Istituzioni europee devono valutare se in Italia la magistratura abbia adempiuto al proprio compito in maniera assolutamente imparziale.” L’utilizzo politico della giustizia contro gli avversari, secondo Tajani, “sarebbe una ferita profonda alla nostra democrazia e ai valori a cui ci ispiriamo. In un Paese sano non ci può essere spazio per giudizi basati su ragioni puramente ideologiche. Questa frangia di giudici fa danno a tutta la magistratura onesta e alla credibilità del sistema e delle Istituzioni italiane.” Tajani, impegnandosi a tenere informate le Istituzioni Ue sugli sviluppi che avrà la vicenda nelle prossime settimane, conclude sottolineando che quello che è emerso negli ultimi giorni è preoccupante non solo per il proprio partito, ma anche “per ogni cittadino italiano ed europeo”. E per questo motivo informa anche la von der Leyen ed i presidenti delle altre Istituzioni UE che, a livello nazionale, ha chiesto l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta su quanto è accaduto a Silvio Berlusconi e sul cattivo funzionamento della giustizia penale in Italia.

Silvio Berlusconi, Vittorio Feltri: "Il documento che svela il complotto progressista. Questa storia non può finire qui". Libero Quotidiano il 02 luglio 2020. Non mi sorprende che i grandi (si fa per dire) giornali italiani non abbiano dato particolare rilievo alla notizia che Silvio Berlusconi venne condannato senza motivo a 4 anni di reclusione, espulso dal Senato e privato dei diritti civili. Ieri e ieri l'altro è stata diffusa la registrazione di un intervento del giudice di Cassazione, Amedeo Franco, il quale affermava che il Cavaliere era stato punito non a causa di un reato, mai commesso, bensì poiché politicamente considerato un mascalzone. Si dà il caso che il citato magistrato, poi morto - crepano anche coloro che indossano la toga - non fosse un passante ma facesse parte del collegio giudicante, quindi degno di fede. Di qui lo scandalo meritevole della massima evidenza, eppure silenziato o minimizzato dalla stampa di sinistra, quasi tutta, la quale in sintonia con la politica di sinistra sognava da anni il siluramento, pure per via giudiziaria, del leader di Forza Italia. Tale stampa se ora accettasse la realtà, e cioè l'idea che Berlusconi sia stato cacciato in seguito a un complotto progressista in collaborazione con la magistratura alta, ammetterebbe di aver agito in modo schifoso. Ecco la ragione per cui tace o si limita a sussurrare tra mille dubbi espressi a denti stretti. Tuttavia ora c'è qualcosa di più della summenzionata registrazione. Oggi Libero pubblica la sentenza con la quale il Tribunale civile di Milano dichiara l'innocenza di Berlusconi a riguardo della presunta frode fiscale. È un documento decisivo che smonta l'impalcatura accusatoria in base alla quale fu compiuto l'arbitrio giudiziario. C'è poco da discutere. Basta leggere l'atto che vi offriamo in omaggio alla verità. Silvio era protagonista della vita pubblica italiana, guidava il partito più importante, era stato tre volte presidente del Consiglio e continuava a menare il torrone a Roma. Ovvio che fosse odiato dagli avversari i quali non avevano argomenti per farlo secco. Da qui il proposito di chiedere aiuto al potere giudiziario che infatti si prestò, lo si evince dalle carte, per organizzare l'espulsione del Cavaliere mediante un processo manovrato come un'arma da fuoco. La vittima venne addirittura radiata dal Parlamento in applicazione retrospettiva (grave scorrettezza) della legge Severino. Nel frattempo Forza Italia perse consensi e compattezza, mentre gli altri partiti ebbero l'opportunità di approfittare della situazione onde rivitalizzassi. In sintesi la vicenda è tutta qui, una porcata che turba le coscienze facendoci comprendere che il Paese è nelle mani sporche di soggetti poco raccomandabili. La nostra tenue speranza è che il capo dello Stato, rendendosi conto di quanto accaduto, si scusi a nome dei cittadini della ingiustizia perpetrata ai danni del Cavaliere e si affretti a risarcirlo nominandolo senatore a vita. Lo abbiamo proclamato e lo ripetiamo. Questa vicenda non può finire qui.

Silvio Berlusconi, sospetto sui giudici che lo condannarono: "Amedeo Franco beccato a registrarli, ma loro non fecero nulla". Libero Quotidiano il 23 luglio 2020. Altro materiale sulla sentenza Mediaset che condannò Silvio Berlusconi per frode fiscale. Altri audio del giudice Amedeo Franco, lo stesso che confessò al leader di Forza Italia che quella particolare sentenza "era pilotata dall'alto". Repubblica riporta un avvenimento che risale a sette anni fa, quando si riunì la sezione feriale a causa dell'imminente scadenza del termine di prescrizione nei confronti del Cav. Qui c'erano cinque giudici al lavoro per sette ore di camera di consiglio che finiranno per confermare le condanne a carico dell'ex Cavaliere e dei dirigenti Mediaset per frode fiscale. Nel collegio guidato da Antonio Esposito siedono appunto, oltre a Franco giudice relatore, Claudio D'Isa, Ercole Aprile e Giuseppe De Marzo. Ad un tratto - è quello riporta il quotidiano di Molinari - si sentono rumori di fondo. Una toga racconta: "Dopo qualche secondo, quel gracchiare assume un suono più nitido: sembrano proprio le loro voci, di poco prima, registrate. Il giudice Franco si alza di scatto, mette le mani in tasca come a chiudere qualcosa, a premere un tasto. Imbarazzato, così apparirebbe ai colleghi, esce, va in bagno. Torna dopo poco. Dice che è tutto a posto. I colleghi sono interdetti. Un altro di loro si stacca e va in bagno. E scopre, in un angolo, un dispositivo o un cellulare nascosto: lo prende, lo riporta in camera. E non so altro. Spiegazioni? Non mi risulta che Franco ne abbia date, di plausibili". Ma non finisce qui, perché subentra un'altra testimonianza. Anche in questo caso si tratta di un magistrato: È lo stesso racconto, per sommi capi, che raccolsi anche io. Questa storia provocò molto turbamento e amarezza tra i quattro giudici. Un gesto equivoco. Ma senza certezze". E ancora: "Il fatto non fu denunciato perché si ritenne che si fosse sfiorato il rischio di una eventuale divulgazione, forse bloccata in tempo". Insomma, Esposito e gli altri rimasero zitti. Un dettaglio che solleva qualche sospetto su come andarono realmente le cose.

Processo Mediaset, Berlusconi e il giudice Amedeo Franco: il testo del colloquio. Il Corriere della Sera il 30/6/2020. La conversazione tra il giudice Amedeo Franco e Silvio Berlusconi, ora all’origine del nuovo scontro tra centrodestra e magistratura , è stata registrata nel corso di un incontro casuale tra l’ex premier e l’ex «toga», che faceva parte del collegio della Cassazione che condanno Berlusconi a 4 anni. La registrazione fu effettuata da un componente dello staff del Cavaliere ed è allegata al dossier inviato a Strasburgo per chiedere la riabilitazione di Berlusconi medesimo. Il giudice Franco è deceduto un anno fa. Ecco il testo del colloquio, trasmesso dalla trasmissione «Quarta repubblica» e pubblicato dal quotidiano «Il riformista». Il testo della conversazione:

Amedeo Franco: «Il presidente della repubblica (ndr. Giorgio Napolitano all’epoca) sa benissimo questa cosa..»

Berlusconi: «Ma cosa sa il presidente...?»

Franco: «Lo sa che è stata una porcheria (ndr.: la condanna di Berlusconi). Io ho detto a Lupo (ndr., altro magistrato) “Guarda, mi hanno coinvolto in questa faccenda maledetta...se avessi saputo...io mi sarei dimesso, mi sarei dato malato, sarei andato in ospedale perché non volevo essere coinvolto in ‘sta cosa, in ‘sto affare”. A questo punto (Lupo) ha cambiato discorso, non lo vogliono sentire...questa è la cosa che sento negli altri, fanno finta che non è successo . È destino, Berlusconi deve essere condannato a priori, è un mascalzone, questa è la realtà...»

Franco: «Non tutti, ma la gran parte appena si sa che Coppi (ndr, Franco Coppi, avvocato di Berlusconi) l’ha difesa...”Ah, ecco, Coppi è stato corrotto!”, sono tutti corrotti quelli che hanno a che fare con lei. A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia...abbiamo avuto il sospetto, diverse persone che mi condividevano, colleghi che non sono suoi supporti, suoi ammiratori politici, anzi sono avversari politici che però sono persone corrette, hanno avuto l’impressione che la vicenda sia stata guidata...»

Berlusconi: «Dall’alto?»

Franco: «...dall’alto! La vicenda processuale è molto strana, molte persone, anche in pensione, mi vengono a dire “certo là è stata fatta una porcheria perché che senso ha mandarla alla feriale (ndr, la sezione feriale della Cassazione)? Ci vuole un minimo di apertura mentale per capire una questione così delicata , va alla sezione competente, non va alla sezione dove stanno cinque che poi uno solo capisce. La sezione feriale è stata fatta con gli ultimi arrivati, ragazzini... è stata una decisione traumatizzante, ha avuto pressioni e così via. Ho detto: “Io questa sentenza non la scrivo, se volete posso firmare perché io faccio soltanto l’antefatto ma qua firmate tutti perché io da solo sennò non la firmo”...»

Berlusconi: «...e loro erano determinatissimi, invece...»

Franco: «Loro determinati...malafede, forse . malafede del presidente sicuramente...»

Berlusconi: «La malafede del presidente c’è! Dicono che lui andava...»

Franco: «...dalla procura di Milano perché c’è il figlio...I pregiudizi per forza che ci stavano...si poteva evitare che andasse a finire in mano a questo plotone d’esecuzione, come è capitato».

Franco: «Dall’inizio sono sempre stato un suo ammiratore, tutti quanti, sono sempre stato...non dell’ultima ora, diciamo, anche se devo stare zitto perché in quell’ambiente è meglio non parlare. Questa cosa mi ha deluso profondamente perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto schifo, dico la verità... perché io allora facevo il concorso e continuavo a fare il professore universitario, non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare per...colpire le persone, gli avversari politici...io ho opinioni diverse della giustizia giuridica, quindi...vada a quel paese, va’».

Le accuse e la sentenza. Berlusconi era stato condannato il primo agosto 2013 a 4 anni (tre dei quali cancellati dall’indulto) per frode fiscale. Era accusato di aver evaso 7 milioni di euro nell’ambito di una compravendita di film americani da trasmettere sulle reti Mediaset. Frode avvenuto attraverso società off shore. La cassazione aveva confermato la sentenza di primo e secondo grado. Tutti i giudici, non solo il presidente, avevano firmato le motivazioni depositate il 29 agosto dello stesso anno.

Le motivazioni della condanna. Nelle motivazioni della sentenza della Suprema Corte si legge che Berlusconi «non era uno sprovveduto». E ancora: «Ad agire era una ristrettissima cerchia di persone che non erano affatto alla periferia del gruppo, ma che erano vicine, tanto da frequentarlo tutti personalmente, al sostanziale proprietario, l’odierno imputato Berlusconi». Personaggi che «sono stati mantenuti sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e in continuativo contatto diretto con lui, di modo che la mancanza in capo a Berlusconi di poteri gestori e di posizioni di garanzia nella società non è un dato ostativo al riconoscimento della sua responsabilità». Per i giudici è inoltre «inverosimile» l’ipotesi alternativa «che vorrebbe tratteggiare una sorta di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi».

"La condanna a Berlusconi? Un plotone d'esecuzione". Libero Quotidiano il 29 giugno 2020. Colpo di scena sul processo Mediaset. La condanna inflitta nel 2013 a Silvio Berlusconi per frode fiscale (che fu all'origine della decadenza da senatore per il Cav) fu "una grave ingiustizia", perpetrata da un autentico "plotone di esecuzione" e comminata perché "Berlusconi deve essere condannato a priori". Parole pronunciate da Amedeo Franco, magistrato che di quel processo fu relatore in Cassazione. Le dichiarazioni risalgono ad un incontro tra lo stesso Berlusconi e Franco, che avvenne dopo la sentenza. I due non erano soli, e qualcuno dei presenti registrò la conversazione: "Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? … Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo…​". Non solo: "I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare…si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare…Questo mi ha deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io … allora facevo il concorso universitario, vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversari politici. Non è così. Io ho opinioni diverse della… della giustizia giuridica. Quindi… va a quel paese…". Le registrazioni, in possesso degli avvocati del Cavaliere, sono rimaste fino ad oggi nel cassetto per rispetto del magistrato, ancora in attività. Franco, però, è venuto a mancare lo scorso anno. E allora i legali dell'ex premier hanno deciso di utilizzare quei nastri, allegandoli come prove al ricorso presentato alla Cedu contro la condanna. Da qui lo scoop del Riformista di Piero Sansonetti, che le ha ottenute e messe in pagina nel numero in edicola. Ma la storia, c'è da starne sicuri, non finisce qui.

L'audio del giudice sul Cav: "Condannato ingiustamente". A Quarta Repubblica vengono fatti ascoltare gli audio choc del magistrato che 7 anni fa si accanì contro Berlusconi. Giovanna Stella, Lunedì 29/06/2020 su Il Giornale. E adesso ci sono le prove che la sentenza che condannò Silvio Berlusconi al carcere, nel 2013, era una sentenza assolutamente sbagliata e faziosa. Addirittura orchestrata dall'alto. Per capire di cosa stiamo parlando bisogna fare un passo indietro, a sette anni fa. Berlusconi, il primo agosto del 2013, è stato condannato, come spiega bene Il Riformista (che possiede tutte le carte), e allora Forza Italia era sopra al 21 per cento dei voti. La sezione feriale della Cassazione che nel 2013 ha emesso la sentenza di condanna era presieduta dal magistrato Antonio Esposito, mentre relatore era il magistrato Amedeo Franco.​ A sette anni di distanza emergono delle novità sconcertanti, contenute in un supplemento di ricorso alla Corte Europea (contro la sentenza della Cassazione) presentato dagli avvocati del Cav Andrea Saccucci, Bruno Nascimbene, Franco Coppi e Niccolò Ghedini, in mano a Il Riformista. Le novità sono: una sentenza del tribunale civile di Milano che ribalta la sentenza penale e "una dichiarazione - scrive il Riformista - del dottor Amedeo Franco che racconta come la sentenza di condanna di Berlusconi da parte della Cassazione fu decisa a priori e probabilmente teleguidata. Per questa ragione era una sentenza molto lacunosa dal punto di vista giuridico".​

I fatti. La sentenza di condanna di Berlusconi per frode fiscale si basava sul presupposto che Mediaset avesse comprato dei film americani attraverso la finta mediazione di un certo Farouk Agrama, pagandoli molto meno di quello che Agrama fece risultare. La differenza tra prezzo vero e "prezzo falso" dicevano che venne equamente spartita. La metà la avrebbe usata Mediaset per abbassarsi le tasse, l’altra metà Farouk Agrama la avrebbe depositata in un conto svizzero. I magistrati, quindi, sequestrarono il conto svizzero di Agrama. Berlusconi cercò di spiegare che in quel periodo, siccome faceva il presidente del Consiglio, non si occupava dell’acquisto dei film e tantomeno della dichiarazione dei redditi di Mediaset. Ma i giudici di primo, secondo e terzo grado non gli credettero.

Il processo fu rapidissimo. In primo grado, nel giugno del 2012, il pm chiese 3 anni e otto mesi. La Corte portò tutto a quattro. L’appello si concluse nel maggio dell’anno successivo, confermando la pena, e tre mesi dopo, ad agosto, arrivò la sentenza della Cassazione. Incassata la condanna e scontata ai servizi sociali, e incassata anche l’esclusione dal Senato sulla base della Legge Severino, approvata in tempi successivi all’ipotesi di reato e dunque, per la prima volta nella storia della Repubblica e anche del Regno, con l’attuazione retroattiva di una legge, preso tutto questo, Berlusconi si rivolse a un tribunale civile in virtù di un ragionamento molto semplice. Il Riformista lo esplifica al massimo: se davvero, come dite voi, Agrama mi ha fregato tre o quattro milioni, me li ridia. ​C’è stata appropriazione indebita. Il tribunale civile di Milano, con una recente sentenza, dopo aver esaminato tutte le carte e ascoltato tutti i testimoni, e preso in considerazione tutti gli atti dei processi penali, compresa la sentenza della Cassazione, ha escluso che ci fosse appropriazione indebita, ha stabilito che l’intermediazione non era fittizia, che la società di Agrama (che le sentenze penali avevano dichiarato fosse un’invenzione) è una società vera e propria e ben funzionante, e ha anche stabilito che non solo non ci fu maggiorazione nelle fatture, ma che il prezzo al quale Mediaset comprò era un ottimo prezzo. Smontata in toto la sentenza di condanna di Berlusconi.​

Gli audio shock. Questa sera, a Quarta Repubblica condotta da Nicola Porro, dopo le carte scoperte da Il Riformista sono stati fatti sentire al pubblico gli audio choc del magistrato Amedeo Franco. "Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà, a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto. In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero. Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo", dice Amedeo Franco.​ In una seconda conversazione (il Cav dopo la sentenza sentì il magistrato Franco e con lui c'erano dei testimoni così registrarono tutto), Amedeo Franco sosteneva che "sussiste una malafede del presidente del Consiglio, sicuramente, lui lo sapeva". Nella conversazione il Cav chiede "cosa sa il Presidente". Risposta: "Sa che è una porcheria". E riferiva voci secondo le quali il presidente Esposito sarebbe stato "pressato" per il fatto che il figlio, anch’egli magistrato, era indagato dalla Procura di Milano per "essere stato beccato con droga a casa di...". E poi: "I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare…si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare…Questo mi ha deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io … allora facevo il concorso universitario, vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversari politici. Non è così. Io ho opinioni diverse della… della giustizia giuridica".

Nelle intercettazioni ambientali del 2013, Amedeo Franco dice che se avesse saputo di questa storia, di questa "porcheria", "mi sarei dimesso, mi sarei dato malato. Non volevo essere coinvolto in questa cosa". Franco - si sente nell'intercettazione - dice al Cav che quando ha fatto notare le sue perplessità tutti hanno fatto finta di nulla: "E' destino che Berlusconi debba essere condannato a priori. Purtroppo c'è una situazione che è veramente vergognosa". E sempre rivolgendosi a Berlusconi, Amedeo Franco dice chiaramente: "A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia". Franco nel corso dell'intercettazione fa una rivelazione choc: "Tutti i miei colleghi e anche i suoi che pure non la supportano sono convinti che questa cosa sia stata guidata dall'alto".

In pieno caos della magistratura dopo le dichiarazioni di Palamara spuntano anche queste carte e audio choc. La corruzione di alcuni magistrati e giudici, quindi, non è cosa nuova. Ma questa giustizia che non è giustizia rovina (e ha rovinato) la vita delle persone. E ha cambiato anche il corso della Storia.

Luca Fazzo per ''il Giornale'' il 30 giugno 2020. Due nuove prove per riscrivere la storia dei processi a Berlusconi. Chi se lo immaginava ormai pacificato con il suo passato giudiziario, accontentato della riabilitazione che gli ha restituito lo status di incensurato, deve ricredersi. Perché il Cavaliere riparte all' improvviso all' attacco sul fronte che per vent' anni lo ha visto in prima linea, quello della persecuzione giudiziaria di cui si sente vittima. Lo fa con un file audio e una sentenza inviati alla Corte europea dei diritti dell' Uomo, davanti alla quale è ancora pendente - da ben sei anni - il suo ricorso contro la condanna per la vicenda dei diritti tv. Sono, nella convinzione del Cavaliere e dello staff legale guidato da Niccolò Ghedini, documenti clamorosi, le prove fumanti della persecuzione. E i giudici di Strasburgo non potranno non tenerne conto. Entrambi dicono la stessa cosa: che la sentenza con cui la Cassazione nell' agosto 2013 rese definitiva la condanna dell' ex premier per frode fiscale fu una sentenza abnorme, senza basi sui fatti emersi durante la causa. E, dice il nastro, figlia di una manovra decisa a tavolino, prima ancora dell' udienza, per eliminare Berlusconi: «Un plotone di esecuzione». A parlare, nel nastro, è un giudice che quel giorno era in Cassazione, nella sezione chiamata a giudicare il leader azzurro: Amedeo Franco, relatore della causa, quello che di solito guida la discussione in camera di consiglio. Franco non voleva la condanna di Berlusconi, non voleva firmare le motivazioni. E un anno dopo, nel processo gemello per la vicenda Mediatrade, assolse Piersilvio Berlusconi scrivendo che la condanna di Berlusconi senior era stata «contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza di questa corte ed al vigente sistema sanzionatorio». Ma ora si va ben più in là. Perché l' anno scorso Silvio Berlusconi, intervistato a Porta a Porta, rivela l' esistenza di una registrazione in cui il giudice Franco riferiva dettagli sconcertanti sul prima, il durante e il dopo dell' udienza in Cassazione. A partire dal dato che a presiedere la sezione non poteva essere il giudice Antonio Esposito: colpevolista accanito e ora divenuto editorialista del Fatto Quotidiano. Amedeo Franco, purtroppo, muore nel frattempo. Dopo la trasmissione, l' ex giudice Esposito fa causa per diffamazione alla Rai e a Berlusconi chiedendo un mega risarcimento. È agli atti di quella causa che ora finirà il file con le registrazioni delle frasi di Franco, che ieri sera vengono riportate dal Riformista e poi trasmesse a Quarta Repubblica. Il giudice parlando con Silvio Berlusconi parla di una «grave ingiustizia», di una «vicenda guidata dall' alto», di una sentenza emessa da un «plotone di esecuzione» che non era la sezione destinata a celebrare il processo. Esposito, infatti, presiedeva la sezione feriale», quella chiamata a sbrigare le urgenze estive. «Hanno fatto una porcheria, che senso ha mandarla alla sezione feriale? Una questione così delicata..». «Sussiste una malafede del presidente del collegio (Esposito, ndr) sicuramente». E la conclusione amara: «Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo... per colpire le persone, gli avversari politici». Chiama in causa Ernesto Lupo, allora primo presidente della Cassazione: «Gli dissi mi hanno coinvolto in questa faccenda maledetta, avessi saputo mi sarei dato malato, a questo punto ha cambiato discorso... Berlusconi deve essere condannato a priori... è stata una decisione traumatizzante, ha avuto pressioni e così via... il Presidente della Repubblica lo sa benissimo che è stata una porcheria». Franco spiega a Berlusconi di voler sgravarsi la coscienza, dice di essere stato quasi costretto a firmare. E insieme alle rivelazioni di Amedeo Franco, parte per la Corte di Strasburgo anche il secondo documento. Sono le 39 pagine della recente sentenza con cui un giudice milanese, Damiano Spera, ha ribaltato completamente la ricostruzione degli affari televisivi di Mediaset compiuta dalla Procura di Milano e fatta propria dalla Cassazione presieduta da Esposito. Alla base dell' accusa di frode fiscale mossa a Berlusconi, un teorema di fondo: che Mediaset gonfiasse i prezzi dei film hollywoodiani che comprava da Frank Agrama, un intermediario americano, che in realtà sarebbe stato una specie di pupazzo, un «socio occulto» di Berlusconi. E i soldi in più fatturati da Agrama erano lo strumento di Mediaset per stornare utili dai bilanci frodando il fisco. Ma una volta che le condanne sono diventate definitive, proprio sulla base di esse Mediaset ha fatto causa ad Agrama: se quelli erano soldi non dovuti, devono tornare nelle casse dell' azienda. Sui conti svizzeri del mediatore vengono sequestrati circa 110 milioni di dollari mentre parte la causa milanese. Ed è qui che arriva il ribaltone. Nella sua sentenza il giudice Spera ripercorre i passaggi chiave della sentenza contro Berlusconi, secondo la quale «la fittizietà dell' intervento di Agrama e delle società a lui riconducibili è emersa in modo palese». Niente affatto, scrive Spera: «ritiene questo giudice che i convenuti (Agrama e gli altri, ndr) fossero effettivi acquirenti e poi rivenditori dei prodotti poi riacquistati dalle società Mediaset e Rti. Nella fattispecie concreta non è provata la interposizione fittizia, affermata invece nella sentenza Mediatrade». Secondo la Procura, la prova del delitto era che Mediaset si rivolgeva ad Agrama invece che trattare direttamente con le major, come avrebbe potuto tranquillamente fare. Invece per il tribunale di Milano «è stato provato che in più occasioni sia Paramount che Mediaset tentarono senza riuscirci di eliminare la ingombrante presenza di Agrama per poter avere mano più libera nella vendita dei prodotti». La svolta è così clamorosa che il giudice sceglie di usare il punto esclamativo: «Il fatto della interposizione fittizia contestato nei capi di imputazione non sussiste!». Agrama può tenersi i suoi soldi, dunque. Ma per Mediaset e il suo fondatore, questa sconfitta diventa ora l' arma per una vittoria ben più importante.

Audio shock del magistrato, l'ira di FI: "Chi ha deciso la condanna di Berlusconi?" Scoppia un altro scandalo nella magistratura. Forza Italia, indignata, insorge. Ora si vuole la verità sulla condanna a Silvio Berlusconi. Giovanna Stella, Martedì 30/06/2020 su Il Giornale. Un altro scandalo si abbatte sulla magistratura. Sui loro processi pilotati e su come abbiano contribuito al cambiamento della Storia. Dopo il trojan nel telefono di Palamara, spuntano altre intercettazioni. Risalgono a 7 anni fa e coinvolgono soggetti differenti: Silvio Berlusconi, il magistrato Antonio Esposito e il relatore-magistrato Amedeo Franco. Le intercettazioni ambientali riguardano un commento alla sentenza che condannò al carcere Silvio Berlusconi nel 2013. Amedeo Franco - durante una conversazione telefonica con il Cav - ammette che è stato condannato ingiustamente e che tutto "è stato pilotato dall'alto". La sentenza definitiva riguardava una presunta appropriazione indebita di diritti tv. Ma così - e ora lo dimostrano pure i documenti e gli audio - non è stato. Le carte oggi pubblicate in esclusiva da Il Riformista e gli audio choc mandati in onda a Quarta Repubblica fanno rabbividire. Il magistrato - a modo suo - chiede scusa a Silvio Berlusconi per quel processo così fazioso. "A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia - dice Amedeo Franco -. Tutti i miei colleghi e anche i suoi che pure non la supportano sono convinti che questa cosa sia stata guidata dall'alto. Lei doveva essere condannato a priori perché è un mascalzone".

Le reazioni di Forza Italia. "Ma chi è che dall'alto ha deciso che la Cassazione doveva condannare Berlusconi? Chi era il regista del complotto che ha cambiato la storia della politica italiana degli ultimi anni? Un vero colpo di Stato giudiziario", scrive Antonio Tajani su Twitter. E subito gli fa eco la vicepresidente del gruppo Forza Italia al Senato, Licia Ronzulli. "Quanto andato in onda stasera a Quarta Repubblica è semplicemente sconvolgente, doloroso. L'audio del dottor Franco sulla sentenza di condanna a Berlusconi, reso pubblico da Il Riformista, evidenzia che la democrazia è stata truccata, alterata al punto da cambiare il corso della storia politica italiana, nonchè da minare l'equilibrio tra i poteri dello Stato. E' semplicemente vergognoso che una certa magistratura utilizzi il proprio potere a fini di lotta politica, è un danno fatto non solo al presidente Berlusconi, alla sua famiglia e a Forza Italia, ma a tutti i cittadini che da stasera hanno la riprova che purtroppo esiste anche una giustizia non giusta. Ricordiamoci che se Berlusconi è fuori dal Senato è a causa di questa sentenza ingiusta e che oggi scopriamo essere pilotata". Anche la presidente dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini, ha immediatamente diramato una nota. "Le rivelazioni sul clima torbido in cui maturò la sentenza in Cassazione, che condannò Berlusconi in via definitiva per una frode fiscale mai avvenuta, sono la conferma di quanto purtroppo sapevamo da tempo: c'è stato un sistematico uso politico della giustizia per eliminare il leader del centrodestra dalla scena politica - si legge -. La sentenza del tribunale civile di Milano ristabilisce la verità, ma il danno è ormai fatto. Anche se Berlusconi è un gigante ed è riuscito a restare in piedi, il vulnus causato alla democrazia resta purtroppo irreparabile. Le notizie di oggi fanno impallidire perfino lo scandalo Palamara e confermano che è necessaria un'immediata, drastica riforma della giustizia".

Luca Palamara a La7: "I processi a Berlusconi un tema da approfondire". Sospetto legittimo: sapeva già tutto? Libero Quotidiano il 30 giugno 2020. "Un tema da sviluppare". Così Luca Palamara, lo scorso 22 giugno ospite di Omnibus, definiva con parole sibilline i processi a Silvio Berlusconi, lasciando intendere che gli intrecci tra magistratura, politica e carriere delle toghe potessero aver condizionato anche quelle condanne. Parole che oggi, alla luce dell'audio choc di Amedeo Franco, giudice relatore della Cassazione che condannò Berlusconi a 3 anni e 8 mesi di carcere per frode fiscale nel 2013 ("Una sentenza pilotata dall'alto, uno schifo") assumono un significato più chiaro. Considerato che Palamara, da anni e per anni dominatore di Anm e Csm e rivelatosi dalle intercettazioni della Procura di Perugia  come uno dei magistrati più potenti e influenti d'Italia, il sospetto che sapesse qualcosa in più è legittimo.

Audio Silvio Berlusconi, Luca Palamara: "Conosco pezzi importanti di questa storia". Libero Quotidiano l'1 luglio 2020. "Con i miei avvocati riteniamo esistere un problema molto serio come l'utilizzazione di queste intercettazioni. In alcuni momenti della giornata è perfettamente funzionante, in altri no. Non lo dico io, lo dicono le carte". A dirlo, intervistato dal direttore Paolo Liguori nella rubrica di Tgcom24 Fatti e misfatti è il pm ed ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara. Quanto alle polemiche relativo alla condanna a Silvio Berlusconi in Cassazione per il processo Mediaset e agli audio shock diffusi dal Riformista ha detto; "Conosco dei pezzi importanti di questa storia", ha spiegato. Quanto alle intercettazioni ha spiegato che è un sistema  "in alcuni momenti della giornata è perfettamente funzionante, in altri no. Non lo dico io, lo dicono le carte. Con i miei avvocati riteniamo esistere un problema molto serio. Il pubblico ministero, parlo per me stesso, pensa all'intercettazione come un mezzo di ricerca della prova. È fondamentale: il trojan ha segnato un salto di qualità nella lotta alla corruzione, alla mafia e al terrorismo. Però c'è un problema grandissimo del reale funzionamento di questi captatori informatici", ha aggiunto. Il trojan "ha una durata limitata, è nelle mani di persone che non sappiamo, gestisce una mole di dati di terze persone che risultano catapultate in questa vicenda che mi riguarda ma sono estranee", ha concluso Palamara. Poi è tornato a parlare del sistema giustizia che "va profondamente rimeditato e rivisto, è un sistema che fa fatica ad andare avanti". Secondo l'ex presidente di Anm ha "fallito il sistema delle correnti, ha fallito il sistema della spartizione tra correnti", aggiunge Palamara. E spiega:  "Da un lato ha portato i migliori nei posti più importanti d'Italia ma ne ha penalizzati tanti altri esclusi da questo meccanismo ma avrei timore dell'introduzione del sorteggio" per la scelta dei componenti togati del Csm.

Silvio Berlusconi, le carriere "brillanti" dei magistrati che hanno indagato su di lui per i diritti tv. Libero Quotidiano il "Chi è il terzo uomo". Berlusconi e l'audio di Franco, più di un sospetto. Il testimone? Nome e cognome: clamoroso 02 luglio 2020. Un trampolino di lancio per la loro carriera per buona parte dei magistrati che si sono occupati dei procedimenti giudiziari contro Silvio Berlusconi. Tra le carriere più brillanti si segnala in prima luogo quella di Fabio De Pasquale, il pm milanese che per primo intravide l'ombra del delitto dietro gli affari televisivi di Berlusconi. Oggi De Pasquale è procuratore aggiunto della Repubblica nel capoluogo lombardo, con delega alle delicate indagini sui delitti economici transanzionali. Il presidente del tribunale che condannò Berlusconi, Edoardo D'Avossa è andato in pensione poco dopo, e le sue giudici a latere hanno proseguito senza sbalzi la loro carriera. Lo mette in evidenza il Giornale, in un articolo in cui vengono analizzate le carriere delle toghe che hanno attaccato il Cavaliere. Carriere spesso assai brillanti. E ancora. il magistrato che sostenne con successo l'accusa, Laura Bertolè Viale, fu nominata poco dopo avvocato generale.  Il presidente della sezione, Antonio Esposito, è andato in pensione poco dopo senza ulteriori avanzamenti. Ma il relatore, Amedeo Franco nel 2016 venne nominato presidente di sezione in Cassazione. Un altro giudice del collegio, Ercole Aprile venne candidato da Magistratura Democratica al Consiglio superiore della magistratura, venne eletto con un profluvio di voti e sedette in Csm insieme a Luca Palamara.

Berlusconi, l’audio del giudice con l’ex premier: “Sentenza faceva schifo. Guidata dall’alto”. Ma fu (anche) lui a firmarla e al Csm negò pressioni. La Cassazione: “Nessun magistrato espresse dissenso”. La registrazione di un colloquio tra il leader di Forza Italia e Amedeo Franco, giudice di Cassazione e relatore del verdetto di condanna emesso dalla Suprema corte sullo stesso ex presidente del consiglio: "Si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione". La nota della Suprema corte: "Non risulta che il cons. Amedeo Franco abbia formalizzato alcuna nota di dissenso". E anzi davanti al consiglio superiore della magistratura dichiarò di non essersi sentito né condizionato né influenzato nel lavoro di redazione delle motivazioni della sentenza. Giuseppe Pipitone e Giovanna Trinchella il 30 giugno 2020 su Il Fatto Quotidiano. “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto“. E poi: “In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? … Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo“. E ancora: “Sussiste una malafede del presidente del Collegio, sicuramente…”. A parlare è Amedeo Franco, magistrato di Cassazione, giudice relatore e poi tra i firmatari del verdetto di condanna emesso dalla Suprema corte su Silvio Berlusconi. Nell’agosto del 2013, come è noto, l’ex premier fu condannato in via definitiva per frode fiscale. Una condanna che – è il caso di ricordarlo – confermava i verdetti del primo e del secondo grado. Qualche mese dopo la sentenza degli ermellini, ma sempre nel 2013, il magistrato avrebbe parlato con il leader di Forza Italia raccontando come quella sentenza fosse appunto un’ingiustizia. Quelle parole sarebbero state registrate da qualcuno che era presente a quel colloquio. E sono state diffuse ora, a circa un anno dalla morte del magistrato. Provocando una nota di smentita della Cassazione, che sottolinea come il processo Berlusconi fu celebrato “nel pieno rispetto del giudice naturale precostituito per legge“. E, soprattutto, “non risulta agli atti alcun dissenso da parte di nessuno dei 5 giudici“. Ma andiamo con ordine. Intanto va chiarito che i condizionali in questa vicenda sono obbligatori perché i punti da chiarire sono molteplici. Di sicuro, però, gli audio trasmessi da Quarta Repubblica, cioè la trasmissione in onda sulle reti Mediaset condotta da Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale della famiglia Berlusconi, hanno dato l’assist a tutto il centrodestra per tornare a tuonare contro il mai dimenticato “golpe politico giudiziario“. I virgolettati di quell’audio sono stati anticipati dal quotidiano Il Riformista, che sostiene anche come la stessa sentenza della Cassazione su Berlusconi sia smentita da verdetto del Tribunale civile di Milano. Una notizia che, come ha scritto ilfattoquotidiano.it, non corrisponde alla realtà. L’autore della sentenza – Diversa la questione delle registrazioni del giudice Franco, e per varie ragioni. La prima è una semplice questione di opportunità: perché il giudice relatore della sentenza su Berlusconi decide di parlare con lo stesso Berlusconi poco dopo aver reso definitiva la condanna per il leader di Forza Italia? In quel colloquio il magistrato, tra le altre cose, sostiene di aver detto probabilmente ai suoi colleghi: “Io questa sentenza non la scrivo, se volete posso firmare perché io faccio soltanto l’antefatto ma qua firmate tutti perché io da solo sennò non la firmo”. In effetti Amedeo Franco, per 20 anni magistrato in Cassazione, competente per i reati tributari, è indicato come giudice relatore del caso Berlusconi. Poi, dopo il deposito della sentenza, si scopre che tutti i cinque giudici del collegio firmano le motivazioni. E quindi pure Franco è tra gli autori di alcuni passaggi in cui Berlusconi viene definito “l’ideatore del sistema illecito. Dominus indiscusso” del sistema dei diritti gonfiati dei film comprati all’estero. Non si sa quanto scrisse di quella sentenza: se solo “l’antefatto” o altro. Di sicuro la firmò insieme a tutti gli altri componenti del collegio e cioè Claudio D’Isa, Ercole Aprile, Giuseppe De Marzo e il presidente Antonio Esposito. La nota della Cassazione: “Nessun dissenso tra i magistrati” – Ed è quello che fa notare la Suprema corte nella sua nota: “La motivazione della sentenza è stata sottoscritta da tutti e cinque i magistrati componenti del Collegio, quali co-estensori della decisione. Non risulta, altresì, che il cons. Amedeo Franco abbia formalizzato alcuna nota di dissenso ai sensi dell’art. 16 della legge n. 117 del 1988 (art. 125, comma 5, c.p.p.)”. Se Franco non fosse stato d’accordo – come sostiene lui stesso nell’audio – avrebbe avuto la possibilità, essendo in minoranza rispetto al collegio, di scrivere il suo dissenso e custodirlo. I magistrati ne hanno facoltà e già in passato e successo più volte. Anche con lo stesso Berlusconi come imputato: durante il processo Ruby, il presidente della Corte d’appello di Milano, Enrico Tranfa, si dimise dopo il verdetto di assoluzione per l’imputato, non condividendolo e ritenendo l’ex premier colpevole. Ma Franco non ha fatto nulla di tutto questo. Di più. Davanti al Csm, che giudicava disciplinarmente il presidente Esposito per aver rilasciato un’intervista, dichiarò di non essersi sentito né condizionato né influenzato nel lavoro di redazione delle motivazioni della sentenza su Berlusconi. Se avesse avuto dubbi, se avesse temuto che quella sentenza fosse stata pilotata perché invece ha dichiarato il contrario davanti all’organo d’autogoverno delle toghe? Dichiarazioni simili – nessun condizionamento nessuna influenza – erano arrivate anche dagli altri componenti del collegio d’Isa e Di Marzo.

Le tappe della vicenda: “Urgenza dovuta a incombente prescrizione”- Siccome nell’audio il magistrato contesta anche “una porcheria” cioè aver mandato il fascicolo su Berlusconi alla Sezione Feriale, nella sua nota la Suprema corte sottolinea che l’assegnazione avvenne nel “pieno rispetto del giudice naturale precostituito per legge”. “I ricorsi vennero iscritti presso la cancelleria centrale della Corte il 9.7.2013, dopo l’arrivo del relativo carteggio dalla Corte di appello di Milano che in data 8.5.2013 aveva pronunciato la sentenza oggetto di impugnazione – spiega la Suprema corte -. In ragione della rilevata urgenza dovuta all’imminente scadenza del termine di prescrizione dei reati durante il periodo feriale, il processo, in ossequio alle previsioni di cui alla legge n.742 del 1969 ed alle relative previsioni tabellari, venne assegnato alla Sezione feriale, e quindi ad un collegio già costituito in data anteriore all’arrivo del fascicolo alla Corte di cassazione, dunque nel pieno rispetto del giudice naturale precostituito per legge”.

Le accuse a Esposito, che smentisce: “Mai pressioni” – Ma non solo. Nell’audio il magistrato si esprime in maniera completamente opposta rispetto a quanto fatto davanti al Csm pure sul conto del presidente del collegio. Addirittura Franco riferisce a Berlusconi voci secondo le quali Antonio Esposito sarebbe stato “pressato” per il fatto che il figlio, anch’egli magistrato, fosse indagato dalla Procura di Milano per “essere stato beccato con droga a casa di...”. E poi diceva ancora: “I pregiudizi per forza che ci stavano… si potesse fare…si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare”. ​ Gli Esposito, padre e figlio, smentiscono entrambi: “Non ho mai in alcun modo, subito pressioni né dall’alto né da qualsiasi altra direzione”, dice l’ex giudice Esposito, già finito sotto procedimento disciplinare per alcune sue dichiarazioni sul processo Berlusconi e poi assolto dal Csm in virtù delle dichiarazioni dello stesso Amedeo Franco. “Lo scrivente risulta totalmente estraneo, a qualunque titolo e sotto ogni profilo, alle gravissime e diffamatorie insinuazioni, prive di logica, che sono state fatte ai miei danni”, dice F. Esposito, figlio di Antonio e a sua volta magistrato che nell’audio del presunto dialogo tra Franco e Berlusconi viene dipinto come nei guai per una vicenda di droga a Milano. Circostanza che viene definitiva “semplicemente falsa, siccome del tutto inventata. La estrema gravità dell’affermazione del Franco comportava, prima che tale infamità venisse data in pasto all’opinione pubblica, la verifica della fondatezza di tale notizia“.

L’audio diffuso post mortem – Un altro dubbio insoluto è legato alla tempistica: perché un audio simile è stato reso pubblico solo sette anni dopo i fatti? Secondo Il Riformista perché gli “avvocati di Berlusconi hanno deciso di usare la registrazione e l’hanno depositata nel ricorso alla Cedu“. Ma di quale ricorso si parla? Alla Corte europea dei diritti dell’Uomo l’ex premier ha già fatto appello senza però aspettare alcuna decisione. Dopo aver incassato la riabilitazione da parte del tribunale di Milano, gli avvocati di Berlusconi hanno ritirato il ricorso perché un eventuale decisione “non avrebbe prodotto alcun effetto positivo” per il loro cliente. È stato l’ex cavaliere a non volere sapere se alla fine i suoi diritti fossero stati o meno violati. Bisogna dunque presumere che ci ha ripensato inviando nuovamente l’ennesimo carteggio a Strasburgo? Ma perché, allora, non ha reso già prima pubblico l’audio col giudice? Sempre il quotidiano di Piero Sansonetti sostiene che i legali dell’ex premier “in questi anni non hanno usato la registrazione per rispetto del magistrato, che era rimasto in attività”. Poi, l’anno scorso, il giudice Franco è morto. E da Arcore hanno deciso di far uscire i nastri: il rispetto valeva solo col magistrato vivo. E magari in grado di spiegare il senso di quelle sue parole, registrate con tutta probabilità senza che ne fosse a conoscenza.

Silvio Berlusconi, parla l'amico del giudice che condannò il Cav: "Disse che ci furono pressioni molto dall'alto". Libero Quotidiano il 24 luglio 2020. Giuseppe Moesch, amico fraterno di Renato Franco, il giudice di Cassazione morto nel 2019 e componente del collegio che il primo agosto 2013 condannò Silvio Berlusconi a quattro anni per frode fiscale e che poi confessò allo stesso Cavaliere quanto quella sentenza fu "pilotata da molto in alto", difende l'amico in una intervista al Giornale. "Ero accanto a Franco nei giorni della sentenza. Lui è sempre stato profondamente disgustato dalla giustizia politicizzata. Un paio di volte mi è capitato di accompagnarlo a votazioni per il Consiglio superiore della magistratura. Non era sereno, sapeva che la politicizzazione del Csm stava diventando sempre più pressante e invadente. Viveva tutto questo con grande irritazione, a volte addirittura sofferenza, perché non poteva essere una giustizia faziosa l'approdo per cui aveva rinunciato alla carriera universitaria". Della condanna di Berlusconi in primo e secondo grado che pensava? "Ben prima del suo coinvolgimento diretto nel processo, essendo lui un grande esperto di questioni tributarie, si era fatto l'idea che non ci fossero i presupposti per una sua condanna, cosa del resto poi confermata da una sentenza del tribunale civile di Milano. Ma soprattutto non c'era motivo di accelerare il giudizio della Cassazione incardinando il fascicolo nella sessione feriale di agosto invece che in quella naturale in autunno. Da subito gli sembrò un'anomalia, una forzatura sospetta". E quando cominciarono le udienze? "Da subito mi aveva confidato il dissenso con gli altri magistrati del collegio che sembravano prevenuti, come se la sentenza fosse già decisa da prima. Me lo disse con estrema chiarezza: ci sono pressioni molto forti, da più parti e alcune da molto in alto per chiudere velocemente la questione con una condanna. Mi disse che qualcuno lo stava spingendo a uniformarsi e non sollevare eccezioni". Ma alla fine ha firmato la sentenza. "Non esattamente. Lui come relatore avrebbe dovuto scriverla la sentenza, invece si limitò a scrivere la premessa e si rifiutò di scrivere il resto pur apponendoci la firma per quello che lui riteneva una ragione di stato, per quel senso del dovere di cui ho parlato. Fu il massimo del compromesso con sé stesso che trovò per lasciare un segno del suo disaccordo".

L'amico della toga "Franco mi parlò del plotone e di molto altro". "Di quel tentativo di registrare la discussione in camera di consiglio io non ho mai saputo nulla. Se Dedi l'ha fatto è la prova di quanto fosse turbato per trovarsi coinvolto in un plotone di esecuzione". Alessandro Sallusti, Venerdì 24/07/2020 su Il Giornale.  «Di quel tentativo di registrare la discussione in camera di consiglio io non ho mai saputo nulla. Se Dedi l'ha fatto è la prova di quanto fosse turbato per trovarsi coinvolto in un plotone di esecuzione». Dedi è Amedeo Franco, il giudice di Cassazione, morto nel 2019, componente del collegio che il primo agosto 2013 condannò Silvio Berlusconi a quattro anni per frode fiscale e che poi confessò al Cavaliere quanto quella sentenza fu «pilotata da molto in alto». Chi parla è invece Giuseppe Moesch, amico fraterno di Franco, professore di Economia applicata, vasta esperienza all'estero, consulente di vari governi italiani, una passione per la cultura e la politica coltivata e maturata nella squadra di giovani talenti che affiancava Giovanni Spadolini presidente del Consiglio. Incontro il professore nella hall di un hotel romano.

«Non ci sto - esordisce - a fare passare Amedeo come un opportunista che prima firma una sentenza e poi si pente per chissà quale tornaconto. Io c'ero e so bene che le cose non sono andate come qualche scribacchino vuole fare intendere».

In che senso, professore, lei c'era?

«Io ero accanto a Franco nei giorni della sentenza, in verità sono stato accanto a lui negli ultimi cinquant'anni, ero con lui la sera prima che morisse e pure qualche minuto dopo. Ma questa storia di Franco e della sentenza Berlusconi non la si può capire se non si riavvolge il nastro della sua vita».

Riavvolgiamo. Che rapporto avevate?

«Lo definirei con un termine giuridico: commensali abituali. Lo conobbi agli inizi degli anni Settanta, faceva parte della compagnia pescarese della mia futura moglie che io conobbi a Napoli. Andammo al suo matrimonio e rimanemmo in contatto quando lui iniziò la sua carriera a Milano. Poi dal '78 ci siamo ritrovati entrambi a Roma e la nostra amicizia si è cementata, tanto che fu il testimone di nozze, rimasto io vedovo, della mia seconda moglie. Da allora almeno una volta alla settimana ci trovavamo a cena a discutere e confrontarci».

Che uomo era il giudice?

«Colto, sensibile, gran lavoratore e profondo conoscitore del diritto. Sul campo mosse i primi passi a Milano con il giudice Alessandrini di cui divenne grande amico. La sua barbara uccisione a opera delle Brigate Rosse, credo fosse il 1978, è un trauma che si è portato dietro tutta la vita e che ha rafforzato il suo senso del dovere, della giustizia come missione».

E che giudice era l'uomo?

«Era tra i grandi esperto di diritto pubblico e costituzionale, studiò con il professor Franco Modugno, oggi giudice costituzionale e ritenuto una vera autorità, di cui divenne allievo e poi amico e collaboratore. Fu proprio Modugno a spingerlo inutilmente per ben due volte verso la carriera universitaria».

Inutilmente?

«Sì, per ben due volte vinse il concorso, e per due volte rinunciò alla cattedra, pur continuando a insegnare come esterno. Fu per lui una scelta per certi versi dolorosa. Avrebbe voluto fare il professore ma non poteva fare a meno di fare il magistrato e questo rebus lo tormentò a lungo, il senso del dovere verso la toga che portava, il rispetto assoluto per l'istituzione giustizia alla fine vinse».

Era convinto che la magistratura meritasse tanto rispetto?

«Lui sì, assolutamente. Ma non è che non vedesse ciò che accadeva nel suo mondo. Era profondamente turbato e infastidito quando in qualche suo collega questo rispetto veniva meno, su questo ebbi modo di assistere ad alcune sue discussioni con un altro grande giudice costituzionale, il professore di Diritto Carlo Mezzanotte. I due erano amici e si stimavano».

Vi capitò mai di parlare della giustizia politicizzata?

«Certo, ne parlavamo spesso e lui, come del resto io, era profondamente disgustato. Un paio di volte mi è capitato di accompagnarlo a votazioni per il Consiglio superiore della magistratura. Non era sereno, sapeva che la politicizzazione del Csm stava diventando sempre più pressante e invadente. Viveva tutto questo con grande irritazione, a volte addirittura sofferenza, perché non poteva essere una giustizia faziosa l'approdo per cui aveva rinunciato alla carriera universitaria».

Di politica parlavate mai?

«Certo, ma non creda. Franco non aveva una visione settaria della politica. Non l'ho mai sentito criticare o difendere un partito o un politico a prescindere dal merito. Veniva da una famiglia profondamente cattolica, anche se lui era sostanzialmente laico, e i suoi valori erano quelli della morale cattolica, della giustizia giusta e eguale per tutti. Può essere, immagino, che votasse per partiti di centro, certo non ha mai avuto idee estremiste né era affascinato da ideologie marxiste».

E della condanna di Berlusconi in primo e secondo grado che pensava?

«Guardi, serve una premessa. Il tormento di Franco era che dalle sue decisioni potevano discendere conseguenze molto importanti per le persone coinvolte e anche per la collettività intera. Per questo era uno che studiava i casi in modo maniacale. Credo che sia l'unico testimone di nozze che prima di firmare l'atto lo ha letto tutto, in ogni dettaglio. Glielo ho visto fare al mio matrimonio tra lo stupore dei presenti».

E quindi, tornando a Berlusconi?

«Quindi, ben prima del suo coinvolgimento diretto nel processo, essendo lui un grande esperto di questioni tributarie, si era fatto l'idea che non ci fossero i presupposti per una sua condanna, cosa del resto poi confermata da una sentenza del tribunale civile di Milano. Ma soprattutto».

Soprattutto?

«Soprattutto non c'era motivo di accelerare il giudizio della Cassazione incardinando il fascicolo nella sessione feriale di agosto invece che in quella naturale in autunno. Da subito gli sembrò un'anomalia, una forzatura sospetta».

Eppure finì proprio in quel collegio.

«Un caso. Lui, giudice anziano, si trovò a fare parte di quella corte solo perché era sua abitudine lavorare a Roma d'estate con l'aria condizionata e prendersi le vacanze in altri periodi dell'anno. Si figuri che anche io non potevo partire prima dell'8 agosto, giorno del suo compleanno, entrambi ci tenevamo a passarlo insieme».

Quindi iniziano le udienze.

«Già, e da subito mi aveva confidato il dissenso con gli altri magistrati del collegio che sembravano prevenuti, come se la sentenza fosse già decisa da prima. E che...».

E che?

«Me lo disse con estrema chiarezza: ci sono pressioni molto forti, da più parti e alcune da molto in alto per chiudere velocemente la questione con una condanna. Mi disse che qualcuno lo stava spingendo a uniformarsi e non sollevare eccezioni».

Nomi?

«Non me ne fece, né io osai chiedere. Ho solo insistito più volte sul fatto che se il suo disagio era così forte non doveva tenerlo dentro, doveva manifestarlo, che il suo rispetto per le istituzioni doveva portarlo necessariamente a prendere una posizione di dissenso ufficiale rispetto a quello che stava accadendo».

In che modo avrebbe potuto farlo?

«Su questo abbiamo avuto discussioni molto accese, io gli consigliavo di fare una relazione di minoranza o di non firmare la sentenza».

E lui?

«Mi ribatteva che un singolo magistrato non può permettersi di sfasciare l'istituzione giustizia. Mi ripeteva: Se faccio una cosa del genere viene a galla tutto, non posso essere io a sfasciare il mio mondo. Era prigioniero della sua rigidità, ha soffocato il suo senso di giustizia per rispetto della giustizia. Una cosa difficile da capire se non conosci l'uomo».

Già, perché alla fine ha firmato la sentenza.

«Non esattamente. Lui come relatore avrebbe dovuto scriverla la sentenza, invece si limitò a scrivere la premessa e si rifiutò di scrivere il resto pur apponendoci la firma per quello che lui riteneva una ragione di stato, per quel senso del dovere di cui ho parlato. Fu il massimo del compromesso con sé stesso che trovò per lasciare un segno del suo disaccordo».

Ma non bastò ...

«Certo, tra l'altro anche se avesse scelto nettamente rispetto alla sentenza poco sarebbe cambiato, in camera di consiglio sarebbero stati sempre quattro contro uno. Ma almeno si sarebbe ufficializzato che nel merito poteva esistere un'altra verità. Mi ricorda Sophie».

Sophie?

«La protagonista del romanzo La scelta di Sophie, la donna che rinchiusa in un campo di concentramento ha la possibilità di salvare solo uno dei suoi due figli ma non riesce a decidere quale e questa maledizione la perseguiterà per tutta la vita».

E il giorno della sentenza?

«Quando in tv lo vidi apparire in aula, guardandolo in volto capii che non aveva seguito i miei consigli. L'ho incontrato nelle ore e nei giorni successivi, sono stato anche cattivo con lui, e oggi un po' me ne dispiace».

E lui?

«Un giorno stavamo a cena e all'ennesima critica si inalberò e scappò di casa. Non voleva sentirsi dire che aveva sbagliato, e forse andò poi a colloquio da Berlusconi per liberarsi di questo peso».

In che senso?

«Quando lui si è sentito rimproverare dai suoi pochi amici la cosa gli ha fatto male perché sapeva che gli dicevamo la verità. E qui probabilmente venne fuori la sua anima cattolica e liberale: andare a confessarsi dalla vittima, espiare il peccato».

Addirittura?

«Ci sta, chi l'ha conosciuto davvero non può stupirsi. Era il suo piccolo risarcimento personale al fatto di aver fatto parte suo malgrado a quello che lui stesso ebbe a definire un plotone di esecuzione».

Questa cosa ha incrinato la vostra amicizia?

«Per niente, e le dirò neppure la stima. Franco è un giudice che si è battuto da sempre contro la malagiustizia, lo ha fatto a modo suo, con le sue paure e le sue indecisioni proprio perché era un uomo probo, onesto e profondamente rispettoso delle istituzioni».

Silvio Berlusconi, il giudice Ercole Aprile: "Condanna Mediaset, in camera di consiglio ho visto cose inimmaginabili". Libero Quotidiano il 25 luglio 2020. "Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi...". La citazione da Blade Runner è di Ercole Aprile che si riferiva al periodo di quando era giudice nella sezione Feriale della Cassazione, quella sezione che il primo agosto 2013 condannò definitivamente Silvio Berlusconi per frode fiscale. Aprile si riferiva a quel che vide e sentì nel segreto della camera di Consiglio, quella in cui secondo fonti non identificate di Repubblica, il relatore Amedeo Franco (scomparso un anno fa) sarebbe stato scoperto dagli altri quattro componenti a registrare la loro conversazione di nascosto. Avrebbe nascosto in bagno un cellulare o altro dispositivo e lì l'avrebbe trovato un collega del collegio andato a controllare subito dopo. "Quando insistevo per sapere qualcosa su come si arrivò al verdetto su Berlusconi un po' si apriva e tra le righe mi lasciò capire che in mezzo alle cose che non poteva raccontare c'era addirittura il fatto che, in spregio a tutte le regole, qualcuno sarebbe entrato in quella camera di Consiglio, racconta un ex compone te del Csm, collega di Aprile nello stesso periodo in cui il giudici finì a Palazzo Marescialli. Aprile interrogato da Repubblica si trincera dietro il segreto della camera di Consiglio, ma è l'unico a non chiudere completamente la porta: "Rispetto il lavoro d'inchiesta, ma non posso affermare né smentire nulla. Potrei essere liberato dal mio dovere di totale riserbo solo se venissi interrogato, da un organo giudiziario o amministrativo". 

Truffato tutto il Paese. Viene giù un tassello alla volta, ma l'intonaco steso da magistrati, politici e giornalisti per coprire la verità sulla condanna di Berlusconi del 2013 piano piano si sta sfaldando. Alessandro Sallusti, Sabato 25/07/2020 su Il Giornale. Viene giù un tassello alla volta, ma l'intonaco steso da magistrati, politici e giornalisti per coprire la verità sulla condanna di Berlusconi del 2013 piano piano si sta sfaldando. E il quadro sottostante, di cui si cominciano a delineare i contorni, appare come il più grande falso prodotto dalla storia repubblicana. A dirlo non sono opinionisti di parte ma i protagonisti stessi, cioè alcuni di quei magistrati che emisero la famosa sentenza. Uno di loro, il giudice Franco oggi morto, lo confessò al diretto interessato Berlusconi e la sua voce imbarazzata, e registrata, oggi è pubblica. Ma anche altri due componenti di quel «plotone di esecuzione» raggiunti da Repubblica, che per ora garantisce loro l'anonimato chiamandoli «giudice uno» e «giudice due», ammettono che in quelle ore decisive in camera di consiglio avvennero cose molto gravi e strane. E ora spunta, ve lo raccontiamo oggi, un altro elemento inquietante. Più di un magistrato ha infatti sentito dire a un altro giudice di quel collegio: «La sentenza Berlusconi? Sono successe cose inimmaginabili». E allora noi vorremmo che qualcuno c'è le dicesse queste «cose inimmaginabili», perché non riguardano solo la dignità di Silvio Berlusconi, riguardano la storia del Paese e la sua credibilità visto che quella sentenza estromise dall'arena politica il capo dell'opposizione. «Ora la strada maestra è il rispetto della magistratura», commentò a caldo la sentenza l'allora Presidente della repubblica Giorgio Napolitano, seguito a ruota dal premier Enrico Letta e dal segretario del Pd del tempo Guglielmo Epifani che evocò addirittura le manette subito: «La sentenza va rispettata, eseguita ed applicata». C'era insomma tanta fretta da parte del Quirinale e della sinistra, quel primo agosto del 2013, di chiudere la vicenda immediatamente e in modo tombale. Ma si sa che la fretta a volte è cattiva consigliera, fa lasciare tracce indelebili che magari al momento non sono visibili e uno pensa così di averla sfangata per sempre. Ma soprattutto vale la regola secondo la quale le prime galline che cantano di solito sono quelle che hanno fatto l'uovo.

Alessandro Sallusti, i sospetti su Giorgio Napolitano per la condanna a Berlusconi: "Tanta fretta da parte del Quirinale è sospetta". Libero Quotidiano il 25 luglio 2020. "Truffato tutto il Paese". Questo il titolo dell'editoriale di Alessandro Sallusti sul Giornale di sabato 25 luglio, un fondo dedicato ancora alla condanna Mediaset subita da Silvio Berlusconi e su cui giorno dopo giorno i dubbi e gli interrogativi si moltiplicano. "Viene giù un tassello alla volta, ma l'intonaco steso da magistrati, politici e giornalisti per coprire la verità sulla condanna di Berlusconi del 2013 piano piano si sta sfaldando", attacca Sallusti, che poi ricorda tutte le ultime novità controverse su quella condanna. E al termine dell'elenco, ecco che punta il dito: "E allora noi vorremmo che qualcuno c'è le dicesse queste cose inimmaginabili, perché non riguardano solo la dignità di Silvio Berlusconi, riguardano la storia del Paese e la sua credibilità". Sallusti, poi, mette nel mirino l'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "Ora la strada maestra è il rispetto della magistratura, commentò a caldo la sentenza l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, seguito a ruota dal premier Enrico Letta e dal segretario del Pd del tempo Guglielmo Epifani". Insomma, secondo il direttore c'era "tanta fretta da parte del Quirinale e della sinistra, quel primo agosto del 2013, di chiudere la vicenda immediatamente e in modo tombale". Una fretta, va da sé, sospetta. "Ma si sa che la fretta a volte è cattiva consigliera, fa lasciare tracce indelebili che magari al momento non sono visibili e uno pensa così di averla sfangata per sempre. Ma soprattutto vale la regola secondo la quale le prime galline che cantano di solito sono quelle che hanno fatto l'uovo", conclude un durissimo Sallusti, che esplicita in modo piuttosto inequivocabile i suoi dubbi sul Quirinale di allora. E dunque su Napolitano.

Anna Maria Greco per ''il Giornale'' il 24 luglio 2020. Che cosa successe davvero nel segreto della Camera di Consiglio della Cassazione che il primo agosto 2013 arrivò alla condanna definitiva di Silvio Berlusconi per frode fiscale? L'ultima tessera del puzzle l'aggiunge l'articolo di Repubblica sul fatto che il relatore Amedeo Franco (quello che pochi mesi dopo fu registrato mentre confessava al leader di Forza Italia che la sentenza era stata manipolata) avrebbe a sua volta cercato di registrare il confronto con i quattro colleghi e sarebbe stato scoperto. Solo che, secondo il racconto di due magistrati identificati solo come Toga1 e Toga2, si sarebbe deciso a questo punto di non denunciare il fatto ma di andare avanti come se nulla fosse. Per arrivare comunque al verdetto di colpevolezza, evitando di incappare nella prescrizione. Una ricostruzione clamorosa che conterrebbe gli elementi per invalidare quella sentenza, ma non viene confermata né smentita dagli interessati, Franco è morto e gli altri, il presidente Antonio Esposito, i giudici Giuseppe Di Marco ed Ercole Aprile, manca solo la voce di Claudio D'Isa, si trincerano dietro il segreto della camera di consiglio. Ma quel segreto tutela la decisione in sé, non i fatti che la circondano, o no? Scrive Repubblica che, durante la discussione, i componenti della sezione Feriale sentirono uno strano rumore: «Dopo qualche secondo, quel gracchiare assume un suono più nitido: sembrano proprio le loro voci, di poco prima, registrate. Il giudice Franco si alza di scatto, mette le mani in tasca come a chiudere qualcosa, a premere un tasto. Imbarazzato, così apparirebbe ai colleghi, esce, va in bagno. Torna dopo poco. Dice che è tutto a posto. I colleghi sono interdetti. Un altro di loro si stacca e va in bagno. E scopre, in un angolo, un dispositivo o un cellulare nascosto: lo prende, lo riporta in camera. E non so altro. Spiegazioni? Non mi risulta che Franco ne abbia date, di plausibili». Versione confermata anche dalla seconda fonte: «È lo stesso racconto, per sommi capi, che raccolsi anche io. Questa storia provocò molto turbamento e amarezza tra i quattro giudici. Un gesto equivoco. Ma senza certezze». Perché la vicenda non fu denunciata? Il ragionamento fu che «il rischio di una eventuale divulgazione» era stato bloccato in tempo. Come potevano essere sicuri di questo i quattro ermellini non si capisce e neppure perché, di fronte a un fatto così pesante, si presero la responsabilità di tacere, di coprire il comportamento così gravemente sospetto del relatore? Nessuno disse niente e anche tre anni dopo, quando Franco fu promosso presidente di sezione al Csm, Aprile che ne faceva parte non votò a favore ma neppure spiegò il perché. E, ultima o forse prima domanda, perché Franco voleva registrare la seduta? Secondo la difesa di Berlusconi, che si prepara a inviare a Strasburgo l'articolo di Repubblica con altri documenti per il ricorso fatto alla Corte europea dei diritti dell'uomo, se il fatto fosse vero confermerebbe la tesi di un relatore così preoccupato da cercare di precostituirsi la prova che stava succedendo qualcosa di gravissimo in quella camera di consiglio. Il professor Franco Coppi e l'avvocato Niccolò Ghedini si sono consultati ieri sulle ultime notizie che, ne sono convinti, avvalorano l'idea che quel collegio fosse, come lo definì Franco, «un plotone d'esecuzione» per Berlusconi. Che non si fermò neppure di fronte all'obbligo di sospendere la seduta, avvertire le forze dell'ordine, far sequestrare cellulari o altri dispositivi per accertare se qualcosa era stato trasmesso all'esterno e poi almeno denunciare al Csm Franco per un comportamento deontologicamente scorretto. Ma così, la decisione sul processo Mediaset sarebbe passata ad un altro collegio e forse era proprio questo che si voleva evitare. Il rischio prescrizione, a quanto sembra, non era così impellente da imporre l'attribuzione alla sezione Feriale. Coppi e Ghedini hanno ricostruito lo scambio di comunicazioni tra uffici giudiziari: il 5 luglio la presidente della Corte d'appello di Milano, Alessandra Galli, inviò alla Cassazione una email urgente segnalando che la mannaia della prescrizione sarebbe caduta non ad agosto ma, almeno, il 14 settembre oppure il 21 o il 28, in base ai calcoli da fare. Ma il 9 luglio la Suprema Corte notificò alla difesa di Berlusconi che l'udienza era fissata il 30 luglio e, asserendo che la prescrizione sarebbe scattata il primo agosto, abbreviò i termini di difesa da 30 a 20 giorni. Per la Cassazione tutto regolare, ma per Coppi e Ghedini così il Cavaliere fu privato del suo «giudice naturale» e affidato alla sezione Feriale, su cui pesano tanti sospetti. I legali ora pretendono accertamenti dalla Corte di Strasburgo e anche dal ministro della Giustizia. Alfonso Bonafede, quando uscì l'audio di Franco disse che non poteva indagare sui morti, ma ora potrebbe accertare se gli altri quattro membri della Feriale si comportarono secondo la legge e le regole.

Carlo Nordio, dubbio sulla sentenza che condannò Silvio Berlusconi: "Quella volta che il maresciallo origliò tutto". Cristiana Lodi su Libero Quotidiano il 26 luglio 2020.

Dottor Nordio, da magistrato le è mai capitato di vedere un fatto simile?

«La sentenza Mediaset e l'estromissione di Berlusconi dalla politica attiva?»

È stato detto e ripetuto che bisognava processarlo il 31 luglio 2013 perché i reati a suo carico si sarebbero prescritti il primo agosto di quell'anno, e invece questo non era vero. Una balla. Com' è stato possibile?

«Le dico subito che lo scandalo di quella vicenda non sta tanto nella fissazione anticipata del processo e nella costituzione di un Collegio giudicante quantomeno discutibile. Sta in quello che è emerso dalle dichiarazioni del giudice relatore e soprattutto dall'applicazione della Legge Severino». Scusi, emerge che Berlusconi sia stato a dire poco imbrogliato sui termini di prescrizione. Sarebbe stato commesso un falso. «Il conteggio della prescrizione è complesso, perché i termini possono essere continuamente sospesi per mille ragioni, ad esempio gli impegni dell'imputato o del suo difensore. Le date vengono grossolanamente scritte sul frontespizio del fascicolo all'inizio delle indagini, e devono esser continuamente aggiornate, speso con scarabocchi illeggibili. L'errore è quindi sempre possibile. Va da sé che tanto maggiore è l'importanza del reato e del suo presunto autore, tanto maggiore dovrebbe essere l'attenzione in questo conteggio. La legge è uguale per tutti, ma un furto in un supermercato non è come un reato tributario che può far cadere un governo. Se questi calcoli sono stati sbagliati non è difficile ricostruirli. Alcuni giornali lo hanno fatto, e pare che effettivamente siano errati: però non parlerei di falsi. Il falso indica la malafede, e non arrivo a sospettare tanto da parte di colleghi».

Eh no, qui il punto è un altro. La Cassazione riceve dalla Corte d'Appello di Milano la comunicazione, scritta e firmata dallo stesso giudice che ha condannato Berlusconi, che la prescrizione scatta il 14 settembre o il 21 o il 30. E la Cassazione, con la carta in mano cosa fa? Aspetta quattro giorni e il 9 luglio dice a Berlusconi: «Ti processiamo il 31 perché tutto si prescrive il primo agosto».

È buonafede questa?

«Continuo a pensare a un errore. Lo spero per carità di patria».

Il diritto della difesa ad avere i famosi 30 giorni di tempo per prepararsi, dato che non c'è la circostanza della prescrizione immediata, intanto però va a farsi benedire? «Secondo me no. Il giudizio di Cassazione si forma su ricorsi scritti e molto articolati. Le difese sanno già tutto e hanno già detto tutto».

È dunque a suo parere legale avere portato in aula il Cavaliere il 31 luglio?

«L'impressione che ho avuto allora è che ci fosse stata una accelerazione inusuale, con un "cronoprogramma" ben diverso da quello degli altri processi».

Quale peso può avere, oggi, questo fatto davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a cui Silvio Berlusconi si è rivolto già nel 2014?

«Credo che ne avrà molto di più la dichiarazione postuma del relatore Amedeo Franco che parla di plotone di esecuzione e sentenza già scritta» .

Il relatore Amedeo Franco avrebbe tentato di registrare la camera di consiglio. I giudici del collegio non lo hanno denunciato. Tutti zitti. Cosa ne pensa?

«L'uso disinvolto e talvolta spregiudicato delle registrazioni è stato inaugurato dalla stessa magistratura, talvolta con aspetti grotteschi. A metà degli anni '90 alcuni giudici romani, indagati dalla procura di Milano, erano sotto intercettazione mentre stavano in un bar vicino al Palazzaccio. La "cimice" si ruppe e il maresciallo, invece di lasciar perdere, si accostò al tavolino degli intercettandi, origliò, e trascrisse la conversazione su un tovagliolo. Invece di cestinarla, quella porcheria fu trascritta, ovviamente in modo scorretto. Si sarebbe dovuto aprire un'inchiesta, invece non successe quasi nulla, a parte che il povero collega Misiani mori di crepacuore. Come Loris D'Ambrosio qualche anno fa, per le intercettazioni sulla cosiddetta trattativa Stato Mafia. Con questi precedenti ignobili, è inevitabile che le regole siano saltate, proprio perché a violarle sono stati quelli che avrebbero dovuto farle rispettare. Il giudice Franco, visti i tempi, avrà voluto cautelarsi».

La segretezza della camera di consiglio vale anche se viene consumato un illecito?

«La legge prevede la "dissenting opinion", cioè il dissenso espresso in busta chiusa da parte del giudice che non concorda. Non si usa quasi mai. E posso dire che la riservatezza propria e altrui è stata violata così tante volte da parte di magistrati che il rispetto delle regole è ormai una opzione metafisica».

Adesso è tardi per denunciare?

«Il Relatore che ha provato a registrare è morto, quindi non c'è la materia del contendere. Da vivo, avrebbe potuto difendersi squadernando tutte le illegalità e le colpe in vigilando commesse da altri magistrati in altri processi, dove però non è accaduto nulla. Osservo che la notifica a Berlusconi dell'informazione di garanzia a Napoli nel 1994 attraverso un giornale era un reato, eppure nessuno ha indagato sull'autore della violazione del segreto istruttorio».

Dunque i precedenti ci sono ma tutto continua a passare sotto l'uscio. Alla faccia del Csm di cui qualche giudice che era in quell'aula e ha taciuto, ha fatto pure parte. «Penso che dopo la vicenda Palamara, che peraltro ha rivelato cose note a tutti, il Csm così com' è andrebbe soppresso, e sostituito da un organo costituito da membri sorteggiati tra i magistrati di Cassazione, i docenti universitari e i presidenti dei consigli forensi. Tutte persone, per definizione, intelligenti e preparate».

Perché cita la legge Severino?

«Quella è stata la pagina più vergognosa della vicenda che ha portato all'estromissione di Berlusconi dalla politica attiva. La legge prevede la rimozione del condannato ancor prima della sentenza definitiva, e questo è già grave. Ma può anche starci. Quello che è intollerabile è che sia stata applicata retroattivamente, cioè per fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore. Qui l'atteggiamento della sinistra è stato addirittura goffo. Poiché la sanzione penale non può esser retroattiva, si è detto che quella era una sanzione amministrativa. Peggio che peggio, perché anche queste sanzioni seguono gli stessi criteri di quelle penali. Quando questi dilettanti hanno capito la gaffe, hanno sostenuto che si trattava "del venir meno dei presupposti di eleggibilità", formula vana e gesuitica che non significa nulla. In realtà cacciare via dal Parlamento un membro eletto è un provvedimento afflittivo, e come tale irretroattivo. Fui uno dei primi a sostenerlo. E il fatto che molti giuristi abbiano privilegiato la ragion politica all'elementare interpretazione della norma in senso garantista mi ha disgustato. Oggi vedo che quasi tutti ammettono l'errore. E speriamo che fosse solo un errore».

Così Csm e magistrati provarono a insabbiare la sentenza taroccata. I giudici che condannarono il Cav aiutati dai colleghi. Rischio disciplinare per Aprile. Anna Maria Greco, Domenica 26/07/2020 su Il Giornale. Il presidente della sezione Feriale che il primo agosto 2013 condannò in Cassazione Silvio Berlusconi, Antonio Esposito, fu assolto dal Csm il 15 dicembre del 2014 quando finì sotto processo disciplinare per l'intervista al Mattino del 5 agosto sulla sentenza Mediaset. Amedeo Franco, il relatore, nel 2016 fu «promosso» dal Csm presidente di sezione della Suprema Corte, dopo aver chiesto l'appoggio dell'ex primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, allora consigliere giuridico al Quirinale. Che ne parlò con Ercole Aprile, altro componente del collegio che confermò la colpevolezza di frode fiscale al leader di Forza Italia, poi eletto al Csm nelle liste di Magistratura democratica. E a quel voto in plenum per la nomina di Franco, Aprile non si oppose ma scelse una formale astensione. Sembra quasi che si sia creato un cordone sanitario delle toghe attorno ai 5 ermellini che, con il loro verdetto, imposero un pesante stop alla vita politica del Cavaliere. E ora che vengono fuori le rivelazioni su «cose indicibili» successe nella camera di consiglio di quel primo agosto, il tentativo di Franco di registrare i colleghi e il silenzio degli altri, come voci di interferenze dirette sulla decisione, nasce il sospetto che gli interessati avessero un credito da riscuotere, una protezione da chiedere ai colleghi e che, soprattutto, altri li assecondassero per evitare che scoppiasse uno scandalo e fosse messa in discussione la regolarità della sentenza. Fosse scoperta, insomma, la «porcheria» che lo stesso Franco (registrato) confessò a Berlusconi pochi mesi dopo la condanna. Mettendo in fila fatti e indiscrezioni risultano evidenti due cose. Primo: il processo disciplinare del Csm guidato da Giovanni Legnini ad Esposito fu molto sofferto, in camera di consiglio si scontrarono posizioni diverse e in quel segreto, probabilmente, uscirono fuori particolari dell'altra camera di consiglio del 2013 che nessuno dei componenti poté rivelare. «Sono accaduti dei fatti rispetto ai quali deve essere interesse di tutti chiarire e comprendere che cosa è accaduto», ha detto sibillino Luca Palamara, allora componente della sezione disciplinare. Alla fine, forse prevalse anche la preoccupazione di non creare ombre sulla sentenza Mediaset e servirono 50 pagine di motivazioni per spiegare che Esposito (difeso nella prima fase da Piercamillo Davigo), anticipando di fatto il perché del verdetto, fu costretto a rompere l'obbligo di discrezione per difendersi dagli attacchi della stampa ostile. Qualcuno la definì «legittima difesa a mezzo stampa». Secondo: anche dalle chat del «caso Palamara» emerge il ruolo di Aprile nelle nomine, quando l'ex presidente dell'Anm parla con l'altra rappresentante della Cassazione al Csm, Maria Rosaria Sangiorgio e con Valerio Fracassi di Area. La «promozione» di Franco faceva parte di accordi tra correnti, un pacchetto di nomine per cui se si vuole che passi uno si vota su tutti. Questo era il sistema e Aprile, che non era convinto del merito di Franco, anche dopo l'intervento di Lupo che invece ha raccontato di stimarlo, scelse un'astensione che non pesò sul risultato finale. La domanda sarebbe: Aprile aveva dubbi sul collega perché in camera di consiglio aveva cercato di registrare o per altri motivi? Su quanto accadde quel primo agosto 2013 è possibile che il magistrato venga chiamato a rispondere al Csm, perché se sette anni dopo gli eventuali reati sono prescritti, per gli illeciti disciplinari, invece, si contano 10 anni. La violazione dell'obbligo di denuncia, anche se prescritta nel penale, integra comunque un illecito disciplinare, per omessa comunicazione al capo dell'ufficio di (presunte) interferenze. Con Aprile potrebbe finire sotto processo disciplinare Giuseppe Di Marzo, perché Franco è morto un anno fa e sono in pensione Esposito e Claudio D'Isa (anche lui incappato in un processo disciplinare che ha evitato lasciando la toga). Forse, a quel punto, qualcuno sarebbe costretto a buttar giù il muro del silenzio.

La procura di Roma apre un'inchiesta. Esposito e colleghi saranno chiamati a chiarire i misteri di quel verdetto. I pm non possono ascoltare Franco, che è morto. Ma verranno sentiti tutti i giudici della sezione feriale su quella camera di consiglio del 2013. Massimo Malpica, Sabato 25/07/2020 su Il Giornale. Sul giallo delle registrazioni prima e dopo la sentenza Mediaset che vide Silvio Berlusconi condannato, il primo agosto di sette anni fa, ora apre un fascicolo anche la procura di Roma. A piazzale Clodio il procuratore capo Michele Prestipino avrebbe già dato incarico di avviare «approfondimenti» dopo le rivelazioni di Repubblica, che ha raccontato come Amedeo Franco, relatore della sentenza, avrebbe quantomeno tentato di registrare le conversazioni con i colleghi di quel giorno in camera di consiglio. Violando il segreto «sacrale» che avvolge le decisioni collegiali e nasconde eventuali dissensi. Che Franco fosse dissenziente, pur avendo firmato la sentenza della quale era tra l'altro relatore, era già apparso evidente dagli audio registrati a Palazzo Grazioli in occasione della visita del giudice al «condannato» Berlusconi. E lo ha confermato, parlando con il direttore del Giornale, Sallusti, anche Giuseppe Moesch, storico amico della toga scomparsa nel 2019. A Repubblica, due anonimi giudici hanno detto che Franco, quel giorno, fece distrattamente partire l'audio di una registrazione fatta tra i presenti pochi istanti prima, gelando il collegio. E qualcuno degli altri quattro giudici avrebbe poi trovato un registratore, o forse un cellulare, che il giudice avrebbe lasciato in bagno dopo essere stato «scoperto». Che intenzioni aveva il defunto magistrato? Voleva testimoniare la propria posizione dissociata rispetto a quello che lui stesso avrebbe poi definito «plotone d'esecuzione»? E come mai in sette anni nessuno ha mai sollevato quell'episodio, nonostante il rumore e le polemiche e le conseguenze anche politiche di quella sentenza? A fare un po' di chiarezza, a rispondere a questi e ad altri interrogativi, proveranno ora i magistrati della procura di Roma. Che cercheranno di capire, ascoltando anche gli altri giudici di quel collegio, composto oltre che da Antonio Esposito e dallo stesso Franco anche da Ercole Aprile. Claudio D'Isa e Giuseppe De Marzo. Finora, i protagonisti superstiti, con Repubblica si sono trincerati dietro al riserbo, naturale complemento, appunto, di quel feticcio giudiziario che è la segretezza della camera di consiglio. Ma proprio per questo riesce complicato immaginare che, nel bel mezzo delle sette ore di discussione per una sentenza storica piovuta in piena estate, i quattro magistrati della sezione Feriale della Cassazione che stavano per condannare Berlusconi per frode fiscale non trovarono niente da obiettare di fronte alla sorpresa nel constatare che un loro collega - non uno qualsiasi, ma appunto il relatore - aveva provato a registrare quel momento violando un tabù sacrale del diritto. Di sicuro il nuovo elemento, ora al vaglio della procura, rinforza anche la validità di quelle registrazioni in cui Franco, parlando alla presenza di Berlusconi, prende le distanze dai colleghi e dalla stessa decisione di quel giorno di agosto: il fatto che già prima della sentenza il giudice dissenziente cercasse di procurarsi anche se in modo così poco ortodosso «testimonianze» di quella che a lui doveva sembrare l'anomalia di una decisione contraria al diritto non può che confermare che quelle parole registrate mesi dopo non erano certo un vuoto esercizio di opportunismo da parte di chi, su quella sentenza, aveva messo comunque la propria firma. Franco di quella storia non potrà più parlare, essendo scomparso a maggio dello scorso anno. I suoi colleghi, però, a cominciare dal presidente di quel collegio, Antonio Esposito, potrebbero sciogliere il riserbo, parlando non con un quotidiano ma con i magistrati romani. E aiutando così a sciogliere anche il giallo di quelle registrazioni, e della stessa sentenza di condanna a 4 anni per Berlusconi.

Bugie e illegalità, tutte le omissioni del giudice Esposito. Tiziana Maiolo su Il Riformista il 25 Luglio 2020. Quella camera di consiglio della Cassazione che nel 2013 condannò Silvio Berlusconi e cambiò la storia del Paese somiglia molto a quell’Orient Express su cui fu commesso un assassinio e i colpevoli erano un po’ tutti, ma tutti si salvarono. L’avrebbe raccontata magistralmente Agatha Christie. Ed Hercule Poirot non avrebbe atteso sette anni per risolvere il caso. Salvo poi rinunciarvi. Come sta accadendo. Ma dopo la scoperta del Riformista di una documentazione che dimostra l’illegittimità di tutta la procedura che portò alla sentenza, e la scoperta di Repubblica di illeciti disciplinari e probabili reati che quel giorno i giudici omisero di denunciare, il quadro di totale illegalità di quel che accadde quel giorno è ormai chiarissimo. E oltre al Tribunale dei diritti dell’uomo dove è ormai consistente e arricchito di giorno in giorno il fascicolo inviato dai difensori di Berlusconi Franco Coppi e Niccolò Ghedini, chissà se la Procura di Roma o l’impegnatissimo Csm avranno voglia di metterci il naso. Prima di tutto qualche organo istituzionale dovrebbe investigare sulla questione delle date. Si era sempre detto che c’era urgenza di concludere quel processo, tanto che, cosa mai vista in Italia, nell’arco di un anno furono celebrati primo, secondo e terzo grado di giudizio. La Cassazione avrebbe dovuto emettere una sentenza tombale di condanna, una vera “porcata” costruita da un «plotone d’esecuzione». Così l’ha definita il giudice Amedeo Franco, che in quel processo fu relatore. Doveva essere tombale e doveva essere emessa in fretta perché si temeva la prescrizione. Oggi si scopre che, quando Berlusconi e i suoi difensori vengono avvertiti della fissazione dell’udienza, il 10 luglio, la Cancelleria penale centrale della Cassazione sa già che non c’è nessuna urgenza, perché i reati non scadono prima del 14 settembre, cioè due mesi dopo. La Cassazione è stata informata della data dalla Corte d’appello di Milano, ma si fa finta di niente. Tanto che si rubano anche dieci giorni dei trenta normalmente consentiti alla difesa per la preparazione della causa. Le date sono fondamentali, perché se fossero state osservate le regole, sarebbe stata un’altra sezione della Cassazione a giudicare Berlusconi, magari una sezione specializzata in reati tributari e magari non un «plotone d’esecuzione». Sempre secondo le parole del giudice Franco. Chi sono i “colpevoli” (o falsi innocenti che l’hanno fatta franca) di questo primo ordine di illeciti? Un cancelliere? Ma per favore. Si potrebbe già cominciare a fare un bell’elenco di togati. Si potrebbe persino evocare quel principio che a noi fa venire i brividi, quello del “non poteva non sapere”. Prendiamo il giudice Esposito, che della feriale fu il presidente: poteva non sapere? È credibile che nessuno lo avesse informato di una comunicazione importante pervenuta addirittura con la firma del presidente della seconda sezione della Corte d’appello di Milano? Certo, poteva non sapere. Ma poteva anche sapere. Ed è stato legittimo, secondo lui, che alla difesa di un imputato siano stati sottratti dieci giorni di tempo per la preparazione della causa usando un argomento falso, cioè l’urgenza per la temuta prescrizione? Ma, proprio come sul famoso Orient Express di Agatha Christie, i “colpevoli” furono tanti, e tante furono le anomalie in quella camera di consiglio. Perché, secondo il quotidiano Repubblica, accadde anche un altro fatto piuttosto grave, quel giorno. Pare che Amedeo Franco a un certo punto si sia messo a registrare la discussione, cosa vietatissima ai magistrati in camera di consiglio. Pare anche che sia stato scoperto, che poi sia scappato in bagno e che poi un altro giudice si sia precipitato alla toilette ed abbia sequestrato il cellulare che aveva indebitamente registrato le voci dei cinque giudici. Scene da film comico, altro che Agatha Crhistie! A questo punto chi sta leggendo penserà che i bravi giudici ligi alla legge abbiano immediatamente bloccato la seduta e investito del grave fatto il procuratore generale della Cassazione o il ministro guardasigilli, titolari dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Eventualmente anche la procura della Repubblica per le ipotesi di reato. Gli illeciti disciplinari del giudice Franco c’erano tutti, per la violazione del dovere di riservatezza nei confronti dei colleghi e della stessa camera di consiglio, la cui attività non può essere divulgata. Il che avrebbe potuto anche configurare un reato, qualora il giudice Franco avesse reso pubbliche le sue registrazioni. Nulla di tutto ciò accadde. C’era urgenza di commettere l’”assassinio dell’Orient Express” lì e quel giorno e con quei protagonisti. Perché è evidente che il lavoro della sezione feriale sarebbe stato interrotto e in seguito trasmesso ad altri giudici, se qualcuno avesse fatto il proprio dovere. La Repubblica ha anche intervistato tre dei cinque giudici presenti sul luogo del “delitto” quel giorno. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Ma non hanno negato l’episodio. Ci sono però due testimoni, pur se indiretti e che vengono chiamati, in stile giudiziario, Toga 1 e Toga 2, i quali confermano. Il fatto c’è stato. E a questo punto ci appelliamo a lei, presidente Esposito, che è uomo di vasta cultura giuridica: non le pare di aver mancato, quel giorno, lei e i suoi colleghi, di un dovere d’ufficio, quanto meno sul piano disciplinare? Certo, c’era l’urgenza. Ma c’era poi l’urgenza, visto che i termini della prescrizione sarebbero scattati un mese e mezzo dopo? Noi dobbiamo supporre che lei e i suoi colleghi non lo sapeste. Ma la domanda è: a un Craxi o a un Berlusconi sarebbe stato consentito, in un processo, difendersi dicendo che non sapevano? Noi vi crediamo innocenti. Non siamo Davighiani. Per noi del Riformista gli innocenti non sono colpevoli non ancora beccati. E in fondo anche sull’Orient Express alla fine è andata un po’ così: tutti colpevoli, ma tutti salvi.

Sentenza Berlusconi: la versione di Esposito, il giudice che condannò il Cavaliere. Redazione su Il Riformista il 28 Luglio 2020. Leggo gli articoli, a firma del direttore, pubblicati, su codesto giornale il 24 luglio, “LA PORCATA DELLA CASSAZIONE; LE BALLE DI TRAVAGLIO”; “BERLUSCONI-ESPOSITO: QUELL’UDIENZA FU ILLEGALE”. Si sostiene negli articoli che “esiste una comunicazione della Corte di Appello, datata 5 luglio 2013, che avverte la Cassazione che la prescrizione sarebbe scattata non prima del 14 settembre ….. dunque la convocazione per il 31 luglio fu illegale e l’udienza non spettava alla sezione di Esposito”. Ora, per dare una corretta informazione, è necessario che i documenti si leggano per intero e nel loro effettivo contenuto e se essi sono superati da altri documenti successivi, se ne deve necessariamente dar conto. Rettifico l’incompleta, distorta, fuorviante notizia da ritenersi diffamatoria:

a) Il fascicolo in questione mi venne consegnato alle h. 12 del 9 luglio 2013 negli uffici della 1^ sezione penale (che fungeva quell’anno da sezione feriale), proveniente dalla III sezione cui il processo era stato assegnato, con l’indicazione, da parte del magistrato delegato all’ufficio esame preliminare dei ricorsi di tale sezione: “URGENTISSIMO” “prescrizione 1/8/2013”;

b) Per chi non ne avesse conoscenza, l’ufficio esame preliminare dei ricorsi – esistente presso tutte le sezioni – ha il compito, tra l’altro, di individuare e segnare sulla copertina del fascicolo – ove esiste un’apposita voce – la data della prescrizione affinché il Presidente della sezione, cui il fascicolo viene trasmesso, possa individuare e fissare l’udienza utile ad evitare il verificarsi della prescrizione;

c) Questo è avvenuto, nel caso di specie, ove – tenuto conto che il fascicolo mi era stato consegnato il 9/7 e la prescrizione era stata individuata dall’ufficio competente per il 1°/8, non esisteva altra scelta che fissare il processo per l’udienza del 30/7 (udienza e collegio già predisposti con decreto del Primo Presidente della Corte del 22 maggio 2013). Nel fissare la data dell’udienza nominai, ed era una mia scelta discrezionale, relatore il cons. Amedeo Franco;

d) La nota datata 5/7/2013 (di cui si fa cenno nell’articolo e che indica, in rettifica, come data della prescrizione della 1^ annualità il 14/9/2013), venne inviata via fax dalla Corte di Appello di Milano “alla cancelleria centrale penale della Corte di Cassazione” ove fu protocollata al n° 650 di quel giorno: 5/7/2013, h. 12.45. Detta nota – ed è questo il “piccolo” particolare che è “forse” sfuggito di ricordare – venne erroneamente girata e trasmessa dalla cancelleria centrale alla VI sezione della Corte – (come si evince dalla stampigliatura sulla nota citata: “Corte Suprema di Cassazione VI sezione penale”) – sezione che non c’entrava nulla, tant’è che essa restituì la nota alla Corte di Appello, via fax in pari data (5/7), con la seguente dicitura: “non avendo questa sezione procedimenti pendenti (v. visualizzazione) non si capisce a quale procedimento ci si riferisce”.

e) Pertanto, alla data del 5/7/2013, né la III sezione né la sezione feriale erano a conoscenza di tale nota e non erano neanche in possesso del fascicolo processuale, essendo questo pervenuto, nella cancelleria della III sezione, la mattina del 9 luglio e, poi, trasmesso alle h. 12 di quel giorno alla sezione feriale.

f) Dimentica l’articolista di ricordare l’altro “piccolo” particolare e, cioè, che la nota del 5/7 fu superata da altra nota della Corte di Appello di Milano datata 8/7/2013. Con tale nota – preso atto che “la rettifica della prescrizione era stata già trasmessa a mezzo fax ed era stato restituito in pari data, stesso mezzo, assumendovi che non vi fossero procedimenti pendenti presso la sezione VI penale e, quindi, non si capisce a quale procedimento facesse riferimento” – la Corte di Appello di Milano inviava nuovamente il prospetto del calcolo della prescrizione. Tale ulteriore nota venne inviata “al Presidente della sezione III penale” e alla “sezione I penale” e pervenne alla III sezione penale, via fax, alle h. 9.34 dell’11/7/2013 e alla sezione I penale alle h. 9.35 dell’11/7/2013. Sulla nota così ricevuta, oltre l’indicazione del giorno e dell’ora del fax, vi è il timbro della I sezione penale dell’11 luglio 2013 “pervenuto in cancelleria per fax” nonché pervenuto “alla sez. feriale 11/7/2013”.

g) Pertanto, la nota della Corte di Appello pervenne alla sezione feriale dopo che il processo era stato già fissato il 9 luglio sicché “nessuna gravissima irregolarità” ci fu come, invece, si afferma nell’articolo; così come è del tutto infondata l’affermazione che l’udienza “si sarebbe potuta svolgere a settembre ed essere affidata alla sezione specializzata”.

h) La prescrizione alla data del 14 settembre 2013 non avrebbe mai potuto determinare l’assegnazione della causa alla sezione ordinaria giacché i processi in cui la prescrizione maturi nel periodo feriale (all’epoca: 1° agosto – 15 settembre) vanno, automaticamente alla sezione feriale (ove vanno addirittura “i procedimenti la cui prescrizione maturi nei successivi 45 giorni previa ordinanza con la quale è stata dichiarata l’urgenza del processo”: punto 5, lett. a) n° 2 decreto Presidente Corte di Cassazione del 22/5/2013, il che significa che debbono essere trattati in sezione feriale – entro la data del 14 settembre che era l’ultima udienza che tiene tale sezione – anche i processi in cui la prescrizione venga a maturare entro il 30 ottobre.

i) Nessuna istanza di rinvio fu avanzata dai difensori degli imdputati e, ove essa fosse stata presentata e ove fosse stata accolta, il processo sarebbe stato celebrato pur sempre entro il 14/9 e pur sempre in sezione feriale.

j) Atteso il carattere diffamatorio dei titoli e del contenuto degli articoli, sarà sporta formale querela all’A.G..

k) Tanto premesso, La invito a pubblicare la presente rettifica, con lo stesso rilievo, come previsto dalla legge sulla stampa, degli articoli in questione che risultano pubblicati in prima pagina e a piena pagina 6. Antonio Esposito

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Carissimo dottor Esposito, io la capisco benissimo: lei è finito al centro delle vicenda politico-giudiziaria forse più grande del trentennio, e ora si sente messo un po’ in mezzo. Persino dalle testimonianze postume di un suo collega il quale sosteneva che quella sezione feriale della Cassazione presieduta da lei, e che condannò Berlusconi con una sentenza considerata discutibile da molti giuristi, fosse in realtà un plotone di esecuzione. Non ha torto, nel ribellarsi: io stesso non credo affatto che le colpe di quella incredibile vicenda siano tutte sue. Però, dottor Esposito, le date sono date. È inutile che lei continui a sostenere che la comunicazione della Corte d’Appello di Milano che fissava la giusta data della prescrizione arrivò solo l’11 luglio. La comunicazione arrivò il 9 luglio alle 15 e 15. Ci sono i fax a provarlo, non si scappa. Lei chiede: ma cosa ci fu di irregolare? Niente, risponde. Io invece le faccio notare, senza nessuna polemica e assai pacatamente, che una irregolarità piuttosto grave ci fu: la difesa aveva diritto a 30 giorni di tempo per prepararsi, e gliene furono concessi solo 20 sostenendo che altrimenti sarebbe scattata la prescrizione. La prescrizione, dottor Esposito, non sarebbe scattata. lei me lo conferma in modo chiaro in questa sua lettera, e la ringrazio per la conferma. Quindi lei mi conferma che l’irregolarità ci fu. E che se non ci fosse stata non sarebbe toccato a lei giudicare Berlusconi ma ad altri giudici. Giusto? E mi conferma che quella decisione spostò il corso della politica italiana. Poi osserva: la difesa non chiese il rinvio. Già, dottore, ma la difesa non conosceva quella comunicazione della Corte d’Appello che spostava la prescrizione. Capisce che – almeno per noi giornalisti che abbiamo il compito di informare l’opinione pubblica – tutto questo non è una cosa da poco. Immagino che ne converrà. E immagino che converrà che non c’era nulla di diffamatorio nel ricordare queste date che purtroppo l’opinione pubblica non conosceva (conosceva le date sbagliate fornite dal Fatto Quotidiano). Lei dice che mi querelerà e che chiederà per me una pena detentiva. Lo hanno già fatto molti altri magistrati famosi : da Scarpinato, a Lo Forte, a Davigo, altri hanno chiesto invece solo risarcimento in soldi (da Gratteri a Di Matteo a De Magistris). Spesso i suoi ex colleghi fanno così. Usano l’arma della querela per intimidire i giornalisti. Pensano che il diritto di critica e di informazione dei giornalisti si fermi sulla soglia della Casta della magistratura. A noi giornalisti resta il compito di far finta di niente e tirare dritto per la nostra strada. Piero Sansonetti

Esposito “Non sapeva della nuova prescrizione”. Sansonetti: “L’hanno imbrogliata, denunci!” Redazione su Il Riformista il 31 Luglio 2020. Dal dottor Antonio Esposito, che alla fine di luglio del 2013 presiedette la sezione feriale della Corte di Cassazione che condannò Silvio Berlusconi a quattro anni di detenzione (sentenza sulla quale noi abbiamo molto polemizzato nei giorni scorsi) riceviamo una nuova lettera di rettifica che volentieri pubblichiamo (con una breve risposta).

Al Direttore de “Il Riformista”

Dott. Piero SANSONETTI.

Oggetto: rettifica titolo di prima pagina «Processo Berlusconi Il Giudice ESPOSITO ci scrive: “Ho saputo tardi del rinvio della prescrizione” però non è vero», e del commento a pag. 12: «No, arrivò in tempo», pubblicati su “Il Riformista” il 28 luglio 2020. Con la rettifica, che lei ha correttamente pubblicato in forma integrale, ritenevo di aver definitivamente “smontato la bufala” – perché di questo si tratta – pubblicata sul suo giornale secondo cui, alla data del 9.7.2013 io sarei stato a conoscenza della nota del 5.7.2013 di ricalcolo della prescrizione da parte della Corte di Appello di Milano ed avrei, nonostante ciò, egualmente fissato il processo per l’udienza del 30 luglio, privando così la difesa del termine di ulteriori giorni dieci. Per dare al pubblico la “bufala” si è omesso di dare il “piccolo” particolare che quella nota era finita erroneamente alla sesta sezione penale e da questa restituita alla Corte di Appello “perché non si capiva a quale procedimento facesse riferimento”. Pertanto non era assolutamente vero che io fossi venuto a conoscenza di tale nota come, in maniera non conforme al vero ed insinuante, si afferma nell’articolo, ove, quindi, non ci si è limitati, come lei vuol far credere, “a ricordare questa data”. Ma mi accorgo che la mia smentita è servita a poco, perché nel suo commento lei – come ha fatto nella trasmissione “Quarta Repubblica” del 27.7.2020 – ripiega sull’ulteriore nota della Corte di Appello di Milano dell’8.7.2013, (da me ricordata nella rettifica), per affermare che quella nota era pervenuta alle ore 15.15 del 9 luglio 2013 e l’ha mostrata fugacemente, per alcuni secondi, in trasmissione. Da qui, quindi, la persistente insinuazione che io, al momento della fissazione del processo, ero, comunque, a conoscenza della nota della Corte di Appello. Nulla di più inveritiero per due ordini di motivi:

il primo motivo è che quell’atto (per quello che si è potuto vedere nei pochi secondi in cui è stato mandato in onda e che sembrerebbe riportare una attestazione, a mano, indicante, cosa abbastanza insolita, anche l’orario, ore 15.15 ) appare in netto contrasto, per termini e modalità di ricezione, con la nota dell’8.7.2013 come ufficialmente protocollata in arrivo alla Prima Sezione Penale (che fungeva da sezione feriale) con timbratura-datario dell’ufficio che, nella stampigliatura e riquadro, (in alto a sinistra), così attesta: “CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE – 11 LUGLIO 2013 – PERVENUTO IN CANCELLERIA PER FAX”. Ed ancora, in basso a destra, il funzionario giudiziario R.C. attesta “Pervenuto alla sezione Feriale l’11.7.2013”. E questo è il solo, unico, atto portatomi a conoscenza dalla cancelleria.

Il secondo motivo è che chi le ha “passato” questo atto – dal quale risulterebbe essere la nota arrivata alla sezione feriale alle ore 15.15 del 9.7, con una scritta a mano di ricezione – si è dimenticato un altro “piccolo” particolare, che a quell’ora, le operazioni di notifica, a mezzo fax, degli avvisi ai difensori dell’udienza del 30.7.2013 – iniziate dopo che il fascicolo, alle ore 12 del 9.7.2018, mi era stato consegnato dalla Terza Sezione Penale con l’indicazione “URGENTISSIMO prescrizione 1’ agosto 2013” – erano state ultimate, come risulta dalle attestazioni degli orari sui fax. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo! Per quel che riguarda le date della prescrizione – su cui si ritiene di aver costruito uno “scoop” e si assume che la difesa nulla sapeva – sarebbe bastato leggere le decine di articoli di tutta la stampa nazionale del periodo 10 luglio-30 luglio 2013 , per capire che quella questione era stata ampiamente affrontata dalla difesa del Berlusconi. L’avvocato Ghedini riteneva che la prescrizione maturasse il 26.9 (così la “Repubblica” 28.7.2013; ed “Corriere della Sera” 29.7.2013, che faceva, anche, una sua stima della prescrizione alla data del 13.9) . L’avvocato Coppi, in una intervista a Repubblica del 10.7.2013, riteneva che “la prescrizione intermedia matura il 13 settembre” e “ribadiva sempre che il processo poteva essere fissato fino al 13 settembre”. E su questo punto – come riportato, di continuo, da tutti i giornali del tempo – i difensori studiarono una proposta di possibile richiesta di rinvio che mi fu esplicitata dall’avvocato Coppi che mi chiese un colloquio, avvenuto nel mio ufficio in un periodo, a quanto posso ricordare, tra il 25 ed il 29 luglio, nel corso del quale gli dissi : “Se viene presentata una istanza di rinvio e se il collegio dovesse accoglierla, il processo sarà pur sempre celebrato in Sezione Feriale entro il 14.9”; e ciò per la semplice ragione che tutti i processi in cui la prescrizione maturi non solo nel periodo feriale (all’epoca, 1’ agosto/15 settembre) ma anche nei 45 giorni successivi (cioè entro il 30 ottobre) dovevano essere trattati in Sezione Feriale, giusto decreto Primo Presidente della Corte di Cassazione del 22 maggio 2013, punto 5, lettera a), n.2 .

Nessuna istanza di rinvio venne presentata, come, peraltro, anticipato da “La Repubblica” del 30.7.2013: “MEDIASET, IL GIORNO DEL GIUDIZIO. BERLUSCONI: NON CHIEDERO’ RINVII”; e nell’occhiello : “la decisione ieri sera dopo che si era chiusa l’ipotesi di una riassegnazione alla terza Sezione”. Un ultima notazione: la mia rettifica non era affatto né “dura” nè “intimidatoria”, come lei afferma poichè, con essa, con riferimento a dati fattuali documentati, si contestava civilmente che “ “”nessuna gravissima irregolarità”” ci fu come, invece, si afferma nell’articolo; così come è del tutto infondata l’affermazione che l’udienza “” si sarebbe potuta svolgere a settembre ed essere affidata alla Sezione Specializzata “. Si è trattato, quindi, di un normale esercizio del diritto di rettifica previsto dalla legge.  Così come l’annuncio di una querela non è diretto ad intimidire la libertà di stampa ma è legittimo esercizio del diritto costituzionalmente riconosciuto per la tutela dei diritti all’onore e alla reputazione che si ritengano lesi da una pubblicazione che non rispetti, come nella specie, veridicità e continenza (basti pensare all’espressione, in prima pagina, a caratteri cubitali “BERLUSCONI, LA PORCATA DELLA CASSAZIONE”). La invito pertanto a pubblicare la presente rettifica che riguarda non solo quanto pubblicato sul quotidiano del 28 luglio ma anche quanto da lei affermato, in proposito, nella trasmissione “Quarta Repubblica” trasmessa su Rete Quattro il 27 luglio 2020

***

Carissimo dottor Esposito, Lei non sa con quanto piacere io pubblico le sue rettifiche. Sta diventando una graditissima abitudine. Spero solo che non se ne abbia a male il mio amico Travaglio, visto che ormai lei collabora più spesso con il Riformista che con Il Fatto, come faceva fino a qualche tempo fa…Mi pare di aver capito che lei vuole vedere la “carta” alla quale mi sono riferito l’ultima volta che abbiamo scambiato le nostre opinioni – reciprocamente polemiche – su queste colonne. Eccola qui: è un fax, glielo pubblico grande e chiaro (anche se, per scelta del nostro grafico, un po’ obliquo) e lei può constatare che in questo documento, firmato e controfirmato, timbrato e controtimbrato, si sostiene che la sezione feriale della Cassazione fu avvertita alle ore 15 e 25 del 9 luglio che non c’era nessuna fretta di processare Berlusconi perché la prescrizione (anzi: la parziale prescrizione) sarebbe scattata, tuttalpiù, il 14 settembre e forse anche più tardi. Qual è il problema che io pongo, non essendo come lei ed altri partecipanti a questa discussione esperto di diritto? E’ questo: a me risulta che la difesa ha diritto a 30 giorni di tempo dal momento in cui viene convocata l’udienza della Corte, per prepararsi alla discussione. Conferma? A memo che non ci sia un’urgenza, e l’urgenza potrebbe essere, appunto, la scadenza della prescrizione. Questa è la ragione – immagino – per la quale lei, essendo stato informato in un primo tempo che la prescrizione scattava il 1 agosto, ridusse di 10 giorni i termini della difesa. Ma quando si scoprì che la prescrizione scattava non prima del 14 settembre sarebbe stato doveroso restituire alla difesa il diritto ai 30 giorni e rinviare l’udienza, anche se in quel caso sarebbe toccata, forse, sempre a una sezione feriale, ma non più a quella presieduta da lei. Giusto? Beh, dalla sua lettera mi pare di capire che il motivo per il quale lei non ha rinviato l’udienza è semplicissimo: nessuno l’aveva informato dei nuovi termini della prescrizione. Lo ha scritto in neretto anche nella sua lettera: «E’ questo il solo, unico, atto portato a conoscenza dalla cancelleria». Si figuri se io dubito delle sue dichiarazioni. Però ne deduco che qualcuno le nascose quei fax nei quali la si informava della nuova prescrizione. E questo, ne converrà, è una cosa gravissima. Diciamo pure una “porcata”, realizzata ai danni suoi e dell’imputato (Berlusconi). Mi dia retta, dottore, si unisca alla mia battaglia per capire cosa successe in quei giorni di luglio e chi tramò – da quel che capisco – anche contro di lei.

Quel fax "sparito". A giudicare Berlusconi doveva essere Franco. Milano scrisse alla Cassazione per correggere i tempi di prescrizione. Il processo sarebbe spettato a un'altra sezione. Luca Fazzo, Sabato 01/08/2020 su Il Giornale. È un vero peccato che il giudice Antonio Esposito, quel giorno di luglio di sette anni fa, non abbia fatto in tempo a vedere quel fax che veniva dalla Corte d'appello di Milano. Perché se Esposito avesse fatto in tempo a leggere il fax, la storia del processo a Silvio Berlusconi per la storia dei diritti tv sarebbe stata diversa, almeno nella sua puntata finale. A processare il Cavaliere in Cassazione non sarebbe stato Esposito. A celebrare l'udienza e a decidere sul ricorso di Berlusconi contro la condanna per frode fiscale sarebbe stata una sezione della Cassazione presieduta da Amedeo Franco: un giudice che considerava Berlusconi innocente. E che dopo avere partecipato alla sua condanna confidò ad amici e allo stesso Berlusconi di essersi sentito parte di un «plotone di esecuzione» guidato dall'alto. Come sarebbe andato a finire, il processo per i diritti tv, se a presiedere il collegio della Cassazione al posto di Esposito ci fosse stato, come doveva essere, Franco? Che quel fascicolo dovesse approdare ad Amedeo Franco lo racconta un documento inequivocabile: la programmazione dei turni della sezione Feriale per il 2013, stilata dal primo presidente Giorgio Santacroce. Ma per capirne l'importanza bisogna ritornare a quel fax che purtroppo Esposito (e bisogna credergli) in una lunga lettera al Riformista giura di non avere letto in tempo. Siamo al 9 luglio 2013, Esposito ha ricevuto l'incarico di celebrare il processo il 30 luglio sulla base delle carte arrivate da Milano che indicavano come data di prescrizione l'1 agosto. Quindi il processo viene fissato d'urgenza, e - come è ammesso solo nei casi eccezionali - vengono accorciati i termini concessi ai difensori. Però il 5 luglio la Corte d'appello di Milano corregge i suoi calcoli, e scopre che la prescrizione scatta solo il 14 settembre, e ne avvisa con fax urgente la Cassazione. Quindi non c'è più motivo di ridurre i termini concessi ai difensori. E a quel punto la prima data utile per conciliare diritti alla difesa e scanso della prescrizione è l'udienza della sezione Feriale fissata per il 9 agosto. Era quella, la data naturale per il processo a Berlusconi. Ma in quel caso da chi sarebbe stato composto il collegio? Ecco l'importanza della tabella. Nella sezione del 9 agosto non è previsto Esposito, e nemmeno ci sono D'Isa, Aprile e De Marzo, i tre giudici che condivideranno con Esposito la condanna di Berlusconi. A presiedere il collegio con i colleghi Taddei, Mazzei, Paternò e Lignola, è previsto Amedeo Franco. E basta conoscere le sentenze precedenti e successive di Franco in materia fiscale per capire come sarebbe andata a finire. Ma il fax partito da Milano si perde per quattro giorni in Cassazione, e arriva alla Feriale solo il 9, nel pomeriggio. Se Esposito lo avesse visto per tempo si sarebbe trovato di fronte a un bel dilemma. Prendere atto della novità, concedere ai difensori i termini di legge, lasciare che a celebrare il processo fosse il collega Amedeo Franco e che il Cavaliere andasse incontro a una assoluzione quasi certa? O fare finta di niente, tenersi il processo e condannare l'ex capo del governo? La risposta è ovvia: Esposito avrebbe fatto il suo dovere, si sarebbe spogliato del fascicolo e lasciato che la giustizia facesse il suo corso. Ma il problema non si pone. Antonio Esposito dice che quel fax a lui non dice niente, e che comunque alle 15.25 ormai i giochi erano fatti, perché l'udienza del 30 luglio era ormai fissata. Qualcuno forse un giorno spiegherà perché il fax «urgente» della Corte d'appello di Milano alla cancelleria centrale della Cassazione il 5 luglio arrivi invece alla sesta sezione, e da lì rispunti solo quando è troppo tardi.

Carlo Nordio, condanna Berlusconi e il fax sparito: "Falso per occultamento? Primo passo per riaprire il processo". Libero Quotidiano il 2 agosto 2020. Un fax, misteriosamente sparito, che avrebbe potuto cambiare i destini di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, quello in cui fu condannato da Antonio Esposito per frode fiscale. Un fax che stabiliva che i tempi della prescrizione erano più lunghi rispetto a quelli calcolati dai pm. Una vicenda torbida, di cui vi abbiamo dato conto in questo articolo, che aggiunge ulteriori sospetti su quella condanna. E sulla vicenda del fax, intervistato dal Giornale, Carlo Nordio afferma: "È curioso che su quella storia continuino ad affiorare dettagli inediti e meritevoli di approfondimento. Ora scopriamo che, se Esposito avesse visto in tempo quel fax, avrebbe ceduto le carte di qual dibattimento ad un altro collegio della sezione feriale, guidato da Amedeo Franco". Lo stesso Amedeo Franco scomparso un anno fa e le cui registrazioni hanno fatto tornare d'attualità la condanna a Berlusconi. Carlo Nordio dunque aggiunge: "Può darsi che si sia trattato di un errore, di una dimenticanza, di un disguido, ma anche no". E ancora, l'ex magistrato aggiunge: "Capisco tutte le suggestioni e possiamo pure immaginare che una corte diversa avrebbe assolto Berlusconi, ma il passo da fare adesso è un altro". Ossia? "Indagare per capire se qualcuno nascose deliberatamente quel fax che cambiava i tempi della prescrizione e di conseguenza il ritmo di quel fascicolo. Dobbiamo capire insomma se qualcuno - un giudice, un cancelliere o chiunque altro - impedì a Esposito di leggere quel documento importantissimo in quei giorni cruciali dell'estate 2013". Secondo Nordio, "potrebbe esserci stato un falso per occultamento, insomma, un comportamento doloso, un reato commesso all'insaputa di Esposito per mandare avanti quel collegio". E ancora, Nordio aggiunge che "questa circostanza non può rimanere come un mistero che aleggia su una sentenza così delicata e controversa. Fra l'altro, la scoperta di un eventuale falso potrebbe essere un primo passo, e sottolineo solo un primo passo, almeno in teoria, per avviare la revisione di quel verdetto". Quando gli chiedono se, essendo Amedeo Franco morto, il caso sia chiuso, Nordio risponde: "No, per dirla con i francesci, siamo davanti al morto che afferra il vivo. Esiste una registrazione credibile con la sua voce, ci sono altre testimonianze indirete del suo disagio, anzi della sua angoscia" e dunquer "qualcuno dovrebbe accertare perché Franco si comportò in quel modo", conclude l'ex magistrato.

Silvio Berlusconi, Mediaset: i due articoli in base ai quali la Corte europea può riaprire il processo. Libero Quotidiano il 06 agosto 2020. Ancora lontana la riconsiderazione del caso Mediaset che ha visto Silvio Berlusconi condannato per frode fiscale. "Non è possibile fino a questo momento comunicare quando la Corte esaminerà il ricorso in oggetto", ha tenuto a precisare la Corte europea dei diritti dell'uomo riguardo la pratica 8683/14, "Silvio Berlusconi vs.Italy". Il leader di Forza Italia, secondo il magistrato Amedeo Franco, sarebbe stato punito ingiustamente, per una volontà che veniva dall'alto. Tra le armi dei legali del Cav, elenca Il Giornale, l'articolo 6 della convenzione europea, quello che garantisce il diritto a un equo processo, sotto l'aspetto della mancata imparzialità del giudice. Numerose infatti le testimonianze in grado di provare il pregiudizio colpevolista di Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che pronunciò il verdetto. Non solo, perché ad aggiungersi a questo la mancanza del rispetto dell'articolo 7, quello che garantisce a tutti un giudice "stabilito per legge". Secondo questo principio a giudicare Berlusconi sarebbe dovuto essere niente di meno di Franco, il giudice che denunciò al diretto interessato il "plotone d'esecuzione" contro di lui. Ma così non andò. Gli errori furono due, come riporta il quotidiano di Sallusti. Il primo, quello commesso dalla Corte d'Appello di Milano che in un primo momento aveva indicato nell'1 agosto la prescrizione dei reati, anziché nel 14 settembre; il secondo, di autore ignoto, che fece disperdere per quattro giorni nei meandri della Cassazione il fax della Corte d'Appello milanese che correggeva l'errore. Tutti motivi che fanno pensare a una riapertura del caso, magari questa volta rispettando le regole.

Ecco perché la Corte europea può riaprire il caso Berlusconi. Gli ultimi sviluppi hanno ampliato i dubbi sulla sentenza. Dall’equo processo al giudice, tutto quello che non torna. Luca Fazzo, Mercoledì 05/08/2020 su Il Giornale. Non è possibile fino a questo momento comunicare quando la Corte esaminerà il ricorso in oggetto». Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede possono stare calmi: perché alle 16 di ieri la Corte europea dei diritti dell’uomo fa sapere che la pratica 8683/14, «Silvio Berlusconi vs.Italy», nonostante i sei anni trascorsi, non è ancora pronta ad essere affrontata. Ma prima o poi i giudici di Strasburgo dovranno decidersi ad esaminare il ricorso del Cavaliere. E a quel punto il capo del governo e il suo ministro della Giustizia, ammesso che per allora siano ancora in carica, dovranno uscire dal silenzio in cui in questi giorni si sono chiusi davanti alle novità sconcertanti emerse sulla sentenza della Cassazione che nell’agosto 2013 rese definitiva la condanna di Berlusconi per frode fiscale. Proprio quella sentenza è al centro del ricorso del leader di Forza Italia alla Corte europea. E davanti alla Corte il nostro governo per legge deve prendere posizione. Cosa faranno, Conte e Bonafede? Faranno finta di niente, e chiederanno la bocciatura del ricorso? O prenderanno atto che le ultime scoperte gettano un’ombra inquietante sulla correttezza di quella decisione? Gli sviluppi più recenti hanno ampliato in modo consistente gli elementi di dubbio che le difese del Cav potranno sottoporre a Strasburgo. Finora il piatto forte era la violazione dell’articolo 6 della convenzione europea, quello che garantisce il diritto a un equo processo, sotto l’aspetto della mancata imparzialità del giudice: e qui lo staff legale di Berlusconi puntava sulle numerose attestazioni del pregiudizio colpevolista di Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che pronunciò il verdetto, rafforzate da ultimo dalle rivelazioni da parte di Renato Franco, il membro dissidente della sezione, che parlava di un «plotone di esecuzione». Ma ora si sono aggiunte le tracce della violazione di un altro principio cardine della convenzione, che sempre all’articolo 7 stabilisce che il giudice deve essere «stabilito per legge». Esattamente il contrario di quanto accaduto a Berlusconi: il giudice stabilito per legge, in base ai turni della sezione feriale, doveva essere il collegio presieduto da Renato Franco. E solo due errori provvidenziali permisero che il fascicolo arrivasse all’udienza di Esposito. Il primo, quello commesso dalla Corte d’Appello di Milano che in un primo momento aveva indicato nell’1 agosto la prescrizione dei reati, anziché nel 14 settembre; il secondo, di autore ignoto, che fece disperdere per quattro giorni nei meandri della Cassazione il fax della Corte d’Appello milanese che correggeva l’errore. Quando il dispaccio arrivò a destinazione, ormai era tardi. Sarà interessante, quando Strasburgo finalmente aprirà il caso e inviterà l’Italia a dire la sua, vedere se e come il governo riuscirà a sostenere che Berlusconi non è stato sottratto al suo giudice naturale. Sarebbe un atto di coraggio e di trasparenza, da parte del governo, ammettere che qualcosa nell’estate 2013 in Cassazione non andò secondo le regole. A quel punto, la condanna dell’Italia per violazione dell’articolo 6 della Convenzione potrebbe essere a portata di mano. E non sarebbe una condanna solo simbolica: sulla base del verdetto europeo Berlusconi potrebbe chiedere la revisione del processo che portò alla sua estromissione dal Senato e a una condanna a un ingente risarcimento.

Silvio Berlusconi, gli audio del giudice morto a disposizione della Corte europea per i diritti dell’uomo e già noti ai magistrati dal 2015. Fu lo stesso ricorrente a chiedere che Strasburgo non si pronunciasse. Ma il collegio avrebbe avuto comunque la facoltà di proseguire l'esame del ricorso se avesse individuato una lesione dei suoi diritti e nonostante fosse a conoscenza delle registrazioni eliminò la causa dalla lista. Il Fatto Quotidiano l'1 luglio 2020. Gli audio del giudice di Cassazione, Amadeo Franco, estensore delle motivazioni della sentenza di condanna per frode fiscale di Silvio Berlusconi, in cui racconta che quel verdetto per l’affaire dei diritti Mediaset gonfiati da lui approvato “faceva schifo”, sono a disposizione della Corte europea per i diritti dell’uomo dal maggio scorso. Secondo quanto riporta l’Ansa, che cita fonti legali, i giudici di Strasburgo già nel 2015 erano stati informati dell’esistenza di queste registrazioni captate all’insaputa dell’ermellino morto l’anno scorso. I nuovi atti, inviati oltre un un mese fa, fanno parte di una nuova memoria difensiva che ha integrato il ricorso che era stato presentato alla Corte circa sei anni fa. Ricorso, che nessuno sembra ricordare, era stato archiviato su richiesta dell’ex premier. Dal punto di vista tecnico i magistrati europei potrebbero comunicare al governo italiano l’esistenza del ricorso e chiedere eventuali valutazioni. La Corte potrebbe, quindi, fissare una udienza pubblica o incardinare la vicenda in un mero scambio di carte ma comunque giungere ad una decisione finale. “I giudici – ribadiscono i difensori – potrebbero non annullare la sentenza ma individuare eventuali lesioni al diritto di difesa o offrire elementi per un eventuale revisione del processo”. Il 27 luglio 2018 Silvio Berlusconi, proprio tramite il collegio difensivo, chiese di interrompere l’iter ritenendosi soddisfatto per aver ottenuto la riabilitazione che gli ha permesso di candidarsi ed essere eletto al Parlamento europeo. Quattro mesi dopo la Cedu aveva chiuso il caso informando che non c’erano “circostanze speciali relative al rispetto per i diritti umani che richiedano di continuare l’esame” e quindi il ricorso del leader di Forza Italia era stato cancellato dalla sua lista. Ebbene i magistrati di Strasburgo – che avevano deciso a maggioranza e non all’unanimità come spesso accade – avevano fatto riferimento all’articolo 37.1 della Convenzione che prevede che “in ogni momento della procedura, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze permettono di concludere: che il ricorrente non intende più mantenerlo; oppure che la controversia è stata risolta; oppure che per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata. Tuttavia la Corte – si leggeva – prosegue l’esame del ricorso qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli lo imponga”. Quindi avrebbero avuto la facoltà di proseguire comunque l’esame del ricorso e lo avevano comunque archiviato pur essendo stati informati dell’esistenza di queste registrazioni. Potevano continuare l’iter se avessero individuato – al di là del parere del ricorrente – la lesioni dei suoi diritti umani. Una mossa, a sorpresa, quella di Berlusconi che pur aveva trovato attenzione da parte del collegio della Grande Camera e davanti a oltre 500 persone tra giornalisti, studenti e avvocati. I magistrati per esempio avevano chiesto conto ai rappresentanti del governo italiano sulle “discrepanze” tra il caso di Berlusconi e quello di Augusto Minzolini, salvato da uno schieramento bipartisan dalla decadenza inflitta invece all’ex Cavaliere. Il giudice islandese Robert Spano, per esempio, aveva chiesto se le regole potevano spiegare “se in un particolare caso può essere esercitato un potere discrezionale” da parte del Senato. Il magistrato portoghese Paulo Pinto de Albuquerque, aveva chiesto ragione di un altro punto sottolineato dai legali di Berlusconi: “La scelta di procedere al Senato con uno scrutinio pubblico malgrado il regolamento preveda un voto segreto in tutti i casi”. Insomma la corte era interessata all’argomento. Gli avvocati del governo avevano ribadito che la Convenzione era stata rispettata. Il punto però è un altro. Berlusconi presentò il primo ricorso a Strasburgo poco dopo la sua decadenza (27 novembre 2013) e ha dovuto attendere cinque anni per poter essere ascoltato. E la rinuncia ad avere una sentenza dove per una volta non era lui l’imputato sembrò strana. Il collegio difensivo si disse però certo che quel verdetto sarebbe stato favorevole. “Il presidente Berlusconi a seguito di una ingiusta sentenza di condanna era stato privato, con indebita applicazione retroattiva dalla cosiddetta legge Severino, dei suoi diritti politici con conseguente decadenza dal Senato. Nell’aprile di quest’anno l’intervenuta riabilitazione ha anticipatamente cancellato gli effetti della predetta legge. Non vi era dunque più alcun interesse di ottenere una decisione che riteniamo sarebbe stata favorevole – la nota dell’epoca degli avvocati Franco Coppi, Niccolò Ghedini, Andrea Saccucci e Bruno Nascimbene -. La Corte EDU a distanza di quasi 5 anni dalla proposizione del ricorso, a quella data, non aveva ancora provveduto. Ovviamente così come riconosciuto quest’oggi dalla stessa Corte, non vi era più necessità di proseguire nel ricorso essendo ritornato il Presidente Berlusconi nella pienezza dei propri diritti politici. Non vi era dunque più alcun interesse dopo oltre 5 anni di ottenere una decisione che riteniamo sarebbe stata favorevole alle ragioni del Presidente Berlusconi ma che non avrebbe avuto alcun effetto concreto o utile, essendo addirittura già terminata la passata legislatura. Una condanna dell’Italia avrebbe altresì comportato ulteriori tensioni nella già più che complessa vita del paese, circostanza che il Presidente Berlusconi ha inteso assolutamente evitare”. La domanda quindi è questa. Perché se non c’era più interesse allora – quando gli audio erano già in possesso di Berlusconi e l’esistenza nota ai magistrati europei – dovrebbe esserci oggi? E perché se l’intento era di non creare tensioni questo intento – in un momento molto delicato con gli effetti devastanti sull’economia a causa della pandemia – non perdura?

Nastro Lindo. Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 Luglio 2020: Per misurare il peso (nullo) delle “nuove prove” che dovrebbero cancellare la condanna di Silvio B. a 4 anni per frode fiscale, basta la credibilità (nulla) delle fonti: il suo impiegato Nicola Porro sulla sua Rete4, il suo Giornale e il Riformista vicediretto dalla sua ex portavoce Debora Bergamini. Ma anche la statura dei politici che le han prese sul serio: FI, Salvini, FdI e l’Innominabile. Tutto in famiglia. Casomai ciò non bastasse, ci sono i fatti: una recente sentenza del Tribunale civile di Milano e l’audio di una conversazione del 2013, poco dopo la condanna irrevocabile, fra il giudice relatore Amedeo Franco e il neocondannato B. davanti a misteriosi testimoni. Ora, anche uno studente al primo giorno di Giurisprudenza sa che: a) una sentenza civile di primo grado non può smentirne una penale di Cassazione e in ogni caso (vedi pag. 8) questa riguarda profili diversi dalla frode fiscale Mediaset; b) i processi si celebrano nelle aule di giustizia, non a casa dell’imputato col registratore più o meno nascosto. Ma la scena del giudice che firma con gli altri quattro colleghi la condanna di B. e poi corre da lui per dire che non voleva, non era d’accordo, è tutta colpa del presidente e degli altri tre cattivoni la dice lunga sulla sua serietà, correttezza e attendibilità. Tantopiù che nei tre mesi successivi il relatore Franco partecipò alla stesura delle 208 pagine di motivazione, che alla fine – caso raro – tutti e 5 i giudici (lui compreso) firmarono in calce e addirittura siglarono pagina per pagina (207 volte a testa). Il che dimostra che anche lui era d’accordo sulla condanna o, se dissentiva, a non innescare polemiche politiche. Altrimenti avrebbe potuto legittimamente non firmare (di solito le sentenze le firma solo il presidente). E, se davvero fosse stato convinto che si stava consumando “una grave ingiustizia” da “plotone di esecuzione”, con una condanna “a priori” e “guidata dall’alto”, frutto di “pregiudizio” per “colpire gli avversari politici”, una “porcheria” del presidente Antonio Esposito “pressato” per i guai giudiziari del figlio, cioè una serie di reati gravissimi, come poi disse a B. nella conversazione registrata, si sarebbe cautelato con uno strumento previsto dalla legge per i giudici in minoranza nei collegi giudicanti: motivare il suo dissenso in una busta chiusa allegata alla sentenza a futura memoria (come fece il presidente della Corte d’appello di Milano Enrico Tranfa, messo in minoranza dai due giudici a latere nella sentenza che assolse B. su Ruby). Invece Franco non solo non formalizzò alcun dissenso, ma espresse pieno consenso con la sua firma e 207 sigle. Noi ovviamente non sappiamo come si era comportato prima, in camera di consiglio. Infatti nessuno dovrebbe saperlo, tantomeno l’imputato. Chi viola il segreto della camera di consiglio commette reato e illecito disciplinare. Il che spiega perché B. abbia atteso 7 anni e la morte di Franco nel 2018 per divulgare il nastro: per risparmiargli un processo per rivelazione di segreto d’ufficio e omessa denuncia (il giudice non aveva mai segnalato ai pm i gravissimi reati spiattellati a B.), la cacciata dalla magistratura e una raffica di querele e cause per diffamazione dagli altri quattro colleghi (casomai non bastasse l’indagine per corruzione giudiziaria aperta su di lui nel 2017 per presunti scambi di favori col senatore forzista e re delle cliniche Antonio Angelucci). In ogni caso nulla di ciò che dice Franco può ribaltare la condanna di B. né interessare la Corte di Strasburgo (che, con buona pace del Giornale e di Sansonetti, ha archiviato il caso nel 2018 perché B. ritirò il ricorso in extremis). B. è stato condannato perché ritenuto colpevole, in base a una valanga di prove documentali e testimoniali, di una gigantesca frode fiscale da 368 milioni di dollari sui diritti tv di Mediaset: e non solo da Esposito e i suoi tre colleghi (o quattro, a prender sul serio le firme di Franco), ma anche dagli altri 9 magistrati che si sono occupati del caso: i pm De Pasquale e Robledo; il gup che lo rinviò a giudizio; i tre giudici di Tribunale e i tre di Appello che lo condannarono in primo e secondo grado. Giunto in Cassazione nell’estate 2013, il processo finì alla sezione Feriale (presieduta da Esposito e composta anche da Franco) perché la III sezione che l’aveva in carico scoprì che si sarebbe prescritto per metà il 1° agosto e in base alle sue regole la Corte doveva celebrarlo subito senz’attendere la ripresa ordinaria a settembre (la sentenza arrivò il 31 luglio). E sapete chi presiedeva la III sezione che lo girò alla Feriale come “urgente”? Amedeo Franco. Il quale poi andò a contar balle a B., tipo che “han fatto una porcheria perché che senso ha mandarlo alla sezione feriale?”. Ecco: non era una porcheria, era la regola; e la decisione fu della sua sezione. Quindi il nastro è il classico due di coppe quando a briscola comanda bastoni. E un clamoroso autogol. Perché dimostra vieppiù il coraggio del presidente Esposito e degli altri tre (o quattro), che condannarono il colpevole B. resistendo a indicibili pressioni politiche (che spingevano per l’assoluzione, al grido di “Salviamo il governo Letta-Napolitano!”). Ricorda ai tanti smemorati chi è davvero B.: un delinquente seriale che i giudici o li paga o li induce a delinquere. E riporta il dibattito sulla riforma della giustizia nei giusti binari: in Italia le uniche carriere da separare sono quelle degli imputati eccellenti da quelle dei giudici collusi.

Merdaset -di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 4 Luglio 2020:

1996. Stefania Ariosto rivela a Ilda Boccassini che B. e gli avvocati Previti e Pacifico compravano giudici e sentenze. Giornale e Panorama accusano la Boccassini di aver offerto 500 milioni a un pentito per incastrare l’ex pm e deputata FI Tiziana Parenti in un traffico di droga: tutto falso. Allora Renato Farina, sul Giornale di Feltri, scrive che la Boccassini ha arrestato ingiustamente una somala, Sharifa, sottraendole il marito e due bambini (“Quella Procura che rapisce i bambini”): balle anche quelle.

1998. L’Avanti! pubblica un falso dossier sulla Ariosto agente dei servizi segreti. E i media berlusconiani la accusano di essere prezzolata dalla Finanza: altra maxi-balla, con le solite condanne per diffamazione. Ma ecco due nuove campagne sulle testate di B. (Rai inclusa) contro la Boccassini e Gherardo Colombo: i due pm avrebbero manipolato con lo Sco l’intercettazione dei giudici romani Renato Squillante e Francesco Misiani al bar Mandara (tutto falso, appurerà il gup di Perugia). E occultato le prove dell’innocenza di B. e Previti nel fascicolo segreto 9520/95, negato illegalmente ai difensori (tutte balle, stabilirà il gup di Brescia).

2001. Mentre il governo B. è impegnato ad abolire le rogatorie che incastrano il premier e Previti e a opporsi al mandato di arresto europeo, Panorama e Giornale pubblicano uno scoop di Lino Jannuzzi (“Il gioco dei quattro congiurati”) che racconta nei dettagli un incontro segreto in un hotel di Lugano fra la Boccassini e i colleghi Carlos Castresana, Carla Del Ponte ed Elena Paciotti per architettare l’arresto del presidente del Consiglio. Poi i congiurati dimostrano che quel giorno si trovavano in quattro città diverse e piuttosto lontane: Boccassini a Milano, Castresana a Madrid, Paciotti a Bruxelles, Del Ponte in Tanzania. Jannuzzi, anziché andare a nascondersi, giura di avere “le prove”. Il Cda di Panorama chiede lumi al direttore Carlo Rossella. Che difende Jannuzzi perché, vertice o non vertice, “il problema esiste”. Sarà condannato per diffamazione. Jannuzzi si farà eleggere al Senato e nominare al Consiglio d’Europa, con doppia immunità.

2003. La Cassazione sta per decidere sulla richiesta di B. di traslocare i processi a Brescia per “legittimo sospetto”. La triade Tg1-Studio Aperto-Giornale spara un nuovo scoop. In una bacheca della IV sezione del Tribunale di Milano, quella del processo Mondadori, i giudici avrebbero affisso foto di Previti sotto una frase di Platone contro i tiranni: la prova del nove che tutti i giudici milanesi sono prevenuti. Ma è una bufala. Le foto, ritagliate dai giornali, non sono nell’ufficio dei giudici, ma dietro una colonna della stanza di una cancelliera. E la frase di Platone non c’entra: è lì appesa da 12 anni e non è contro i tiranni, ma contro i governi troppo corrivi con i moti di piazza.

2009. Il giudice civile Raimondo Mesiano condanna la Fininvest e B. a risarcire con 750 milioni di euro Carlo De Benedetti per lo scippo della Mondadori col famoso verdetto comprato e definisce il premier “corresponsabile nella corruzione” del giudice Vittorio Metta. E viene linciato da tv e giornali berlusconiani e pedinato dalle telecamere di Mattino 5 dal barbiere e al parco zoomando sui suoi calzini turchesi. “Tra la stravaganza del personaggio e la promozione del Csm, qualcosa non funziona”, denuncia il direttore Claudio Brachino. E Sallusti: “Non è solo stravaganza fisica, ma anche professionale”. Brachino verrà sospeso dall’Ordine dei giornalisti per due mesi.

2011. B. è indagato per la prostituzione minorile di Ruby e le chiamate in Questura per farla rilasciare. Il Giornale di Sallusti contrattacca con “Gli amori privati della Boccassini”, che nel lontano 1981 fu sorpresa da un “addetto alle pulizie del tribunale” nientemeno che a “baciare un cronista di Lotta Continua”.

2013. Il processo Mediaset (B. condannato in I e II grado a 4 anni per frode fiscale) arriva in Cassazione. Il Giornale blandisce il presidente Esposito e i giudici Franco, D’Isa, Aprile e De Marzo: “toghe moderate e di lungo corso”. Ma, appena questi condannano B., per i suoi house organ diventano dei farabutti. Tranne Franco, risparmiato chissà perché dal linciaggio, sebbene abbia firmato la sentenza come gli altri. Il Giornale accusa Esposito di aver definito B. “grande corruttore” e “genio del male” in una cena privata a Verona nel lontano 2009. Lui smentisce. Libero e Panorama gli scagliano addosso le accuse più fantasiose: persino una cena con l’attore Franco Nero, oltre al solito fango su tutti i parenti fino al terzo grado. Anche i giornali “indipendenti”, Corriere, Sole 24 Ore, La Stampa e Messaggero, sdraiati sul governo Letta Pd-FI, attaccano la sentenza e invocano l’amnistia o la grazia. Il Mattino intervista Esposito, che risponde solo su questioni generali senza entrare nel processo, ma poi gli infilano una domanda mai fatta sulla condanna di B. Un assist al Pdl, che scatena il putiferio, ricorre a Strasburgo, chiede la testa del giudice e la revisione della sentenza. Esposito viene trascinato dinanzi al Csm, dove ovviamente sarà prosciolto da tutto. Intanto il suo collega Franco sta spifferando i segreti (peraltro falsi) della camera di consiglio al neopregiudicato armato di registratore. Ma questo ancora nessuno lo sa: se ne riparlerà soltanto sette anni dopo, su Rete4 e sul Giornale. Nella migliore tradizione della casa.

La pistola fumante di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 8 Luglio 2020: Da quando, il 1° agosto 2013, la sezione Feriale della Cassazione da lui presieduta condannò definitivamente B. per frode fiscale a 4 anni, gli impiegati del pregiudicato – come da contratto – hanno svelato una raffica di particolari inquietanti della sua biografia, fino a quel momento immacolata. Una collezione da Guinness di scheletri nell’armadio scovati dai segugi del Giornale e degli altri fogli aziendali setacciando fascicoli, compulsando sentenze, auscultando portoni e fioriere, interrogando edicolanti, perlustrando bar, ristoranti, tavole calde, hotel e motel, importunando passanti, scoperchiando tombe e cassonetti, nella bizzarra convinzione che B. torni incensurato se si dimostra che uno degli 11 giudici che l’han condannato in primo, secondo e terzo grado è un poco di buono. Purtroppo, diversamente da quelle dei pm a B., le accuse degli house organ a Esposito si erano rivelate false.

Falso che avesse barattato la richiesta di archiviazione per suo figlio, scoperto a cena con la Minetti, in cambio della condanna di B. (la richiesta sul figlio era di sei mesi prima che il processo B. giungesse sul suo tavolo).

Falso che suo figlio parlasse con lo 007 La Motta in carcere (quello non era suo figlio, ma il figlio di suo fratello Vitaliano, allora Pg di Cassazione). Falso che a tavola Esposito alzi il gomito (è astemio).

Falso che tenesse lezioni a pagamento nella scuola della moglie all’insaputa del Csm (insegnava gratis con l’ok del Csm).

Falso che si appropriasse di processi altrui per finire sui giornali (sostituiva doverosamente colleghi assenti).

Falso che faccia vita da nababbo (la “prova”, una Mercedes, è un ferrovecchio del 1971 acquistato nel ’77 con 300mila km).

Falso che fosse odiato per la sua faziosità quand’era pretore a Sapri (lo odiavano solo i suoi imputati che, accertò il Csm, avevano ordito “un complotto contro l’Esposito”).

Falso che fosse stato trasferito per affari loschi (il Tar annullò il provvedimento perché le accuse erano fasulle).

Falso che abbia anticipato a cena la condanna di Wanna Marchi.

Falso che avesse raccontato in giro le telefonate sexy delle girl di Arcore (mai lette da nessuno e subito distrutte dai giudici di Napoli).

Falso che sia una toga rossa di estrema sinistra (il Giornale, prima della sentenza su B., definì lui e gli altri 4 “toghe moderate”).

Falso che una sera, a casa di un tizio di San Nicola Arcella (Cosenza), ospite d’onore insieme all’attore Franco Nero, ripetesse a cantilena per tutta la cena “Berlusconi mi sta sulle palle, gli faccio un mazzo così” (non l’aveva come imputato e si occupava di criminalità organizzata, mentre B. inspiegabilmente non aveva processi in materia).

Fin qui le panzane raccolte da Giornale, Libero e tv Mediaset a botta calda, quando si trattava di salvare il padrone dalla cacciata dal Senato in base a una legge, la Severino, che aveva votato pure lui con tutta FI.

Ora, sette anni dopo, la Banda B. ci riprova, nel tentativo disperato di riverginarlo in vista del governissimo che fa benissimo.

E, va detto, ci sta riuscendo grazie a nuovi testimoni di grande autorevolezza, terzietà e credibilità: un cameriere, un bagnino e uno chef dell’hotel di Ischia di proprietà del rascampàno di FI Mimmo De Siano, legatissimo al celebre Giggino ’à Purpetta, i quali giurano all’unisono che Esposito nei suoi soggiorni non faceva che ripetere: “Berlusconi è una chiavica” e “Berlusconi e De Siano li devono arrestare”. Così, come intercalare. “All’ingresso del ristorante – testimonia il cameriere – invece di dire "buonasera", Esposito era solito affermare: "Ancora li devono arrestare", riferendosi al dottor Berlusconi e al mio datore di lavoro”. Il fatto che i tre cantino tutti la stessa canzone e a Napoli si indaghi sulle loro testimonianze non deve ingannare. È più che credibile che un giudice di Cassazione, sapendo di albergare in un hotel del senatore De Siano, vada in giro per la hall preannunciando a chiunque incontri l’arresto del proprietario e del suo leader. “Scusi, cameriere: posto che Berlusconi è una chiavica, me lo farebbe un caffè corretto?”. “Salve, chef: siccome quelle chiaviche di Berlusconi e De Siano vanno arrestati, me lo porterebbe un antipastino di pesce?”. “Ehilà, bagnino: alla faccia di quelle chiaviche da arrestare del suo padrone e del premier, avrebbe un ombrellone, due lettini e un telo mare?”. Casomai le prove esibite dal giurista Porro e dal giureconsulto Sansonetti (quello che non distingue una Corte d’appello da un paracarro, figurarsi dalla Cassazione), non bastassero a convincere le Corti di Strasburgo, Lussemburgo, Magdeburgo, Brandeburgo e Cheesburger, il Fatto è in grado di rivelare le due nuove prove in possesso agli avvocati. La prima è il nastro di una seduta spiritica con Filumena Ciucciasangue, nota medium di Casamicciola e candidata di FI che, chiacchierando del più e del meno con l’anima del giudice Franco, gli udì scandire accuse molto circostanziate al giudice Esposito (la registrazione si sente “sbsazgrttt… bsdparttzz…”, ma l’on. avv. Ghedini la sta facendo tradurre da uno fidato). La seconda è il video di Ciruzzu Scannacristiani, detenuto all’Ucciardone al 41-bis, che confida al compagno di ora d’aria: “Chill’ curnutone scurnacchiate d’Esposito m’ha fatt’ carcerà! Cià raggione Belluscone: è tutt’ nu cumblott”. A questo punto, il ricorso in Europa è una pura formalità.

Il dossier - Tutte le bufale raccontate finora. Antonella Mascali e Valeria Pacelli su Il Fatto Quotidiano l'8 luglio 2020. - Da una settimana giornali e tv si occupano del caso dell’audio di Amedeo Franco, giudice relatore della sentenza di Cassazione che nel 2013 ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni per frode fiscale nell’ambito del processo sui diritti tv di Mediaset. Davanti all’ex premier, dopo aver anche lui firmato quel verdetto, Franco parla di “porcheria” e “condanna a priori”. Le sue parole sono state registrate e poi depositate dalla difesa di Berlusconi nell’integrazione al ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Tanto è bastato ad una certa stampa per gridare al complotto. “Le carte del golpe”, ha titolato nei giorni scorsi Il Giornale, diretto da Alessandro Sallustri. L’audio del giudice Franco è stato pubblicato direttamente in casa Mediaset dalla trasmissione di Nicola Porro Quarta Repubblica (Rete 4), che anche lunedì ha dedicato un’oretta del programma al caso per introdurre un altro “scoop”. Ossia il video di tre testimoni, i quali riferiscono di parole offensive contro Berlusconi pronunciate dal giudice Antonio Esposito (presidente del collegio feriale di Cassazione, che parla di “grave diffamazione” e annuncia querele anche contro la trasmissione). E così le tre testimonianze, con l’audio del giudice e altro ancora, come una sentenza civile che poco c’entra con il processo Mediaset, per alcuni sono le prove per dimostrare che quello che ha giudicato Berlusconi è stato un “plotone di esecuzione”, per usare le parole di Franco. Tanto prove però non sono. Ecco perché.

I testimoni e l’hotel di ischia. Partiamo dunque dall’ultimo “scoop”. Si tratta della testimonianza di tre dipendenti di un albergo di Lacco Ameno sull’isola d’Ischia, di proprietà della famiglia del senatore di Forza Italia Domenico De Siano, dove il giudice Esposito in passato ha trascorso alcuni giorni di vacanza. “Esposito spesso chiedeva di chi fosse la struttura alberghiera ed io rispondevo di De Siano (…). La sua risposta in napoletano era: ‘Ah sta con quella chiavica di Berlusconi’”. In un’altra occasione, “(…) nell’incontrarmi (…) affermava che prima o poi avrebbero arrestato sia il mio datore di lavoro che il Berlusconi”, racconta uno dei testimoni. Esposito ha sempre negato di aver pronunciato quelle frasi. Piccolo particolare, i verbali dei tre lavoratori sono stati raccolti nell’aprile 2014 attraverso le indagini difensive di un legale di Berlusconi e sono stati allegati al ricorso a Strasburgo. Come ha rivelato Il Fatto, poi, su quei verbali è stata aperta un’indagine della procura di Napoli, nata proprio dopo un esposto di Esposito, il quale, tra le altre cose, ha chiesto anche di accertare se nei confronti dei tre testimoni “sia ravvisabile l’ipotesi di false informazioni al pubblico ministero”. Richiesta ribadita anche in un’integrazione di memoria presentata qualche giorno fa a Napoli. Sul procedimento incombe la prescrizione.

La sezione feriale e la prescrizione. Da giorni si discute anche della prescrizione e sul perché il processo sia stato affidato alla sezione feriale della Cassazione. Che la prescrizione scattasse il primo agosto 2013 non è una data inventata, bensì è quella riportata sul frontespizio del fascicolo della III sezione penale della Cassazione, quella del giudice Franco, che il 9 luglio 2013 invia il fascicolo alla sezione feriale con la scritta tutta maiuscola “URGENTISSIMO”. Nei giorni scorsi un altro giudice di quel collegio, Claudio D’Isa, ha fugato ogni dubbio: “Le tabelle stabiliscono le assegnazioni, in automatico. Non c’è discrezionalità. Chi parla di una scelta di giudici fatta apposta per far condannare Berlusconi, dice un falso eclatante”.

La decisione del tribunale civile. Il tormentone dei berluscones è che ci sia una sentenza del tribunale civile di Milano, mandata a Strasburgo ad aprile, che “ha demolito”, “raso al suolo” la condanna di Berlusconi. Non è affatto così. Quella sentenza, del giudice Damiano Spera, decima sezione civile del tribunale di Milano, non parla del processo Mediaset ma di un altro: Mediatrade, da cui Berlusconi esce in udienza preliminare con un proscioglimento poi confermato dalla Cassazione nel 2012, mentre per il filone romano ne esce definitivamente nel 2013. Mediatrade è il processo che ha esaminato le compravendite di diritti cinematografici, per l’accusa fittizie, attraverso il produttore Frank Agrama, dal 2000 al 2005. Invece, il processo Mediaset sopravvissuto alla prescrizione, riguardava fatti fino al 1999, con dichiarazioni fraudolente 2002-2003, da qui la condanna definitiva di Berlusconi per frode fiscale da 7 milioni e 300 mila.

Il verdetto di Franco nel 2014. Chi vuol far passare Berlusconi per una vittima di un complotto politico-giudiziario sostiene che, tra le varie prove, c’è una sentenza del 2014 della terza sezione penale della Cassazione, relatore proprio Amedeo Franco. È una sentenza in cui si stabilisce che, in caso di dimissioni dalla carica di amministratore delegato, prima della compilazione della dichiarazione dei redditi, un soggetto non possa essere perseguito se privo di cariche societarie al momento dei fatti, come Berlusconi. Ma il processo Mediaset è tutt’altra cosa, come evidenziato dalla stessa Cassazione costretta, dalle polemiche già all’epoca, a emettere un comunicato tecnico per specificarlo. In sostanza, si tratta di due fattispecie diverse. Il processo Mediaset è caratterizzato dalle cosiddette frodi carosello. Per Berlusconi non era una questione di cariche societarie. Secondo i giudici di merito di Milano, confortati dalla Cassazione, è stato Berlusconi, anche da presidente del Consiglio, “a perpetuare il meccanismo dei costi gonfiati, durante la compravendita dei diritti Tv, per costituire fondi neri all’estero di cui era l’unico beneficiario”. Per non parlare della prescrizione, accorciata grazie a una delle leggi ad personam, la ex Cirielli, che ha cancellato dal processo il falso in bilancio e l’appropriazione indebita. Dei 368 milioni occultati al fisco negli anni ne “sopravvivono” per la condanna soltanto 7,3.

L’intervista al mattino, Esposito assolto. “Mai visto in 35 anni un giudice che anticipa le motivazioni di una sentenza”, ha detto in tv l’avvocato Gian Domenico Caiazza a proposito di un’intervista del 2013 a Il Mattino del giudice Esposito dal titolo “Berlusconi condannato perché sapeva non perché non poteva non sapere”, come se il giudice avesse anticipato le motivazioni. La procura generale della Cassazione lo sottopose a un processo disciplinare di “violazione del dovere generale di riserbo”, ma Esposito ne è uscito con un’assoluzione, a dicembre 2014, della sezione disciplinare del Csm. Nelle motivazioni si legge che in quella intervista non disse nulla di più di quanto già risultasse dal dispositivo della sentenza e per di più l’intervista, rilasciata al giornalista Antonio Manzo, fu manipolata: “L’alterazione emerge in tutta la sua gravità se si considera che il testo era stato trasmesso via fax al dott. Esposito per una verifica preliminare” ma “non conteneva la domanda relativa al motivo della condanna” di Berlusconi. Da una settimana giornali e tv si occupano del caso dell’audio di Amedeo Franco, giudice relatore della sentenza di Cassazione che nel 2013 ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni per frode fiscale nell’ambito del processo sui diritti tv di Mediaset. Davanti all’ex premier, dopo aver anche lu...

Chi tace acconsente - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 9 Luglio 2020: Molti lettori ci scrivono sull’Operazione Rivergination avviata dalle tv e dei giornali di B. sull’unico suo processo scampato (finora) alla prescrizione, quello per frode fiscale sui diritti Mediaset: perché proprio ora, quando ormai nessuno – nemmeno lui – si ricordava più della sua condanna? Perché un ampio schieramento affaristico e politico, dunque editoriale, che spinge per rovesciare il governo Conte e rimpiazzarlo con uno di larghe intese&imprese che sbarchi i 5Stelle e imbarchi Pd, Iv, FI, Lega e i soliti trasformisti all’asta. Ma, prima di riesumare il pregiudicato, bisogna candeggiarlo di fresco. I trombettieri di Arcore, linciando il giudice Esposito e chi osa ricordare che B. fu condannato perché era colpevole, fanno il loro sporco mestiere. L’anomalia è il silenzio di chi sa come andarono le cose e l’ha più volte raccontato, ma ora tace per non disturbare i manovratori (anzi, intervista B. senza far domande). Noi continueremo a disturbarli facendo l’unica cosa che sappiamo fare: raccontare i fatti.

Nel 2006 il gup di Milano accoglie le richieste dei pm Robledo e De Pasquale e rinvia a giudizio B. e altri top manager Mediaset per falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita. La Procura ha scoperto che il Cavaliere, prima e dopo l’ingresso in politica nel ’94, dispose una serie di operazioni finanziarie per acquistare i diritti tv di film dalle major Usa con vorticosi passaggi fra società estere (tutte sue) per farne lievitare artificiosamente i prezzi: così rubò a Mediaset, tramite due offshore intestate ai figli, almeno 170 milioni di dollari e se li intascò in nero, sottraendo al fisco almeno 139 miliardi di lire e falsificando i bilanci anche durante la quotazione in Borsa nel ’96. Parte delle accuse, per i fatti più vecchi, già nell’udienza preliminare è coperta dalla prescrizione (abbreviata nel 2005 dalla legge ex Cirielli). In Tribunale la prescrizione falcidia pure i falsi in bilancio più recenti: resta in piedi parte delle appropriazioni indebite e delle frodi fiscali (fino al 2003). Il processo viene sospeso dal 2008 al 2010 per il Lodo Alfano e riprende quando la Consulta lo dichiara incostituzionale. Il 26 ottobre 2012, dopo ben 6 anni di corsa a ostacoli a base di leggi ad personam, ricusazioni, istanze di rimessione e legittimi impedimenti, arriva finalmente la sentenza di primo grado: condanne per frode fiscale a B. (4 anni), a due manager e al produttore-prestanome Agrama, assolto Confalonieri. Tutte prescritte anche le residue appropriazioni indebite e gran parte delle frodi. Le motivazioni descrivono un’“evasione fiscale notevolissima” (368 milioni di dollari) e un “disegno criminoso” di cui B. fu “l’ideatore” e poi il “dominus indiscusso”. “Non è sostenibile – secondo il Tribunale – che Mediaset abbia subito truffe per oltre un ventennio senza neanche accorgersene”. Infatti faceva tutto il padrone, che “rimase al vertice della gestione dei diritti” e del meccanismo fraudolento anche “dopo la discesa in campo” del ’94. Non a caso la Cassazione ha già accertato che fu lui a fine anni 90 a far versare la tangente all’avvocato David Mills, creatore negli anni 80 delle società estere e occulte della Fininvest, perché testimoniasse il falso e lo salvasse da condanne certe nei processi per le mazzette alla Guardia di Finanza e i falsi in bilancio All Iberian.

L’8 maggio 2013 la II Corte d’Appello di Milano conferma in pieno la sentenza di primo grado: “vi è la prova, orale e documentale, che Silvio Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale del gruppo B (sistema di società offshore) e, quindi, dell’enorme evasione fiscale realizzata con le offshore”. Anche dopo l’entrata in politica, “almeno fino al 1998 vi erano state le riunioni per decidere le strategie del gruppo con il proprietario Silvio Berlusconi”: “Non solo si creavano costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario italiano, ma si costituivano ingenti disponibilità finanziarie all’estero”. E “non è verosimile che qualche dirigente di Fininvest o Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e, soprattutto, che la società abbia subito per 20 anni truffe per milioni di euro senza accorgersene”.

La Cassazione, dopo i due giudizi di merito, deve solo valutare la legittimità della sentenza d’appello, perfettamente coerente con la giurisprudenza della III sezione (quella del giudice Amedeo Franco, specializzata in reati fiscali) sulle “frodi carosello”. E il 1° agosto 2013, appena in tempo per scongiurare la prescrizione delle ultime due frodi superstiti (4,9 milioni sugli ammortamenti del 2002, che si estingono proprio quel giorno; e 2,4 milioni su quelli del 2003, che si estinguono il 1° agosto 2014), arriva la sentenza, firmata dal presidente della sezione Feriale Antonio Esposito e dagli altri quattro giudici (fra cui Franco). Da allora nasce la leggenda di un “processo sprint” per negare a B. la prescrizione, che lui ritiene un diritto acquisito e che invece la Corte ha l’obbligo di evitare a ogni costo. Cosa ci sia di “sprint” in un dibattimento iniziato nel 2006 e concluso nel 2013 e di “anomalo” nell’assegnazione di un processo a rischio di prescrizione alla sezione Feriale della Cassazione (com’era accaduto nel 2011 per 219 processi e nel 2012 per 243), lo sanno solo i falsari pagati da B. E, se qualche beota casca nella trappola, è per il silenzio di tutti quelli che sanno.

Ghedini e le bugie delle toghe: "Registrazioni già depositate". L'avvocato Niccolò Ghedini svela: "Il materiale era a disposizione anche dell'autorità italiana perché il governo italiano viene informato sempre delle carte depositate". Luca Sablone, Domenica 05/07/2020 su Il Giornale. "La vicenda delle confessioni postume del giudice Amedeo Franco al suo imputato ha profili torbidi e inquietanti". Questa è una parte del comunicato diramato dalle toghe progressiste di Area, in cui viene denunciato come la registrazione sia stata divulgata a molti anni di distanza, dopo la morte del giudice Franco, "in un contesto che appare favorevole ad accreditare qualsiasi ignominia per screditare e delegittimare i magistrati e la giurisdizione". Una narrazione che ha lasciato esterrefatto l'avvocato di Silvio Berlusconi. Niccolò Ghedini, nell'intervista rilasciata a La Verità, non ha usato giri di parole per attaccare chi è convinto della tesi in questione: "Non sanno neanche cosa dicono". Anche perché bisogna partire da un principio: la Corte europea per i diritti dell'uomo stabilirà se quella registrazione è falsa, "mica loro". Ma perché dovrebbe esserlo? Il difensore del Cav ha sottolineato che quelli di Area stanno commettendo un errore di fondo, in quanto le registrazioni di Franco sono nella disponibilità della Corte europea da cinque anni: "È una cosa gravissima che la magistratura italiana voglia intervenire su un atto procedimentale di un'autorità sovranazionale". In molti sostengono che abbia approfittato del clima anti-toghe creato dal caso Palamara per fare la denuncia: "Non c'entra un tubo. Glielo ripeto, quella cosa lì era depositata da cinque anni".

"Insinuazioni? Una follia". Ghedini è del parere che la realtà dei fatti sia la seguente: in un momento particolarmente attento alle questioni legate alla magistratura, un giornalista ha semplicemente recuperato gli atti del procedimento considerando che le carte depositate alla Corte europea sono tutte pubbliche. "Per questo le insinuazioni di Area sono una follia. Hanno sempre detto che Berlusconi non voleva farsi processare e Berlusconi è stato processato", ha aggiunto. Poi ha svelato che a quell'epoca avrebbero potuto tirare fuori le registrazioni quando il presidente di Forza Italia era in affidamento in prova ai servizi sociali, ma lui non ha voluto: "Così le abbiamo prodotte davanti alla Corte europea e Franco era ancora vivissimo quando gli atti sono andati alla Cedu. Adesso abbiamo depositato l'audio". Continua a tenere banco la questione relativa al possibile golpe giudiziario ai danni di Berlusconi, dopo lo scandalo scoppiato sull'intercettazione telefonica mandata in onda dalla trasmissione Quarta Repubblica. Ghedini ha fatto sapere che fin dall'inizio è stata data la disponibilità delle trascrizioni e alla Corte europea era stato detto che, volendo, le registrazioni erano a disposizione: "La memoria aggiuntiva di aprile riguardava al 90% la sentenza civile che ci ha dato recentemente ragione". Successivamente è stato ricordato che la vicenda del giudice Franco non era stata mai sentita: "E a questo punto gli abbiamo dato anche l'audio. Certo se l'avessero convocato prima avrebbero potuto ascoltare la sua versione dalla sua viva voce". Dunque la Corte europea per i diritti dell'uomo aveva da anni la possibilità di visionare questo materiale? "Avevamo solo chiesto che le trascrizioni non fossero rese pubbliche, ma erano narrate all'interno dell'atto a disposizione del giudice naturale precostituito per legge, che poteva quindi in qualsiasi momento prenderne visione". Infine ha concluso ribadendo che era a disposizione anche dell'autorità italiana "perché il governo italiano viene informato sempre delle carte depositate".

Silvio Berlusconi, le carte in mano a Ghedini: "Esposito e Franco, perché il Cav non andava condannato". Libero Quotidiano il 16 luglio 2020. Nelle loro memorie difensive sulla condanna per frode fiscale, Niccolò Ghedini e il suo staff di legali che segue Berlusconi partono da un dato incontrovertibile: "la plateale sconfessione delle tesi giuridiche alla base della condanna da parte della stessa Cassazione, dove pochi mesi dopo la terza sezione, quella specializzata in reati tributari, decise un caso analogo in senso opposto, accusando esplicitamente la sentenza Esposito di essere basata su plateali errori di diritto", scrive il Giornale. E  portano anche le dichiarazioni rese allo stesso Berlusconi dal giudice, oggi deceduto, Amedeo Franco che denunciava all'ex premier la prevenzione dei giudici contro il Cav. Ma soprattutto ricordano che il processo Berlusconi non doveva andare alla sezione feriale presieduta da Anrtonio Esposito, perché la prescrizione dei reati, data per imminente dalla Corte d'appello di Milano in realtà non lo era affatto. Cosa accadde davvero nel luglio 2013 e chi e perché indicò sul fascicolo una data sbagliata? Secondo i legali del Cav, quell'errore fu decisivo nel permettere che la causa arrivasse a Esposito (che nel frattempo ha fatto anche causa a Berlusconi per una richiesta danni di oltre duecento mila euro). Lo stesso giudice che prima della sentenza manifestava al ristorante il suo odio verso Berlusconi, secondo il racconto di tre camerieri. E che, concludono i legali, appena andato in pensione è divenuto editorialista del Fatto, "dove si produce in sferzanti giudizi sui governi del Cav e sulle sue leggi sulla giustizia".

Silvio Berlusconi, Minzolini e la "scoreggia" di Travaglio: "Sarebbe il capo SS di un regime togato". Libero Quotidiano il 03 luglio 2020. Silvio Berlusconi e la registrazione audio della conversazione con Amedeo Franco, giudice della sentenza Mediaset del 2013, sono finiti su tutti i giornali negli ultimi giorni. Persino Repubblica ha dedicato spazio alla vicenda che riguarda la riabilitazione del Cav, ma ovviamente Il Fatto Quotidiano continua a screditarlo senza alcuna pietà. Nell’edizione odierna in prima pagina il titolo principale è dedicato proprio all’ex premier, con il Fatto che si vanta di avere “le prove della bufala pro Caimano”. E ovviamente Marco Travaglio ci mette il carico nel suo editoriale, definendo l’odiato Berlusconi un “vecchio malvissuto” che è ancora a piede libero grazie alle “balle a reti ed edicole unificate” che nell’ultimo quarto di secolo il Cav avrebbe sfornato “non per provare la sua onestà ma almeno per tentare di sputtanare i suoi giudici”. Pronta la replica di Augusto Minzolini tramite social: “Faccia di c. Travaglio produce il solito articolo-scoreggia contro il giudice che definì la sentenza contro Berlusconi un plotone d’esecuzione. Comprensibile: se la storia fosse riletta sulla base dell’uso politico della giustizia, lui sarebbe l’Himmler, capo SS, di un ipotetico regime togato”. 

Piero Sansonetti a Quarta Repubblica contro il giudice Esposito: "Per Berlusconi plotone d'esecuzione, lui scrive per il Fatto". Libero Quotidiano il 30 giugno 2020. "È un complotto e non c'è dubbio". Piero Sansonetti, direttore del Riformista, spiega a Nicola Porro a Quarta Repubblica i dettagli dello scoop del suo giornale, che ha anticipato le carte in mano alla difesa di Silvio Berlusconi che proverebbero come la sentenza di condanna del 2013 nel processo Mediaset-Agrama per frode fiscale sia stata "pilotata dall'alto". Parole, queste, pronunciate in una intercettazione choc dal giudice Amedeo Franco, che era relatore della Cassazione in quella sentenza.  "Il reato fu inventato, ma non ci credo che è stato Napolitano - chiarisce Sansonetti -. La magistratura è un potere autonomo che agisce fuori dalla legalità! Migliaia di sentenze sono false e la giustizia in Italia è una truffa!", tuona il direttore, che punta il dito contro Antonio Esposito, il giudice-capo di allora: "Quella sezione era un plotone d'esecuzione, l'operazione è stata tutta lì. Il Presidente di quella sezione è un editorialista del Fatto Quotidiano!".

Dagospia il 6 luglio 2020. TRAVAGLIO VEDE LA PAGLIUZZA E SCORDA LA TRAVE - IL DIRETTORE DEL "FATTO" ACCUSA NICOLA PORRO DI ESSERE UN ''IMPIEGATO DI BERLUSCONI'' E FA FINTA DI NON RICORDARE CHE ANCHE VERONICA GENTILI, CHE AL "FATTO" E' DI CASA, E' UNA DIPENDENTE DEL CAV, VISTO CHE HA UN RICCO CONTRATTO CON RETE4 (E GLI REGGE PURE IL MOCCOLO COMPIACIUTA MENTRE BERLUSCONI SI AUTOELOGIA IN DIRETTA A "STASERA ITALIA")

Da liberoquotidiano.it il 6 luglio 2020. Come ogni giorno, Marco Travaglio sparge livore. Questa volta nel mirino ci finisce Nicola Porro. La sua "colpa"? Difendere Silvio Berlusconi, o meglio: parlare delle intercettazioni di Amedeo Franco, il magistrato scomparso che esprimeva dubbi per la condanna nel processo Mediaset per frode fiscale, in modo critico. Tutto il contrario di Travaglio, il cui unico approccio è quello acritico: dar sempre e comunque contro il Cavaliere (sul Fatto Quotidiano ha iniziato a macinare chilometri la macchina del fango contro Franco). E insomma, Travaglio derubrica Porro a "impiegato di Berlusconi". Parole che vengono riprese e rilanciate da Vittorio Feltri, che su Twitter si scaglia contro il direttore del Fatto: "Travaglio dice che Nicola Porro è un impiegato di Berlusconi. Esattamente come lo è stato per anni Marco avendo lavorato al Giornale del Cavaliere", conclude il direttore di Libero.

Condannò Berlusconi alla prigione ora spara sentenze sul Fatto Quotidiano. Redazione de Il Riformista il 7 Febbraio 2020. Se vi andate a leggere il Fatto Quotidiano di ieri troverete diversi articoli sulla prescrizione. Tutti naturalmente favorevoli alla riforma Bonafede, che la sospende dopo il primo grado di giudizio. Tutti in linea e a sostegno dei 5 Stelle. E questo è molto logico, perché Il Fatto Quotidiano, in modo quasi ufficiale, è il giornale dei 5 Stelle. Colpisce però che l’articolo più feroce contro avvocati e magistrati che criticano la riforma Bonafede sia stato firmato da un ex magistrato. Si chiama Antonio Esposito ed è stato un alto magistrato di Cassazione. Poi qualche anno fa è andato in pensione per raggiunti limiti di età e si è messo a fare il polemista, sempre a sostegno dei 5 Stelle. Lo ha fatto con molti articoli sul Fatto Quotidiano. Nell’articolo di ieri, tra le altre cose, sostiene che l’articolo 111 della Costituzione, quello che garantisce la ragionevole durata del processo, non c’entra niente con la prescrizione (che è stata inventata per evitare processi troppo lunghi) e che poi quell’articolo non stabilisce misure tassative, più che altro è un suggerimento. Per fortuna Esposito non ha mai fatto parte della Corte Costituzionale. Ve l’immaginate a giudicare la costituzionalità di una legge con questa idea che in fondo ‘sta Costituzione è lì per fare un po’ da stimolo, ma non va presa troppo alla lettera. Però, come dicevamo, Esposito il giudice Costituzionale lo ha fatto. E anche ad alto livello. È stato presidente di una delle sezioni penali della Cassazione, e in questa veste, il primo agosto del 2013, ha giudicato l’ex presidente del Consiglio, Berlusconi, che era accusato per un’evasione fiscale (di modesta entità: circa il 2 per cento del dichiarato) compiuta dalla Fininvest. Gli avvocati sostenevano che Berlusconi, quando fu depositata quella dichiarazione fiscale, era presidente del Consiglio, e ovviamente non si occupava direttamente delle questioni che riguardavano i suoi commercialisti. I giudici non gli credettero e alla fine la sezione presieduta da questo Esposito decretò quattro anni e qualche mese di prigione. Definitivo. Berlusconi fu affidato ai servizi sociali, Forza Italia in pochi mesi dimezzò i suoi voti. Ora uno, magari perché è troppo malizioso, dice: ma è tutto regolare se un giudice, che poi si scopre essere un tifoso acceso dei 5 Stelle viene chiamato a giudicare il capo del partito che si oppone ferocemente ai 5 Stelle? Ti rispondono: ma allora non si sapeva che Esposito fosse amico dei 5 Stelle. Va bene, facciamo che è così davvero. Ma poi? Quando scopri che quella sentenza fu evidentemente una sentenza politica ci resti male, no? Non aumenta la tua fiducia nella giustizia. E la prossima volta certo non dirai: “Io ho piena fiducia nella giustizia”.  Eh no, se è giustizia di partito no. Fiducia zero.

Travaglio difende disperatamente il suo "dipendente" Antonio Esposito, tutte le balle per blindare il giudice. Piero Sansonetti su Il Riformista il 2 Luglio 2020. Marco Travaglio, credo, è un bravissimo ragazzo. Non è in malafede. È che le cose, in genere, non le sa. Ha la faccia del secchione ma studia poco. Si fida del primo Pm di passaggio. E così, non di rado, scrive delle fesserie sesquipedali sul suo giornale. Ieri sull’affare Berlusconi-Esposito si è superato. Ha impostato tutto il giornale e il suo stesso lungo e scombiccherato editoriale su due verità assolute. False. La prima è che Berlusconi non può chiedere alla Corte Europea di pronunciarsi sulla sua condanna per frode fiscale (quella, appunto, firmata dal giudice Antonio Esposito) perché il ricorso lo ha ritirato ormai da due anni, e non si può far rivivere un ricorso concluso solo perché c’è una nuova testimonianza e una nuova sentenza. La seconda è che il processo per frode fiscale, nel luglio del 2013, stava per andare in prescrizione, sarebbe andato in prescrizione il primo agosto ed è questo il motivo della fretta della Cassazione e della decisione di affidarsi alla sezione feriale – che emise la sentenza il 31 luglio – invece che a una sezione competente che magari capiva anche qualcosa del processo. Beh, sono due balle. Ora si dice fake. Berlusconi non ha mai ritirato il ricorso contro la sentenza. E giorni fa ha presentato un supplemento di documentazione nel quale sono contenute le prove della sua innocenza e il sospetto che quella sentenza sia stata decisa in malafede. Travaglio si confonde, probabilmente, col ricorso contro l’espulsione dal Parlamento di Berlusconi (realizzata con una legge che per la prima volta dall’unità d’Italia a oggi fu fatta valere in forma retroattiva). Quel ricorso Berlusconi lo aveva ritirato perché era stato riabilitato e dunque non aveva senso chiedere il recupero dei diritti civili se già gli erano stati restituiti. ma non c’entra niente con la condanna a quattro anni di prigione. Vabbé, dirà Travaglio, non state tanto a sottilizzare…La seconda balla è quella della prescrizione. ‘Sta storia della prescrizione che scattava il primo agosto non si sa chi se l’è inventata. L’hanno ripetuta in un solenne e pomposo comunicato, l’altro giorno, anche quei geni dell’Anm (l’associazione delle correnti dei magistrati). Il primo agosto? Ma andatevi a vedere le carte e imparate a contare: la prescrizione (solo per una parte del processo e quindi senza estinguere il reato in nessun modo) sarebbe scattata solo per una parte dell’accusa – frode per l’anno 2002 – il 25 settembre. La corte competente sarebbe tornata in piena funzione il primo settembre e ci sarebbero stati 25 giorni per giudicare (la Corte feriale ha giudicato Berlusconi in 24 ore…). Poi ci sarebbe stato un altro anno di tempo per giudicare la presunta frode del 2003. Pensa tu…  Capite come si fa giornalismo? Dico di più: come si fa giustizia visto che l’Anm, che spesso fa il copia incolla con gli articoli del Fatto, è caduta nello stesso errore, e l’Anm è una associazione non di idraulici ma di magistrati? (Del resto sono sicuro che gli idraulici prima di dire simili sciocchezze avrebbero controllato). Ora cosa può fare Travaglio per riparare al danno? La cosa più semplice del mondo: convochi il suo dipendente Antonio Esposito, editorialista del Fatto (che sarebbe, appunto, il Presidente della sezione della Cassazione che condannò Berlusconi) e lo interroghi in modo stringente. Si faccia dire da lui se le accuse sanguinose del suo collega Amedeo Franco fossero o no infondate. Gli chieda se per caso lui avesse mai avuto pregiudizi contro Berlusconi. Gli chieda anche di quella ipotesi di una decisione – la condanna – presa altrove e preconfezionata. Gli chieda cosa pensa di quella sentenza così ponderata e dettagliata presa dal tribunale civile e che scagiona Berlusconi. Chissà, magari qualcosa ne cava. Il giudice Esposito da parte sua ci ha scritto una bella lettera nella quale smentisce tutte le accuse del suo collega (non smentisce la sentenza del Tribunale civile che smonta la sua sentenza, ma questo non può farlo). Dice di essersi comportato solo rispondendo alla sua coscienza. Noi ne prendiamo atto, per carità. Però è giusto anche far conoscere ai lettori le parole del giudice Franco, no? Oppure bisogna dare un qualche credito solo ai giudici travaglini travaglini e un po’ davighisti?

P.S. Travaglio se la prende con Nicola Porro perché è dipendente di Berlusconi, e con Deborah Bergamini perché è la sua ex portavoce. Vabbé. Io faccio solo due osservazioni. La prima è che se una notizia è vera è vera. Non è che non vale perché la dice una persona che ci sta antipatica. Giusto? La seconda è questa. Se lo faccia dire da me, che non sono stato mai mai mai mai dipendente di Berlusconi: guarda, Marco, che sono pochi in Italia i giornalisti che non hanno preso lo stipendio da lui. Tu, per esempio, l’hai preso per tanti anni. Pensa se ogni volta che parlo di te dovessi scrivere: l’ex dipendente di Berlusconi Marco Travaglio… Dai, dai, non ti offendere: la mettiamo a ridere, vecchio reazionario!

Marco Travaglio, la foto di Berlusconi che piange e l'insulto nel titolo: l'ultima vergogna sul Fatto Quotidiano. Libero Quotidiano il 13 luglio 2020. Per comprendere l'ossessione che nutre Marco Travaglio nei confronti di Silvio Berlusconi - qualora qualcuno avesse ancora bisogno di comprendere tale ossessione, imbarazzante - basti pensare che oggi il direttore ha vergato un editoriale dal titolo: "Una vita da Caimano \ 4", ovvero parte quarta. Il quarto consecutivo. Articoli pieni zeppi di livore sul Fatto Quotidiano per cercare di depotenziare lo scandalo-magistratura relativo alla condanna nel processo Mediaset aperto dalle parole del giudice Amedeo Franco. Ma tant'è, oltre agli articoli vergati da Travaglio, ci sono anche le pagine del suo giornale. E a pagina 19 del Fatto Quotidiano di lunedì 13 luglio appare la porcheria che potete vedere qui sotto. Una paginona tutta dedicata al giorno della condanna, in cui si vede anche Berlusconi piangere. Ma a mettere i brividi è il titolo: "B. delinquente ufficiale e la piazza amica lo assolse". La prova provata di un'ossessione e un'inclinazione manettara, quella di Travaglio, che con discreta approssimazione non si risolverà mai.

Vittorio Feltri contro Marco Travaglio: "Lui un angelo e Nicola Porro un peto? Giù le mani..." Libero Quotidiano il 09 luglio 2020. Non nutro alcuna antipatia per Marco Travaglio, attuale direttore del Fatto Quotidiano. A mio modesto giudizio costui ha una eccellente scrittura seppure un po' pesante, molto diluita. Infarcisce la sua prosa di insulti rivolti agli avversari politici, e questo a me non disturba. Sono favorevole alla libertà di linguaggio e detesto i cretini che per fare i fighi hanno dichiarato guerra al vocabolario, ignorando che le parole nascono e si propagano ad opera del popolo. Ciò che è popolare è vitale e appartiene a tutti. Sono stupito di una cosa che vi segnalo senza spirito polemico e per amore di verità. Travaglio, in una recente disputa sulla condanna subita da Berlusconi per frode fiscale, si è scagliato contro Nicola Porro, conduttore di Quarta Repubblica, in onda su Rete 4, in quanto questi ha dato fiato a chi pensa, in base a una documentazione, che la sentenza in questione sia stata frutto di manovre giudiziarie alimentate da antipatia nei confronti del capo di Forza Italia. Vero o no che sia, importa poco. Non mi straccio le vesti. La disonestà è caratteristica diffusa nell'umanità e non risparmia né i magistrati né i geometri e neppure giornalisti di vario livello. Il punto non è questo. Non capisco però perché l'opinione di Porro debba essere liquidata come un peto, mentre quella di Travaglio sia considerata il canto di un angelo. Il quale Travaglio in tutto questo groviglio di idee contrapposte ha espresso un pensiero che somiglia ad un autogol. Ha detto che il televisivo Nicola sta dalla parte di Silvio poiché è un suo impiegato. In effetti, Porro oltre a lavorare per una emittente del Biscione è vicedirettore del Giornale che indegnamente ho diretto perfino io - aggiungo, con successo - e al quale per anni ha dato il proprio apporto anche Travaglio. Questi di conseguenza, a sua volta, è stato a lungo un dipendente di Berlusconi, dato che questi forniva mensilmente lo stipendio a lui oltre che allo stesso Montanelli per alcuni lustri. Nulla di male, ovvio, ma se non è assurdo che Travaglio sia stato un impiegato del Cavaliere perché mai dovrebbe essere scandalosa la circostanza che Porro lo sia tuttora? Come si evince da tale racconto, pure io sono stato al soldo di Silvio, tuttavia, a differenza di Marco, non me ne vergogno giacché grazie a questo grande editore sono diventato ricco nonostante gli attacchi insensati dell'Ordine dei Giornalisti che perseguita me, dal momento che non sono di sinistra, e lascia in pace te perché sei integrato nel mucchio selvaggio. Per favore, giù le mani da Porro, capace di fare bene il suo mestiere.

Marco Travaglio e la macchina del fango contro il giudice Amedeo Franco: torna l’anima di Farinacci. Piero Sansonetti su Il Riformista il 4 Luglio 2020. Certo è proprio un ciuccio: gli spieghi le cose, chiare chiare, poi gli dici: “ripeti”, e lui ripete tutto sbagliato. Sto parlando di Marco Travaglio, l’avete capito, no? C’è un argomento che proprio non gli entra in testa (nemmeno con le martellate, diceva il mio maestro in quinta): il Diritto. Magari è anche preparato in altre materie, tipo la biografia di Berlusconi, la storia della famiglia Renzi da nonno Giuseppetto in giù, le formazioni del Torino dal 1947 (anche quella con Dennis Law), ma di questioni giuridiche e giudiziarie, niente. Manette, manette, manette, e basta. Tutto il resto lo trova troppo complicato. Così l’altro giorno, con grande gentilezza, gli avevamo spiegato che non è vero che il primo agosto del 2013 sarebbe scattata la prescrizione e il processo a Berlusconi per frode fiscale sarebbe morto lì, e che per questo motivo i giudici della Cassazione si spicciarono e scelsero la sezione feriale, che non sapeva niente in argomento, invece della sezione competente. Beh, tutto questo non è vero: la prescrizione non sarebbe scattata il primo agosto. Lui niente. Ieri ha fatto tutta intera, o quasi, la prima pagina del suo giornale polemizzando con noi e ripetendo la sciocchezza. Il primo agosto, il primo agosto! E ha pure pubblicato la foto di un foglio di carta, che viene dalla Corte d’Appello di Milano, con scritto: “Urgentissimo, la prescrizione scatta il primo agosto”. Lo conoscevamo anche noi, Marco, quel documento, ma era sbagliato. Tu non ci crederai, ma nei Palazzi di Giustizia spesso si commettono degli errori. Pensa che ogni giorno entrano in carcere alcune centinaia di innocenti (cioè persone che poi saranno prosciolte o assolte). E nessuno ne risponde. E nessuno si stupisce. Quello di sbagliare una data è l’errore più piccolo e indolore che si possa commettere. A me due mesi fa – dai, ti faccio ridere un po’…- mi hanno convocato per l’udienza preliminare di un processo e hanno scritto nello spazio riservato alla data: giugno 2020 ore 9. Giugno? E che faccio, vengo alle 9 tutte le mattine? Quando il mio avvocato gliel’ha fatto notare hanno rinviato tutto di 16 mesi. Vabbè. Dunque, Marco, ora cerca di capire bene: quel documento che ti hanno dato conteneva un errore. Era una sòla, dicono qui a Roma. Dell’errore, la sezione feriale che ha giudicato Berlusconi, peraltro, ha preso atto a inizio seduta. Capito? La prescrizione scattava in parte (e cioè per la parte del reato che riguardava l’anno fiscale 2002) il 25 agosto. Per un’altra parte del processo (quella che riguardava il 2003) scattava il 25 settembre dell’anno successivo. C’era tutto il tempo per giudicare tranquillamente Berlusconi per frode nella sezione competente. Ed è molto, molto probabile che la sezione competente, che sapeva di cosa si stava parlando, l’avrebbe assolto, giungendo alla stessa conclusione alla quale è giunto qualche mese fa il tribunale civile di Milano. Il tribunale civile di Milano, Marco, non è un pericoloso covo di libertari o di garantisti: è un serissimo tribunale della Repubblica. È entrato nel merito della vicenda, ha esaminato documenti e testimonianze e ha accertato che non ci fu nessun reato né da parte di Agrama né da parte di Berlusconi. Ora la questione vera, per un giornalista giudiziario, sarebbe questa: l’errore nel fissare la data della prescrizione, che determinò l’assegnazione del processo alla sezione feriale e di conseguenza la condanna di Berlusconi, fu un “errore di sbaglio” (come dicevamo sempre in quinta) o fu un errore voluto? Qualche manina si inventò forse quella data per evitare un processo giusto? Io, che sono un tipo pochissimo sospettoso, non ci credo. Tu magari, che in genere ai sospetti credi parecchio…Insomma, lo avrai capito: per difenderti dall’accusa – che peraltro molto gentilmente ti avevamo mosso – di avere scritto due balle, ne hai scritta una terza. Del resto non è difficile intuire, dal tono che ha assunto il tuo giornale, che in queste ore sei un po’ in difficoltà. È normale. Ho visto che hai scritto un editoriale sapido riferendoti ad alcuni fatti recenti: del 1994. In sostanza sostieni questa tesi: sì, magari su ‘sto fatto di Berlusconi ed Esposito abbiamo scritto un po’ di fregnacce, però 25 anni fa anche Feltri e Sallusti scrissero delle cose inesatte… Beh, è un argomento forte. Dopodiché c’è il colpo del maestro. Il linciaggio del giudice Amedeo Franco. Il tentativo di trovare cadaveri nel suo armadio, di accusarlo di cose orribili senza che possa difendersi, di demolirlo moralmente con l’idea che se riesci a riempire ben bene di fango una persona poi le sue parole valgono meno. Fin qui ho scritto scherzando un po’, perché poi io sono convinto che in fondo in fondo Marco Travaglio non sia molto istruito ma sia in buona fede. Ora però smetto di scherzare. Il metodo di riempire di fango, è vero, è il metodo tipico di forcaioli e anche di molti Pm d’assalto. Però finora non si era superato un certo limite. Con Amedeo Franco accusato di aver fatto operare una sua amica al seno, e contro il quale non esiste l’ombra dell’ombra di una condanna, o di una prova, o altro, si è superato il limite di tutti i limiti. Una fascistata in piena regola. Manganello, olio di ricino e Fatto. Torna sempre la stessa anima del giornalista: Farinacci.

Affaire Berlusconi, la lapidazione post-mortem delle toghe contro Amedeo Franco. Gian Domenico Caiazza su Il Riformista il 4 Luglio 2020. Che un giudice di Cassazione, relatore ed estensore di una sentenza confermativa della condanna, abbia voluto insistentemente incontrare l’imputato, per dirgli quanto ingiusta fu la sentenza da lui stesso scritta (ed in verità inusitatamente vergata da tutti i componenti del Collegio in ogni sua pagina), è obiettivamente un fatto anomalo ed eccezionale. Sono dunque legittime, ed anzi doverose, cautela e prudenza nella valutazione di questa vicenda molto, molto particolare. Ma pretendere che questa anomalia debba essere valutata solo nel senso che quel giudice, che certo ora non può più chiarire, fosse sotto ricatto, o altrimenti corrotto, e non anche che abbia potuto raccontare una clamorosa verità, è tipico della più testarda autoreferenzialità che connota ormai da tempo la voce politica della magistratura italiana. Lasciamo perdere il circo Barnum politico-mediatico che scatta appena pronunci le prime lettere della parola “Berlusconi”: si tratta di un circuito politico-editoriale che ha costruito le sue fortune su ogni possibile forma di colpevolezza del Cavaliere, non potremmo aspettarci altro. Ma è davvero sorprendente come i vertici politici della magistratura italiana non siano capaci di comprendere ciò che questa vicenda -i cui esatti termini saranno valutati da chi è funzionalmente deputato a farlo- evidenzia già in modo inequivocabile. E cioè che questa storia di una vicenda giudiziaria pesantemente orientata alla eliminazione politica di un protagonista della vita pubblica, nessuno ancora sa se sia vera, ma siamo tutti, ma proprio tutti certi che sia almeno verosimile. Non c’è una sola persona di buon senso, sia tra gli addetti ai lavori che tra la gente comune che, ascoltata la voce (spregiudicatamente registrata) di quel giudice da tutti apprezzato e stimato, possa sinceramente trasecolare di fronte al quadro ed al contesto politico-giudiziario che il giudice Franco ha delineato, e dire: ma di quale assurda follia costui sta parlando? È ben ovvio che il Presidente e gli altri componenti quel Collegio rivendichino orgogliosamente la piena correttezza, indipendenza e libertà del proprio operato; ed anche che l’Anm difenda, fino a prova contraria, la onorabilità di quei giudici. Ma intanto, anche il giudice Amedeo Franco ha diritto a veder rispettata la sua persona ed il tormento che egli dichiara averlo portato a compiere un gesto così inusitato e grave, prima di essere crocefisso e lapidato post mortem. E soprattutto, dalla voce politica della magistratura associata ti aspetteresti almeno qualche riflessione in più, nella consapevolezza del generale sentimento di verosimiglianza che suscita quel racconto, in attesa che ne sia appurata con certezza la verità. Cioè una riflessione sullo stato della credibilità della giurisdizione agli occhi della pubblica opinione, con particolare riferimento alle sue due connotazioni fondamentali: l’indipendenza dalla politica, e l’indipendenza della magistratura giudicante dalla magistratura inquirente (che è poi, se andiamo a stringere, il caso che ci occupa). Mi chiedo a chi possa essere utile ignorare con tanta iattanza la diffusa ed anzi crescente sfiducia della pubblica opinione, confermata senza eccezioni da ogni possibile sondaggio, nella tenuta di questi due requisiti fondativi della credibilità della giurisdizione. E invece, la presa di posizione inutilmente tonitruante di Anm sulla vicenda sembra né più né meno che la premessa in fatto delle querele già legittimamente annunciate dal Presidente di quel Collegio. Atteggiamento ancora più allarmante, viste le acque procellose nelle quali già da tempo naviga la magistratura italiana, e dalle quali non credo potrà trarsi in salvo né riducendo la cosiddetta “vicenda Palamara” ad un fenomeno di scarsa etica professionale di un gruppetto di magistrati deviati, né adoperandosi per quella che già si annuncia come la più gattopardesca ed inutile delle riforme ordinamentali. Naturalmente, non occorre per forza pensarla come noi penalisti. Noi, lo sapete, siamo persuasi che l’indipendenza politica e culturale della giurisdizione non possa e non debba essere rimessa né alle virtù etiche e professionali del singolo magistrato, né alla fantomatica “cultura della giurisdizione” (che è poi il minimo sindacale che devi pretendere da un magistrato). Quanto sia illusoria questa strada è oggi sotto gli occhi di tutti. Noi pensiamo che quella indipendenza debba essere scritta negli assetti ordinamentali: indipendenza della Magistratura dal potere esecutivo, indipendenza del Giudice dagli Uffici di Procura. Non siete d’accordo? Proponete delle alternative serie con le quali confrontarsi, ma abbandonate una volta per tutte abiure e faziosità, e soprattutto aprite gli occhi sulla realtà, ascoltate cosa pensa di voi la pubblica opinione, anche in parte ingiustamente ed ingenerosamente, come sempre accade tuttavia nel giudizio popolare. A noi sta a cuore la credibilità della giurisdizione almeno quanto sta a cuore a voi. Vogliamo che il nostro giudice non solo sia indipendente dalla Politica e dal peso condizionante della Pubblica Accusa, ma che soprattutto lo appaia, restandone garantito ed anzi blindato dall’assetto ordinamentale, perché nessuno possa mai dubitarne. La voce registrata del giudice Amedeo Franco racconta fatti la cui veridicità dovrà necessariamente essere accertata: ma se pensate che basti un fiume di indignazione e di ostentato stupore a renderla inverosimile, ho davvero l’impressione che stiate da tempo -come si suol dire- guardando un altro film.

Golpe contro il Cav, ira delle toghe "smascherate": adesso "processano" Franco. I giudici della Suprema Corte provano a difendersi dalle accuse: "Tutto è avvenuto nel pieno rispetto del giudice naturale precostituito per legge". Michele Di Lollo, Martedì 30/06/2020 su Il Giornale. I giudici provano a difendersi. Lo scoop de Il Riformista ha fatto rumore: Silvio Berlusconi vittima di un golpe giudiziario. E ora ci sono le prove. Nella serata di ieri, lunedì, sono state rese note le intercettazioni. Il direttore del quotidiano, Piero Sansonetti, ha partecipato alla puntata di Quarta Repubblica, che ha mandato in onda un servizio in cui il magistrato, Amedeo Franco, ora scomparso, diceva: "Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà, a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia. L’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto". Boom. Un rumore assordante, come un albero millenario che cade durante una tempesta. Il centrodestra unito ha gridato allo scandalo con Forza Italia impegnata in primo piano per richiedere la configurazione di una commissione parlamentare d’inchiesta su questi fatti. Ora, a quasi 24 ore, arrivano le scuse o meglio la difesa della Corte di Cassazione, protagonista nell’estate del 2013, della sentenza di condanna a Berlusconi per frode fiscale. "La motivazione della sentenza è stata sottoscritta da tutti e cinque i magistrati componenti del collegio, quali co-estensori della decisione", precisa in una nota la Cassazione, ripercorrendo le tappe del processo Mediaset, che nel 2013 si concluse con la condanna a quattro anni all’ex presidente del Consiglio. "Non risulta che il consigliere Amedeo Franco abbia formalizzato alcuna nota di dissenso". L’assegnazione del fascicolo del processo Mediaset alla sezione feriale avvenne nel pieno rispetto del giudice naturale precostituito per legge. "I ricorsi - si legge nella nota della Suprema Corte - vennero iscritti presso la cancelleria centrale della Corte il 9.7.2013, dopo l’arrivo del relativo carteggio dalla Corte di appello di Milano che in data 8.5.2013 aveva pronunciato la sentenza oggetto di impugnazione". Quindi, "in ragione della rilevata urgenza dovuta all’imminente scadenza del termine di prescrizione dei reati durante il periodo feriale - ricorda la Corte - il processo, in ossequio alle previsioni di cui alla legge n. 742 del 1969 e alle relative previsioni tabellari, venne assegnato alla sezione feriale. E quindi a un collegio già costituito in data anteriore all’arrivo del fascicolo alla Corte di Cassazione". Interviene sul punto anche l’Anm. I magistrati fanno quadrato. "Affermazioni gravissime che non soltanto attribuiscono gravi reati ai giudici autori della sentenza, ma attaccano violentemente e irresponsabilmente la Suprema Corte di Cassazione, pilastro della giurisdizione della Repubblica, e l’intero ordine giudiziario, accreditato come gruppo che opera fuori dalla legalita". La Giunta dell’Anm parla degli articoli di stampa e servizi televisivi che "hanno oggi fornito all’opinione pubblica una ricostruzione della vicenda processuale, sfociata nella condanna dell’allora senatore Berlusconi, basata su gravi e plurime distorsioni di dati di fatto, oltre che sull’utilizzo della registrazione delle presunte dichiarazioni di un ex magistrato, nel frattempo deceduto". "Alterando evidenti dati della realtà (la prescrizione era imminente, dal che l’assegnazione del processo alla sezione feriale. La decisione fu unanime e sottoscritta anche dal giudice poi intervistato, come risulta dal comunicato della Corte) - osservano i vertici dell’Anm - si attribuisce alla Corte di Cassazione e alla Magistratura intera un preordinato disegno di persecuzione di un imputato, disegno coerente con ordini superiori, individuati da taluno, in modo del tutto arbitrario, nella regia di componenti del Csm". Secondo il sindacato delle toghe, "si commenta da sé un tale metodo, che trascina nella contesa politico-mediatica una persona che non potrà smentire, precisare, spiegare tali pretese dichiarazioni, pur risultando il suo contributo processuale all'adozione della decisione e persino alla sua motivazione, da giudice esperto della materia oggetto del processo". I togati esprimono profonda vicinanza ai colleghi della Corte di Cassazione e respingono con fermezza attacchi che, ben lontani dall’essere legittime critiche a decisioni giudiziarie, muovono da un evidente intento di delegittimazione della giurisdizione. Poi continuano: "Il parallelismo col cosiddetto caso Palamara, che non ha evidenziato alcun uso strumentale della giurisdizione, bensì il diverso fenomeno delle indebite interferenze della politica, parlamentare ed associativa, nell’attività consiliare, è del tutto improprio. E risponde alla logica di travolgere ogni vicenda processuale da una generica accusa di parzialità del giudice, sempre più ricorrente in questi giorni proprio sulla base di analoghe, faziose operazioni mediatiche". Una macchinazione ordita per allontanare il Cav dal Parlamento? Ora arriva la difesa della Cassazione e "l'arrocco" dell'Anm. Ma le parole di Franco pesano come un macigno sulla credibilità di una parte della Giustizia. 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Silvio Berlusconi, Ernesto Lupo: "Franco provò a dirmelo, ma cambiai discorso. E su Napolitano..." Libero Quotidiano il 02 luglio 2020. Nella registrazione della conversazione tra Silvio Berlusconi e Amedeo Franco, il giudice sosteneva che anche l’allora presidente Giorgio Napolitano aveva definito la sentenza Mediaset “una porcheria”. “Con me non ha mai usato quel termine - svela al Corriere della Sera Ernesto Lupo, che dal 2010 al 2013 è stato presidente della Cassazione -. Franco diceva che stava male per le polemiche sulla decisione. Comunque con il presidente (del quale era consigliere per gli affari di giustizia, ndr) non abbiamo mai parlato della sentenza. Seguivamo quello che succedeva. Era un fatto politico importante”. Lupo chiarisce anche il passaggio dell’audio che lo riguarda, quello in cui Franco riferisce a Berlusconi che tentò di dire che la sentenza era una “porcheria” anche a Lupo, il quale però lasciò cadere: “Sì, ma c’è un motivo - spiega l’ex presidente della Cassazione - la camera di consiglio è segreta. Sarebbe stata una scorrettezza grave per lui violare quel segreto e anche per me se lo avessi indotto a farlo. E la mia correttezza è famosa. Per questo cambiavo argomento e tornavo sul motivo delle chiamate ripetute: la sua promozione”. Secondo Lupo, il giudice Franco telefonava infatti per lamentarsi del fatto che “il Csm non voleva promuoverlo presidente di sezione e chiedeva a me, che avevo lavorato con lui per 5 anni, di testimoniare che era tecnicamente preparato”. 

Audio Berlusconi, Lupo: «Sì, il giudice Franco provò a parlarmi della sentenza. Ma lo fermai». Virginia Piccolillo l'1 luglio 2020 su Il Corriere della Sera. Parla l’ex primo presidente di Cassazione: ma se Franco era in disaccordo poteva non firmare. «Si aspetta la morte di una persona per tirar fuori sue dichiarazioni di cui non potrà più rendere conto. Siamo all’inciviltà più totale». Ernesto Lupo, 82 anni, fu primo presidente della Cassazione dal 2010 al 12 maggio 2013. Tre mesi prima che Silvio Berlusconi venisse condannato dalla Suprema Corte per frode fiscale, andò in pensione. Nel giugno il presidente Giorgio Napolitano lo volle consigliere per gli Affari di Giustizia. Era al Quirinale quando Amedeo Franco, relatore pentito della sentenza Mediaset, non sapendo di essere registrato dallo staff di Berlusconi si lamentò col Cavaliere della sentenza «porcheria» e del collega, al Quirinale, che non aveva voluto ascoltare il suo turbamento. Ed è «molto seccato».

Di cosa?

«Mi trovo in seria difficoltà. Perché non posso dire nulla».

Perché?

«Perché Amedeo Franco è morto. E non posso più fornire il riscontro a ciò che dico».

Ma è vero che Franco la chiamò per lamentarsi della «condanna a priori»?

«Telefonava per tutt’altro».

Ovvero?

«Si lamentava che il Csm non voleva promuoverlo presidente di sezione e chiedeva a me, che avevo lavorato con lui per 5 anni, di testimoniare che era tecnicamente preparato».

E lo era?

«Molto. Lavorava tanto e bene. Era preciso, pignolo».

Nella registrazione si sente invece Franco riferire a Berlusconi che tentò di dirle che la sentenza era una «porcheria», ma lei lasciò cadere. È così?

«Sì. Ma c’è un motivo».

Quale?

«La camera di consiglio è segreta. Sarebbe stata una scorrettezza grave per lui violare quel segreto e anche per me se lo avessi indotto a farlo. E la mia correttezza è famosa. Per questo cambiavo argomento e tornavo sul motivo delle chiamate ripetute: la sua promozione. Non per sviare».

Assegnò lei il processo alla sezione feriale?

«No, avevo già lasciato il mio posto a Santacroce».

Si meravigliò di quella scelta che secondo Franco fu voluta «dall’alto» per sottrarre Berlusconi al suo giudice, la terza sezione penale?

«No,i processi per cui la prescrizione è imminente si assegnano sempre alla sezione feriale».

Ma non è affidata agli ultimi arrivati, «ragazzini», come diceva Franco?

«Dipende. Cambia di anno in anno. Può essere che in quell’anno lo fosse. Io avevo lasciato e non sono in grado di dire chi vi partecipasse».

Non fu lei a suggerirlo, come sostiene Berlusconi in quel colloquio?

«Addirittura? (ride) Questa è davvero è una barzelletta! E come? A maggio, quando ci fu l’assegnazione, ero a casa pensionato. Non avevo più contatti. Non avevo neanche un ufficio. Al Quirinale venni chiamato a giugno».

Franco ipotizza che fu «riaperto tutto e cambiata la sentenza». È possibile?

«Che significa? Il collegio si riunisce lì e decide. Dovrei sentire esattamente il testo. Ma se lui non era d’accordo avrebbe potuto non firmare la sentenza».

Dice anche che il presidente Napolitano sapeva che quella sentenza era «una porcheria». È così?

«Con me non ha mai usato quel termine. Franco diceva che stava male per le polemiche sulla decisione. Comunque con il Presidente non abbiamo mai parlato della sentenza. Seguivamo quello che succedeva. Era un fatto politico importante. Poi il professor Coppi mi telefonò per parlare della possibilità di Grazia e della sua procedura. Dissi che bisognava esaminare la domanda. Non mi ricordo nemmeno se fu presentata».

C’è chi ritiene il colloquio con Berlusconi un’anomalia. Lei?

«E certo! Non è che il giudice parla con l’imputato, sia pure dopo la sentenza, e dice che quella che ha firmato è una schifezza. Se Franco fosse vivo io per primo lo interpellerei su questo. Invece mi è impedito dalla tardività delle rivelazioni. Una cosa veramente assurda».

Antonio Esposito e le sentenze pilotate contro Berlusconi: "Il vero fatto grave è che il giudice Amedeo Franco abbia parlato con lui". Libero Quotidiano l'1 luglio 2020. Smentisce tutto, Antonio Esposito, e minaccia querele. Sceglie ovviamente il Fatto quotidiano, di cui è editorialista, per difendersi. Il giudice di Cassazione che condannò Silvio Berlusconi per frode fiscale nel 2013 nel processo Mediaset Agrama è tirato pesantemente in ballo dal collega Amedeo Franco, morto nel 2019: Franco nel 2013 era relatore, Esposito il presidente di sezione, e quella sentenza sarebbe stata "pilotata dall'alto". Il Cav "incastrato", insomma, da toghe e politica, con Esposito "pressato" perché nel frattempo suo figlio era invischiato in una storia di droga. "Falso. Mio figlio non è mai stato coinvolto in storie di droga. E io non sono stato 'pressato' da nessuno. Se Franco è giunto al punto di inventarsi una circostanza mia avvenuta, di fronte al soggetto che lui stesso aveva condannato, è lecito chiedersi il perché", spiega Esposito rovesciando le accuse su Franco, la cui intercettazione ambientale (pubblicata dal Riformista) risale proprio al 2013, quando decise di sfogarsi e sgravarsi la coscienza per quello "schifo" proprio con Berlusconi, alla presenza di testimoni. "Chiariamo subito un fatto: la decisione di confermare la sentenza d'appello è stata presa da un collegio di cinque giudici. Il collega Amedeo Franco era il giudice relatore e, come tutti noi, non solo ha discusso il caso, ha accettato la sentenza di cui è stato anche estensore insieme agli altri componenti, e ne ha anche approvato la motivazione, in tutte le sue parti, firmando ogni pagina - sottolinea Esposito -. A distanza di sette anni si continua a provare a delegittimare una sentenza passata in giudicato, dopo che 11 magistrati hanno convenuto sulla responsabilità di Berlusconi, prendendomi di mira in quanto presidente del collegio. Io invece mi chiedo perché il relatore senta il bisogno di incontrare il suo imputato per giustificarsi dell'esito del processo. Ritengo che sia questo il vero fatto gravissimo e inquietante di tutta la vicenda. E mi devo chiedere: dove avvenne quell'incontro, o quegli incontri? Quando? In che circostanze? Da chi fu sollecitato?". Quella registrazione "potrebbe anche essere stata concordata; una cosa è certa: che si è aspettato la sua morte per divulgare il contenuto della registrazione, rendendo impossibile contestare al giudice Franco la falsità delle affermazioni". 

Sentenza Berlusconi, attacco frontale dell’Anm al Riformista: “Solo noi possiamo distribuire intercettazioni”. Piero Sansonetti su Il Riformista l'1 Luglio 2020. Ho sentito centinaia di volte, centinaia di politici, inquisiti, ripetere la stessa frase: «Ho piena fiducia nella magistratura». Beh, spero di non doverla più sentire. È una frase insensata. Insensata da sempre, secondo me; sicuramente da quando è scoppiato il caso Palamara e ancor più sicuramente ora che si è saputo che la sentenza di condanna di Silvio Berlusconi del 2013 era una sentenza sbagliata e forse pilotata. Perché mai qualcuno dovrebbe avere piena fiducia nella magistratura organizzata per correnti, dove i Procuratori sono scelti non per meriti ma per appartenenza a correnti e camarille, dove il potere dei Pm sui magistrati giudicanti è quasi assoluto, dove le sentenze rispondono a criteri lontanissimi da quello dell’accertamento della verità. Perché qualcuno dovrebbe avere fiducia in una magistratura che funziona così? Al massimo una persona inquisita potrebbe dichiarare: «Ho una certa speranza di capitare nelle mani di qualche giudice onesto». Esistono i giudici onesti, non c’è dubbio. Persino esistono i Pm onesti. Purtroppo non sono tantissimi, e auguro a chiunque dovesse finire sotto processo (compreso me stesso che son stato processato e lo sarò di nuovo almeno altre tre volte su querela di magistrati famosi) di trovare uno di questi giudici o Pm. Mi ricordo quella famosa frase pronunciata da Enzo Tortora a conclusione del processo d’appello contro di lui. Disse, rivolto alla Corte: «Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi». Ebbe fortuna, Tortora: i giudici erano innocenti e non avevano niente a che fare coi giudici istruttori e i Pm che lo avevano perseguitato (non perseguito: perseguitato). Fu assolto. Ieri sera l’Anm ha diffuso un comunicato di attacco frontale alla stampa indipendente. In particolare, credo, al Riformista. Non ha importanza se l’Anm è una associazione, probabilmente illegale, che riunisce correnti e gruppi di potere che, violando tutti i giorni la Costituzione, si spartiscono Procure e Tribunali. Voglio rispondere lo stesso a questo comunicato. Prima accusa dell’Anm: «Utilizzo della registrazione delle presunte dichiarazioni di un ex magistrato nel frattempo deceduto». Viene un po’ da ridere. L’Anm, che è l’associazione dei magistrati che da trent’anni, in modo illegale, distribuiscono brandelli di intercettazioni ai giornalisti, impedendo qualunque verifica, spiegazione, interpretazione, risposta, si indigna perché vengono pubblicate – legittimissimamente – le registrazioni di un colloquio tra un ex imputato e un giudice indignato. Bisogna veramente avere la faccia come…beh, lasciamo stare. Seconda accusa: «Alterando evidenti dati di realtà (la prescrizione era imminente, dal che l’assegnazione del processo alla sezione feriale)». Innanzitutto è una pura menzogna. La prescrizione sarebbe scattata dopo 55 giorni per una parte del reato e dopo un anno e 55 giorni per un’altra parte. Si poteva tranquillamente aspettare settembre. L’Anm dà nel suo comunicato una notizia non vera. Forse perché sono ignoranti, forse perché vogliono esserlo. Non è una bella cosa.  In secondo luogo vorrei capire questo: se c’è una prescrizione imminente lo Stato di Diritto suggerisce il processo sommario? Il principio “pro reo”, che vige da un po’ meno di 2500 anni, è scomparso da quando esistono le correnti nella magistratura? Terza accusa: «Si attribuisce alla Corte di Cassazione e alla Magistratura intera un preordinato disegno di persecuzione di un imputato». Falso. È evidente che il disegno di persecuzione viene attribuito a un pezzetto di magistratura. E a un pezzetto della Cassazione. Tanto è vero che si protesta per l’assegnazione del processo a una sezione non competente. Tutti immaginano che se fosse stata assegnata a una sezione competente, cioè al giudice naturale, la sentenza sarebbe stata di assoluzione. La sentenza della Cassazione è arrivata due mesi e mezzo dopo la sentenza di appello. Questo tempo è in media con i tempi delle sentenze di Cassazione? Di solito passano meno di due mesi tra appello e Cassazione? Poi ci sono altre due contestazioni, nel comunicato dei Pm. La prima è la condanna dell’attacco «violento e irresponsabile alla Suprema Corte di Cassazione, pilastro della giurisdizione della Repubblica». Il secondo è la negazione di un collegamento tra questo caso e il caso Palamara che – secondo l’Anm – riguarderebbe solo le relazioni improprie tra pochi magistrati e politica. E così apprendiamo che dire «apriremo il Parlamento come una scatola di tonno» non è una cosa grave, perché il Parlamento non è un pilastro della Repubblica ma anzi – come pensa, credo, l’ex capo Anm Davigo, una accolita di ladri che l’hanno fatta franca. La Cassazione invece è incriticabile. Come era anche il governo ai tempi di Mussolini. E quindi immaginiamo, è stato molto grave, appena un anno fa, chiedere le dimissioni del Procuratore generale coinvolto – appunto – nel caso Palamara. Fu un atto eversivo, se capisco bene. E apprendiamo anche che il caso Palamara è importante solo perché qualcuno aveva parlato con Lotti, mentre il fatto, per esempio, che si barattassero le nomine dei Procuratori e che Pm e giudici – magari nello stesso processo – andassero a cena insieme, è un fatto di nessuna rilevanza. Gran parte del comunicato dell’Anm sembra copiato dall’articolo pubblicato dal Fatto online, che interviene giustamente a difesa del suo editorialista, cioè del giudice Esposito (non ci credete? Beh, invece è così: il giudice che ha condannato Berlusconi è un editorialista del Fatto Quotidiano. Una roba tipo Corea del Nord…).

Nicola Porro contro Repubblica: "Neppure una riga sull'audio del magistrato su Berlusconi". Libero Quotidiano l'1 luglio 2020. Nicola Porro nella sua Zuppa di Porro affronta le reazioni dell’opinione pubblica sul caso di Silvio Berlusconi. Condannato nel 2013 per frode fiscale, il Cav a distanza di sette anni viene scagionato dal magistrato Franco, che in una registrazione audio parla di “plotone d’esecuzione” nonostante fosse stato proprio lui a scrivere la sentenza contro l’ex premier. Porro si sofferma soprattutto sulla reazione de La Repubblica: “È stata il vero partito che ha condannato Berlusconi dal punto di vista mediatico, ma in prima pagina ha trovato lo spazio per il Cirque du Soleil in bancarotta ma non ha dedicato neanche una riga al fatto che un magistrato ha detto che la sentenza Mediaset è stata un plotone d’esecuzione. Eppure - chiosa Porro - è un giornale di politica…”. Il giornalista di Rete 4 punta il dito anche contro Marco Travaglio, definito il portavoce di Conte, del M5s e del ministro della Giustizia: “Non può che dileggiare i giornalisti che hanno fatto lo scoop, sono nella sua lista dei totalmente inattendibili”. 

Sentenza Berlusconi pilotata, analisi social dello scoop del Riformista. Redazione su Il Riformista il 1 Luglio 2020. Il Riformista è stato protagonista del dibattito social degli ultimi giorni grazie allo scoop sulla sentenza che condannò Berlusconi per evasione fiscale che trae origine dalla registrazione del magistrato Amedeo Franco nella quale parlava di una sentenza già scritta in anticipo. In un momento dove è emerso lo scandalo di Magistratopoli, la notizia del complotto di alcuni magistrati ordita ai danni del fondatore di Forza Italia ha dell’incredibile. L’audio del giudice Amedeo Franco, diffuso dal direttore Piero Sansonetti, è oramai di dominio pubblico e sono tante le polemiche sfociate dopo l’intervento del direttore del Riformista nella trasmissione Quarta Repubblica di Nicola Porro. Ed ecco, come rilevato dal data journalist Livio Varriale, che si è acceso il dibattito su Twitter e ha generato in un solo giorno 8.500 tweets circa con 95.997 like, 26.396 condivisioni, 13.278 risposte e 2.168 citazioni di tweets. Un numero impegnativo se consideriamo che l’analisi è stata svolta dalle 21 del 30 giugno fino alle 12 del 1 luglio sulle seguenti parole chiave: Quarta Repubblica, Riformista, Sansonetti e Berlusconi. A regnare nella classifica dei consensi con il numero di like raccolti dal pubblico figurano Matteo Salvini, Quarta Repubblica, Guido Crosetto, Vittorio Feltri, Daniele Capezzone e Piero Sansonetti. Da notare come la ‘stampa di destra’ sia stata notevolmente impegnata nel diffondere la notizia, ma quello che sorprende è l’unica presenza nella top 20 di un politico di Forza Italia e precisamente Antonio Tajani.

Gli Argomenti più discussi. Nella classifica degli argomenti più utilizzati per monitorare la vicenda figurano in testa #quartarepubblica che ha dato la notizia con ospite il direttore Sansonetti, #berlusconi #salvini #drittorovescio che si è inserita nel dibattito il giorno dopo e #magistratura. L’hashtag veritaperberlusconi ha raccolto più citazioni della stessa forzaitalia.

Menzioni. I profili più menzionati nel dibattito pubblico sulla sentenza di condanna per Berlusconi sono stati quello di Quarta Repubblica, Berlusconi, Salvini, Porro e Capezzone con al seguito Giorgia Meloni, Forza Italia e Piero Sansonetti.

I più commentati. Ad aver ricevuto più commenti di tutti troviamo Quarta Repubblica, Guido Crosetto e Piero Sansonetti. La presenza del Fatto Quotidiano in quinta posizione dopo Salvini, fa comprendere che i commenti ricevuti dal giornale di Travaglio non sono stati molto teneri. Antonio Tajani e Nicola Porro precedono Silvio Berlusconi.

I più condivisi. Nella classifica dei più condivisi dal pubblico troviamo Guido Crosetto, Matteo Salvini e Piero Sansonetti. Presente anche il Riformista e figura anche Giulio Occhionero autore di battaglie personali che viaggiano parallelamente con Magistratopoli per via dell’inchiesta Eye Pyramid che l’ha coinvolto con una condanna in primo grado ed ha generato una serie di ricorsi contro molti PM chiacchierati nello scandalo Palamara.

Le città più connesse. Le città italiane più attive nel commentare la notizia sono state Roma, Milano, Torino e Como. Taranto è la prima città del sud a cui segue più in basso Napoli.

Sentenza Berlusconi pilotata: Pd tace, Iv chiede chiarezza. M5S in imbarazzo. Angela Stella su Il Riformista l'1 Luglio 2020. Il giorno dopo lo scoop del nostro giornale sull’audio del magistrato Amedeo Franco, relatore in Cassazione nel processo Mediaset nel quale Silvio Berlusconi fu condannato nel 2013, non si sono lasciate attendere numerose reazioni politiche, soprattutto del centro-destra; mentre gli unici a farsi sentire nella maggioranza del Conte bis sono stati quelli di Italia Viva. Forza Italia ha ovviamente intrapreso ieri un’iniziativa forte, chiedendo nel corso di una conferenza stampa al Senato l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare. «Chiediamo – ha affermato il vicepresidente del partito Antonio Tajani – che ci sia una commissione parlamentare di inchiesta per accertare tutte le disfunzioni del sistema giudiziario nel nostro Paese, compresa la vicenda che ha portato alla condanna di Berlusconi. Vorremmo sapere – ha continuato – chi è che ha pilotato questa sentenza. Una sentenza che ha provocato danni enormi al Paese e alla democrazia, ha condannato di fatto un innocente. È stato un vero e proprio colpo di Stato giudiziario». Ha parlato invece di golpe l’onorevole di FI Stefania Prestigiacomo: «Solo adesso, dopo sette anni, emerge finalmente la verità che noi di Forza Italia abbiamo gridato e siamo stati accusati di essere eversivi perché denunciavamo una strategia politico-giudiziaria contro Berlusconi. Ai danni del presidente Berlusconi e delle istituzioni del nostro Paese è stato ordito un golpe». Intanto da ieri sui social i forzisti stanno spingendo gli hashtag #veritaperBerlusconi e #nousopoliticogiustizia dopo che in Aula della Camera avevano issato dei cartelli in solidarietà al loro leader politico, portando alla breve sospensione della seduta. Per la capogruppo di FI al Senato Anna Maria Bernini, «Berlusconi dovrebbe essere subito nominato senatore a vita, e non basterebbe come risarcimento. Berlusconi è un gigante, sarebbe una parte di riabilitazione che gli è dovuta». Per l’onorevole di FI Mara Carfagna, vicepresidente della Camera, «adesso è necessario che emerga tutta la verità per tutelare il giudizio storico sulla persona e su un leader politico che ha dato tanto al Paese, ma anche tutti i cittadini che hanno a che fare con la giustizia e i tanti magistrati che compiono il loro dovere in maniera integerrima». All’indignazione del gruppo dirigente azzurro si è aggiunta quella della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, per la quale «quello che è stato documentato da Quarta Repubblica sulla sentenza di condanna di Silvio Berlusconi è l’ennesima prova che in Italia esiste un pezzo di magistratura che fa politica e attacca avversari politici, invece di cercare la giustizia e dare risposte ai cittadini. Fa rabbrividire – ha proseguito – l’idea che la legge non sia uguale per tutti e che ci siano giudici che utilizzino il loro potere per colpire qualcuno”. Per il leader leghista Matteo Salvini «dopo le intercettazioni di Palamara contro il sottoscritto, spunta un altro audio di un magistrato che ammette l’uso politico della Giustizia: solidarietà a Silvio Berlusconi per il processo farsa di cui è stato vittima. È l’ennesimo episodio che ci ricorda la necessità di una riforma profonda». Ma perplessità e preoccupazioni rispetto alla vicenda sono state partecipate anche se con cautela dal leader di Italia Viva Matteo Renzi, da tempo in pressing sul governo per una riforma della giustizia, soprattutto dopo la vicenda Palamara: «Non so quanto ci sia di vero in ciò che è uscito a Quarta Repubblica: un magistrato della Cassazione che ha firmato quella sentenza espone dubbi molto forti sulla fondatezza giuridica di quella decisione. Non so dove sia la verità ma so che un Paese serio su una vicenda del genere – legata a un ex Presidente del Consiglio – non può far finta di nulla. Non ho mai appoggiato i Governi Berlusconi e Berlusconi non ha mai votato la fiducia al Governo Renzi (a differenza di altri governi anche di centrosinistra): quindi, per me Berlusconi è un avversario politico. Ma, proprio per questo, è doveroso fare chiarezza su ciò che esce dagli audio di quella trasmissione e nessuno può permettersi il lusso di far finta di niente». Un lusso che sembra si stiano concedendo quelli del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle che hanno deciso di tacere su una questione così spinosa, almeno fino al momento in cui chiudiamo questo giornale. Invece Roberto Giachetti ha annunciato che firmerà “a titolo personale” la proposta di legge di Forza Italia per l’istituzione di una Commissione di inchiesta sull’uso politico della giustizia negli ultimi 25 anni. D’accordo sulla commissione di inchiesta anche il gruppo Cambiamo! con Toti, Benigni, Gagliardi, Pedrazzini, Sorte e Silli che in una nota scrivono: «Ora è il momento di sapere se la giustizia è sempre stata ligia alle regole o ha deviato per interessi differenti. Siamo d’accordo sulla costituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare che faccia luce sulle ombre di quanto accaduto negli ultimi decenni, chi ha sbagliato risponda per gli errori commessi: è l’occasione per una riforma del sistema giudiziario che il Paese aspetta da anni». «Sono sempre stato sorpreso da quella sentenza. Una decisione che andava contro la giurisprudenza» è stato invece il commento dell’avvocato Franco Coppi, uno dei difensori di Silvio Berlusconi.

Il complotto contro Berlusconi e il silenzio colpevole di 5s e Pd. Il governo giallorosso, con l'eccezione di Italia Viva, tace sul golpe giudiziario del 2013 contro Silvio Berlusconi. Perché? Alberto Giorgi, Martedì 30/06/2020 su Il Giornale. Nel giorno in cui scoppia e fa tanto rumore il caso politico e giudiziario dell’audio del magistrato Amedeo Franco, relatore in Cassazione nel processo Mediaset nel quale Silvio Berlusconi fu condannato nel 2013 – condanna che sancì in seguito nel suo allontanamento dal Parlamento – stride il silenzio del governo giallorosso. Già, perché la maggioranza del Conte-bis, eccezion fatta per Italia Viva, non commenta quella che è una vicenda spinosissima, che merita di essere approfondita. Forza Italia quest’oggi ha protestato veementemente, sia con uno striscione in aula, sia con una conferenza stampa degli esponenti di punta del partito: Antonio Tajani, Anna Maria Bernini e Mariastella Gelmini, infatti, hanno invocato una commissione d’inchiesta parlamentare per fare lumi sul caso. Un caso che non può ora finire in soffitta. Il centrodestra si è stretto attorno al Cavaliere e sia Fratelli d’Italia e la Lega hanno espresso solidarietà all’ex tre volte premier, gridando allo scandalo. E non può essere definito altrimenti il contenuto dell’intercettazione ambientale del togato, portata a galla da Il Riformista di Piero Sansonetti e rilanciata da Quarta Repubblica. "Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà, a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia. L’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto. In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso, ci continuo a pensare. Non mi libero. Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo", diceva il magistrato. Ecco, a quanto pare per i giallorossi tali parole non meritano neanche un commento. Infatti l’unico che ha commentato il fattaccio è stato per il momento Matteo Renzi. Luigi Di Maio? Vito Crimi? Nicola Zingaretti? Niente di niente, da Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, neanche una parola. Perché? "Ieri Nicola Porro ha trasmesso uno scoop sul processo a Berlusconi. Non so quanto ci sia di vero in ciò che ieri è uscito a Quarta Repubblica: un magistrato della Cassazione che ha firmato quella sentenza espone dubbi molto forti sulla fondatezza giuridica di quella decisione. Non so dove sia la verità ma so che un Paese serio su una vicenda del genere - legata a un ex Presidente del Consiglio - non può far finta di nulla", invece le parole del leader di Italia Viva, che ha infine concluso: "Non ho mai appoggiato i Governi Berlusconi e Berlusconi non ha mai votato la fiducia al Governo Renzi (a differenza di altri governi anche di centrosinistra): quindi, per me Berlusconi è un avversario politico. Ma, proprio per questo, è doveroso fare chiarezza su ciò che esce dagli audio di quella trasmissione e nessuno può permettersi il lusso di far finta di niente".

Quando Di Battista voleva il sangue di Berlusconi. Deborah Bergamini su Il Riformista il 2 Luglio 2020. «La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore”, disse Malcolm X. Ebbene rinfrescarla è un dovere per contrastare chi la Storia vorrebbe ribaltarla». Queste sono le premesse con cui il passionario grillino, Alessandro Di Battista, introduce una serie di accuse infamanti ai danni di Silvio Berlusconi. Non entrerò nel merito delle accuse a Berlusconi perché non spetta a me né a Di Battista il ruolo di giudice del popolo. Ciò che però occorre ricordare, per contestualizzare al meglio le parole di Di Battista, è ricordare una vicenda che riguarda direttamente il grillino e che fino ad oggi non era mai venuta alla luce. Era il 9 novembre 2011 e di lì a poco Berlusconi si sarebbe dimesso. L’Italia era sotto l’attacco della finanza internazionale nonostante i fondamentali dell’economia fossero migliori di oggi, lo spread era alle stelle, e Mario Monti veniva nominato senatore a vita. In quel periodo il grillino Di Battista viaggiava per il Sud America occupandosi dell’impatto sulla popolazione dei progetti Enel in Cile e Guatemala e sempre nel 2011 iniziava a collaborare con il blog di Grillo. Alle 21:10 del 9 novembre 2011, una signora di nome Eva Aymerich Mas, scrive sul profilo Facebook del pentastellato: «Alessandro, se va Berlusconi!!!!!» (Alessandro, se ne va Berlusconi!!!). La risposta che Di Battista dà alla signora Eva di lì a poco è agghiacciante: «si pero el problema es el sistema…se habla de amato, viejo ladron hijo de puta que pagava craxi con la plata de berlusconi! estamos jodidos… la sangre es la solucion!» (Sì ma il problema è il sistema…si parla di Amato, vecchio ladrone figlio di puttana che pagava Craxi con i soldi di Berlusconi! Siamo fregati…il SANGUE è la soluzione!). “Il sangue è la soluzione” per il grillino. E se grazie al cielo non si sono registrati versamenti di sangue nel nostro Paese, viene da chiedersi cosa fosse disposto a fare l’esponente del Movimento per far arrivare i 5 Stelle al potere. Chi pensa che il sangue sia la soluzione non dovrebbe avere problemi a considerare come una soluzione più che legittima il sostegno economico di dittature straniere o il supporto tecnologico e logistico di altri Stati. Il Di Battista che ieri inneggiava al sangue è lo stesso che oggi accosta Berlusconi a Cosa Nostra senza menzionare che i governi presieduti dal presidente di Forza Italia ottennero risultati strepitosi nella lotta alla mafia. Dal 2008 al 2011 vennero arrestati mediamente 8 mafiosi al giorno (un record), vennero presi quasi tutti i superlatitanti e vennero sequestrati e confiscati beni per oltre 25 miliardi di euro. Il successo di Berlusconi nella lotta alla mafia fu così evidente che nel 2012 il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, dichiarò pubblicamente (ci sono le registrazioni) che il governo Berlusconi meritava “un premio speciale” per la lotta alla criminalità organizzata. Ecco: oggi che la vicenda dell’esclusione politica per via giudiziaria di Berlusconi emerge in tutta la sua forza, le parole di Di Battista sull’importanza della storia sono un monito per tutti quegli italiani che hanno sempre saputo quale ingiustizia si fosse consumata ai danni di Berlusconi, ma ancora di più ai danni della democrazia italiana. Malcom X aveva ragione: «La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore». E Il Riformista continuerà a battersi per far sì che la verità storica, politica e giudiziaria venga alla luce.

Così la sinistra pianificò l'assalto al Cavaliere. Era l'estate di sette anni fa, quella del 2013, e in un pomeriggio afoso, la berlina presidenziale, si fermò davanti al civico di via Bruno Buozzi ai Parioli, dove ha lo studio il noto penalista, Franco Coppi, che assisteva Silvio Berlusconi. Augusto Minzolini, Mercoledì 01/07/2020 su Il Giornale. Era l'estate di sette anni fa, quella del 2013, e in un pomeriggio afoso, nella Roma agostana semideserta, la berlina presidenziale, con al seguito auto di scorta e corazzieri motociclisti, si fermò davanti al civico di via Bruno Buozzi ai Parioli, dove ha lo studio il noto penalista, Franco Coppi, che assisteva Silvio Berlusconi nel processo per frode fiscale in cui è stato condannato e che provocò la sua decadenza da senatore. Erano le giornate che seguirono la sentenza. Dall'auto scese proprio l'allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che salì al piano dello studio del principe del Foro. L'argomento da trattare era alquanto delicato: l'ipotesi della grazia per l'ex premier e leader di Forza Italia, nonché in quel momento uno dei garanti del governo di Enrico Letta. Ci fu una discussione in punta di diritto tra il presidente e il legale, addirittura fu esaminato anche il testo di una possibile richiesta di grazia. Ma già in quell'occasione si materializzò un macigno, che avrebbe bloccato la trattativa: Napolitano era pronto a concedere la grazia, ma pretendeva da Berlusconi un ritiro ufficiale dalla politica. Così quel provvedimento di clemenza che, normalmente, è esaminato sulla base di una valutazione giuridica, fu analizzato con le logiche della politica e presentato con le sembianze di una resa. Più o meno come il «vae victis», il guai ai vinti, pronunciato da Brenno ai romani sconfitti. Di fatto, una parola «fine» sulla presenza del Cav nella vita pubblica del Paese, naturalmente, per «disdoro», che l'ex premier, per storia e per carattere, non avrebbe mai potuto accettare. Tanto che, come Marco Furio Camillo si ribellò ai barbari, Berlusconi si oppose a quella fine ingloriosa, una vera e propria pietra tombale per silenziare la congiura di cui era stato vittima, e preferì alla fine scontare la pena ai servizi sociali come volontario a Cesano Boscone. Forse per capire quanto avvenne sette anni fa, prendendo a prestito il metodo «induttivo» della filosofia antica, bisogna proprio partire da qui, da questa singolare trattativa, tra un capo dello Stato, che avrebbe dovuto essere il garante nello scontro tra «politica» e giustizia e, invece, si rivelò come il capo di una delle fazioni in campo. Perché in quell'occasione, la giustizia per come è amministrata nel Belpaese, si rivelò nella realtà per ciò che era: l'arma con cui si combatte la politica in Italia. Solo così si può capire perché un provvedimento di clemenza sia stato utilizzato come strumento di pressione nel tentativo di strappare al «nemico» una dichiarazione di resa incondizionata. In questa luce si comprendono meglio anche le dichiarazioni del giudice Amedeo Franco, relatore nel giudizio di Cassazione contro l'ex premier, contenute in una registrazione resa nota dal Riformista, in cui il personaggio parla «di sentenza che faceva schifo... di vicenda guidata dall'alto». Del resto questo fu l'epilogo di una guerra iniziata molti anni prima, con l'«operazione» che portò alla crisi del governo Berlusconi, argomento di una ricca bibliografia internazionale (basta leggere gli scritti dell'ex segretario di Stato di Obama, Timothy Geithner, o dell'ex premier spagnolo Zapatero). Ma a parte le cancellerie europee, le grandi lobby, la vera battaglia, la guerra, fu combattuta nelle procure e nelle aule dei tribunali. Berlusconi, infatti, è stato il bersaglio più illustre di quel triangolo delle Bermuda - che mette insieme il carrierismo dei magistrati, la politica e i processi, simbolizzato dal Csm che ingoia le sue vittime, insieme allo Stato di diritto e alla democrazia. Un meccanismo che va avanti da quarant'anni e che solo oggi ha portato Ernesto Galli della Loggia a puntare l'indice contro le logiche politiche della magistratura o il dott. Luca Palamara, appena espulso dall'Anm, ad esprimere qualche dubbio sulla correttezza dei processi al Cav: «È un tema da approfondire». Perché si può pensarla come si vuole ma la Storia politica del nostro Paese negli ultimi trent'anni è stata cadenzata da avvisi di garanzia, Pm, azzeccagarbugli, processi e sentenze. Ed è un conto essere sconfitti in guerra come Napoleone a Waterloo e da un Referendum come il Re d'Italia, un altro da carte bollate, toghe e sentenze: questo avviene solo nei regimi, comunisti o fascisti poco importa. Un «triangolo» che dà luogo ad una perversione: un pezzo di politica utilizza un pezzo di magistratura, e viceversa, per governare o condizionare il Paese. Una verità, a questo punto, talmente plateale, per cui anche la Commissione d'inchiesta sull'uso politico della giustizia avrebbe un compito facile, visto che c'è ben poco da scavare. «C'è già la prova osserva Guido Crosetto, di Fratelli d'Italia che una parte della magistratura italiana utilizza gli strumenti spropositati che gli abbiamo dato, per uccidere politicamente i suoi nemici o di qualcuno più in alto». «È una situazione spiega il vicesegretario della Lega, Fontana per cui il Parlamento è diventato un postaccio, le elezioni contano niente e ancor meno la democrazia». Fin qui l'opposizione, ma anche sul versante della maggioranza c'è chi ammette che la misura è colma. «Non si può far finta di niente dichiara Matteo Renzi -, bisogna capire quanto è avvenuto. Lo dico anche da solo nella maggioranza, anche se Zingaretti, che sente Berlusconi due volte al giorno, non dice niente». «Se non si mette in discussione il principio dell'autogoverno della magistratura confida il piddino, Piero Fassino non se ne esce: quelli governano me e si governano in quel modo». Appunto, la misura è colma. Anche perché tutti, prima o poi, si tratti di Berlusconi, di Salvini, di Renzi, possono diventare bersagli. Nei giorni scorsi c'era un parlamentare del Pd che raccontava addirittura le voci sui guai giudiziari di Zingaretti. Come pure si parla di inchieste sul rapporto tra 5stelle e Cina. «A quel punto osserva uno dei dominus della politica di oggi anche loro capiranno». Già, perché ormai la politica si fa con l'arma della «giustizia». E quel che avvenne in quegli anni è un monito per tutti. «Ma vi pare ricorda oggi Giorgio Mulè - che un capo dello Stato possa commentare una sentenza come fece all'epoca Napolitano: Ritengo che ora il Parlamento possa affrontare i problemi dell'amministrazione della giustizia. Come dire: fatto fuori il Cav, possiamo diventare garantisti». «L'unico che cedette alle lusinghe del Nap ricorda oggi Fabio Rampelli fu Fini. Sapeva che il Cav sarebbe stato fatto fuori dai giudici. E mi propose di passare con lui per un posto di sottogoverno. Ma poi Napolitano fregò pure lui». Non c'è niente da fare: l'Italia è il Paese dei paradossi. Ne sa qualcosa pure il sottoscritto che a giudizio del Senato è «un perseguitato» mentre una sentenza della magistratura considera «un pregiudicato»: una contraddizione che chi dovrebbe regolare i rapporti tra i due Poteri ha lasciato correre. Eh sì, per paura o per interesse, si fa finta di niente, con il risultato che la democrazia è sconfitta e il «triangolo» perverso (carrierismo-magistrati, politica e processi) governa il Paese. «Io confida oggi Berlusconi, raccontando la sua esperienza ho avuto 96 processi, 105 avvocati e ho gettato un miliardo e mezzo di euro in spese legali. La verità è che quel processo ha portato le sinistre al governo e cambiato la storia del Paese. Spero che gli italiani lo capiscano, anche se nelle ultime elezioni politiche sono stati fin troppo sciocchi».

La gioia di Napolitano per quel verdetto. Nei nastri di Franco il ruolo del Quirinale nella sentenza contro Berlusconi. Luca Fazzo, Mercoledì 01/07/2020 su Il Giornale. Ecco i principali passaggi dei colloqui tra Silvio Berlusconi e il giudice Amedeo Franco.

F: «Anche colleghi che non sono suoi ammiratori anzi sono avversari politici che però son persone corrette hanno avuto l'impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata (..) sia stata guidata dall'alto alla Procura generale e al primo presidente (...) Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone, questa è la realtà».

Il passaggio cruciale, nel racconto, è la decisione di anticipare l'udienza affidandola alla sezione feriale, presieduta da Antonio Esposito. «Molti anche in pensione vengono a dirmi in effetti là hanno fatto una porcheria, che senso ha mandarla alla feriale? Una questione così delicata va alla sezione competente, non va dove stano cinque, che poi uno solo per necessità capisce di questa cosa e gli altri quattro non capiscono niente. Poi una sezione feriale è sempre fatta con gli ultimi arrivati, ragazzini». Franco parla di un incontro su questo tema dei legali di Berlusconi con il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, prima dell'udienza, dove però arriva anche il segretario della Corte, Franco Ippolito, toga di Magistratura democratica considerato assai vicino a Giorgio Napolitano: «Il fatto che venga ricevuto il suo avvocato e il presidente Letta dal primo presidente insieme al segretario generale è una cosa che non è mai capitata. Che c'entra il segretario generale con una decisione di questo genere?». E ancora: «Gianni Letta è andato da Santacroce che si è rivolto a lui, che ha avuto l'appoggio per essere nominato presidente, e si meraviglia quando Santacroce lo riceve con Ippolito, esponente storico dei democratici. Che ci stava a fare Ippolito lì, di chi era portavoce?»

Franco parla a Berlusconi del suo dissenso verso la sentenza e della decisione, alla fine, di firmarla: «Io per me se trovo un modo, per sgravare la coscienza, perché mi porto questo peso, ci continuo a pensare, non mi libero. Mi hanno coinvolto in una cosa...».

B: «Ma scusi le hanno praticamente imposto di firmare?».

F: «No, io potevo rifiutarmi, è stata una questione di dieci minuti, ero già andato con tutta la cosa per dire non firmo, il presidente mi dice ma se tu non firmi, fai quello che ti pare, ti attaccheranno da destra e da sinistra». E anche dopo la sentenza rispunta l'ombra del Quirinale: «Poi dopo anche il primo presidente dice ah, hai visto, anche il presidente della Repubblica ha fatto sapere che è contento del fatto che avete deciso uniformemente a quello che ha detto il procuratore generale (...), insomma ci sono troppe cose che non vanno».

B: «Loro erano determinatissimi?».

F: «Malafede non lo so, malafede del presidente sicuramente».

B: «Cioè ha deciso tutto Esposito?».

F: «Il collegio che si è trovato è un collegio raffazzonato, è una cosa che non si doveva fare, io ancora oggi sto pensando se io avessi immaginato mi facevo ricoverare in ospedale e risolvevo il problema (...) è stato un processo non giusto, perché ormai se la difesa chiede un rinvio la prescrizione è sospesa, cosi non si prescriveva più, poteva tornare a chi è competente (...) i pregiudizi per forza che ci stavano, si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare».

Giorgio Napolitano, il "golpe" contro Berlusconi: la domanda a cui non può non rispondere. Libero Quotidiano il 4 luglio 2020. C'è un grande convitato di pietra, nella storia assurda del complotto giudiziario che nel 2013 avrebbe tolto di mezzo Silvio Berlusconi tramite una sentenza pilotata di condanna a 3 anni e 8 mesi per frode fiscale nel processo Mediaset Agrama. Questo convitato risponde al nome di Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica che allora risiedeva al Quirinale per il suo secondo mandato e da lì sorvegliava le sorti del governo di larghe intese guidato da Enrico Letta. Ora, mentre il Cavaliere denuncia la ferita inferta alla democrazia diffondendo come prova l'audioconfessione scioccante ricevuta in limine mortis dal giudice Amedeo Franco (relatore della Corte di Cassazione), ulteriori indiscrezioni di parte berlusconiana rimettono nel cono di luce proprio Napolitano, il quale all'epoca avrebbe addirittura trattato con il legale dell'ex premier una exit strategy per evitare al condannato l'onta dei servizi sociali e l'estromissione per indegnità dal consesso politico convalidata da un voto parlamentare sull'utilizzo in forma retroattiva della famigerata legge Severino. Nella circostanza, come del resto avevano adombrato anche i retroscena politici dell'epoca, il capo dello Stato si sarebbe spinto fino al punto di offrire un provvedimento di grazia in cambio di un'uscita dalla scena politica volontaria e ufficiale da parte del Cavaliere. L'offerta fu dichiarata irricevibile e, dal lavoro obbligato nel centro anziani di Cesano Boscone fino alla clamorosa rivelazione di oggi passando per altre infinite vicissitudini, sappiamo tutti come è andata a finire. Pur avendo smentito ufficiosamente sia l'ipotesi della trattativa sulla grazia - «queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato sono un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale» - sia il suo ruolo di congiurato alfa nella precedente caduta del governo berlusconiano nel 2011 - «non ci fu nessun complotto sarebbe stato strano, se ci fosse stato un colpo di mano, che poi Berlusconi votasse a favore del governo Monti» - Napolitano è sempre stato indicato come il regista nemmeno occulto di ogni trama finalizzata all'abbattimento del signore di Arcore (che peraltro nel 2013 l'aveva appena rieletto al Colle). È noto da sempre come l'ex dirigente migliorista del Pci abbia saputo navigare per decenni dietro le quinte della politica, senza mai esporsi in forma audace (lo stemma nobiliare immaginario affibbiatogli da amici e avversari era «coniglio bianco in campo bianco»), salvo poi stupire tutti per il decisionismo e l'assunzione integrale delle prerogative assegnate all'inquilino del Quirinale. L'apice di questo contegno fu raggiunto nel momento più difficile del mandato, si era sul finire del 2014, quando Napolitano si trovò costretto a deporre davanti ai giudici quale testimone della trattativa Stato-mafia. Il che avvenne dopo oltre un anno di accesissime polemiche intorno alla sua apparente indisponibilità a farsi ascoltare dagli inquirenti, e su insistente sollecitazione delle parti civili rappresentate da Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso nella strage di via D'Amelio, e Sonia Alfano, presidente dell'associazione familiari vittime di mafia. Al centro della contesa finirono anche i nastri contenenti alcune telefonate tra Napolitano e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, distrutte nel vecchio carcere dell'Ucciardone nell'aprile 2013 su ordine della Corte Costituzionale, ma sulle quali è gravata a lungo una caligine di sospetti ricattatori. Adesso, a distanza di quasi un decennio, Giorgio Napolitano è un privato cittadino novantacinquenne, insignito dalla Costituzione del laticlavio a vita avendo spalle una carriera onorata nelle istituzioni repubblicane. Ancorché ammaccato dalle ingiurie del tempo (un malanno cardiaco lo costrinse a un'operazione d'urgenza nel 2018), l'ex presidente conserva una lucidità sufficiente per non rimanere insensibile alle rivelazioni confidate dal giudice Franco al Cavaliere, fra le quali spicca questo virgolettato: «anche il presidente della Repubblica ha fatto sapere che è contento del fatto che avete deciso uniformemente a quello che ha detto il procuratore generale». Se all'epoca della controversia sulla trattativa con la mafia in molti invocarono, non senza qualche ragione, la necessità che la ragion di Stato proteggesse la nostra più alta carica dal rischio di una vulnerazione fatale; oggi le cose stanno diversamente ed è lecito attendersi che Napolitano esca dal riserbo per rendere nota la sua versione dei fatti. Anche la più affilata delle smentite o delle precisazioni risulterebbe più gradita del silenzio. 

Caso Berlusconi: tutti zitti sulle colpe di Napolitano. Marco Gervasoni, 2 luglio 2020, su Nicolaporro.it. Le trattative sono il fondamento della politica. Non però se sei Presidente della Repubblica, almeno del nostro ordinamento costituzionale. Qui tu dovresti rappresentare lo Stato non i partiti, e men che meno alcuni a discapito degli altri. Perciò i costituenti consigliavano che il ruolo di presidente dovesse essere ricoperto da figure estranee alle macchine di partito: ma non è quasi mai accaduto. Se sei il presidente delle trattative, qualcosa insomma non funziona. E Giorgio Napolitano rischia di passare alla storia come tale. Due almeno, le trattative a cui il suo nome è associato; la cosiddetta Stato-mafia che fu nobile, perché il presidente in quel caso avrebbe tutelato la Ragion di Stato, attorno ad eventi in cui non era coinvolto in prima persona (ai tempi della supposta trattativa era solo Presidente della Camera dei deputati). Non a caso 5 Stelle e il gregge travagliaesco, che capiscono di Ragion di Stato come il sottoscritto di astrofisica, hanno attaccato Napolitano soprattutto per questo. Ora però spunta una nuova trattativa, per certi aspetti più inquietante. Un cronista attento ed autorevole, come Augusto Minzolini, sul Giornale, scrive che, pochi mesi dopo essere stato rieletto, Napolitano in persona si sarebbe recato addirittura di persona presso lo studio dell’avvocato Coppi, legale di Berlusconi dopo la condanna della Corte di Cassazione, Napolitano – continua Minzolini – avrebbe concesso la grazia al Cavaliere solo se questi si fosse ritirato dalla vita politica. E in un’intervista alla Verità di oggi, Gaetano Quagliariello, allora ministro delle Riforme nel governo Letta e molto vicino al Capo dello Stato, conferma che ci fu una trattativa con il presidente della Repubblica. Il pezzo di Minzolini è stato pubblicato ieri mattina. Reazioni? Zero. Nessun giornale l’ha ripreso, solo La Verità ha affrontato questo argomento con Quagliariello. Nessuna smentita, almeno pubblica. Ma possibile che solo a me paia un’accusa gravissima, se confermata? – e ripetiamo che Minzolini non inventa le notizie. Il potere di grazia è una delle tante sopravvivenze monarchiche di cui i presidenti (non solo in Italia) sono dotati e come tale è una prerogativa che, però, non può essere sottoposta a mercanteggiamento, pena far perdere autorità al Presidente e senso stesso all’istituto della grazia. Nel caso specifico poi  il «delinquente» da  graziare era un tre volte presidente del Consiglio e leader di quella che dal 1994 al 2008 era stato sempre il primo partito del paese. Peraltro, il presidente della Repubblica «graziante» nei confronti del governo del Cavaliere nel 2011 non era stato affatto protettivo: anzi, assieme a Merkel, Sarkozy e Obama fu uno degli artefici della sua strana caduta – non a torto ancora oggi Berlusconi lo chiama «golpe». La grazia in cambio della uscita di scena del Cavaliere, che contrariamente alle previsioni, nelle Politiche 2013 era andato tanto bene da sfiorare la vittoria. E capo del partito, con il Pd, reggente il governo Letta. La sua dipartita, magari per lasciare tutto in mano al suo delfino Alfano, sarebbe stata una ghiotta occasione per normalizzare l’anomalia italiana, creare una sorta di patto consociativo stabile tra la cosiddetta sinistra e il cosiddetto centrodestra e instaurare un regime duraturo. In cui il dominio sarebbe stato esercitato dalla sinistra, a cui Napolitano apparteneva, con un centrodestra privo di Berlusconi ridotto a portatore d’acqua ai post comunisti. Era certamente questo il disegno del capo dello Stato. Ma Berlusconi, plebiscitato solo pochi mesi prima alle elezioni, avrebbe dovuto andarsene, tradendo cosi il mandato di milioni di elettori, in cambio della libertà personale? Non so se ci si rende conto della gravità della trattativa. L’operazione, per ragioni che forse sapremo più avanti, fallì. E diciamo fortunatamente, perché la normalizzazione dell’Italia avrebbe finito per renderla schiava ancor più di quello che non fecero Letta,  Renzi e Gentiloni, alla Ue e alla Germania di Merkel. Cosi come fallimentare è stata tutta l’opera del Napolitano 2010-2015, il vero fondatore di questa sgangherata Terza Repubblica: le forzature provocarono solo la distruzione del sistema, senza che egli ebbe la forza, la volontà o il coraggio di portare a termine l’opera. Quando lasciò in anticipo sul suo secondo mandato, nel gennaio 2015, l’Italia era rimasta a metà del guado, per stare al titolo di un suo libro degli anni Settanta. Solo che, anche per responsabilità di Napolitano, ora rischia di affondare, tra i poteri abnormi del Quirinale, il parlamento trasformato in bivacco, i partiti ridotti a consorterie delegittimate di qualsiasi autorità. Il giudizio degli storici sul primo (e si spera ultimo) presidente di provenienza comunista, non potrà che essere molto severo. Marco Gervasoni, 2 luglio 2020.

Nel silenzio della sinistra il coraggio di Macaluso: “Processo a Berlusconi? Va fatta chiarezza”. Umberto De Giovannangeli su Il Riformista il 3 Luglio 2020. Il Riformista ha cercato esponenti della sinistra, in tutte le sue articolazioni politiche e partitiche, per discutere con loro le rivelazioni choc sul processo Mediaset a Silvio Berlusconi portate alla luce da questo giornale. La risposta? Un silenzio assordante. Evidentemente, la magistratura incute ancora timori. Ma c’è una eccezione. Una lezione di coraggio di chi in tutta la sua lunga e gloriosa vita politica non ha mai avuto paura di esporsi: Emanuele Macaluso. «Su questo processo a Berlusconi ci sono tante cose da chiarire, su come è stato condotto e sulla sentenza emessa. Ma la condizione fondamentale per provare a fare chiarezza è di liberarsi dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo», dice a Il Riformista. Novantasei primavere di lucidità e coraggio. Emanuele Macaluso, grande vecchio della sinistra, mantiene intatte energia, lucidità, passione che l’hanno guidato in tutta la sua lunghissima esperienza politica. Una esperienza che ha attraversa il secolo scorso e si proietta, con articoli e riflessioni che lasciano ancora oggi il segno, ai giorni nostri: la Sicilia dei braccianti, (fu lui a parlare a Portella della Ginestra il Primo Maggio del 1948, l’anno dopo la strage mafiosa, e l’anno scorso, a 95 anni è voluto tornare a parlare nel luogo dove la banda di Salvatore Giuliano sparò contro la folla uccidendo 11 persone), Togliatti che lo chiamò a Roma, la Guerra Fredda, la direzione dell’Unità ai tempi di Enrico Berlinguer, una vita assieme a Giorgio Napolitano nella corrente migliorista.

Le rivelazioni di questo giornale sul processo-choc a Silvio Berlusconi, il processo Mediaset, hanno scatenato polemiche e imbarazzati silenzi. Che idea si è fatto in merito?

«Io penso che sono tante, pressoché tutte, le cose da chiarire, partendo dal fatto che uno dei protagonisti della conversazione registrata con Berlusconi, il giudice Amedeo Franco, è morto. E non può essere testimone una persona che non può essere sottoposta a contraddittorio. Detto questo, su tutta questa vicenda, sia sulla conduzione del processo che sulla sentenza, c’è molto da chiarire. E chiarezza va fatta. Ma per provaci davvero, c’è una condizione fondamentale…»

Quale?

«Liberarsi dal deleterio condizionamento del berlusconismo e dell’antiberlusconismo. Occorre uscire dalla propaganda e da posizioni precostituite che sono da ostacolo ad una seria ricerca della verità, politica e processuale».

Le rivelazioni sul processo a Berlusconi, e ancor prima il Palamara-gate. La magistratura è il dominus assoluto della vita pubblica?

«Non credo che sia questo il problema, cioè quello di una magistratura invadente. Penso, invece, che alla base vi sia l’estrema debolezza della politica. E quando la politica è debole, è chiaro che finiscono per prevalere altri poteri. Non è che c’è una prevaricazione della magistratura, ma quello che si manifesta, e non da oggi, è la debolezza della politica nel rapporto con la magistratura. Come non bastasse, abbiamo un ministro di Giustizia che è il vuoto assoluto, completamente privo di autorevolezza».

Il giustizialismo può avere legittimazione a sinistra?

«La sinistra ha avuto una componente giustizialista, come una componente liberale e garantista. Non è uno scandalo né una rivelazione, ma il punto, mi permetto di insistere, è un altro. Molti pensano che ci sia una forte prevaricazione della magistratura, ma è la politica che non ha autorità e dunque non ha ascendenza sulle masse. Il magistrato ha tanto più ascendenza quanto più il politico appare, come in realtà è, debole».

Una delle questioni che ciclicamente tornano a riproporsi, è quella della separazione delle carriere. Antica quaestio, che appare irrisolvibile, oltre a non essere stata risolta.

«Io sono stato sempre per la separazione delle carriere. Su questo tema, Ragioni del socialismo, la rivista che continuo a dirigere, ha dedicato spazio e sviluppato un dibattito prezioso. La separazione delle carriere non è una mortificazione per la magistratura e i magistrati. Tutt’altro. Credo sia un modo per valorizzare da un lato il ruolo dei giudici, e dall’altro quello dei pubblici ministeri. Se c’è confusione tra le due carriere, io credo che sia un errore. L’attività accusatoria è una cosa, quella giudicante un’altra. L’accusatore non può diventare giudice».

Da cosa dipende, a suo avviso, la reticenza che alberga a sinistra quando si devono prendere di petto i problemi della giustizia?

«Non sono mai stato iscritto al partito dei “reticenti”. Di una cosa sono convinto: una sinistra che non s’interessa fortemente dei problemi della giustizia, non è sinistra. I problemi della giustizia sono condizionanti in maniera determinante della democrazia».

L'intervista. Intervista a Luigi Berlinguer: “Sentenza Berlusconi, correnti alterano giustizia”. Angela Stella su Il Riformista il 4 Luglio 2020. Dalla convergenza Pd-5Stelle passando per la riscoperta del socialismo liberale fino alle misture troppo facili e nocive tra pm e giudici: Luigi Berlinguer, già ministro della Pubblica istruzione nei governi Prodi e D’Alema, membro del Csm dal 2002 al 2006 alla fine di questa intervista dà un consiglio alla ministra Azzolina: batti più forte i pugni al tavolo del Governo.

Ieri Massimo Cacciari su Repubblica ha firmato un editoriale in cui ha scritto del “socialismo liberale” come chance per l’Italia, ricostruendo il ceto medio. Cosa ne pensa?

«Massimo Cacciari è un eccellente pensatore. Non vorrei però imbarcarmi in definizioni che possono indurre in errore. L’idea è giusta: siamo di fronte al bisogno di una politica della massima equità sociale che però non assuma mai carattere autoritario di limitazione delle libertà. È una tradizione senz’altro vecchia l’idea che la giustizia sociale faccia a pugni con la libertà e che bisogna limitarla per affermare la giustizia sociale: sono sciocchezze madornali che talvolta hanno indotto il movimento progressista in gravi errori. È giusto che in Italia si persegua una politica di giustizia sociale ma rispettando sempre il regime libertario».

Qual è il suo giudizio in merito al lavoro svolto fino a questo momento dall’“alleanza” Movimento 5 Stelle-Partito Democratico?

«Il mio giudizio è complessivamente positivo: siamo di fronte a un incontro tra due formazioni politiche che hanno largamente in comune una base elettorale, anche se conservano forme diverse e diversità proprie. Non so se si possa parlare domani di una alleanza organica: certamente però la convergenza delle finalità politiche ha prodotto dei risultati importanti. Naturalmente ci possono essere tante obiezioni su tanti dettagli, ma la sostanza di fondo è positiva».

Che futuro vede per le prossime elezioni?

«Non sono un vate. Posso indicare una esigenza: affinché quella che Lei chiama “alleanza” e che io chiamerei “convergenza” tra Pd e Movimento 5 Stelle possa essere premiata alle prossime elezioni, occorre tenere ferma la barra sostanziale di questa operazione politica: ossia tutelare il mondo dei deboli ma in un clima ampiamente democratico».

Affrontiamo ora il tema giustizia: cosa ne pensa di quanto reso noto dal Riformista in merito alla conversazione tra Berlusconi e il giudice Amedeo Franco?

«Posso dire soltanto che il tema della giustizia nel nostro Paese non è considerato a sufficienza nella sua specificità, che consiste nell’assicurare una forte garanzia di indipendenza dei procedimenti giudiziari, evitando le interferenze che in questo campo sono profondamente negative. L’importante è che la giustizia sia sempre molto indipendente e che si garantisca una giustizia non influenzabile dalle diverse correnti e che non si lasci influenzare dal fatto che gli operatori di giustizia sono essere umani e cittadini democratici, pertanto con le loro opinioni politiche. Gli operatori di giustizia possono e devono avere le proprie opinioni politiche che possono manifestare ma non possono lasciarsi trascinare da scelte politiche nell’esercizio delle proprie funzioni. La distinzione tra l’obiettività e la neutralità della giustizia da un lato e la libertà di pensiero dei suoi operatori dall’altro va tenuta molto netta. Non sempre questo è stato fatto e non sempre anche all’interno della sinistra si ha questo estremo rigore sulla indipendenza e – politicamente parlando – “neutralità” della giustizia nelle vicende del Paese».

In questi giorni abbiamo provato a contattare diversi esponenti della sinistra per chiedere un commento sull’affaire Berlusconi ma nessuno si è voluto esporre, eccezion fatta per Emanuele Macaluso che ieri sul nostro giornale ha detto che “occorre fare chiarezza sulla vicenda, superando però la propaganda tra berlusconismo e anti-berlusconismo”. È d’accordo?

«Totalmente d’accordo con lui: però va detto che le esperienze che noi abbiamo avuto – il fatto che Berlusconi intervenga talvolta in materia di giustizia – sono profondamente negative. Bisogna su questo ribadire quando detto prima».

Un suo parere sulla crisi profonda che sta attraversando la magistratura.

«È vero che la magistratura sta attraversando tensioni drammatiche che spesso si riferiscono a quanto dicevo prima, al fatto che è molto difficile assicurare totale indipendenza di pensiero e politica alla magistratura. Però questa è una esigenza capitale della società, della società moderna. Bisogna sottolineare, sostenere l’assoluta indipendenza della magistratura dagli orientamenti politici. E quindi gli organi che all’interno della magistratura si occupano delle iniziative che vengono prese devono evitare in tutti i modi non solo una lottizzazione politica della magistratura ma anche una strumentalizzazione a questo proposito».

In una intervista al nostro giornale Sabino Cassese ha definito le Procure come un quarto potere ormai indipendente dalla magistratura. È così?

«L’attività di investigazione giudiziaria delle Procure è certamente parte del raggiungimento della giustizia ma non è assimilabile al ruolo dei giudici. La vera e totale indipendenza deve essere quella dei giudici. E qual è allora la funzione delle Procure? Che i membri delle Procure siano indipendenti persino dalla magistratura è giusto: la loro è una funzione diversa, non è quella di rendere giustizia all’atto della decisione ma di iniziare una procedura che si fondi originariamente sul sospetto della presenza di ipotesi di reato al fine di indagare per sapere cosa corrisponde al vero. In questa attività le Procure devono essere risolute nella ricerca della verità e quindi operare non come se fossero dei giudici ma in piena indipendenza della propria funzione. Non si devono modellare sulla decisione giudiziaria successiva».

Cosa ne pensa quindi della separazione delle carriere tra pm e giudici?

«La questione deve essere approfondita, accentuata anzi. Fino a oggi c’è stata una prassi nella quale v’è stata confusione tra la carriera di pm e quella successiva di giudice. C’è stata qualche mistura, passaggi troppo facili da una funzione all’altra. Bisogna accentuare la differenza tra Procure e magistratura propriamente detta, i giudici quindi. Carriere che creano una sorta di confusione interiore tra le due funzioni non giovano. Il membro della Procura deve essere totalmente libero di svolgere la sua azione prescindendo dai pareri dei giudici e di chiunque altro. La sua funzione è quella di mettere in moto meccanismi che accertino gli elementi di valutazione della verità; spetta poi a un terzo valutare se l’hanno accertata e se è valida. Quindi sono due funzioni che io sentirei di accentuare nella reciproca differenza, con l’introduzione di notevoli differenze anche nelle carriere delle singole attività. Altrimenti si potrebbe compromettere l’obiettivo che si ha dinanzi, e cioè che il giudice sia alla fine totalmente indipendente e che i membri delle procure lo siano altrettanto dal loro punto di vista».

Che consigli darebbe oggi alla ministra Azzolina, aspramente criticata?

«Il ministro Azzolina è una persona seria e come tale va rispettata. Vedo molta sufficienza in taluni che la valutano. Però faccio una obiezione al suo comportamento: non batte troppo i pugni sul tavolo, non si fa valere come ministro dell’Istruzione a sufficienza. Deve essere più risoluta e più energica. Deve far capire a tutto il Governo che la politica dell’istruzione è prioritaria e che il compito di insegnare ad imparare e a crescere intellettualmente è il fondamento di un Paese come il nostro, altrimenti resteremo indietro nel mondo. Il Ministro deve imporre l’idea che bisogna continuamente imparare: memento discere semper, memento audere semper».

Malagiustizia, la solidarietà a dondolo di Zingaretti e del Pd: a Ilaria Capua sì, a Silvio Berlusconi no…Deborah Bergamini su Il Riformista l'8 Luglio 2020. Qualche appunto su alcuni fatti degli ultimi giorni. Parliamo naturalmente del terremoto scatenato dal nostro giornale con la pubblicazione delle dichiarazioni di Amedeo Franco, il giudice “pentito” che in più occasioni affermò che la sentenza di colpevolezza per frode fiscale che di fatto nel 2013 estromise Berlusconi dalla politica italiana era stata pilotata dall’alto e che la sezione feriale della Cassazione che l’aveva pronunciata era un plotone d’esecuzione. Normale il caos che queste rivelazioni hanno prodotto, visto che quella sentenza ha cambiato la storia repubblicana, mettendo fuori gioco un leader politico e ribaltando, nei suoi effetti, la libera espressione della volontà popolare. Normale – e deprecabile – il silenzio ammutolito degli eroi del giustizialismo nazionale, i 5 Stelle, di fronte a queste rivelazioni. Meno normale il silenzio tombale delle sinistre tutte, a partire dal Pd. Ha aperto bocca solo Walter Verini, che ha parlato di «polemiche tossiche» e ha consigliato di «non alimentare campagne usando ancora la giustizia come terreno di scontro politico e propagandistico (sic!)». Poi ci sono state un paio di oneste interviste – sul nostro giornale – di due grandi vecchi della sinistra, Emanuele Macaluso e Luigi Berlinguer. Poi basta.

Il nulla: Zingaretti, Orlando, Cuppi (Presidente del Pd), Ascani, Serracchiani, la Segreteria nazionale tutta, i ministri, i capigruppo: non una parola. E perché questo silenzio è meno normale? Perché contestualmente proprio il Pd, per bocca del capogruppo al Senato Andrea Marcucci, ha rivolto le proprie solenni scuse ad Ilaria Capua, scienziata ed ex deputata di Scelta Civica, che si dimise dal Parlamento sull’onda di un’inchiesta in cui venne accusata di traffico internazionale di virus, sbattuta sui giornali e criminalizzata come il peggior mostro mai esistito e poi prosciolta perché il fatto non sussisteva. «Quando parliamo di malagiustizia – ha detto Marcucci – pensiamo a vicende come queste». Quindi il principio che sottende a quest’ultima affermazione è che se c’è o non c’è malagiustizia lo si decide, se va bene, su basi soggettive e variabili, se va male per convenienza politica. E qui sta il male di tutta la faccenda: quando l’Espresso pubblicò in copertina le accuse alla Capua, diversi partiti oggi al governo cavalcarono la tigre del giustizialismo senza riconoscerle né il beneficio del dubbio né quello della buonafede. Le invettive dei grillini furono violentissime. Anche allora non ci fu controcanto, con esclusione della “solita” Forza Italia, e la Capua entrò ingiustamente nel refugium peccatorum dei “macchiati”. Lo raccontò lei stessa in un’intervista rilasciata a Gaia Tortora nel 2017 per presentare il suo libro, con parole molto efficaci: «Ogni volta che in Parlamento provi a portare avanti qualunque cosa, ti viene detto: eh, però lei è accusata di essere una trafficante di virus, di avere rapporti con le aziende farmaceutiche, quindi non è che possiamo prendere in considerazione le sue proposte…». «Mi sono dimessa perché non potevo fare e non riuscivo a fare quello che volevo fare e per cui ero stata eletta…». «Ci sono tante persone che non hanno la mia visibilità e che non hanno la possibilità di gridare al mondo la loro innocenza. Se io riuscissi ad evitare anche ad una sola persona di passare quello che ho passato io, attraverso questo libro, io avrò raggiunto il mio obbiettivo». Quindi le scuse da parte del Pd, sebbene tardive, sono apprezzabili, così come è apprezzabile aver ammesso l’errore, quantomeno di valutazione. Resta però un problema di metodo. Sappiamo che diversi partiti italiani, tutti insieme oggi al governo, hanno sempre avuto, purtroppo, il gusto di iniziare a sbranare al primo avviso di garanzia o indagine, legittimando i media a scatenare la caccia grossa al pericoloso criminale. Quando andava bene, ma proprio bene, si limitavano ad un silenzio assenso. Così, in questi ultimi decenni, ci siamo abituati tutti a vivere il rapporto distorto fra politica, giustizia e media: gli avversari politici si abbattono per via prima mediatica poi giudiziaria, è pacifico, e l’elementare principio della presunzione di non colpevolezza viene regolarmente calpestato. Così, puntualmente, quell’errore viene ripetuto anche oggi, scuse o non scuse. Questo grave male italiano va saputo arrestare. Fin quando una vasta fetta della politica italiana non rinuncerà al riflesso condizionato di far salire sul patibolo il sospettato al primo indizio di colpevolezza o al primo articolo di giornale nell’auspicio di trarne qualche vantaggio, la situazione non è destinata a migliorare: né per la politica, né per la giustizia, né per i giornali. Perché allora le scuse alla Capua sì e a Berlusconi no? È questo il problema di metodo. Lasciamo stare il “plotone d’esecuzione” che ha rifilato la condanna a Berlusconi. Facciamo per un momento finta di nulla, come fanno le sinistre. Ma possibile che dopo l’ottantina di processi a cui Berlusconi è stato sottoposto, tutti scatenatisi da quando è sceso in politica, mai una volta il Pd abbia sentito l’impeto di scusarsi per le ingiuste accuse e le gogne mediatiche che ha subìto? E per tutte le volte in cui tante altre personalità sono state massacrate da inchieste giudiziarie mediatizzate, poi dissoltesi nel nulla? Se non vogliono scusarsi per l’unico processo in cui Berlusconi è stato condannato, si scusino per tutti quelli da cui è stato assolto. Le vittime della malagiustizia, come direbbe Parmenide, o sono o non sono. Non è che sono quando ci pare o quando ci conviene. Altrimenti abbandoniamo il senso di giustizia al campo della pura soggettività, con i danni immani che ciò produce. Se il garantismo deve essere un fondamento culturale irrinunciabile di una civiltà matura come la nostra, deve esserlo sempre, non in maniera selettiva. Prima la politica tutta si affranca e si prende la libertà di capirlo, prima ritornano a funzionare le cose.

Audio Silvio Berlusconi, Fabio Rampelli: "Gianfranco Fini mi propose di andare con lui. Napolitano lo aveva fregato". Libero Quotidiano l'1 luglio 2020. Le intercettazioni su Luca Palamara contro Matteo Salvini e la rivelazioni del giudice Amedeo Franco sulle "sentenze pilotate" contro Silvio Berlusconi hanno scoperchiato il vaso di Pandora. E oggi come oggi viene da chiedersi se la giustizia sia realmente giusta. Una cosa però è certa: la magistratura non guarda in faccia nessuno, "anche perché tutti - come ricorda Augusto Minzolini sul Giornale - prima o poi, si tratti di Berlusconi, di Salvini, di Renzi, possono diventare bersagli". Ma il caso Mediaset-Agrama che avrebbe visto condannato ingiustamente il leader di Forza Italia per frode fiscale sembra aggravarsi sempre più. Lo stesso Minzolini ha aggiunto un dettaglio compromettente alla vicenda: l'ultimatum di Giorgio Napolitano, all'epoca, nel 2013, capo di Stato. Napolitano avrebbe offerto, secondo il retroscenista, la grazia a Berlusconi in cambio del suo ritiro politico. Una notizia non immune da clamore: "Ma vi pare - ricorda il deputato azzurro Giorgio Mulè - che un capo dello Stato possa commentare una sentenza come fece all'epoca Napolitano: Ritengo che ora il Parlamento possa affrontare i problemi dell'amministrazione della giustizia. Come dire: fatto fuori il Cav, possiamo diventare garantisti". E ancora, lo sfogo di un altro forzista: "L'unico che cedette alle lusinghe del Nap - esordisce Fabio Rampelli - fu Gianfranco Fini. Sapeva che il Cav sarebbe stato fatto fuori dai giudici. E mi propose di passare con lui per un posto di sottogoverno. Ma poi Napolitano fregò pure lui". Il caso è ormai vecchio, si rifà al 2011 quando l'azzurro Amedeo Laboccetta dichiarò che dietro l'addio al Pdl di Gianfranco Fini ci fosse proprio Napolitano. Quest'ultimo interessato a far cadere Berlusconi. 

Giorgio Napolitano, il retroscena: "Trattò con Berlusconi nell'ufficio dell'avvocato Coppi. Grazia in cambio del ritiro dalla politica". Libero Quotidiano l'1 luglio 2020. La grazia a Silvio Berlusconi in cambio del ritiro definitivo dalla politica. La trattativa tra Giorgio Napolitano e il leader di Forza Italia nell'estate 2013, subito dopo la sentenza di condanna a 3 anni e 8 mesi per frode fiscale del Cav nel processo Mediaset Agrama è nota. Ma prende tutt'altra una luce dopo la pubblicazione dell'intercettazione in cui il giudice Amedeo Franco, relatore della corte, in quegli stessi giorni ammetteva con l'ex premier che la condanna era stata "pilotata dall'alto", con tanto di "pressioni" sul presidente della Corte Antonio Esposito. "Uno schifo", per usare le parole del magistrato morto nel 2019. Una bomba che travolge magistratura e Quirinale, visto che molti in quel "dall'alto" hanno inteso proprio il Colle. Augusto Minzolini ricostruisce sul Giornale come avvenne quella trattativa: "In un pomeriggio afoso, nella Roma agostana semideserta, la berlina presidenziale, con al seguito auto di scorta e corazzieri motociclisti, si fermò davanti al civico di via Bruno Buozzi ai Parioli, dove ha lo studio il noto penalista, Franco Coppi, che assisteva Berlusconi nel processo per frode fiscale". Fu Napolitano in persona, non un suo collaboratore o consigliere, a gestire la trattativa. "Salì al piano dello studio del principe del Foro" per trattare la resa del Cav, che all'epoca sosteneva il governo di Enrico Letta. "Ci fu una discussione in punta di diritto tra il presidente e il legale, addirittura fu esaminato anche il testo di una possibile richiesta di grazia". Ma tutto si bloccò perché l'allora Capo dello Stato pretendeva da Berlusconi un ritiro ufficiale dalla politica. Silvio "si oppose a quella fine ingloriosa, una vera e propria pietra tombale per silenziare la congiura di cui era stato vittima, e preferì alla fine scontare la pena ai servizi sociali come volontario a Cesano Boscone". Giustizia e politica o giustizia politica? Il sospetto, riesaminando anche l'operato di Napolitano, che doveva essere garante e arbitro dei due poteri e che invece prese parte attiva nella partita, è più che legittimo.

Silvio Berlusconi, l'avvocato Coppi: "Franco? Un galantuomo, ma una sentenza come quella non mi era mai capitata". Libero Quotidiano il 30 giugno 2020. “Sono sempre stato sorpreso da quella sentenza. Una decisione che andava contro la giurisprudenza”. Anche l’avvocato Franco Coppi, uno dei difensori di Silvio Berlusconi, commenta all’Ansa le registrazioni audio riguardanti l’ex premier e Amedeo Franco (morto a maggio 2019), relatore in Cassazione che chiese l’assoluzione del leader di Fi nel 2013. Invece Berlusconi fu condannato per frode fiscale nell’ambito del processo Mediaset: il magistrato all’epoca definì il processo un “plotone d’esecuzione”, sostenendo che quella vicenda “sia stata guidata dall’alto”. “Franco è sempre stato considerato come un giudice preparato e un galantuomo - ha aggiunto Coppi all’Ansa - è evidente che si sia trovato in minoranza in camera di consiglio, dove non ci fu neanche discussione, a sentire lo stesso relatore. Non va sottovalutato che in calce a quella decisione c’era la firma di tutti i giudici”. Cos’ha spinto Franco a raccontare tutto allo stesso Berlusconi? “Questo non lo so - risponde l’avvocato - una cosa è certa: una cosa del genere nella mia carriera non mi era mai capitata”. 

"Quel giudice in minoranza...". La verità dietro al complotto. Il penalista Coppi, difensore del Cav, commenta l’audio della toga: "Si è trovato in minoranza in camera di consiglio". Alberto Giorgi, Martedì 30/06/2020 su Il Giornale. "Il giudice Amedeo Franco ha detto cose gravi e non ci sono motivi per dubitare delle sue affermazioni". Così Franco Coppi commenta all’agenzia stampa Adnkronos gli audio di Amedeo Franco, il magistrato e giudice relatore della sezione feriale della Cassazione presieduta dal magistrato Antonio Esposito che emise la sentenza definitiva di condanna nel cosiddetto processo Mediaset nei confronti dell'ex premier, nell’agosto 2013. L’avvocato penalista, tra i difensori del Cavaliere, ha aggiunto: "L’impressione è che Franco si sia trovato in minoranza in camera di consiglio". Quindi non ha nascosto di essere da sempre rimasto sorpreso da quella sentenza contro l’ex tre volte presidente del consiglio arrivata sette anni fa. Una sentenza grazie alla quale, con l’entrata in vigore susseguente della controversa Legge Severino, il Cav è stato estromesso dal Parlamento. "Franco è sempre stato considerato come un giudice preparato e un galantuomo. È evidente che si sia trovato in minoranza in camera di consiglio, una camera di consiglio dove, a sentire lo stesso relatore, non ci fu neanche discussione. Non va sottovalutato che in calce a quella decisione c'era la firma di tutti i giudici", ha proseguito Coppi, che ha infine chiosato con la seguente considerazione: "Cosa abbia spinto Franco a raccontare tutto allo stesso Berlusconi, questo non lo so. Una cosa è certa: una cosa del genere nella mia carriera non mi era mai capitata...". L’audio di Franco su Berlusconi. Nella serata di lunedì è stato reso pubblico lo scoop de Il Riformista, il cui direttore Piero Sansonetti ha partecipato alla puntata di Quarta Repubblica, che ha mandato in onda l’intercettazione nella quale il magistrato, ora scomparso, diceva: "Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà, a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia. L’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto”. Per poi aggiungere: "In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso, ci continuo a pensare. Non mi libero. Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo". Vedremo ora se la commissione parlamentare invocata da Forza Italia per fare luce sul caso si farà e se, dopo sette anni di gogna, verrà ristabilita la verità.

Silvio Berlusconi e l'audio di Amedeo Franco, il sospetto: "Chi è il terzo uomo, testimone". Nome e cognome: clamoroso. Libero Quotidiano il 2 luglio 2020. Insieme a Silvio Berlusconi e al giudice Amedeo Franco c'era un terzo uomo, testimone della confessione della toga. Quella che nelle trascrizioni dell'intercettazioni è indicata come VM2, "voce maschile 2" secondo il Giornale avrebbe un nome e un cognome, clamorosi: Cosimo Ferri. L'incontro è del 6 febbraio 2014 ed è lo stesso Franco a nominare un "Cosimo", più volte. Sarebbe proprio il magistrato in aspettativa, leader di Magistratura indipendente, finito nei guai per il caso Palamara, eletto in Parlamento con il Pd e oggi senatore di Italia Viva. Le prime indiscrezioni dalla difesa di Berlusconi riferivano di un magistrato, rimasto in silenzio in questi anni per paura di vedersi compromessa la carriera. Non a caso, anche l'intercettazione di Franco è stata resa divulgata dopo la morte dello stesso giudice della Cassazione, avvenuta nel 2019, 6 anni dopo quella "sentenza pilotata dall'alto", come definì lui stesso la condanna di Berlusconi per frode fiscale nel processo Mediaset Agrama. Nel 2014, ricorda il Giornale, "Ferri ricopre un ruolo istituzionale: è sottosegretario alla Giustizia nel governo di Enrico Letta, un gradino sotto il ministro Annamaria Cancellieri", Di fatto, "il vero uomo di collegamento tra ministero e magistratura diventa lui", accusato da Magistratura democratica "di essere entrato in un governo di sinistra in quota Pdl". 

Tommaso Labate per “il Corriere della Sera” il 3 luglio 2020. «Presidente, il geco è in arrivo». Tra le mura semideserte di Palazzo Grazioli, dove il circo di Forza Italia è in via di smobilitazione causa trasloco imminente di Silvio Berlusconi, qualcuno ricorda i tempi del piccolo rettile notturno «geco», che era il nome in codice con cui - tra l'ironico e il misterioso - gli azzurri della cerchia ristretta del Capo avevano ribattezzato Cosimo Maria Ferri. E oggi è venuto fuori che proprio il deputato di Italia viva era il terzo uomo degli incontri tra l'ex presidente del Consiglio e il giudice di Cassazione Amedeo Franco - e il diretto interessato ha avuto il modo di confermare direttamente nel corso di un colloquio con La Verità - riemerge dalla naftalina quella rete di rapporti che l'ex consigliere del Csm, poi sottosegretario alla Giustizia in ben tre governi, incanalava nel rapporto diretto con il vertice indiscusso di Forza Italia. Lo schema, che ai piani alti del partito azzurro ancora ricordano bene, risale proprio all'anno in cui la sentenza di condanna definitiva nei confronti di Berlusconi venne seguita proprio dagli ormai celebri faccia a faccia tra l'ex premier e il giudice Franco, poi impressi su nastro a insaputa sia di Franco sia, giura il diretto interessato, di Ferri stesso. Nel racconto che ne fanno diversi testimoni oculari berlusconiani, l'allora sottosegretario alla Giustizia del governo guidato da Enrico Letta si presentava a Palazzo Grazioli sempre a mezzanotte. «O comunque dopo mezzanotte», raccontano. Il soprannome di «geco» se l'era guadagnato non tanto per la sua straordinaria attitudine alla riservatezza, soprattutto nei rapporti con Berlusconi; quanto perché l'attitudine medesima trovava sfogo nella sua scelta di aspettare nascosto dietro le piante alte dell'ingresso posteriore di Palazzo Grazioli che gli ospiti serali del Cavaliere se ne fossero andati. Poi, dopo aver incassato il «via libera» dalla segreteria, saliva in casa per conferire col numero uno di Forza Italia. Anticipato sempre dalla medesima frase: «Presidente, il geco è in arrivo». È in quel periodo che Ferri - già giovanissimo consigliere del Csm, che ha pure messo in palmares l'essere stato il recordman assoluto e mai battuto di preferenze alle elezioni dell'Anm - diventa una delle pedine della controstoria berlusconiana sulla giustizia, che in questi giorni sta scrivendo nuovi capitoli dopo l'uscita dell'audio del giudice Franco. Il «terzo uomo», come nel titolo del celeberrimo romanzo di Graham Greene, sembra effettivamente dotato dell'ubiquità politica. È stato spedito all'opposizione dell'Anm ma mantiene contatti costanti con Luca Palamara, è di nomina berlusconiana ma rimane nei governi del Pd anche quando Berlusconi richiama tutti indietro, coltiva la vicinanza a Matteo Renzi anche dopo la rottura del Patto del Nazareno e infatti alle elezioni del 2018 trova spazio nelle liste del centrosinistra e segue l'ex sindaco di Firenze dentro Italia viva. L'abilità del «geco» trasforma Cosimo Maria Ferri in una specie di inafferrabile uomo ovunque. La sua prudenza, forse, è quella che lo porta a mordersi la lingua quando serve. Il Trojan dei magistrati che indagano s' è già impossessato dell'accesso al telefonino di Luca Palamara quando, proprio in una conversazione con Ferri, l'ex presidente dell'Anm bollerà come «da evitare assolutamente» la nomina di Raffaele Cantone alla procura di Perugia. «Eh sì, però guardate bene le intercettazioni», sorride il parlamentare di Italia Viva tutte le volte che gli ricordano di quella chattata. «Se ci fate caso, la frase "da evitare assolutamente" riferita a Cantone la scrive Luca. Io non gli avevo risposto nulla». Chissà se questa serie di caratteristiche - nascondersi, mimetizzarsi, frenare - gli daranno una mano quando il 21 dovrà presentarsi davanti alla sezione disciplinare del Csm per rispondere, insieme a Palamara, di interferenze nelle decisioni del Csm in materia di nomine. Di jolly nel taschino dicono ne abbia parecchi. Non a caso, come ha detto qualche settimana fa al Corriere , coltiva moltissime certezze. Prima tra tutte che «Palamara sa molte più cose di quelle che ha iniziato a dire ».

Un geco ai Ferri - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 5 Luglio 2020: Ma che deve ancora fare Cosimo Maria Ferri per essere cacciato dalla magistratura? Nato nel 1971 a Pontremoli; figlio del ministro Enrico (quello del Psdi e dei 100 km all’ora, anche lui magistrato, poi eurodeputato FI); fratello di Jacopo, consigliere regionale FI condannato a 1 anno per tentata truffa, e di Filippo, ex poliziotto condannato a 3 anni e 8 mesi per falso aggravato nel processo per la mattanza alla scuola Diaz (G8 a Genova), dunque capo della sicurezza del Milan berlusconiano; giudice a Carrara. Grazie ai rapporti politico-clientelari ereditati dal padre, diventa il ras della corrente di destra MI e inizia a collezionare incarichi extragiudiziari. All’Ufficio vertenze economiche della Federcalcio, viene intercettato nel 2005 dai pm di Calciopoli mentre ringrazia il vicepresidente Figc Innocenzo Mazzini a nome dell’amico Claudio Lotito, patron della Lazio, per aver fatto designare un arbitro che ha favorito i biancazzurri: “Mi ha detto Claudio di ringraziarti. Sei un grande!”. Il Csm archivia e pochi mesi dopo si ritrova Ferri (a soli 35 anni) membro togato, eletto con ben 553 voti. La sua scalata di spicciafaccende fra politica, giustizia e affari prosegue nel 2009: B. tenta di far chiudere Annozero di Santoro e i pm di Trani intercettano Giancarlo Innocenzi, membro forzista dell’Agcom, che gli porta buone nuove: “Mi sono incontrato anche con Cosimo e abbiamo messo insieme un gruppo giuristi amici di Ferri, analizzato tutte e 5 le trasmissioni e riscontrato tutta una serie di infrazioni abbastanza gravi…”. Ben 15 membri del Csm chiedono di aprire una pratica su Ferri, ma il Comitato di presidenza (Mancino&C.) sorvola pure stavolta, sennò Ferri dovrebbe giudicarsi da solo. Così il Mister Wolf della Lunigiana continua a trafficare. E a farsi beccare. Nel 2010, indagando sulla P3, i pm romani scoprono che spinge le toghe protette dalla loggia: Alfonso Marra per la Corte d’appello di Milano e non solo lui. Pasqualino Lombardi, faccendiere irpino della P3, chiama la segretaria di Ferri: “(Al Csm, ndr) han fatto pure il pubblico ministero di Isernia?”. E quella: “Aspe’, chi ti interessava?”. Lombardi: “Paolo Albano, che è pure un amico!”. Lei lo richiama due ore dopo: “Ho chiesto a Cosimo di Albano… m’ha detto che non ci dovrebbero essere problemi”. Un’altra fulgida prova di indipendenza, che non gli impedisce di pontificare sul Riformista per la “trasparenza in magistratura” e i “criteri meritocratici” contro la nefasta “influenza correntizia” che porta certi colleghi (ce l’ha con Ingroia, mica con se stesso, ci mancherebbe) ad “apparire di parte”, creando “confusione fra i cittadini”. Nel 2010 il Csm scade e si libera di lui. Che però, con quel pedigree, diventa segretario di MI e nel 2012 è il magistrato più votato di sempre all’Anm (1199 preferenze). Nel 2013 FI lo impone sottosegretario alla Giustizia nel governo Letta. Lui si dà subito da fare per scongiurare la condanna di B. in Cassazione per frode fiscale: va a trovare il presidente Esposito per invitarlo al Premio Bancarella nella natia Pontremoli. Il giudice, per ovvi motivi, declina. B. viene condannato e decàde da senatore. Il 6 febbraio 2014 Ferri porta al neopregiudicato il giudice relatore della sentenza, Amedeo Franco, che viene registrato mentre viola (mentendo) il segreto della camera di consiglio. Pur essendo un magistrato, Cosimino non denuncia i presunti reati segnalati da Franco, nè il sicuro reato (violazione di segreto d’ufficio) commesso da Franco. Nel giro berlusconiano – rivela Tommaso Labate sul Corriere – lo chiamano “il Geco” perché “aspetta nascosto dietro le piante alte dell’ingresso posteriore di Palazzo Grazioli che gli ospiti serali se ne vadano. Poi, incassato il via libera dalla segreteria, sale in casa per conferire col n. 1”. Pochi giorni dopo, l’Innominabile lo conferma sottosegretario alla Giustizia, stavolta in quota Verdini (amico di famiglia). E Napolitano non fa una piega, anche se ha appena respinto Nicola Gratteri come ministro perché “Via Arenula non fa per i magistrati” (almeno per quelli perbene). Il 6 luglio si elegge il nuovo Csm e Ferri, dal ministero, invia sms agli ex colleghi di MI per far votare i suoi protegé Pontecorvo e Forteleoni (puntualmente eletti). Ormai è un conflitto d’interessi vivente: membro del governo, interferisce nell’“organo di autogoverno” dei magistrati. Che però continua a fregarsene. Come pure l’Innominabile e i partiti di destra, che fingono di combattere le toghe politicizzate e invece le vorrebbero tutta così. Ferri resta sottosegretario pure con Gentiloni. Poi nel 2018 viene eletto deputato del Pd per grazia renziana ricevuta (passerà presto a Iv). Lui, berlusconiano di ferro. Lui che, quando si candidarono Grasso e Ingroia, invocò “nuove regole per tutelare la credibilità della magistratura davanti ai cittadini”. Credibilità a cui continua a contribuire nei vertici notturni all’hotel Champagne con i due Luca, il togato-indagato del Csm Palamara e il deputato-imputato Lotti, per scegliere i procuratori di Roma, Perugia e Firenze più graditi al Giglio Magico nella triplice veste di politico, giudice e faccendiere. Che l’Innominabile se lo tenga stretto, si capisce: con tutti i guai che ha in famiglia, può sempre servire. Ma il Csm che aspetta a radiarlo dalla magistratura? Il Geco, con quella faccia, è capace pure di tornarci.

Audio Berlusconi, al colloquio ci sarebbe stato anche un altro magistrato. Il Corriere della Sera il  30/6/2020. Non era solo il giudice Amedeo Franco quando venne registrato mentre con Silvio Berlusconi «si sgravava la coscienza» sulla sentenza «porcheria»: la condanna per frode fiscale nel processo Mediaset della quale lui stesso era stato relatore. Ad ascoltare Franco riferire della sua impressione che la vicenda «fosse guidata dall’alto», c’erano altri testimoni. E uno di loro sarebbe stato un magistrato. Il particolare, non ancora emerso, allunga altre ombre sulla vicenda contenuta nelle carte consegnate dalla difesa di Berlusconi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’ultima delle istanze presentate (finora invano) per chiedere la fissazione dell’udienza di quel ricorso sul quale il Cavaliere puntava per avere una revisione del processo e una riabilitazione politica dopo la condanna ai servizi sociali. Ed è proprio questa la carta, finora segreta, che la difesa di Berlusconi, gli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppi, vorrebbero giocare nella partita giudiziaria a Strasburgo.

L’attesa per la morte del giudice. La toga misteriosa che avrebbe assistito al colloquio, secondo quanto hanno anticipato nel ricorso alla Cedu, senza specificarne l’identità, sarebbe pronta a confermare il contenuto e le circostanze di quel colloquio tra il senatore decaduto e il giudice in crisi di coscienza. Quest’ultimo non può più, essendo deceduto. «Il giudice Amedeo Franco ha detto cose gravi. Non ci sono motivi per dubitare delle sue affermazioni», ha dichiarato all’Agi, ieri, Coppi. «Sono sempre stato sorpreso da quella sentenza. Una decisione che andava contro la giurisprudenza», ha aggiunto, esternando l’impressione da sempre avuta che il giudice si fosse «trovato in minoranza in camera di consiglio». Sensazione smentita ieri dalla Cassazione. «Invieremo gli audio e speriamo, a questo punto, che i giudici di Strasburgo fissino una udienza. I giudici potrebbero non annullare la sentenza ma individuare eventuali lesioni al diritto di difesa o offrire elementi per un eventuale revisione del processo», annuncia Coppi. Ma perché non farlo prima? Perché aspettare la morte del protagonista e continuare a tacere di quel colloquio anche successivamente? Dalla difesa di Berlusconi si sostiene che fu una scelta del Cavaliere, non voler rendere pubblico subito quell’audio.

Perché tacere con il Csm? Secondo quanto riferiscono i legali la cosa andò così. Il giudice Franco cominciò a cercare il leader di Forza Italia già pochi mesi dopo la sentenza di condanna, chiedendogli un incontro. Lui glielo avrebbe voluto concedere, ma loro lo sconsigliarono. Finché, vista l’insistenza del magistrato, venne loro l’idea di registrare le parole del giudice. Ad azionare il registratore sarebbe stato uno dei testimoni presenti. Gli avvocati se ne sarebbero ben guardati, per non rischiare, diventando testimoni, di dover rinunciare al ruolo di difensori. Una volta ottenuta l’intercettazione ambientale però, sempre secondo la ricostruzione della difesa, fu Berlusconi a non volerla utilizzare per «non mettere in croce» i magistrati. Dei tentativi di Franco di farsi ascoltare anche dal consigliere giuridico dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ne parla lo stesso audio, mandato in onda martedì sera da «Quarta Repubblica». Resta tutta avvolta nel mistero però la reazione dell’altro presunto testimone togato. Perché non avrebbe riferito nulla al Consiglio Superiore della Magistratura? Secondo i legali di Berlusconi avrebbe avuto paura di compromettersi la carriera. Era in attesa di una nomina i Cassazione, che poi ottenne. Sarebbe ancora in servizio. Se la ricostruzione fosse esatta, sarebbe sicuramente interessante sentire la sua versione.

Silvio Berlusconi racconta l'incontro con Amedeo Franco: "Uomo tormentato, temeva le ritorsioni". Libero Quotidiano il 03 luglio 2020. “Quando mi hanno detto che voleva vedermi, la cosa mi ha stupito ed anzi contrariato”. Silvio Berlusconi scrive una lettera a Il Riformista per affrontare la questione della registrazione audio in cui Amedeo Franco, giudice nel processo Mediaset contro il Cav, definì la sentenza “un plotone d’esecuzione”. In realtà il leader di Forza Italia non desiderava riaprire “in nessun modo” una vicenda che “mi aveva profondamente ferito sul piano umano prima ancora che su quello pubblico”. E così l’incontro con il magistrato è avvenuto perché “alcuni amici e collaboratori mi convinsero a riceverlo: insistettero sul dovere che avevo di fare tutto il possibile per fare chiarezza su quella vicenda, nei confronti dei tanti che non avevano mai smesso di credere in me, nelle mie idee, nel mio onore di cittadino, di imprenditore e di politico”. Berlusconi ricorda di essere rimasto molto colpito da quell’incontro con Franco a Palazzo Grazioli: “Era una persona molto diversa da quella che mi aspettavo, era un uomo tormentato da una grave crisi di coscienza. Un uomo combattuto fra la sua onorabilità di magistrato, il dovere di servire la legge e le legittime preoccupazioni per le ritorsioni che avrebbe potuto subire da parte di qualche collega molto potente, che godeva di protezioni ancora più potenti. Per questo lo rassicurai sul fatto che non avrei reso pubblico il contenuto del nostro colloquio fino a quando quei rischi fossero stati reali”. Berlusconi non chiede risarcimenti ma verità e si rivolge direttamente all’Anm: “Sono convinto che l’Anm, se volesse veramente tutelare la magistratura italiana come merita, dovrebbe essere la prima a sostenere la nostra richiesta di verità”. 

DAGONOTA il 2 luglio 2020. Perché l’audio dell’ex giudice di Cassazione Franco esce casualmente proprio adesso dopo molti anni? Perché qualcuno ha chiesto al Cavaliere il sostegno all’attuale Governo di sinistra ma questo sostegno deve essere “ripulito” da ogni “macchia” del passato. Il Cavaliere nero deve essere messo in “candeggina” e reso più bianco che non si può. Il solito codice Etico della solita sinistra italiana dal tic euro-catto-comunista : se non gli servi ti ghigliottina; se gli servi ti riabilita.

Gian Carlo Caselli per huffingtonpost.it. Il “caso Palamara” ha disvelato nella magistratura tendenze assai poco edificanti (eufemismo!). A fronte di una maggioranza certamente per bene, emerge  una minoranza che calpestando ogni deontologia e correttezza brandisce senza scrupoli l’arma nefasta dell’appartenenza correntizia. La credibilità e la fiducia verso la magistratura sono ai minimi storici. In questo contesto avvocati e politici assortiti puntano con entusiasmo alla “separazione delle carriere”. Per ottenere questa “soluzione finale” si sta organizzando un vero e proprio assalto alla giustizia. Ora, va da sé che di tutto si può discutere, anche di questa opzione, ma ad una condizione: che sia sempre verificata quanto meno la plausibilità degli argomenti portati nell’uno o nell’altro senso. Si sostiene che sul corretto funzionamento del sistema incombe una promiscuità pericolosa  fra  PM e giudice, riscontrabile nel fatto che spesso prendono il caffè insieme al bar. Di qui la necessità di separare le due carriere. Tesi sostenibile ma fragile, se non altro perché coerenza imporrebbe di rescindere anche i rapporti fra giudici di primo grado e d’appello. Non si vede infatti come i sospetti derivanti dalla “colleganza” fra Pm e giudici non debbano estendersi anche ai giudici dei diversi gradi del processo. Ma questo richiamo alla coerenza è niente rispetto a quello che sta succedendo proprio in queste ore. Coloro che inorridiscono e si stracciano le vesti per la tazzina di caffè del Pm e del giudice, poi non hanno nulla da ridire se un giudice (Amedeo Franco) -  avendo fatto parte del collegio che ha condannato un imputato senza che risulti neanche l’ombra di una  “dissenting opinion” – si ritrova poi a colloquio “vis à vis” con l’imputato stesso (Silvio Berlusconi), presenti altre persone, per commentare la sentenza con parole sprezzanti che neanche i difensori dell’imputato si sarebbero mai sognati. Eccone un florilegio ( fonte “il Giornale” del 30 giugno”): mascalzonata; plotone di esecuzione; manovra decisa a tavolino prima ancora dell’udienza per eliminare l’imputato; vicenda guidata dall’alto; grave ingiustizia; porcheria in malafede e via così... In sostanza, si mena scandalo e si ravvisa materia per invocare la separazione delle carriere nel caffè che Pm e giudice sorbiscono insieme, mentre si accetta come un fatto normale che un magistrato, dopo la condanna pronunziata dal collegio di cui egli stesso faceva parte, la demolisca intrattenendosi amabilmente con l’imputato. Con una filippica che contiene accuse di gravi reati, commessi per arrivare alla sentenza, dei quali avrebbe prima di tutto dovuto obbligatoriamente riferire all’autorità giudiziaria. Non solo un comportamento siffatto non viene  stigmatizzato, ma è addirittura assunto come paradigmatico. In ogni caso esso diventa un’opportunità per insistere sulla separazione delle carriere, che non c’entra niente, ma si sa: tutto fa brodo...E’ comunque innegabile che si tratta di una vicenda decisamente singolare e anomala, tanto più che la conversazione fra l’imputato ed il suo giudice è stata fonoregistrata (sembra all’insaputa del magistrato, nel frattempo deceduto)  e “riesumata” sette anni dopo. Singolari potrebbero essere anche gli sviluppi della vicenda. In attesa che si pronunzi la giustizia europea investita dai difensori dell’imputato, c’è chi parla di nominare l’imputato senatore a vita o presidente della Repubblica per risarcirlo del danno patito, mentre si chiede a gran voce una commissione d’inchiesta sull’operato della magistratura in genere nel corso degli ultimi decenni. Non ho nulla da suggerire a nessuno, ma se mai commissione dovesse essere, credo che si dovrebbe cominciare dall’accertamento di un fatto di basilare importanza: come e perché il giudice Franco è arrivato al cospetto dell’imputato Berlusconi dopo la condanna?  Forse per un caffè?

Giacomo Amadori per “la Verità” il 2 luglio 2020. Roma, Palazzo Grazioli, 6 febbraio 2014.

Silvio Berlusconi: «Mi sa che si è spento». Voce femminile 1: «È il mio? Il mio?». Voce femminile 2: «No, no! Sta andando, fermo!».

Voce femminile 1: «Di qua, di qua».

Voce femminile 2: «No, no, non si è spento».